N. 3 – Maggio 2004 – Lavori in corso – Contributi
L’amministrazione come “pretesa” nel processo
di integrazione europea
Università di Sassari
Si pubblica il
capitolo I della parte II della monografia di Elena
Sanna Ticca: Cittadino e pubblica amministrazione nel processo di
integrazione europea , in corso di stampa nella Collana del Dipartimento di
Scienze Giuridiche dell’Università di Sassari. Di seguito anche l’Indice-sommario
del volume: Introduzione. – Parte prima: Le amministrazioni pubbliche
nello spazio giuridico europeo tra unificazione e differenziazione. – Premessa. – Capitolo I: Le
invarianti. – Capitolo II: Le varianti. – Parte seconda: Lo statuto del rapporto giuridico cittadino-amministrazione
nello Stato aperto. – Capitolo I: Dai principi dell’azione
amministrativa alle pretese del cittadino nel rapporto giuridico con
l’amministrazione. – Capitolo II: Lo statuto giuridico del rapporto
amministrativo nel processo di integrazione europea.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Convergenze nei principi e differenze nei metodi.
– 3. L’integrazione degli ordinamenti mediante
l’integrazione dei principi: il cittadino europeo e le sue pretese nei
confronti dell’amministrazione. – 4. Dai principi generali del diritto comunitario allo statuto
giuridico del rapporto cittadino-amministrazione tra diritto interno e diritto
comunitario.
La Comunità europea fin dalla sua fondazione attraverso il Trattato
di Roma, presenta peculiarità differenti rispetto ad altre unioni di
soggettività giuridiche di dimensione sovranazionale.
Il potere normativo attribuitole sin dal Trattato istitutivo e il
ruolo della Corte costituiscono gli strumenti che hanno consentito a tale
sistema giuridico un’espansione progressiva senza eguali nella storia delle
Comunità sovranazionali[1]. Ciò ha influenzato in maniera pregnante gli ordinamenti giuridici
degli Stati membri e, in particolare, il diritto amministrativo interno.
Fondamentale, in merito, appare la sentenza della Corte di
giustizia Stauder del 1969[2] perché riconosce la competenza della
Corte a creare e a vigilare sui principi generali dell’ordinamento comunitario
imposti alle amministrazioni come parametro della legittimità del loro agire. Con tale sentenza, già dal 1969, la
Corte afferma che «i diritti fondamentali della persona fanno parte dei
principi generali del diritto comunitario e, in quanto tali della propria
competenza a garantirne l’osservanza». I principi fondamentali dell’ordinamento
comunitario sono speculari ad altrettante pretese del cittadino che divengono
tangibili nel momento in cui quest'ultimo entra in rapporto con
l'amministrazione e ne costituiscono pertanto un valore aggiunto. Tale corpus
di pretese appare illuminato da una luce nuova poiché,rispetto al sistema
nazionale, il contesto nel quale tale corpus è inserito lo arricchisce di contenuto[3]. Ne indica , inoltre, «una creativa e
diversa lettura»[4] perché
contribuisce ad edificare l’azione amministrativa in una prospettiva antropocentrica e perché di tale corpus fanno
parte i diritti fondamentali della
persona, per espressa affermazione della Corte[5].
L’estensione del diritto comunitario e la sua forza di penetrazione
negli Stati membri, mediante i principi generali che rappresentano lo strumento
per raggiungere gradualmente l’integrazione europea anche in via amministrativa,
appare percorrere una duplice direzione. Essa
si espande in orizzontale simultaneamente alla vicenda del progressivo
ampliamento delle missioni della Comunità, e, attraverso la forza di
penetrazione dei principi, (in particolare mediante il “principio del
primato”), si introduce nei sistemi amministrativi degli Stati membri aprendoli
e provocando delle profonde incisioni. Le tracce tangibili di tali segni
rappresentano la conseguenza della prospettazione e del contesto in cui tali
principi sono stati elaborati. Essi
sono rivolti agli Stati, ma anche, e tendenzialmente, hanno come interlocutore
preferenziale l’individuo. Ad esso l’ordinamento comunitario e, in particolare
il sistema amministrativo, riserva in progressione un ruolo centrale,
costruendo i rapporti giuridici fra individuo e amministrazione, partendo dalle sue pretese in quanto cittadino, e quindi in
una prospettiva antropocentrica[6].
In origine, l’ordinamento comunitario nasce per realizzare il
mercato unico nello spazio geografico europeo. In una tale concezione, gli
individui si pongono in una posizione strumentale rispetto all’oggetto intorno
al quale costruire la Comunità. Interlocutori di quest’ultima sono gli Stati al
fine di realizzare un mercato unico che rappresenta l’oggetto principale
dell’attività comunitaria. Dunque in quest’ottica e in ragione degli ampi spazi
riservati all’agire amministrativo, i bisogni dell’individuo erano condizionati
dal dominio del mercato che li rendeva dipendenti dalle sue logiche.
La Corte di Giustizia, forte del ruolo attribuitole dai Trattati,
ribalta una tale prospettiva perché fin dalle prime pronunce pone al centro
della sua attività il singolo. Tale prospettazione spinge gli Stati alla
soddisfazione delle pretese del cittadino attraverso l’attuazione del diritto
comunitario. Gli Stati e le amministrazioni divengono in tal modo strumenti per
l’applicazione e la diffusione del diritto comunitario. Essi, realizzando le
pretese dei cittadini, garantite da norme e da principi comunitari, modellano
di sé il rapporto giuridico fra amministrazione e cittadino.
La Corte ritiene che i rapporti giuridici disciplinati dal diritto
comunitario pongano obblighi a carico degli Stati e delle loro amministrazioni
le quali debbono soddisfare le pretese
dei cittadini che sono speculari
ai principi generali dell’ordinamento comunitario. Le pretese in tal modo costituiscono
il contenuto dello statuto giuridico del rapporto del cittadino con
l’amministrazione. La Corte infatti, attraverso la sua giurisprudenza,
costruisce principi e rapporti giuridici, interpreta le norme e i principi
tendendo a porre come perno l’individuo intorno al quale fa ruotare lo stesso
processo di integrazione. Sono gli
individui, così, ad assumere gradualmente un ruolo fondamentale nella
costruzione del rapporto giuridico con l’amministrazione, ribaltando
progressivamente la primitiva impostazione dove era il mercato e la libera
circolazione delle merci, dei capitali etc. al centro dell’attività della
Comunità. Costoro pian piano divengono gli attori dell’arena pubblica mentre
l’amministrazione, gradualmente, assume un ruolo strumentale ponendosi, quindi,
al servizio dell’individuo.
Si può affermare che si è passati in progressione dalla centralità
delle “cose materiali” alla centralità degli individui. Tale processo è
agevolato dalla contemporanea crisi della centralità dello Stato, dal suo indebolirsi
a causa della frantumazione[7]
in una pluralità di centri di amministrazione[8].
La nascita della cittadinanza dell’Unione attraverso il Trattato di
Maastricht riconosce la centralità dell’individuo, già divenuta parte dell’acquis communitaire grazie alla giurisprudenza
comunitaria. Essa infatti ha disegnato il rapporto giuridico che si instaura
fra cittadino e amministrazione in una prospettiva che esalta l’individuo.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, infine,
consacra un tale indirizzo[9].
L’articolo 41 di tale documento, infatti, inserito significativamente
nella parte dedicata ai diritti di cittadinanza, indica nel «diritto del
cittadino europeo alla buona amministrazione» le pretese che costui vanta nei
confronti delle Istituzioni e degli Organi dell’Unione[10].
Tali pretese attengono al «diritto di ogni individuo a che le questioni che lo
riguardano siano trattate in modo equo, imparziale entro un termine ragionevole
dalle Istituzioni e dagli organi dell’Unione» (art. 41, n. 1). In particolare,
la buona amministrazione si articola nel «diritto di ogni individuo ad essere
ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento
individuale che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi e del segreto
professionale; nell’obbligo dell’amministrazione di motivare le proprie
decisioni (art. 41, n. 2); nel diritto di ogni individuo al risarcimento da
parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue Istituzioni o dai suoi
agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali
comuni agli Stati membri (art. 41, 3); nel diritto di ogni individuo a
rivolgersi in una delle lingue del trattato e di ricevere una risposta nella stessa lingua (art. 41, n. 4)»[11]. Tale articolo regola specificamente il
rapporto giuridico fra cittadino e amministrazione da un punto di vista
sostanziale e, insieme all’articolo 47 che, sebbene si occupi della tutela
processuale di tale rapporto, è
rilevante per i riflessi che provoca sul profilo sostanziale.
In via preliminare si impongono
due annotazioni.
La prima attiene al dibattito in dottrina sulla efficacia
vincolante della Carta sotto il profilo giuridico[12].
Esso non ne influenza né
svilisce il rilievo in relazione al modello giuridico dello statuto del
cittadino come emerge da questo documento e in particolare dall’articolo 41. Infatti la genesi del formarsi delle
“pretese”, che costituiscono il contenuto sostanziale di tale statuto,
costruisce la storia dell’incidenza del diritto comunitario sul sistema
amministrativo nazionale e rappresenta altresì i parametri per misurarne la
convergenza nel processo di integrazione. Essi sono indicatori che giustificano
l’opportunità, l’ammissibilità e l’attendibilità di questa prospettazione della
ricerca.
Il secondo rilievo attiene alla considerazione che nella Carta,
forse perché è nata per colmare una lacuna in relazione alla tutela dei diritti
nei confronti degli atti e dell’attività dell’amministrazione, manca il
riferimento alle società intermedie.
Essa perciò sembrerebbe «destinata ad esplicare un’efficacia
verticale»[13] ponendo in difficoltà, così, il modello
compiuto della prospettazione antropocentrica.
