N. 3 – Maggio 2004 – Lavori in corso –
Contributi
Considerazioni in tema di pagamenti
elettronici e moneta elettronica([*])
Sommario: 1. Adempimento dell’obbligazione e pagamento. – 2.- Adempimento e mezzi alternativi di pagamento. –
3. Trasferimento di fondi e strumenti
elettronici di pagamento. – 4. La distinzione fra
trasferimenti elettronici di fondi e moneta elettronica. – 4.1. Profili strutturali dei trasferimenti elettronici di
fondi. – 4.2. segue: la disciplina applicabile.
– 4.3. Revoca e rifiuto del trasferimento. – 4.4.
Responsabilità per trasferimento errato e non
autorizzato. – 5. La nozione di moneta elettronica.
– 5.1. Moneta elettronica e titolo di credito
elettronico. – 5.2. Rischi e responsabilità nella
circolazione della moneta elettronica. – 5.3. Efficacia
solutoria del pagamento in moneta elettronica.
E’ un dato consolidato
dell’esperienza che, nella disciplina generale delle obbligazioni, il pagamento
(intendendosi, con il termine, il trasferimento di una somma di denaro dal – o
per il – debitore al creditore) abbia
originariamente coinciso con l’ipotesi tipica dell’adempimento.
Affinatasi nel tempo tale
nozione, il pagamento ha finito per costituire la forma propria
dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie secondo regole specifiche,
dettate in termini di soggetti, tempo, luogo e oggetto dell’adempimento e dirette
a garantire la soddisfazione del creditore e la liberazione del debitore
(appare, piuttosto, irrilevante in questa sede prendere posizione sulla natura
giuridica del pagamento, e quindi se il pagamento debba essere qualificato come
atto dovuto o mero fatto).
L’art. 1277 c.c., infatti,
prescrive che «i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale
nello stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale», ferme le
deroghe espressamente previste dalla legge.
Peraltro, ai fini del tema
qui affrontato, è intuitivo che – dei profili ora accennati – quelli di maggior
riguardo concernono il tempo (in relazione al termine, normalmente assegnato al
debitore per adempiere) e l’oggetto (con riferimento all’oggetto della
prestazione cui il debitore è tenuto), atteso il principio per cui
l’obbligazione può essere estinta solo con la dazione di moneta avente corso
legale al tempo dell’adempimento e, quindi, come correntemente suol dirsi “per
contanti”. Anzi – e come noto – ogni pagamento effettuato non “in contanti”,
per essere qualificato come adempimento, ha teoricamente necessità di una
“convenzione solutoria”.
Problema, questo, di
particolare rilievo ove si tenga conto del fatto che – nel moderno traffico
giuridico – alla rigidità della formulazione legislativa (si veda ad es.,
nell’ordinamento italiano, l’art. 1181 c.c. per cui il pagamento deve avvenire
per intero e in un’unica soluzione) corrisponde la prassi (non solo mercantile)
caratterizzata da una generale utilizzazione di mezzi di pagamento alternativi
e diversi dalla moneta.
In realtà – e come spesso si verifica nelle vicende giuridiche –
anche per la disciplina del pagamento si pone infatti la necessità di contemperare
opposte esigenze (come del resto già denuncia la possibilità riservata alla
legge o agli usi di introdurre deroghe alla rigidità dei principi sin qui
richiamati), le une dirette a tutelare la certezza del traffico giuridico e le
altre a consentire il ricorso a tecniche di pagamento più evolute e meno
rischiose di quelle che si risolvono nel materiale trasferimento del denaro
(considerato come res o bene mobile) dall’uno all’altro soggetto
(debitore/creditore). Si tratta, in altri termini, di contemperare l’interesse
del debitore (la sua esigenza di certezza) ad essere garantito che il
pagamento, da lui effettuato, non possa essere legittimamente rifiutato dal creditore e l’interesse del creditore ad
ottenere la prestazione dovutagli in misura intera e rappresentata da moneta di
valore legalmente certo con l’opposto interesse del debitore a non dover
procedere al materiale versamento del denaro a mani del creditore, a sua volta
interessato a non dovere necessariamente ricevere la prestazione dovuta nella
moneta avente valore legale nello stato del proprio debitore. A ciò si aggiunga
il possibile interesse dello Stato ad identificare i soggetti attivi e/o
passivi del pagamento, interesse non agevolmente perseguibile se il pagamento
deve essere fatto per contanti.
