Divieto di mandato imperativo nella Costituzione italiana:
linee di lettura romanistica
Università di Sassari
Sommario: Premessa. Centralità storica e dogmatica del mandatum. – 1. Problemi della organizzazione collettiva unitaria e loro opposte soluzioni. – 2. Soluzione partecipativa e concreta-comunitaria. – 3. Soluzione sostitutiva e astratta-statalistica. – Conclusioni. Alla democrazia attraverso la sussidiarietà correttamente interpretata.
La Costituzione italiana, all’art. 67, prevede che: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Tale previsione è stata oggetto di vari tentativi di riforma[1], la cui ragione comune è la osservazione critica della irrilevanza della volontà dei Cittadini elettori in ordine al ‘loro’ governo (lato sensu)[2] e, quindi, il tentativo di renderla invece rilevante.
Per capire la questione del vincolo di mandato occorre svolgere due riflessioni: una di carattere generale ed una di carattere specifico. La riflessione di carattere generale, verte sulla assoluta centralità storica e dogmatica del “mandatum” per ogni “sistema del diritto” a iniziare dal diritto pubblico[3]. La riflessione di carattere specifico verte sulla insufficienza della interpretazione costituzionale attuale di tale questione, come relazione dei Parlamentari con i “Partiti”[4], e sulle potenzialità di una sua altra interpretazione costituzionale attuale, come relazione dei Parlamentari con le Autonomie territoriali. È, infatti, indicato come esempio di “mandato imperativo” la seconda camera tedesca, il ‘Bundesrat’, nel quale (a differenze del ‘Bundestag’, ove ne vige il divieto) i rappresentanti sono delegati dai ‘Länder’ e possono esserne revocati in qualsiasi momento[5].
In questo scritto ci concentriamo sulla riflessione di carattere generale, la quale consiste in una ‘lettura’ storico-giuridica del mandato “imperativo” come sostanziale continuazione dell’antico mandatum romano[6].
I problemi fondamentali della organizzazione collettiva sono: il regime della volizione e la concezione della natura, entrambe unitarie, delle collettività umane a iniziare dal Popolo. Per collettività-unità si intende la collettività la cui esistenza è rilevante non soltanto al proprio interno, ma anche all’esterno. La collettività-unità vuole e può entrare, unitariamente intesa, in relazione giuridicamente rilevante sia con altre collettività-unità sia con singoli uomini.
Esempio antico di trattazione del regime della volizione è il problema posto da Erodoto nelle Istoríai (3.79-84, sec. V a.C.) con il “lógos tripolitikós”: la titolarità e l’esercizio del potere di decidere per la intera collettività devono essere di uno, di pochi oppure di tutti?
Esempio antico di trattazione della concezione della natura è la interpretazione della Repubblica e del Popolo data da Cicerone nel De republica (1.39, sec. I a.C.): perché si abbia una “Repubblica” ovverosia una “cosa del Popolo” il Popolo deve essere una “società”[7].
La grande storia istituzionale (antica, medievale, moderna e contemporanea) del ‘mondo a baricentro mediterraneo’ ha prodotto, di ciascuno dei due problemi, due soluzioni opposte: la soluzione democratica antica e la soluzione anti-democratica/elitaria medievale-moderna e contemporanea, alla quale ultima appartiene anche l’art. 67 della Costituzione italiana[8].
La soluzione democratica è prodotta in epoca antica e consolidata nel diritto romano. Essa consiste nel regime partecipativo e nella concezione concreta delle collettività-unità a iniziare dal Popolo. Per “regime partecipativo” si intende che i membri della collettività-unità hanno la titolarità e l’esercizio del potere/dovere della individuazione e del perseguimento della communio utilitatis, utilitas publica ovverosia – come si dirà in epoca medievale – del bonum commune, attraverso cui si può giungere anche alla utilità/bene individuale.
Tale regime postula la concezione concreta delle collettività-unità e le rende Comunità.
