Università di Verona
Le garanzie reali non possessorie: spunti dal Römisches Pfandrecht di J.J. Bachofen
«Non è affatto raro che anche il romanista o lo storico del diritto possano meglio risolvere un problema di interpretazione delle fonti storiche acquistando maggiore consapevolezza delle problematiche attuali, e delle stratificazioni dommatiche e giurisprudenziali che vi sottendono, e per altro verso è fin troppo ovvio che solo un giurista consapevole dello spessore storico delle categorie concettuali che deve analizzare può essere in grado di ‘compararle’, ed eventualmente progettarne un’armonizzazione» (L. VACCA, Prefazione a La garanzia nella prospettiva storico-comparatistica, a cura di L. Vacca, Torino 2003, VIII).
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il pegno mobiliare non possessorio. – 3. La modernità dello Pfandrecht di Bachofen. – 4. Bachofen e la pignoris capio. – 5. Qualche riflessione di sintesi. – Abstract.
In recenti riflessioni condotte sul diritto italiano delle garanzie reali più volte è emerso il rilievo della sostanziale vetustà dell’impianto tradizionale in complexu[1], e tra le righe una poliptotica domanda con insistenza ha fatto capolino[2]: possono ancora essere i dogmi – come il principio della tipicità e del numero chiuso dei diritti reali – dei limiti invalicabili all’operare in concreto dell’autonomia privata?, l’utilizzo di strumenti flessibili e capaci di adattarsi alle istanze imperanti nell’attuale mondo degli affari (dove regnano operazioni di finanziamento sempre più articolate e sofisticate) può essere conciliata con le fissità normative e ideali che persistono nel sistema, come quella del tabù del trasferimento dominicale a scopo di garanzia?, in un contesto ‘globalizzato’ in cui le imprese tendono a privilegiare i sistemi che salvaguardano le migliori condizioni, mentre lentezze e ingessature scoraggiano gli investitori, può la teoria e la tradizione essere fonte di stallo e di crisi anche in termini di efficienza e concorrenzialità del mercato del credito?
Se das praktische Leben, come scriveva già J.J. Bachofen nella sua, non certo fortunata, monografia sul diritto pignoratizio[3], è (come è stato nel mondo romano, dove il piano ‘teorico’ del Recht si innesta in quello ‘pratico’, ossia in dem Bedürfnisse des Lebens, senza che la scientia iuris e la sua storia possano mai esaurirsi in ‘puro concetto’, ‘sistema’ e ‘calcolo matematico’[4]) uno stimolo all’avanzamento del diritto, e non il secondo gabbia del primo, e non i silenzi del secondo freno per il primo[5], le risposte non possono che essere negative.
Dopo l’attuazione della Direttiva 2002/47/CE in tema di contratti di garanzia finanziaria (Financial Collateral)[6], v’era stato chi aveva espresso l’idea – poi non del tutto confortata dai fatti – secondo cui le peculiarità del settore finanziario non avrebbero mai spinto idealmente a variazioni di baricentro sul piano generale e sistematico; ma le speranze di una virata, se non complessiva comunque estesa, dovevano attendere le risposte istituzionali offerte, talvolta con stile goffo, ai fatti ben giù gravi sul piano economico degli anni successivi[7].
Una delle priorità avvertite con sempre maggior convinzione divenne ben presto quella di rendere il nostro sistema di garanzie reali, mobiliari e immobiliari, e con esso il nostro stesso sistema creditizio – nell’ambito di una rete unitaria sovrannazionale sempre più reclamante coesione e armonia[8] – il meno anacronistico possibile. Il che significava renderlo il più responsivo possibile alle necessità dettate dalla economia globalizzata, all’insegna del dinamismo dell’economicità aziendale, della miglior realizzazione dell’attività di impresa, della pronta soluzione al problema della lenta e anchilosata farraginosità del recupero del valore originario del credito. E tutto ciò sia con l’introduzione di figure di garanzie mobiliari senza spossessamento e astratte dal principio dell’immutabilità nel tempo dell’oggetto del vincolo; sia con il superamento delle angustie strutturali indissolubilmente legate all’interpretazione del divieto di patto commissorio nonché con l’avvicinamento a forme di diretta e immediata realizzazione della garanzia mediante appropriazione, da parte del creditore, del bene vincolato; sia con la valorizzazione del potere individuale – ossia non solo e non più in seno alla dimensione collettiva del coetus creditorum – di autotutela esecutiva e della gestione negoziale, quale alternativa alla strada della giustizia ordinaria, spesso ripavimentata e ampliata, ma sempre troppo poco veloce.
Le parole chiave delle riforme che hanno interessato il panorama delle garanzie reali nelle sue principali debolezze sono poche e precise: semplicità (delle forme), celerità (delle vie di soddisfazione), efficienza (dei sistemi di realizzazione).
Anzitutto, svincolare la garanzia dal requisito del possesso significa rispondere ad una primaria e ben precisa necessità economica: quella che i beni non fuoriescano dal circolo produttivo e dal flusso finanziario[9].
Ed è stato così che attraverso la via della «ricommercializzazione del diritto commerciale»[10], il cd. ‘Decreto Banche’ del 2016 [11], nell’intento di favorire la circolazione dei beni e della ricchezza attraverso l’accesso al credito, offrire maggior sicurezza nei traffici economici, implementare e irrobustire gli strumenti di tutela delle ragioni creditorie, accelera i tempi precedentemente persi lungo la via della modernizzazione del diritto italiano degli affari. Il pegno mobiliare non possessorio, qui previsto come sotto-tipo di pegno ‘dei rapporti d’impresa’, nella sua rivitalizzata semplicità attenua in favore della conventio (scritta ad substantiam e registrata adversus tertios) il requisito della realità originaria attuata mediante traditio dell’oggetto dal costituente al creditore garantito, imponendosi come un nuovo dispositivo giuridico da impiegarsi proficuamente nelle prassi di finanziamento delle imprese.
Se, in generale, le forme sono a servizio della funzione e, in particolare, la funzione non è intaccata dal mutare delle forme, allora, posto che lo spossessamento del debitore non costituisce la garanzia reale, ma al più ne assicura l’opponibilità in prelazione, il contratto di pegno ben può assumere forme consensuali o, meglio, prescindenti dalla traditio rei[12]: il che, del resto, già i giuristi romani, come Gaio e come Ulpiano, rilevavano, rammentando che ‘contrahitur hypotheca per pactum conventum’ e che ‘pignus contrahitur non sola traditione, sed etiam nuda conventione, etsi non traditum est’[13]. All’estremo dell’indifferenziazione sostanziale delle forme porterebbero sia il superamento di mere sovrastrutture concettuali come anche di zavorre storiche e definitorie sia la valorizzazione primaria della funzione in concreto. Una tale connotazione finale, peraltro, sarebbe propria dell’odierno diritto uniforme americano che, indipendentemente dalla forma e dai tipi, darebbe rilievo solo all’effettiva funzione svolta dagli strumenti contrattuali tesi a regolare gli assetti di interessi in gioco[14].
Se si va oltre la questione del rapporto tra forma e funzione, si nota, poi, come la posizione del debitore finalmente risulti corroborata ex lege dal potere di disposizione e di lavorazione di beni e merci su cui grava il vincolo che – a prescindere dalla struttura costitutiva – permane come finalisticamente di garanzia: e ciò significa che finalmente il debitore è ammesso a sottoporre a garanzia i beni aziendali di cui normalmente si serve.
Ma v’è di più, perché il pegno non possessorio è, tra le tante altre cose, anche un pegno rotativo o flottante, come di solito si dice, ancorché impropriamente, sul modello del floating charge. L’imprenditore, infatti, è autorizzato non solo a tenere presso di sé le garanzie per renderle elemento dinamico e funzionale al recupero della economicità aziendale, ma anche a trasformarle o alienarle, pur nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporne[15]. Così, superando il ius sequelae ex art. 2798 cod. civ. tipico dei diritti reali di matrice romanistica, nonché il principio di specialità, il vincolo pignoratizio non possessorio non viene impresso indelebilmente come una lettera scarlatta sulla cosa originaria, ma passa al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti la costituzione di una nuova garanzia e, comunque, nei limiti dell’importo massimo garantito.
Il pegno mobiliare non possessorio è stato qualificato come un ‘sotto-tipo’, e non come una figura anomala ed eccezionale, di garanzia reale. Pur nel limitato settore del diritto delle imprese, questa particolare ipotesi di pegno[16] ha oggi lasciato il segno per le sue molte e niente affatto superficiali peculiarità che lo rendono un unicum rispetto ai suoi antecedenti storici e ad analoghi istituti stranieri coevi. Non solo si semplifica la forma pignoratizia tradizionale attraverso la valorizzazione del momento convenzionale rispetto a quello della realità: è, infatti, il contratto come accordo per eccellenza, e non la traditio, che genera la garanzia. Non solo, con riguardo ai suoi oggetti, si allenta il requisito della specificità: è, infatti, quello ‘commerciale’ un pegno rotativo, un pegno omnibus, nonché un pegno su beni e crediti futuri.
Non solo questo. Il pegno mobiliare non possessorio viene infatti corroborato, nella sua incrollabile funzione di ‘riserva di utilità reale’, dalla inerenza di un meccanismo opt-in di soddisfazione creditoria essenzialmente riportabile al dispositivo del cd. patto marciano[17]. Anzi, a ben vedere, l’accelerazione del recupero dei crediti secondo schemi di marca neoliberista ha conosciuto una spinta ancora più energica di quella offerta da un semplice meccanismo marciano che, come noto, opera a valle della previa destinazione reale in garanzia, contemplando e governando sia la vicenda traslativa definitiva del bene garantito oggetto di previa aestimatio sia l’effetto estintivo del rapporto obbligatorio[18]. In forza di quest’ultimo, infatti, per l’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione garantita, il creditore acquista il potere di far proprio l’oggetto della garanzia, a valle della stima dello stesso alla data dell’inadempimento (stima, peraltro, superflua, quando i beni abbiano un prezzo corrente di mercato stabilito da listini o mercuriali) e con imputazione del valore all’adempimento dell’obbligazione garantita; inoltre insorge in suo capo, il dovere di restituire l’eventuale differenza tra il valore del bene e l’ammontare residuo del debito.
Nella cornice della fase post-fisiologica della garanzia, a livello di meccanismi di attuazione delle ragioni creditorie che si collocano nel segmento temporale che segue l’inadempimento e che si ancorano al momento della esecuzione[19], la contiguità e l’armonia con il diritto comune europeo delle garanzie mobiliari, e, in modo particolare con la direttiva sulle garanzie finanziarie, sono quanto mai evidenti nella rivitalizzazione legislativa del pegno mobiliare non possessorio[20].
‘Auto-tutela’, in questo frangente, è la parola chiave della riforma, in quanto non solo un bene viene destinato alla soddisfazione della posizione creditoria, ma tale soddisfazione assume i contorni di un’esecuzione forzata di natura privata, senza titolo esecutivo e senza procedimento espropriativo. In altre parole: realizzazione immediata delle ragioni del creditore garantito (senza, però, indebiti vantaggi e nel rispetto della salvaguardia della possibilità di realizzazione anche dei creditori ordinari); attuazione in via forzosa e surrogatoria della posizione individuale del creditore garantito (in alternativa alle vie ordinarie dell’esecuzione); soddisfacimento diretto e spedito del creditore garantito (con sterilizzazione a monte del problema di abusi o coartazioni a danno del costituente sovvenzionato). Ed è proprio questo aspetto finalistico, sempre nella cornice del tentativo di refresh e restart del comparto creditizio che viene incarnato nelle forme del self-help procedimentalizzato a fungere da fil rouge tra tutte le nuove figure introdotte dal ‘Decreto Banche’ e dalla l. n. 119/2016: vale a dire la messa a punto di una rete di strumenti congegnati all’insegna della dinamicità e della rapidità per il recupero coattivo del credito, seppur nell’ambito di principi inossidabili, almeno sulla carta, quali – oltre al divieto del famigerato patto commissorio e alla idealizzata par condicio creditorum – la limitazione soltanto ex lege della responsabilità patrimoniale generica e l’ordinaria riserva statale alla realizzazione coattiva delle pretese soggettive.
