Tradizione romana

 

 

FRANCESCO SINI

Già Preside della Facoltà e Direttore

del Dipartimento di Giurisprudenza

Università di Sassari

 

Riflessioni ulteriori sulla santità in Roma antica: nella religione, nel diritto

 

 

 

 

SOMMARIO: 1. Dalla religio la pax deorum. – 2. Auspicato inauguratoque condita: peculiari caratteristiche religiose (e giuridiche) della Urbs Roma. – 3. Sacer, sanctus, religiosus: categorie di ius sacrum tra sacerdoti e giuristi. – 4. Problematiche di inquadramento giuridico delle res sanctae. – 5. Realtà materiali delle res sanctae. A) Le mura dell’Urbs. – 6. B) I templa.– 7. Per concludere: uomini e sanctitas deorum. – Abstract.

 

 

 

1. – Dalla religio la pax deorum

 

La sapientia (religiosa e giuridica) dei sacerdoti romani, mediante la definizione del ne-fas – che è bene ricordare riguardava tempo e spazio, (sia tempora sia loca) – rivolgeva le sue prime e maggiori cautele ai rapporti tra uomini e dèi; con lo scopo precipuo di preservare la pax deorum, che riposava sulla perfetta conoscenza di tutto ciò che potesse turbarla; degli atti che mai dovevano essere compiuti; delle parole che mai dovevano essere pronunciate[1]. Nell'antitesi fas/nefas, fondata in particolar modo sulla concezione teologica che spazio e tempo appartenessero agli dèi[2], si manifestava compiutamente la peculiarità dei rapporti tra uomini e divinità nel sistema giuridico-religioso romano[3].

Teologia e ius divinum dei sacerdoti romani rappresentavano la vita e la storia del Popolo romano in rapporto di imprescindibile causalità con la religio[4]: la volontà degli dèi aveva concorso a determinare il luogo (e il tempo) della fondazione dell’Urbs Roma[5]; ne aveva sostenuto la prodigiosa “crescita” del numero dei cittadini (civitas augescens)[6]; infine, presiedeva all’incomparabile fortuna dell’imperium populi Romani e garantiva la sua estensione sine fine[7].

I sacerdoti romani avevano postulato, fin dalle prime attestazioni della loro memoria storica e documentaria, il legame indissolubile della Urbs Roma con il culto degli dèi e della vita del Popolo romano con la sua religioreligione, id est cultu deorum»)[8]; al fine di conseguire e conservare, mediante i riti e i culti della religione politeista, la pax deorum[9] («pace degli dèi», ma da intendere nel senso di «pace con gli dèi»)[10].

Per la vita del Popolo romano si riteneva indispensabile il permanere di una situazione di amicizia nei rapporti tra uomini e dèi[11], considerati anch’essi una delle parti del sistema giuridico-religioso; certo la più importante, in ragione dell’intrinseca potenza che si riconosceva alle divinità[12].

Dal punto di vista umano (cioè dello ius sacrum e dello ius publicum), il «legalismo religioso» (l’espressione è di Pasquale Voci)[13] dei sacerdoti romani configurava la pax deorum come un insieme di atti e comportamenti, ai quali collettività e individui dovevano necessariamente attenersi per poter conservare il favore degli dèi. In questa prospettiva, può ben comprendersi la ragione per cui la conservazione della pax deorum costituisse il fondamento teologico dell'intero rituale romano[14]. Oggetto, quindi, dello ius del Popolo romano (ius publicum), non a caso tripartito in sacra, sacerdotes, magistratus[15].

 

 

2. – Auspicato inauguratoque condita: peculiari caratteristiche religiose (e giuridiche) della Urbs Roma

 

Nei libri ab urbe condita di Tito Livio si registra di norma una convinta adesione – forse anche influenzata dalla coeva restaurazione religiosa di Augusto[16] – alla “teologia” della storia propria dei collegi sacerdotali romani: i quali avevano teorizzato un forte rapporto causale tra religio e vita e imperium del Popolo romano[17].

Nell’opera liviana, infatti, traspare più volte la convinzione che la storia dei Romani costituisse la prova più inconfutabile di come nelle vicende umane «omnia prospera evenisse sequentibus deos»[18]; unitamente ad un altro convincimento profondo: la pietas e la fides[19] avevano costituito (e costituivano) gli elementi essenziali per la legittimazione divina dell’imperium dei Romani. A suo avviso, gli dèi si sarebbero mostrati, in ogni circostanza, assai più ben disposti verso coloro i quali avessero osservato la pietas ed onorato la fidesfavere enim pietati fideique deos, per quae populus Romanus ad tantum fastigii venerit»)[20].

L’Urbs ‘sacralizzata’ dall’inaugurazione del pomerio[21], e dunque auspicato inauguratoque condita, viveva affidandosi alla tutela delle sue divinità[22]; prosperava accogliendo fin dall’età arcaica sempre nuovi dèi[23], sia mediante ricorso ai sacra peregrina[24], sia che si trattasse di evocationes delle divinità dei nemici[25].

Per comprendere la peculiarità religiosa e giuridica della urbs Roma[26] risulta di estrema importanza un altro passo di Tito Livio[27], peraltro assai conosciuto, tratto dal quinto dei suoi ab urbe condita libri. In questo testo, relativo alla narrazione degli eventi appena successivi alla distruzione dell’Urbe ad opera dei Celti, il grande annalista, con un discorso attribuito a Furio Camillo, ha voluto caratterizzare la città di Roma come il luogo massimamente votato alla religione[28]:

 

Livius 5.52.1-3: [1] Haec culti neglectique numinis tanta monumenta in rebus humanis cernentes ecquid sentitis, Quirites, quantum vixdum e naufragiis prioris culpae cladisque emergentes paremus nefas? [2] Vrbem auspicato inauguratoque conditam habemus; nullus locus in ea non religionum deorumque est plenus; sacrificiis sollemnibus non dies magis stati quam loca sunt in quibus fiant. [3] Hos omnes deos publicos privatosque, Quirites, deserturi estis?

[Tito Livio 5.52.1-3: Vedendo queste così grandi prove dell’importanza che ha nelle cose umane il rispetto degli dèi, non avvertite, o Quiriti, quale empietà ci prepariamo a commettere, appena scampati dal naufragio della colpa e della rovina precedente? Abbiamo una città fondata con regolari auspici e augurii, dove non vi è luogo che non sia pieno di cose sacre e di dèi; per i sacrifici solenni, nonché i giorni, sono stati fissati anche i luoghi in cui devono compiersi. Volete abbandonare, o Quiriti, tutti questi dèi, pubblici e privati?].

 

La valenza religiosa di questo testo liviano era stata colta assai bene da Huguette Fugier nelle sue «ricerche sulle espressioni del sacro nella lingua latina»[29]; del resto il testo di Livio è molto esplicito: con buone argomentazioni, tutte svolte sul filo della teologia e dello ius sacrum, Camillo sosteneva che il Popolo romano sarebbe perito qualora avesse abbandonato il sito dell’Urbs Roma, dove peraltro «nullus locus in ea non religionum deorumque est plenus»; cioè l’unico luogo che aveva determinato (al momento della fondazione) e poteva assicurare (nel tempo) l’identità religiosa e giuridica del Popolo romano, in quanto fondato da Romolo con un atto inaugurale seguendo il volere degli dèi.

Detto in altre parole, il pensiero di Camillo è che non si potesse conservare la pax deorum al di fuori del solo ambito locale (la Urbs Roma) adatto a contenere i riti e i sacrifici che ordinariamente assicuravano al Popolo romano la conservazione della pax deorum. Anzi nella parte finale del testo, si confondono volutamente i luoghi con gli dèi onorati in quei luoghi: Tito Livio, infatti, fa dire a Camillo che l’abbandono del sito di Roma corrisponderebbe all’abbandono degli dèi romani: «Volete abbandonare, o Quiriti, tutti questi dèi, pubblici e privati?».

Tuttavia, questo imprescindibile legame tra dèi e luoghi deputati al loro culto, di cui la Urbs Roma rappresenta un esempio tanto significativo, non deve far dimenticare, che la religione politeista romana, proprio perché finalizzata alla conservazione della pax deorum, fu sempre caratterizzata da forti tensioni universalistiche e da costanti “aperture” cultuali verso l’esterno[30].

I sacerdoti romani operavano sulla base dell’esigenza (e preoccupazione) di integrare l’“alieno” (divino o umano): dalle divinità dei vicini fino alle divinità dei nemici[31], in cerchi concentrici sempre più larghi, che potenzialmente abbracciavano l'intero spazio terrestre e, quindi, tutto il genere umano. Un mirabile esempio di semplicità, di efficacia interpretativa e di potenzialità universalistiche della scienza sacerdotale è costituito dalla divisione dello spazio terrestre in cinque agrorum genera:

 

Varro, De ling. Lat. 5.33: Ut nostri augures publici dixerunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus, Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab Rom<ul>o; Gabinus ab oppido Gabis; peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum, quod uno modo in his servantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a progrediendo: eo [quod] enim ex agro Romano primum progrediebantur. Quocirca Gabinus quoque peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, ab reliquo discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor qui sit ignoratur[32].

 

Questa citazione varroniana di documenti sacerdotali attiene alla distinzione dei genera agrorum elaborata dalla disciplina augurale[33]. Certo già in età regia, come dimostra la considerazione del ruolo dell’ager Gabinus. La divisione dello spazio in cinque agrorum genera rappresenta un mirabile esempio della semplicità, dell’efficacia interpretativa e delle potenzialità universalistiche della scienza sacerdotale. Pur salvaguardando la centralità dell’ager Romanus (verso gli dèi, i cittadini, i magistrati), la classificazione dei genera agrorum mostra una fortissima propensione religiosa e giuridica ad instaurare rapporti – tanto reali quanto potenziali – con la molteplicità degli spazi terrestri; con gli homines che hanno relazioni a vario titolo con questi spazi; con gli innumerevoli dèi che quegli spazi (e quanti li abitano) presiedono e tutelano.

 

 

3. – Sacer, sanctus, religiosus: categorie di ius sacrum tra sacerdoti e giuristi

 

Auguste Bouché-Leclercq, introducendo la parte del suo libro Les Pontifes de l’ancienne Rome (1871), in cui ha trattato «del sacro e del profano», sintetizzava con queste parole prerogative e compiti dei pontefici romani, da lui qualificati «fedeli intendenti degli dèi»:

 

«Separare con caratteristiche ben definite ciò che appartiene agli uomini da ciò che appartiene agli dèi; distinguere con un’analisi ancora più minuziosa le diverse forme di proprietà divina; stabilire tutto questo sulla base di definizioni ed esempi»[34].

 

La sapientia (teologica e giuridica) dei sacerdoti romani, mediante la definizione delle res divinae e delle res humanae, rivolgeva le sue prime e maggiori cautele ai rapporti tra uomini e divinità, al fine di evitare che una non perfetta conoscenza delle intrinseche qualità di uomini, cose materiali e dèi, potesse compromettere la conservazione della pax deorum, sulla cui stabilità riposava per la teologia e per il diritto la stessa vita del Populus Romanus Quirites[35].