Il regime partecipativo si manifesta grazie all’istituto del mandatum, con il quale il mandatario si obbliga con il mandante a compiere la volontà espressa da quest’ultimo.
La concezione concreta si manifesta con il sistema (che oggi potremmo chiamare “autonomistico”)[9] multilivellare, ascendente e centripeto, il cui primo livello sono i Municipi (con i comitia, cioè le assemblee deliberanti dei rispettivi cittadini), il secondo sono le Province (con i concilia, cioè le assemblee deliberanti dei delegati dei rispettivi Municipi)[10] e il terzo livello è la Repubblica imperiale, tendenzialmente universale (Constitutio Antoniniana de civitate danda, 212 d.C.).
Grande esponente moderno ne è il giurista tedesco Johannes Althusius, massimo teorico del sistema federativo[11], ripreso e rilanciato da Jean-Jacques Rousseau, massimo teorico contemporaneo della democrazia[12].
Con questi regime e concezione i Governanti sono i servitori delle rispettive collettività-unità-Comunità (Max Weber).
La soluzione anti-democratica/elitaria si forma in epoca medievale-moderna, prima nella normativa e quindi nella scienza giuridica anglosassoni e si consolida ancora in epoca contemporanea nella dottrina e nella scienza giuridiche sia ancora anglosassoni (di fine Settecento) sia quindi tedesche (nel corso dell’Ottocento).
Il suo punto di partenza può essere individuato nl famoso ‘Writ’ con cui Edoardo I convoca nel 1295 il Parlamento inglese (poi conosciuto come “Model Parliament”) e in cui si attribuisce ai delegati dei Comuni “full and sufficient power” per decidere indipendentemente dalla delega ricevuta[13]. A partire dal ‘Model Parliament’, i delegati mandatari tecnicamente “sostituiscono” i membri delle rispettive Collettività-unità mandanti. nella titolarità e nell’esercizio del potere/dovere e diritto di esprimerne la volontà. Tale nuovo regime sostitutivo della volizione della collettività-unità è giustificata con la concezione astratta della collettività-unità, con ciò escludendo la idea stessa di “Comunità”. Viene, inoltre, meno la nozione di “bene comune”, in luogo del quale troviamo la ricchezza economica complessiva (la “ricchezza delle nazioni”, che oggi chiamiamo “PIL”)[14] che gli appartenenti alla collettività perseguono non in collaborazione ma in conflitto tra loro nel perseguimento della ricchezza individuale e che è, infine, ottenuta in virtù di una sorta di Provvidenza mercantile: la “mano invisibile del mercato” (Adam Smith).
Il regime “sostitutivo” è espresso con l’istituto della “rappresentanza” della volontà (ovvero, con il lessico della scienza giuridica tedesca dell’Ottocento, “Stellvertretung”, “Vertretung” cioè “entrare in luogo di”, “subentrare”)[15] ottenuta, semplificando, rendendo “libero” il mandato, così da non fare contrarre al mandatario (= “rappresentante”) obbligazione alcuna con il mandante (= “rappresentato”)[16].
La concezione astratta è espressa con la categoria di persona giuridica (ovvero, con il lessico della scienza giuridica tedesca dell’Ottocento: “juristische Person”); a iniziare dalla persona giuridica per eccellenza e per antonomasia, che è lo Stato.
Grande esponente moderno ne è il giurista inglese Thomas Hobbes, proto- e massimo teorico della persona giuridica Stato (Leviathan)[17] in luogo del Popolo, e prima grande traduzione normativa contemporanea ne è il “federalism”, “unionista/decentralista” USA, sostenuto da Madison, Jay ed Hamilton (1787-1788), sancito dalla convenzione di Filadelfia (1787) e importato scientificamente in Europa da Alexis de Tocqueville (1835-1840)[18].
Con questi regime e concezione i Governanti sono i capi delle rispettive collettività-unità-persone giuridiche (Max Weber).
