Università di Sassari
FEDERALISMO EUROPEO ED EUROPA DELLE REGIONI, UN RAPPORTO DA DEFINIRE
Sommario: – 1. Delimitazione del tema oggetto della
relazione. – 2. La nozione di “federalismo europeo” alla
luce della prevalente dottrina: il livello federale è quello degli Stati membri.
– 3. La nozione di "Europa delle Regioni" secondo
la dottrina: i tre livelli (europeo, statale e regionale) del sistema. – 4.
Valutazione nella rilevanza della nozione di Europa
delle Regioni nei documenti elaborati in seno al Consiglio d'Europa e
dell'Unione Europea. – 5. Constatazione della
inadeguatezza dei risultati raggiunti, a livello comunitario, sulla via
dell'Europa delle Regioni. – 6. Raffronto conclusivo
tra Europa delle Regioni e federalismo europeo, sulla base delle più recenti
tendenze dei Trattati comunitari.
1. – Delimitazione
del tema oggetto della relazione
In un convegno dedicato ad approfondire
il rapporto tra federalismo e statalismo, con particolare attenzione alle
esperienze oggi in atto, il contributo dell'internazionalista tende a mettere a
fuoco il rapporto tra "federalismo europeo" ed "Europa delle
Regioni", nella connessione che entrambe queste espressioni presentano con
il tipo di Europa che si va edificando. Come infatti verrà precisato nel corso
di questa breve relazione, tanto la prima come la seconda espressione offrono
interessanti spunti per meglio inquadrare il processo di integrazione del
nostro Continente, valutando affermazioni del pensiero federalista che non
sempre consentono di ricostruire correttamente i principi sui quali l'Unione
europea è attualmente fondata.
Va subito evidenziato, a questo
riguardo, che mentre è da tempo che la dottrina si occupa del federalismo
europeo, con una serie di scritti che lo analizzano sotto i più diversi
aspetti, non altrettanto potrebbe dirsi per le analisi aventi ad oggetto
l'Europa delle Regioni. E, di tutta evidenza, il mancato approfondimento di
questo secondo tema ha comportato una non chiara definizione del rapporto
intercorrente tra i due termini. Rapporto che può risolversi tanto in una
sostanziale identificazione ove si riconosca che non possono esservi Stati
Uniti d'Europa senza che alle Regioni venga attribuito un ruolo determinante al
riguardo, quanto in una chiara differenziazione, allorché l'inserimento delle
Regioni nel quadro del progetto federalista rappresenti un elemento non da
tutti condiviso.
Partendo da una ricostruzione
dell'autentico significato dei due concetti, con la presente relazione si
cercherà di colmare una lacuna che impedisce di valutare correttamente i
risultati finora raggiunti con il processo di integrazione europea, così come
di misurare la strada che resta ancora da percorrere.
Una sintesi autorevole della nozione di
"federalismo europeo" può cogliersi nel Manifesto dei Federalisti
Europei di Altiero Spinelli[1]. Vi
si legge, in particolare: «federare l'Europa significa federare i popoli liberi
d'Europa con un patto irrevocabile, in base al quale gli affari pubblici propri
delle singole nazioni sono amministrati dai rispettivi Stati nazionali....,
mentre gli affari pubblici di interesse comune sono amministrati da un governo
comune». Le due "comunità politiche" (quella federale e quella
nazionale) sono contrassegnate da sovranità "separate e parallele".
Ed è la Costituzione degli Stati Uniti d'Europa che, «mentre lascia gli Stati
nazionali liberi di conservare e modificare le proprie istituzioni, deve
stabilire esplicitamente quali funzioni pubbliche siano trasferite dagli Stati
nazionali alla federazione».
Il concetto di una federazione europea
fondata, da un lato, sull'esistenza di due "comunità politiche" e,
dall'altro, sul trasferimento di funzioni dal livello nazionale alla comunità
federale ricorre costantemente negli scritti dei padri del pensiero federalista
europeo, da Umberto Campagnolo[2], a
Luigi Einaudi[3],
a Jean Monnet[4].