2. – Convergenze nei principi e differenze nei metodi
Diceva Aristotele: «Le cose differiscono in ciò che hanno in
comune». Nella Metafisica il filosofo affronta spesso il problema dell’unità e
della molteplicità, dell’identità e della contrarietà ed in tale ambito opera
una distinzione tra “diverso” e “differente”. Nel Libro 5 cap. 9 par. 4-5
definisce «Differenti» quelle cose che, quantunque diverse, sono «identiche per
qualche rispetto». Ed ancora nel Libro 10 cap. 3 par. 8-9 afferma: «quel che è
differente da qualcosa ne differisce per qualche rispetto»; «…quindi c’è
necessariamente qualcosa di identico per cui differiscono. Questo che è identico è il genere o la specie» cioè
il substrato che tutte le cose hanno in
comune.
Questa citazione vuole essere una chiave di lettura e insieme una
premessa metodologica a quanto si dirà in questa sede. Infatti, dato un comune
substrato di valori e di principi, poiché “differenti” sono le modalità della
loro realizzazione negli ordinamenti degli Stati membri, si tenterà di misurare
la convergenza fra ordinamento interno e quello comunitario e il loro grado di
integrazione nello spazio comune europeo[14].
La dottrina[15]
riteneva che i principi del diritto interno a fronte della progressiva
estensione di quello comunitario dovessero essere da questo intangibili,
ponendo tale intangibilità come un principio indiscutibile. Successivamente, la dottrina più attenta cambia indirizzo
ritenendo che[16] tale impermeabilità si possa superare
perché il diritto comunitario, per sua natura, ha come interlocutore
privilegiato l’area del “pubblico” ritenuta
adeguata ad appagare i bisogni e le pretese dei cittadini europei. Diretto
effetto di tale prospettazione è rappresentato dalla crescente attestazione di
principi comuni nell’ambito del diritto amministrativo. Essi si confrontano in
una dimensione differente da quella originaria che risente delle ristrettezze e
delle rigidità formali che per tradizione tormentano gli ordinamenti giuridici
del centro-nord dell’Europa[17].
Alcuni dei principi di cui si sta discorrendo[18] sono stati creati dalla Corte di
Giustizia e successivamente introdotti negli ordinamenti nazionali, altri sono
in gran parte vigenti negli ordinamenti degli Stati membri. La Corte,
nell’intervenire per risolvere casi concreti, li ha “assunti” nel contesto
sovranazionale e li ha conformati, con la mediazione delle esigenze del sistema
giuridico comunitario, alla fattispecie concreta effettuando una valutazione
comparativa. Li ha poi “restituiti” agli ordinamenti nazionali[19],
dopo aver risolto il problema giuridico, sotto nuova veste, nuova perché conformata
dall’ordinamento nel cui contesto sono inseriti.
Attraverso questo circolo “virtuoso” hanno origine nello spazio
giuridico europeo principi comuni europei ove «le cose differiscono in ciò che
hanno in comune». Tale comunanza è affermata dalla Corte non in ragione del
significato linguistico letterale dell’accezione “comune”, e cioè “comune” in
quanto presente in tutti gli ordinamenti
degli Stati membri della Comunità. Essa, infatti si serve del criterio della
“comparazione valutativa”[20] cioè si riserva di accettare quei principi
che, già presenti negli ordinamenti degli Stati membri, meglio si possono
conformare al caso concreto e si armonizzano con le peculiarità
dell’ordinamento sovranazionale. In tal modo tale organo fa intendere di
assegnare il significato all’accezione “comune” come “comunanza di valori”[21] e di esperienze delle quali il giudice
comunitario si serve adattandole al caso concreto e ponendole in sintonia con
le caratteristiche dell’ordinamento comunitario. Spesso da questo accostamento
sortisce l’effetto di singolari e nuove soluzioni frutto anche del dialogo “interistituzionale” che intercorre fra
la Corte di giustizia e la Corte Costituzionale nazionale[22] che svolge un ruolo ugualmente
fondamentale attraverso una dialettica intrecciata in cui si sostanziano tali
rapporti. Per questa ragione il risultato non è solo effetto dell’isolato apporto
della Corte di giustizia[23].
Si pensi al principio di imparzialità che nella nostra Costituzione
all’articolo 97 è interpretato come riflesso del momento organizzativo più che
come regola dettata per l’attività dell’amministrazione[24] dal quale,però, nel tempo si è fatta discendere la
strumentalità delle pretese del cittadino e la funzionalizzazione dell’attività
dell’amministrazione alla cura dell’interesse pubblico[25].
Nella nuova prospettiva imparzialità e buon andamento trovano una
loro combinazione mediante l’«individuazione di un catalogo di doveri/diritti
nel rapporto cittadino-amministrazione perché essa attribuisce rilievo giuridico
all’attività più che agli atti»[26].
Si consideri il principio del legittimo affidamento che è vigente
nel sistema giuridico comunitario e in quello interno. Le modalità di garanzia
della sua tutela differiscono negli ordinamenti qui considerati[27]. Infatti, pur essendo riferito in
entrambi all’attività normativa e a quella amministrativa, nello spazio
giuridico comunitario tende ad avere un rilievo e una identità autonoma.
Nell’ordinamento interno, invece, vi è una tendenza oscillante in merito alla
sua collocazione. La Corte Costituzionale, infatti, a volte predilige mettere
in relazione la tutela delle aspettative legittime con altri principi
costituzionali che già vincolano i poteri, legislativo ed amministrativo, come
per esempio il principio di uguaglianza piuttosto che quello di ragionevolezza.
In sostanza il principio qui considerato, pur avendo la medesima funzione negli
ordinamenti qui stimati, muta il metodo
con cui tale principio viene applicato. Il risultato, però, non è di poco conto
perché l’effetto è una diversa prospettiva che influenza non tanto il principio
in sé quanto i rapporti giuridici ove viene applicato, determinando
differenziazioni sotto il profilo dell’integrazione fra gli ordinamenti[28].
Si pensi, inoltre ai principi di equivalenza[29], di responsabilità e dell’effetto utile. Quest’ultimo, in base al principio di prevalenza del diritto comunitario su
quello interno, impone all’interprete la scelta che, fra i diversi significati da
attribuire alle norme e ai principi comunitari, consente al diritto
sovranazionale di raggiungere le
proprie finalità.
In relazione al principio di responsabilità il Trattato, ex articolo 288, invece rinvia
espressamente alla disciplina degli Stati membri.
Infine, il principio di equivalenza insieme a quello di effettività[30]
può costituire il parametro della misura della convergenza di modalità
procedurali presenti nei sistemi amministrativi degli Stati membri dalle quali
sortisce una decisione la cui legittimità si misura in relazione
all’applicazione anche di tali principi. Infatti in base ad essi, letti in
combinato disposto, procedure e decisioni proprie del diritto interno trovano
validità solo in presenza di cause di giustificazione pur se,
nella loro diversità, danno luogo a procedure e decisioni equivalenti.
Dunque, il diritto interno deve rispettare il principio di equivalenza il quale
impone che le modalità procedurali a garanzia di situazioni che nascono per
affermare una libertà comunitaria presentino tutele non meno favorevoli di
quelle relative a situazioni interne né rendano concretamente impossibile o
difficoltoso l’esercizio di diritti di origine comunitaria.
Il processo di individuazione di principi comuni operato dalla
Corte di giustizia, con la precisazione del rapporto dialettico delle Corti
nazionali, è imperniato, in buona sostanza, su una comunione nella universale
unità di valori presente nello spazio giuridico europeo. Il sistema
amministrativo interno in particolare ne risulta influenzato in maniera significativa
in quanto i principi dell’azione delle amministrazioni[31] sono comuni perché “comuni” sono i
principi-valori pur nella diversità delle modalità in cui si manifestano.
Tale comunione si riflette sul modello del rapporto giuridico fra
amministrazione e cittadino pur nell’indifferenza delle forme[32]. Convergenza (nei principi) e
differenziazione (nei metodi) dunque si intrecciano dando vita ad un processo
di integrazione che colora di originalità lo spazio giuridico europeo.
3. – L’integrazione degli ordinamenti mediante l’integrazione dei
principi: il cittadino europeo e le sue pretese nei confronti
dell’amministrazione
La misura della convergenza dei principi generali dell’ordinamento
comunitario con quelli nazionali è anche misura del processo di integrazione
fra tali ordinamenti. In ragione di quanto si è argomentato in precedenza, tale
integrazione è imperniata sulla comunanza di valori di riferimento e di
conseguenti principi generali dell’ordinamento comunitario.
Il processo di integrazione mediante i principi ha preso corpo e in
progressione va a realizzarsi, avviandosi a maturazione, attraverso l’apporto
sinergico di due momenti che principalmente attengono all’inserimento di
principi che derivano dai sistemi giuridici degli Stati membri in quello comunitario
e in una susseguente immissione di principi presenti in quest’ultimo nei
sistemi giuridici nazionali[33].
Essi in quanto dichiarati dalla Corte principi generali dell’ordinamento comunitario
devono essere applicati dall’amministrazione comunitaria e da quella nazionale.
Insomma, lo spazio giuridico europeo viene costruito dalla Corte attraverso la
comunanza dei principi.
In quest’opera concorrono, in un confronto ampio, costruttivo ed in
un rapporto sinergico, anche le Corti nazionali al fine di fondare su basi
solide uno spazio giuridico comune[34].
I principi generali, nati nei sistemi giuridici degli Stati membri,
riesaminati, perfezionati e conformati dall’ordinamento comunitario sono
riproposti in ambito nazionale corretti, ritoccati, trasformati, molto spesso
potenziati e con possibilità di applicazione che superano quelle originarie.
Fondamento della legittimazione di tale singolare riedizione dei
principi[35] è rappresentato da alcuni suggerimenti
che la Corte trae dagli artt. 220,
230, 288 del Trattato che consentono la costruzione e il consolidamento
dell’integrazione[36]
degli ordinamenti[37].
Essi[38] sono
speculari ad altrettante pretese dei cittadini nei confronti
dell’amministrazione comunitaria e interna. Infatti i principi che attengono
alla certezza del diritto, al legittimo affidamento, alla responsabilità,
all’imparzialità, alla trasparenza, all’obbligo di motivazione e alla
proporzionalità, rappresentano altrettante pretese del cittadino, sia in ambito
comunitario che nazionale, affinché organizzazione, attività e decisione amministrativa
siano conformati su tali principi.
