N. 3 – Maggio 2004 – Memorie

 

 

 

Gerhard Dilcher

Università di Francoforte

 

 

 

FORMAZIONE DELLO STATO E COMUNE CITTADINO NEL SACRO ROMANO IMPERO

 

 

 

 

SOMMARIO: – I. Il comune come forma costituzionale. – II. Leghe tra città e Impero. – III. Conclusioni – comune cittadino e stato.

 

Sebbene in maniera diversa, gli storici e gli storici dei diritto hanno spesso accennato al fatto che la formazione dei comuni cittadini alla fine dell'alto Medioevo e la formazione dello stato nel corso dei tardo Medioevo e nell'età moderna hanno una notevole somiglianza fra loro. I pareri si discostano alquanto sul grado di somiglianza e perciò se ne tratta più per immagini e metafore che non in analisi scientifiche. Lo storico del diritto Wilhelm Ebel parla della città medievale come di una «serra della moderna realtà statuale (Staatlichkeit[1] (1966) o di una «serra dei moderno stato amministrativo» (1971)[2]. Lo storico francese Fernand Braudel cita la fiaba della gara tra la lepre e la tartaruga: come la lepre, la città all'inizio è in vantaggio, in quanto più veloce, ma intorno al Cinquecento è lo stato territoriale ad arrivare, come la tartaruga, per primo alla meta[3]. Otto Gierke, l'importante storico dei diritto di indirizzo germanistico dell'Ottocento, afferma che tutte le caratteristiche della moderna concezione dello stato sono presenti nella città in quanto corporazione cittadina[4] - presenti, sia ben chiaro, a livello di concetti giuridici e non nella reale forma di sovranità. D'altro canto, nei due paesi uniti dall'impero medievale, e cioè l'Italia e la Germania, la costituzione comunale non ha indicato il cammino verso lo stato moderno in modo lineare - mentre in Italia nasce un sistema di stati cittadini a guida monarchica che rivaleggiano fra di loro e che alla lunga soccombono rispetto alle grandi monarchie europee - per ultima Venezia -, in Germania un piccolo numero di città di medie dimensioni e un più grande numero di città di piccole dimensioni in quanto città "imperiali" libere mantengono la forma di governo repubblicana, tipica del comune. All'inizio dell'età moderna però, queste città tedesche devono cedere la forza di guida politica e di modernizzazione al sistema territoriale di un principe. Noi ci occuperemo qui di seguito del perché la forma costituzionale sviluppata dai cittadini medievali, il comune cittadino, non abbia potuto mantenere la guida alla formazione di uno stato moderno, anch'esso fondato su una borghesia.

 

 

I. – Il comune come forma costituzionale

 

Tra il 1100 e il 1200 i cittadini, diciamo meglio gli abitanti delle città dell'Europa occidentale, si uniscono in una nuova forma costituzionale, il comune giurato. Questo movimento compare quasi contemporaneamente in tutte quelle regioni che sono state definite "urban belt[5], cintura urbana: dalle coste dei Mar del Nord tra Senna e Reno alle antiche regioni dell'alto Reno e della Rezia, fino alla Borgogna, al Piemonte, alla Lombardia e alla Toscana. Gli abitanti influenti delle città, i milites e i mercanti, ma anche gli artigiani, si uniscono con giuramento in un'associazione che essi dapprincipio chiamano coniuratio, poi communio iurata, comune, e più tardi, con espressione tratta dal diritto romano, universitas[6] Questo fenomeno compare nelle Fiandre, nella Francia orientale, in Borgogna e nell'Italia centro-settentrionale quasi contemporaneamente intorno al 1100; nelle antiche città romane lungo il Reno viene un po' frenato dal potere dei vescovi tedeschi divenuti principi dell'Impero. Invece nell'Italia centro-settentrionale il movimento comunale è così forte che i vescovi cedono al comune dei cittadini e ai consoli la sovranità sulla città concessa loro dall’imperatore; essi, nella divisione di spiritualia e temporalia, si ritirano nella posizione di pastori spirituali e di personaggi tra i più influenti della città.

Max Weber ha descritto questo fenomeno di formazione dei comune cittadino attribuendogli un significato storico universale[7]. Egli lo definisce come la nascita della città occidentale, che avviene secondo un costrutto idealtipico più nel comune medievale che non nella polis dell'antichità. Weber considera decisiva la formazione dì un'associazione di tutti i cittadini in quanto individui, un'associazione che supera tutti i limiti imposti dal sangue, dalla parentela e dal rito. L'associazione dei cittadini, cioè il comune, possiede secondo Max Weber autocefalia e autonomia: quindi, autogoverno tramite i propri magistrati che non seguono le regole della signoria feudale, una propria giurisdizione e una propria legislazione statutaria per attuare le norme giuridiche per la vita della cittadinanza contro il mondo feudale. Unendosi in un'associazione i cittadini si appropriano della sovranità all'interno di questa associazione ed escludono in tal modo principalmente le forme di servitù feudale: il cittadino è libero, il diritto di cittadinanza non ammette nessuna sudditanza, nessuna limitazione alla libertà da parte di un signore feudale. In Germania vale la frase: "1'aria della città rende liberi"[8]. I princìpi qui descritti hanno valore anche in Italia, soprattutto per le prime forme comunali. In Italia tuttavia vengono maggiormente coinvolti i nobili e di conseguenza i princìpi aristocratici, cosicché la costituzione comunale italiana nella sua struttura si avvicina maggiormente all'antica polis, diventa un'oligarchia, mentre a nord delle Alpi la città mantiene di più un carattere puramente borghese grazie alla separazione dalla sfera rurale (che ha carattere aristocratico- contadino).