Alla luce di questi brevi ma
significativi richiami, è agevole rilevare, come tra i "classici"
manchi qualsiasi esplicito riferimento al ruolo da riservare, nell'Europa
unita, alle autonomie regionali e locali, pur così diffuse, anche nella metà
degli anni '40, nel Continente europeo. E ciò malgrado fosse ben chiara fin da
quel momento la consapevolezza che l'Europa da costruire avrebbe dovuto
fondarsi sulla diversità delle culture regionali, che del nostro Continente
rappresentano una caratteristica fondamentale ed una preziosa ricchezza[5].
Forse la mancata presa in
considerazione del terzo livello – quello, appunto delle autonomie territoriali
– è dovuto all'intento di evitare differenziazioni, all'interno del progetto di
federazione europea, tra Stati "centralistici" e
"federali"; forse questa posizione, che potremmo definire agnostica,
deriva dal nucleo centrale del pensiero federalista, che individua nella
sovranità degli Stati nazionali il maggiore, se non l'unico, ostacolo sulla
strada della Federazione europea. Il trasferimento di poteri sovrani dai primi
alla seconda viene quindi considerato la condizione necessaria e sufficiente
per il conseguimento del risultato. La diversità delle forme di Stato
all'interno dell'Europa era quindi, e tale doveva restare, del tutto
ininfluente ai fini della costruzione degli Stati Uniti d'Europa.
Non vanno trascurate, infine, la
perplessità manifestate in taluni ambienti federalisti nei confronti di un
progetto che riconoscesse un effettivo ruolo, anche a livello europeo, alle
autonomie territoriali: sia per i pericoli di "ingovernabilità" che
tale progetto conterrebbe, sia perché in tal modo finirebbe per sostituire «el
tradicional nacionalismo nefasto par un nacionalismo regional, que tendria
todos los vicios del primero y ninguna de sus razones historicas»[6].
Considerata la ricchezza della
produzione dottrinale in materia di federalismo europeo, gli scritti dedicati
al tema dell'Europa delle Regioni presentano una dimensione più contenuta. Ciò
appare evidente soprattutto nella fase di avvio del processo di integrazione
europea, a partire dalla fine degli anni '40. In questa fase, come si è visto,
è infatti l'idea di una Federazione europea articolata su due diversi livelli –
quello federale e quello degli Stati membri – che risulta nettamente
predominante.
L'unica voce che sostenga con decisione
la tesi di un sistema federale in cui anche le Regioni si vedano riconosciuto
un preciso ruolo è quella di Denis de Rougemont. Nei suoi primi scritti, anzi,
lo studioso svizzero si schiera con le Regioni contro lo Stato-nazione, visto
come il principale ostacolo sulla strada della Federazione europea[7].
È solo in un secondo momento (all'incirca, all'inizio degli anni '80), che in
de Rougemont il concetto di Europa delle Regioni assume una formulazione nuova,
quello di un sistema costruito su tre diversi livelli: europeo, statale e
regionale. Nell'Europa federale, in altri termini, lo Stato-nazione non si
dissolverebbe: più realisticamente, verrebbe "superato", nel senso
che coesisterebbe con due altre realtà, alle quali trasferirebbe una parte dei
suoi poteri: verso l'alto, alla Federazione europea; verso il basso, alle autonomie
regionali[8].
Ciò premesso, va sottolineato che è
soprattutto a partire dagli anni '80 che la dottrina mostra, nei confronti
dell'Europa delle Regioni, un interesse crescente. Nel complesso, è intorno
alla concezione di de Rougemont, da ultimo richiamata, che si forma un generale
consenso. L'idea guida è quella dell'esistenza, nel sistema dell'Unione
europea, di tre distinti livelli: l'Unione, lo Stato e la Regione. È tra questi
livelli che devono essere distribuiti "competenze e poteri". Una fondamentale
importanza riveste al riguardo, per la costruzione dell'Europa, «el equilibrio
entre las distintas unitades, Europa, Estado y Regiones», dovendosi assicurare
«la coexistencia de Estados y Regiones en el conjunto de una Europa integrada,
sobre la base de una partecipación cresciente de las Regiones en el proceso de
formación de las decisiones comunitarias que las conciernan»[9].