Tali pretese perciò sono fonti di obblighi nel rapporto che si
instaura fra amministrazione e cittadino ai fini della soluzione di un problema
amministrativo, e, perciò, sono direttamente garantite nel corso del
procedimento affinché la decisione amministrativa sia assunta nel loro rispetto
e da essi sia conformata. Sono, inoltre, direttamente azionabili dinanzi agli
organi giurisdizionali di primo e di secondo grado sia comunitari che
nazionali. Così, il principio di effettività dell’applicazione del diritto
comunitario e il principio del primato trovano gli strumenti per una loro
concretizzazione proprio mediante l’attribuzione al cittadino, in quanto soggetto dello spazio giuridico europeo, di
pretese comuni nei confronti dell’amministrazione. In questo modo il singolo assume una posizione centrale e intorno
ad esso ruota e si costruisce l’intero processo di integrazione europea. In particolare nella costruzione di
tale modello si evidenzia la prospettiva con la quale l’ordinamento plasma il
rapporto giuridico cittadino-amministrazione.
Le pretese rappresentano il contenuto sostanziale dello statuto del
cittadino comunitario e nazionale nel suo rapporto con l’amministrazione. Esse
evidenziano la prospettiva della edificazione di tale modello in quanto
costituiscono le ragioni dell’individuo e non dell’interesse pubblico, o
meglio, il perno intorno al quale
esso è costruito[39]. L’“effettiva” integrazione passa
necessariamente attraverso il ruolo che è affidato al singolo primariamente
dalla Corte di giustizia e successivamente dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea mediante il suo bagaglio di pretese direttamente garantite
e azionabili. Il modello dell’integrazione europea e dello statuto del rapporto
giuridico del cittadino con la amministrazione sono in sintonia, anzi, si identificano e mostrano la prospettiva
antropocentrica attraverso la quale si sta costruendo progressivamente lo
spazio giuridico europeo.
In questo sviluppo dell’ordinamento comunitario verso
l’integrazione si nota il ruolo significativo della Corte di Giustizia della
Comunità europee, oscillante fra Tribunale amministrativo e Tribunale costituzionale[40].
Essa ha interpretato il ruolo che il Trattato le ritaglia nell’ambito del
sistema giuridico sopranazionale, considerando non vincolanti le fondamenta
giuridiche del Trattato. L’ipotesi contraria avrebbe reso rigida e limitata la
sua opera creatrice e avrebbe costituito un freno all’apertura e alla
penetrazione orizzontale del diritto comunitario nei sistemi giuridici degli
Stati membri.
La Corte di giustizia, attraverso la sua giurisprudenza, mostra che
il Trattato non rappresenta un limite rigido alle sue funzioni ma un telaio
entro il quale ordire un sistema giuridico consono ad assecondare e permettere
la completa concretizzazione degli obiettivi e dei disegni che i padri fondatori
della Comunità avevano trasposto nel Trattato istitutivo.
In questa cornice tale organo ha operato progressivamente attraverso due direttrici fondamentali
per realizzare il processo di integrazione del quale è garante[41].
La prima è rappresentata dall’azione rivolta a rendere concreta la
supremazia del diritto comunitario; la seconda è costituita da un’attività
finalizzata all’ampliamento degli ambiti di influenza di tale diritto[42].
L’efficacia diretta delle norme comunitarie, l’applicazione e l’interpretazione
uniforme del diritto ne rappresentano gli strumenti.
Si è in più occasioni rilevato il contributo determinante della
giurisprudenza della Corte di giustizia ai fini della costruzione dei principi
generali dell’ordinamento comunitario. In tale contesto assume particolare
rilievo la sentenza del 1989 che si pone come pilastro di successivi interventi
giurisprudenziali e legislativi[43].
Con questa decisione tale organo riconosce ad ogni individuo un diritto in
quanto “cittadino comunitario”.
Il Trattato di Maastricht, che prevede la cittadinanza comunitaria,
svela il progetto e il disegno del modello dell’integrazione che è l’obiettivo
fondante e costantemente ricercato dall’azione delle Istituzioni comunitarie. È
un’integrazione che ha come perno il singolo in quanto cittadino con il suo
corredo di pretese ed è costruita in una prospettiva antropocentrica dei
rapporti giuridici. Tale prospettazione si riflette in maniera incisiva sulla
tradizionale dicotomia autorità-libertà mostrandone le carenze e
l’insufficienza e traghettando, così, il rapporto giuridico cittadino-amministrazione
verso un tendenziale rapporto paritario che meglio viene esplicitato
nell’articolo 41 particolarmente ai nn. 1 e 2 della Carta dei Diritti
fondamentali dell’Unione[44].
Il Trattato di Maastricht fa emergere come giuridicamente rilevante quanto già da tempo
costituiva il comune sentire delle Istituzioni comunitarie e degli Stati membri
e cioè che soggetti dell’ordinamento sono non solo gli Stati ma anche e
soprattutto i cittadini[45].
L’istituzione della cittadinanza è significativa per lo spazio
giuridico europeo perché, oltre che porre al centro dell’ordinamento
l’individuo, le sue pretese ed aspettative, “certifica” che l’ordinamento
comunitario e i rapporti che in esso sono disciplinati si è testato ed avviato
verso una enunciazione senza riserve delle garanzie dell’individuo, quasi a
creare le condizioni per una sorta di “diritto di parità”[46]
del cittadino con la pubblica amministrazione.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione fa propria tale
prospettiva del rapporto in parola e la esplicita soprattutto nell’articolo 41
ove i principi su indicati, creati dalla Corte come principi generali
dell’ordinamento comunitario, rappresentano le pretese del cittadino europeo
che “pretende” un “diritto alla buona amministrazione”. Esse attengono a problematiche
centrali, complesse e oggetto di discussione da parte della dottrina e
costituiscono altrettanti crocevia critici del rapporto giuridico in parola. Si
esplicitano nella pretesa ad una decisione assunta in un termine ragionevole,
equa ed imparziale, nell’obbligo della sua giustificazione mediante la
motivazione. Tali pretese, inoltre, incidono sulle modalità del formarsi della
decisione che deve osservare : il principio di trasparenza garantendo al
cittadino, coinvolto nel problema amministrativo, l’accesso al fascicolo che lo
riguarda e il principio di
partecipazione mediante la previsione
del diritto ad essere ascoltato. Infine, viene riconosciuta la pretesa al
risarcimento per danni causati agli individui dalle Istituzioni comunitarie nell’esercizio
delle loro funzioni, riconoscendo, con questa prescrizione, un’amministrazione
responsabile del proprio operato.
Qualche ulteriore riflessione merita la comprensione del
significato e del valore da attribuire all’accezione “equità” presente nell’articolo
41, primo comma della Carta: «ogni individuo ha “diritto” a che le questioni
che lo riguardano vengano trattate in modo equo e imparziale».
L’equità ha un significato indeterminato sotto il profilo giuridico[47]. Alcuni ritengono che il diritto inteso
in senso oggettivo sia identificato con l’equità regolativo-costitutiva e che
il giudizio di equità sia del tutto fondato sul fatto. Perciò colui che formula
tale giudizio, in quanto ermeneuta del fatto, dà luogo ad «una procedura di
valutazione degli interessi intesa a stabilire fra essi il giusto
equilibrio», appunto l’equilibrio equitativo
fra interessi configgenti meritevoli di tutela[48].
L’equità soddisfa le richieste di uniformità e poiché appare
intrinsecamente flessibile consente di andare incontro ai variabili bisogni dei
cittadini.
Queste ultime considerazioni mostrano che la previsione dell’equità
come categoria di giudizio da applicare alle decisioni amministrative che
riguardano l’individuo è in sintonia e in armonia con le caratteristiche del
sistema giuridico comunitario.
Nell’ordinamento interno, per quanto attiene all’amministrazione e
alla sua attività, nella Costituzione e nella l. n. 241 del 90, che pure dedica
un intero capo ai principi che attengono all’attività amministrativa, non si
pone l’equità fra i criteri e/o principi cui deve attenersi l’agire
dell’amministrazione. Nella Carta europea, invece, essa non solo è nominalmente
prevista ma è posta come una pretesa del cittadino nei confronti dell’Istituzioni
e degli organi comunitari.
Tale concetto sotto il profilo giuridico è caratterizzato da
indeterminatezza. Quindi, in riferimento all’azione e alla decisione
dell’amministrazione, esso può intendersi in modi differenti che si possono
sintetizzare[49]
nell’«equità procedurale» nell’«equità
proporzionale» e nell’«equità regolativa-ordinatrice».
L’equità procedurale attiene ad una decisione esito di una
procedura alla quale è garantita al cittadino la partecipazione in qualità di
contraddittore; l’equità proporzionale riguarda una decisione che è idonea,
necessaria e adeguata in relazione alla cura dell’interesse pubblico e che
comporta il minor sacrificio possibile degli interessi dei privati coinvolti
nella soluzione del problema amministrativo; l’equità regolativa-ordinatrice è
criterio che ordina la scelta del mezzo nei confronti del quale è riconosciuto
all’amministrazione un potere discrezionale. Conseguenza di quest’ultimo
approccio nei riguardi dell’equità è che ad essa viene conferita una portata
estensiva: «da controllo della giusta misura in cui viene esercitato il potere»[50], a «elemento condizionante la scelta del
mezzo da utilizzare»[51].
Sarà necessario attendere quale di questi significati, qui
sinteticamente indicati, verrà accolto. Attualmente si può tranquillamente
affermare che “l’equità procedurale” avrà minor fortuna in quanto l’articolo 41
al numero 2 prevede espressamente la pretesa al contraddittorio. Il secondo
significato rende espresso il principio di proporzionalità[52] che è già presente nell’ordinamento
comunitario e in quello interno; il terzo avrebbe importanza significativa
soprattutto nell’ordinamento nazionale perché comporterebbe l’esercizio del
potere da parte dell’amministrazione solo in via residuale.Ciò avviene quando,
appunto in ragione dell’equità, il mezzo paritario e consensuale non può essere utilizzato[53].
