Note sulle etimologie di Quirinus
Università della Campania
“Luigi Vanvitelli”
SOMMARIO: 1. Un’etimologia complessa. – 2. La pista sabina: Cures, Curis, Quirites. – 3. La traccia civica: Quirites, curiae. – 4. La leggenda di Quirinus sabino.
L’etimologia del teonimo Quirinus, la cui parentela con Quirites e Quirinalis pare indiscussa, è stata ampiamente materia di discussione e di indagine. Oggetto di controverse interpretazioni già da parte degli antichi[1], era inevitabile che tale problema attirasse anche l’attenzione degli studiosi moderni e contemporanei[2].
Nel secondo libro dei Fasti, Ovidio elenca tre possibili derivazioni, senza manifestare ordini di preferenza, e senza fornire – come di consueto, nello svolgimento del suo grande poema sul calendario romano – delucidazioni relative alle sue fonti.
Dopo avere ricordato che il 15 febbraio cade la festa dei Lupercalia[3], e che il giorno successivo è privo di festività (proxima lux vacua est)[4], il poeta afferma che il 17 sarebbe stato dedicato, con la festa dei Quirinalia, a Quirinus, il quale, prima di diventare un dio, era stato un semplice uomo, Romulus. Il teonimo, secondo il poeta, sarebbe derivato o dalla curis, la lancia di guerra usata dai sabini, o dal fatto che a chiamarlo così sarebbero stati i Quirites, oppure, ancora, dalla città sabina di Cures, che Romulus avrebbe congiunto, con il sinecismo, alla storia di Roma.
Fasti II.475-480:
Proxima lux vacua est; at tertia dicta Quirino,
qui tenet hoc nomen (Romulus ante fuit),
sive quod hasta ‘curis’ priscis est dicta Sabinis
(bellicus a telo venit in astra deus);
sive suum regi nomen posuere Quirites,
seu quia Romanis iunxerat ille Cures[5].
L’elenco di Ovidio appare simile a quello compilato da Plutarco, nella Vita di Romulus, sia pure con delle varianti (di non facile o univoca interpretazione).
Afferma lo storiografo greco, infatti, che il nome di Quirinus, attribuito a Romulus, avrebbe, secondo alcuni, lo stesso significato di Enyalos (qui da intendere come Mars), per altri deriverebbe da Quirites (πολίτας Κυρίτας), per altri, ancora, da quiris, “come gli antichi chiamavano la punta della lancia o la lancia stessa” o, infine, richiamerebbe la statua di Iuno Curitis o Quiritis[6] (Κυρίτιδος Ἥρας), in cui la dea sarebbe stata raffigurata armata di lancia. Romulus, infine, sarebbe stato chiamato Quirinus in quanto dio “armato di lancia” (αἰχμητὴν θεὸν)[7].
Anche Servio, nel suo commentario all’Eneide, stila un elenco di possibili derivazioni, secondo cui Romulus avrebbe desunto il nome di Quirinus o dalla curis, l’asta bellica sabina, o dal termine κοίρανος, re in greco (considerando che ormai i Greci erano confluiti pienamente nella koiné di Roma), o dalla nobiltà della stirpe.
Ad Aen. I.292: Romulus autem ideo Quirinus dictus est, vel quod hasta utebatur, quae Sabinorum lingua ‘curis’ dicitur, – hasta enim, id est curis, telum longum est, unde et ‘securis’, quasi semicuris - vel a κοίρανοϛ qui Graece rex dicitur – constat autem Graecos fuisse Romanos – vel propter generis nobilitatem.
Come si vede, tutte e tre le ricostruzioni fanno cenno alla lancia (“curis” o “quiris”), Plutarco e Ovidio fanno riferimento ai Quirites, Ovidio menziona la città di Cures, Plutarco l’antico dio guerriero Enyalos e Servio il termine κοίρανος, re.
Due di queste ipotesi (“curis” e “Cures”), le più accreditate dagli antichi, rimandano all’ipotesi dell’origine sabina del dio, mentre la terza, “Quirites” (che pure una tradizione lega alla città di Cures) pare, al contrario, suggerire lo stretto rapporto intessuto dal dio con la cittadinanza romana.