La soluzione anti-democratica è stata imposta dalla scienza romanistica dell’Ottocento, la Pandettistica, come soluzione storicamente e dogmaticamente unica: ovverosia senza alternative né storiche né logiche. Essa è stata recepita in maniera pedissequa dalla normativa (a iniziare dal BGB) e dalla scienza giuridica[19] del Novecento (se ne veda in particolare la sintesi fattane da Riccardo Orestano) e ancora oggi è assolutamente dominante.
La soluzione democratica, programmaticamente “dimenticata” nell’Ottocento, è inconsapevolmente “dimenticata” nel Novecento e ancora oggi.
Tuttavia, la sua fondamentale esigenza[20] ne fa sopravvivere una forte domanda, la quale ha, però, difficoltà a mettersi a fuoco[21].
Esempio significativo ne è la grande fortuna e, insieme, la grande ambiguità del “principio di sussidiarietà”. Questo “principio” (formulato nell’àmbito della dottrina sociale della Chiesa cattolica dal Vescovo e uomo politico tedesco del secolo XIX, Emmanuel von Ketteler)[22] è stato assunto a principio, nel 1992, della organizzazione della Unione Europea (Trattato di Maastricht) e, nel 2001, della riforma del Titolo V della Costituzione italiana[23]. Questo “principio” (per la influenza della dominante ‘soluzione anti-democratica anglosassone’) è correntemente interpretato in chiave “decentralista” con lo spregiativo brocardo “de minimis non curat preaetor”. Questo “principio” è stato, però, interpretato anche come la applicazione politica della ‘perichóresis’ cioè (niente-di-meno-che) del principio di immanenza reciproca delle Tre persone divine; principio quindi applicato dal Concilio Vaticano II al rapporto tra Chiese locali e Chiesa universale e che postula un processo ascendente e centripeto di formazione della volontà unitaria collettiva[24].
A questa altra e, a nostro avviso, corretta interpretazione del “principio di sussidiarietà” si può guardare romanisticamente con interesse e favore.
[1] Da ultimo, L. Leo, Il divieto di mandato imperativo tra dettato e attualità, in Amministrazione In Cammino, 12 gennaio 2023, nt. 47 ricorda «a titolo esemplificativo» i progetti di legge costituzionale come la “Modifica dell’art. 67 della Costituzione, in materia di divieto di mandato imperativo”; le “Modifiche agli articoli 63 e 67 della Costituzione Italiana in materia di vincolo di mandato nella rappresentanza politica”, le “Modifiche agli articoli 60 e 67 della Costituzione”, la “Modifica dell’articolo 67 della Costituzione in materia di vincolo di mandato elettorale”, la “Modifica all’articolo 67 della Costituzione, concernente il vincolo di mandato dei parlamentari”.
[2] Ovverosia alla complessiva formazione della volontà unitaria del “Popolo”.
[3] Per lo stato della dottrina (in maniera però non “critica”) N. Zanon, Il libero mandato parlamentare. Saggio critico sull’articolo 67 della costituzione, Milano 1991.
[4] Cfr. artt. 18 e 49 Cost. In dottrina A. Cianci, La garanzia del libero mandato parlamentare tra disciplina di gruppo e trasformazioni dei partiti, in Dirittifondamentali.it 1, 2021 (https://dirittifondamentali.it/2021/01/07/7947/).
[5] Così, ad es., intervistato da D. Monte d’Arpizio, S. Gerotto, Vincolo di mandato: tra Costituzione e principi di democrazia, in Il BoLive. Università di Bologna, 4 ottobre 2019. Gerotto, però, torna comunque alla interpretazione corrente per ribadire la insindacabilità dell’art. 67 quale presidio “democratico” (!): «Siamo però sicuri che il mandato imperativo risolva problema, e soprattutto che la stabilità sia da perseguire anche a scapito dei principi fondamentali del nostro assetto democratico? Ancora: perché chiedere alla Costituzione di fare in via obbligatoria quello in cui i partiti non riescono, cioè fidelizzare i propri membri? Anche perché potrebbe essere che il transfuga sia più coerente del suo stesso partito, che magari ha cambiato linea politica. Certo è un po’ schizofrenico da una parte chiedere di potenziare la democrazia diretta e dall’altra prevedere istituti che danno più potere ai partiti. Si rischia il passaggio dall’‘uno vale uno’ all’‘uno vale zero’». Gerotto ricorda anche come argomento della “democraticità” del divieto di mandato imperativo il fatto che «la Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa, la ha sempre posta come uno dei requisiti per verificare il passaggio alla democrazia dei Paesi che chiedono l’ingresso nell’Ue. Insomma il quadro è tale che c’è da chiedersi se il mandato imperativo sia compatibile con le istituzioni democratiche» (!).
