Iudex controversiae possessionis: a proposito di D. 41.2.35
(Ulpianus libro quinto de omnibus tribunalibus)
Università di Catania
Abstract
The author examines D. 41.2.35, a text from the fifth of Ulpian’s libri de omnibus tribunalibus, in which, in specific reference to the controversiae possessionis, a ‘iudex’ is generically mentioned, which is identified in the praetor urbanus.
Tra i quattro testi provenienti dal quinto dei libri de omnibus tribunalibus di Ulpiano, D. 42.2.6, 2.15.8, 34.1.1 e 41.2.35, quest’ultimo, che viene collocato dal Lenel, dubitativamente[1], sotto la rubrica «De possessione ordinanda», riveste un particolare interesse dal punto di vista processuale:
D. 41.2.35 (Ulpianus libro quinto de omnibus tribunalibus): Exitus controversiae possessionis hic est tantum, ut prius pronuntiet iudex, uter possideat: ita enim fiet, ut is, qui victus est de possessione, petitoris partibus fungatur et tunc de dominio quaeratur.
Ulpiano chiarisce che l’esito della controversia possessoria è soltanto questo (Exitus … tantum): che prima il «iudex» pronunzi chi dei due possegga (ut … possideat). Accade infatti così che chi è rimasto soccombente riguardo al possesso (ita … possessione) «petitoris partibus fungatur et tunc de dominio quaeratur».
Il Biondi[2] ha ritenuto l’avverbio “prius” una manifesta intrusione: infatti, il giurista «non poteva scrivere che l’esito della controversia possessoria consista solo nel fatto che il giudice debba prima decidere chi delle due parti possieda, giacché è chiaro che dopo tale decisione la controversia possessoria è esaurita, e cessa il compito del giudice. Il prius invece si riconnette al principio per cui la causa proprietatis va trattata dallo stesso giudice, successivamente alla causa possessionis».
E, sulla sua scia, il Kipp[3] non ha escluso che il testo possa essere stato rimaneggiato dai commissari giustinianei, i quali avrebbero aggiunto la frase finale «et tunc de dominio quaeratur».
Conclusione, questa, che è stata precisata dal Nicosia[4], il quale, dopo avere premesso che questi ultimi tendevano in generale a non tenere più separato il giudizio petitorio da quello possessorio così nettamente come nell’epoca classica, ha concluso che molto probabilmente i giuristi classici non ammettevano neanche che delle due questioni decidesse lo stesso giudice, anche se dal testo traspare comunque indiscutibilmente il rigore con il quale essi tenevano separata la causa possessionis dalla causa proprietatis.
Più recentemente, il Falcone[5], ribadita questa distinzione[6] tra la sfera possessoria e la sfera petitoria[7], ha poi affermato che, pur essendo incontestabile che l’attenzione di Ulpiano fosse tutta incentrata sulla distribuzione dei ‘ruoli’[8] processuali del possessor e del petitor[9], e ciò a tal punto che può immaginarsi che il giurista avrebbe costantemente ricondotto il fondamento dell’intervento del pretore in campo possessorio al conseguimento del commodum possessionis ed all’instaurazione di un giudizio petitorio, è tuttavia verosimile ritenere che, in favore di questa prospettiva, non può essere addotto il testo in esame, dal momento che qui lo stesso Ulpiano potrebbe avere preso direttamente in considerazione l’impiego preparatorio anziché, in generale, la controversia possessoria qua talis.
L’acclarato intervento compilatorio sul testo in esame consente allora di risolvere il problema che più ci interessa da vicino, che è costituito dall’individuazione del “iudex” menzionato da Ulpiano, termine, questo, che può essere inteso nel senso che il giurista si riferisse al giudice privato dell’ordo od a quello della cognitio extra ordinem oppure ancora ad entrambi.