Qui non sono importanti i particolari, bensì la tipologia: i comuni cittadini acquistano forti somiglianze strutturali con uno stato moderno grazie alla costituzione dei magistrati, cioè alle cariche non feudali per rappresentare la collettività, grazie allo sviluppo di una burocrazia, ivi compresa la giurisdizione, grazie alla legislazione e all'associazione dei cittadini quale elemento portante della collettività[9]. Per Max Weber era significativo soprattutto il fatto che, grazie alla burocrazia, alla legislazione statutaria e soprattutto al genere di economia legata al capitale e al mercato, venisse iniziato un processo di razionalizzazione che rinvia allo stato moderno e al capitalismo moderno[10]. La giurisprudenza – e qui va dato particolare rilievo a Bartolo[11] – collega il carattere dell'associazione ai concetti dei diritto romano e canonico, soprattutto all'universitas, e, con la dottrina della civitas sibi princeps, ad una concezione che si può appunto definire con le categorie weberiane di autocefalia e autonomia, o con Bodin di sovranità. Su questo punto la dottrina dei giuristi converge con la tradizione politica dell'aristotelismo. Il comune medievale viene così paragonato all'antica polis e misurato con essa, e viene classificato con le forme di governo dell'aristocrazia, della politeia o democrazia, mentre gli stati principeschi corrispondono alla monarchia. I comuni cittadini appaiono così nella terminologia latina come forme statali repubblicane, cioè non monarchiche. Poiché le repubbliche marinare italiane, soprattutto Venezia, sono indipendenti e poiché l'Impero praticamente non esercità più i propri diritti sulle città dell'italia centro-settentrionale, l'immagine della civitas sibi princeps è una realtà politica per le grandi città dell'italia centro-settentrionale. Questo vale quasi nella stessa misura per le città "imperiali" libere in Germania: a parte i diritti del re e dell'imperatore, pochi e limitati dai privilegi che diventano attuali solo nel caso di conflitti interni alla cittadinanza, le città libere si presentano come repubbliche che si autogovernano e formulano il loro diritto. In Germania la costituzione consiliare adottata intorno al 1200 sul modello italiano si conserva fino al secolo XIX, anche se l'elezione dei membri dei consiglio avviene sempre di più secondo princìpi oligarchici e non democratici, intendendo con il termine democratico un'elezione attraverso le corporazioni. Le città tedesche che hanno escluso l'aristocrazia feudale e conoscono solo un patriziato rispondono dunque in modo particolare all'immagine di una res publica che si autogoverna. Bisogna tuttavia ricordare che all'interno della città non sono validi né il principio dell'uguaglianza, né quello della totale partecipazione democratica: vi sono i gruppi politicamente privilegiati, vi sono i casati, e talvolta anche alcune corporazioni, considerati eleggibili nel consiglio, vi sono coloro che hanno i pieni diritti civici e vi sono i semplici abitanti della città. Anche questi ultimi, cioè gli abitanti senza il diritto di cittadinanza, godono però del diritto di protezione, di assistenza e di poter provvedere alla propria sussistenza, diritto concesso dalla città alla quale essi sono spesso legati tramite un giuramento che nei diritti e nei doveri è molto simile al giuramento dei cittadini[12].

 

 

II. – Leghe tra città e Impero

 

Come abbiamo già accennato, i comuni cittadini diffusi sia al Nord che al Sud non potevano allargare al paese nessun ordinamento politico secondo il principio repubblicano da essi sviluppato e diventare di conseguenza diretti precursori dello stato di diritto e costituzionale borghese del secolo XIX. Abbiamo già detto che in Italia avviene un capovolgimento in una forma di governo monarchica, un governo di cosiddetti tiranni, come venne accennato da Bartolo ed in seguito presentato da Machiavelli nel “Principe”. Attraverso la forma monarchica di stato, le città più forti dell'Italia centro-settentrionale acquisirono la forza per creare stati territoriali, che erano tuttavia in numero limitato e in forte concorrenza tra di loro. Mi sembra comunque molto utile osservare che all'interno degli stati cittadini italiani permangono forme originarie della costituzione sviluppata dal comune[13], come il concetto di cittadinanza, la legislazione statutaria, le cariche civiche, un consiglio comunale. In Germania invece le città mantengono invero una costituzione comunale, cioè repubblicana, ma non riescono a diventare un reale centro di potere politico; anche i territori civici in dotazione di alcune città come Berna, Ulma o Norimberga, hanno un'estensione relativamente limitata.