Altri
autori arrivano sostanzialmente alle stesse conclusioni intravedendo
nell'Europa delle Regioni una "nuova Europa", che «should try to
overcome the model of a supranational entity and an intergovernmental
organization, and develop into a federalist sustem endowed with democratic
legitimacy and consisting of three levels: the Community, the States and the
Regions»[10].
Se dunque oggi il progetto di un'Europa
delle Regioni non prevede affatto il dissolvimento dello Stato-nazione,
conviene dall'altra parte subito evidenziare che alla sua formulazione ha
sicuramente concorso la constatazione che il processo di regionalizzazione sviluppatosi
nel nostro Continente specie a partire dagli anni '70[11]
rischiava di trovare, in un'Europa costruita senza le Regioni, un ostacolo
difficile da superare. L'esercizio, da parte delle Comunità europee, di poteri
sempre più estesi, anche in materie di competenza regionale[12],
aveva infatti portato, segnatamente in Italia, ad escludere che le Regioni
potessero esercitare le proprie competenze ogniqualvolta ciò risultasse in
contrasto con gli obblighi comunitari assunti dallo Stato centrale[13].
A ben guardare, comunque, non è stata
soltanto la pur legittima esigenza di salvaguardare le proprie competenze a
spingere l'intero sistema delle autonomie regionali e locali verso la
costruzione di un'Europa delle Regioni. Alla base di questo progetto va altresì
posto, su un piano più generale, la convinzione che il riconoscimento di un
preciso ed effettivo ruolo delle Regioni nel processo di integrazione europea è
condizione essenziale perché nello sviluppo di detto processo si tenga conto
delle peculiarità della realtà del nostro continente, evitando che le esigenze
di funzionamento del mercato unico releghino in una posizione del tutto
marginale i valori rappresentati da quelle diversità delle culture regionali
che sono parte così integrante della stessa cultura europea.
In altri termini, vigilando contro ogni
ostacolo che possa frapporsi allo svolgimento delle funzioni che sono loro
proprie, le Regioni contribuirebbero a preservare la stessa Europa dal rischio
di una sua contaminazione, conseguenza di una politica che, dominata
esclusivamente dall'intento di rendere sempre più competitivo il sistema
produttivo, finisce per dar vita ad un sistema ispirato a modelli d'oltre
oceano, improponibili nella loro interezza all'interno della ben diversa realtà
del Continente europeo.
4. – Valutazione nella rilevanza della nozione di
Europa delle Regioni nei documenti elaborati in seno al Consiglio d'Europa e
dell'Unione Europea
Lo scopo della presente relazione –
quella, già evidenziata, di delineare con chiarezza la nozione di Europa delle
Regioni e di metterla a raffronto con quella di federalismo europeo – impone, a
questo punto, di far seguire al quadro dei contributi dottrinali una pur
sintetica ricostruzione delle posizioni che su questo punto sono state assunte,
a livello europeo, dall'intero sistema delle autonomie regionali e locali.
Conviene subito chiarire, a questo riguardo, che se il ruolo riconosciuto alle
Regioni nell'ambito del Consiglio d'Europa è sicuramente maggiore di quello che
le medesime si vedono conferito nell'ordinamento comunitario, sostanzialmente
uniforme è la nozione di Europa delle Regioni che, nel quadro tanto del primo
come del secondo sistema, viene proposta.
Con riferimento al Consiglio d'Europa,
possono ricordarsi sia la Carta europea dell'autonomia locale, firmata a
Strasburgo il 15 ottobre 1985 (resa esecutiva in Italia con 1. 30 dicembre
1989, n. 439), sia il progetto preliminare di Convenzione sulla cooperazione
interritoriale delle collettività o autorità territoriali (sottoposta all'esame
del Comitato dei Ministri dalla Conferenza permanente dei poteri locali e
regionali d'Europa con ris. 248 (1993) del 17 marzo 1993[14],
sia infine il progetto della Carta europea dell'autonomia regionale, approvato
dalla Camera delle Regioni del Congresso dei poteri locali e regionali il 4
giugno 1997[15].