A questa tesi si lega poi la quarta ipotesi etimologica, l’unica non avallata esplicitamente dalle fonti, avanzata circa un secolo fa e divenuta, nel tempo, decisamente maggioritaria: quella secondo cui Quirinus (*Co-virinus) deriverebbe da cŏ-vĭr-iom (la comunità umana riunita), da cui discenderebbero tanto i Quirites (*Co-virites), quanto i distretti che essi avrebbero abitato, le curiae (*co-viriae).
Si è inoltre dibattuto se i termini “Quirinus”, “Quirinalis”, “Quirites”, ecc. non costituiscano una variazione dell’originale grafia “Curinus”, “Curinalis”, “Curites” ecc., che si manterrebbe intatta nell’epiclesi di Iuno Curitis[8]: questione ricca di implicazioni, giacché il fonema cu- è di origine sabina, mentre il -qui è di origine latina[9].
Paiono quindi delinearsi due strade opposte: la prima, avvalorata dagli antichi, ma dal carattere presumibilmente leggendario, che ricollega il dio al mondo sabino, la seconda, verosimilmente più attendibile, che lo riconnette alla funzione civica di tutore della cittadinanza nel suo complesso. Ripercorriamole brevemente.
Come scrive Brelich[10], la maggioranza delle fonti antiche «tendono a rilevare le presunte origini sabine del dio».
Per lo più, gli autori fanno riferimento all’etimologia curis (o quiris) ˃ Quirinus, nome dato dagli antichi sabini all’hasta bellica (richiamando quindi, tanto i Sabini, quanto il supposto carattere bellicoso di Quirinus). Tale collegamento appare in Festo[11], Dionigi[12], Servio[13] e Macrobio[14] oltre che, come si è visto, in Ovidio[15] e Plutarco[16]. Inoltre, come accennato, lo storico greco fa riferimento anche alla statua di Iuno Quiritis (o Curitis), divinità poliade di Faletri (quindi di origine etrusca) raffigurata (come, d’altronde, altre forme di Iuno) con hasta bellica[17].
Circa quest’etimologia, viene innanzitutto da dire che Quirinus (a differenza di Mars, che viene talvolta raffigurato con asta bellica[18], e nel cui Sacrarium nella Regia, com’è noto, erano riposte, insieme agli ancilia, le dodici hastae) non appare mai associato alla lancia.
Inoltre, come abbiamo visto, il nome di Quirinus (come quello di Quirites) si trova anche collegato alla città di Cures Sabini (detta anche Curis o Curi), antichissima città nella valle del Tevere, patria di Tito Tazio[19] e Numa Pompilio[20], che, secondo il mito che Dionigi avrebbe recepito da Varrone (chiaramente ricalcato sulla storia di Romulus), sarebbe stata fondata dal figlio di Quirinus, Modius Fabidius, il quale l’avrebbe nominata in tal modo da “curis”, lancia[21].
Valerio Flacco sostiene tale legame tra Cures e il dio «sans hésiter»[22]: “Curibus ascito Quirinus”[23].
Secondo una tradizione, poi, i Quirites dovrebbero il loro nome alla città di Cures: Varrone ritiene che esso rappresenti una corruzione di “Curenses” e designi la popolazione che, dopo il sinecismo romano-sabino, si sarebbe stanziata sul collis Quirinalis, dove si trovava il santuario di Quirinus[24],
Numerose fonti – come Livio[25], Plutarco[26], Servio[27] e lo pseudo Aurelio Vittore[28] – affermano che, una volta stipulata la pace e l’unione tra i due popoli, e tutto il potere fu trasferito a Roma (imperium omne conferunt Romam)[29], i romani accettarono di chiamarsi in tal modo da Cures.
Tali suggestioni paiono riaffiorare anche in ricostruzioni, del tutto prive di riscontri, dei moderni, come quella dello storico prussiano Barthold Georg Niebuhr, che, a inizio XIX sec., immaginò che sul Quirinalis fosse originariamente stanziata una comunità sabina, in un centro chiamato dai suoi abitanti, i Quirites, Quirium[30].