Al verificarsi degli eventi patologici che implicano l’escussione, il creditore – una volta aperta dal legislatore la porta della gestione negoziale del momento patologico del rapporto obbligatorio e lasciata socchiusa quella del ricorso al processo esecutivo – è ammesso a procedere, per le vie brevi, alla realizzazione delle proprie ragioni, avendo a disposizione una gamma alquanto variegata di opzioni che possono sì dirsi solutionis causa, ma solo in senso lato, ossia idonee a solvere il vinculum obbligatorio piuttosto che a fungere da surrogati della solutio-adempimento[21]. Opzioni che, al di là dell’aggressione ordinaria del patrimonio, vanno dall’appropriazione alla disposizione, anche di tipo non alienativo, di quanto destinato a garanzia: non solo la vendita del bene con trattenimento del corrispettivo e la escussione o la cessione del credito fino a concorrenza della somma garantita, ma anche – se previsto nel contratto – tanto la locazione con imputazione dei canoni al pagamento del credito, quanto l’acquisizione del bene fino al soddisfacimento e alla concorrenza del quantum garantito.
Ma con il pegno non possessorio della l. n. 119/2016, si va ben oltre, come poco sopra si accennava, alla configurazione classica del congegno marciano: già entro il quadro-base di riferimento che sopra si è descritto nei suoi termini essenziali ed estensibile ulteriormente al potere creditorio di soddisfarsi sul ricavato della vendita (sempre ferma restando l’imprescindibile restituzione dell’esubero), sarebbero non pochi sul piano dell’efficienza i vantaggi pro creditore. Il meccanismo marciano, infatti, data la sua natura di per sé ibrida, supera sì la famigerata asperitas del regime commissorio (già nella tarda antichità vietato, anzitutto, per sterilizzare le potenziali insidie e prevaricazioni dei creditori) con un ben più equo bilanciamento tra le posizioni del creditore privilegiato (che non è messo nella condizione di abusare della sua posizione e di arricchirsi ultra creditum) e dei creditori ordinari (le cui ragioni di massa non vengono eccessivamente compresse e marginalizzate). Ma, in verità, del regime commissorio esso non nega alla radice la ratio, nascendo e vivendo, del resto, proprio come «una delle soluzioni (alternative) maggiormente praticate per non incorrere nel divieto della lex commissoria»[22].
Esattamente come avviene in forza della lex commissoria, infatti, l’appropriazione diretta della cosa o la satisfazione dal ricavato della vendita nei limiti della stima sono fenomeni esdebitativi, ossia di per sé soli idonei a dissolvere il vincolo obbligatorio fondamentale, ma sempre che il valore del bene destinato alla garanzia o il prezzo della vendita risultino pari o inferiori all’entità del credito residuo: in altre parole, proprio per escludere vantaggi eccessivi al creditore, questi non può vantare alcun diritto a ottenere il residuum e, quindi, le ragioni del complesso dei creditori ordinari non sono suscettibili di pregiudizio. Il creditore con la costituzione della garanzia proietta l’ombra della sua mano sopra un bene o una massa di beni non oggetto di ‘separazione’ nel patrimonio del debitore e fonte totalizzante, ancorché limitata a livello di Haftung, di soddisfazione; abbassata la mano e appreso il bene, il creditore annienta ogni sua pretesa, dissolve ogni vincolo obbligatorio, consuma ogni Schuld del debitore pignorante, perdendo altresì le pretese che – ancora una volta ricordando il diritto romano classico – poteva ordinariamente far valere, in caso di minusvalenze del pegno, con l’actio pigneraticia contraria in personam[23]. Ora il pegno non possessorio innervato dal marciano opera, in definitiva, come una autentica substitutive security, come un Verfallpfand (sicché, ad esempio, se l’entità della garanzia è stata stimata per eccesso al momento della concessione del finanziamento, il creditore è tenuto a sopportare tutte le conseguenze dell’erronea valutazione, se non anche dell’eventuale concessione abusiva del credito).
Invece, diversamente da quanto avviene in forza della lex commissoria operante nella sua ‘purezza’, il creditore non si può sempre soddisfare sul bene costituito in garanzia, o sul suo valore, in solido: se quest’ultimo o il prezzo della sua vendita eccedono il quantum di credito garantito, infatti, non è solo il creditore che si appaga grazie all’effetto estintivo che la realizzazione della garanzia-Haftung produce sull’elemento costitutivo del debito-Schuld, ma lungo un’inversa traiettoria creativa v’è anche che il debitore pignorante risulta il titolare di un diritto al plusvalore, o – come i giuristi romani avrebbero detto – di un’actio, contrattuale poiché fondata sul pignus stesso, directa al superfluum o all’hyperocha[24]. È questo il plusvalore che ha arricchito ‘oltre misura’ il creditore garantito; il plusvalore che, per altro, gli stessi creditori ordinari possono avere interesse ad aggredire; il plusvalore che, in presenza di pegno commissorio, sarebbe perso a vantaggio del solo creditore privilegiato. Ora il pegno opera, in definitiva, come una collateral security, sicché, se l’entità della garanzia è stata stimata per difetto, comunque il creditore non può forfettariamente giovarsi del ‘di più’ conseguito o conseguibile.
Sul piano della semplicità, della celerità e dell’efficienza, dunque, il meccanismo marciano, palesando una spiccata propensione credito-centrica, andrebbe già di per sé solo al di là della tutela pignoratizia ordinaria per cui è il creditore stesso a far vendere ai pubblici incanti, e per il migliore realizzo, il bene in garanzia, senza alcun onere di seguire le forme dell’espropriazione forzata. Invero, la riforma del Decreto Banche ha inteso acuire ancora di più – prevedendo altresì la vendita e la locazione oltre che l’appropriazione della cosa costituita a garanzia edulcorata dalle cautele marciane – il divario tra la figura ritenuta prototipica di pegno, ossia il ‘pegno legale comune’, detto ‘manuale’ o ‘possessorio’, e il ‘pegno mobiliare non possessorio’, figura che gli stessi prudentes per enfatizzarne le profonde differenze rispetto al pignus datum sarebbero stati soliti chiamare – si dice: quale indice semantico di un Fremdkörper innestatosi nel contesto del diritto di Roma – con nome greco, hypotheca[25].
Ma davvero – ieri come oggi – il ‘pegno con spossessamento debitorio’ rappresenta la sola figura prototipica di garanzia reale[26], mentre quella senza spossessamento si deve etichettare dogmaticamente come una ‘anomalia’ e come una ‘eccezione’, nonché storicamente come una svolta rivoluzionaria? Ma davvero la garanzia reale non possessoria su beni mobili, che è stata introdotta in Italia dal Decreto Banche e che – oggi – viene salutata, nelle sue eterogeneità e distonie di regime rispetto al cd. pegno manuale, come un importante passo in avanti rispetto alle fissità dei dogmi del passato, allo stesso tempo fu – ieri – una prepotente e solo tarda ‘invenzione’ nella cornice del mondo giuridico romano, se non addirittura una mutuazione, variamente collocata lungo la linea del tempo, dalla Grecia?
Lo studio sul diritto pignoratizio romano pubblicato da Johann Jakob Bachofen nel 1847 ha del singolare, soprattutto là dove l’autore si cimenta in un duplice e ardito tentativo: quello di sciogliere i nodi problematici delle origini e delle vicende storiche della garanzia reale e quello di rintracciare, andando oltre la spessa coperta di buio che scherma le fonti antiche, anche il fuoco, tenue ma perenne, dell’arkhé dell’istituto. Infatti, la densa e corposa monografia sul römisches Pfandrecht di Bachofen espone una personale ricostruzione della storia del diritto di pegno, contrastando, non solo a livello di metodo, ma pure sul piano dei risultati, approcci di tipo evoluzionistico come è quello, ad esempio, consacrato da Puchta, con riguardo al medesimo argomento, nel suo Corso di Istituzioni: se quest’ultimo immaginava un passaggio necessitato – sul piano delle forme – dalla ‘complessità dell’antico’ alla ‘semplicità del recente’ e – sul piano dei contenuti e dei concetti astratti – dalla ‘semplicità dell’antico’ alla ‘complessità del recente’, allora ciò si traduceva, nel quadro particolare delle garanzie reali, sia nella negazione di una coesistenza primitiva di fiducia e pignus sia nella priorità storica della prima rispetto al secondo[27].
Bachofen andava contro questo supposto ordine ritenuto stringentemente logico e cronologico nella cornice positivistica, ideale e ideologica, del ‘progresso’. Non è vero – scriveva lo studioso di Basilea – che la garanzia con passaggio del dominio inverata nell’articolato rito mancipativo è forma civile di garanzia che per necessità storica e intellettuale precede quelle, meno ingombranti sul piano strutturale, ma – legate al piano naturale – incentrate su figure ben più sottili e raffinate concettualmente come quella di ‘possesso distinto dal dominio’, e quella di ‘diritto su una cosa né detenuta né posseduta’.
A fronte delle due fondamentali domande che, nel pensiero di Bachofen, dovevano animare la ricerca sul diritto pignoratizio sia devono anche aver animato l’emersione e lo sviluppo del pegno a Roma (ossia: quale sicurezza è data al creditore in caso di mancato pagamento?, quale sicurezza è data al debitore in caso di adempimento?)[28], la scansione progressiva ed evolutiva fiducia / pignus datum / pignus conventum non poteva che essere oggetto di rifiuto. E tale rifiuto non poteva che essere accompagnato da una alternativa ipotesi di processus storico che, in concreto, andava ad accantonare il problema della pluralità di forme come problema storico di evoluzione, focalizzandosi sulla funzione giuridica intesa in senso unitario della garanzia reale, sugli strumenti rimediali predisposti dall’ordinamento, nonché sugli aspetti materiali che nella vita vera dell’istituto ne qualificano e ne arricchiscono il contenuto[29].
Questa, scrive Bachofen, è la cosa più importante sul piano teleologico, azionale e pratico: ogni Pfand è strumento che, senza la collaborazione o l’intervento del debitore, deve assicurare – anche in via di autotutela – la ‘soddisfazione delle ragioni del creditore’ (Befriedigung für seine Forderung)[30]. Ciò, ovviamente, non significherebbe che il regime classico della fiducia non sia stato influenzato dal regime, non più parallelo ma tangente, del pegno; bensì che il pegno, lungi dal nascere da una costola della più matura e composita fiducia cum creditore[31] o dallo sbocciare come istituto naturale dal terreno lasciato incolto e scoperto dalla garanzia di ius civile[32], era una forma di garanzia tutt’altro che recente.
Anzi la Besitzverpfändung doveva essere – nella sua duplice declinazione di figura con o senza spossessamento originario del debitore – addirittura più antica, quanto a concrete testimonianze nelle fonti antiche, della stessa fiducia cum creditore[33], istituto, per altro, implicante sul piano effettuale sin dalla sua emergenza il trasferimento dominicale a favore del creditore fiduciario, ma, sul piano causale, l’astrattezza non originaria del negozio formale della mancipatio[34].