Nelle antitesi «divino/umano» e fas/nefas si manifestava «la più antica concezione romana del mondo» (Orestano)[36]. Su tale concezione del mondo, frutto della cautela definitoria della scienza sacerdotale e della tensione universalistica della teologia pontificale[37], appaiano fondate sia la definizione ulpianea di iurisprudentia, accolta nei Digesta dell'imperatore Giustiniano[38], sia la summa divisio rerum della giurisprudenza romana[39]. Ma, quasi sicuramente, anche il grande M. Terenzio Varrone aveva fatto riferimento a questa «più antica concezione romana del mondo» nella strutturazione delle sue Antiquitates in humanae e divinae[40].

Regolare una materia così ardua e dai profili incerti, richiedeva un’intensa attività speculativa e decisionale, che assorbiva gran parte dell’attività decretale dei pontefici.

 

Macrobius, Sat. 3.3.1: Et quia inter decreta pontificum hoc maxime quaeritur quid sacrum, quid profanum, quid sanctum quid religiosum, quaerendum utrum his secundum definitionem suam Vergilius usus sit et singulis vocabuli sui proprietatem suo more servaverit.

Nei decreti dei pontefici si indaga soprattutto su ciò che è sacro, su ciò che è profano, su ciò che è santo, su ciò che è religioso»][41].

 

Purtroppo, lo stato miserevole dei materiali provenienti da documenti sacerdotali[42] non consente di farsi un’idea precisa di questa immensa attività interpretativa, che, stando all’enunciazione di Macrobio, coinvolgeva l’intera realtà del mondo conoscibile. Decretare in merito a che cosa sia sacrum, cosa sia profanum, sanctum o religiosum significava per i pontefici dover tracciare linee di demarcazione non sempre definibili, né in maniera chiara né una volta per tutte.

Ben poco risulta comprensibile di questi antichi decreti, di cui giuristi e antiquari sintetizzano quasi sempre le conclusioni, avulse da ogni contesto argomentativo ed esemplificativo. Ne conseguono definizioni lacunose e poco soddisfacenti, quali appunto le definizione di sanctum; testimonianze evidenti delle difficoltà dei pontefici a ricondurre a un’idea semplice il significato vago e multicomprensivo della parola.

Esemplare al riguardo la definizione di sanctum proposta dal giurista Trebazio Testa, nel libro decimo del suo De religionibus; definizione che noi possiamo leggere in una citazione tratta dai Saturnalia di Macrobio:

 

Macrobius, Sat. 3.3.5: Sanctum est, ut idem Trebatius libro decimo Religionum refert, interdum idem quod sacrum idemque quod religiosum, interdum aliud, hoc est nec sacrum nec religiosum, est[43].

 

Dunque per Trebazio sanctum «talora è sinonimo di sacro e di religioso, talora ha significato diverso, cioè né sacro né religioso». Il giurista enuclea una nozione di sanctum – così come aveva fatto per sacrum e per religiosum – priva di riferimenti giuridici, che sembrerebbe collocarsi al di fuori del dibattito relativo alla concettualizzazione delle res sanctae; seppure, per qualche autorevole romanista non sarebbe del tutto fuori luogo «accostare gli svolgimenti di Trebazio […] alla problematica della classificazione delle res divini iuris» (M. Talamanca)[44].

Neanche il ricorso all’etimologia antica offre alcunché di positivo: i grammatici sembrano essere d’accordo nel far derivare sanctum da sancitum e sancitum da sanguis. Secondo Servio, tardo commentatore di Virgilio, il significato originale di sanctum sarebbe quello di «reso sacro attraverso la consacrazione con sangue sacrificale».

 

Servius, in Verg. Aen. 12.200: ‘Sancire’ autem proprie est sanctum aliquid, id est consecratum, facere fuso sanguine hostiae: et dictum ‘sanctum’, quasi sanguine consecratum[45].

 

In tal modo, per il commentatore di Virgilio, l’epiteto si adatterebbe a tutti gli oggetti santificati con l’immolazione di vittime, ma senza che per essi sia stato celebrato alcun rito di consacrazione. Per quanto il contesto virgiliano[46], di sapore arcaizzante, con la stretta relazione tra sancio, sanctum e i fulgura – che santificavano i luoghi –, sembra piuttosto avvalorare la tesi che sanctum fu usato prima in riferimento a luoghi, poi per gli uomini che partecipavano della protezione sacra[47].

 

 

4. – Problematiche di inquadramento giuridico delle res sanctae

 

Va subito premesso che nelle fonti manca una definizione precisa ed esauriente di ciò che è santo (sanctum) e di che cosa siano, dal punto di vista della classificazione giuridica, le “cose sante” (res sanctae).

Né soccorrono al riguardo le diverse posizioni della dottrina giuridica contemporanea in merito alle res sanctae. Sebbene l’opinione prevalente tenda a considerare le res sanctae come res divini iuris, in quanto poste sotto la speciale protezione degli dèi (così ad es. P.F. Girard[48], G. Branca[49], P. Noailles[50], P. Voci[51]); tuttavia, sul tema sono ben noti gli approfondimenti e le divergenti riflessioni di studiosi insigni e autorevolissimi, quali Pietro Bonfante[52], Giorgio La Pira[53], Giuseppe Grosso[54], Carlo Gioffredi[55], Siro Solazzi[56] (tanto per fare qualche nome); e quelli di studiosi a noi più vicini come F. Fabbrini[57], C. Busacca[58] e F. Salerno[59]. Del resto, neanche nei più recenti manuali di Istituzioni di diritto romano si registra un’impostazione uniforme sul problema delle res sanctae (vedi ad es. Pugliese[60], Marrone[61], Talamanca[62], Dalla-Lambertini[63], Martini[64], A. Lovato-S. Puliatti-L. Solidoro Maruotti[65].

Riprendendo il discorso sulle fonti, si deve rilevare che già nelle testimonianze più antiche, per quanto improntate su testi di giuristi dell’età repubblicana o del primo Principato (Servio Sulpicio Rufo, Trebazio Testa, Elio Gallo, Masurio Sabino), la terminologia non si presenta affatto netta. Termini come sanctum e religiosum sono presentati spesso come sinonimi, avviluppati e confusi in un concetto più ampio e onnicomprensivo di religiosità.

Abbiamo già discusso delle difficoltà interpretative poste dalla definizione di sanctum formulata dal giurista Trebazio Testa. Ma neanche dai giuristi dell’età imperiale viene maggior chiarezza sul concetto di res sanctae, di cui resta emblematica la definizione del giurista Gaio:

 

Gaius, Inst. 2.8: Sanctae quoque res, velut muri et portae, quodammodo divini iuris sunt.

Anche le cose sante, come le mura e le porte, sono in qualche modo di diritto divino»].

 

«Le res sanctae – scrive M. Talamanca – non sono, in senso stretto, res divini iuris: già Gaio affermava che esse vi rientravano solo in un certo senso […] Esse sono, in definitiva, res publicae poste sotto una specifica protezione dal punto di vista sacrale»[66].

Non posso approfondire qui di seguito le implicazioni testuali. Basterà ricordare la vivace polemica tardo interpolazionista del Solazzi sulla non genuinità del frammento di Gaio; polemica che ha segnato il dibattito dottrinale negli anni cinquanta del Novecento, ma che ora mi pare definitivamente superata, anche grazie agli studi del Busacca[67].

Altri giuristi romani, quali Marciano[68], Paolo[69] e Ulpiano[70] citano le res sanctae accanto alle res sacrae e alle res religiosae, senza però ricomprenderle esplicitamente nella categoria delle res divini iuris. Si potrebbe argomentare in negativo, rilevando che i giuristi appena citati tendono comunque a differenziare (contrapponendole) le res sanctae dalle res publicae. Questo si evince da Paolo in D. 39.3.17.3 e, ancora prima, da un frammento del commento all’editto provinciale di Gaio (D. 41.3.9), in cui appare altrettanto netta la contrapposizione alle res publicae[71] sia delle res sacrae sia delle res sanctae, che però non risultano accomunate nello stesso genus.

Nel pensiero dei giuristi romani la specificità delle res sanctae sembra concretizzarsi piuttosto sotto il profilo della protezione giuridica ad esse accordata[72] e, quindi, della sanzione che ne vietava la violazione. È quanto si legge nel frammento di Ulpiano in D. 1.8.9.3:

 

(Ulpianus libro sexagensimo octavo ad edictum): Proprie dicimus sancta, quae neque sacra neque profana sunt, sed sanctione quadam confirmata, ut leges sanctae sunt, sanctione enim quadam sunt subnixae. Quod enim sanctione quadam subnixum est, id sanctum est etsi deo non sit consecratum: et interdum in sanctionibus addicitur, ut qui ibi aliquid commisit, capite puniatur.

[trad. it. «Propriamente diciamo ‘sante’ le cose che non sono né sacre né profane, ma sono avvalorate per mezzo di qualche sanzione: per esempio sono sante le leggi: infatti sono appoggiate ad una sanzione. Ciò che è appoggiato ad una sanzione è santo, anche se non è consacrato a Dio; e talvolta nelle sanzioni si aggiunge che colui, il quale commise alcunché in materia, sia punito con la testa»].

 

Ma anche le Istituzioni di Giustiniano collegano la santità di una res alla sanzione che ne punisce la violazione:

 

Inst. 2.1.10: Sanctae quoque res, veluti muri et portae, quodammodo divini iuris sunt et ideo nullius in bonis sunt. Ideo autem muros sanctos dicimus, quia poena capitis constituta sit in eos, qui aliquid in muros deliquerit, ideo et legum eas partes, quibus poenas constituimus adversus eos qui contra leges fecerint, sanctiones vocamus.

Anche le cose sante, come le mura e le porte, sono in qualche modo di diritto divino, e, per tanto, non sono in godimento di alcuno. Diciamo sante le mura perché è stabilita la pena capitale contro coloro che abbiano commesso nei confronti delle mura qualche delitto. Per questo, pure, chiamiamo sanzioni quelle parti delle leggi con cui stabiliamo le pene contro i loro violatori»].

 

 

5. – Realtà materiali delle res sanctae. A) Le mura dell’Urbs

 

Dai passi appena citati comincia ad intravedersi la realtà concreta, materiale e immateriale, delle res sanctae: lo erano le leggi[73], le mura dell’Urbs (e poi, per assimilazione del rito augurale di fondazione, di tutte le città dell’orbe romano) e, almeno in età giustinianea, anche le porte della città.