Pur senza appoggiare in toto l’ipotesi etnica, parte della dottrina ha inoltre posto un collegamento tra Quirites e curis, che ha condotto a vedere nei Quirites delle origini i cittadini-soldati, armati di lancia, che, in quanto tali, avrebbero avuto diritto a partecipare alle assemblee cittadine[31]. Interpretazione che, però, non ha persuaso molti studiosi, tra cui Dumézil[32], giacché alcuni noti passi di fonti letterarie[33], così come il riferimento allo ius Quiritium[34], paiono dare ai Quirites una sfumatura civile, giuridica[35] e politica, contrapposta al militare, che accomuna il termine a quello di cives. E la derivazione di Quirinus da curis-hasta è stata recisamente esclusa, in particolare, da Prosdocimi: «cur- non può diventare *quir-»[36].
Comunque, l’ipotesi sabina al giorno d’oggi è abbandonata, sia tra gli storici delle religioni[37], che tra gli storici o gli archeologi, e sembra molto più verosimile ritenere Quirinus un dio di origine latina[38].
Come scrive Poucet: «c’est un simple jeu étymologique qui a amené l’interprétation sabine du terme Quirites (qui veut simplement dire “citoyens”). Pour l’expliquer, on l’a rapproché – abusivement semble-t-il - du nom de la capitale de la Basse-Sabine, Cures: Quirites a Curibus appellati. L’affaire toutefois – et c’est son intérêt pour notre propos – ne s’arrêta pas là: la première étymologie en appela d’autres. Ainsi Quirites, abusivement sabinisé, sabinisa à son tour – mais dans certaines versions légendaires seulement – le dieu Quirinus ainsi que la colline du Quirinal»[39]. Tale ricostruzione appoggerebbe dunque su una pseudo-etimologia presente nella tradizione annalistica[40].
È inoltre stato acutamente sostenuto (in un articolo significativamente chiamato “Miti etimologici antichi e moderni intorno a Quirites”) che la tradizione che riconduce Quirinus o Quirites a Cures pare rispondere alla volontà, da parte degli autori antichi, di rappresentare la città nata dal sinecismo, instaurando un parallelismo perfettamente simmetrico tra “Roma-Romani-Romulus” e “Cures-Quirites-Quirinus”[41].
Sia Plutarco[42] (il quale, nella Vita di Romulus, assume Varrone come fonte principale[43]) che Servio[44] scrivono infatti come i Romani si sarebbero chiamati Quirites da Cures e avrebbero chiamato la città Roma o loro stessi Romani da Romulus: Quirinus sarebbe stato dunque eponimo dei Quirites, come Romulus dei Romani. Come scrive Poucet: «on se trouve là en présence d’un cas presque exemplaire d’étymologies créatrices d’histoire légendaire»[45].
Se il nome di Quirites non deriva da Cures, esso risulta comunque chiaramente collegato a quello di Quirinus.
Come abbiamo visto, tra le diverse etimologie valutate da Ovidio, il poeta propone una derivazione di Quirinus dai Quirites[46] (“suum regi nomen posuere Quirites”), in quanto sarebbero stati costoro a dare al re Romulus, una volta diventato dio (anche se questo il poeta non lo afferma esplicitamente) il nome di Quirinus (legato, evidentemente, alla loro comunità).
I Quirites sarebbero stati i primi cittadini di Roma, rappresentanti delle gentes che avrebbero dato forma alle prime istituzioni cittadine, ed è stato ipotizzato che il cd. populus Romanus (termine con cui si indicarono i componenti dell’exercitus centuriatus riuniti in funzione non militare, ma assembleare)[47] sia sorto dall’unione di questi con esponenti di exterae gentes, entrate a far parte della civitas probabilmente, nel VI secolo a.C., in età serviana. Comunanza che si sarebbe rivelata però controversa e conflittuale, determinando una cesura tra Quirites e non Quirites, ossia tra patrizi e plebei.