Cfr. B. Guastaferro, Rappresentanza politica e mandato imperativo: riflessioni sull’elemento territoriale, in Osservatorio AIC 1, 2020, 171, a proposito del tentativo di riforma del Senato in Senato delle Autonomie; riforma che avrebbe dovuto «consentire effettivamente alla delegazione regionale di rappresentare una parte (dunque la Regione) e non necessariamente l’intero (e dunque la Nazione)» (!).
[6] Cfr. Pandette di Pothier o di Windscheid. Code Napoléon o BGB. Quale Diritto romano?, a cura di G.C. Seazzu, Sassari 2022.
[7] La societas romana è intrinsecamente “acefala”, nel senso che non ha e non ammette capi. Il potere è nei soci ed è espresso unitariamente dalla loro assemblea, vedi G. Lobrano, Società. Parte giuridica. Concetti e principi, in Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica, vol. XI., Napoli 2017, § II. “Società-Societas: regime partecipativo complesso e concezione semplice”, 1. “Costituzione mediante contratto a “comunione di scopo” (e assenza del ‘capo’)”; cfr. P.P. Onida, Fraternitas e societas: i termini di un connubio, in Diritto@Storia 6, 2007.
[8] La teoria dell’élite o “elitismo” fa capo a tre sociologi ottocenteschi, G. Mosca, V. Pareto e R. Michels e secondo tale teoria: «in ogni società la possibilità di prendere decisioni importanti sul destino comune è concentrata nelle mani di una ristretta minoranza, organizzata in vista di uno scopo» (M. Bovero, a cura di, La teoria dell’élite, Torino 1975, 9 [https://www.psicopolis.com/senato/elites.pdf]).
[9] Ricordando, però, che il significato odierno di “autonomia” è non quello partecipativo della “federazione” ancora proposta da Althusius ma quello esclusivamente decentralista del “federalismo” che sarà realizzato nel 1787-89 con la Costituzione USA e propagato da Tocqueville.
[10] O “civitates”: G. Lobrano, Per ri-pensare giuridicamente le «città» e, quindi, l’«impero»: I «concili provinciali», in Ius Romanum 2, 2017, 15 ss. (https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=695739).
[11] Politica methodice digesta, 1603.
Vedi la voce Althusius Johannes in Enciclopedia Treccani: «Concezione contrattualistica e “federativa” dello stato che si congiunge alla dottrina della inalienabilità della sovranità di cui il popolo è titolare: in questa prospettiva […] il re o i magistrati che sono preposti all’esercizio della sovranità sono sempre famuli et ministri del popolo, e quindi la sovranità a essi delegata può essere revocata in caso di infrazione del contratto» (https://www.treccani.it/enciclopedia/johannes-althusius/).
[12] Du contrat social, 1762 (3.15: «Tout bien examiné, je ne vois pas quʼil soit désormais possible au Souverain de conserver parmi nous l’exercice de ses droits si la cité n’est très-petite. Mais si elle est très-petite elle sera subjuguée? Non. Je ferai voir ci-après* [*C’est ce que je mʼétois proposé de faire dans la suite de cet ouvrage, lorsqu’en traitant des relations externes j’en serois venu aux confédérations. Matière toute neuve & où les principes sont encore à établir.] comment on peut réunir la puissance extérieure d’un grand peuple avec la police aisée & le bon ordre d’un petit Etat.) ma anche Projet de Constitution pour la Corse, 1768 («Les pièves et juridictions particulières qu’ils ont formées ou conservées pour faciliter les recouvrements des impôts et l’exécution des ordres sont le seul moyen possible d’établir la démocratie dans tout un peuple qui ne peut s’assembler à la fois dans un même lieu»).