Proprio la santità delle mura era stata utilizzata come caso esemplificativo di sanctum dal giurista Elio Gallo, autore di un’opera intitolata «De verborum, quae ad ius civile pertinent, significatione»[74], laddove distingueva tria divini iuris genera:

 

Festus, De verb. sign., p. 348 L.: Inter sacrum autem, et sanctum, et religiosum differentias bellissime refert: sacrum aedificium, consecratum deo; sanctum murum, qui sit circum oppidum; religiosum sepulcrum, ubi mortuus sepultus aut humatus sit, satis constare ait; sed ita † portione † quadam, et temporibus eadem videri posse.

 

Ora, a proposito dei tria divini iuris genera, si può notare che, mentre per sacrum e per religiosum il giurista individua sia le res (edificio; sepolcro) sia le procedure operative (consecratio; inumazione del cadavere), nel caso di sanctum indica invece solo l’oggetto della santità, tacendo sulle procedure operative, e quindi sulla competenza a rendere sancta una res.

Ci soccorre al riguardo Cicerone, il quale nel De natura deorum ricollega la santità delle mura alla teologia e al diritto elaborati dal collegio dei pontefici («urbis muris, quos vos pontifices sanctos esse dicitis»):

 

Cicero, De nat. deor. 3.94: Est enim mihi te cum pro aris et focis certamen et pro deorum templis atque delubris proque urbis muris, quos vos pontifices sanctos esse dicitis diligentiusque urbem religione quam ipsis moenibus cingitis; quae deseri a me, dum quidem spirare potero, nefas iudico.

 

Ancora più importante, al riguardo, appare la glossa Tesca dell’epitome di Festo, pervenuta purtroppo irrimediabilmente mutila:

 

Festus, De verb. sign., p. 488 L.: sed sancta loca undique …… nt pontifici[s] libri, in quibus … … que sedemque tescumque … … dedicaverit, ubi eos ac … … propitiosque[75].

 

Tuttavia nel testo festino, si leggono con sicurezza le parole sancta loca, pontifici libri e dedicaverit. Si tratta, in tutta evidenza, di una citazione testuale dai libri pontificum. Sulla base della quale non risulta difficile affermare – ritengo senza alcun dubbio – la presenza nei libri pontificum di formule solenni, di regole rituali e di procedure relative alla santificazione dei luoghi[76]; nonché una competenza più generale dei pontefici in materia di sorveglianza e regolamentazione dei loca sancta[77].

In relazione alla regolamentazione dei sancta loca, i pontefici dovevano certo raccordare la loro attività a quella degli àuguri; poiché, come è stato autorevolmente dimostrato «Dapprima […] ciò che era inauguratus era sanctus; anche se, ovviamente, la sanctitas non era esclusiva delle realtà inaugurate»[78].

In questa prospettiva, non pare possibile sostenere che la santità delle mura sia più tarda rispetto alle realtà inaugurate; tesi – come è noto – proposta da Fabrizio Fabbrini: «All’accezione di sanctus come “inaugurato” subentra quella di sanctus = “garantito”: garantito da un atto sacer, e garantito dagli dèi. Ciò che è garantito dagli dèi è considerato “immutabile”, “solido”, “sicuro”. è in questa accezione che va ricercato il significato di sanctus dato alle mura e alle porte fin da età piuttosto antica»[79].

Tuttavia, il dato testuale non corrobora la tesi del Fabbrini. Nessuna fonte lascia intendere, infatti, una scansione temporale così evidente tra le due accezioni di sanctum; né, d’altra parte, esiste prova certa che il concetto di sanctum, inteso come «ciò che è inaugurato», abbia mai avuto operatività esclusiva, perfino nella fase primordiale dell’esperienza giuridica romana.

È certo, invece, che la teologia e il diritto dei sacerdotes considerava la santità delle mura connessa agli stessi riti di fondazione dell’Urbe; attraverso le prescrizioni di quei libri rituales etruschi, a cui secondo la tradizione si sarebbe richiamato il fondatore di Roma.

 

Festus, De verb. sign., p. 358 L.: Rituales nominantur Etruscorum libri, in quibus perscribtum est, quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae, quomodo tribus, curiae, centuriae distribuantur, exercitus constituant<ur>, ordinentur, ceteraque eiusmodi ad bellum ac pacem pertinentia.

 

Nella compilazione giustinianea numerose disposizioni tutelano la santità delle mura. D. 1.8.9.4, frammento del giurista Ulpiano, attesta che non è lecito rifare le mura, né affiancare o sovrapporre una costruzione senza l’autorizzazione del principe o del preside[80]. Forse in Roma repubblicana queste autorizzazioni, come aveva già sostenuto a metà Ottocento lo studioso tedesco Eduard Lübbert, erano competenza del collegio dei pontefici[81].

Nel frammento D. 1.8.11:

 

(Pomponius libro secondo ex variis lectionibus): Si quis violaverit muros, capite punitur, sicuti si quis transcendet scalis admotis vel alia quilibet ratione. Nam cives Romanos alia quam per portas egredi non licet, cum illud hostile et abominandum sit: nam et Romuli frater Remus occisus traditur ob id, quod murum trascendere voluit;

 

il giurista Pomponio riferisce che è sacrilegio, punito con la pena capitale, non solo violare le mura, ma perfino il semplice transcendere scalis admotis, cioè «scavalcare le mura avendovi accostato delle scale», poiché «non è lecito che i cittadini romani escano altrimenti che attraverso le porte, essendo l’uscire altrimenti atto da nemici o cosa abominevole». Questa santità delle mura, forse perché volta a tutelare, oltre che l’inviolabilità dei loca, la sicurezza degli homines, risulta poi estesa anche al vallum degli accampamenti militari, che a nessuno era lecito violare, pena la morte[82].

 

 

6. – B) I templa

 

Rientravano nella categoria delle res sanctae – e forse erano le più sante di tutte – anche le aree inaugurate chiamate templa[83]. Le fonti distinguono sostanzialmente fra due tipologie: il templum aërium o templum celeste (porzione di cielo limitata sulla base di una precisa legum dictio e finalizzata all’interpretazione augurale di segni che ivi si manifestavano)[84]; il templum terrestre (spazio terrestre destinato, a seguito di speciali riti augurali, ad attività religiose e politiche di sacerdoti e magistrati). Il più delle volte questi templa erano non solo sancta, ma resi anche sacra mediante consecratio; la non coincidenza delle due qualità era talmente rara da essere oggetto della curiosità erudita di Varrone[85].

Non voglio certo addentrarmi, ora, nell’analisi del templum e del suo carattere sanctum[86] (e sovente anche religiosum)[87] basterà riferire alcune valenze testuali che avvalorano questa connessione. Un testo importante in tal senso è Ovidio, Fast. 1.609-612:

 

Sancta vocant augusta patres, augusta vocantur / templa sacerdotum rite dicata manu: / huius et augurium dependet origine verbi / et quodcumque sua Iuppiter auget ope.

 

Il poeta, in sostanza, per definire sancta ricorre all’assimilazione con augusta; precisando poi che augusta vocantur / templa sacerdotum rite dicata manu e che augustum ha la stessa origine di augurium; insomma per Ovidio le res sanctae erano res inauguratae, al pari dei templa[88].

Vi sono altri esempi di res sanctae, oltre le mura e i templa, ma in questa sede potranno solo essere enumerati. Alcune delle altre res che si classificavano come sanctae, sono: i fana[89], i delubra deorum[90], la Curia, definita da Cicerone «templum sanctitatis»[91], la domus del cittadino: «Quid est sanctius, quid omni religione munitius quam domus unius cuiusque civium?»[92].

Una ultima notazione, prima di passare in rassegna la sanctitas degli dèi. Mi ha colpito, e anche un poco sorpreso, constatare che nelle fonti i termini sanctitas e sanctum risultano usati quasi mai in rapporto al tempo. Si direbbe che gli impieghi di questi termini abbiano prevalentemente valore locale, seppure operante in maniera dinamica: da determinate porzioni dello spazio terrestre, agli homines che hanno relazioni a vario titolo con questi spazi, agli dèi che quegli spazi (e quanti li abitano) presiedono e tutelano.

 

 

7. – Per concludere: uomini e sanctitas deorum

 

L’espressione sanctitas deorum si legge nella parte iniziale della glossa festina «Religiosus», in cui poi Verrio Flacco fa ricorso ad una lunga citazione di Elio Gallo per spiegare cosa sia il religiosum:

 

Festus, De verb. sign., p. 348 L.: Religiosus est non mod[ic]o deorum sanctitatem magni aestimans, sed etiam officiosus adversus homines.

 

Nell’unica definizione di sanctitas che mi pare di conoscere, formulata nel De natura deorum:

 

Cicero, De nat. deor. 1.116: Sanctitas autem est scientia colendorum deorum; qui quam ob rem colendi sint non intellego nullo nec accepto ab his nec sperato bono;

 

il termine sanctitas risulta interpretato dall’augure Cicerone in una prospettiva strettamente umana, seppure assimilato (autem est) alla «scientia colendorum deorum». Nello stesso senso si deve intendere un altro riferimento ciceroniano alla sanctitas, che si legge nel II libro del De officiis:

 

Cicero, De off. 2.11: ratione autem utentium duo genera ponunt, deorum unum, alterum hominum. Deos placatos pietas efficiet et sanctitas; proxime autem et secundum deos homines hominibus maxime utiles esse possunt.

[trad. it. «si pongono invece due specie di esseri partecipi di ragione, quella degli dèi e quella degli uomini. La pietà e la sanctitas renderanno propizi gli dèi…»].

 

Pietas e sanctitas sono fondamentali per la placatio deorum. Anche questo caso, come nel testo che precede, Cicerone si richiama al significato di sanctitas = scientia colendorum deorum. (Da notare che Cicerone ancora una volta postula l’esistenza di una comunità tra uomini e dèi: in questo caso si tratta della comunità della ragione).

Ad un uguale significato di sanctitas Cicerone sembra riferirsi anche in un passo dei Topica:

 

Cicero, Top. 90: Atque etiam aequitas tripertita dicitur esse; una ad superos deos, altera ad manes, tertia ad homines pertinere. Prima pietas, secunda sanctitas, tertia iustitia aut aequitas nominatur.

 

Di grande interesse in questo testo la tripartizione (da genus a species) dell’aequitas sulla base della pertinenza agli dèi superi, ai Mani o agli uomini: «La prima si chiama pietas, la seconda sanctitas, la terza iustitia». La prospettiva è assolutamente umana: così si può agevolmente spiegare il fatto che l’aequitas verso gli dèi celesti consista nella pietas (quindi nel culto loro dovuto); se la si deve esercitare nei confronti dei Mani si tratta di sanctitas (anch’essa intesa come forma di culto = scientia colendorum deorum); mentre diventa iustitia se la si deve esercitare nei confronti degli uomini.

Per quanto l’astratto sanctitas appaia piuttosto un fatto umano, rivolto verso gli dèi; è tuttavia innegabile, come ha già rilevato Huguette Fugier nelle sue «ricerche sull’espressione del sacro nella lingua latina», che «les dieux latins soient si souvent qualifiés de sancti». La studiosa francese riporta un gran numero di esempi attestati da fonti di varia natura[93].