La conciliabilità di tali
opposti interessi non può essere esclusa in linea di principio; la sua
effettiva realizzazione deve essere perseguita all’interno dei singoli
ordinamenti e – come si cercherà di chiarire – ritenuta possibile se compatibile
con il principio fondamentale per cui la liberazione del debitore non può
realizzarsi con pregiudizio delle ragioni del creditore in termini di certezza
e di “interezza” della prestazione ovvero se imposta per finalità di ordine
pubblico. Gli esempi in tal senso sono molteplici (almeno per l’ordinamento
italiano): si possono ricordare l’obbligo di accettare il pagamento parziale
per il portatore della cambiale o dell’assegno bancario; la facoltà della
pubblica amministrazione di procedere a pagamenti parziali; l’obbligo di
utilizzare strumenti di pagamento individuati dalla legge – in luogo del
pagamento per contanti – nell’ambito delle misure per la repressione della
criminalità organizzata (sul punto Prosperetti, pp. 1-3).
E’ poco meno che una
constatazione che l’evoluzione dei mezzi di pagamento abbia coinciso con lo
sviluppo dei traffici commerciali e con l’esigenza, sempre più diffusa, di
dover effettuare pagamenti in valuta estera (e quindi con riferimento a monete
aventi – ciascuna – corso legale in diversi paesi). Dai medievali “documenti
confessionati” ai primi titoli cambiari, dai modelli più o meno complessi di
bonifici alla moderna “carta di credito” la disciplina della materia è sempre
stata sensibile alle innovazioni suggerite dalla pratica.
Non ci si può, pertanto,
stupire se l’originario assetto della disciplina appaia oggi investito dal
vento dell’innovazione tecnologica e dalla sempre crescente diffusione – in
termini di varietà e di offerta – di «innovativi strumenti di pagamento (…)
ampiamente basati sul ricorso a tecniche e processi informatici e tecnologici
e, pertanto, capaci di garantire modalità di regolamento delle transazioni
economiche, concluse o meno in via elettronica, rapide, sicure e convenienti per le parti» (Troiano, p. 9).
Anche in questo settore peraltro – fermo il profilo materiale della vicenda
“pagamento” (identificato nella possibilità di immagazzinare una somma di
danaro, o forse meglio una posizione di disponibilità monetaria,nella memoria
di un computer, rendendola trasferibile in via elettronica)- la varietà di
strumenti utilizzati ed utilizzabili risulta articolata e caratterizzata dalle
esigenze pratiche suggerite dai traffici commerciali. Si va, infatti, da meno
recenti e sofisticati strumenti – quali le carte prepagate (c.d. borsellini
elettronici), carte a microprocessore che memorizzano importi di danaro
previamente versati all’emittente della carta, e che vengono progressivamente
“scaricate” a fronte del loro utilizzo sino alla creazione di strumenti di
generale utilizzazione in sostituzione del denaro, che hanno assunto nella
stessa formula del legislatore comunitario e, successivamente, del legislatore
nazionale, la qualifica di moneta elettronica (sul punto Troiano, op. cit.
nonché le Direttive comunitarie 2000/46 e 2000/28 C.E.).
Una
prima divisione di massima – suggerita anche dalla varietà di strumenti di
pagamento, sulle cui modalità di impiego può incidere l’applicazione dei
processi informatici – è rappresentata dalla distinzione fra strumenti di
pagamento “tradizionali”, (bonifici, carte di debito), quando regolati con
tecnologie informatiche, e moneta
elettronica (fermo restando che anche la moneta elettronica è strumento
che assolve ad una funzione di pagamento) (su tale distinzione, peraltro non
pacifica, da ultimo, Olivieri, p. 250).