Dall'insieme degli atti ora citati emerge chiaramente il concetto di un'Europa
per la cui edificazione anche le autonomie regionali e locali sono chiamate a
svolgere un ruolo di grande rilevanza: eloquenti indicazioni in questo senso
sono contenute nel Preambolo della Carta europea dell'autonomia locale e del
preambolo del progetto preliminare di Convenzione sulla cooperazione
interritoriale.
Principi sostanzialmente analoghi
ispirano una serie di atti adottati in ambito comunitario. Si considerino, in
particolare:
- La Dichiarazione comune del
Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo del 19 giugno 1984
sull'esigenza di associare le Regioni al processo decisionale della Comunità
(G.U.C.E. n.C. 326 del 19.12.1988, p. 289 ss.);
- Il rapporto Stoiber-Gomes su “Regioni
e Città, pilastri d'Europa”, adottato dal Comitato delle Regioni il 10 aprile
1997.
Chiarissima è infatti la riproposizione
di un'Europa "a tre livelli", in cui le Regioni e le autonomie locali
sono chiamate a ricoprire un ruolo importante nella costruzione dell'assetto
istituzionale dell'Unione europea. Ed è interessante a questo riguardo
osservare che, mentre assai frequenti sono i richiami a quell'Europa dei
cittadini[16],
alla cui realizzazione le Regioni intendono dare il loro determinante
contributo, mancano quasi del tutto, nei documenti in precedenza richiamati, i
riferimenti al traguardo della Federazione europea, il cui raggiungimento non
appare, per le Regioni, affatto da auspicare. Una Federazione, in sostanza,
vista dalle Regioni nei termini che abbiamo per grandi linee tratteggiato nel
corso del secondo paragrafo, e cioè come uno Stato federale europeo risultante
dalla paura e semplice ripartizione di competenze tra la Federazione e gli
Stati membri, a seguito del trasferimento di poteri sovrani alla prima da parte
di questi ultimi.
La constatata affinità, tra gli atti
comunitari e quelli posti in essere nell'ambito del Consiglio d'Europa, in
merito alla nozione di Europa delle Regioni, non deve indurre a dare per
scontato che, anche per quanto riguarda i risultati raggiunti, i due sistemi
siano da porre su un piano di sostanziale parità. In linea di principio,
infatti, può dirsi che nell'ordinamento del Consiglio d'Europa le autonomie
regionali e locali si vedono conferire un ruolo nettamente superiore a quello
alle medesime riconosciuto all'interno dell'Unione europea. Ciò può constatarsi
agevolmente sia nel limitato ma significativo settore della cooperazione
transfrontaliera, posto in risalto dalla stessa Corte costituzionale italiana,
nella nota sentenza n. 179/1987[17], sia
in un ambito più generale. Si consideri, al riguardo, il rilievo assunto dal
Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa: un organo che, pur disponendo
di poteri essenzialmente consultivi, riveste nello sviluppo dell'intero sistema
del Consiglio d'Europa un ruolo determinante. Va tenuto presente, a questo
riguardo, come i due importanti progetti di convenzione in precedenza
richiamati (quello relativo alla cooperazione interritoriale e il progetto di
una Carta europea dell'autonomia regionale) sono il risultato dell'azione
svolta con grande determinazione da parte del Congresso.
Nell'ambito comunitario, per contro, ai
ben più pesanti condizionamenti che al funzionamento delle Regioni e delle
autonomie locali derivano dai continui trasferimenti di competenze dagli Stati
all'Unione non si accompagnano significativi passi in avanti verso la
realizzazione dell'Europa delle Regioni. Certo, mentre sino alla fine degli
anni '80 a livello comunitario le Regioni venivano in rilievo quasi
esclusivamente come aree omogenee dal punto di vista sociale ed economico,
destinatarie di interventi finanziari nel quadro della politica regionale
comunitaria[18],
nel periodo successivo si comincia a riconoscere alle autonomie regionali un
sia pur modesto ruolo nella costruzione dell'Europa. In questo senso è da ricordare
l'istituzione prima del Consiglio consultivo degli enti regionali e locali
(decisione della Commissione 88/487/CEE del 24 giugno 1988, in GUCE L 247, 23
ss.) e quindi del Comitato delle Regioni (artt. 198 ss. del Trattato C.E., come
modificato dal Trattato sull'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio
1992)[19].