Lo spossessamento debitorio contestuale all’insorgenza della garanzia era, insomma, del tutto unwesentlich rispetto alla ‘essenziale’ ed ‘originale’ realtà giuridica del pegno[35]: hypotheca, per di più scriveva in modo tranchant Bachofen contro gli approcci diffusionisti (che tendevano a negare il ‘genio creativo’ romano per prediligere ricostruzioni che, invece, enfatizzavano la capacità da parte della cultura, anche giuridica, romana di assorbimento e di trasformazione), era solo «ein neues Wort für eine alte Sache»[36], ossia una nuova parola per una realtà antica: non un emprunt greco, ma una figura genuinamente romana, doveva quindi essere considerato il pegno convenzionale, a prescindere dalle etichette con cui veniva icasticamente definito. E, del resto, neppure chi, come Gaio, accoglieva la falsa e assai fortunata etimologia ‘pignus a pugno’[37], neppure chi, come Ulpiano nei libri ad edictum, riduceva il pegno in senso proprio al solo pegno manuale, potevano essere citati a sostegno della maggior vetustà rispetto alla conventio pignoratizia non possessoria del pignus datum: i primi perché, in verità, riconnettevano solo le operazioni di costituzione di una garanzia reale alle cose mobili (e non, di necessità, al pegno con spossessamento originario del debitore); i secondi perché si limitavano a formalizzare un uso linguistico relativamente recente – attestato saldamente da Giuliano in poi, ma non ‘universalmente’ accettato, come emergeva dai libri ad Sabinum dello stesso Ulpiano e da quelli ad formulam hypothecariam di Marciano – che restringeva, a seguito dell’introduzione del grecismo hypotheca, la sfera semantica – originariamente ben più ampia e generale – di pignus[38].
Ad avviso di Bachofen tutto ciò non solo non sarebbe contraddetto dalle para-etimologie dei giuristi e dalla storia del grecismo hypotheca, ma addirittura sarebbe dimostrato, anzitutto, dall’istituto – per più aspetti, invero, ancora controverso – della pignoris capio, azione cd. esecutiva per crediti militari e sacrali, il cui nomen iuris, evocando espressamente la categoria del pignus, non solo ne indicherebbe l’esistenza nell’età più remota della repubblica romana, ma soprattutto ne suggerirebbe un pieno accoglimento a livello concettuale e addirittura un impiego considerevole a livello di prassi nei secoli più remoti della storia di Roma[39].
Anzi, se è vero che Bachofen non pare affatto aderire alla tesi della maggior modernità, quanto alle operazioni contrattuali di pegno possessorio (vertragsmässige Besitzesverpfändung), del pegno puro, ossia convenzionale (die blosse Pfandberedung) rispetto a quello manuale (Versatz oder Faustpfand)[40], alla luce di ciò nonché della descrizione che Gaio offre dell’istituto in parola, uno potrebbe, con una dose non eccessiva di immaginazione e di ardimento, vedere sotteso alla pignoris capio proprio un modernissimo floating charge o ‘pegno flottante non possessorio’[41], pur rimanendo peculiare il suo regime ancestrale presumibilmente di Bewharungspfand più che di autentica forma di Sicherungspfand[42], e limitato a una sfera non totalmente privatistica del fenomeno obbligatorio riconosciuto e protetto[43].
Se infatti, per ancestrale consuetudine, il denaro dovuto come stipendio ai militari non veniva pagato e le somme che i cavalieri dovevano ricevere per l’acquisto del cavallo e dell’orzo a fini bellici non erano versate, queste due particolari tipologie di creditori erano ammesse a pignus capere, ossia – a ben vedere, posta la natura non costitutiva dell’azione – a prendere possesso di uno dei beni già costituiti in funzione di garanzia appartenente al patrimonio dei privati contribuenti morosi[44]. E parimenti, grazie alle XII Tavole, era ammesso alla presa di pegno (ossia alla ‘cristallizzazione’ su un bene specifico di una garanzia già esistente come una ‘nube’ sul patrimonio del debitore) sia chi aveva alienato definitivamente una vittima sacrificale cui non fosse stato pagato il prezzo, sia chi avesse concesso temporaneamente in godimento un giumento che non avesse ottenuto la somma dovuta quale corrispettivo promessa come offerta sacrificale[45].
Per Bachofen, insomma, già nel quinto secolo a.C., in forza di un accordo di garanzia, la cosa poteva essere subito data dal debitore al creditore; oppure, in certuni casi previsti tanto dal mos e dalla lex quanto dalla stessa conventio tra le parti, la res che dal momento della creazione del rapporto era stato già vincolato in funzione di pignus (obligatum) poteva essere addirittura capta dal creditore in un atto di ‘autotutela liceizzata’ (Selbstbefriedigung)[46] e, quindi, trattenuto in attesa dell’adempimento e in sostituzione provvisoria dell’adempimento (senza che, empiricamente, anche la coazione psicologica all’adempimento fosse, come è ovvio, da escludere)[47].
Bachofen combatteva l’idea preconcetta di una storia giuridica percepita come necessitata evoluzione lineare o ad saltum: sul piano generale, andando al di là della mistificazione moderna della priorità logica del diritto soggettivo rispetto all’azione; sul piano particolare, superando la tesi che riduceva il pegno a un diritto reale di garanzia contenuto essenzialmente nel diritto di vendita, nonché sostenendo come il mancato spossessamento del debitore non fosse affatto una storica rivoluzione copernicana, ma solo una declinazione particolare, quasi scontata, dell’idea di garanzia stessa. Bachofen, prediligeva una duplice e sinottica prospettiva per osservare il fenomeno delle garanzie reali in Roma: da un lato, quella ‘teorica del diritto’ («der rechtliche Gehalt des Pfandrechts» – scrive il nostro autore – «ist die Pfandklage» e «die Klage begründet das Recht und leitet die Theorie»[48], ancorché, nel suo quadro ricostruttivo, la garanzia pignoratizia precedeva qua talis tanto l’azione reale, quanto il diritto reale); dall’altro, quella pratica della vita concreta degli istituti complementare rispetto ai vuoti di un diritto oggettivo che, in principio, lasciava colui al quale la res era vincolata in garanzia nudo e disarmato in attesa dell’adempimento («alles ist das Werk eines sich allmählig entwickelnden Rechtslebens»[49]).
E così dicotomizzava la storia – sia giuridica che materiale – tra i poli del Wesen e dell’Entwicklung, opponendo l’irriducibile sostanza giuridica della garanzia (emergente dall’idea primitiva di Zustand der Gebundenheit, ossia di obligatio rei, stato nel quale versava la cosa in garanzia per corroborare, in attesa dell’adempimento finale, la posizione – ancora vuota di veri poteri e di vere facoltà giuridiche – del creditore pignoratizio) al percorso seguito concretamente dalle plurime declinazioni storiche (approdanti, solo in fine, nel dingliches Recht con ius vendendi)[50], nella generale e costante tensione della garanzia alla satisfazione creditoria (Selbstbefriedigung)[51]. La garanzia, se nasceva giuridicamente come un ‘vincolo sulla cosa’ (poi, protetta ‘azionalmente’ anche erga omnes), si trasformava grazie alla sua vita materiale in una riserva prima di utilità e poi anche di valore: così come, sul piano del diritto, tanto l’azione reale esperibile dal creditore verso chicchessia quanto il potere di vendita assurto a Hauptsache del regime della garanzia andavano a testimoniare lungo il percorso seguito nei secoli[52].
È in tutto ciò che si può rintracciare tutta la modernità della costruzione bachofeniana. Il pactum vendendi e la lex commissoria sono solo ‘accidenti storici’ che rilevano come mezzi – più raffinati ed efficienti del primitivo Fruchtgenuss, ma ad esso comunque omogenei – sul piano pratico della Selbstbefriedigung. La tutela processuale erga omnes, come generale perfezionamento dell’istituto più antico che si raggiunge a seguito di una lunga trafila via via sempre più ficcante di rimedi particolari, è solo una diatesi del piano teorico dell’istituto, ma che non ne connota la ‘cifra’. La natura sostitutiva e la natura accessoria del pegno rispetto al rapporto obbligatorio, al pari dell’alternativa tra spossessamento originario del debitore e permanenza della cosa vincolata presso quest’ultimo, si delineano come potenzialità rilevanti a livello di sviluppo implicate nel quid essenziale della garanzia pignoratizia: secondo Bachofen, quest’ultima, se è obligatio rei sotto il profilo del rechtlicher Gehalt, è anche destinata, quanto alle materiellen Befugnisse, ad assicurare la soddisfazione del credito senza alcuna azione da parte del debitore. Ed è proprio ciò che si impone come la caratteristica principale anche per la vita pratica dell’istituto[53].
Sullo sfondo di una realtà attuale tanto esigente e incalzante quanto rapida e complessa, il pegno commerciale non possessorio (con la sua rotatività, con la sua possibile inerenza a genera, nonché con la tutela esecutiva privata, con realizzazione immediata e diretta delle ragioni creditorie ancorché limitata dalle cautele marciane, e, infine, con la valorizzazione della gestione negoziale della fase patologica del rapporto) pare imporsi quale esemplificazione pratica di quella visione bachofeniana – oscurata, già da subito, dal predominio della pandettistica[54] e dalla stessa produzione ‘miso-filologica’ dello stesso Bachofen[55] – che immedesimava l’essenza della garanzia reale nel cd. Zustand der Gebundenheit e ne riduceva il fine pratico, al netto del fenomeno possessorio, al conseguimento della ‘utilità’ implicata inesorabilmente nella res obligata, e non consacrata unicamente nel ius vendendi. Insomma, guardando sia all’oggi sia alle pagine dello Pfandrecht, non può non tornare alla mente l’idea di garanzia reale intesa quale ‘vincolo di destinazione’ che determina la creazione di una riserva di utilità preordinata al soddisfacimento di un rapporto obbligatorio e che consente al creditore, secondo uno schema di tipo potestativo, di provvedere autonomamente alla realizzazione forzata delle proprie ragioni[56]: se il creditore ha diritto non sulla res ma sulla res obligata, allora, «l’interesse protetto con la garanzia pignoratizia … non è … quello diretto al conseguimento della singola res, ma quello diretto al conseguimento dell’utilità reale: del valore economico rappresentato dalla cosa, nella quale si identifica il concetto di garanzia reale»[57].
Insomma, anche il recentissimo pegno mobiliare non possessorio del diritto commerciale non è da vedersi come una anomalia eccezionale rispetto al dogma e al concetto del ‘pegno tradizionale’, ma – in perfetta sintonia con il modo di vedere le cose che Bachofen già dalle prime pagine della sua monografia del 1847 manifestava – come un sotto-tipo ‘materiale’ dell’idea ‘teorica’ di garanzia reale, che ben potrebbe estendersi non solo de lege condenda, ma anche interpretationis gratia, al di là del solo diritto delle imprese: più che le fissità vuoi della legge, vuoi di una ‘dogmatica dei concetti’ è un ‘apparato logico e scientifico di costruzione razionale – come ben ha scritto la professoressa Vacca, traendo la lezione dalla casistica prudenziale romana[58] – che deve fondare e promuovere la vita, sul piano des rechtlichen Gehalt nonché su quello der materiellen Befugnisse, del diritto.