Non posso addentrarmi nella sua disanima delle fonti che attestano l’impiego di sanctus come epiteto di divinità; tuttavia, mi pare utile discuterne brevemente qualcuna, anche perché la studiosa francese lascia intendere che ciò possa essere frutto di un contatto semantico tra il latino sanctus e il greco γιος.

Esaminerò in questo scritto solo l’epiteto sanctus riferito alla divinità del fiume Tevere. Espressioni quasi identiche si susseguono nella letteratura latina da Ennio, a Virgilio, a Tito Livio:

 

Ennius, Ann. fragm. 1.54: Teque pater Tiberine tuo cum flumine sancto /.

 

Vergilius, Aen. 8.68-73: Surgit et aetherii spectans orientia solis / lumina rite cavis undam de flumine palmis / sustinet ac talis effundit ad aethera voces: / 'nymphae, Laurentes nymphae, genus amnibus undest, / tuque, o Thybri tuo genitor cum flumine sancto, / accipite Aenean et tandem arcete periclis. /

 

Livius 2.10.11: Tum Cocles: Tiberine pater, inquit, te, sancte, precor, haec arma et hunc militem propitio flumine accipias.

 

La ripetizione della stessa impostazione verbale lascia intravedere l’esistenza di una fonte comune, a cui i tre autori hanno fatto riferimento. Si trattava, senza dubbio, di un antico testo di preghiera documentato negli archivi sacerdotali; poiché risulta per certo, che il Tevere era invocato con epiteti divini già in età molto risalente: sia negli indigitamenta dei pontefici; sia nelle preghiere degli àuguri[94].

 

Cicero, De nat. deor. 3.52: in augurum precatione Tiberinum, Spinonem, Anemonem, Nodinum, alia propinquorum fluminum nomina videmus.

 

 

Abstract

 

L’interpretatio des sacerdotes romains s’est développée autour de l’idée de la pax deorum, expression du lien causal indissoluble entre religio, vita et imperium du populus Romanus, peuple dont l’identité, religieuse et juridique, était déterminée par sa dépendance à l’égard de les divinités depuis la fondation d’Urbs Roma, puisque c’était auspicato inauguratoque condita.

La sapientia sacerdotale (religieuse et juridique) a ainsi procédé à l’identification des relations particulières entre les hommes et les dieux, inhérentes au temps et à l’espace. Dans ce travail de conceptualisation, pour la jurisprudence romaine les res sanctae représentaient une catégorie de ius sacrum difficile à encadrer juridiquement, compte tenu de l’absence d’une définition précise et exhaustive du mot sanctum, dont la spécificité résidait exquisément en termes de protection juridique accordé pour eux. Malgré ces problèmes, dans les sources on peut entrevoir la réalité concrète, matérielle et immatérielle, de les res sanctae, une catégorie utilisée, par exemple, pour les lois, les murs de l’Urbs, les templa, les fana, les delubra deorum, etc., mais jamais dans référence à une dimension temporelle.
Chez Cicéron, le terme sanctitas est perçu dans un sens strictement humain par rapport à la scientia colendorum deorum, ou plutôt comme un fait adressé au divin ; pourtant la sanctitas deorum est présente dans les prières très anciennes conservées dans les archives des sacerdotes populi Romani.

 

L’interpretatio dei sacerdotes romani si sviluppò attorno all’idea della pax deorum, espressione di indissolubile nesso causale tra religio, vita e imperium del populus Romanus, popolo la cui identità, religiosa e giuridica, fu determinata dall’affidarsi alle divinità fin dalla fondazione dell’Urbs Roma, in quanto auspicato inauguratoque condita.

La sapientia sacerdotale (religiosa e giuridica), così, procedette a enucleare i peculiari rapporti tra uomini e dèi, inerenti a tempo e spazio. Di questa opera di concettualizzazione, per la giurisprudenza romana le res sanctae rappresentarono una categoria di ius sacrum di difficile inquadramento giuridico, a fronte dell’assenza di una definizione precisa ed esauriente di sanctum, la cui specificità risiedeva squisitamente sotto il profilo della protezione giuridica ad esse accordata. Nonostante tali problematiche, dalle fonti si intravede la realtà concreta, materiale e immateriale, delle res sanctae, categoria usata, ad esempio, per leggi, mura dell’Urbs, templa, fana, delubra deorum, etc., ma mai in riferimento a una dimensione temporale.

In Cicerone il termine sanctitas è avvertito in chiave strettamente umana in rapporto alla scientia colendorum deorum, ovvero quale fatto rivolto al divino; eppure la sanctitas deorum è presente nelle antichissime preghiere custodite negli archivi dei sacerdotes populi Romani.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind.]

 

[1] R. ORESTANO, I fatti di normazione nell'esperienza romana arcaica, Torino 1967, 114: «In queste condizioni tutta la vita privata e quella pubblica erano dominate dall'assillo ansioso e ininterrotto di operare in accordo con queste "forze" o "deità", di procurarsi il loro ausilio, di propiziarsi il loro assenso, di mettersi al riparo dalle loro influenze ostili, di non fare nulla che potesse suscitare il loro sfavore o una loro reazione. La paura di non soddisfare gli dèi o, peggio, che qualche atto o comportamento potesse rompere la pax deorum da cui dipendevano il benessere dell'individuo, della famiglia, della comunità, rendeva il romano continuamente attento a cercare in qualunque aspetto della natura i segni della volontà divina».

[2] Sul punto, rimando a quanto da me argomentato in maniera più concludente: F. SINI, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del "diritto internazionale antico" [Pubblicazioni del Seminario di Diritto Romano dell'Università di Sassari, 7], Sassari 1991, 83 ss.

[3] Ho utilizzato l’espressione “sistema giuridico-religioso” in luogo di “ordinamento giuridico” sulla base delle convincenti motivazioni di P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano, Torino 1965, 30 ss., in part. 37 nt. 75; ID., Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.16.1, Berlin-New York 1978, 445 s.; ID., Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, 57; con il quale concorda, in parte, anche G. LOMBARDI, Persecuzioni, laicità, libertà religiosa. Dall'Editto di Milano alla "Dignitatis Humanae'', Roma 1991, 34 s. Non condivide R. ORESTANO, Diritto. Incontri e scontri, Bologna 1981, 395 ss.; ID., Le nozioni di ordinamento giuridico e di esperienza giuridica nella scienza del diritto, in Rivista trimestrale di Diritto Pubblico 4, 1985, 959 ss., in part. 964 ss.; ID., Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, 348 ss.; seguito, fra gli altri, da P. CERAMI, Potere ed ordinamento nell’esperienza costituzionale romana, 3ª ed., Torino 1996, 10 ss.; e parzialmente da A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano, 5ª ed., Napoli 1990, 56 s.

[4] Per significati e spettro semantico della parola, cfr. H. FUGIER, Recherches sur l'expression du sacré dans la langue latine, Paris 1963, 172 ss.; é. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 2. Pouvoir, droit, religion, Paris 1969, 265 ss.; H. WAGENVOORT, Wesenszüge altrömischer Religion, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I.2, Berlin-New York 1972, 348 ss. [ripubblicato col titolo Characteristic Traits of Ancient Roman Religion, in ID., Pietas. Selected Studies in Roman Religion, Leiden 1980, 223 ss.]; G. LIEBERG, Considerazioni sull'etimologia e sul significato di Religio, in Rivista di Filologia e di Istruzione Classica 102, 1974, 34 ss.; R. MUTH, Von Wesen römischer religio, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.16.1, Berlin-New York 1978, 290 ss.; R. SCHILLING, L'originalité du vocabulaire religieux latin, in ID., Rites, cultes, dieux de Rome, Paris 1979, 30 ss.; E. MONTANARI, v. Religio, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma 1988, 423 ss.

Quanto invece all'antitesi religio/superstitio, vedi il lavoro ormai classico di W.F. OTTO, Religio und Superstitio, in Archiv für Religionswissenschaft 14, 1911, 406 ss.; da vedere anche il saggio di M. SACHOT, Religio/superstitio. Histoire d'une subversion et d'un retournement, in Revue de l'Histoire des Religions 208, 1991, 355 ss.; vedi inoltre S. CALDERONE, Superstitio, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I.2, Berlin-New York 1972, 377 ss.; D. GRODZYNSKI, Superstitio, in Revue des Études Anciennes 76, 1974, 36 ss.; L.F. JANSSEN, Die Bedeutungsentwicklung von superstitio/superstes, in Mnemosyne 28, 1975, 135 ss.; W. BELARDI, Superstitio, Roma 1976.

[5] Già il poeta Ennio aveva cantato, in questo modo, l’antichissima fondazione dell’Urbe: Augusto augurio postquam inclita condita Roma est (Svetonius, August. 7: cum, quibusdam censentibus Romulum appellari oportere quasi et ipsum conditorem urbis, praevaluisset, ut Augustus potius vocaretur, non solum novo sed etiam ampliore cognomine, quod loca quoque religiosa et in quibus augurato quid consecratur augusta dicatur, ab auctu vel ab avium gestu gustuve, sicut etiam Ennius docet scribens: Augusto augurio postquam inclita condita Roma est.); cfr. anche Livius 1.4.1: Sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis maximique secundum deorum opes imperii principium. Le varie ‘fondazioni’, di cui Roma sarebbe stata oggetto in epoche diverse, sono state studiate da A. GRANDAZZI, La fondation de Rome. Réflexion sur l’histoire, Paris 1991; di cui vedi, in part. 195, dove lo studioso francese sostiene che i Romani ebbero piena coscienza di questo «recommencement perpétuel» che aveva caratterizzato la storia della loro città. Sul tema vedi anche F. SINI, Initia Urbis e sistema giuridico-religioso romano (ius sacrum e ius publicum tra terminologia e sistematica), in «Roma e America. Diritto romano comune». Atti del Congresso internazionale «Mundus Novus. America Latina. Sistema giuridico latinoamericano» 18, 2004 [= Mundus Novus. America. Sistema giuridico latinoamericano, a cura di S. Schipani, Roma 2005, 205 ss.].

[6] D. 1.2.2.7 (Pomponius libro singulari enchiridii): Augescente civitate quia deerant quaedam genera agendi, non post multum temporis spatium Sextus Aelius alias actiones composuit et librum populo dedit, qui appellatur ius Aelianum. Le implicazioni giuridiche e politiche del concetto di civitas augescens, con particolare riguardo alla raccolta di iura ordinata dall’imperatore Giustiniano, sono state ben delineate da P. CATALANO, Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, cit., xiv s.: «Entro il quadro ‘sistematico’ della civitas augescens […], nei suoi aspetti demografici oltre che spaziali e temporali, dobbiamo collocare sia il favor libertatis e l’eliminazione degli status di peregrinus e di Latinus […] sia il favore per i nascituri». Sulla stessa linea interpretativa, vedi ora M.P. BACCARI, Il concetto giuridico di civitas augescens: origine e continuità, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61, 1995 [= Studi in memoria di Gabrio Lombardi, II, Roma 1996], 759 ss.; EAD., Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI [Pubblicazioni del Seminario di Diritto Romano dell'Università di Sassari, 9], Torino 1996, 47 ss.