Si tratta comunque di organi cui lo svolgimento di funzioni meramente
consultive non consente di esercitare una reale incidenza nel processo
decisionale comunitario. Si tenga presente che il recente Trattato di Amsterdam
(firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999) ha
sostanzialmente disatteso l'insieme delle istanze indirizzate dal Comitato
delle Regioni alla Conferenza Intergovernativa che ha definito il testo di
detto trattato, ignorando in particolare la richiesta del Comitato di vedersi
riconoscere il potere di ricorrere alla Corte di giustizia comunitaria per una
non corretta applicazione del principio di sussidiarietà[20].
Non si tratta affatto di un punto di secondaria
importanza, considerato il fatto che la progressiva sottrazione alle Regioni,
in nome del principio del rispetto degli obblighi comunitari, di competenze
alle medesime costituzionalmente garantite, non può che comprimere
ulteriormente il ruolo delle Regioni anche nell'ordinamento comunitario,
spingendo quindi in una direzione totalmente opposta a quella verso la quale
l'obiettivo dell'Europa delle Regioni dovrebbe invece orientare l'intero
sistema.
Passando a considerare un diverso
aspetto, quello di un "parternariato" aperto alle autonomie regionali
e locali, conviene sottolineare subito che, se indubbi progressi sono stati
registrati in questo ambito, il coinvolgimento delle Regioni nella fase
"ascendente" del processo decisionale comunitario ha riguardato
essenzialmente l'elaborazione dei programmi cofinanziati dall'Unione europea
attraverso i Fondi strutturali[21]: un
coinvolgimento, peraltro, in larga misura scontato non si riesce proprio a
vedere, per la verità, come da una simile programmazione avrebbero potuto
continuare ad essere totalmente esclusi enti impegnati nella definizione di una
politica economica che con gli interventi comunitari deve necessariamente
integrarsi.
È invece mancata, e manca tuttora,
anche per effetto di una non corretta applicazione del principio della coesione
economica e sociale[22],
secondo cui la realizzazione della coesione viene favorita "anche con
l'azione" che la Comunità svolge "attraverso fondi a finalità
strutturale", la partecipazione delle Regioni nella formazione degli atti
normativi comunitari, di quelle "regole del gioco", cioè, che così
profondamente incidono sul quadro economico e sociale, e sulle competenze
stesse delle autonomie regionali e locali.
Facendo risalire alla fine degli anni
'80 (all'incirca, alla data di costituzione del già ricordato Consiglio
consultivo degli enti regionali e locali), le prime realizzazioni concrete, in
ambito comunitario, dell'obiettivo dell'Europa delle Regioni, conviene
conclusivamente chiedersi se, nell'ambito suddetto, il decennio che sta per
concludersi risulti caratterizzato dal perseguimento di tale obiettivo ovvero
da quello della Federazione europea, secondo la nozione in precedenza per
grandi linee illustrata[23].
La risposta a questo interrogativo è,
di tutta evidenza, strettamente legata al giudizio che venga dato circa
l'effettiva aderenza ai principi federalistici dei tre importanti atti che, nel
recente periodo, hanno profondamente modificato l'impianto iniziale dei
Trattati comunitari: l'Atto Unico Europeo (firmato il 17 e 28 febbraio 1986),
il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992, il Trattato di
Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997.
Nell'insieme conviene evidenziare sia
il trasferimento, in forza dei suindicati atti, di ulteriori ed estese
competenze dagli Stati membri all'Unione europea, sia il graduale passaggio
dall'ambito intergovernativo a quello comunitario alle azioni in materia di
politica estera, di giustizia, di affari interni, sia infine il conferimento al
Parlamento europeo di maggiori poteri, all'interno del "pilastro
comunitario", per quanto attiene alla procedura di codecisione. (art. 251
del Trattato C.E., nella nuova numerazione conseguente alle modifiche
introdotte ad Amsterdam).
In una prospettiva federalista, giova
porre in risalto anche l'esplicito richiamo ai principi di libertà, sicurezza,
giustizia, democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo, nonché l'attribuzione
alla Corte di giustizia (art. 228 del Trattato C.E., nella nuova numerazione)
del potere di comminare «il pagamento di una somma forfetaria o di una
penalità» allo Stato membro che non si sia conformato ad una sentenza della
Corte[24].