Im
Jahr 1847 widersprach Bachofen mit seinem Buch über das römische Pfandrecht dem
traditionellen Verständnis der Rechtsgeschichte, die als notwendige Entwicklung
entweder linear oder ad saltum verstanden wurde. Auf allgemeiner Ebene,
ging er über die moderne Mystifizierung des logischen Vorrangs des subjektiven
Rechts vor der Klage hinaus. Auf spezieller Ebene, überwand er die These, die
das Pfandrecht auf ein dingliches Garantierecht reduzierte, das im Wesentlichen
im Kaufrecht enthalten ist, indem er argumentierte, daß das besitzlose Pfand
keineswegs eine „kopernikanische Revolution“ sei, sondern nur eine besondere,
fast schon selbstverständliche Deklination der Idee der Garantie an sich. In
all dem kann man die Modernität von Bachofens historische Konstruktion
erkennen. Das pactum vendendi und die lex commissoria sind bloß
historische Zufälle, die als Mittel - raffinierter und effizienter als der
Fruchtgenuss, aber dennoch ihm ähnlich - auf der praktischen Ebene der
Selbstbefriedigung auffallen. Die neuere Regelung desselben „besitzlosen
Handelspfandrechts“ (l. n. 119/2016; d.m. n. 114/2021) wird oft betrachtet als
eine Figur, die sich in vieler Hinsicht vom gemeinsamen Archetyp des Pfandes
als Realvertrag und dingliches Recht unterscheidet. Im Gegenteil sieht es aus,
als wäre es ein Beispiel für Bachofens Idee, die das Wesen der dinglichen
Garantie im so genannten Zustand der Gebundenheit identifiziert und ihren
praktischen Zweck auf die Erreichung des in der res obligata
unausweichlich implizierten „Nutzens“ reduziert.
Gliederung:
1. Die Modernität von Bachofens Pfandrecht - 2. Das besitzlose Pfand: gestern
und heute - 3. Die evolutionären Thesen zur Geschichte des Pfandes in Rom und
Athen: Puchta und Epigonen - 4. Das Wesen der dinglichen Sicherheit zwischen
Theorie und Praxis: Gebundenheit und Selbstbefriedigung.
Nel 1847 con il suo libro sul pegno Bachofen combatteva l’idea preconcetta di una storia giuridica percepita come necessitata evoluzione lineare o ad saltum: sul piano generale, andando al di là della mistificazione moderna della priorità logica del diritto soggettivo rispetto all’azione; sul piano particolare, superando la tesi che riduceva il pegno a un diritto reale di garanzia contenuto essenzialmente nel diritto di vendita, nonché sostenendo come il mancato spossessamento del debitore non fosse affatto una storica rivoluzione copernicana, ma solo una declinazione particolare, quasi scontata, dell’idea di garanzia stessa. È in tutto ciò che si può rintracciare la modernità della costruzione bachofeniana. Il pactum vendendi e la lex commissoria sono solo accidenti storici che rilevano come mezzi – più raffinati ed efficienti del Fruchtgenuss, ma ad esso comunque omogenei – sul piano pratico della Selbstbefriedigung. E infatti la recente disciplina dello stesso pegno commerciale non possessorio (l. n. 119/2016; d.m. n. 114/2021) – considerato come una figura che sotto molti aspetti si allontana dall’archetipo comune di pegno come contratto reale e diritto reale – è esemplificazione di quella visione bachofeniana che immedesimava l’essenza della garanzia reale nel cd. Zustand der Gebundenheit e ne riduceva il fine pratico al conseguimento della ‘utilità’ implicata inesorabilmente nella res obligata.
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] E. GABRIELLI, Studi sulle garanzie reali, Torino 2015, 29 ss.; E. BRODI, Il sistema delle garanzie in Italia: una lettura economica delle disposizioni in materia di privilegio, pegno e ipoteca, in Questioni di economia e finanza CCCLVI, 2016, 5 ss.; R. MARINO, Il pegno non possessorio quale strumento funzionale all’autotutela satisfattiva del creditore: profili evolutivi, in Banca, borsa e titoli di credito VI, 2018, 762 ss.; E. BATTELLI, Il pegno sui beni immateriali. Contributo allo studio del pegno non possessorio sugli ‘intangible assets’, Milano 2021, 145 ss.
[2] E. GABRIELLI, «Forma» e «realtà» nel diritto italiano delle garanzie reali, in Rivista di diritto civile LVIII, 2012, 449.
[3] «Jedes Pfand, mag das Eigenthum oder der Besitz versetzt sein, soll dem Gläubiger Befriedigung für seine Forderung ohne alles Zuthun des Schuldners sichern. Darin besteht der Nutzen der Verpfändung und diese materielle Seite des Instituts ist sogar für das praktische Leben weitaus die Hauptsache» (J.J. BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, Basel 1847, 139). Alla modernità di quest’opera è dedicato il mio recente saggio monografico dal titolo L’ombra e la mano del creditore. L’idea di garanzia non possessoria muovendo da Johann Jakob Bachofen, Bologna 2022, passim (e di cui queste pagine, dedicate alla professoressa Letizia Vacca, riprendono e approfondiscono dalla specola ‘romanistica’ alcune pagine).
[4] Come nel 1846 scriveva Bachofen stesso in
una lettera all’amico Gervasio, la monografia sul diritto pignoratizio – che
vedrà le stampe l’anno successivo – voleva essere il monumento concreto e
particolare di una ben precisa idea generale di ‘storia del diritto’, una idea
‘sua’ – non di Savigny, non di Puchta, non di Gans, non di Thibaut – che, se è
vero che non confondeva lo studio del diritto romano con la antiquitas,
altrettanto vero è che omogenizzava il primo alla seconda: «historia iuris
antiqui mihi prae ceteris placet. Antiquitas mundi iuventus seculi»
(Lettera del 2 settembre 1846: J.J.
BACHOFEN, Gesammelte Werke, X, Briefe, Bâle - Stuttgart
1967, nr. 39, 65). Al di là di una visione storica ispirata alla dialettica
hegeliana e al di là di tensioni riformatrici del presente o della praktische
Anwendung, l’opera astraeva da un quadro programmatico articolato, prima,
nella ricerca storica antiquaria e, poi, a fronte di questo presupposto
prodromico, nell’edificazione del castello sistematico: «Man sagt so oft, die
römischen Juristen rechneten mit Begriffen, ja in dieser Kunst resumiere sich
hauptsachlich ihre Vortrefflichkeit. Ich
glaubte an dem Pfandrecht zu erkennen, daß sie in der Regel mit ganz andern,
Factoren rechnen als mit Begriffen und Begriffs-Consequenzen» (J.J. BACHOFEN, Eine Selbstbiographie,
in Zeitschrift für vergleichende Rechtswissenschaft XXXIV, 1916,
338, 365, 365).
[5] Per Bachofen, lo stesso diritto romano, pur non esaurendosi nell’oggetto di studi puramente antiquari e genericamente filologici, non doveva essere falsificato in una costruzione unitaria e monolitica di concetti astratti rielaborata senza contraddizioni e con metodo matematico; doveva invece essere guardato come un serbatoio di soluzioni la cui grandezza stava proprio nelle divergenze e nelle controversie dei giuristi, non un corpo da vivisezionare in laboratorio, non un cadavere da riportare in vita nei tribunali, ma un mondo di cui lo storico non doveva far altro che comprendere lo spirito, rintracciandone i fondamenti e valorizzandone, per il presente e per il futuro, le singolarità («Zu der Rechtswissenschaft zog mich die Philologie, von der ich ausgegangen bin, und zu welcher jene mich wieder zurückführte. […] Das römische Recht erschien mir stets als ein Teil der alten, besonders der lateinischen Philologie, also der Abschnitt eines großen Ganzen, das die klassische Altertumswissenschaft überhaupt umfaßt»; «Mir war es ja immer ein Theil des alten Lebens gewesen, nicht des heutigen, ein Theil des alten Lebens … ein Stück klassischer Philologie, ein Bestandtheil langst versunkener Zustande, ein Erzeugniss von Grundanschauungen, welche mit denen der christlich germanischen Völker eigentlich nur geringe Verwandtschaft hatten»; «Ich lebte selbst der Überzeugung, daß gerade die Bluthezeit des römischen Rechts auf allen Gebieten der Rechtspflege an Abweichungen und Streitigkeiten am reichsten gewesen sein müsse»; «Denn, so sonderbar es klingen mag, so wahr ist es dennoch, daß in Fragen der Jurisprudenz entgegenstehende Ansichten gar oft einen gleichen Grad von Berechtigung haben können»: J.J. BACHOFEN, Eine Selbstbiographie, cit., 338, 365, 340). Ovviamente, anche per Bachofen è vero che – come ben rileva in via generale, L. VACCA, Casistica giurisprudenziale e concettualizzazione ‘romanistica’, in Atti del Convegno Legge, Giudici, Giuristi (Cagliari, 18-21 maggio 1981), Milano 1982, 83 ss. (ora in EAD., Metodo casistico e sistema prudenziale. Ricerche, Padova 2006, 29 ss., da cui si cita) – «il rifiuto del modello pandettistico non significa il rifiuto della concettualizzazione giuridica, anche se di diverso tipo. È innegabile, infatti, che i giuristi romani abbiano costruito un sistema giuridico rigoroso e raffinato, anche se la sua logica e le sue modalità di espressione si esplicano su linee differenti da quelle della logica del razionalismo tedesco. Negare cioè che i giuristi romani abbiano utilizzato una dogmatica dei concetti non significa negare che abbiano utilizzato un apparato logico e scientifico di costruzione razionale del diritto». Grazie alla valorizzazione dinamica della casistica e della controversialità del diritto giurisprudenziale, in contrapposizione alla rappresentazione statica di concetti (secondo la traiettoria che magistralmente la stessa professoressa Vacca ha segnalato e seguito: L. VACCA, Contributo allo studio del metodo casistico nel diritto romano, Milano 1976; EAD., La giurisprudenza nel sistema delle fonti del diritto romano, Torino 1989; EAD., La giurisprudenza nel sistema delle fonti del diritto romano. Seconda edizione riveduta e ampliata, Torino 2012; EAD., Diritto giurisprudenziale romano e scienza giuridica europea, a cura di G. Rossetti, Torino 2017), si può apprendere come «gerade die Bluthezeit des römischen Rechts auf allen Gebieten der Rechtspflege an Abweichungen und Streitigkeiten am reichsten gewesen sein müsse».
[6] Cfr. d.lgs. n. 170/2004 e direttiva 2009/47/CE.
[7] N.
CIPRIANI, La disciplina delle garanzie finanziarie e il sistema
italiano delle garanzie reali, in Il diritto civile oggi. Compiti
scientifici e didattici del civilista, Napoli 2006, 797 ss.; R. MARINO, La disciplina delle
garanzie finanziarie. Profili
innovativi, Napoli 2006, 20 ss.
[8] Cfr.
il Green Book ‘Building a Capital Markets Union’, nonché lo European
Commission Action Plan on Building a Capital Markets Union.
[9] R. SERICK,
Le garanzie mobiliari nel diritto tedesco, trad. it., Milano 1990, 77
ss.; R. GOODE, The
Modernisation of Personal Property Security Law, in Law Quarterly Review
C, 1994, 234 ss.
[10] G.B. PORTALE, Il diritto commerciale italiano alle soglie del XXI secolo, in Rivista delle società LIII, 2008, 1 ss.
[11] Il d.l. 3 maggio 2016, n. 59 è stato convertito, con modifiche, dalla l. n. 119/2016.
[12] G.B. PORTALE, L’esercizio del diritto di intervento e di voto della holding nelle assemblee delle società partecipate, in Rivista di diritto privato 2017, 253; F. DELL’ANNA MISURALE, La nuova garanzia mobiliare introdotta con L. n. 119 del 2016. Aspettando il registro informatizzato dei pegni non possessori, in Rivista di diritto bancario parte I, 2018, 1 ss.