Nella prima ipotesi
l’effetto solutorio si ottiene mediante trasferimenti elettronici di fondi
(T.E.F.), come tali intendendosi “gli ordini di trasferire somme di denaro da
una persona ad un’altra comunicati ed eseguiti [esclusivamente] mediante
sistemi elettronici” (Giannantonio, p. 241). In particolare con i T.E.F. si fa
riferimento “specificamente agli ordini di pagamento, che il cliente invia alla
banca e che quest’ultima esegue attraverso una rete di comunicazione
computerizzata, che producono un contestuale ed immediato trasferimento di
fondi” (Malagutti, p. 1073).
Sul piano della disciplina
– al di là delle diverse posizioni assunte dalla dottrina – si può cogliere una
tendenza ad elaborare, per gli strumenti in esame, un’autonoma regolamentazione
normativa, che li svincoli dalle prassi negoziali di comune impiego (il
tentativo più significativo sembra essere quello effettuato negli USA, ma
esperienze specifiche sono riscontrabili anche nell’UE ad es. per quanto
riguarda i pagamenti transfrontalieri in euro; al riguardo si veda anche la
Raccomandazione della Commissione in data 30.7.1997, relativa alle operazioni
mediante strumenti di pagamento elettronici).
In
ogni caso, tenuto conto della funzione economica assegnata al trasferimento dei
fondi, tale disciplina si ispira a quella corrispondente agli atti di disposizione
patrimoniale aventi finalità solutoria e, pertanto, non si sottrae in linea di
principio alle regole proprie dell’adempimento delle obbligazioni.
Sul piano della
qualificazione giuridica dell’operazione – in particolare laddove non sia
rinvenibile od applicabile una disciplina espressa – sembra difficile negare
che tali trasferimento rientrino nello schema classico della delegazione, in
quanto l’operazione si risolve in termini di rapporto trilaterale, facente capo
ad un soggetto ordinante, che da l’ordine di trasferire; un soggetto
ordinatario, che assume la veste di beneficiario del pagamento ed un terzo
soggetto ordinato. Anche nel caso del T.E.F., pertanto, è possibile individuare
un rapporto di provvista, intercorrente fra ordinante ed ordinato, in forza del
quale l’ordinante ha titolo per
incaricare l’ordinato del pagamento ed un rapporto di valuta, intercorrente fra
l’ordinante e l’ordinatario, in forza del quale l’ordinatario è titolare di un
diritto di credito nei confronti dell’ordinante, alla cui estinzione è
incaricato di provvedere l’ordinato (al quale pertanto l’ordinatario dovrà
rivolgersi per richiedere il pagamento e con il quale intercorre, quindi, un
rapporto diretto, la cui esecuzione comporta l’estinzione dell’obbligazione fra
ordinante ed ordinatario).
Preso atto, altresì, che
nella prassi degli affari i trasferimento in esame si verificano tramite il
ricorso all’intermediazione bancaria e che, nel contesto dell’operazione, è il
banchiere (o meglio la banca) ad assumere il ruolo di soggetto ordinato, perché
normalmente esiste un rapporto di c/c sia tra l’ordinante e l’ordinato sia tra
questi e l’ordinatario, si deve concludere che il T.E.F. sia riconducibile al
tipo del “bancogiro” o “giroconto” elettronico, in quanto l’intero processo di
regolamento contabile si svolge in forma elettronica (Giannantonio, p. 165
ss.). In armonia con tale qualificazione, è altresì conclusione generalmente
condivisa che i rapporti fra i soggetti, che intervengono nell’operazione (di
trasferimento), siano retti dalle regole proprie della delegazione e del conto
corrente.
Dalle considerazioni sinora svolte discendono alcune implicazioni
di carattere pratico, che è opportuno – sia pure sinteticamente – richiamare.
In primo luogo può dirsi
che l’operazione di trasferimento si presenta come un insieme dei rapporti che
danno luogo ad un negozio complesso, in cui la vicenda delegatoria si innesta e
si salda quanto meno ad un precedente ed autonomo rapporto di conto corrente.