Non possiamo tuttavia accontentarci di questa osservazione. Dobbiamo invece prendere in considerazione un fenomeno che ha trasformato le città in un fattore politico ordinatore importante, le ha poste al livello di imperatore, re, principi e aristocrazia: le leghe tra città. Qui si associano spesso molteplici città, formulano le loro mete politiche e le raggiungono in parte in modo pacifico, in parte con la forza delle armi, diventando così importanti fattori della politica. L'apice di questo movimento si ha durante il periodo degli imperatori Svevi, con la prima e la seconda Lega lombarda nell'Italia centro-settentrionale[14] e con la Lega renana in Germania dopo la morte di Federico II. Per il nostro tema non possiamo dunque evitare di analizzare questo fenomeno e di domandarci come mai la potenza associata delle città non solo non si afferma, ma si esaurisce quasi da solo in Italia nel tardo Medioevo, in Germania al più tardi al principio dell'età moderna, dunque dopo il 1500.

Alla Lega lombarda è giustamente dedicata una relazione durante questo simposio. Ma io me ne devo occupare, anche se brevemente, perché essa rappresenta uno dei punti culminanti della mia tematica.

La prima Lega lombarda rappresenta l'origine e il modello di tutte le leghe fra città. Che cos’era successo? L'imperatore Federico Barbarossa, in quanto sovrano potente e carismatico, vuole riaffermare i diritti dell'Impero sull'Italia centro-settentrionale alla dieta di Roncaglia del 1158[15], Inoltre vuole ristabilire lo stato giuridico dei Salii del principio del secolo, cioè una sovranità sulla città concessa dall'impero, nella quale il comune dei cittadini e i magistrati eletti da loro non vengono presi in considerazione. Questa pretesa viene perfino convalidata dai giuristi, i quattuor doctores che provengono dalle città dell'Italia centro-settentrionale, in particolare da Bologna, essa viene raccolta in una legge sui diritti del re, le regalie, e congiunta alle prerogative dell'Impero romano- bizantino dell'epoca di Giustiniano, di stampo quasi assolutistico. I legati delle città danno la loro approvazione, perché non vogliono contestare l'appartenenza all'Impero e non vogliono porsi contro il diritto. Solo la realizzazione di questa pretesa giuridica apre loro gli occhi. Essi si richiamano successivamente alla consuetudine che nel frattempo è subentrata, la consuetudo che ha fondamento giuridico, alla prescrizione dei diritti imperiali in contrasto con questa e al loro diritto di resistenza alla repressione delle posizioni giuridiche conquistate dai comuni. Non ho bisogno di esporre qui le lotte esasperate, le faziosità anche tra le città lombarde, il crudele assedio e la distruzione di Milano, il capovolgimento della situazione con la battaglia di Legnano. Però devo accennare alla nuova situazione giuridica venutasi a creare con la pace di Costanza del 1183[16].

La pace di Costanza porta con sé ciò che si è già delineato nelle Fiandre e nella Francia orientale con il privilegio particolare dei conte di Fiandra e del re francese[17] e adesso viene consolidato tramite un contratto tra molteplici città e il più alto potere dell'Occidente, quello imperiale: il riconoscimento del comune come legittima associazione di cittadini, il loro autogoverno tramite magistrati eletti e l'ampia autonomia dei loro ordinamento giuridico. Tale riconoscimento viene inserito nella federazione dell'impero in un modo già precostituito con il sistema feudale: da un lato con l'affidamento ai magistrati, da parte dell'imperatore, dei diritto di banno; dall'altro con l'introduzione nel giuramento dei cittadini e degli abitanti di una dichiarazione di fedeltà all'imperatore e all'Impero. Ciò maschera solo faticosamente il carattere rivoluzionario di questo avvenimento fatto notare da Max Weber, e cioè che una grande associazione di uomini eserciti su se stessa la sovranità collettiva, uomini che, come registra scandalizzato lo zio di Federico Barbarossa, il vescovo Ottone di Frisinga, sono di condizione inferiore, inferioris conditionis, ed esercitano il disprezzato lavoro manuale, contemptibilium eciam mechanicarum artium opifices. Nel l'aristocraticissimo mondo del potere dell'alto Medioevo, per mezzo della formazione del comune e dell'unione di più comuni in una lega, il comune stesso era penetrato come un'associazione direttamente legata all'Impero e perciò in una posizione simile a quella dei principi[18]. Poiché la pace di Costanza non era solo un importante documento della costituzione del regno italico, ma era stata inserita dai giuristi nel testo dei libri feudorum e quindi dello ius commune, la si può definire come un documento costituzionale europeo, che conteneva il riconoscimento del comune cittadino come legittima forma costituzionale. Alla diffamazione da parte del clero della communio iurata quale coniuratio illegittima, veniva dunque tolto ogni fondamento. La Lega lombarda che aveva conseguito questo successo militare, politico e giuridico non era null'altro che il trasferimento del principio costituzionale del comune ad una associazione di più comuni: come il comune dei cittadini eleggeva i consoli, cosi i legati delle città eleggevano i rettori della Lega. Come il comune dei cittadini era unito attraverso il giuramento, così giuravano alleanza dapprima i consoli e poi le cittadinanze unite. Come la città aveva sviluppato una propria giurisdizione al posto dei missi vescovili e reali, così sorse una seppur blanda giurisdizione della Lega stessa. La Lega era dunque una forma giuridica come il comune, un'associazione fondata sul giuramento[19].