La seconda soluzione è stata sostenuta con forza dal Pernice[10] e la terza propugnata dal Falcone[11], il quale ha ritenuto che, al pari di D. 5.1.62 [12] dello stesso Ulpiano, anche il testo in esame potrebbe essere stato programmaticamente spogliato dai commissari giustinianei di ogni riferimento al ristretto ambito originario e da costoro riferito a tutti i iudicia indiscriminatamente.
Tuttavia, quest’ultima opinione, se in relazione a D. 5.1.62 appare in effetti confermata dall’argomento di ordine sistematico che questo brano venne inserito dai compilatori sotto il titolo 5.1 «De iudiciis et ubi quisque agere vel conveniri debeat», non può invece essere condivisa in riferimento a D. 41.2.35, giacché – anche a non volere tenere presente il diverso contesto rappresentato dalla trattazione su acquisto e perdita del possesso (titolo 41.2: «De adquirenda vel amittenda possessione») – Gaio[13] ci informa che tanto l’interdetto Uti possidetis quanto l’Utrubi, oltre ad assolvere alla funzione della tutela del possesso in quanto tale, servivano anche, nell’ambito della procedura formulare, a stabilire, in vista di una controversia sulla proprietà di una cosa, chi ne era possessore e, quindi, era destinato ad assumere il ruolo del convenuto e chi, invece, non lo era e, perciò, doveva assumere il ben più oneroso ruolo di attore, cioè petitor, nella rei vindicatio[14]. Infatti, «essendo ciò indispensabile nel regime formulare (a differenza di quanto avveniva un tempo nella legis actio sacramento in rem, dove entrambi i contendenti stavano sullo stesso piano) ai fini dell’instaurazione della lite petitoria, nei casi (frequenti nella pratica di tutti i tempi) in cui non era del tutto pacifico o incontestabilmente evidente chi tra i due contendenti fosse in possesso della cosa (immobile o mobile) controversa, occorreva preventivamente far ricorso all’uno od all’altro interdetto»[15].
Pertanto, poiché era proprio questo il contesto originario di D. 41.2.35, poi stravolto dai commissari giustinianei, mi sembra di potere concludere che Ulpiano menzionasse, al posto dell’onnicomprensivo “iudex” sostituito dai compilatori allo scopo di estendere il principio classico anche alla cognitio extra ordinem, il praetor urbanus e, quindi, che il giurista facesse riferimento alla sfera dell’ordo e non a quella cognitoria.
E, invero, «the use a possessory interdict to force the other party to bring a vindicatio»[16] non trovava applicazione nei giudizi extra ordinem, nei quali il giudice, avendo ben altri strumenti a disposizione, non aveva alcun bisogno di ricorrere agli interdetti possessori per attribuire alle parti di una causa proprietatis il ruolo di attore e di convenuto.
[1] ‘Palingenesia iuris civilis’, II, Lipsiae 1889, 999: «De possessione ordinanda?».
[2] La compensazione nel diritto romano, in Annali del Seminario Giuridico della Università di Palermo 12, 1929, 217.
[3] Das römische Recht, Berlin 1930, 240.
[4] ‘Exceptio utilis’, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 75, 1958, 298 nt. 128.
[5] Ricerche sull’origine dell’interdetto ‘uti possidetis’, Palermo 1996, 49 s. e nt. 129 e 264 nt. 421.
[6] Sulla quale v. anche, brevemente, J. GETZLER, A History of Water Rights at Common Law, Oxford 2004, 51 e nt. 19.
[7] Cfr. M. HIRSCHPRUNG, Ownership is nine-tenths of possession: how disparate concepts of ownership influence possession doctrines, in Vermont Law Review 41, 2016, 153 e nt. 68, secondo cui il passo in esame attesterebbe che il possesso dava luogo ad una presunzione di proprietà.
[8] Sul termine “partibus” nel senso di ‘Rolle’ v. anche G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 66, 1948, 342 e 345.