Dal punto di vista linguistico, contro la teoria dell’origine sabina, si è imposta quella formulata nel 1919 da Paul Kretschmer[48], che, riprendendo l’ipotesi formulata da August Pott a metà del XIX sec., secondo cui “curiae” deriverebbe da *ko-wir-ia, “insieme di uomini”[49], ha ritenuto che, alla base tanto di Quirites (*Co-virites) che di curiae (*co-viriae), vi fosse il termine *cŏ-vĭr-iom: «la comunità umana riunita»[50]. Kretschmer apportò a riprova della sua correttezza l’espressione sacerdotale, riportata da Gellio[51], Virites Quirini, misteriose forze del dio Quirinus che evidenziavano una vicinanza tra i termini Quirites e Virites e ritenne quindi che Quirinus fosse espressione dei Co-virites, gli abitanti dell’Urbe e delle sue ripartizioni, le co-viriae.
Come scrive Bernadette Liou, quest’ipotesi, «solidement construite», istituisce uno stretto legame tra Quirinus, Quirites e curiae, facendo derivare tutti e tre i termini da un lemma *co-uirium, denotante l’insieme dei cittadini: «les Quirites seraient dans ce cas les citoyens inscrits dans les curies, ou assemblés dans les curies, ou “bénéficiant pleinement des droits du citoyens”; et Quirinus serait le dieu de la citoyenneté»[52].
Quirinus Co-virinus sarebbe quindi stato il dio protettore delle curiae[53] – o *co-u(i)r-iae[54] – e i suoi rappresentanti in terra sarebbero stati «i patres locali, alcuni di loro capi delle curiae o curiones»[55].
Il dio delle curiae sarebbe quindi stato la trasposizione celeste del conditor, fondatore della città e creatore dell’organizzazione curiata del popolo dei Quirites.
In effetti, tra Quirites e Quirinus sussiste a livello etimologico un nesso innegabile che, come nota Brelich, dimostra come il dio sia stato venerato quale rappresentante dei «cittadini», dei Quirites[56]. Tale etimologia riaffiora, d’altronde, speculare e inversa, nella nota definizione di Giustiniano, posta agli inizi delle Institutiones (I.2.2), secondo cui “Romani […] a Quirino Quirites appellantur”. Derivazione – formulata agli inizi del VI sec. d.C., quindi già alle soglie del Medio Evo – che pare però priva di attendibilità storica e da inquadrare nella generale cornice propagandistica e teologica del progetto giustinianeo (secondo il quale anche la storia della Roma politeista avrebbe goduto di benedizione divina e rivestito una funzione soteriologica, destinata a realizzarsi compiutamente, senza soluzione di continuità, nel dominato cristiano)[57]. Sembra, in effetti, molto più verosimile che siano stati i Quirites, una volta costituiti come compagine urbana, ad aver dato nome al loro dio di riferimento (che siano stati gli uomini, cioè, a “creare” il dio, e non viceversa).
Comunque, la tesi di Kretschmer, nonostante alcune critiche[58], è stata ampiamente accettata[59] e resta, ancor oggi, un solido punto di riferimento.
Quanto al fatto che, come è stato autorevolmente affermato, essa avrebbe «svelato il segreto di Quirino»[60], è da dire, però, che molto, su tale legame genetico curiae-Quirinus, resta tuttora avvolto nell’incertezza. Non appare attestato, per esempio, che i patres familias fossero considerati rappresentanti del dio, e la stessa natura, origine, composizione e funzione delle curiae, pur oggetto di ampia investigazione, presenta tuttora dei punti controversi[61].
Esse rappresentavano le articolazioni della civitas gentilizia, atte a permetterne il funzionamento istituzionale. Sappiamo che si sarebbero riunite in apposite assemblee deliberanti (comitia curiata) per assolvere a funzioni prevalentemente di ordine religioso (risultavano presiedute, infatti, dal Pontifex Maximus), ma non è dato sapere esattamente quali fossero gli oggetti delle loro disamine e pronunce[62] e, soprattutto, quali fossero le differenze di tali adunanze rispetto a quelle del Senatus (il consesso dei senes, che avrebbe originariamente riunito i patres familias, e che dalle curiae, nelle fonti, appare generalmente distinto)[63]. E molto, di quel poco che si sa sui comitia curiata, pare scaturire da una forzata assimilazione con i successivi comitia centuriata (di cui invece ben conosciamo, nella loro lunga storia, l’attività legislativa, elettorale e processuale[64]).
I dati certi, relativi ai comizi curiati, di cui disponiamo, sono soltanto due.