La Lega lombarda però fu forte solo in due periodi o situazioni: contro Federico Barbarossa e poi, dopo essersi ricostituita, contro Federico II, fino a quando cioè gli imperatori svevi minacciarono la libertà e la posizione giuridica delle singole città. Nel momento in cui venne meno la minaccia, venne a cadere anche la solidarietà delle città dell'Italia centro-settentrionale. Il cittadino rimase soprattutto cittadino della propria città, non di una lega, di una regione o addirittura di una nazione. L'identificazione dei cittadini, i loro interessi, si limitavano all'appartenenza alla città. Chi come Dante sentiva l'esigenza di una unità più ampia, doveva collegarla, in mancanza d'altro, all'Impero - un Impero che aveva il suo centro politico al di fuori dell'Italia ed inoltre si indeboliva sempre di più politicamente. L'organizzazione politica del paese tramite comuni equiparati nei diritti, legati l'uno all'altro, era destinata a non avere un futuro in Italia.

In Germania sembrò per un momento che le cose andassero diversamente. Nello stesso periodo in cui si formava la seconda Lega lombarda che, alleandosi con il papato, resisteva efficacemente all'imperatore Federico II, si facevano in Germania i primi tentativi di realizzare una lega tra città. Tuttavia in Germania i vescovi esercitavano ancora la sovranità sulla cittadinanza e questi vescovi non accettavano consoli liberamente eletti. Pertanto essi riuscirono ad ottenere dall'imperatore, con il famoso decreto di Ravenna dei 1232, la proibizione di coniurationes e colligationes, cioè di tutte le associazioni di cittadini e dei magistrati civici.[20] Il movimento comunale era però troppo avanzato perché alla lunga potesse essere represso. Dopo la morte di Federico II e il periodo di vacanza dell'autorità monarchica tedesca, le città dei territori che rappresentavano il nucleo dell'Impero, quelle lungo il Reno, si unirono in una Lega che diventava sempre più grande. Il loro scopo era quello di conservare, vacante imperio, pace e giustizia[21]. Si trattava dunque, come è stato formulato durante un recente convegno, non di una alleanza per opporre resistenza come la Lega lombarda, bensì di una alleanza per la difesa della costituzione del regno. Alle città interessava particolarmente la difesa delle vie commerciali che erano di importanza vitale, in particolare quelle lungo il Reno; la protezione contro l'abuso nei dazi, ma anche contro il blocco delle strade da parte dei nobili e contro le faide che stavano prendendo il sopravvento e che venivano utilizzate per ricattare mercanti e città[22]. Il movimento delle città era così potente, che vescovi, principi e piccola nobiltà si unirono alla Lega, per fronteggiare l' incombente anarchia. Un effetto collaterale di questa Lega per la difesa della pace, al posto dei re, era che la forma costituzionale comunale e i diritti così conquistati dalle città, ivi compreso quello di un consiglio liberamente eletto, non poteva più essere legittimamente messo in discussione, poiché sia i più alti principi dell'Impero che la piccola nobiltà si erano alleati alle città e avevano prestato il giuramento, riconoscendo così come legittima questa forma costituzionale, esattamente come era accaduto in precedenza in Italia con la pace di Costanza. Una conseguenza della motivazione di difesa della pace vacante imperío fu tuttavia che la Lega si sciolse nella discordia non appena fallì il tentativo di ripristinare un regno unitario con una doppia elezione nel 1257. Rodolfo d'Asburgo ed i successivi re tedeschi tentano poi di assumere nuovamente la difesa della pace promuovendo la pace territoriale. Cosa che tuttavia riesce solo in maniera incompleta durante il lungo periodo di indebolimento dell'autorità monarchica alla fine dei Medioevo, cioè tra i secoli XIV e XV. Principi e nobili giurano la pace territoriale solo per un tempo determinato, mantenendo le eccezioni per la faida cavalleresca. Così continua la situazione insostenibile che le vie commerciali delle città vengono bloccate e interrotte, i mercanti vengono derubati oppure devono pagare forti tasse per la scorta, non esiste nell'Impero il monopolio per l'uso legittimo della forza[23]. Qui contava il fatto che non esistevano territori comunali abbastanza grandi che confinassero l'uno con l'altro e che i principi non avevano ancora domato la piccola nobiltà facile alla faida. Il buon governo della città, così come rappresentato per l'Italia dagli affreschi di Lorenzetti nel Municipio di Siena, in Germania non era affatto in grado di garantire la pace, tramite la severa giustizia armata di spada, anche sul terrritorio oltre che nella città stessa.