[7] Vergilius, Aen. 1.275-279: Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus / Romulus excipiet gentem et Mavortia condet / moenia Romanosque suo de nomine dicet. / His ego nec metas rerum nec tempora pono: / imperium sine fine dedi. La forte carica ideologica e la precisa connotazione religiosa del passo non sono sfuggite a P. BOYANCÉ, La religion de Virgile, Paris 1963, 54, per il quale proprio sull’annuncio Imperium sine fine dedi «dans la bouche du dieu suprême repose pour ainsi dire toute l’œuvre». Già i commentari antichi (cfr. Servius, in Verg. Aen. 1.278) avevano stabilito un nesso ben preciso tra l’imperium sine fine e l’eternità di Roma; lo stesso orientamento si registra nella maggior parte della dottrina contemporanea. Tuttavia, ad un esame più attento, il verso non sembra avere univoco senso temporale. Lo interpretano in senso spazio/temporale sia G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma 1974, 209; sia R. TURCAN, Rome éternelle et les conceptions gréco-romains de l’éternité, in Roma Costantinopoli Mosca [Da Roma alla Terza Roma, Studi I], Napoli 1983, 16; mentre A. MASTINO, Orbis, kosmos, oikoumene: aspetti spaziali dell’idea dell’impero universale da Augusto a Teodosio, in Popoli e spazio romano tra diritto e profezia [Da Roma alla Terza Roma, Studi III], Napoli 1986, 71, sostiene che nei due versi Aen. 1.278-279 è attestata la propensione augustea a superare tutti i limiti di spazio: «l’impero romano era almeno teoricamente un imperium sine fine, che non aveva frontiere». Per la bibliografia sul poema virgiliano, mi pare utile rinviare a W. SUERBAUM, Hundert Jahre Vergil-Forschung: eine systematische Arbeitsbibliographie mit besonderer Berücksichtigung der Aeneis, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.31.1, Berlin-New York 1980, 3 ss. Quanto alla divini et humani iuris scientia di Virgilio, vedi F. SINI, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del "diritto internazionale antico", cit., 17 ss.

[8] Questo significato di religio è attestato da Cicero, De nat. deor. 2.8: C. Flaminium Coelius religione neglecta cecidisse apud Transumenum scribit cum magno rei publicae vulnere. Quorum exitio intellegi potest eorum imperiis rem publicam amplificatam qui religionibus paruissent. Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores. Sul passo, vedi fra gli altri C. BAILEY, Phases in the religion of ancient Rome, Berkeley 1932, rist. Westport, Conn. 1972, 274 s.; R. TURCAN, Religion romaine. 2. Le culte, Leiden-New York-København-Köln 1988, 5 s.: «C'est à la piété collective et institutionnelle, aux religions de la cité que les Romains attribuaient le succès de leur politique et leur hégémonie universelle. [...] A cet égard, les Romains pouvaient à bon droit se targuer de l'emporter sur tous peuples religione, id est cultu deorum»; M. HUMBERT, Droit et religion dans la Rome antique, in Mélanges Wubbe, Fribourg Suisse 1993, 196 s.

Nello stesso senso, anche altri testi ciceroniani: De nat. deor. 1.117 (religionem, quae deorum cultu pio continetur); De leg. 1.60; 2.30; De har. resp. 18.

[9] Per la definizione di pax deorum, vedi H. FUCHS, Augustinus und der antike Friedengedanke. Untersuchungen zum neunzehnten Buch der Civitas Dei, Berlin 1926, 186 ss.; ampi riferimenti alle fonti attestanti i comportamenti umani suscettibili di violarla in P. VOCI, Diritto sacro romano in età arcaica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 19, 1953, 49 ss. [= ID., Scritti di diritto romano, I, Padova 1985, 226 ss.]; ai quali sono da aggiungere: J. BAYET, La religion romaine. Histoire politique et psychologique, 1957, 2ª ed., Paris 1969 [rist. 1976], 57 ss. [= ID., La religione romana. Storia politica e psicologica, trad. it. di G. Pasquinelli, Torino 1959 (rist. 1992), 59 ss.]; M. SORDI, Pax deorum e libertà religiosa nella storia di Roma, in AA.VV., La pace nel mondo antico, Milano 1985, 146 ss.; R. FIORI, Homo sacer. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa, Napoli 1996, 167 ss.; E. MONTANARI, Il concetto originario di ‘pax’ e la ‘pax deorum’, in Concezioni della pace (Seminario 21 aprile 1988) [Da Roma alla Terza Roma, Studi VI], a cura di P. Catalano e P. Siniscalco, Roma 2006, 39 ss.

Su tale nozione, mi permetto di rinviare anche ad alcuni miei lavori (ivi fonti e letteratura precedente): F. SINI, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, cit., 256 ss.; ID., Populus et religio dans la Rome républicaine, in Archivio Storico e Giuridico Sardo di Sassari 2, n. s., 1995, ma 1996, 77 ss.; ID., La negazione nel linguaggio precettivo dei sacerdoti romani, in Il Linguaggio dei Giuristi Romani. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Lecce, 5-6 dicembre 1994, a cura di O. Bianco e S. Tafaro, Galatina 2000, 176 ss.; ID., Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, 167 ss., 262 ss.; ID., Люди и боги в римской религиозно-юридической системе: pax deorum, эпоха богов, жертвоприношение [Uomini e dèi nel sistema giuridico-religioso romano: pax deorum, tempo degli dèi, sacrifici], in Ius Antiquum - Drevnee Pravo 8, Moskva 2001, 8 ss., pubblicato in italiano in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze giuridiche e Tradizione romana 1, Maggio 2002, = http://www.dirittoestoria.it/tradizione/F.%20Sini%20-%20Uomini%20e%20D%E8i%20%20nel%20sistema%20giuridico-religioso%20roman.htm; ID., Ut iustum conciperetur bellum. Guerra “giusta” e sistema giuridico-religioso romano, in Seminari di storia e di diritto, III. «Guerra giusta»? La metamorfosi di un concetto antico, a cura di A. Calore, Milano 2003, 71 ss.; ID., «Fetiales, quod fidei publicae inter populos praeerant»: riflessioni su fides e “diritto internazionale” romano (a proposito di bellum, hostis, pax), in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese. (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di L. Garofalo, III, Padova 2003, 535 ss.; ID., Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana, in Diritto @ Storia 3, Maggio 2004 = http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Sini-Religione-e-sistema-giuridico.htm; Id., Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, in La condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la Méditerranée [Collection Systèmes Juridiques de la Méditerranée. Etudes et documents, 1], sous la direction de F. Castro et P. Catalano, Paris 2001 [pubbl. 2004], 59 ss.; ID., Bellum, fas, nefas: aspetti religiosi e giuridici della guerra (e della pace) in Roma antica, in Diritto @ Storia 4, Novembre 2005 = http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Sini-Guerra-pace-Roma-antica.htm ; Id., Diritto e pax deorum in Roma antica, in Diritto @ Storia 5, Novembre 2006 <http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm>; Id., Pax deorum e sistema giuridico-religioso romano, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore di L. Labruna, vol. IV, Napoli 2007, 5165 ss.; Ф. СИНИ, Право И Pax Deorum В Древнем Риме, in Ius Antiquum 9, (Movska) 2007, <Sini-Ius-Antiquum-19-2007 (dirittoestoria.it)>; ID., Religione e poteri del popolo in Roma repubblicana, in Diritto @ Storia 6, 2007 (ma on line febbraio 2008) <http://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Sini-Religione-poteri-Popolo-Roma-repubblicana.htm>; Id., La règle «iniussu populi voveri non posse»: le peuple et la religion dans la Rome républicaine, in Diritto @ Storia 9, 2010 (ma on line febbraio 2011) <http://www.dirittoestoria.it/9/Tradizione-Romana/Sini-Iniussu-populi-voveri-non-posse.htm>.

[10] M. HUMBERT, Droit et religion dans la Rome antique, cit., 195: «La conception – d'ordre philosophique – du monde romain est celle d'un ensemble de rapports ou de forces en équilibre: toute action humaine affecte par définition cette harmonie naturelle et trouble l'ordre voulu par les dieux. D'où la nécessité, avant (ou, au pire, après) toute action, de se concilier l'accord des dieux témoignant leur adhésion. La paix universelle est alors sauvegardée. La religion consiste ainsi à rester en bons rapports avec les dieux, pour les avoir avec soi».

[11] P. VOCI, Diritto sacro romano in età arcaica, cit., 49 [= ID., Scritti di diritto romano, I, cit., 224].

[12] J. SCHEID, Le prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdoces et le droit public à la fin de la République, in AA.VV., Des ordres à Rome, direction de C. Nicolet, Paris 1984, 269 s.: «La République est effectivement une association de trois partenaires: les dieux, le peuple et les magistrats».

[13] P. VOCI, Diritto sacro romano in età arcaica, cit., 50: «Legalismo religioso è l'insieme delle regole che insegnano a mantenere la pax deorum» [= ID., Scritti di diritto romano, cit., 225].

[14] C. BAILEY, Phases in the religion of Ancient Rome, cit., 76: «Roman ritual, as it was later formulated in the ius divinum of the State-cult, recognized four means (caerimoniae) for securing and maintaining the pax deorum, the relation of kindliness between gods and men».

[15] D. 1.1.1.2 (Ulpianus libro primo institutionum): Huius studii duae sunt positiones, publicum et privatum. Publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim. Publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit. Riguardo al frammento di Ulpiano, mi pare che possano ormai considerarsi superate sia affermazioni contrarie alla genuinità del testo (F. SCHULZ, Prinzipien des römischen Rechts, München 1934; qui cit. nella edizione italiana: I principii del diritto romano, trad. it. a cura di V. Arangio-Ruiz, Firenze 1949, 23 nt. 33; U. VON LÜBTOW, Das römische Volk. Sein Staat und sein Recht, Frankfurt am Main 1955, 618: «Die merkwürdige Dreiteilung des ius publicum: in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus stammt sicherlich nicht von Ulpian»), sia dubbi e perplessità (B. ALBANESE, Premessa allo studio del diritto privato romano, Palermo 1978, 192 nt. 295). Favorevoli all'autenticità del testo, fra gli altri: F. STELLA MARANCA, Il diritto pubblico romano nella storia delle istituzioni e delle dottrine politiche, in ID., Scritti vari di diritto romano, Bari 1931, 102 ss.; SILVIO ROMANO, La distinzione fra ius publicum e ius privatum nella giurisprudenza romana, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, IV, Padova 1940, 157 ss.; G. NOCERA, Ius publicum (D. 2, 14, 38). Contributo alla ricostruzione storico-esegetica delle regulae iuris, Roma 1946, 152 ss.: «Ulpiano è sulla scia della più pura tradizione romana» (161); ID., Il binomio pubblico-privato nella storia del diritto, Napoli 1989, 171 ss.; F. WIEACKER, Doppelexemplare der Institutionen Florentins, Marcians und Ulpians, in Mélanges De Visscher, II, Bruxelles 1949, 585, il quale sostiene che sacra, sacerdotes e magistratus è una suddivisione di inconfondibile stampo repubblicano; A. CARCATERRA, L’analisi del ius e della lex come elementi primi. Celso, Ulpiano, Modestino, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 46, 1980, 272 ss.; G. ARICÒ ANSELMO, Ius publicum - ius privatum in Ulpiano, Gaio e Cicerone, in Annali del Seminario Giuridico dell'Università di Palermo 37, 1983, 447 ss., in part. 461 ss.; H. ANKUM, La noción de ius publicum en derecho romano, in Anuario de Historia del Derecho Español 53, 1983, 524 ss.; M. KASER, Ius publicum und ius privatum, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (R. A.) 103, 1986, 6 ss.; F. SINI, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, cit., 223 nt. 112; P. STEIN, Ulpian and the Distinction between ius publicum and ius privatum, in Collatio iuris Romani. études dédiées à Hans Ankum à l’occasion de son 65ème anniversaire, II, Amsterdam 1995, 499 ss.; V. MAROTTA, Ulpiano e l’impero, I, Napoli 2000, 153 ss.