Una è la procedura della cd. detestatio sacrorum, ossia la rinuncia, da parte della sposa, in occasione della cerimonia nuziale, ai doveri religiosi nei confronti della famiglia di origine. Essa era richiesta per il cd. matrimonium cum manu, col quale la donna, venendo sottoposta alla manus maritalis del marito, o alla patria potestas del suo avente potestà (padre, nonno, bisnonno…), perdeva ogni rapporto (giuridico, economico e religioso) con l’originale familia. Un rito di passaggio che avveniva innanzi ai comitia curiata, in quanto l’intera comunità doveva essere testimone di questo passaggio di status, e che perse importanza a seguito dell’affermazione del matrimonio cd. sine manu, col quale la donna conservava il legame col nucleo familiare originario, o, eventualmente, la propria condizione di soggetto giuridico autonomo (sui iuris)[65].
L’altro è la cd. adrogatio (che risulta invece persistere per tutta l’età imperiale), ossia il volontario auto-assoggettamento di un pater familias (unitamente a tutti i suoi sottoposti), al cospetto dei comitia curiata e del Pontifex Maximus, alla potestas di un altro pater, di cui diventava così, per svariati motivi (inglobamento di una familia economicamente debole in un’altra più solida, ricerca di protezione da creditori o nemici, esigenze successorie e altro[66]), filius in potestate.
Comunque, nonostante tali persistenti dubbi, si può dire che l’asserita natura di Quirinus quale “dio civico”, preposto alla cura e custodia della sfera civile della comunità cittadina[67], pare adeguatamente provata anche a livello etimologico, e risulta verosimile nel generale quadro ricostruttivo della storia di Roma, tanto dell’antica età regia (quando sarebbe sorto, insieme alle curiae, il dio loro protettore), quanto della successiva età proto-repubblicana (segnata dal contrasto tra la comunità plebea e le gentes patrizie[68], nell’ambito della cd. “rivoluzione della plebe”[69]).
Il primo re, «assunto come ‘denominatore comune’ di tutti i Romani, doveva diventare anche Quirinus, il ‘denominatore comune’ di tutte le curie», nel quadro della progressiva creazione, da parte della nuova cultura nobiliare repubblicana[70], di una «‘cosa’ di tutti i Romani e di tutti i Quirites, senza distinzioni di carattere gentilizio, patrizie, familiari o curiali che fossero»[71]. E occorre anche considerare che i Quirinalia erano l’ultima data utile in cui si potevano celebrare i Fornacalia, indetti, anno per anno, nell’ambito delle singole curiae, dai curiones[72].
L’etimologia di Quirinus da co-viriae e curiae pare dunque convergere con la ricostruzione storica, che indica nell’organizzazione curiata la prima struttura costitutiva dell’agglomerato della civitas, e con la rappresentazione del “dio civico” come “dio delle curie”. Com’è stato affermato, essa è infatti indicativa di come Quirinus sia legato alla «vita pubblica dell’uomo romano» e presieda «a quella particolare sfoglia della sua identità, così importante nelle culture antiche, che lo lega agli altri membri della medesima organizzazione politica, la città nel suo insieme e in particolare, soprattutto in età arcaica, la curia»[73]. Come notato da Koch, più che il dio di una credenza vitale, Quirinus è stato un simbolo pubblico e civile[74].
Essa, pertanto, sia pure senza pretese di certezza, appare dunque altamente verosimile.
Sembra opportuno soffermarsi sul collegamento tra Quirinus e i Sabini, cercando di chiarire come, quando e perché tale tradizione si sia formata.
Buona parte dei motivi che legano Quirinus al mondo sabino si deve a Varrone (notoriamente tacciato, infatti, di “pansabinismo”[75]). L’erudito di Reate inserisce infatti Quirinus in un lungo elenco di divinità (che egli afferma di aver recepito dagli Annales) – introdotte a Roma da Tito Tazio, il quale avrebbe dedicato loro un altare[76] –, racconta il mito di Modius Fabidius (che Dionigi recepisce da lui), e riporta l’etimologia di Quirites da Curenses.