Questo stato di cose comportò che in Germania le leghe tra città perdurassero o si rinnovassero per tutti i secoli XIV e XV. Una funzione di guida la svolgevano in questo le città "imperiali". Ma la differenza tra una città "imperiale" e una città forte, privilegiata, ma non direttamente dipendente dall'Impero era ancora così poco accentuata che anche altre città potevano unirsi a queste leghe. In Svevia, dunque nella Germania sud-occidentale ricca di città "imperiali" fino alla fine dell'Impero, abbiamo una lega tra città nel 1331, rinnovata nel 1349 da 25 città "imperiali", e una lega di 14 città nel 1376[24]. Gli scopi di queste leghe non erano solo l'imposizione della pace territoriale e la lotta contro la nobiltà cavalleresca, ma anche la conservazione della loro libertà politica e della loro influenza politica. Esse si opponevano alla formazione aggressiva di un territorio politico, cioè alla creazione di uno stato da parte dei duca di Württemberg-Svevia, e si opponevano al pignoramento di città imperiali, della loro posizione giuridica e dei loro privilegi, da parte dei re in favore di principi e nobiltà. Nel 1381 la Lega sveva si associò alla rinnovata Lega renana così che qui si delineò la possibilità di un ordinamento politico sulla base di un'associazione tra città. Ma dopo aver ottenuto nel 1377 una vittoria sul duca di Württemberg, le città subirono una pesante sconfitta nella cosiddetta guerra delle città del 1388. Se in seguito il potere delle città sveve fu spezzato, la causa era data anche dal fatto che le loro mete politiche erano piuttosto passive ovvero difensive. In questo senso esse ebbero perfino successo alla fine. Pace e sicurezza sulle strade vennero propugnate come programma da re e principi, e quasi tutte le città sveve poterono mantenere per sé fino alla fine dei vecchio Impero la loro posizione giuridica, la diretta dipendenza dall'Impero.

Qualcosa di simile lo possiamo verificare nella Lega tra le dieci città imperiali dell'Alsazia, città fondate per lo più dagli imperatori svevi[25]. Anche qui si tratta di conservare la pace territoriale e di mantenere lo status di città imperiali. Anche qui abbiamo, come nella Lega lombarda, ma anche in quella renana e in quella sveva, diete formali, cioè un'organizzazione ed un ordinamento giuridico della Lega stessa. Nel 1354 lo stesso imperatore Carlo IV difende la lega, ma poi la scioglie. Però le città la rinnovano e nel secolo XV ottengono l'assicurazione da parte dell’imperatore Sigismondo che esse non verranno mai vendute o date in pegno. Questa Lega rappresenta una specie di struttura dell'Impero alla frontiera occidentale fino all'epoca moderna e solo con la pace di Westfalia del 1648 viene sciolta dietro pressione della Francia. L'Impero, che non diverrà mai un vero stato, può esistere benissimo con leghe tra città come sotto-struttura. Dobbiamo quindi chiederci come mai dopo il 1500 la formazione di leghe si verifichi solo in via eccezionale.

Qui non tratteremo più le leghe simili, esistenti anche nei territori orientali dell'Impero, dove non ci sono città "imperiali" - cito (a titolo di esempio) le leghe in Brandeburgo e in Lusazia [26]. Esse confermano tuttavia che con il fenomeno delle leghe tra città ci troviamo di fronte a una struttura di base dell'Impero tedesco dei Medioevo, dopo che era stata riconosciuta la costituzione comunale al più tardi con la Lega renana del 1254. Resta ancora da ricordare la Hansa delle città dei Mar dei Nord e dei Mar Baltico. La Hansa però non era originariamente una lega tra città, ma piuttosto, in maniera simile alla gilda, una associazione di mercanti che si univano per viaggi commerciali più lunghi, soprattutto per viaggi per mare[27]. Già nel secolo XII abbiamo una Hansa dei mercanti tedeschi che vanno soprattutto da Colonia in Inghilterra, e abbiamo un'associazione di quei mercanti che vanno da Lubecca e altri posti dei Baltico sull'isola di Gotland e in Russia. Inizialmente c'erano dunque più Hanse nei commerci via Mar del Nord e via Baltico che concorrevano fra di loro. Solo verso il 1280 i diversi gruppi di mercanti si unirono in una Hansa generale. Questa comprendeva i mercanti sulle grandi distanze delle maggiori città portuali delle coste del Mar dei Nord e dei Mar Baltico e le più importanti città commerciali dell' entroterra. Essi trattavano con i re d'Inghilterra e di Danimarca, i conti di Fiandra ed altri principi sulle questioni riguardanti il commercio e sui relativi privilegi. Misure che prendevano i mercanti della Hansa contro quelle città o quei principi che non aderivano ai loro desideri erano il divieto di commerciare e il boicottaggio. A partire dal secolo XIV le Hanse concorsero con i merchant adventurers inglesi. Nell'ambito di questi confronti sull'ordinamento dei commercio marittimo, la Hansa si trasformò lentamente da associazione di mercanti in lega tra città. Ciò fu relativamente facile perché in queste città sul mare il consiglio comunale non era composto da un patriziato di stampo aristocratico, bensi dal ceto mercantile elevato, che dominava in tal modo sulla città. Pertanto a partire dalla metà dei secolo XIV nacquero le diete anseatiche quali organi deliberanti. Le diete, alle quali partecipavano le città o meglio i grandi mercanti, emanavano delibere formali (i concordati anseatici)[28] e applicavano l'esclusione o il boicottaggio come sanzioni. A partire dall'inizio del secolo XV si costituì un sistema giuridico-politico composto da circa 70 città anseatiche e da circa 100 città che intrattenevano rapporti di cooperazione con la Hansa. L' associazione si definiva “Deutsche Hanse", comprendeva però anche città scandinave come Stoccolma e città polacche come Cracovia. Suddivisioni regionali completavano il sistema.