L’influenza di tale significato nel nostro sistema amministrativo darebbe luogo
ad un rafforzamento e ad una definizione più nitida dei contorni ancora sfumati
e in divenire del rapporto cittadino-amministrazione improntandolo ad un
dialogo paritario e costruito a misura dell’individuo.
La necessità del superamento della posizione di supremazia
dell’amministrazione nel suo rapporto con il privato è oggetto di continuo dibattito e riflessione da parte della
dottrina amministrativa anche più recente[54]. Essa è giunta a costruire questo rapporto riscrivendolo secondo una
prospettiva del tutto diversa[55] perché
in un contesto assolutamente nuovo individuato in un’«arena pubblica», ove «non
vi è un principio ordinatore, e i rapporti si modificano, i ruoli si scambiano e i principi sono soggetti a una sorta di commercio»[56]. Rilevanti esiti conseguono
nell’ordinamento interno nel cui ambito è particolarmente sentita la necessità
di ricostruire il rapporto cittadino-amministrazione su basi paritarie e la
dottrina è impegnata nel prospettare soluzioni che superino il modello
tradizionale. Significativi effetti si riverberano in quello comunitario
attraverso l’uso di tale ultima interpretazione dell’equità. Infatti, essa
rafforza la configurazione del modello di rapporto cittadino-amministrazione
improntato tendenzialmente alla parità, ribaltando la prospettiva tradizionale.
Modello che ben si armonizza con la complessiva impostazione antropocentrica
dello statuto del rapporto cittadino-amministrazione quale emerge dalla Carta e
che è tendenzialmente già presente nell’ordinamento comunitario,
particolarmente attento alle ragioni dell’individuo anche a causa del solco
della tradizione liberale sulla quale si muove
fin dalle sue origini e che delimita
l’area del potere amministrativo.
4. – Dai principi generali del diritto
comunitario allo statuto giuridico del rapporto cittadino-amministrazione tra
diritto interno e diritto comunitario
Il dibattito intorno alla cittadinanza europea è a tutt’oggi
aperto. Non è questa l’occasione per affrontarlo in maniera approfondita ma
certamente è opportuno porre in evidenza alcuni dei rilievi critici della
dottrina intorno alla “gracilità” dello status di cittadino europeo[57]. Si ritiene, infatti, che tale status
finisca per sminuire il principio di non discriminazione
in ragione dell’appartenenza ad una nazione, cosa che finora ha consentito alle
Istituzioni di far rispettare l’interesse comune. Tali rilievi, inoltre,
mostrano gli aspetti negativi della mancanza di un etnos di riferimento.
La separazione della cittadinanza dalla nazionalità che è
connaturata allo status di cittadino europeo, per sua natura duale, pone il
problema dell’indebolimento delle garanzie degli individui. Assumono rilevanza , allora, le modalità di
costruzione dello spazio giuridico comune, mediante l’originale opera della
Corte, e l’individuazione dell’elemento ordinatore del processo di
integrazione.
Si è posto in luce che tale processo non è frutto di una
trasposizione di principi ed istituti dagli ordinamenti degli Stati membri in
quello comunitario bensì di una
riflessione critica delle loro tradizioni giuridiche volta ad esaltarne i valori comuni. Inoltre, poiché l’integrazione
degli ordinamenti segue soprattutto la via amministrativa, l’obiettivo è
l’elevazione dei principi e delle pretese comuni al rango di
“garanti” dell’azione degli apparati comunitari e di quelli interni.
Principi e pretese, nel contesto del sistema giuridico europeo,
acquistano maggiore rilievo rispetto agli ordinamenti nazionali perché
pertengono ad un sistema giuridico di un’Unione senza etnos. Essi perciò
potrebbero rappresentare lo strumento per andare oltre l’Europa degli
Stati-Nazione in quanto costituiscono le fondamenta sulle quali costruire una comune identità e un comune sentire e per superare
l’indebolimento delle garanzie degli individui. Essi sembrano porsi come un
doppio vincolo per l’amministrazione la quale nello snodarsi della sua attività
incontra il limite delle pretese e il vincolo dei principi.
Si è detto che in questo contesto assume un ruolo significativo la
Corte di giustizia[58]. Essa è la protagonista dell’integrazione
degli ordinamenti attraverso i principi[59]
ed è l’originale costruttrice dei legami, delle connessioni e dei rapporti
giuridici fra l’ordinamento europeo e le plurisoggettività di riferimento[60].
L’art. 288 del Trattato ha originato una giurisprudenza in tema di
principi generali che la stessa Corte «ha invocato quali parametri della
legittimità determinanti per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri»[61].
Tale organo fin dai primi anni ’70, si riconosce competente a “vigilare”[62]
sul rispetto dei diritti fondamentali[63].
Il sistema giuridico comunitario che disciplina e garantisce le
quattro libertà fondamentali, come si rileva dalla giurisprudenza della Corte
di giustizia a partire dagli anni novanta[64],
non è utilizzato a tutela delle discriminazioni in ragione della nazionalità ma
gli stessi cittadini se ne servono per sottrarsi all’applicazione delle norme
del proprio Stato[65].
Il modello giuridico europeo del rapporto cittadino-amministrazione,
già disegnato in via tendenziale dalla giurisprudenza della Corte, la quale
individua i principi strumentali alle pretese , emerge dalla Carta dei
diritti in una prospettiva rovesciata
rispetto a quella tradizionale perché appare modellato intorno all’individuo.
L’amministrazione, come organizzazione e come attività, così, ha
l’obbligo di essere equa, imparziale, accessibile, responsabile, affidabile
etc. quando entra in rapporto giuridico con il cittadino. In tal modo i
principi diventano relazionali e rappresentano una risposta del legislatore
comunitario all’apertura degli Stati, all’amministrazione multilaterale,
all’informalità del procedimento sempre più negoziato, all’assolutezza del mercato
e alla concorrenza delle merci. Il principio della concorrenza, ordinatore
della globalizzazione dei mercati, si confronta con le pretese del cittadino
che costituiscono il fulcro sul quale si sta costruendo lo spazio giuridico
europeo. In questa prospettiva
antropocentrica del rapporto giuridico cittadino-amministrazione-complessa,
così come emerge in via tendenziale dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia e come si rileva dalla lettura dell’articolo 41 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione, il
ruolo dell’amministrazione è strumentale, di garante della cura e della
soddisfazione delle pretese dell’individuo.
La misura della convergenza con il sistema amministrativo interno
si evidenzia in relazione alla prospettazione data dalla Carta al rapporto
giuridico amministrazione-cittadino. Essa edifica tale rapporto partendo da una
prospettiva rovesciata rispetto a quella tradizionale che pone
l’amministrazione come autoreferente. Ottica che, in verità, emerge già dal
confronto con la lettura dell’articolo 97 della Costituzione e con la legge
241/90. Tale articolo infatti pone le
garanzie costituzionali dell’amministrazione, (anzi letteralmente
dell’organizzazione dell’amministrazione) nei confronti del potere politico
nella parte dedicata al governo e non le inserisce in quella che ha per oggetto
gli individui, le garanzie delle
libertà e dei diritti fondamentali.
L’imparzialità del «fenomeno amministrativo, …dunque … si presenta in una visione autoreferenziale»[66].
La prospettiva sulla
quale la Costituzione si pone per edificare il rapporto giuridico
fra cittadino e amministrazione
quindi è quella di un’amministrazione come potere e che assume l’imparzialità
come regola del suo esercizio[67]. In questa costruzione il cittadino e
le sue pretese sono strumentali all’esercizio di tale potere e alla cura
dell’interesse pubblico che diviene il perno
intorno al quale costruire tale rapporto.
La Costituzione in una visione complessiva, però, consente una
prospettiva differente perché permette
una costruzione antropocentrica ove l’amministrazione, non è solo potere[68],
ma acquisisce un ruolo di servizio per il
cittadino.
La stessa legge 241/90 pur presentando segni eloquenti di questa
visione e ancorché intervenga in maniera significativa in punti problematici e
critici dello stesso sistema di diritto
amministrativo[69], tuttavia, non ammettendo il contraddittorio
orale del cittadino nel procedimento, non coglie l’occasione di ribaltare senza equivoci la prospettiva del
rapporto giuridico cittadino-amministrazione.
Nella Carta dei Diritti invece tale rapporto è costruito sulle
pretese del cittadino. Esso è edificato in una visione tendenzialmente
antropocentrica dove l’amministrazione ha un ruolo strumentale nei confronti
del singolo e delle sue pretese perché quando eroga servizi o quando svolge
funzioni, costui è al centro dell’agire dell’amministrazione.
Quest’ultima così tende a sfumare e a perdere progressivamente la
sua posizione di supremazia in vista di un rapporto paritario. Tale rapporto è
coerente con il principio di responsabilità
in quanto pone fra le pretese del cittadino il risarcimento per danno
causato dalle Istituzioni e dai suoi agenti nello svolgimento delle funzioni
(art. 41 n. 3)[70]. La legge n. 241/90 segna un differente
punto di partenza rispetto alla prospettazione fino ad allora dominante del
rapporto cittadino- amministrazione (di cui si è accennato); è da questa
disciplina che è necessario partire per ricostruire tale rapporto nel nostro
ordinamento e per comprendere i successivi interventi legislativi tutti volti a
un tale rinnovamento.
Le norme in essa contenute fanno propria l’idea di amministrazione
come attività regolata e strutturata secondo l’imparzialità e il buon
andamento, organizzata e volta alla concretizzazione degli scopi determinati
dagli atti di indirizzo politico e dalle norme: è questa l’amministrazione di
risultato.
Il vincolo di scopo caratterizza l’amministrazione così come emerge dalla legge sul procedimento e dalle
altre leggi che da questa si dipartono.