Indubbiamente, l'esistenza di una
indiscutibile spinta in senso federalista va valutata tenendo presente
l'accoglimento, nei Trattati in parola, di principi che vanno in tutt'altra
direzione: si pensi, in particolare, a quelli in tema di "cooperazione
rafforzata" (artt. 43-45 del Trattato sull'Unione europea, nella versione
consolidata concordata ad Amsterdam), che non si discostano di molto, nella
sostanza, dalla ben nota formula dell'Europa «a più velocità»[25].
Fatta questa precisazione, appare
fondato concludere che le modifiche introdotte negli ultimi 15 anni al sistema
dei Trattati sono nel complesso caratterizzate da un quadro incentrato sul
binomio Comunità-Stati membri, lasciando chiaramente intravedere un lento ma
progressivo rafforzamento del ruolo che sono chiamate a svolgere le istituzioni
operanti a livello comunitario.
Tenuto conto di questo incontestabile
dato, appare difficile sostenere che anche il progetto dell'Europa delle
Regioni si sia in questi ultimi anni sviluppato in misura tale da far assumere
ad una Federazione europea in fase di avanzata definizione le caratteristiche
di un sistema armoniosamente costruito sui tre livelli di cui in precedenza si
è detto[26],
e cioè quello comunitario, statale e regionale.
Se ben si osserva, infatti, la creazione
di un Comitato delle Regioni così limitato nei suoi poteri, e il riconoscimento
di un principio di sussidiarietà senza adeguate garanzie circa la sua effettiva
osservanza[27]
non consentono in alcun modo di sostenere la tesi che, alle soglie del Duemila,
un terzo pilastro, quello delle autonomie regionali e locali, costituisca ormai
un solido fondamento degli Stati Uniti d'Europa.
[1] Spinelli,
Manifesto dei Federalisti Europei,
Parma 1957, 38 ss.; ora in Federalismo.
Antologia Critica, a cura di Caruso e Cedroni, Roma 1995, 449 ss.
[2] Campagnolo,
La Repubblica federale europea, Roma
1945, 88 ss. Ora in Federalismo.
Antologia Critica, cit., 243 ss.
[3] Einaudi,
La guerra e l'unità europea, Milano
1950, 67 ss. Ora in Federalismo.
Antologia Critica, cit., 203 ss.
[4] Monnet, Memorandum del 3 maggio 1950 (riportato
da Albertini, il federalismo, Bologna 1993, 277): «Bisogna dunque abbandonare le
forme del passato ed entrare in una via di trasformazione sia con la creazione
di comuni condizioni economiche di base, sia, nel contempo, con l'instaurazione
di nuove autorità accettate dalle sovranità nazionali».
[5] Di particolare interesse, e da condividere
pienamente, sono a nostro avviso le tesi sostenute nel corso della Conferenza
di Firenze (maggio 1987) del Consiglio della cooperazione culturale e della
Conferenza permanente dei poteri locali e regionali d'Europa. «L'identité de l'Europe»
– vi si sottolinea – «c'est avant tout la somme des identités culturelles
propres à chaque région». La «diversité culturelle régionale» costituisce una
«richesse exceptionnelle»: «les identités régionales ne sont pas une menace
pour la stabilité et la solidarité de l'Etat»; al contrario, «elles peuvent
contribuer à sa richesse et à sa force». Sostanzialmente
nello stesso senso, v. il Preambolo della Carta europea delle lingue regionali
e minoritarie, firmata a Strasburgo il 5 novembre 1992.
[6] Così l'Unione europea dei Federalisti, nella
citazione di Rojo Salgado, El modelo federalista de integración
europea: la Europa de los Estados y de las Regiones, Madrid 1996, 77. Sul
rischio di una scomparsa degli Stati «in favour of a Europe of the Regions» v.
le considerazioni di Keating, Europeanism and Regionalism, in The European Union and the Regions,
Oxford 1996, 8 ss. Si limita, invece a sollevare alcuni
"interrogativi" in merito alla realizzazione dell'idea dell'Europa
delle Regioni Maillet, L'Europe des Regions? Proche ou lointaine perspective?, in Revue du Marché Commun.,
1994, 136 ss.