[13] Gai. l.s. de form. hypoth. D. 20.1.4; Ulp. 40 ad
Sab. D. 13.7.1 pr.
[14] E. GABRIELLI, «Forma», cit., 462 s.
[15] La legge n. 119/2016, così, ha anche dato vita a una ulteriore manifestazione, nella cornice del sub-tipo del pegno, della categoria ‘anomala’ della garanzia rotativa. La traiettoria seguita è quella già inaugurata dal Reg. del Consiglio CE n. 1346/2000 del 29 maggio 2000, relativo alla procedura di insolvenza (art. 5, par. 1), e proseguita dalla Direttiva Financial Collateral (ossia dir. 2002/47/CE), attuata nell’ordinamento interno con d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170, successivamente modificata dalla dir. 2009/44/CE, recepita con d.lgs. 24 marzo 2011, n. 48.
[16] La disciplina della l. n. 119/2016, infatti, anticipa i lavori della cd. Commissione Rordorf investita del progetto di revisione delle procedure concorsuali. I frutti di questi lavori sono stati versati prima nel disegno di legge-delega per la introduzione di una «generale forma di garanzia mobiliare senza spossessamento» e, poi, nella legge 19 ottobre 2017, n. 155 recante delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza. Parimenti lo stesso art. 11 del disegno di legge n. 3671 con delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, prevedeva testualmente di «introdurre una forma di garanzia mobiliare senza spossessamento, avente ad oggetto beni, materiali o immateriali, anche futuri, determinati o determinabili, fatta salva la specifica indicazione dell’ammontare massimo garantito, eventualmente utilizzabile anche a garanzia di crediti diversi o ulteriori rispetto a quelli originariamente individuati, disciplinandone i requisiti, ivi compresa la necessità della forma scritta, e le modalità di costituzione, anche mediante iscrizione in apposito registro informatizzato, nonché le regole di opponibilità ai terzi e il concorso con gli altri creditori muniti di cause di prelazione». Cfr., per il registro informatizzato, il d.m. n. 114/2021.
[17] Cfr. Marcian. l.s. ad form. hypoth. D. 20.1.16.9.
[18] Al ‘meccanismo marciano’ sono ispirati, oltre al pegno mobiliare non possessorio, i contratti di garanzia finanziaria di cui al d.lgs. 170/2004 (in attuazione della direttiva 2002/47/CE), il prestito vitalizio ipotecario (art. 11 quaterdecies, comma 12 quinquies, d.l. 203/2005 e il susseguente d.m. 226/2015), il finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato (art. 48 bis TUB), il credito immobiliare ai consumatori (art. 112 quinquiesdecies TUB).
[19] Cfr. F. PIRAINO, L’inadempimento del contratto di credito immobiliare ai consumatori e il patto marciano, in I nuovi marciani, a cura di G. D’Amico, S. Pagliantini, F. Piraino e T. Rumi, Torino 2017, 198.
[20] Cfr. d.lgs. 21 maggio 2004, n. 17 (e successive modificazioni), di attuazione della dir. 2002/47/CE.
[21] Cfr. N. CIPRIANI, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli 2000, 109 ss.; S. PAGLIANTINI, Sull’art. 48-bis T.U.B.: il «pasticcio» di un marciano bancario quale meccanismo surrogatorio di un mancato adempimento, in I nuovi marciani, cit., 54.
[22] G. D’AMICO, Alienazioni a scopo di garanzia, in I contratti per l’impresa, I, Produzione, circolazione, gestione, garanzia, a cura di G. Gitti, M. Maugeri e M. Notari, Bologna 2012, 598; cfr. N. CIPRIANI, Appunti sul patto marciano nella l. 30 giugno 2016, n. 119, in Le nuove leggi civili commentate 2017, 995 ss.; A. LUMINOSO, Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva, in Rivista di diritto civile LXIII, 2017, 10 ss., ID., Patto marciano e sottotipi, in Rivista di diritto civile LXIII, 2017, 1398 ss.
[23] Paul. 3 quaest. D. 20.5.9.1; Gai.
21 ad ed. prov. D.
12.1.28; Scaev. 6 resp. D. 46.1.63.
[24] Pap. 3 resp. D. 13.7.42; Marcian. l.s. ad
form. hypoth. D. 20.4.12.5; Tryph. 8 disp. D. 20.4.20; Imp.
Alexander Severus C. 4.24.4; Impp. Diocletianus, Maximianus C. 8.27.20; ma cfr.
anche Imp. Alexander Severus C. 8.34.1.
[25] Cfr. W. KUNKEL,
Hypothesen zur Geschichte des römisches Pfandrechts, in ZSS XC,
1973, 155; M. KASER, Studien
zum römischen Pfandrecht, Napoli 1982, 128. Tanto è che parte della
dottrina espresse l’idea che l’ipoteca romana fosse stata essa stessa – e non
solo sul piano nominalistico – una derivazione straniera e più esattamente, una
naturale imitazione dell’istituto greco (invero assai eterogeneo a quello
inverato nel finale ius in re a scopo di garanzia con ius vendendi
e ius sequelae) dell’ipoteca addirittura risalente, per qualcuno, alla
prima epoca repubblicana: cfr. H.
DERNBURG, Das Pfandrecht nach den Grundsätzen des heutigen römischen
Recht, I, Leipzig 1860, 67 («zu einem großer Theil wurde aber gewiß die
Idee, daß der bloße Vertrag ein dingliches Pfandrecht erzeuge, dadurch
gefordert, daß bei den griechischen Nationen das bloße Vertragspfand anerkannt
und im häufigsten gebrauch war. Schon der äußere Umstand, daß in unserer
Materie die Worte hypotheca, hyperocha, antichresis
eingebürgert wurden, scheint mir von der stetigen Einwirkung des griechischen
Pfandrechts auf das römische Zeugnis zu geben; noch weit entscheidender aber
spricht die Natur der Verhältnisse. Wenn wir bei den Griechen das bloße
Vertragspfand seit Jahrhunderten ausgebildet finden so daß das Contrahiren
einer Forderung ohne hypothekarische Sicherheit dort zu den Ausnahmen gehörte,
wenn wir damit zusammenhalten, daß bei den Römern das Vertragspfand erst seit
dem vermehrten Verkehr mit den Griechen und dem steigenden Einfluss
hellenischen Wesens rechtliche Anerkennung fand, so ist die Annahme der
Einwirkung des Rechts des Nachbarvolts fast unabweisbar»). La tesi
di Dernburg rimase dominante sino alla fine del XX secolo, seguita, tra gli
altri, da N. HERZEN, Origine
de l’hypothèque romaine, Paris 1899, 7 s., 213 (che reputa di matrice greca
l’idea di fondo dell’ipoteca, resa però romanamente originale in virtù di una
“spécification” attuata lungo il processo di assimilazione) e da M. VOIGT, Das ‘pignus’ der Römer,
Leipzig 1888, 234. La corrente di pensiero del griechiescher Ursprung,
già osteggiata da Bachofen nel 1847 e definita «äußerliche» da A. MANIGK, voce hypotheca, in RE,
IX, Stuttgart - Weimar 1916, c. 346, risulta sì oggi pressoché universalmente
abbandonata, anche se non mancano tentativi di rinverdirla seppur in forme meno
nette (cfr., per esempio D. SCHANBACHER,
Zur Ursprung und Entwicklung des römischen Pfandrechts, in ZSS
CXXIII, 2006, 49 ss.; ΙD., Die Gegenwart der Geschichte in der Rechtsprechung
des Bundesgerichtshofs, in ‘Iurisprudentia universalis’. Festschrift für
T. Mayer-Maly zum 70. Geburtstag, herausgegeben von M.J. Schermaier,
J. Michael Rainer und L.C. Winkel, Köln - Weimar - Wien 2002, 647 e nt. 47).
[26] Isid., etym. 5.22 (pignus enim est quod propter rem creditam obligatur, cuius rei possessionem solam ad tempus consequitur creditor; ceterum dominium penes debitorem est). Cfr., per un quadro di sintesi al riguardo, R. ORTU, ‘Actio in rem’ e ‘actio in personam’ di matrice pretoria: il caso del pegno, in ‘Actio in rem’ e actio in personam’. In ricordo di M. Talamanca, a cura di L. Garofalo, Padova 2011, 41 ss.; L. SOLIDORO MARUOTTI, Forme di appartenenza dei beni: diritti reali e possesso, in A. LOVATO - S. PULIATTI - L. SOLIDORO MARUOTTI, Diritto privato romano, Torino 2014, 400 ss.
[27] G.F. PUCHTA, Cursus der Institutionen, II, Leipzig 1842, §§ 247 s.; cfr. A. ASCOLI, Le origini dell’ipoteca e l’interdetto Salviano, Livorno 1887, 1 ss.; R. JACQUELIN, De la fiducie, Paris 1891, 205 s.; A. DUCHENNE, Des origines de l’hypothèque, Paris 1893, 26 s.
[28] J.J. BACHOFEN, Das römische
Pfandrecht, cit., 2.
[29] Nella cornice ‘anti-evoluzionista’ immaginata da Bachofen, ben si può comprendere perché questi, nell’affrontare i problemi di genesi dell’insolito regime del besitzloses Pfand, adotti un approccio spiccatamente ‘anti-diffusionista’ e ‘romanocentrico’, oltre ad avanzare soluzioni ancora una volta non coincidenti con la tesi della ‘rivoluzione ipotecaria’ (G.F. PUCHTA, Cursus, cit., § 250: «die Entstehung der Hypothek bewirkte eine Reform des Pfandrechts, die nicht vollständiger gedacht werden»). Lo studioso cassava senza mezzi termini la tesi degli emprunts greci per spiegare le origini di una figura tutta romana: «So sehr wird Wesen und Entwicklung der Besitzesverpfändung verkannt, daß man nicht das mindeste Bedenken trägt, das Unerhörteste zu behaupten, was je von der Entwicklung eines römischen Rechtsinstituts behauptet worden ist: die gänzliche Umgestaltung desselben nach dem Vorbild eines griechischen Musters. Die Hypothek soll nicht nur ihrem Namen, sondern ihrem Inhalt und Wesen nach den Griechen gehört haben, und von den Römern als neues Reis auf den Stamm des altitalischen pignus aufgepflanzt worden sein. Daraus habe sich denn eine Umgestaltung des bisherigen Rechts ergeben, wie sie nicht vollständiger gedacht werden könne» (J.J. BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 633). D’altro canto, affermare, come fa anche Rabel, che da sé sola la parola hypotheca non è considerabile quale elemento sufficiente per giustificare la tesi dell’origine straniera del pegno convenzionale, non significa affatto che aprioristicamente debbano escludersi mutuazioni – ancorché ben più tarde rispetto alla prima età repubblicana e non provate esaustivamente con riguardo al secolo di Catone e dei suoi formulari – ad opera di molteplici canali di penetrazione di ‘prassi greche’: e ciò alla luce di quelle anomalie sistematiche (come la qualificazione delittuosa dell’alienazione a debitore della res alii obligata) che paiono non genuinamente romane e stridono con quei principi di cui, invece, è possibile tracciare, con limpidità, il percorso per farli emergere da un coerente sostrato di matrice squisitamente romana, come la nostra concettualizzazione del pegno in termini di ius in re, nonché il suo fisiologico diritto di sequela (cfr. C. PELLOSO, Influenze greche nel regime romano della «hypotheca»?, in Teoria e storia del diritto privato I, 2008, 1 ss.).
[30] J.J. BACHOFEN, Das römische
Pfandrecht, cit., 139.