[16] Fra la bibliografia, davvero imponente, vedi: per gli aspetti politico-sociali, R. SYME, La rivoluzione romana, trad. it., Torino 1962 (rist. 1974), 442 ss.; C. PARAIN, Augusto, trad. it., Roma 1979, 113 ss.; M.A. LEVI, Augusto e il suo tempo, Milano 1986, 245 ss.; per i riflessi giuridico-costituzionali, F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, IV, 2ª ed., Napoli 1974, 230 ss.; per la materia propriamente religiosa, J. BAYET, La religione romana. Storia politica e psicologica, trad. it., cit., 185 ss., e K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, München 1960, 294 ss.

[17] Acute osservazioni di R. ORESTANO, Dal ius al fas. Rapporto fra diritto divino e umano in Roma dall'età primitiva all'età classica, in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano 46, 1939, 198, per il quale «è certo che nella storia primitiva di Roma domina il concetto che non solo le principali vicende, ma i principi stessi dell'organizzazione sociale fossero rispondenti alla volontà degli Dèi».

[18] Livius 5.51.4-5: Equidem, si nobis cum urbe simul positae traditaeque per manus religiones nullae essent, tamen tam evidens numen hac tempestate rebus adfuit Romanis, ut omnem neglegentiam divini cultus exemptam hominibus putem. Intuemini enim horum deinceps annorum vel secundas res vel adversas; invenietis omnia prospera evenisse sequentibus deos, adversa spernentibus. Cfr. Livius 1.9.3-4; 1.21.1-2; 1.55.3-4; 8.3.10; 28.11.1.

[19] M.-L. DEISSMANN-MERTEN, Fides Romana bei Livius, Diss. 1964, Frankfurt am Main 1965; W. FLURL, Deditio in fidem. Untersuchungen zu Livius und Polybios, Diss. München 1969, 127 ss.; P. BOYANCÉ, Études sur la religion romaine, Rome 1972, 105 ss. [Fides romana et la vie internationale], 135 ss. [Les Romains, peuple de la Fides]; K.-J. HÖLKESKAMP, Fides - deditio in fidem - dextra data et accepta: Recht, Religion und Ritual in Rom, in The Roman middle republic. Politics, religion, and historiography c. 400-133 B.C., edited by C. Bruun, Rome 2000, 223 ss.; su fides e pietas vedi T.J. MOORE, Artistry and Ideology: Livy’s Vocabulary of Virtue, Frankfurt am Main 1989, in part. 35 ss., 56 ss.

[20] Livius 44.1.9-11: Paucis post diebus consul contionem apud milites habuit. Orsus a parricidio Persei perpetrato in fratrem, cogitato in parentem, adiecit post scelere partum regnum veneficia, caedes, latrocinio nefando petitum Eumenen, iniurias in populum Romanum, direptiones sociarum urbium contra foedus. Ea omnia quam dis quoque invisa essent, sensurum in exitu rerum suarum; favere enim pietati fideique deos, per quae populus Romanus ad tantum fastigii venerit.

Per una visione complessiva delle concezioni religiose del sommo annalista romano, sono da consultare G. STÜBLER, Die Religiosität des Livius, Stuttgart-Berlin 1941; I. KAJANTO, God and fate in Livy, Turku 1957; A. PASTORINO, Religiosità romana dalle Storie di Tito Livio, Torino 1961; W. LIEBESCHUETZ, The Religious position of Livy’s History, in The Journal of Roman Studies 67, 1967, 45 ss.; D.S. LEVENE, Religion in Livy, Leiden-New York-Köln 1993; per le formule di preghiera, vedi invece F.V. HICKSON, Roman prayer language: Livy and the Aeneid of Virgil, Stuttgart 1993.

[21] Fra la dottrina basterà citare: A. VON BLUMENTHAL, v. Pomerium, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, 21.2, Stuttgart 1952, coll. 1867 ss.; J. LE GALL, A propos de la Muraille Servienne et du Pomerium. Quelques rappels et quelques remarques, in Etudes d’Archéologie Classique 2, 1959, 41 ss.; P. CATALANO, v. Pomerio, in Novissimo Digesto Italiano, XIII, Torino 1966, 263 ss.; G. LUGLI, I confini del pomerio suburbano di Roma primitiva, in Mélanges d’Archéologie, d’Epigraphie et d’histoire offerts à J. Carcopino, Rome 1966, 641 ss.; J. GAGÉ, La ligne pomériale el les catégories sociales de la Rome primitive. A propos de l’origine des Poplifugia et des «Nones Caprotines», in Revue Historique de Droit français et étranger 48, 1970, 5 ss. (ora in ID., Enquêtes sur les structures sociales et religieuses de la Rome primitive, Bruxelles 1977, 162 ss.); F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, I, 2ª ed., Napoli 1972, 126 ss.; A. MAGDELAIN, Le “pomerium” archaïque et le “mundus”, in Revue des études latines 54, 1976, 71 ss. (= ora in ID., Jus imperium auctoritas. études de droit romain, Rome 1990, 155 ss.); R. ANTAYA, The Etymology of “pomerium”, in American Journal of Philology 101, 1980, 184 ss.; B. LIOU-GILLE, Le pomerium, in Museum Helveticum 50, 1993, 94 ss.

[22] Servius Dan., in Verg. Aen. 2.351: excessere quia ante expugnationem evocabantur ab hostibus numina propter vitanda sacrilegia. Inde est, quod Romani celatum esse voluerunt, in cuius dei tutela urbs Roma sit. Et iure pontificum cautum est, ne suis nominibus dii Romani appellarentur, ne exaugurari possint. Et in Capitolio fuit clipeus consecratus, cui inscriptum erat ‘genio urbis Romae, sive mas sive femina’. Et pontifices ita precabantur ‘Iuppiter optime maxime, sive quo alio nomine te appellari volueris’. Macrobius, Sat. 3.9.3: nam propterea ipsi Romani et deum in cuius tutela urbs Roma est et ipsius urbis Latinum nomen ignotum esse voluerunt.

[23] Cfr. C. AMPOLO, La città riformata e l’organizzazione centuriata. Lo spazio, il tempo, il sacro nella nuova realtà urbana, in Storia di Roma. 1. Roma in Italia, direzione di A. Momigliano e A. Schiavone, Torino 1988, 202 ss., in part. 231 ss.

[24] Festus, De verb. sign., v. Peregrina sacra, p. 268 L.: Peregrina sacra appellantur, quae aut evocatis dis in oppugnandis urbibus Romam sunt † conata † [conlata Gothofr.; coacta Augustin.], aut quae ob quasdam religiones per pacem sunt petita, ut ex Phrygia Matris Magnae, ex Graecia Cereris, Epidauro Aesculapi: quae coluntur eorum more, a quibus sunt accepta. Quanto alla fonte del testo verriano, F. BONA, Contributo allo studio della composizione del «de verborum significatu» di Verrio Flacco, Milano 1964, 16 nt. 11, ha avanzato l’ipotesi che possa trattarsi di una “glossa catoniana”: una delle glosse, cioè, «il cui lemma è costituito da espressioni verbali o nominali tratte dal lessico di Catone (nella quasi totalità dalle orazioni)» (15); nello stesso senso ID., Opusculum Festinum, Ticini 1982, 15.

Sui sacra peregrina vedi, per tutti, J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III. Das Sacralwesen, 2ª ed. a cura di G. Wissowa, Leipzig 1885 (rist. an. New York 1975), 42 ss., 74 ss. [= ID., Le culte chez les Romains, I, trad. fr. di M. Brissaud, Paris 1889, 44 ss., 81 ss.]; G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., München 1912, 348 ss.; M. VAN DOREN, Peregrina sacra. Offizielle Kultübertragungen im alten Rom, in Historia 3, 1955, 488 ss.; R. TURCAN, Lois romaines, dieux étrangers et «religion d’Etat», in Diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca, a cura di M.P. Baccari, Roma 1994, 23 ss.; F. SINI, Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, cit., 59 ss.

[25] Livius 5.21.3: Te simul, Iuno regina, quae nunc Veios colis, precor ut nos victores in nostram tuamque mox futuram urbem sequare, ubi te dignum amplitudine tua templum accipiat. L’evocatio di Giunone Regina è stata studiata, fra gli altri, da V. BASANOFF, Evocatio. Étude d’un rituel militaire romain, Paris 1947, 42 ss.; S. FERRI, La Iuno Regina di Veii, in Studi Etruschi 24, 1955, 106 ss.; J. HUBAUX, Rome et Véies. Recherches sur la chronologie légendaire du moyen âge romain, Paris 1958, 154 ss.; R.E.A. PALMER, Roman Religion and Roman Empire. Five Essays, Philadelphia 1974, 21 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, 2ème éd., Paris 1974, 426 s. [= ID., La religione romana arcaica, trad. it. di F. Jesi, Milano 1977, 370 s.]; R. BLOCH, Interpretatio, in Id., Recherches sur les religions de l’Italie antique, Genève 1976, 15 ss.