Un ulteriore elemento di connessione potrebbe essere rinvenuto in Numa Pompilio[77], il primo re sabino (come poi sarebbe stato suo nipote Anco Marzio), il quale, secondo Dionigi, avrebbe fondato il primo luogo di culto di Quirinus[78], oltre a istituire il flamen Quirinalis[79], e la festa annuale dei Quirinalia.
Può anche essere, però, che tale leggenda si sia formata dopo la costituzione, nel 241 a.C., della Quirina tribus, nella Sabina interna, con cui sarebbero state incorporate le popolazioni, nel 290, da Curio Dentato, e a cui era poi stata concessa la civitas sine suffragio nel 268 a.C.[80] (e che, secondo Festo, prende anch’essa nome da Cures[81]).
La questione dell’origine di Quirinus viene affrontata approfonditamente da Dumézil, secondo il quale, «a seconda che lo si concepisca in un modo o nell’altro, come un dio della più antica società romana o anche preromana, o come un dio importato, sovrapposto da una componente straniera, sabina per esempio, tutto cambia»[82]. Secondo il comparatista, il dio sarebbe stato associato ai Sabini non solo per un “gioco di parole” sul nome della città di Cures, ma anche giacché i Sabini erano benestanti (Curibus, quae fuit urbs opulentissima Sabinorum[83]), tratto che ben si accordava a quelle caratteristiche della “terza funzione” (abbondanza, fertilità, prosperità), proprie di Quirinus[84].
Ma si potrebbe anche pensare che la leggenda di Quirinus sabino sia stata, se non formulata, rilanciata in epoca augustea, quando la tradizione sul sinecismo sarebbe divenuta un tòpos letterario e il “dio civico” sarebbe stato chiamato a sugellare l’unione di sangue dei latini con un popolo precedentemente nemico, da cui la civiltà romana avrebbe avuto origine. Lo scontro di Romulus con le piccole città di Cures e di Caenina[85] (“Te Tatius parvique Cures Caeninaque sensit”[86]) si sarebbe infatti poi tradotto in una mescolanza, in cui la comunità fondata da Aeneas e gli originari nemici avrebbero dato luogo a un’unica comunità nazionale, politica e militare, inizialmente strutturata in forma di diarchia e poi di monarchia[87].
Ciò sarebbe avvenuto, secondo le fonti, già agli albori dell’età monarchica, nell’ottavo secolo a.C.; solo in seguito, dopo la fine del regnum e la cacciata dei sovrani etruschi, quindi alla fine del sesto secolo a.C., il graduale e contrastato consolidamento della res publica[88] avrebbe preso forma attraverso un più ampio processo di contaminazione, nel quale l’elemento etrusco – certo non eliminato insieme ai re[89] – si sarebbe intrecciato con le preesistenti componenti latina e sabina[90].
I resoconti di Livio[91], Plutarco[92] e Dionigi[93] - a cui si ispireranno poi opere pittoriche come Pace tra Romani e Sabini di Giorgio Vasari (1561) e Le Sabine di Jacques-Louis David (1794-1799)[94] – danno atto articolatamente del passaggio da scontro a fusione della relazione tra i due popoli, di cui sarebbero state protagoniste le donne sabine, oggetto del famoso “ratto”.
Gli storici narrano, in modo essenzialmente simile, che prima della guerra Romulus aveva tentato di stipulare trattati di alleanze con città vicine per rendere possibili i matrimoni, sopperendo così alla mancanza di donne della neonata Urbe[95]. Come avevano affermato i messaggeri, “si sa che le città nascono da un infimo seme” e che “gli dèi furono presenti alla nascita di Roma”: non avessero quindi ripugnanza, “come è giusto che non ne abbiano i membri della stessa razza umana, a mescolare sangue e progenie”[96].
Era stato l’arrogante rifiuto di quei popoli (Ceninensi, Crustumini, Antemnati e Sabini, che, da un lato, provavano avversione all’idea di unirsi a un altro popolo, dall’altro temevano l’emergente potere di Roma[97]) a determinare la decisione di attirare con l’inganno quei popoli ai Consualia, per rapirne le donne. Come narra Ovidio, è Mars, dio della guerra – che si lamenta, con suo figlio Romulus, del fatto che i Sabini sarebbero stati ricchi (dives), e avrebbero disprezzato la sua povertà (inopia) – a suggerirgli di ricorrere alla forza per procacciare quelle spose che servivano al futuro della comunità: “…infusi nel tuo cuore, Romulus, un sentimento adeguato all’indole di tuo padre. Ti dissi: basta con le richieste: ciò che domandi, ti sarà dato con le armi”[98].