Questa nuova prospettazione
dell’attività amministrativa implica una rifondazione sostanziale del rapporto
cittadino-amministrazione: «Gli scopi a cui l’amministrazione è ordinata
corrispondono ad altrettanti interessi, utilità, beni della vita del cittadino»[71]. Tale aggiuntiva e nuova visione
comporta una prospettiva interamente ribaltata in riferimento a quella
tradizionale. Per alcuni[72]
essa riduce l’amministrazione come potere e pone l’accento sull’amministrazione
come strumento per soddisfare gli interessi dei cittadini, per conseguire un
risultato. Per altri[73] «potere e il suo esercizio vengono a
porsi come adempitivi di diritti e …si intrecciano, e sono strumenti per conseguire un risultato». Da tali prospettazioni, se pur
differenti, emerge comunque la visione di un’amministrazione rinnovata in quanto è ordinata come
servizio. Da essa i cittadini si aspettano beni, utilità, soddisfazione dei
propri interessi che costituiscono lo scopo, il risultato da conseguire per
l’azione amministrativa:
l’amministrazione si configura così come pretesa. In questa visione si combinano
i principi della funzione contenuti nell’articolo 97 della Costituzione «che si
traduce in un catalogo di doveri/diritti»[74]. La legge 241 deve essere letta in
questa prospettiva, cioè come insieme di norme che esplicitano i principi della funzione che si traducono in
altrettanti doveri per l’attività amministrativa e ai quali corrispondono
altrettante pretese dei privati quando entrano in rapporto con l’amministrazione
attraverso il procedimento. In essa e nelle
leggi successive inizia ad emergere lo statuto giuridico del cittadino
nel suo rapporto con l’apparato amministrativo sia in relazione
all’amministrazione intesa come potere-funzione sia in rapporto a quella intesa
come erogatrice di servizi.
La rilevanza giuridica dell’attività amministrativa mediante il
vincolo di scopo[75] fa emergere al giuridicamente rilevante
il risultato dell’agire amministrativo già a partire dalla legge 241 divenendo, così, «l’altra faccia del
rapporto di responsabilità sostanziale»[76].
Tale statuto giuridico che è ancora in cammino ma del quale i
“solchi” sono stati già tracciati dalla legge n. 241 e dai successivi
interventi del legislatore, si pone in coerenza con l’amministrazione di
risultato che esalta le garanzie del cittadino.
Attualmente, a seguito della riforma del titolo V della
Costituzione che ha dato vita ad un nuovo ordine costituzionale cioè ad un
policentrismo, anche se ancora imperfetto, vi è necessità di trovare un’unità
del sistema amministrativo.
Pur nell’ambito di un suo necessario riassetto, tale unità è
individuata nel risultato perché l’amministrazione, come potere e come
servizio, agisce e contribuisce a conseguire ed assicurare tale medesimo
obiettivo. Questa considerazione ha il suo fondamento in una lettura dell’art. 97 della Costituzione che
compone i due principi fondanti dell’azione
e dell’organizzazione amministrativa ritenendoli comuni per
l’amministrazione come potere funzione e come servizio.
I principi che governano l’amministrazione di risultato, presenti
già nella legge 241, cioè pubblicità, certezza e celerità
partecipazione e comunicazione, motivazione e responsabilità, devono essere più
articolati, affinati e resi coerenti con quelli più pertinenti
all’amministrazione come servizio. Essa ne pone in risalto la qualità: ne sono esempio
le carte dei servizi che «collegano qualità del servizio con responsabilità»[77].
Si è detto[78] che nello spazio giuridico europeo la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione consente a tale ordinamento
sovranazionale di trovare la sua unità in un sistema di principi a cui sono
speculari altrettante pretese del cittadino. La Carta, infatti, all’articolo 41 fonda sulle pretese del singolo
nei confronti delle Istituzioni e degli organi comunitari l’unità del sistema
giuridico. Tale documento basa l’unità del sistema sui diritti di cittadinanza,
cioè su quelli che il cittadino vanta nei confronti dell’amministrazione e,
specificamente, l’articolo 41, titolato «diritto alla buona amministrazione»,
enuncia un catalogo di pretese[79].
Si è detto che l’esercizio del potere ha un ambito sempre più angusto (si pensi alla d.i.a. e al
silenzio assenso come esempi della progressiva riduzione degli spazi riservati
all’esercizio del potere). Contemporaneamente e anche in forza dello Stato aperto, si amplia l’ambito dell’amministrazione
intesa come servizio e volta al risultato. Il singolo con le sue pretese,
significativamente poste fra i diritti di cittadinanza, condiziona l’agire
amministrativo. In esso l’esercizio del potere non occupa più una posizione
centrale ma sono le pretese del cittadino, i suoi diritti fondamentali che
vincolano e limitano l’azione dell’amministrazione a cui essa deve conformare
il suo agire: il cittadino è al centro dell’azione amministrativa.
Costui mostra nel rapporto con l’amministrazione il suo bagaglio di
pretese che, speculari ai principi generali dell’ordinamento comunitario,
costituiscono il corpus di quelle garanzie comuni che ogni individuo può far
valere nei confronti delle Istituzioni e degli organi comunitari e nazionali e
in relazione al quale l’amministrazione non può disporre. Dunque lo statuto
giuridico del rapporto amministrazione-individuo viene costruito nella prospettiva
del singolo in quanto cittadino e in funzione delle sue ragioni-pretese.
Nel nostro ordinamento già la legge 241 mostra evidenti segnali in
relazione all’attività amministrativa orientata alla centralità
dell’individuo. Ha fatto
emergere,infatti, al giuridicamente rilevante lo scopo dell’attività
amministrativa e quindi l’amministrazione di risultato.
Il cammino è certamente ancora lungo anche se pare segnato da “quei
valori”, da “quei principi” e da “quei diritti di cittadinanza” che, in quanto
comuni a tutti gli individui, possano valere nei confronti del policentrismo istituzionale. Le garanzie che vanta
il singolo nei confronti dell’amministrazione multilaterale consentono quella
cornice di unità di cui necessita tale policentrismo. Esse costituiscono il
contenuto del rapporto giuridico cittadino-amministrazione formato da principi
e pretese del tutto speculari dalle quali originano obblighi e diritti che
vincolano, limitano e conformano l’organizzazione e l’attività dell’amministrazione
ponendosi in coerenza con il rapporto di responsabilità che lega tali soggetti.
Lo statuto del cittadino, inaugurato dalla legge 241/90, deve
essere portato avanti ed affinato, sempre nella prospettiva
dell’amministrazione di risultato in quanto quest’ultima consente la scrittura
di uno statuto unitario armonizzandolo con l’amministrazione multilaterale e
con il nuovo processo amministrativo che è volto primariamente a far conseguire
la pretesa sostanziale al ricorrente in applicazione del principio di
effettività di origine comunitaria. Tale statuto è coerente con il principio di sussidiarietà nel quale trova fondamento
e del quale rappresenta un’articolazione
e pare teso a convergere con quello presente nello spazio giuridico europeo
disegnato dall’articolo 41 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali,
ponendosi come comune denominatore per i cittadini europei.
Le ricadute nella dimensione strettamente amministrativa, una volta
calibrato lo statuto del rapporto giuridico cittadino-amministrazione intorno
al singolo e alle sue pretese, non sono di poco conto. Lo stesso principio di
eguaglianza, infatti, nella sua articolazione intesa come divieto di discriminazione, appare in
un’ottica nuova perché si esplicita nella legittimazione per l’individuo a
ricercare le norme ad esso più favorevoli[80].
La previsione di un’amministrazione responsabile del suo agire , quindi tenuta
al risarcimento dei danni causati dall’esercizio illecito o illegittimo della
funzione, predilige la condanna dell’amministrazione alla reintegrazione in
forma specifica e conforma il modello del processo amministrativo che già
emerge dalla disciplina contenuta nella legge n. 205 del 2000, sempre più come
un giudizio di spettanza[81].
Infine i principi che presiedono alle modalità di formazione della decisione
sono imperniati sul cittadino.
Il principio del diritto di difesa,
infatti, si applica nel procedimento attraverso la previsione della partecipazione
dei soggetti coinvolti nel problema amministrativo attraverso il
contraddittorio orale; il principio di trasparenza si articola nel diritto di
accesso al fascicolo che riguarda il soggetto coinvolto dall’azione amministrativa
nel rispetto della riservatezza e del segreto; il principio dell’obbligo di
motivazione delle decisioni è inteso come causa di giustificazione della
decisione presa da parte dell’amministrazione e ai fini di una miglior garanzia
della tutela delle situazioni coinvolte da tale attività. La stessa struttura
del procedimento amministrativo, conformata sul cittadino come soggetto
ordinatore, assume forme più flessibili mediante l’abbandono della tipicità a
favore dell’utilizzo di strumenti consensuali e negoziali, la cui struttura
sempre più informale consente di improntare su base paritaria il rapporto
cittadino-amministrazione, limitando l’ambito della supremazia di quest’ultima.
Inoltre, il principio di certezza del diritto si esplicita nella certezza in
relazione al tempo dell’azione, cioè
nella certezza del termine ragionevole in cui l’amministrazione perverrà alla
decisione e che la legge n. 59/97 tutela prevedendo un indennizzo forfetario
per violazione del termine di conclusione del procedimento. Il principio di
equità e di proporzionalità applicati alla procedura e alla decisione, una
volta calibrati sul cittadino, si mostrano sotto una nuova veste. L’equità si
pone come parametro della scelta del mezzo che l’amministrazione può utilizzare
per risolvere il problema amministrativo[82].
La necessarietà che è una delle articolazioni della proporzionalità,
tradizionalmente misura dell’esercizio del potere discrezionale[83], diviene parametro della scelta, oltre che
del “come”, anche del “se” esercitare il potere[84].
L’imparzialità e il buon andamento si combinano per «trovare un
catalogo di diritti/doveri»[85]
nel rapporto cittadino-amministrazione la quale diviene responsabile del
risultato della sua azione. Infine il principio dell’affidamento rappresenta la
certezza della garanzia della tutela delle aspettative del cittadino in buona
fede.
[1] L. Azzena, L’integrazione
attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, Torino 1998,
11; cfr. più in generale, P. Caretti, I
diritti fondamentali nell’ordinamento nazionale e nell’ordinamento comunitario:
due modelli a confronto, in Diritto
pubblico 3, 2001, 939 ss.; Le libertà e i diritti nella prospettiva
europea, Atti della giornata di studio in memoria di P. Barile, Padova
2002; La tutela multilivello dei diritti,
a cura di P. Bilancia e E. De Marco, Milano 2004.