Da questo punto di vista
occorre peraltro avvertire che l’eventuale pluralità di rapporti di conto
corrente, che possono intercorrere fra i soggetti coinvolti nell’operazione di trasferimento
(ordinante – ordinato – ordinatario) non modifica la struttura trilaterale del
rapporto. Ancor quando sussista, infatti, un rapporto di conto corrente non
solo fra ordinante ed ordinato, ma anche fra tali soggetti e l’ordinatario
ovvero la banca ordinata provveda al trasferimento tramite ulteriore incarico
dalla stessa impartito alla banca dell’ordinatario, l’originaria struttura
trilaterale dei rapporti fra i soggetti della operazione non si modifica,
atteso che la sussistenza di un rapporto di conto corrente fra ordinato ed
ordinatario conserva rilevanza meramente interna fra le parti e non si riflette
sui rapporti fra ordinante ed ordinatario così come l’incarico (di pagare) dato
dall’originaria banca ordinata alla banca dell’ordinatario, ancorché dia luogo
ad un nuovo rapporto di delegazione (in cui l’ordinato diviene ordinante ed il
nuovo ordinato è la banca dell’ordinatario) non interferisce sui rapporti fra
ordinante ed ordinatario.
Fermo, pertanto, che la disciplina applicabile all’operazione
T.E.F. rimane quella della delegazione e del conto corrente, va sottolineato
che la peculiarità della vicenda solutoria consiste nel fatto che il
trasferimento avviene in forma elettronica e, quindi, che i diversi atti in cui si articola
l’operazione vengono in essere in termini di contestualità e non di sequenza
temporale (come, al contrario, si verifica nelle altre operazioni di
trasferimento di fondi, nelle quali le diverse fasi in cui si articola l’operazione
– ancor quando alcuna o più di esse siano effettuate elettronicamente – vengono
in essere secondo una predeterminata sequenza temporale; sul punto si veda
Giannantonio, in Foro it., 1990, V, 169 s.).
Dal punto di vista
dell’ordinante, tali fasi coincidono con
(la trasmissione del) l’ordine di trasferimento e la sua esecuzione; dal
punto di vista dell’ordinatario esse coincidono con l’operazione di
accreditamento. Nella sequenza
procedimentale così individuata (a sua volta scomponibile – secondo alcuni
studiosi – in ulteriori momenti) ed ammesso che di sequenza possa parlarsi, una
volta preso atto che addebitamento all’ordinato ed accreditamento all’ordinatario dovrebbe verificasi in termini
di contestualità, può risultare non sempre agevole coordinare gli effetti
dell’operazione con i principi dell’ordinamento in materia di adempimento e di
(poteri dell’) autonomia negoziale.
Una simile eventualità
viene in evidenza almeno sotto i seguenti profili.
In primo luogo sembra
difficile contestare che le tecniche operative comportino la (normale)
irrevocabilità dell’ordine di trasferimento. Analoga considerazione deve valere
agli effetti dell’accreditamento a favore dell’ordinatario, atteso che la
“annotazione” del trasferimento dovrebbe essere vincolante per tutti i soggetti
partecipi dell’operazione (ordinante-ordinato-ordinatario), un’eventuale
ulteriore comunicazione dell’ordinato all’ordinatario ponendosi al di fuori del
contesto dell’operazione di trasferimento in via elettronica (conclusione, del
resto, già sostenuta – come noto – da giurisprudenza e dottrina, anche nel caso
di bancogiro ordinario).
La tecnica dell’operazione
evidenzia che un ruolo decisivo nel procedimento debba essere assegnato
all’annotazione del trasferimento, alla quale consegue la nascita del diritto
di credito dell’ordinatario e la conseguente situazione debitoria (e solutoria)
dell’ordinante. La peculiarità della vicenda sta nel fatto che, pur quando si
costruisca l’annotazione come atto dovuto da parte dell’ordinato (ovvero “automatico”
e svincolato dalla volontarietà di questi) nei confronti dell’ordinante, ciò
non di meno è dal comportamento dell’ordinato che dipende la nascita del
diritto di credito del terzo (ordinatario).
In secondo luogo la
tecnica operativa, attraverso la quale si costituiscono i rapporti fra le
parti, richiede pertanto adattamenti convenzionali – in assenza di una
disciplina legale dei TEF – della disciplina sia della delegazione sia del
conto corrente.