Ma, racconta Livio, questa violenza non sarebbe stata fine a sé stessa: come chiarito da Romulus alle donne catturate, raccolte nella loro iniziale amarezza e indignazione, era volta a dare origine a una nuova comunità, in cui avrebbero condiviso tutto: la patria, i beni e soprattutto i figli, «quanto vi è di più caro alla razza umana»[99].
Così, una volta iniziati i combattimenti, le stesse donne, “coi capelli sciolti e le vesti lacerate” (crinibus passis scissaque veste), si sarebbero frapposte tra i due schieramenti, supplicando da un lato i padri, dall’altro i mariti, di riconoscersi ormai come parenti e non indulgere nella follia di macchiarsi dell’omicidio di consanguinei. «Se a dispiacervi è la parentela tra voi – avrebbe affermato Hersilia, moglie di Romulus – rivolgete verso di noi la vostra rabbia: siamo noi la causa della guerra, sarà per noi meglio morire che vivere senza uno di voi, vedove o orfane»[100] - discorso che avrebbe commosso tutti, conducendo i due popoli non solo a stringere la pace, ma a congiungersi in una sola nazione.
Come scrive Plutarco, i rapitori non intendevano “oltraggiare i Sabini, né soddisfare una passione brutale, ma congiungere insieme i due popoli, servendosi dei legami più stretti che ci sono al mondo”[101]. Questa violenza e quest’ingiustizia erano dunque state “opera di alta saggezza e buona politica”, poiché finalizzate a una mescolanza che avrebbe generato ricchezza e forza[102].
Queste parole riflettono evidentemente l’ideologia irenica del nascente principato, nell’ottica della quale l’uso della forza è, sì, necessario, ma esclusivamente allo scopo di realizzare unità e armonia, e non solo tra romani e sabini, ma tra tutti gli appartenenti alla comune famiglia umana. Roma appare come la città-mondo, capace di incorporare, sin dalle sue origini, diverse popolazioni, arricchendo così la sua identità.
La leggenda di Quirinus sabino potrebbe dunque essere stata impiegata per suggellare la funzione universale e pacificatrice dell’impero, nella cui unità sono destinate a sciogliersi tutte le differenze, inimicizie e ostilità. E l’idea che i Quirites, così come il “dio civico” di tutti i Romani, Quirinus, abbiano tratto il loro nome da una comunità prima nemica di Roma, e poi in essa confluita e rigenerata, potrebbe essere stata funzionale a tale esigenza.
In tale contesto, Quirinus “sabino” sarebbe quindi stato rielaborato come un dio pienamente romano (anzi, il dio romano per eccellenza).
In conclusione, la derivazione sabina del teonimo Quirinus pare rappresentare, com’è stato affermato, «un très beau cas d’étymologie créatrice d’histoire légendaire»[103], una storia leggendaria di belligeranza trasformatasi poi in storia di armonia e fusione, utilizzata per scopi politici, retorici e propagandistici.
L’ipotesi di derivazione etimologica, invece, storicamente più verosimile, si conferma quella maggiormente conforme anche alla ricostruzione istituzionale e letteraria della divinità: quella che la riconduce, in quanto “dio civico” per eccellenza, all’ambito cittadino, dei Quirites e delle curiae[104].
[1] Fest. 43 L; Id. 304 L; Dion. II.48; Macrob. I.9.16; Strab. V.3.1; Serv., ad Aen. I.292; Id., VII.710; Ovid., Fasti II.475-480; Plut., Rom. LXXXII. Cfr. O. TERROSI ZANCO, Varrone L.L., V, 74: Divinità sabine o divinità etrusche?, in Studi Classici e Orientali 10, 1, 1961, 205.
[2] L’etimologia del teonimo è oggetto di ricerca sin dal XIX sec.