Macrobius, Sat. 3.9.6-9: [6] Nam repperi in libro quinto rerum reconditarum Sammonici Sereni utrumque carmen, quod ille se in cuiusdam Furii vetustissimo libro repperisse professus est. [7] Est autem carmen huius modi quo di evocantur cum oppugnatione civitas cingitur: “Si deus, si dea est, cui populus civitasque Carthaginiensis est in tutela, teque maxime, ille qui urbis huius populique tutelam recepisti, precor venerorque, veniamque a vobis peto ut vos populum civitatemque Carthaginiensem deseratis, loca templa sacra urbemque eorum relinquatis, [8] absque his abeatis eique populo civitatique metum formidinem oblivionem iniciatis, propitiique Romam ad me meosque veniatis, nostraque vobis loca templa sacra urbs acceptior probatiorque sit, mihique populoque Romano militibusque meis propitii sitis. Si <haec> ita faceritis ut sciamus intellegamusque, voveo vobis templa ludosque facturum”. [9] In eadem verba hostias fieri oportet, auctoritatemque videri extorum, ut ea promittant futura. P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, Tilsit 1878, 11, fr. 52; F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I. Liberae rei publicae iuris consulti, Lipsiae 1896, 29, fr. 1; C. THULIN, Italische sakrale Poesie und Prosa. Eine metrische Untersuchung, Berlin 1906, 59 ss.; HUSCHKE-SECKEL-KÜBLER, Iurisprudentiae anteiustinianae reliquias I, Lipsiae 1908, 15, fr. 1.

[26] Sul tema, penetranti riflessioni di F.P. CASAVOLA, Il concetto di urbs Roma: giuristi e imperatori romani, in ID., L'idea giuridica e politica di Roma e personalità storiche, I, Roma 1991, 39 ss. [= Labeo 38, 1992, 20 ss.].

[27] G. SCHERILLO, Il diritto pubblico romano in Tito Livio, in AA.VV., Liviana, Milano 1943, 79 ss., aveva attribuito, a ragione, notevole rilevanza ai libri ab urbe condita del grande annalista, quale fonte privilegiata per la conoscenza della complessa materia dello ius publicum in età repubblicana; nello stesso senso, anni dopo C.ST. TOMULESCU, La valeur juridique de l'histoire de Tite-Live, in Labeo 21, 1975, 295 ss.

[28] Cfr., in tal senso, A. FERRABINO, Urbs in aeternum condita, Padova 1942; J. VOGT, Römischer Glaube und römisches Weltreich, Padova 1943. Per quanto riguarda, invece, più specificamente l’ideologia, vedi H. HAFFTER, Rom und römische Ideologie bei Livius, in Gymnasium 71, 1964, 236 ss. [= ID., Römische Politik und römische Politiker, Heidelberg 1967, 74 ss.]; M. MAZZA, Storia e ideologia in Livio. Per un'analisi storiografica della ‘praefatio’ ai ‘libri ab urbe condita’, Catania 1966, in part. 129 ss.; G. MILES, Maiores, Conditores, and Livy's Perspective of the Past, in Transactions of the American Philological Association 118, 1988, 185 ss.; B. FEICHTINGER, Ad maiorem gloriam Romae. Ideologie und Fiktion in der Historiographie des Livius, in Latomus 51, 1992, 3 ss.

[29] H. FUGIER, Recherches sur l'expression du sacré dans la langue latine, cit., 207: «En fait, le populus ne pourrait subsister s’il perdait le milieu sacré qui le nourrit pour ainsi dire, en quittant l’urbs fondée avec l’acquiescement des auspices et par un acte inaugural; ou pour exprimer la même idée à un niveau religieux un peu plus moderne, il ne pourrait conserver la pax deorum, hors du cadre seul apte à contenir les sacrifices réguliers, par lesquels cette “paix” se maintient. Telles sont les vérités que lui rappelle Camille, pour ruiner la folle suggestion des tribuns, d’émigrer en masse vers le site de Véies»; ma vedi anche la riflessione di C.M. TERNES, Tantae molis erat… De la ‘nécessité’ de fonder Rome, vue par quelques écrivains romains du –1er siècle, in “Condere Urbem”. Actes des 2èmes Rencontres Scientifiques de Luxembourg (janvier 1991), Luxembourg 1992, 18 s.

[30] F. SINI, Impero Romano e religioni straniere: riflessioni in tema di universalismo e “tolleranza” nella religione politeista romana, in Sandalion. Quaderni di cultura classica, cristiana e medievale 21-22, 1998-1999 [ma 2001], 57 ss.: si tratta del testo della relazione presentata con lo stesso titolo al Convegno Internazionale «Roma Imparatorlugu’ndan Osmanli Imperatorlugu’na - Empire Romain, Esprit romain et Empire Ottoman», organizzato ad Istanbul, nei giorni 25-26 novembre 1999, dalla Türk Tarih Kurumu (Società di Storia Turca) per celebrare il 700° anniversario della fondazione dell’Impero Ottomano); ID., Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, cit., 1 ss.; infine, ID., Aspetti e problemi dell’universalismo romano. Ricerche di ius publicum (e ius sacrum), in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 14, 2016 < http://www.dirittoestoria.it/14/innovazione/Sini-Aspetti-problemi-universalismo-romano-Ricerche-ius-publicum-ius-sacrum.htm >; ID., Dai documenti dei sacerdoti romani: dinamiche dell’universalismo nella religione e del diritto pubblico di Roma, in Diritto @ Storia 2, Marzo 2003 < http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Dai-Documenti.htm >; ID., Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, cit., 59 ss.

Fra la bibliografia più di recente sulla questione, mette conto segnalare il saggio di A. ARNESE, La religione degli altri: tolleranza o repressione?, in S. RANDAZZO (a cura di), Religione e Diritto Romano. La cogenza del rito, Tricase 2015, 93 ss.

[31] Sul complesso fenomeno dei rapporti con le divinità dei vicini e con le divinità dei nemici, interpretato in termini di "estensioni" e "mutamenti" della religione tradizionale, vedi G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., 409 ss., 425 ss. [= ID., La religione romana arcaica, cit., 355 ss., 369 ss.].

[32] A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali ante Augusti mortem scriptorum reliquiae, Lipsiae 1875, 42, fr. XXVII.

[33] In merito a questa divisione elaborata dal collegio degli àuguri e, più in generale, sul valore giuridico dell'ager, cfr. P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, cit., 492 ss.

[34] A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les Pontifes de l’ancienne Rome. Etude historique sur les institutions religieuses de Rome, Paris 1871 [rist. an. New York 1975], 83.

[35] F. SINI, Religione e poteri del popolo in Roma repubblicana, cit.

[36] R. ORESTANO, Dal ius al fas. Rapporto fra diritto divino e umano in Roma dall'età primitiva all'età classica, cit., 201.

[37] Cfr. la qualifica, certo antichissima, attribuita al pontifex maximus nell'ordo sacerdotum: Festus, De verb sign. pp. 198-200 L.: Ordo sacerdotum aestimatur deorum <ordine ut deus> maximus quisque. Maximus videtur Rex, dein Dialis, post hunc Martialis, quarto loco Quirinalis, quinto pontifex maximus. Itaque in soliis Rex supra omnis accumbat licet; Dialis supra Martialem, et Quirinalem; Martialis supra proximum; omnes item supra pontificem. Rex, quia potentissimus: Dialis, qui universi mundi sacerdos, qui appallatur Dium; Martialis, quod Mars conditoris urbis parens; Quirinalis, socio imperii Romani Curibus ascito Quirino; pontifex maximus, quod iudex atque arbiter habetur rerum divinarum humanarumque.

Per la risalenza dell'ordo sacerdotum attestato da Festo, vedi soprattutto G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., 155 [= ID., La religione romana arcaica, cit., 138 s.]; sul testo cfr. anche F. D'IPPOLITO, Giuristi e sapienti in Roma arcaica, Roma-Bari 1986, 91 s.; M. BRETONE, Storia del diritto romano, Roma-Bari 1987, 108.

[38] D. 1.1.10.2 (Ulpianus libro primo regularum): Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia.

[39] Gaius, Inst. 2.2 (= D. 1.8.1.pr.): Summa itaque rerum divisio in duos articulos diducitur: nam aliae sunt divini iuris, aliae humani.

[40] Augustinus, De civ. Dei 6.3: In divinis identidem rebus eadem ab illo divisionis forma servata est, quantum attinet ad ea quae diis exhibenda sunt. Exhibentur enim ab hominibus, in locis et temporibus sacra. Haec quattuor, quae dixi, libris complexus est ternis: nam tres priores de hominibus scripsit, sequentes de locis, tertios de temporibus, quartos de sacris, etiam hic qui exhibeant, ubi exhibeant, quando exhibeant, quod exhibeant, subtilissima distinctione commendans. Sed quia oportebat dicere et maxime id expectabatur quibus exhibeant, de ipsis quoque diis tres conscripsit extremos, ut quinquies terni quindecim fierent. Sunt autem omnes, ut diximus, sedecim quia et istorum exordio unum singularem qui prius de omnibus loqueretur, apposuit; quo absoluto consequenter ex illa quinquepartita distributione tres praecedentes, qui ad homines petinent, ita subdivisit, ut primus sit de pontificibus, secundus de auguribus, tertius de quindecemviris sacrorum: secundos tres ad loca pertinentia ita, ut in uno eorum de sacellis, altero de sacris aedibus, diceret, tertio de locis religiosis. Tres porro qui illos sequentur, ad tempora pertinent, id est ad dies festos, ita, ut unum faceret de feriis, alterum de ludis circensibus, de scenicis tertium. Quartorum trium ad sacra pertinentia uni dedit consecrationes, alteri sacra privata, ultimo publica. Hanc velut pompam obsequiorum in tribus, qui restant, dii ipsi sequuntur extremi, quibus iste universus cultus impensus est, in primo dii certi, in secundo incerti, in tertio cunctis novissimo dii praecipui atque selecti.

[41] Cfr. Cicero, De har. resp. 12: de sacris publicis, de ludis maximis, de deorum penatium Vestaeque matris caerimoniis, de illo ipso sacrificio quod fit pro salute populi Romani, quod post Romam conditam huius unius casti tutoris religionum scelere violatum est, quod tres pontifices statuissent, id semper populo Romano, semper senatui, semper ipsis dis immortalibus satis sanctum, satis augustum, satis religiosum esse visum est.

[42] Per quanto attiene ai documenti dei collegi sacerdotali, alla consistenza e strutturazione dei loro archivi, allo stato dell’esiguo materiale residuo: F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica. I. Libri e commentarii, Sassari 1983, 15 ss., 143 ss.

[43] F.P. BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, I. Liberae rei publicae iuris consulti, cit., 406 fr. 9. PH.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae Anteiustinianae reliquias, editione sexta aucta et emendata ediderunt E. SECKEL et B. KUEBLER, I, cit., 45 fr. 7.

[44] M. TALAMANCA, Trebazio Testa tra retorica e diritto, in AA.VV. Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana, a cura di G.G. Archi, Milano 1985, 46 ss., in particolare 56.

[45] Servius, in Verg. Aen. 8.382; Isidorus, Orig. 15.4.2.

[46] Vergilius, Aen. 12.200: audiat hoc genitor qui foedera fulmine sancit.

[47] K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., 39, 81.

[48] P.F. GIRARD, Manuel élémentaire de droit romain, I, Paris 1929.

[49] G. BRANCA, Le “res extra commercium humani iuris”, in Annali dell’Università di Trieste 1941, 242 ss.