La Hansa, in bilico tra un'associazione mercantile e una lega tra città, regola e controlla quindi il secondo spazio commerciale marittimo dei Medioevo europeo dopo il Mediterraneo, cioè il Mar dei Nord e il Mar Baltico, tra l'Inghilterra meridionale e le Fiandre a ovest e la Scandinavia, la Russia e i paesi baltici a nord, ed un bel pezzo delle vie commerciali della terraferma. La sua potenza commerciale fece sì che la Hansa costituisse un interlocutore più potente per principi e sovrani. Ma è anche già chiara la perdita di potere che sopravvenne allorché questi principi cominciarono ad annettere i territori sotto la loro egemonia, gettando così le basi di una propria politica commerciale. Con questa nuova costellazione in Inghilterra, nei Paesi Bassi, nei territori tedeschi, in Polonia e in Scandinavia comincia il lento tramonto della Hansa nei secoli XVI e XVII.

La Hansa mostra chiaramente come l' interesse comune ai mercanti di molte città di organizzare, privilegiare e proteggere il commercio marittimo possa fondare una lega che per parecchio tempo unisce molte città e che è nel suo campo più potente di re e principi. Ma l'unione poggia soltanto sull'interesse economico di questo omogeneo ceto mercantile, e non su una volontà politica egemonica. Nel momento in cui la sovranità politica, rafforzandosi nelle mani di re e principi, regna sui territori e sviluppa altre regole economiche, cioè il mercantilismo, la Hansa perde la sua forza come per magia, senza subire una sconfitta vera e propria[29].

 

 

III. – Conclusioni – comune cittadino e stato

 

Come abbiamo visto, il comune medievale presenta una forte somiglianza strutturale con lo stato moderno. Entrambi hanno come elemento sociale portante la borghesia. Essa non è invero identica nei due casi, ma è collegata dalla continuità storico-sociale: la borghesia liberale, nazionale dei secolo XIX proviene inizialmente dalla borghesia urbana, quasi per nulla dalla campagna[30]; ciò vale sia per l'Italia che per la Germania.

La borghesia delle città medievali impose in maniera rivoluzionaria la propria forma costituzionale, il comune, contro re e nobiltà e conquistò un forte potere associandosi nelle leghe. Perché dunque non improntò lo sviluppo costituzionale dell'età moderna, perché lo stato moderno venne piuttosto creato da principi?

Uno dei motivi principali di uno sviluppo storico naturalmente complesso, forse il motivo più importante, è stato individuato da Max Weber. Egli osservò che il cittadino medievale corrisponde al tipo dell'homo oeconomicus, per contro il cittadino dell'antica polìs a quello dell'homo politicus. I cittadini delle città greche fondano città-stato, che si diffondono con la colonizzazione. Roma fonda, sulla concezione dei diritto romano di cittadinanza, un impero formato da città (civitates). Qui appare la volontà della sua classe dirigente di dominare politicamente. - I cittadini medievali creano il comune come forma di sovranità politica verso l'interno. Verso l'esterno diventano forti associandosi in leghe tra città o in Hanse per difendere la loro libertà ed il commercio e la pace sulle strade, cioè la fonte della loro ricchezza. Essi non fanno politica per se stessa, la politica la lasciano agli imperatori, ai re, ai principi e alla nobiltà. Un cittadino di questa epoca che vuole agire politicamente, va al servizio di un principe. In Italia la situazione è più complicata in quanto la nobiltà vive per lo più in città; dalle rivalità tra nobili nascono forme monarchiche di governo che hanno tuttavia un fondamento civico. Max Weber rileva giustamente che la città rinascimentale italiana è molto vicina all'antica polis.

Abbiamo potuto accennare al fatto che i cittadini e le città, cioè i comuni dei Medioevo, hanno contribuito a determinare una fase importante della formazione dell'Europa moderna. Ma ad un presupposto importante della formazione dello stato moderno, cioè la sovranità su un territorio esteso, la vecchia borghesia europea non aveva accesso. Sono però da menzionare la repubblica dei Paesi Bassi e la Confederazione elvetica, dove le città in unione con altre forze politiche, come nobiltà e comuni delle valli, potevano formare una struttura prestatale repubblicana[31]. Ma generalmente la borghesia era interessata a difendere il suo modo di vivere e la sua economia e si identificava con la propria città e con la propria cittadinanza: il suo interesse primario non risiedeva nell'espansione della sovranità e nel dominio politico. I suoi maggiori successi politici la borghesia li raggiunse tramite associazioni che andavano oltre la singola città solo quando erano minacciati il suo modo di vivere e la libertà, la pace e il commercio. In questa sua limitatezza, la vecchia borghesia europea non mi sembra antipatica. Ma essa poté mettere in pericolo le pretese egemoniche dell'Europa della nobiltà feudale solo quando cercò la sua identità nell'ambito della nazione, cioè nel Settecento e nell'Ottocento.