[31] Cfr., sul punto, C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di Diritto Romano, I, Torino 2001, 318 ss.; V. GIUFFRÈ, L’emersione dei ‘iura in re aliena’ ed il dogma del ‘numero chiuso’, Napoli 1992, 116 nt. 1, 118; M. KASER, Studien zum römischen Pfandrecht, cit., 217. In generale, sulla ‘evoluzione’ del pegno da possessorio a non possessorio, cfr., tra le più recenti e ampie ricostruzioni, G. KRÄMER, Das besitzlose Pfandrecht. Entwicklungen in der römischen Republik und im frühen Prinzipat, Köln 2007, passim; M. BRAUKMANN, ‘Pignus’: Das Pfandrecht unter dem Einfluß der vorklassischen und klassischen Tradition der römischen Rechtswissenschaft, Göttingen 2008, passim; F. DE IULIIS, Studi sul ‘pignus conventum’. Le origini. L’‘interdictum Salvianum’, Torino 2017, passim.
[32] Cfr., per tutti, M. KASER, Studien zum römischen Pfandrecht, cit., 217; A. BURDESE, ‘Lex commissoria’ e ‘ius vendendi’ nella ‘fiducia’ e nel ‘pignus’, Torino 1949, 225 ss.; U. RATTI, Sull’accessorietà del pegno e sul ‘ius vendendi’ del creditore pignoratizio, con una nota di lettura di N. Bellocci, Napoli 1985, 4 s. La dottrina è incline ad ammettere comunque il precedente riconoscimento del pignus datum rispetto a quello conventum nell’ordinamento giuridico romano (cfr., paradigmaticamente, V. GIUFFRÈ, L’emersione dei ‘iura in re aliena’, cit., 117; v. anche F. LA ROSA, Ricerche sulle origini del pegno, in Scritti in onore di G. Auletta, II, Milano 1988, 64 ss.).
[33] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 4, 631:
«Die Besitzesverpfändung ist ebenso alt als die fiducia. Ja sie lässt
sich urkundlich weiter hinauf zurückführen als die letztere»; «Das
Besitzespfand konnte seit den ältesten Zeiten eben so gut verabredet als
körperlich übergeben warden».
[34] Come rileva P. LAMBRINI, Il negozio fiduciario e la sua causa, in Studi urbinati 2015, 36, l’origine risalente dell’istituto sarebbe confermata da Plaut., Trin. 116-118; Plaut., Epid. 697-699; Plaut., Most. 37 (cfr. A. WATSON, Legal Origins and Legal Change, London - Rio Grande 1991, 159 ss.); inoltre, sempre per la studiosa, segno ulteriore di arcaicità sarebbe la terminologia emergente dal formulario dell’actio fiduciae (‘ut inter bonos agier oportet et sine fraudatione’, come si può leggere in Cic., top. 17.66; Cic., off. 3.15.61; 3.17.70; Cic., fam. 7.12; cfr. O. LENEL, Das ‘edictum perpetuum, 3a ed., Leipzig 1927, 291 ss.). Ciò precisato e tenuto conto del fatto che, secondo la più parte della dottrina, l’impiego della fiducia cum creditore sarebbe da collocare tra il IV e il III secolo a.C., che – come invece intende A. BURDESE, voce Fiducia (dir. rom.), in Noviss. dig. it., VII, Torino 1961, 295 – la fiducia cum creditore sia «la più antica forma di garanzia reale dell’obbligazione conosciuta dall’ordinamento romano», non pare così indubbio; cfr., inoltre, L. BOVE, voce Pegno (dir. rom.), in Noviss. dig. it., XII, Torino 1965, 763; G. GROSSO, voce Fiducia (dir. rom.), in Enc. dir., XVII, Milano 1968, 385.
[35] J.J. BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 631: «So unwesentlich ist die Besitzesübertragung für die Entstehung und den Begriff des pignus, daß die Tradition da, wo auf sie etwas ankommt, durch einen eigenen Zusatz […] immer noch besonders hervorgehoben werden muß; und wenn in scheinbarem Widerspruch mit diesem Sprachgebrauch an einer einzelnen Stelle der Unterschied von pignus und hypotheca in die Übertragung oder Zurückbehaltung des Besitzes gesetzt wird, so ist nur zu leicht zu er kennen, daß die Beschränkung gerade erst durch den Ausdruck hypotheca, nicht ohne Beihilfe einer falschen Etymologie, veranlaßt wurde». Anche una delle ipotetiche derivazioni etimologiche di pignus, ossia quella da pango nel senso di ‘pattuire’, sulla scorta del proto-indoeuropeo «*peh2k- ‘agreement’, *ph2k-(e/o-) ‘to make an agreement’» (cfr. M. DE VAAN, Etymological Dictionary of Latin and the Other Italic Languages, Leiden - Boston 2008, 452) potrebbe essere addotta a ulteriore argomento a favore: la garanzia reale primordiale, suggerirebbe questa scuola di pensiero, sarebbe consistita, o si sarebbe immedesimata, nell’accordo tra il creditore garantito e il debitore costituente, «quia a pactione pignus traditur» [AE. FORCELLINI, Lexicon totius latinitatis, III, Patavii, rist. 1940, 711). Quindi, non ‘la datio della cosa’, bensì ‘la conventio sulla cosa’ sarebbe stata l’atto irrinunciabile e profondo fotografato indelebilmente nella parola pignus (cfr., paradigmaticamente, L. CECI, Le etimologie dei giureconsulti romani, Roma 1892, 141, nt. 1; E. CHAMPEAUX, Le prétendu principe de simplicité des anciens actes juridiques romains et le gage, in Mélanges P.-F. Girard. Études de droit romain dédiées à M. P.F. Girard professeur de droit romain à l’Université de Paris à l’occasion du 60e anniversaire de sa naissance, I, Paris 1912, 155 ss.; C. SANDOZ, Lat. ‘pignus’: étymologie et formation du mot, in O-o-pe-ro-si. Festschrift für E. Risch zum 75. Geburtstag, Berlin - New York 1986, 571 s.; F. STURM, Il ‘pactum’ e le sue molteplici applicazioni, in ‘Contractus’ e ‘pactum’. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. Atti del Convegno Internazionale di Diritto romano [Copanello, 1-4 giugno 1988], a cura di F. Milazzo, Napoli 1990, 179, nt. 97). Invero, lo stesso Gaio avrebbe tentato di illustrare in un celebre passaggio delle sue istituzioni la garanzia reale nel suo stadio embrionale archetipico, menzionando la tutela interdittale del locatore garantito dalle cose introdotte nel proprio fondo dal conduttore e instaurando un forte, anzi indissolubile, collegamento tra l’istituto del pignus (pur oggetto di continue evoluzioni e di multiple declinazioni storiche) e il pangere (cifra essenziale e irriducibile, nelle molteplici forme contingenti, della garanzia reale): interdictum quoque quod appellatur Salvianum adipiscendae possessioni causa comparatum est, eoque utitur dominus fundi de rebus coloni, quas is pro mercedibus fundi pignori futuras pepigisset (Gai. 4.147; I. 4.15.3). Cfr., tra coloro che ravvisano nell’uso di ‘pepigisset’ il caso forse originario di conventio pignoris, R. QUADRATO, Le ‘Institutiones’ nell’insegnamento di Gaio. Omissioni e rinvii, Napoli 1979, 83; F. LA ROSA, La protezione interdittale del ‘pignus’ e l’‘actio Serviana’, in Studi in onore di C. Sanfilippo VII, Milano 1987, 294, 296; ritiene il passo gaiano istruttivo, a sostegno della derivazione di pignus da ‘pango’ inteso come ‘paciscor’, C. SANDOZ, Lat. ‘pignus’, cit., 571 s.; in verità, il verbo pangere, riferito a pignus, indica sì, in Gai. 4.147, il patto di garanzia sugli invecta et illata del colono, ma, più precisamente, la conventio pignoris destina a garanzia le res mobili che solo a partire dalla loro introduzione (illatio) nel fondo – di proprietà del creditore, anche se in detenzione del debitore – vengano definitivamente costituite come pignora: cfr. U. VON LÜBTOW, Catos ‘leges venditioni et locationi dictae’, in Symbolae R. Taubenschlag, III, Vratislaviae - Varsaviae 1957, 309 s.; A. GOURON, Gage confirmatoire et gage penitentiel en droit romain, in RHD XXXIX, 1961, 19; M KASER, Studien zum römischen Pfandrecht, cit., 6; W. KUNKEL, Hypothesen zur Geschichte des römischen Pfandrechts, cit., 153; F. LA ROSA, Ricerche sulle origini del pegno, cit., 87 ss.
[36] J.J. BACHOFEN, Das
römische Pfandrecht, cit., 633. E prima ancora scriveva BACHOFEN, con
riguardo all’ipoteca: «sie ist keine neue von dem pignus gänzlich
verschiedene Verpfändungsform. Dem Pfandrecht ist in ihr kein neues Institut,
nur ein neues Wort zugewachsen» (ID.,
Das römische Pfandrecht, cit., 631).
[37] Gaio, nel commentare i lemmi del codice delle dodici tavole, tenta, servendosi di quello che al più può essere bollato come un Wortspiel (H. ERMAN, ‘Pignus hypothecave’, in Mélanges P.-F. Girard. Études de droit romain dédiées à M. P.F. Girard professeur de droit romain à l’Université de Paris à l’occasion du 60e anniversaire de sa naissance, I, cit., 433), di afferrare l’essenza più primitiva del pegno romano: ‘pignus’ appellatum a pugno, quia res, quae pignori dantur, manu traduntur. unde etiam videri potest verum esse, quod quidam putant, pignus proprie rei mobilis constitui (Gai. 6 ad leg. XII tab. D. 50.16.238.2): cfr. F. DE IULIIS, ‘Pignus appellatuma pugno’. Una questione etimologica e di palingenesi decemvirale, in Legal Roots II, 2013, 245 ss. Ispirato dall’assonanza fonetica e dalla voglia di piegare un certo significato e un certo regime giuridico al valore etimologico, il giurista fa di pignus ciò che sta in ‘pugno’ (Faust), come la cosa che quindi passa dalla mano del debitore a quella del creditore, proponendo una derivazione tanto felice che Faustpfand fu la parola composta prescelta a traduzione del termine pignus con l’innesto del diritto romano in Germania (B. WINDSCHEID, Lehrbuch der Pandektenrecht, I.1, Frankfurt a.M. 1887, § 224, nt. 3).
[38] Iul. 44 dig. D. 41.3.33.4: plane si creditor nuda conventione hypothecam contraxerit; Gai. l.s. de form. hypoth. D. 20.1.4: contrahitur hypotheca per pactum conventum cum quis paciscatur, ut res eius propter aliquam obligationem sint hypothecae nomine obligatae; Marcian. l.s. ad form. hypoth. D. 20.1.5.1: inter pignus autem et hypothecam tantum nominis sonus differt; Ulp. 40 ad Sab. D. 13.7.1 pr.: pignus contrahitur non sola traditione, sed etiam nuda conventione, etsi non traditum est; Ulp. 28 ad ed. D. 13.7.9.2: proprie pignus dicimus, quod ad creditorem transit, hypothecam, cum non transit nec possessio ad creditorem; cfr. I. 4.6.7: pignoris appellatione eam proprie contineri dicimus quae simul etiam traditur creditori, maxime si mobilis sit: at eam quae sine traditione nuda conventione tenetur proprie hypothecae appellatione contineri dicimus.