Da non confondere con il “Rousseau” della omonima “Piattaforma” e del connesso “Blog”.
[13] W.H. Stubbs, Select Charters and the Illustrations of English Constitutional History, Oxford 1870; F.W. Maitland, The Forms of Action at Common Law, Cambridge 1962, cui sembra doversi la diffusa formula “model Parliament” per indicare il Parlamento inglese del 1295 (cfr. H. Fisher, Frederick William Maitland, Cambridge 1910).
Vedi J. Maddicott, The Origins of the English Parliament, 924-1327, New York 2010, cap. 6 “Parliament und Nation. 1272-1327”, § 1 “Edward I: Consensus, 1272-1294”.
[14] F. Spini, Stiglitz: «Ecco perché il Pil ha fallito», in La Stampa, 29 settembre 2021: «“il PIL, l’indicatore che abbiamo sempre utilizzato per definire l’andamento delle economie, ha fallito […]. È il momento di concentrarsi sulle diseguaglianze e sul benessere”. […] Joseph Stiglitz è tra gli economisti più noti al mondo. Allievo di Franco Modigliani al Mio di Boston, professore prima a Yale, poi a Princeton e infine alla Columbia University, premio Nobel 2001 per il suo contributo alla teoria delle asimmetrie informative. Con i colleghi Jean-Paul Fitoussi e Martine Durand ha scritto “Misurare ciò che conta” (Einaudi, 18 euro), un saggio su come sia necessario superare il solo prodotto interno lordo come termometro economico e sociale».
Cfr. E. Molinari, L’intervista. Stiglitz: «Puntare sul Pil condiziona la società», in Avvenire, 5 febbraio 2015.
[15] Ricordiamo, in particolare, F. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, 8 voll., 1840-1848; P. Laband, Die Stellvertretung bei dem Abschluß von Rechtsgeschäften nach dem allgem. Deutsch. Handelsgesetzbuch, in Zeitschrift für das gesamte Handelsrecht vol. X, 1866; B. Windswcheid, Lehrbuch des Pandechtenrechts, 3 voll., 1867-1870.
[16] P. D’Amico, Rappresentanza, I. Diritto civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXIX, Roma 1991, § 1. “Nozione, struttura, funzione” «l’attuazione degli interessi del rappresentato costituisce […] un connotato frequente ma non necessario della rappresentanza, mentre l’accento viene posto sul “potere” del rappresentante svincolato dal rapporto di gestione. Il rappresentante, piuttosto che come collaboratore, viene così qualificato come un “sostituto” del rappresentato».
[17] Leviathan or The Matter, Form and Power of a Common Wealth Ecclesiastical and Civil, 1651.
[18] J. Madison, A. Hamilton e J. Jay, The Federalist, 2 voll. 1788; A. de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, 2 voll., 1835 e 1840. Se ne veda la lettura non convenzionale di M. Bassani, Gli avversari della Costituzione americana: “antifederalisti o federalisti autentici”, in Id. e A. Giordano, a cura di, Gli antifederalisti. I nemici della centralizzazione in America (1787-1788), Torino 2011, 9-63.
[19] Con eccezioni tanto più lodevoli quanto più eccezionali; vedi, esemplarmente, P. Catalano, Populus Romanus Quirites, Torino 1974.
[20] Su quest’ultima: R. Putnam, 1993, J. Stiglitz, 2012, T. Piketty, 2013, R. Rajan, 2019, in Sardegna A. Sassu, 2017 e G. Sabattini con V. Dettori, 2018 (in proposito G. Lobrano, Il ruolo strategico dei Consigli delle Autonomie locali, § I. “Economia e istituzioni: democrazia e sviluppo”, in Id. e M.R. Mezzanotte, Sistema delle Autonomie in Sardegna. La riforma necessaria, Cagliari 2020, 83 ss.)