 

 

 

 

 



 

[1] Der Bürgereid als Geltungsgrund und Gestaltungsprinzip des deutschen mittelattedichen Stadtrechts, Weimar 1958, l.

 

[2] Lübisches Recht  l , Lübeck 1971, 382.

 

[3] F. Braudel, Modell ltalien 1450-1650, Stuttgart 1991, 37 sg.

 

[4] O. v. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, 2o: Geschichte des deutschen Körperschaftsbegriffs, rist. 1954, cap. 4o: Die Stadtpersönlichkeit, in particolare par. 28, 705 sgg.: «erscheint die Stadt als die älteste wahrhaft staatliche Gemeinschaft in Deutschland».

 

[5] Representation, Resistance and Community, a cura di P. Blickle (European Science Foundation, the Origins of the Modern State in Europe, 13th-18th Centuries), Oxford 1997.

 

[6] P. Michaud-Quantin, Universitas. Expressions du mouvement communautaire dans le moyen- áge latin, Paris 1970.

 

[7] M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft (a cura di J. WinckeImann), Tübingen 1956, 923 sg.

 

[8] H. Planitz, Die deutsche Stadt im Mittelalter, Graz / Köln 1954 (ristampa Wiesbaden 1996), 254 sg. ed ulteriori rinvii.

 

[9] O. Brunner considera il comune cittadino come una forma peculiare all'interno dei feudalesimo. Cfr. O. Brunner, Stadt und Bürgertum in der europäischen Geschichte, in: id., Neue Wege der Verfassungs- und Sozialgeschichte, Göttingen 1968 (il saggio apparve per la prima volta nel 1953), 213-224 (222).

 

[10] Una sintesi della teoria weberiana è stata presentata recentemente da V. Heins in Max Weber zur Einführung, Hamburg, 2° ed. 1997.

 

[11] D. Quaglioni, Politica e diritto nel Trecento italiano. Il “De Tyranno” di Bartolo da Sassoferrato (1314-1347). Con l'edizione critica dei trattati “De Guelphis et Gebellinis”, “De regimine cívitatis”,e “De tyranno”, Firenze 1983.

 

[12] G. Dilcher, Zum Bürgerbegriff im späteren Míttelalter. Versuch einer Typologie am Beispiel von Frankfurt am Main, in: id., Bürgerrecht und Stadtverfassung im europäischen Mittelalter, Köln/Weimar Wien 1996 (il saggio apparve per la prima volta nel 1980), 115 sg.

 

[13] G. Dilcher, Die Entstehung der lombardischen Stadtkommune. Eine rechtshistorische Untersuchung, Aalen 1967; H. Keller, Einwohnergemeinde und Kommmune. Probleme der italienischen Stadtverfassung im 11. Jahrhundert, HZ 224 (1977), 561-579.

 

[14] H. Maurer (a cura di), Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich (Vorträge und Forschungen vol. 33), Sigmaringen 1987.

 

[15] V. Colorni, Le tre leggi perdute di Roncaglia 1158 ritrovate in un manoscritto parigino, Varese 1966. A. Haverkamp (a cura di), Friedrich Barbarossa: Handlungsspielräume und Wirkungsweisen des staufischen Kaisers (Vorträge und Forschungen Bd. 40), Sigmaringen 1992; MGH Diplomata 10, 2 Friderici I. Diplomata No 238 e sgg.

 

[16] MGH Diplomata 10, 4 a cura di H. Appelt, Hannover 1975, Friderici I. Diplomata No 848; inoltre, La pace di Costanza (1183): Un difficile equilibro di poteri fra società italiana ed impero: (Milano-Piacenza 27-30 aprile 1983) Bologna 1984; Studi sulla pace di Costanza, Milano 1984; H. Maurer (a cura di), Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich (Vorträge und Forschungen vol. 33), Sigmaringen 1987.

 

[17] K. Schulz, “Denn sie lieben die Freiheit so sehr ...” Kommunale Aufstände und Entstehung des europäischen Bürgertums im Hochmittelalter, 2a ed., Darmstadt 1995.

 

[18] G. Dilcher, Kommune und Bürgerschaft als politische Idee der mittelalterlichen Stadt, in: I. Fetscher / H. Münkler (a cura di), Pipers Handbuch der politischen Ideen 2 (Mittelalter), München / Zürich 1993, 311 sg.

 

[19] R. Bordone, I comuni italiani nella prima Lega Lombarda: confronto di modelli istituzionali in un' esperienza politico-diplomatica, 45 sg. e G. Dilcher, Reich, Kommunen, Bünde und die Wahrung von Recht und Frieden. Eine Zusammenfassung, 231 sg., in: H. Maurer (a cura di), Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich (Vorträge und Forschungen Bd. 33), Sigmaringen 1987.

 

[20] MGH Constitutiones II, N° 156, 192-194.

 

[21] A. Buschmann, Der Rheinische Bund von 1254 - 1257. Landfriede, Städte, Fürsten und Reichsverfassung im 13. Jahrhundert, in: H. Maurer (a cura di), Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich (Vorträge und Forschungen Bd. 33), Sigmaringen 1987, 167-212; J. Mötsch, Der Rheinische Städtebund 1254, 56 (catalogo della mostra di Worms 1986), Koblenz 1986.