[39] J.J. BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 4 ss.; contra, v. C.A. CANNATA, Qualche considerazione sui primordi della compravendita romana, in Seminarios Complutenses de Derecho Romano XXII, 2009, 24: «nella legge esisteva il termine (pignus), ma esso ci è testimoniato in relazione alla legis actio per pignoris capionem, che con il pegno del diritto privato non aveva nulla a che fare». Biscardi, invece, muovendo da un confronto tra pignus manuale (inteso come «attribuzione volontaria di garanzia reale mediante la traditio possessionis di una cosa al proprio creditore») e pignoris capio (figura di cui le fonti ci conservano menzione nel campo del processo civile), conclude che «la pignoris capio, pur essendo istituto diverso dal rapporto di garanzia costituito mediante pignoris datio, rivela però qualche punto di contatto con il medesimo, se non altro nel senso che esso pure rappresentava comunque un mezzo di protezione del credito: il che è tanto più vero se si considera che, nello stesso modo in cui la pignoris capio (concernente in ogni caso rapporti estranei al diritto privato) non era una legis actio esecutiva come la manus iniectio, ma uno strumento processuale sui generis di coercizione a carico del debitore inadempiente, così anche il pignus privatistico non fu in origine un mezzo di soddisfazione del creditore insoddisfatto, ma piuttosto un mezzo di coazione psicologica sul debitore inadempiente affinché adempia» (A. BISCARDI, Appunti sulle garanzie reali, Milano 1976, 141 s.). Vero è che, come eccessivamente rigido pare Cannata nel negare ogni rapporto tra pignoris capio e pignus, così la connessione proposta da Biscardi tra pignoris capio e pegno con traditio immediata della possessio deve essere, a mio vedere, riscritta a favore del pegno convenzionale.
[40] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 5.
[41] Vale a dire un vincolo di garanzia che, prescindendo dal
trasferimento del possesso e della proprietà, prima, è ‘flottante’ su un
insieme indistinto di beni e che, poi, si ‘cristallizza’ su uno o più tra
quelli coperti dalla ‘nuvola di garanzia’ (cfr. L.C.B. GOWER, The Principle of Modern Company Law,
London 1954, 74: «floats like a cloud over the whole assets from time to time
falling within a generic description, but without preventing the mortgagor from
disposing of these assets in the usual course of business until something
occurs to cause the charge to become crystallised or fixed»).
[42] Il pegno era conservato sine die fino all’adempimento, per essere restituito solo di poi al ‘debitore’: il creditore avrebbe conseguito il mero possesso del bene, come mezzo di pressione sulla volontà del debitore (cfr. Gai. 4.32: Item in ea forma, quae publicano proponitur, talis fictio est, ut quanta pecunia olim, si pignus captum esset, id pignus is a quo captum erat luere debere, tanta pecuniam condemnetur; Fest., voce Reluere [Lindsay 352]: Reluere resolvere repignerare: Caecilius in Carine: ‘Ut aurum et vestem, quod matris fuit, reluat, quod viva ipsi opposuit pignori). V., sulla funzione non satisfattiva del pegno in questo contesto, M. KASER, Studien zum römischen Pfandrecht, cit., 15, nt. 79; v., inoltre, U. VON LÜBTOW, Catos ‘leges venditioni et locationi dictae’, cit., 319 (che ipotizza il passaggio da un Zugriffsrecht con funzione di vendetta alla Willenspression del debitore; contra, a favore di una funzione di tipo satisfattivo del pignus, v., invece, F. LA ROSA, Ricerche sulle origini del pegno, cit., 74 ss.; G. NICOSIA, ‘Ius dicere’: dalle ‘legis actiones’ alle riforme augustee, in Il processo e le sue alternative. Storia, Teoria, Prassi, Atti del Convegno [Cagliari, 25-27 settembre 2014], a cura di F. Botta e F. Cordopatri, Napoli 2017, 36. Tuttavia, pare verisimile (proprio in ragione della complementarietà tra Teoria e Prassi ipotizzata da Bachofen) che sia nel giusto V. MAROTTA, Il processo privato. Le ‘legis actiones’: previsioni decemvirali e sviluppi successivi, in Storia giuridica di Roma, a cura di A. Schiavone, Torino 2016, 161, là ove scrive che il creditore insoddisfatto mediante la pignoris capio «si impadroniva» del bene del debitore, alternativamente, «o per indurlo ad adempiere o per soddisfarsi del credito».
[43] V., paradigmaticamente, M. TALAMANCA, Le Dodici Tavole ed i negozi obbligatori, in Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti, a cura di M. Humbert, Pavia 2005, 345 (ID., voce Vendita [diritto romano], in Enc. dir., XLVI, Milano 1993, 305, nt. 15); G. PUGLIESE, Gai. 4.32 e la ‘pignoris capio’, in Mélanges Ph. Meylan, I, Lausanne 1963, 279 ss. (ma v., già, ID., Il processo civile romano, I, Le ‘legis actiones’, Roma 1962, 326, 334 s.); sul punto v. anche M. KASER, Das altrömische ‘ius’, Gottingen 1949, 206 s., 297 s.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, 2a ed., Napoli 1954, 42 ss., 83; contra l’idea «secondo la quale il fatto che si prevedesse … una pignoris capio dimostrerebbe solo che il rapporto presupposto aveva una natura propria, operante sul piano del diritto sacro, distinta in particolare dall’accordo contrattuale (tanto appunto da non giustificare l’affermazione di un oportere civilistico)», cfr. A. CORBINO, La risalenza dell’emptio-venditio consensuale, in Iura LXIV, 2016, 16 ss.
[44] Gai. 4.27: Introducta est moribus rei militaris. Nam et propter stipendium licebat militi ab eo qui aes tribuebat, nisi daret, pignus capere; dicebatur autem ea pecunia, quae stipendii nomine dabatur, aes militare. Item propter eam pecuniam licebat pignus capere, ex qua equus emendus erat; quae pecunia dicebatur aes equestre. Item propter eam pecuniam, ex qua hordeum equis erat conparandum; quae pecunia dicebatur aes hordiarium. Quanto ai soggetti destinatari della pignoris capio, cfr. Gell. 6.10.2 (verba Catonis sunt ex primo epistolicarum quaestionum: pignoriscapio ob aes militare, quod aes a tribuno aerario miles accipere debebat, vocabulum seorsum fit); Varr., l.L. 5.181 (quibus attributa erat pecunia, ut militi reddant, tribuni aerarii dicti); Liv. 1.43.9 (ad equos emendos dena milia aeris ex publico data et, quibus equos alerent, viduae attributae, quae bina milia aeris in annos singulos penderent; Paul.-Fest., voce Aerarii tribuni (Lindsay 2: aerarii tribuni a tribuendo aere sunt appellati); Fest., voce Hordiarium aes (Lindsay 91: Hordiarium aes, quod pro hordeo equiti Romano dabatur); Fest., voce Vectigal aes (Lindsay 508: appellatur quod ob tributum te stipendium et aes equestre et hordiarium populo debetur).
[45] Gai. 4.28: Lege autem introducta est pignoris capio veluti lege XII tabularum adversus eum, qui hostiam emisset nec pretium redderet; item adversus eum, qui mercedem non redderet pro eo iumento, quod quis ideo locasset, ut inde pecuniam acceptam in dapem, id est in sacrificium, impenderet. Sull’uso di emere e di locare nel passo, cfr. la persuasiva idea espressa da R. FIORI, Fides e bona fides. Gerarchia sociale e categorie giuridiche, in Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato, III, a cura di R. Fiori, Napoli 2008, 251. Il brano gaiano continua con la descrizione della pignoris capio ex lege censoria cui erano legittimati i publicani per la riscossione dei vectigalia nei confronti dei contribuenti morosi (item lege censoria data est pignoris capio publicanis vectigalium publicorum populi Romani aduersus eos, qui aliqua lege vectigalia deberent), su cui v. L. MAGANZANI, Pubblicani e debitori d’imposta. Ricerche sul titolo edittale ‘de publicanis’, Torino 2002, 65 ss.
[46] Ad esempio, Dionigi riferirebbe di un editto del console Servilio che, nel 495 a.C., in occasione della guerra contro i Volsci, avrebbe fatto divieto ai creditori, tra l’altro, di enekhyrazein, ossia di ‘prendere in forza di un previo accordo’ i beni costituiti in garanzia nel patrimonio dei soldati in guerra, mentre contro i disertori sarebbero state ammesse regolarmente «Wegführung in die Knechtschaft und Wegnahme der Pfänder» (cfr. J.J. BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 18, sulla base di Dion. Hal. 6.29.1 [Ταῦτ’ εἰπὼν ἐκέλευσε τὸν κήρυκα ἀνειπεῖν, ὅσοι ἂν Ῥωμαίων ἐπὶ τὸν κατ’ αὐτῶν πόλεμον ἐκστρατεύσωσι, τὰς τούτων οἰκίας μηδένα ἐξεῖναι μήτε πωλεῖν μήτ’ ἐνεχυράζειν μήτε γένος αὐτῶν ἀπάγειν πρὸς μηδὲν συμβόλαιον μήτε κωλύειν τὸν βουλόμενον τῆς στρατείας κοινωνεῖν]). E il lessicografo Festo (Fest., voce Nancitor [Lindsay 166]: nancitor in XII nactus erit, praenderit. Item in foedere Latino: ‘pecuniam quis nancitor, habeto’, et: ‘si quid pignoris nanciscitur, sibi habeto’) menzionerebbe, trattando del foedus Cassianum, ossia del trattato internazionale di pace concluso fra Romani e Latini nel 493 a.C., una clausola tesa a proteggere mutui e pegni «unter den Angehörigen bei der Völker» (cfr. J.J. BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 6): stando a una possibile lettura della voce, il creditore verrebbe protetto non solo nel possesso di qualsivoglia cosa costituita in pegno (quid pignoris), ma pure nell’apprensione – in teoria anche differibile nel tempo – prevista dal contratto; inoltre, al creditore verrebbe assicurato – anche dopo la ‘presa’ del pegno – il conseguimento non tanto della proprietà, come nella fiducia, quanto del possesso (optinere sine interpellatione): cfr. Ulp. 49 ad Sab. D. 45.1.38.9; Paul. 33 ad ed. D. 50.16.188 pr. Il passo festino, dato il contesto internazionale, pare ulteriormente supportare la tesi di recente formulata da L. PELLECCHI, Dimensione economica e azione della giurisprudenza: il caso delle garanzie reali, in RHD XCIV.4, 504 (anche se con riguardo solo al secolo di Plauto): «per la Roma dell’epoca, l’impressione è … quella di uno spaccato sociale effettivamente bipartito: quando il prestito era richiesto nel foro a un cittadino romano che di mestiere non facesse il fenerator, la garanzia personale dava la misura del capitale sociale su cui il debitore poteva contare; quando questo capitale mancava, la sola strada che restava era quella del prestito su pegno».