[7] L'attitude fédéraliste (Rapporto al Congresso di
Montreux dell'UEF dell'agosto 1947) in Sidjanski,
L'avvenire federalista dell'Europa,
Milano 1993, 19 ss. Sostanzialmente nello stesso senso, v. la tesi sostenuta dalla corrente di
pensiero definita come «federalismo etnico», secondo cui «al modelo de
construcción europea basado en los actuales Estados-Naciones, tal como la
historia nos los ha legado, se contrapone el modelo alternativo consistente en
eliminar y sustituir a estos Estados por las Regiones» (Rojo Salgado, El modelo federalista de integración
europea: la Europa de los Estados y de las Regiones, cit., 60).
[8] «Non propongo di distruggerli, perché è impossibile.
Propongo di superarli, sia dall'alto che dal basso, e questo è divenuto
possibile nel XX secolo. Superare lo Stato-Nazione dall'alto significa Federazione continentale, e dal basso,
significa Regioni»: così de
Rougemont, riportato da Sidianski,
L'avvenire federalista, cit., 214.
[9] A. Ortega, La razón de Europa, Madrid 1994, 69. Sostanzialmente nello stesso
senso: Rojo Salgado, El modelo federalista, cit., 75, secondo
cui è essenziale assicurare «la coexistencia de Estados y Regiones en el
conjunto de Europa integrada, sobre la base de una participación cresciente de
las Regiones en el proceso de formación de las decisiones comunitarias que las
conciernan».
[10] Così Ridola, The role of the Regions in the process of European Integrationx:
observations on the future of Regional Parliaments in the European Union,
in Regional Parliaments and Europe. Conference of
the European Regional Parliaments,
6-7 ottobre 1998, 27. È interessante osservare come non sempre, quando si parla
di "nuova Europa", un ruolo altrettanto fondamentale nel sistema
costituzionale europeo sia assegnato alle autonomie regionali e locali: v. in
questo senso Dastoli e Vilella, La nuova Europa, Bologna 1993, spec. 123 ss.
[11] Saint-Ouen, De l'Europe des Etats à l'Europe des Régions, in Relations internationals 73, 1993, 86
ss.
[12] Sulla questione si vedano, in generale (anche per
indicazioni bibliografiche): Ferrari Bravo,
Moavero e Milanesi, Lezioni di
diritto comunitario, Napoli 1995, 23 ss.; Gaja,
Introduzione al diritto comunitario,
Bari 1996, 81 ss.; Zanghi, Istituzioni di diritto dell'Unione europea,
Torino 1997, 165 ss. Sottolinea come le nuove competenze conferite alla
Comunità europea dal Trattato di Amsterdam (competenze che si aggiungono ai
«vasti poteri già attribuiti alle istituzioni») sollevino il problema di un
rafforzamento dell'"efficacia" e delle "modalità" di
esercizio delle competenze comunitarie, Tizzano,
Il Trattato di Amsterdam, Padova
1998, 71 s.
[13] Su questo punto esiste come è noto in Italia una
articolata giurisprudenza costituzionale, variamente commentata dalla dottrina.
Tra i più recenti scritti in proposito, conviene ricordare: Mattioni, Regioni e Comunità. La sussidiarietà nella prospettiva di revisione
costituzionale, in Regioni,
Costituzione e rapporti internazionali, Milano 1995, 24 ss.; Ridola, The role of the Regions, cit., 20 ss.
[14] V. altresì, sia pure con specifico riferimento al
settore della cooperazione transfrontaliera, il Preambolo della
Convenzione-quadro europea del 21 marzo 1980 sulla cooperazione
transfrontaliera (resa esecutiva in Italia con l. 10 novembre 1984 n. 948: vi
si sottolinea, in particolare, che il Consiglio d'Europa «tend à assurer la
participation des collectivités territoriales de l'Europe à la réalisation de
son but». Anche la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, aperta
alla firma a Strasburgo il 5 novembre 1992, insiste sul ruolo delle autorità locali
e regionali nella difesa e valorizzazione di una diversità culturale vista come
patrimonio comune dell'Europa.