 

[22] La sicurezza delle strade rappresentava nel sec. XIV un motivo importante per la creazione di leghe fra città. Cfr. G. Wittek, Handlungsebenen zwischenstädtischen Friedens im Sächsischen Drittel der Hanse von 1350 bis 1430, Hansische Geschichtsblätter 115(1997), 109-132.

 

[23] M. Rothmann, Der Täter als Opfer. Konrad von Weinsbergs Sinsheimer Überfall im Kontext der Territorial- und Reichsgeschichte, in: “Raubritter” oder “Rechtschaffene von Adel” ? Aspekte von Politik, Friede und Recht im späten Mittelalter, a cura di K. Andermann, Sigmaringen 1997, 31-63; U. Andermann, Ritterliche Gewalt und bürgerliche Selbstbehauptung. Untersuchungen zur Kriminalisierung und Bekämpfung des spätmittelalterlichen Raubrittertums am Beispiel norddeutscher Hansestädte (Rechtshistorische Reihe vol. 91), Frankfurt am Main / Bern / New York / Paris 1991.

 

[24] E. Bock, Der Schwäbische Bund und seine Verfassung, 1488 - 1534: Ein Beitrag zur Geschichte der Zeit der Reichsreform, Breslau 1927 (rist. Aalen 1986); J. Schildhauer, Der Schwäbische Städtebund - Ausdruck der Kraftentfaltung des deutschen Städtebürgertums in der zweiten Hälfte des 14. Jahrhunderts, in: Jahrbuch für Geschichte des Feudalismus 1 (1977), 187 sg.; K. Schnith, Reichsgewalt - Schwäbischer Bund - Augsburg. Zur politischen Konstellation im späten 14. Jahrhundert, in: Zeitschrift des Historischen Vereins für Schwaben und Neuburg 74 (1980), 104 sg.; P.-J. Schuler, Die Rolle der schwäbischen und elsässischen Städtebünde in den Auseinandersetzungen zwischen Ludwig dem Bayern und Karl IV., in: Kaiser Karl IV. 1316 - 1378, a cura di J. Patze, Neustadt/Aisch 1978, 659 sg.

 

[25] P.-J. Schuler, Die Rolle der schwäbischen und elsässischen Städtebünde in den Auseinandersetzungen zwischen Ludwig dem Bayern und Karl IV., in: Kaiser Karl IV. 1316 - 1378, a cura di J. Patze, Neustadt/Aisch 1978, 659 sg.; L. Sittier, La Décapole alsacienne des origines à la fin du moyen-áge, Strasbourg-Paris 1955.

 

[26] K. Czok, Städtebünde und Zunftkämpfe während des 14. und 15. Jahrhunderts mit besonderer Berücksichtigung der Verhältnisse in der Oberlausitz, (tesi di abilitazione inedita), s. l. 1957; K. Czok, Der Oberlausitzische Sechsstädtebund in vergleichender geschichtlicher Betrachtung, in: Oberlausitzer Forschungen, a cura di M. Reuther, Leipzig 1961, 108 sg.; W. Ehbrecht, Magdeburg im Sächsischen Städtebund. Zur Erforschung städtischer Politik in Teilräumen der Hanse, in: Festschrift für Berent Schwineköper, a cura di H. Maurer und H. Patze, Sigmaringen 1982, 391 sg.; Werner Mägdefrau, Der Thüringer Städtebund im Mittelalter, Weimar 1977; Matthias Puhle, Die Politik der Stadt Braunschweig innerhalb des Sächsischen Städtebundes und der Hanse im späten Mittelalter, Braunschweig 1985; Matthias Puhle, Der Sächsische Städtebund und die Hanse im ausgehenden Mittelalter, Hansische Geschichtsblätter 104 (1986), 21 sg.; Matthias Puhle, Hanse-Städte-Bünde. Die sächsischen Städte zwischen Elbe und Weser um 1500, Magdeburg 1996.

 

[27] Ph. Dollinger, Die Hanse,Stuttgart4 1989; Heinz Stoob, Die Hanse, Graz 1995.

 

[28] Die Recesse und andere Akten der Hansetage von 1256-1430, a cura della Historische Commission bei der Königl. Academie der Wissenschaften, Leipzig 1870 sg.

 

[29] R. A. Rotz, The Lubeck Uprising of 1408 and the Decline of the Hanseatic League, in: Proceedings of the American Philosophical Society, Vol. 121 No. 1 (1977), 1 - 45; Horst Wernicke, Die Städtehanse 1280 - 1418. Genesis - Strukturen - Funktionen, Weimar 1983, 180 sgg.

 

[30] R. Koch, Staat oder Gemeinde? Zu einem politischen Zielkonflikt in der bürgerlichen Bewegung des 19. Jhs., HZ 236(1983), 73-96.

 

[31] Representation, Resistance and Community, a cura di P. Blickle (European Science Foundation, the Origins of the Modern State in Europe, 13th-18th Centuries), Oxford 1997.