La constatata
irrevocabilità in sé – per ragioni tecniche – dell’ordine di trasferimento,
consente soltanto forme indirette di tutela dell’interesse dell’ordinante al
“buon fine” del suo atto di disposizione. In altre parole – se una volta
trasmesso l’ordine viene annotato e pertanto la sua esecuzione lo rende
irrevocabile (a maggior ragione se l’ordine trasmesso giunge anche nella sfera
di conoscenza dell’ordinatario) – all’ordinante possono essere riservate
soltanto forme di tutela che rafforzino l’obbligo di restituzione
dall’ordinatario ovvero che ne limitino il diritto all’immediata disponibilità
di tutto o parte del credito, ferma restando l’inefficacia della revoca
dell’ordine ormai eseguito (come confermato dalla prassi contrattuale di
prevedere clausole di “accreditamento temporaneo” e di “fermo del pagamento”
fino a scadenze prefissate).
Allo stesso modo non pare
configurabile un diritto dell’ordinato di rifiutare l’esecuzione dell’ordine se
conforme alla procedura e nei limiti dei fondi disponibili.
Analoga conclusione
dovrebbe valere per l’ordinatario, anche se – come ricordato in inizio – in
ipotesi non può ignorarsi il principio dell’art. 1277 c.c. La soluzione più
persuasiva sembra essere nel senso che, pur dovendosi convenire che
l’accreditamento non equivale al pagamento “per contanti” ai sensi dell’art.
1277, il debitore sia liberato ogni qual volta il creditore consenta a ricevere
una prestazione diversa da quella dovuta (art. 1197).
Il coordinamento di tale
regola con la norma che dispone la liberazione del debitore per il pagamento
fatto a soggetto non legittimato (nel nostro caso la banca ordinata) quando il
creditore ne profitti (art. 1188 c.c.), consente di sostenere che
l’ordinatario, con la propria adesione al sistema di trasferimento elettronico
di fondi, presti implicitamente il proprio consenso all’accreditamento e quindi
perché si producano gli effetti liberatori di cui agli artt. 1197 e 1188 c.c.
I rapporti fra i soggetti dell’operazione di T.E.F. non si
sottraggono alle regole della responsabilità. In punto, anche in mancanza di
una disciplina legale, il ricorso ai principi della materia consente di
prospettare soluzioni persuasive.
a) Per quanto riguarda la
responsabilità per trasferimento non autorizzati – una volta esclusa
l’imputabilità, in tutto o in parte, del fatto all’ordinante – il criterio
applicabile pare essere quello del rischio di impresa e, quindi,
dell’imputazione alla (banca) ordinata dell’obbligo risarcitorio. Soluzione del
tutto compatibile con la presenza dell’intermediario qualificato (anche se non
si tratta dell’unica soluzione prospettabile, come dimostra la diversa
esperienza degli USA), il quale può riallocare i costi della responsabilità fra
i costi dell’impresa.
b) Analoga conclusione
deve essere condivisa per il caso di difettoso funzionamento del sistema ogni
qual volta non sia individuato od individuabile il soggetto, al quale imputare
la responsabilità dell’evento. Anche in tale circostanza non vi è ragione per
negare che il rischio del difetto e le relative conseguenze debbano essere addossati a quello (la banca
ordinata) – fra i vari soggetti dell’operazione – che più agevolmente può
sostenerne l’onere attraverso la razionalizzazione e la ridistribuzione dei
costi per l’organizzazione e la fornitura del servizio.
c) Secondo i principi –
ed in particolare in conformità al
criterio della rilevabilità dell’errore – è altresì risolvibile il problema delle
conseguenze legate a trasferimenti erronei ovvero a trasferimenti per i quali
si sia verificato un errore nell’esecuzione dell’ordine.
Come già accennato, il panorama dei pagamenti effettuati in forma
diversa da quella disciplinata nell’art. 1277 c.c. si è ampliato con
l’introduzione della moneta elettronica (artt. 55 e 56 l. 1 marzo 2002, n. 39,
con la quale sono state recepite nell’ordinamento italiano le direttive 2000/46
CE e 2000/28 CE in materia di moneta elettronica).