[47] Cfr., per tutti, A. RODEGHIERO, ‘Redemptus ab hostibus’, Berlin 2022, 97 ss., ntt. 252 ss. Contro la tesi del Verfallpfand ben illustrata da A. MANIGK, voce pignus, in RE, XX, Stuttgart - Weimar 1941, c. 1248 («das ursprüngliche pignus ist gemäß dieser Quellengrundlagen als Besitz und Besitzloses Pfand reines Verfallpfand»; «das Verfallpfand ist das Pfand der Naturalwirtschaft, das aber noch weiterhin in der Zeit der Geldwirtschaft angewendet wird»; cfr. U. VON LÜBTOW, Catos ‘leges venditioni et locationi dictae’, cit., 317 e, soprattutto, M. KASER, Studien zum römischen Pfandrecht, cit., 17, 12 ss., che riprende l’idea di un pegno destinato «im Wesen» a cadere in proprietà del creditore in caso di inadempimento), non è mancato chi ha ipotizzato esplicitamente un negativo Bewahrungspfand (con una implicita funzione di Pressionspfand), ossia un regime per cui il pegno primordiale sarebbe stato conservato, in assenza di lex commissoria e di pactum de vendendo, in attesa dell’adempimento finale: ed è proprio quest’ultimo che pare anche essere il pensiero di Bachofen, ancorché lo studioso, nell’illustrare le sue idee sul duplice piano del Wesen e dell’Entwicklung del römisches Pfandrecht, non si pronunci espressamente in questo senso (cfr. E. RABEL, Die Verfügungsbeschränkungen des Verpfänders, besonders in den Papyri, Leipzig 1909, 92, nt. 1; P. FREZZA, Le garanzie reali, Padova 1963, 82 s.; B. NOORDRAVEN, Pomp., D. 13,7,6 pr.: un caso di ‘pignus’, in BIDR LXXXIII, 1980, 249 ss.; A. WACKE, Max Kasers Lehren zum Ursprung und Wesen des römischen Pfandrechts, in ZSS CXV, 1998, 172 ss.). Funzione analoga (più che veramente satisfattoria: cfr., per tutti, B. NOORDRAVEN, Die Fiduzia im römischen Recht, Amsterdam 1999, 236 ss.) avrebbe avuto addirittura, per alcuni, anche la fiducia: pure qui vi sarebbe stata la creazione di una reine Sachhaftung, ossia di una responsabilità della e sulla res, poiché il bene sarebbe stato costituito in ostaggio, riscattabile mediante il pagamento di una somma di denaro, in ragione di un Ersatzpfand, più che di un Sicherungspfand (v. M. KASER, Studien zum römischen Pfandrecht, cit., 250; W. KUNKEL, Hypothesen zur Geschichte des römischen Pfandrechts, cit., 150 ss.; cfr. H. DERNBURG, Das Pfandrecht, cit., 19; A. PERNICE, ‘Labeo’. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhundert der Kaiserzeit, III, Halle 1892, 139, nt. 3; G. GROSSO, Sulla ‘fiducia’ a scopo di ‘manumissio’, in RISG IV, 1929, 251 ss., ora in ID., Scritti storici giuridici, II, Diritto privato. Persone, obbligazioni, successioni, Torino 2001, 188 ss.; A. SEGRÉ, Corso di diritto romano. Le garanzie personali e reali delle obbligazioni, I, Le garanzie reali, Torino 1933, 48 s.; A. BURDESE, ‘Lex commissoria’, cit., 9).
[48] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 139.
[49] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 226.
[50] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 226.
[51] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 139 s.:
«Von dem rechtlichen Gehalt sind aber die materiellen Befugnisse zu
unterscheiden … So giebt es also eine doppelte Persecution des Pfandes, die
rechtliche, durch die Pfandklagen, die materielle zum Zweck der
Selbstbefriedigung. Beide sind gleich wichtig, aber in verschiedenen Kreisen:
die Klage begründet das Recht und leitet die Theorie, die Selbstbefriedigung
dagegen ist für das Recht und die Theorie ohne Bedeutung und dennoch der von
dem Gläubiger allein beabsichtigte Nutzen der Pfandbestellung»; «Der
Pfandverkauf ist unstreitig das einfachste und vollkommenste Mittel der
Befriedigung, und eben desshalb bezeichnet seine Ausbildung einen entschiedenen
Fortschritt in der Entwicklung der Realcaution überhaupt. Aber es verflossen
lange Jahrhunderte, ehe die Besitzesverpfändung diese Höhe erstieg». Se la obligatio
rei implicava che la cosa costituita in garanzia stesse vincolata ‘in
sicurezza del rapporto’ e che il creditore avesse titolo a tenere la cosa sino
all’esatto e intero pagamento; l’actio in rem – quale passo successivo
dell’iter del processus storico – sanzionava il possesso della
cosa che il creditore aveva diritto o di conseguire per la prima volta o di
continuare. Ma l’esistenza della garanzia in nulla poteva vincere l’ostinazione
del debitore a non adempiere e in nulla poteva fungere da definitiva forma di
soluzione satisfattiva: il corroborare la posizione del creditore era, in
realtà, un mero depauperamento materiale, immediato o successivo, del debitore;
il diritto di vendere e soddisfarsi in via surrogatoria non era connaturato al
pegno come res obligata, così come non lo era il trapasso definitivo in
proprietà al creditore. Per Bachofen, quindi, nel correre dei secoli sarebbe
stata la prassi a dar vita ad espedienti (come il Fruchtgenuss) tesi a
rimediare a queste lacune civili, sempre in nome della Selbstbefriedigung,
prima della piena maturazione del pignus come ius in re, ossia
con la soddisfazione del creditore mediante il prezzo ricavato quale aspetto
più importante (Hauptsache) e contenuto essenziale del pegno (der
wesentliche Inhalt des Pfandes): cfr. ID.,
Das römische Pfandrecht, cit., 173. Sull’importanza della ‘prassi’ per
la definizione dei caratteri dell’istituto pignoratizio nel suo sviluppo, è
tornato più volte H.L.E. VERHAGEN,
Das Verfallpfand im frühklassischen römischen Recht. Dingliche Sicherheit im Archiv der Sulpizier, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis LXXIX,
2011, 1 ss.; ID., The
Evolution of ‘Pignus’ in Classical Roman Law. ‘Ius Honorarium’ and ‘Ius Novum’, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis LXXXI,
2013, 51 ss.; ID., Secured
Transactions in Classical Roman Law, in Roman Law and Economics, II,
Exchange, Ownership, and Disputes, edited by G. Dari-Mattiacci and D.P.
Kehoe, Oxford 2020, 113 ss.
[52] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 209: «Die
Verbindung der Verkaufsbefugniss mit der Pfandklage führte zu der Auffassung
des pignus als ius in re. Der Begriff des ius in re läßt
sich durch die Klage allein nicht rechtfertigen; er umfaßt mehr als sie. Ja
beide Begriffe bilden in der Regel einen bestimmten Gegensatz. So wird in der
Person des Usufructuars das Recht selbst von der Vindication desselben bestimmt
unterschieden. Die Klage dient ein zig und allein als Mittel der gerichtlichen
Geltendmachung des Rechts; das Recht hat seinen besondern Inhalt und ist von
dem Bestehen der Klage völlig unabhängig. Dasselbe gilt von den übrigen
Servituten, ebenso von dem Eigenthum. Dem Pfandrecht dagegen fehlte ein ähnlicher
Gegensatz. Der Pfandgläubiger hatte die Klage allein und verlor mit ihr alles.
Für ihn konnte daher nur von einer actio, nicht auch von einem ius in
re die Rede sein. Nun aber verband sich mit der Klage das Verkaufsrecht, ja
dieses wurde bald ihr nothwendiger, unzertrennbarer Begleiter. Jetzt hatte auch
der Pfandgläubiger mehr als eine bloße Klage, er hatte daneben noch einen
besondern Anspruch an die Sache, nicht anders als der Usufructuar und andere
Servitutberechtigte. Ja die Ähnlichkeit mit ihnen setzte sich in dem
Verhältniss von Klage und Recht fort. Die actio hypothecaria diente dem
Pfandgläubiger zur gerichtlichen Geltendmachung seiner Verkaufsbefugniss, wie
die confessoria dem Niessbrauchberechtigten zur Verfolgung des ususfructus.
Kein Wunder, daß man nun auch der Pfandklage ein ius in re an die Seite
setzte».
[53] J.J.
BACHOFEN, Das römische Pfandrecht, cit., 139.
[54] Il Römisches Pfandrecht nasceva come un libro singolare, perché né legato agli scopi dommatici e sistematici della pandettistica, né in toto aderente allo spirito savignyiano, né formalmente impiantato nella corrente puramente storicistica (sul punto, per una ripresa dell’interpretazione schmittiana sui rapporti tra Savigny e Bachofen, cfr. L. GAROFALO, Giurisprudenza romana e diritto privato europeo, Padova 2008, 83 ss.; ma v., altresì, C. PELLOSO, ‘Ius’, νόμος, ‘ma’at’. ‘Inattualità’ e ‘alterità’ delle esperienze giuridiche antiche, in Lexis XXX, 2012, 36, nt. 66). Se, da un lato, c’era chi lo bollava più come un lavoro di pura filologia che come un vero trattato di diritto (B. WINDSCHEID, Lehrbuch der Pandektenrecht, I.1, cit., § 224, nt. 1), mentre i più lo ignoravano, dall’altro, c’era chi lo apprezzava per «Lebendigkeit und Frische», per «Originalität und Kühnheit» (F.L. KELLER, Recenzion, in Neue Kritische Jahrbücher für Deutsche Rechtswissenschaft XXII, 1847, 1022): ossia per la vitalità della prosa e del pensiero, nonché per la fresca originalità dell’approccio e per la audacia di contenuti e soluzioni. Certo è che l’imponente studio sul pegno si rivela opera che, sotto numerosi profili, è confezionata – e non involontariamente o per caso – come prodotto fuori dal mainstream della dominante cultura giuridica dell’epoca: se Das Mutterrecht piombava nel 1861 «come un mattone scagliato da un bambino o da uno stolido nel bel mezzo di un consesso di dotti» (F. JESI, I recessi infiniti del «Mutterrecht», in J.J. BACHOFEN, Il matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, a cura di G. Schiavoni, I, Torino 1988, XV), Das römische Pfandrecht nel 1847 produceva solo il rumore di una grossa pietra cava gettata nell’acqua di uno stagno: un rumore che, comunque, pur attutito e compresso, riusciva a turbare l’anatra di Goethe senza però giungere forte e chiaro alle orecchie sorde della scienza giuridica dell’epoca e del secolo successivo.
[55] Il 1847, anno di pubblicazione della monografia sul diritto pignoratizio, si colloca nella parte finale di una fase di auto-formazione che precede il “colpo di fulmine” per quella storiografia miso- o a-filologica (B. CROCE, Il Bachofen e la storiografia ‘afilologica’, in La Critica XXVI, 1928, 418 s.) che emblematicamente viene reificata nella triade Gräbersymbolik, Mutterrecht e Sage der Tanaquil, rispettivamente del 1859, del 1861 e del 1870. Pagine dense ed eleganti sono state scritte da Walter Benjamin sulla biografia, sulla bibliografia e – ovviamente – sul pensiero di Bachofen: cfr. W. BENJAMIN, Johann Jakob Bachofen, in Opere complete, VI, Scritti 1934-1937, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, ed. it. a cura di E. Ganni con la collaborazione di H. Riediger, Torino 2004, 223 ss. (su cui, recentemente, v. L. GAROFALO, Intrecci schmittiani, Bologna 2020).
[56] Basti pensare, oltre al pegno commerciale non possessorio, ancora una volta con reviviscenza ed espansione di quell’altro grande caposaldo dello Pfandrecht di Bachofen per cui, a considerare la materielle Seite des Instituts e das praktische Leben, all’ampliamento dei dispositivi di autotutela esecutiva che consentono, tra l’altro, al creditore di entrare in proprietà del bene concesso dal debitore in garanzia, nonché di ‘gestire negozialmente’ la crisi del rapporto (cfr. E. BATTELLI, Il pegno sui beni immateriali, cit., 74 ss., 385 ss., 429 ss.).
[57] E. GABRIELLI, «Forma», cit., 457.
[58] L. VACCA, Metodo, cit., 29 ss.