[2] Cfr. Corte di giustizia, sent. 12.11.1969, in C-29/69, in
www.europa.eu.int; Corte di giustizia, sent. 17.12.1970, in C-11/70, in
www.europa.eu.int; Corte di giustizia, sent. 4.10.1980, in C-44/79, in
www.europa.eu.int; e da ultimo, Corte di giustizia, sent. 2.10.2003, in C-
232/01, www.europa.eu.int.
[3] S. Rodotà, La Carta come
atto politico e documento giuridico, in
Riscrivere i diritti in Europa, (a cura di) A. Manzella, P. Melograni, E.
Paciotti, S. Rodotà, Bologna 2001, 57 ss.
[4] A. Manzella, Dal mercato ai
diritti, in Riscrivere i diritti in Europa,
cit., 33.
[5] Cfr. Corte di giustizia, sent. 12.11.1969, in C-29/69, Sauder
cit., in www.europa.eu.int.
[6] Corte di giustizia, sent. 12.11.1969, in C-29/69, in
www.europa.eu.int; L. Azzena, L’integrazione
europea attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, cit.,
Torino 1998, 11, «… L’estensione del
diritto comunitario oltre i confini prestabiliti dal Trattato, … la tendenza ad
abbracciare tutti quei settori che normalmente costituiscono la sfera di
interesse degli ordinamenti di tipo statuale, … infatti, non poteva procedere
disgiuntamente dalla tendenza all’attribuzione di un ruolo centrale
all’individuo e ai suoi diritti, che in ogni ordinamento statuale di
derivazione liberale rappresenta, in definitiva, il fulcro...» .
[7] L. Azzena, L’integrazione
europea attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo,
cit., 12.
[8] Cfr. infra; L. Azzena, L’integrazione attraverso i diritti. Dal cittadino
italiano al cittadino europeo, cit., 12: «… una sorta di rivoluzione
copernicana, ribaltando l’impostazione del Trattato di Roma in cui l’individuo,
considerato come un mero fattore di produzione, era ignorato se non nella
misura in cui l’attribuzione di diritti individuali risultasse strumentale alla
realizzazione del mercato comune». Ancora sul tema cfr. S. Battini, Amministrazione senza stato. Profili di
diritto amministrativo internazionale, Milano 2003, part. 271.
[9] La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata
oggetto di dibattito fin dal suo affacciarsi nella scena europea da parte della
dottrina, ex multis cfr. E.
Cannizzaro, Convenzione europea e Titolo
V della Costituzione italiana: spunti critici, in Il diritto dell’Unione Europea, n. 1/2003, 3 ss.; A. Zito, Il “diritto ad una buona amministrazione”
nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’ordinamento
interno, cit., 425 ss.; A. Weber, Il
futuro della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2002, 31 ss.; Riscrivere i diritti in Europa, (a cura di) S. Rodotà, A. Manzella,
E. Paciotti, cit.; Gli scritti su “La
Carta europea dei diritti”, in Riv.
it. dir. pubbl. com., n. 1, 2001 (U. De Siervo, V. Atripaldi, G.G.
Floridia, A. Giovannelli, M. Luciani, S. Mangiameli, E. Pagano, A. Ruggeri, R.
Toniatti); U. De Siervo, L’ambigua
redazione della Carta dei dritti fondamentali nel processo di
costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Dir. pubbl., 2001, 33; R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura
di), L’Europa dei diritti, cit.; L.
Torchia, Una Costituzione senza Stato,
in Dir. pubbl., 2001, 405; L. Azzena, Giudice comunitario e la carta dei diritti fondamentali dell’Unione,
nota a Conclusioni dell’Avvocato Generale
Tizzano, in Corte di giustizia, sent. 8.2.2001, in C-173/99; L. Ferrari Bravo, La tutela dei diritti in Europa, in Eur. e dir. priv., 2001, 37; C. Zanghi, Prime osservazioni sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, in Riv. coop. giur. int.,
n. 7, 2001, 12 ss.; A. Spadaro, La Carta europea dei diritti, fra identità e
diversità, fra tradizione e secolarizzazione, in Dir. pubbl. com. eur., 2001, 621;
G.F. Ferrari (a cura di), I diritti
fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Milano 2001; S. Bartole, La cittadinanza e identità europea, in Quaderni costituzionali, aprile, 2000,
n. 1, 39; A. Barbera, Esiste una Costituzione in Europa, cit.,
59; M. Dogliani, Revisione dei
Trattati o processo costituente, in Questione
Giustizia, n. 2, 2000, 310; M.
Dogliani, Revisione dei Trattati o
processo costituente, in Questione
Giustizia, n. 2, 2000, 310; I.
Pernice, Una Carta dei diritti per l’Unione europea, DVBL, Berlin, 15-6,
2000, 847; S. Della Valle, Oltre la cittadinanza. Considerazioni sulla
dimensione dei diritti e sui
presupposti normativi della loro
attuazione, in Teoria politica,
XVI, n. 1, 2000, 53; L. Azzena, Catalogo dei diritti e costituzione europea,
relazione del gruppo di esperti in materia di diritti fondamentali (Comitato
Simitis), in Il Foro It. 1999, V, 342.
[10] Si vuole porre in evidenza che in questa sede non si affronta il
problema della natura giuridica di tali pretese, pur nella consapevolezza dell’importanza
di tale problematica sotto il profilo dogmatico, perché estenderebbe l’ambito
di questa nostra riflessione.
[11] R. Bifulco, Art. 41, in L’Europa dei diritti, cit., 285.
[12] Cfr. A. Manzella, Dal
mercato ai diritti, cit., 29 ss.; U. De Siervo, L’ambigua redazione della Carta dei diritti fondamentali nel processo
di costituzionalizzazione dell’Unione europea, cit., 33 ss.; G. Sacerdoti, La
Carta dei diritti fondamentali: dall’Europa degli stati all’Europa dei cittadini, in Dir.
pubbl. comp. eur., 2000, 1398 ss.; in merito al valore politico della
Carta, cfr. S. Rodotà, La Carta come atto
politico e documento giuridico, cit., 57 ss.; G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione europea,
Bari 2004 con scritti di : Armin von Bogdandy, L’europeizzazione dell’ordinamento giuridico come minaccia per il
consenso sociale; U. De Siervo, I
diritti fondamentali europei e il
diritto costituzionale italiano (a proposito della Carta dei diritti
fondamentali); D. Grimm, Il
significato della stesura di un catalogo europeo dei diritti fondamentali
nell’ottica della critica delle ipotesi di Costituzione europea.
[13] Cfr. M. Cartabia, Ambito di
applicazione. Art. 51, in L’Europa dei diritti, cit., 345.
[14] Aristotele, La metafisica,
Bari 1965, traduzione e note a cura di A. Carlini.
[15] In tema di convergenza del diritto amministrativo interno con
quello comunitario, per un inquadramento generale dei rapporti fra ordinamenti
cfr. N. Luhmann, I diritti fondamentali
come istituzione, Bari 2002; si rimanda inoltre alla bibliografia citata
nella nota n. 10 del capitolo I. Cfr. ex
multis, C. Franchini, E. Chiti, Integrazione
europea, cit.; G. Della Cananea, L’Unione
europea, cit.; F. Astone, Le amministrazioni
nazionali nel processo di formazione e attuazione del diritto comunitario,
cit.; R. Caranta, La giustizia
amministrativa comunitaria, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, tomo IV, Milano 2000, 3749 ss.;
A. Airoldi, La tutela dinanzi alla
giurisdizione amministrativa europea, Torino 1999; Armin von Bogdandy, L’europeizzazione dell’ordinamento giuridico
come minaccia per il consenso sociale, cit., 272 ss.; P. Mengozzi, L’applicazione del diritto comunitario e
l’evolversi della giurisprudenza della Corte di giustizia nella direzione di
una chiamata dei giudici nazionali ad assicurare una efficace tutela dei
diritti da esso attribuiti ai cittadini degli Stati Membri, in Diritto amministrativo comunitario, a cura di L. Vandelli, C. Bottari, D.
Donati, Rimini 1994, 29 ss.
[16] Per tutti cfr. F. Roversi Monaco, Prefazione a un diritto amministrativo comunitario, cit., 13 ss.
[17] Cfr. in tal senso F. Astone, Integrazione
giuridica europea e giustizia amministrativa, Napoli 1999, 14 ss. Sul rapporto fra principi
espressi nella Carta dei Diritti e principi in vigore nell’ordinamento
comunitario cfr. A. Panebianco (sotto la direzione di), Repertorio della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
Milano 2001; A. Ruggero, Il bilanciamento
degli interessi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
Padova 2004.
[18] Cfr. infra.
[19]Cfr. in particolare A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., part. 121,
nota 200; L. Azzena, L’integrazione
attraverso i diritti, cit., 235. Sui metodi utilizzati dalla Corte cfr.
anche T. Ballarino, Manuale di diritto
dell’unione europea, Padova 2001, 210 ss. Sull’azione della Corte fra
strategia dell’armonizzazione e mutuo riconoscimento cfr F. Astone, Integrazione giuridica europea e giustizia
amministrativa, Napoli 1999, 47
ss.
[20] Cfr. G.D. Falcon, Dal
diritto amministrativo nazionale al diritto comunitario, cit., 359.
Sull’uso del metodo comparativo della Corte cfr. M.P. Chiti, I signori del diritto comunitario: la Corte
di giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, cit., 813.
[21] In riferimento ai principi generali comuni degli Stati membri
cfr. G. Tesauro, Diritto comunitario,
cit., part. 87 ss. Sulle tradizioni costituzionali comuni cfr. L. Azzena, L’integrazione attraverso i diritti, cit.,
part. 109.
[22] Cfr. in tal senso F. Astone,
Integrazione giuridica europea e giustizia amministrativa, cit., 14.