La moneta elettronica è così definita: un valore monetario
rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su
un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non
inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da
soggetti diversi dall’emittente (art. 1, co. 2 lett. h ter T.U.B. 1.9.1993, n.
385). L’emissione della moneta elettronica è riservata alle banche e agli
istituti di moneta elettronica (soggetti perciò alla vigilanza della Banca
d’Italia); il detentore di moneta elettronica ha diritto di richiedere
all’emittente, secondo le modalità indicate nel contratto, il rimborso al
valore nominale della moneta elettronica in moneta legale ovvero mediante le
spese strettamente necessarie per l’effettuazione dell’operazione (art. 114 bis
T.U.B. n. 385 cit.).
Dal sommario quadro della
disciplina qui richiamata si ricava, innanzi tutto, che all’emissione della
moneta si può procedere in esecuzione di un contratto – fra emittente ed
acquirente (della moneta) – che ha come funzione tipica lo scambio «fra un
determinato ammontare di moneta (legale o scritturale) ed un credito di valore
non superiore ad esso». L’esecuzione del contratto consiste pertanto,
nell’emissione – da parte dell’istituto o della banca autorizzata – del valore
monetario, memorizzato su un dispositivo elettronico e destinato ad essere
trasferito a terzi (diversi dall’emittente) che lo accettino come mezzo di
pagamento, a fronte del previo versamento di fondi di valore non inferiore al
valore monetario emesso. E’ rimesso all’autonomia delle parti – come è
intuitivo – concordare le ulteriori regole circa tempi e modalità dell’utilizzo del valore monetario e del suo
rimborso (Olivieri, p. 264 s.).
«Alla luce della nozione legale e del funzionamento del sistema» si
è anzi chiarito «come la moneta elettronica presenti caratteristiche che la
distinguono tanto dalle carte di credito monouso (…) quanto dai servizi
elettronici di pagamento (trasferimento elettronico di fondi disponibili)». Ed
infatti, rispetto alle prime, la moneta elettronica implica un’utilizzabilità
non limitata alla spendita nei confronti del solo emittente e, rispetto ai
secondi, consente pagamenti diretti fra le parti senza la necessaria interposizione
di uno o più intermediari fra il debitore (solvens) ed il creditore (accipiens)
(così Perrone, p. 579).
Una volta preso atto della “tipicità” della moneta elettronica
rispetto ad altri strumenti elettronici di pagamento e della sua qualificazione
come “valore monetario rappresentato ad un credito nei confronti
dell’emittente”, la dottrina si è domandata se la moneta elettronica non possa
identificarsi come un titolo di credito dematerializzato al portatore (i
termini della questione sono riassunti in Olivieri, p. 266 e Perrone, p. 281).
Pur non essendo questa la
sede per affrontare il problema, la conclusione negativa pare trovare sostegno
quasi inoppugnabile nella constatazione che – almeno alla luce delle attuali
previsioni legislative – non sembra possibile ravvisare nella nozione di moneta
elettronica e nelle vicende relative al suo trasferimento la ricorrenza di
quelle peculiarità – in termini di letteralità, astrattezza ed autonomia – che
sono proprie del titolo di credito (ed anche se qualificato come titolo al
portatore).
Resta peraltro la
necessità di individuare la disciplina applicabile sia in materia di rischi e
di responsabilità connessi all’emissione ed al trasferimento della moneta
elettronica sia di effetti del pagamento.
Per quanto riguardo il primo profilo (disciplina dei rischi e della
responsabilità in sede di circolazione della moneta elettronica), l’unica
certezza che viene dalla recezione della
direttiva comunitaria concerne la natura convenzionale delle discipline
in materia (indicazioni utili per orientarsi nella materia possono essere
ricavate, a livello comunitario, dalla Raccomandazione della Commissione del
30.7.1997 relativa alle operazioni mediante strumenti di pagamenti elettronici)
Da questo punto di vista sembra corretto ritenere che al contratto di emissione
(di moneta elettronica) sia affidata la regolamentazione dei diritti e degli obblighi
in capo all’istituto emittente ed al detentore di moneta sia attraverso
l’inserimento di clausole specifiche sia attraverso il richiamo a regole o
disposizioni vigenti in sede comunitaria.