[21] Si pensi alle ‘buone intenzioni’ del movimento “5 Stelle” quale avviato nei primi anni di questo secolo dal comico e attivista politico Beppe Grillo e dall’imprenditore del ‘web’ Gianroberto Casaleggio, e al loro “Blog Rousseau”.
[22] Il vescovo tedesco E. von Ketteler fu «probabilmente il primo a parlare di “diritto sussidiario”»: A. Colombo, S. Zaninelli, Stato e formazioni sociali nell’Italia contemporanea: storia di una competenza negata, in G. Vittadini, a cura di, Sussidiarietà. La riforma possibile, Milano 1998, 23. Cfr. M. Carrer, Il principio di sussidiarietà: dalle regole costituzionali all’azione di governo, Tesi Università degli studi di Bergamo, Facoltà di Giurisprudenza, Dottorato di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea, Ciclo XXII, Supervisore S. Troilo, 22-apr-2010, 16.
Ketteler «Fondò i Christlichsoziale Blätter, organizzò il Congresso cattolico di Düsseldorf e la Conferenza di Fulda con l’intento di richiamare l’episcopato sui gravi problemi sociali del momento; scrisse di politica e di economia (Die Arbeiterfrage und das Christentum, 1844; Liberalismus, Sozialismus und Christentum, 1871; Die Katholiken im deutschen Reich, 1873, ecc.). Deputato al parlamento tedesco, fu importante oppositore del Kulturkampf» (voce “Ketteler, Wilhelm Emmanuel barone von” nella Enciclopedia on line Treccani, s.d.).
[23] Sul ricorso al principio di sussidiarietà da parte della Unione Europea (Trattato di Maastricht, 1992, da cui la riforma italiana del Titolo V della Costituzione, 2001) vedi F.M. Giordano, Sussidiarietà, un principio del buon governo. Dalla cultura filosofico-religiosa al quadro giuridico dell’Unione europea, attraverso lo Stato nazionale e gli enti locali, = Jean Monnet Module. Religions for Europe, n. 1 eBook 2015-2016 (https://www.jeanmonnetchair-nofear4europe.unito.it/sites/www.jeanmonnetchair-nofear4europe.unito.it/files/Sussidiariet%C3%A0,%20un%20principio%20del%20buon%20governo_EBook_2015-2016.pdf).
[24] J. Barroche, Subsidiarité, in V. Bourdeau et R. Merrill, dir., DicoPo, Dictionnaire de théorie politique, 2007, § III.2: «cette interprétation est doublement contestable. 1°, la décentralisation suppose un centre qui, selon une logique descendante, consent à la délégation de certaines compétences à des échelons inférieurs (qui dépendent directement de lui). La hiérarchie prime alors, et n’est pas sans rappeler le vieil adage de minimis non curat praetor. 2°, la subsidiarité s’inscrit, elle, dans un autre paradigme – ascendant plus que descendant – qui trouve à s’éclairer à travers de la notion théologique de périchorèse, comprise comme immanence réciproque. Notion par laquelle la religion catholique souligne la présence des trois personnes divines l’une dans l’autre ou par laquelle il est rappelé, notamment depuis Vatican II, la présence de l’Église locale dans l’Église universelle et vice versa (principe de l’in quibus/ex quibus)».
Vedi, in questo senso, la Esortazione apostolica Evangelii gaudium del Santo Padre Francesco ai Vescovi, ai Presbiteri e ai Diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24 novembre 2013 (1° anno del Pontificato di Papa Bergoglio) Cap. primo, Trasformazione missionaria delle Chiesa, prg. II Pastorale in conversione - Un improbabile rinnovamento ecclesiale § 28 «La parrocchia […] continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» […] La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio»; § 30 «Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la guida del suo Vescovo […] in essa «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica»» § 32 «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato».
(Per gli scritti di Barroche: http://www.inalco.fr/enseignant-chercheur/julien-barroche).