Terza Università di
Roma
Si può guarire la giustizia italiana? Fare in modo che i processi
si svolgano in tempi ragionevoli, che le sentenze si rispettino, che i
cittadini vi ripongano fiducia?
In tanti - giudici, avvocati, studiosi, persino politici - ci si
sforza di farlo.
Ma l'ottimismo della volontà soccombe non tanto di fronte al
pessimismo dei numeri, delle statistiche, dell'osservazione empirica, bensì per
un avversario ben più forte, che opera fuori dalle aule dei tribunali: il
cinema.
La giustizia italiana è
condannata, prima ancora che davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo
(dove ha totalizzato il maggior numero di sentenze negative rispetto a tutti
gli altri paesi europei), nelle sale cinematografiche dove essa è rappresentata
come ridicola, odiosa o, nella più benevola delle ipotesi, perdente.
Si potrebbe sorridere di fronte a questo accostamento - cinema
contro Giustizia - o, peggio, ritenerlo una forzatura denigratrice e
distruttiva.
Purtroppo le cose non stanno così: da oltre un secolo sappiamo che
un sistema giuridico è indissolubilmente legato ai valori, non giuridici,
prevalenti in una data società. E da oltre un ventennio il ricco filone "Law
& Literature" ci illumina sullo stretto legame fra espressione
letteraria e formulazione, interpretazione e applicazione delle norme. Lo sa
bene il lettore di Balzac, i cui romanzi sono spesso costruiti attorno ad un
caso giudiziario, tratto dal Codice Napoleone.
Ma per trovare conferma a quanto si va dicendo la comparazione è
di illuminante aiuto (si v. il recente saggio di A. Somma, “When the law
goes pop”. La rappresentazione filmica del diritto” , in Politica del
diritto 2003,447). Paradossalmente l'italiano medio - digiuno di cose di
diritto - ha una idea più precisa del sistema di giustizia americano, che di
quello italiano. Quelli più anziani attraverso i telefilm della serie Perry
Mason, quelli meno anziani attraverso un profluvio di pellicole, di grande
successo e che vedono protagonisti i migliori attori americani.
Alcuni titoli, presi a caso fra una miriade: Kramer contro Kramer, Philadelfia, Il mistero von Bulow, Il verdetto,
Presunto innocente, Codice d'onore, Erin Brockovich, Una azione civile, L'uomo
della pioggia, Larry Flint, Il caso Pelikan, Amistad, Il socio, Il cliente,
Malice - Il sospetto, e si potrebbe continuare per pagine ( per una
rassegna significativa di un centinaio di pellicole v. P. BERGMAN - M. ASIMOW, Reel Justice. The Courtroom Goes to the Movies, Andrews & McMeel, Kansas City 1996).
Ma se ci chiediamo quale è il senso di questo elenco la risposta è
assai più breve: la Giustizia è la rappresentazione di un dramma, che gli
uomini, le donne e le procedure portano ad una conclusione, il più delle volte
positiva o comunque rassicurante. Se c'è qualcosa che pensiamo di conoscere del
sistema giudiziario americano è la giuria - onnipresente - davanti alla quale
buoni, cattivi, mediocri, ambigui, vittime si presentano e vengono giudicati.
Quella giuria - che rappresenta nella realtà e nella finzione
"Middletown" (la comunità-tipo americana) - è l'immagine terrena,
concreta, a portata di mano, della Giustizia. Se abbiamo ragioni e le sappiamo
esporre otterremo quel che è giusto, anche se ciò potrà costare, e non poco, in
termini di sofferenza (nella gran copia di libri sul tema si vedano quelli,
recenti, di A. CHASE, Movies on Trial:
The Legal System on the Silver Screen, New Press, New York 2002; D.A. BLACK, Law in Film: Resonance and Representation, Un. of Illinois Press, Champaign
1999)
Usciamo dal cinema - e ne escono gli spettatori americani - con
una idea di Giustizia che funziona, purchè lo si voglia, purchè si lotti.