[23] Sulla «realizzazione di un circuito integrato» tra giudici nazionali
e la Corte di giustizia, cfr. M.P. Chiti, I
signori del diritto comunitario:la Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto
amministrativo europeo, cit., 829. Più in generale cfr. F. Astone, Integrazione giuridica europea e giustizia
amministrativa, cit., 14: «vista la sempre maggiore incidenza del diritto
comunitario è risultato via via sempre più difficile disconoscere la presenza
giuridica di un complesso di principi di diritto comunitario»; F. Astone, Riforma della p.a. e ordinamento comunitario,
cit., 47. Sulla consistenza dell’integrazione misurabile in via direttamente
proporzionale alla capacità di intervento manifestata nei settori più disparati
cfr. anche S. Cassese, Il diritto
comunitario e la sua influenza sulle amministrazioni nazionali, cit., part.
23 ss. e 28.
[24] Sul tema cfr. infra.
[25] Cfr. A. Zito, Il “diritto ad
una buona amministrazione” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea e nell’ordinamento interno, cit., 425 ss. e 430-432.
[26] F.G. Scoca, Attività
amministrativa, ad vocem, cit., 75 ss. e part. 99 ss.; G. Pastori, La disciplina generale dell’azione
amministrativa nell’odierno quadro costituzionale, cit., 35.
[27] Cfr. infra.
[28] In relazione alle modalità attraverso le quali i principi
dell’ordinamento si integrano in quelli nazionali cfr. G.D. Falcon, Giustizia
comunitaria e giustizia amministrativa, in Diritto comunitario, (a cura di) L. Vandelli, D. Donati, C.
Bottari, cit., 271 e part. 295 ss.; in tal
senso cfr. G.D. Falcon, La tutela
giurisdizionale, in Trattato di diritto
amministrativo comunitario, cit., 333 ss. Tali considerazioni possono
estendersi a tutti gli altri principi che la Corte considera “comuni”: in
proposito, cfr. infra.
[29] Cfr. Corte di giustizia, sent. 19.6.2003, in C-34/02, in www.europa.eu.int.
[30] «Il principio di equivalenza esige che le modalità procedurali di
trattamento di situazioni che trovano la loro origine nell’esercizio di una
libertà non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative al trattamento di
situazioni puramente interne» cfr. sul punto Corte di giustizia, sent.
10.7.1997, in C-261/95, in Racc.
1997, I, 4025 e part. punto 27 e Corte di giustizia, sent. 15.9.1998, in
C-231/96, in Racc., I, 4951, part.
punto 34: «il principio di effettività impone che le modalità procedurali non
rendano impossibili o difficili eccessivamente l’esercizio dei diritti
comunitari».
[31] Cfr. infra.
[32] Cfr. G.D. Falcon, Dal
diritto amministrativo nazionale al diritto comunitario, cit., 1991, 359:
nel diritto comunitario « …i concetti e i problemi sono in larga misura, gli
stessi: ma le regole e i principi si esprimono in modi che risultano diversi da
quelli nazionali».
[33] Cfr. sulla configurazione delle relazioni fra ordinamenti “a rete”
S. Cassese, La crisi dello Stato,
cit., 72 ed anche 131.
[34] Sul ruolo
collaborativo dei giudici nazionali cfr. F. Astone, Integrazione giuridica europea e giustizia amministrativa, cit., 49
ss.
[35] Cfr. infra.
[36] F. Mancini, Attivismo e
autocontrollo nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Riv. dir. eur., 1990, 229 ss.
[37] L. Azzena, L’integrazione
attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, cit.,
part. 149 ss.
[38] Vedi infra.
[39] Cfr. L. Azzena, L’integrazione
attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, cit.,
233 ss.
[40] G.D. Falcon, Giustizia
comunitaria e giustizia amministrativa, cit., 271 ss.; L. Azzena, L’integrazione
attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, cit.,
173: «una delle cause di tale ambiguità è costituita dalla mancata
delimitazione del potere normativo nei confronti del potere amministrativo,
che, riflettendosi sul sistema delle fonti del diritto, finisce inevitabilmente
per ripercuotersi sul sistema del controllo giudiziale degli atti, nonché, in
definitiva, sulla tutela dei diritti individuali» .
[41] F. Astone, Integrazione
giuridica europea e giustizia amministrativa, cit., 49 ss.
[42] F. Astone, Integrazione
giuridica europea e giustizia amministrativa, cit., 44.
[43] Cfr. Corte di
giustizia, sent. 24.11.1998 in C-274/96, in www.curia.eu.int e
già Corte di giustizia, sent. 2.2.1989, in C-186/87, Cowan, in
www.curia.eu.int: la Corte di giustizia ritiene che il diritto del cittadino di
uno Stato membro alla libera circolazione nell’ambito dei territori degli Stati
membri della Comunità sussista in quanto cittadino comunitario e perciò
indipendentemente dalla sua eventuale qualità di lavoratore autonomo o
subordinato, ritenendo ininfluenti per risolvere il caso concreto gli artt. 48 ss. e gli artt. 59 ss. Trattato CE
[44] Cfr. A. Massera, L’amministrazione
e i cittadini nel diritto comunitario, cit., 24: «parità da intendersi non
tanto come uguaglianza di poteri, quanto piuttosto per un verso come assenza di
privilegi ingiustificati e per altro verso come uguale opportunità di avvalersi
del complesso dei poteri e delle facoltà che sono ascrivibili alle rispettive
sfere di autonomia». «…la
contrapposizione dicotomica autorità-libertà quale sintesi emblematica ma
soprattutto tendenzialmente esaustiva dell’essenza del rapporto amministrativo,
non riesce a soddisfare le pretese che il cittadino porta con sé e nel rapporto
con l’amministrazione»; G. Corso,
Amministrazione transnazionale. Normativa
comunitaria sul mercato e le sue conseguenze sul diritto amministrativo interno,
cit., in Tempo, spazio e certezza
dell’azione amministrativa, in Atti del XLVIII Convegno di studi di Scienza
dell’amministrazione, Milano 2003, part. 335-337. L’A. muove dalla
considerazione che il diritto amministrativo è un diritto essenzialmente
paternalistico perché i pubblici poteri sono onnipotenti in tutti gli istituti
fondamentali e nella vita dei cittadini; infatti molti dei loro bisogni sono
coperti da riserva di amministrazione. L’A. ritiene che proprio il diritto
comunitario abbia posto in discussione tale modello e abbia emancipato il
cittadino attraverso principi che condizionano l’attività amministrativa
riducendone l’ambito e la discrezionalità. La disciplina della denuncia di
inizio di attività e del silenzio assenso nel nostro ordinamento ne rappresentano
un esempio significativo.
[45] Il Trattato UE ha compiuto poi un ulteriore passo avanti nella
direzione già tracciata, laddove istituisce la “cittadinanza dell’Unione” con
riguardo a chiunque abbia la cittadinanza in uno Stato membro.
[46] Cfr. A. Massera, L’amministrazione
e i cittadini nel diritto comunitario, cit., 25. In tal senso cfr. anche S.
Cassese, La crisi dello Stato, cit.,
132 ss. Per un condizionamento della dimensione complessiva dell’attività
amministrativa cfr. G. Corso, Amministrazione
transnazionale. Normativa comunitaria sul mercato e le sue conseguenze sul
diritto amministrativo interno, cit., 351 ss.
[47] Cfr. ai fini di un percorso diacronico dell’accezione “equità” si
veda V. Varano, Equità ad vocem, in Enc. giur. Treccani, vol. XII, Roma 1989. Sul dibattito su tale
accezione applicata nel diritto amministrativo cfr. F. Merusi, L’equità nel diritto amministrativo secondo
Cammeo: alla ricerca dei fondamenti primi della legalità sostanziale, in Quaderni Fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno, 1993, 413.
[48] Cfr. G.M.Chiodi, Equità: La
regola costitutiva del diritto, Torino 2000, 241; in tema di equità da
ultimo cfr. G. Bottino, Equità e
discrezionalità amministrativa, Milano 2004.
[49] Cfr. quanto esposto in precedenza e cfr. G.M.Chiodi, Equità:la regola costitutiva del diritto, cit, 240.
[50] A. Sandulli, La proporzionalità
dell’azione amministrativa, cit., part. 372; D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato del
giudice amministrativo, cit.
[51] A. Zito, Il diritto “ad una
buona amministrazione” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
e nell’ordinamento interno, cit., 436.
[52] Cfr. infra.
[53] Cfr. il disegno di legge S1281B modifiche e integrazioni alla l.
legge 7 agosto 1990, n. 241 concernente norme generali sull’azione
amministrativa (approvato alla Camera dei Deputati, 14.1.2004).
[54] Il percorso compiuto dalla dottrina amministrativa in relazione a
tale tematica è particolarmente ricco di una copiosa bibliografia perché tale
tema in maniera incessante è stato fatto oggetto di dibattito da parte degli
studiosi del diritto amministrativo. Tale ragione non consente di darne conto
in questa sede. In una prospettiva di sintesi volta a percorrere gli snodi
fondamentali e significativi del pensiero giuridico teso a superare la
tradizionale impostazione di supremazia dell’amministrazione è sufficiente
evidenziare che esso passa da una ricerca di regole paritarie della dialettica
autorità-libertà, alla riscrittura di tale binomio su basi assolutamente differenti.
[55] Cfr. S. Cassese, L’arena
pubblica, Nuovi paradigmi per lo Stato, cit., 601 ss. e part. 607, oggi in
S. Cassese, La crisi dello Stato,
cit., 74 ss . Tale A. definisce il nuovo modello «arena pubblica» «…spazio che
non pregiudica la posizione dei soggetti che vi operano, …consente interscambi
di ruoli, modifiche di rapporti e di principi ordinatori che si commerciano».
[56] S. Cassese, La crisi dello
Stato, cit., 117 ss.
[57] Cfr. fra i tanti J.H.H. Weiler, The Constitution of Europe. “Do the new
clothes have an emperor” and other essays on European integration,
Cambridge University Press 1999.
[58] Fra i tanti, cfr. L’Europa
dei diritti, a cura di M.
Cartabia, R. Bifulco, A. Celotto, cit., 350-355.