[15] Nella stessa risoluzione 9413 del Comitato dei
Ministri (del 14 gennaio 1994), relativa all'istituzione del Congresso dei
poteri locali e regionali d'Europa, si riafferma la volontà di «développer le
rôle des collectivités locales et régionales dans le cadre institutionnel du
Conseil de l'Europe», precisandosi che obiettivo del Congresso è di «assurer la
participation des collectivités locales et régionales à la réalisation de
l'idéal de l'union de l'Europe».
[16] Sul rapporto tra l'Europa nelle Regioni e l'Europa
dei cittadini v. da ultimo Autonomia con
l'Europa. Città e Regioni verso l'integrazione europea (a cura del CENSIS),
Milano 1998, con particolare riferimento agli interventi di J. Delors, R.
Speciale, V. Porta Frigeri.
[17] Per una valutazione della citata sentenza, v. Conetti, Le attività regionali di mero rilievo internazionale nella sentenza n.
179/1987 della Corte Costituzionale, in Le
Regioni, 1987, 1424 ss.; P. Fois,
La cooperazione interregionale e il
diritto internazionale. Sviluppi recenti, in Studi di economia e diritto, 1989, 413 ss.
[18] V. in proposito Nigido,
La politica regionale comunitaria:
problemi e prospettive per le regioni italiane, in Comunità europee e ruolo delle Regioni, Milano 1981, 51 ss.
[19] Nella nuova numerazione risultante a seguito
dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, gli
articoli da 263 a 265 sostituiscono gli articoli da 198 A a 198 C.
[20] In questo senso si
veda il citato rapporto Stoiber-Gomes, 23: «the Committee of the Regions must
be recognized as an EU institution with complete autonomy in the European
process... It must also be granted additional rights to be heard and the right
to initiate proceedings before the European Court of Justice when its own
rights or the principle of subsidiarity are infringed...». Per un quadro d'insieme degli organi comunitari
abilitati a dar valere le violazioni del principio di sussidiarietà v. D'Agnolo, La sussidiarietà nell'Unione europea, Padova 1998, 160.
[21] V. in proposito: Gallizioli,
I Fondi strutturali delle Comunità
europee, Padova 1992, 157; Molla,
Riforma dei Fondi strutturali Cee e
implicazioni per la valutazione della spesa regionale, in Valutazione della spesa regionale e riforma
dei Fondi strutturali Cee, a cura di Florio e Robotti, Bologna 1993, 96; Caruso, Riflessioni sull'Historique della "politica regionale"
comunitaria, in Fondi strutturali e
coesione economica e sociale nell'Unione europea, a cura di Predieri,
Milano 1995, 161 ss.; Monti, I Fondi strutturali per la coesione
economica europea, Milano 1996, 66 ss.
[22] Malgrado la chiara formulazione dell'art. 159 del
Trattato C.E. (ex art. 130 B), secondo cui la realizzazione della coesione
viene favorita «anche con l'azione»
che la Comunità svolge «attraverso fondi a finalità strutturale», senza
escludere, quindi, l'altro importante strumento costituito dalla elaborazione e
dall'attuazione dell'insieme delle politiche ed azioni comunitarie, la prassi e
la dottrina continuano inspiegabilmente ad identificare la politica di coesione
con gli interventi strutturali comunitari. Nel senso qui criticato: Paruolo, A proposito degli strumenti per la coesione economica e sociale, in
Italia e l'Europa 30, 1992, 198; Giro, La coesione economica e sociale nella Comunità europea, in Affari Sociali Internazionali 4, 1993,
60; Mestre e Petit, Article 130 A, Article 130 B, Article 130 C, Article 130 D, Article 130 E, in Costantinesco, Kovar, Simon, Traité sur l'Union Européenne, Paris 1996, 435.
[23] Supra, par.
2.
[24] Per una valutazione d'insieme delle modifiche
introdotte nel sistema comunitario con il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre
1997 v. da ultimo Tizzano, Il Trattato di Amsterdam, cit., 23 ss.
[25] Su questo punto v. ancora Tizzano, Il Trattato
di Amsterdam cit., 26 ss.
[26] Supra, par.
3.
[27] Supra, par.
5.