Peraltro – e come è stato,
del resto, da altri prospettato (Olivieri, p. 269) – se si muove dal
presupposto per cui la moneta elettronica può essere considerata un surrogato
elettronico della moneta avente corso
legale nello stato e che, quindi, il pagamento con essa effettuato possa essere
assimilato al pagamento per contanti, è agevole prevedere che il regime
giuridico di tale moneta - per quanto
concerne rischi e responsabilità della sua circolazione – sarà tendenzialmente
indirizzato a recepire i principi e le regole che presiedono alla circolazione
della moneta legale.
Anche al fine di individuare gli effetti ascrivibili al pagamento
effettuato con moneta elettronica, occorre muovere dalla nozione accolta nell’ordinamento
con la recezione delle direttive comunitarie. Più precisamente occorre muovere
dal dato che la moneta elettronica non è sinonimo di moneta legale e che
pertanto il pagamento effettuato con la prima non può – di per sé – produrre
gli effetti indicati nell’art. 1277 c.c. Questa conclusione trova conforto sia
nella natura convenzionale e privatistica della moneta elettronica (emessa in
forza di un contratto fra privati) sia nella sua libera accettazione – come
mezzo di pagamento – da parte del creditore sia, infine, nel diritto non
assoluto del detentore al rimborso del valore nominale della moneta.
Ciò peraltro non significa necessariamente che il pagamento
effettuato in moneta elettronica sia di per sé inidoneo ad estinguere
l’obbligazione pecuniaria. Al riguardo proprio il fatto che la moneta
elettronica sia considerata un “surrogato elettronico” del danaro e che sia
“accettata” come mezzo di pagamento non può essere considerato circostanza
priva di rilevanza giuridica. In questa prospettiva, anzi, l’adesione del
debitore e del creditore al sistema di pagamento tramite l’utilizzo di moneta
elettronica equivale ad attribuire al pagamento, così effettuato, quella
efficacia solutoria che è propria di ogni trasferimento avente ad oggetto
moneta legale. Se – a sua volta – il pagamento
effettuato in moneta elettronica sia – come da taluno ritenuto (Perrone,
p. 581) – un vero e proprio “pagamento in moneta avente corso legale nello
Stato”, sicchè il debitore è liberato a prescindere dal consenso del creditore,
richiesto ai sensi dell’art. 1197 nel caso di prestazioni in luogo
dell’adempimento ovvero sia – come da altri prospettato (Olivieri, pp. 271 e
274) – un pagamento assimilabile a quello fatto con denaro contante è questione
– sul piano pratico – probabilmente non decisiva. Sul piano teorico – allo
stato della disciplina – il secondo orientamento, fra quelli ora prospettati,
pare preferibile, atteso che non può dimenticarsi come l’efficacia solutoria
del pagamento in moneta elettronica dipenda pur sempre dall’accettazione del
creditore (accipiens) e che soltanto l’adesione di questi al sistema di
pagamento in moneta elettronica comporta l’estinzione dell’obbligazione a
seguito dell’obbligo del creditore di non poter rifiutare il pagamento nella
forma convenuta ed accettata.
NOTA BIBLIOGRAFICA
In questa sede sono richiamati i soli autori, ai quali è fatto
espresso riferimento nel testo: GINNANTONIO, Trasferimenti elettronici di
fondi e adempimento, in Foro it, 1990, V, 165; ID., Manuale di
diritto dell’informatica, Milano 1994, 241; MALAGUTTI, I trasferimenti
elettronici di fondi in Italia: spunti da un analisi comparata – L’inserimento
dell’art. 4 A nell’Uniform Commercial Code statunitense, in Contratto e
impresa, 1991, 1065; OLIVIERI, Compensazione e circolazione della moneta
nei sistemi di pagamento, Milano 2002, 247; PERRONE, La nuova disciplina
italiana sulla moneta elettronica: un’introduzione, in Studium juris,
2003, 578; PROSPERETTI, voce Pagamento, in Enc. Giur. Treccani, Roma
1990, 1; TROIANO, Gli istituti di moneta elettronica, Quaderni di
ricerca giuridica – Banca d’Italia, n. 53, 2001, 12).