[9] Sul punto v. anche J.W. PLANCK, Die Mehrheit der Rechtsstreitigkeiten im Prozessrecht. Entwicklung der prozessualischen Erscheinungen, die durch den Einfluss mehrerer Rechtsstreitigkeiten auf einander hervorgerufen werden, Göttingen 1844, 40 s.; R.W. SHAFFERN, Law and Justice from Antiquity to Enlightenment, Lanham 2009, 77 e 98 e nt. 150; E. DESCHEEMAEKER, The Consequences of Possession, in The Consequences of Possession, edited by E. Descheemaeker, Edinburgh 2014, 18 e nt. 63; C. ANDERSON, Possession of Corporeal Moveables, Edinburgh 2015, 2 e nt. 3. E, in un ottica comparatistica, A.D. RUDOKVAS, Del possesso per usucapione continuato, aperto e in buona fede, in Diritto @ Storia 4, 2005, 16 e 22 nt. 86 (https://www.dirittoestoria.it/4/Contributi/Rudokvas-Possesso-per-usucapione-legislazione-russa.htm ) e D. KLEYN, The protection of quasi-possession in South African law, in Studia Universitatis Babeş-Bolyai Iurisprudentia 58.4, 2013, 3 e 13 e nt. 25.
[10] ‘Parerga’. V. Das ‘Tribunal’ und Ulpians Bücher ‘de omnibus tribunalibus’, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 14, 1893, 167 s.: «Dass fr. 35 de adq. poss. 41, 2 den amtsrechtlichen Process voraussetzt, ist keine neue Entdeckung. Wir wissen, dass im Amtsverfahren Possessorium und Petitorium in eins gezogen werden konnten: des Besitzstreit erscheint dann als Vorfrage für die Hauptsache und beide werden vor demselben Richter erledigt. Die Entscheidung über den Besitz wird damit zum Zwischenurtheile: so nennt sie Ulpian wie der Kaiser Sever eine pronuntiatio und das Petitorium heisst causa principalis. Darum ist eine Berufung vom Bescheide in der Besitzsache unzülassig. Natürlich ist die Regelung des Besitzes für die Stellung der Parteien im Eigenthumsstreite massgebend. Hier hat das nur Bedeutung für die Beweislast. Denn über die formalen Erfordernisse der Klagen und Einreden wird im Amtsverfahren hinweggesehen. Müssig scheint es zu untersuchen, auf welche Fälle des Petitoriums Ulpians Aeusserung sich beziehe. Sie ist gewis mit zu den allgemeinen Anweisungen über das Verfahren, also unmittelbar hinter der Erörterung über das gerichtliche Geständnis einzufügen. Sie bildet ganz passend den Abschluss dieser Besprechungen; mit dem Alimentenvermächtnisse wendet sich Ulpian den einzelnen Fällen zu».
[11] Ricerche sull’origine dell’interdetto ‘uti possidetis’, cit., 117 s. e nt. 340.
[12] (Ulpianus libro trigensimo nono ad edictum): Inter litigantes non aliter lis expediri potest, quam si alter petitor, alter possessor sit: esse enim debet qui onera petitoris sustineat et qui commodo possessoris fungatur.
[13] Inst. 4.148: Retinendae possessionis causa solet interdictum reddi, cum ab utraque parte de proprietate alicuius rei controversia est, et ante quaeritur, uter ex litigatoribus possidere et uter petere debeat; cuius rei gratia comparata sunt uti possidetis et utrubi.
[14] Cfr. H.F. JOLOWICZ – B. NICHOLAS, Historical introduction to the study of Roman law, 3a ed., Cambridge 1972, 262 e nt. 7.
[15] G. NICOSIA, Profili istituzionali di diritto privato romano, Catania 2017, 233.
[16] D. PUGSLEY, ‘Damni jniuria’, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis 36, 1968, 382 nt. 47. Ma v. pure P.J. DU PLESSIS, Borkowski’s textbook on Roman law, 6a ed., Oxford 2020, 178.