[59] Cfr. S. Gambino, Il diritto
costituzionale europeo: principi strutturali e diritti fondamentali, in Costituzione italiana e diritto comunitario,
a cura di S. Gambino, Milano 2002, 26.
[60] Le disposizioni dei Trattati della Comunità costituiscono una base
legale sufficientemente chiara nel definire e delimitare le competenze della
Corte di giustizia, che è, appunto, chiamata ad assicurare «il rispetto del
diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente Trattato».
[61] Cfr. A. Adinolfi, I principi
generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti
degli Stati membri, in Riv. it. dir.
pubbl. com., 1994, 525 ss.; S.
Gambino, Il diritto costituzionale
europeo: principi strutturali e diritti fondamentali, in Costituzione italiana e diritto comunitario,
cit., 25 ss.
[62] Corte di giustizia, sent. 12.11.1969, in C-29/69, Stauder, cit.; Corte di
giustizia, sent. 17.12.1970, in C-11/70, cit.; Corte di giustizia, sent.
4.10.1980, in C-44/79, in www.europa.eu.int.
[63] In tema di diritti fondamentali si veda la sentenza fondamentale
già citata Stauder. Sempre in tema di tutela dei diritti fondamentali le
difficoltà sono accresciute dalla necessità di armonizzare i sistemi di civil law e quelli di common law, come peraltro già evidenziato
da G. Recchia, Corte di Giustizia delle
Comunità Europee e tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza
costituzionale italiana e tedesca. Verso un catalogo europeo dei diritti
fondamentali?,in La Corte
Costituzionale fra diritto interno e diritto comunitario, Milano 1991,
part. 128; P. Perlingieri, Diritto
comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo comunitario delle
fonti, Napoli 1992, part. 77, ove
l’A. rileva come il livello di protezione assicurato dalla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo sia minimale mentre «qualsiasi catalogo dei diritti
fondamentali della Comunità dovrebbe attestarsi al più alto livello dei livelli
acquisiti, anche in termini di garanzie, dal singolo nell’ordinamento
nazionale»; L. Azzena, L’integrazione
attraverso i diritti, cit., part.
100; cfr. anche le osservazioni di M. Cartabia, in L’Europa dei diritti, cit., part. 347; R. Calvano, Corte di giustizia e costituzione europea,
Padova 2004.
[64] Per tutte si veda, Corte di giustizia, sent. 15.12.1993, in
C-292/92, in Foro It., 1994, IV, 330,
in part. le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro; Corte di giustizia,
sent. 24.11.1993, in C. riunite C-267 e C-268 e C-268/91, in Il Foro It., IV, 1994, 330 ss.; Corte di
giustizia, 9.3.1999, in C-212/97, in www.europa.eu.int; Corte di giustizia,
sent. 2.10.2003, in C-232/01, in www.filo.diritto.it.;
Corte di giustizia, sent. 11.7.2002, n. 60, in Riv. dir. internaz., 2002, 771 ss.; Corte di giustizia, sent.
25.10.2001, n. 49, in Il Foro It.,
IV, 514 ss.
[65] Cfr. G. Corso,
Amministrazione transnazionale. Normativa
comunitaria sul mercato e le sue conseguenze sul diritto amministrativo interno,
cit., 344. In tal senso cfr. S. Cassese, La
crisi dello Stato, cit., part. 121 ss.
[66] Cfr. per una prospettiva critica del problema, A. Zito, Il “diritto ad una buona amministrazione”
nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’ordinamento
interno, cit., 430 e A. Orsi Battaglini, L’astratta e infeconda idea: disavventure dell’individuo nella cultura
giuspubblicistica, in La necessaria
discontinuità, Bologna 1990, 11 ss.; intorno al progressivo sviluppo della
fine “dell’ordine antico” i cui punti di svolta sono per tali A. la
penetrazione del regime amministrativo nel procedimento; la perdita di
centralità dello Stato e la trasformazione dell’organizzazione in “multiorganizzativa”;
lo sviluppo della consensualità e la riduzione della sfera pubblica. Tali punti
si riflettono su «tutti i tentativi di portare i diritti individuali anche
negli apparati esecutivi oltre che nei corpi politici», cfr. L. Mannori, B.
Sordi, Storia del diritto amministrativo, cit.
[67] Ai fini di porre in relazione fino a congiungerle organizzazione e
attività dell’amministrazione cfr. M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione,
Milano 1966.
[68] Cfr. sul tema fra tanta illustre Dottrina: C. Esposito, Riforma dell’amministrazione e diritti
costituzionali, in La Costituzione
italiana. Saggi, Padova 1954, part. 245 ss.; F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e
libertà attiva, Venezia 1994; G. Berti, La
responsabilità pubblica (Costituzione e amministrazione), Padova 1994; U.
Allegretti, Amministrazione pubblica e
Costituzione, Padova 1966.
[69] La l. n. 241/90 prevede la partecipazione del cittadino al
procedimento. Fra le ricadute che ciò comporta sull’intero sistema
amministrativo, in particolare, è significativa la prescrizione secondo la
quale costui può influire e collaborare all’individuazione dell’interesse
pubblico concreto.
[70] Sul tema la letteratura è ampia e il dibattito in dottrina ancora
attuale, cfr. F.G. Scoca, Per
un’amministrazione responsabile, in Giur.
Cost., 1999, 4054 ss.; F.G. Scoca, Risarcibilità
e interesse legittimo, in Dir. pubbl.,
1999, 13 ss.; F. Trimarchi Banfi, Tutela
specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino 2000; R.
Caranta, Attività amministrativa e
illecito aquiliano, Milano 2001, part. in relazione alle differenti
posizioni in dottrina; L. Carlassarre, Diritti
e responsabilità di soggetti investiti di potere, Padova 2003; S. Faillace,
La responsabilità da contatto sociale,
Padova 2004; in part. sulla misura della convergenza in relazione alla tutela
risarcitoria cfr. M.P. Chiti, L’effettività
della tutela giurisdizionale tra riforme nazionali e influenza del diritto
comunitario, in Dir. proc. amm.,
1998, 499 ss.; G. Greco, L’effettività
della giustizia amministrativa italiana nel quadro del diritto europeo,cit.,
797 ss.; E. Picozza, Processo
amministrativo e diritto comunitario, Padova 2003, part. 69 ss. in
relazione all’effettività del diritto comunitario attraverso il processo
amministrativo; Giudice amministrativo e
tutela in forma specifica, a cura di A. Zito e D. De Carolis, Milano 2003;
A. Zito, Il danno da illegittimo
esercizio della funzione amministrativa, Napoli 2003; G.P. Cirillo, Il danno da illegittimità dell’azione
amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova 2003, II ed., part. 360.
Sulla posizione della giurisprudenza vedi infra.
[71] Cfr. G. Pastori, La disciplina
generale dell’azione amministrativa, cit.,
34; G. Pastori, Amministrazione di
risultato e vincoli formali, in Atti
del Convegno nazionale in tema di efficienza delle pubbliche amministrazioni
(Roma 16-17 dicembre 1987), Roma 1988.
[72] Sulla prospettazione di un’amministrazione attenta ai risultati
cfr. ex multis L. Jannotta, Scienza
e realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministrativo fra essere e
divenire, in Dir. amm., 1996, 579
ss. e L. Jannotta, Previsione e realizzazione
del risultato nella p.a.: dagli interessi ai beni, in Dir. amm., 1999, 51 ss.
[73] G. Pastori, La disciplina
generale dell’azione amministrativa, cit., 35; G.M. Salerno, L’efficienza dei poteri pubblici
nell’ordinamento costituzionale, Torino 1999.
[74] G. Pastori, La disciplina
generale dell’azione amministrativa, cit., 35; C. Esposito, Riforma
dell’amministrazione e diritti costituzionali, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova 1954. Tale A. ha letto la
norma costituzionale contenuta nell’articolo 97 ritenendo che i principi
dell’imparzialità e del buon andamento non fossero fra loro contrastanti ma
corrispondenti ad altrettanti diritti dei cittadini.
[75] Cfr. F.G. Scoca, Attività amministrativa, ad
vocem, cit., 75 ss.
[76] G. Pastori, La disciplina
generale dell’azione amministrativa, cit., 3; A. Romano Tassone, Sulla
formula “amministrazione per risultati”, in Scritti in onore di Elio Casetta, vol. II, Napoli 2001, 815 ss.
[77] G. Pastori, La disciplina
generale dell’azione amministrativa, cit., 40.
[78] Cfr. infra.
[79] Cfr. infra.
[80] Cfr. Corte di giustizia, sent. 2.10.2003, n. 83, in C-232/01, Vant
Lent, cit.
[81] Cfr. G. Falcon, Il giudice
amministrativo tra giurisdizione di spettanza e giurisdizione di legittimità,
in Dir. proc. amm., 2001, 295 ss.; G. Caruso, Quale futuro per la giustizia amministrativa,
in Evoluzione della giustizia
amministrativa in Italia, Milano 1998,
29; L. Iannotta, La considerazione
del risultato nel giudizio amministrativo, in Evoluzione della giustizia amministrativa, cit., 193 ss.; L.
Iannotta, La considerazione del risultato
nel processo amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto,
cit., 308 ss.
[82] Cfr. A. Zito, Il diritto “ad
una buona amministrazione” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea e nell’ordinamento interno, cit., 436, «... equità ... da ... strumento
di controllo circa “la giusta misura” in cui viene esercitato il potere a
condizionare e limitare la stessa scelta di utilizzare questo mezzo in luogo di quello negoziale».
[83] La necessarietà è intesa «…nel senso che sia disponibile nessun
altro strumento ugualmente efficace ma meno negativamente incidente» cfr. Cons.
Stato, IV, 18.10.2002, n. 5714, in Cons.
Stato, 2002, I, 2263 e Corte di giustizia, 22.10.2002, in C-94/99, in Foro amm., 2002, 10; Corte di giustizia,
27.2.2003, in C-327/00, in www.europa.eu.int.
[84] Cfr. A. Sandulli, La
proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., 372.
[85]G. Pastori, La disciplina
generale dell’azione amministrativa, cit., 38.