[50] P. NOAILLES, Du droit sacré au droit civil. Cours de droit romain approfondi (1941-42), Paris 1949.

[51] P. VOCI, Diritto sacro romano in età arcaica, cit., 38 ss.

[52] P. BONFANTE, Corso di diritto romano, II. La proprietà, 1, (1926), rist. a cura di G. Bonfante e G. Crifò, Milano 1966, 50.

[53] G. LA PIRA, La genesi del sistema nella giurisprudenza romana classica I. Problemi generali, in Studi Virgili, Firenze 1935, 159 ss.

[54] G. GROSSO, Corso di diritto romano. Le cose, Torino 1941. ID., Problemi sistematici del diritto romano. Cose-Contratti, Torino 1974, 30 ss.

[55] C. GIOFFREDI, La sanctio della legge e la perfectio della norma giuridica, in Archivio Penale 2.1, 1946, 166 ss.

[56] S. SOLAZZI, «Quodam modo» nelle Istituzioni di Gaio, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 19, 1953, 109 ss. ID., Ritorni su Gaio, in Iura 8, 1957, 1 ss. ID., Da Gai 2.8 a D. 49.16.3.17, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 23, 1957, 209 ss.

[57] F. FABBRINI, v. “Res divini iuris”, in Novissimo Digesto Italiano, XV, Torino 1968, 510 ss. ID., Dai “religiosa loca” alle “res religiosae”, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 73, 1970, 197 ss.

[58] C. BUSACCA, «Ne quid in loco sacro religioso sancto fiat»?, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 43, 1977, 265 ss. ID., Studi sulla classificazione delle cose nelle istituzioni di Gaio, Villa san Giovanni 1982.

[59] F. SALERNO, Dalla «consecratio» alla «publicatio bonorum», Napoli 1990.

[60] G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Padova 1986, 268.

[61] M. MARRONE, Lineamenti di diritto privato romano, Torino 2001, 158.

[62] M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, 381 s.

[63] D. DALLA-R. LAMBERTINI, Istituzione di diritto romano, 2ª ed., Torino 2001, 221.

[64] R. MARTINI, Appunti di diritto romano privato, 2ª ed., Padova 2007, 50 s.

[65] A. LOVATO-S. PULIATTI-L. SOLIDORO MARUOTTI, Diritto privato romano, Torino 2014, 251 s. [Solidoro].

[66] M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, cit., 382.

[67] C. BUSACCA, Studi sulla classificazione delle cose nelle istituzioni di Gaio, cit. Cfr. anche E. FANTETTI, L’inquadramento classico delle «res sanctae», in Labeo 2, 1956, 94 ss.

[68] D. 1.8.6.2 (Marcianus libro tertio institutionum): Sacrae res et religiosae et sanctae in nullius bonis sunt. Vedi dello stesso giurista anche D. 1.8.8 (Marcianus libro quarto regularum).

[69] D. 39.3.17.3 (Paulus libro quinto decimo ad Plautium): Sed loco sacro vel religioso vel sancto interveniente, quo fas non sit uti, nulla servitus imponi poterit.

[70] D. 11.7.2.4 (Ulpianus libro vicensimo quinto ad edictum): Purus autem locus dicitur, qui neque sacer neque sanctus est necque religiosus, sed ab omnibus huiusmodi nominibus vacare videtur.

[71] D. 41.3.9 (Gaius libro quarto ad edictum provinciale): Usucapionem recipiunt [maxime] res corporales, exceptis rebus sacris, sanctis, publicis, populi romani et civitatium, item liberis hominibus.

[72] D. 1.8.8.pr. (Marcianus libro quarto regularum): Santus est, quod ab iniuria hominum defensum atque munitum est.

[73] C. GIOFFREDI, La sanctio della legge e la perfectio della norma giuridica, cit., 166 ss.

Per gli aspetti più generali, resta davvero fondamentale il saggio di Feliciano SERRAO pubblicato sotto la voce «Legge (Diritto romano)» nella Enciclopedia del diritto, volume XXIII, Milano 1973, 794 ss. Il testo fu subito riedito, come primo capitolo di una raccolta di saggi, proposti anche a scopo didattico dall’indimenticabile Maestro: F. SERRAO, Classi partiti e legge nella Repubblica romana, Pisa 1974, 5 ss.

[74] F. BONA, Alla ricerca del 'de verborum, quae ad ius civile pertinent, significatione' di C. Elio Gallo. I. La struttura dell'opera, in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano 90, 1990, 119 ss.

[75] P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., 15 fr. 74. Il passo è corrotto e la ricostruzione appare molto problematica: il Preibisch, accettando le integrazioni di Orsini e Scaligero accolte nell’ediz. del Müller, propone la seguente lettura: Sancta loca (undique saepta doce)nt pontifici libri, in quibus (scriptum est: templum)que sedemque tescumque (sive deo sive dea) dedicaverit, ubi ac(cipiat volentes) propitiosque; ma vedi, anche, l’interpretazione di P.-Y. CHANUT, Les «tesca» du Capitole, in Revue de Philologie, de Litterature et d’Histoire anciennes 54, 1980, 295 ss. (in part. 300 s.).

Per quanto riguarda la fonte di questo passo, ne attribuisce la paternità ad Elio Stilone, sostituendo la lettura comunemente accettata <Tesca Verrius ai>t con <Tesca Aelius> ait, H. FUNAIOLI, Grammaticae Romanae fragmenta, I, Lipsiae 1907, 76 fr. 75, con la seguente argomentazione: «Verrius certe qui vulgo suppletur reieci debet, quippe qui semper ultimus a Festo afferatur». Su questo problema, e più in generale sulle glosse derivate da questo grammatico, cfr. F. BONA, Contributo allo studio della composizione del «De verborum significatu», cit., 142 ss., in part. 147 nt.

[76] Sul passo, e più in generale sulle fonti che attestano contenuti dei libri e dei commentarii sacerdotali, vedi F: SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 91 ss.

Parallelamente alla diffusione del libro, si materializzò un’intensa attività di ricerca e collaborazione scientifica tra un gruppo di lavoro italiano costituito nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari e un gruppo russo, costituito tra l’Istituto di Storia Universale dell’Accademia delle Scienze di Russia, Mosca e la Facoltà di Storia della Università Statale di Mosca “M.V. Lomonosov”.

[77] F. SINI, Libri e commentarii nella tradizione documentaria dei grandi collegi sacerdotali romani, in Ius Antiquum – Drevne Pravo 2 (5), 1999, 76-108 (italiano con sunto russo); ID., Diritto e documenti sacerdotali romani: verso una palingenesi, in Ius Antiquum – Drevne Pravo 2 (16), 2005, 22-49 (italiano con sunto russo).

[78] P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, cit., 477.

[79] F. FABBRINI, v. “Res divini iuris”, cit., 542.

[80] Ulpianus libro sexagensimo octavo ad edictum: Muros autem municipales nec reficere licet sine principis vel praesidis auctoritate nec aliud eis congiungere vel super ponere.

[81] E. LUEBBERTUS, Commentationes pontificales, Berolini 1859, 48: «haud scio an vetustioribus temporibus pontificum arbitrium fuerit».

[82] D. 49.16.3.17 (Modestinus libro quarto de poenis): Nec non et si vallum quis transcendat aut per murum castra ingrediatur, capite punitur.

[83] In materia di templa, ottima sistemazione di sintesi, in P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, cit., 467 ss.

[84] Cfr. Servius, in Verg. Aen. 1.92; Livius 1.18; Varro, De ling. Lat. 7.8.

[85] Varro, apud Gellium, Noct. Att. 14.7.7.

[86] Livius 24.3.3: Sex milia aberat ab urbe nobile templum, ipsa urbe [erat] nobilius, Laciniae Iunonis, sanctum omnibus circa populis.

[87] Cicero, In Verr. 2.4.94: Herculis templum est apud Agrigentinos non longe a foro sane sanctum apud illos et religiosum.

[88] Singolare il fraintendimento del grande Varrone a proposito di templum, tescum e sanctum; cfr. De ling. Lat. 7.10: Quod addit templa ut si<n>t tesca, aiunt sancta esse qui glossam scripserunt. Id est falsum: nam curia Hostilia templum est et sanctum non est; sed hoc ut putarent aedem sacram esse templum, <eo videtur> esse factum quod in urbe Roma pleraeque aedes sacrae sunt templa, eadem sancta, et quod loca quaedam agrestia, quod alicuius dei sunt, dicuntur tesca.

[89] Cicero, In Verr. 2.4.103: Ab eo oppido non longe in promunturio fanum est Iunonis antiquum, quod tanta religione semper fuit, ut non modo illis Punicis bellis, quae in his fere locis navali copia gesta atque versata sunt, sed etiam hac praedonum multitudine semper inviolatum sanctumque fuerit quin etiam hoc memoriae proditum est, classe quondam Masinissae regis ad eum locum adpulsa praefectum regium dentes eburneos incredibili magnitudine e fano sustulisse et eos in Africam portasse Masinissaeque donasse. Gellius, Noct. Att. 17.2.19: Tanta inquit sanctitudo fani est, ut numquam quisquam violare sit ausus. 'Sanctitas' quoque et 'sanctimonia' non minus Latine dicuntur, sed nescio quid maioris dignitatis est verbum 'sanctitudo'.

[90] Lucretius, De rerum nat. 6.417, 420, 423: Postremo cur sancta deum delubra suasque / discutit infesto praeclaras fulmine sedes / et bene facta deum frangit simulacra suisque / demit imaginibus violento volnere honorem?

[91] Cicero, Pro Mil. 90: Templum sanctitatis amplitudinis mentis consilii publici, caput urbis, aram sociorum, portum omnium gentium, sedem ab universo populo concessam uni ordini inflammari excindi funestari, neque id fieri a multitudine imperita - quamquam esset miserum id ipsum -, sed ab uno! qui cum tantum ausus sit ustor pro mortuo, quid signifer pro vivo non esset ausurus?

[92] Cicero, De dom. sua 109: Quid est sanctius, quid omni religione munitius quam domus unius cuiusque civium? Hic arae sunt, hic foci, hic di penates, hic sacra, religiones, caerimoniae continentur; hoc perfugium est ita sanctum omnibus ut inde abripi neminem fas sit. Quo magis est istius furor ab auribus vestris repellendus qui, quae maiores nostri religionibus tuta nobis et sancta esse voluerunt, ea iste non solum contra religionem labefactavit, sed etiam ipsius religionis nomine evertit.

O. LICANDRO, «In ius vocatio» e violazione del domicilio, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 57, 1991, 205 ss.

[93] H. FUGIER, Recherches sur l’expression du sacré dans la langue latine, cit., 270 ss.

[94] Servius Dan., in Verg. Aen. 8.95: quia Tiberim libri augurum colubrum loquuntur, tamquam flexuosum. Cfr. Servius Dan., in Verg. Aen. 8.330.