Guardiamo ora a casa nostra. La Giustizia è in primo luogo
ridicola. Di fronte al realismo rappresentativo americano abbiamo ambienti di
fantasia, giudici ed avvocati improbabili, procedure immaginarie. Per tutti, La cambiale con Totò e Peppino nei panni
dei cugini Posalaquaglia, titolari di una agenzia di "consulenze
testimoniali", che si imbrogliano l'un l'altro, con parapiglia finale e
Totò che si sostituisce al Pretore ordinando al brigadiere di arrestare il
giudice. Oppure Guardie e ladri in
cui alla fine si parteggia per il povero Totò costretto a rubare per sfamare la
famiglia e solo la bravura di Fabrizi non ci rende odiosa la Legge. E ancora la
scena dei Soliti ignoti nel parlatoio
di Regina Coeli in cui viene preparato il tentativo di frode processuale con
scambio di detenuti. Per non parlare dell’episodio Il processo di Frine in
Altri tempi di Blasetti nel quale uno strepitoso avvocato De Sica
ottiene l’assoluzione dell’imputata Gina Lollobrigida.
Ma al tempo stesso la Giustizia è perdente, soprattutto quando in
scena c'è Alberto Sordi: la scena finale del Vigile in cui, con la moglie e il figlio accanto, fa capire al giudice
che se è reticente è perché "tiene famiglia". E la stessa scena si
ripete, pressappoco, in Il Commissario in cui Albertone è costretto –
per ragioni politiche – a dichiarare in Tribunale di avere estorto una
confessione. Oppure ancora in Detenuto in
attesa di giudizio in cui il giudice si rifiuta di prendere in esame
l’evidente caso di arresto per omonimia perchè sta per andare in ferie.
Ma il dileggio della Giustizia per antonomasia è rappresentato da Un
giorno in Pretura nel quale Nando Moriconi l’amerigano trasforma il
processo in una farsa: e non è un caso che il titolo di quel film di successo
sia stato utilizzato per una trasmissione di cosiddetta tv-verità che
trasmetteva, sull’emittente del servizio pubblico, fasi e spezzoni di processi
“famosi”. Se setacciamo la filmografia di Sordi la lista è ancora lunga:
l’episodio del pretore, severo censore e grande consumatore di riviste
pornografiche in Il comune senso del pudore, o ancora il giudice
Salvemini in Tutti dentro (con un sottotitolo eloquente: Almeno
l’ingiustizia sia per tutti ,uno sberleffo a And Justice for All)
E dalla farsa si scivola poi nella denuncia della Giustizia
oltraggiata o negata: dal neo-realismo (Processo
alla città, di Zampa) alla ricca filmografia di Damiano Damiani ( fra cui
spiccano Confessione di un commissario di polizia al procuratore della
repubblica e La polizia ringrazia) .E anche quando si guarda
all'estero, la visione è cupamente pessimista: si pensi alla rappresentazione
del processo e alla messinscena della giuria in Sacco e Vanzetti. Oppure
ci si ride sopra, con l’italica furbizia del funzionario della SIAE
Emilio Garrone in Assolto per aver commesso il fatto il quale, con
l’ausilio del giudice,riesce a conquistare una impresa con un giro di assegni
truccati.
Beninteso, nessuno - dati alla mano - è convinto che la Giustizia
americana sia un paradiso evangelico, e gli esempi di ingiustizia, classismo,
rozzezza punitiva si sprecano ( e vengono puntualmente rappresentati nei film:
due esempi fra tanti Dead man walking e Il miglio verde). Ma
nonostante tutto ciò gli americani continuano a credere che il loro sistema sia
perfettibile sì, ma meritevole di fiducia, e Hollywood rafforza questa
credenza.
La lezione che si trae è che una istituzione pubblica ha il peso
che le danno i consociati e questo peso è il risultato anche della
rappresentazione letteraria ed artistica che finisce per esprimere un Volksgeist.
Per il nostro paese, assai meglio delle relazioni di un
procuratore generale della Cassazione, ci spiegano tutto padre Dante (Leggi son, ma chi pon mano ad esse), e
don Lisander (con il nostro Azzeccagarbugli). Ma più di tutti il sommo Collodi:
"Pinocchio, alla
presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era
stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì
col chiedere giustizia. Il giudice lo ascoltò con molta benignità; prese
vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando il burattino non
ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.
A quella scampanellata comparvero
subito due can-mastini vestiti da giandarmi. Allora il giudice, accennando
Pinocchio ai giandarmi disse loro:
Quel povero diavolo è stato derubato di
quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione".
Si capisce dunque che l'Arte, in Italia, ha ormai perso ogni
speranza nella Giustizia. Perché dovremmo averla noi?
Una conclusione meno catastrofica? Alla prossima verifica di
maggioranza Sidney Lumet Ministro di Grazia e Giustizia e John Grisham in
Cassazione. O, almeno, imbottirsi di film americani prima di affrontare
un'odissea giudiziaria.