A parte le ricostruzioni di seguito illustrate, ricordiamo la proposta avanzata, all’inizio del secolo scorso, da A. COOK (Zeus, Jupiter and the oak–conclusion, in The Classic Review 18, 1904, 360-374), secondo cui Quirinus deriverebbe da quercus, “quercia” (a cui sarebbe collegato anche il culto di Zeus–Jupiter), in quanto la “curis” sarebbe stata una lancia di quercia. (J.G. FRAZER [The Golden Bough. A Study in Magic and Religion, London 1922, ed. it., con pref. di M. DOUGLAS e trad. di L. DE BOIS, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, Torino 2012, 195-198], però, collega il culto della quercia a quello di svariate divinità indo-europee – tra cui, in particolare, Zeus/Iuppiter –, ma non di Quirinus).
Di recente, poi, A. FRANCIOSI (Lo “ius” dei “Quirites” e il Cabiro “dimenticato”: culto e diritto ai primordi della città, in Teoria e Storia del Diritto Privato 14, 2021, 17-25), ha sostenuto che la radice Qvir deriverebbe dalla semitica K(a)bir, e il culto di Quirinus, come quello di Volcanus, sarebbe da ricondurre a un antico «unico culto cabirico, in seguito dissociatosi».
Degna di particolare nota la ricostruzione di R. FIORI (Un’ipotesi sulle origini delle “curiae”, in ID. [cur.], Re e popolo. Istituzioni arcaiche tra storia e comparazione, Göttingen 2019, 356), il quale ha argomentato, sulla base del fatto che il nome ‘quirinus’ appare anche come attributo di altre divinità (Ianus Quirinus, Iuppiter Quirinus, Hercules Quirinus), che si debba «distinguere tra l’appellativo quirinus, che può spettare a diverse figure, e il dio Quirinus, così chiamato per indicare una divinità il cui nome non poteva essere pronunciato o di cui si è persa la memoria, o che costituisce la divinizzazione di una funzione espressa dall’appellativo». Pertanto, afferma lo studioso, «la divinizzazione di Romolo in Quirinus potrebbe essere una operazione condotta a partire da una tradizione che ricordava un Romulus quirinus».
[3] II.455-474. Giustamente è stata respinta l’ipotesi che la prima dies menzionata da Ovidio, in questa parte del poema, sarebbe il 16 o addirittura il 17 febbraio: E. BIANCHI, Il “rex sacrorum” a Roma e nell’Italia antica, Milano 2010, 107, nt. 1, a.l.
[4] In tale giorno il sole sarebbe stato sotto il segno dei Pesci: E. BIANCHI, Il “rex sacrorum”, cit., 181.
[5] Il giorno seguente è libero; ma il terzo è dedicato a Quirinus, che porta questo nome (prima fu Romulus) o poiché la lancia è detta “curis” dai Sabini (il dio guerriero venne tra le stelle grazie alla lancia), o poiché i Quirites diedero il proprio nome al loro re, o giacché egli aveva unito Cures ai Romani.
[6] Varr. ap. Dion. II.48.4.
[7] Rom. LXXXII: Τὴν δὲ γενομένην ἐπωνυμίαν τῷ Ῥωμύλῳ τὸν Κυρῖνον οἱ μὲν Ἐνυάλιον προσαγορεύουσιν, οἱ δ' ὅτι καὶ τοὺς πολίτας Κυρίτας ὠνόμαζον, οἱ δὲ τὴν αἰχμὴν ἢ τὸ δόρυ τοὺς παλαιοὺς κύριν ὀνομάζειν, καὶ Κυρίτιδος Ἥρας ἄγαλμα καλεῖν ἐπ' αἰχμῆς ἱδρυμένον, […] ὡς οὖν ἀρήιόν τινα τὸν Ῥωμύλον ἢ αἰχμητὴν θεὸν ὀνομασθῆναι Κυρῖνον.
[8] Ipotesi sostenuta da TERROSI ZANCO (Varrone, cit., 205), secondo cui (ibidem) «per quanto nessuna fonte faccia di Curinus-Quirinus un dio etrusco, il suo indubbio legame onomastico con la Juno Curitis di Falerii e la presenza in Falerii medesima di un pater Curis o Curris, porta a presupporre l’esistenza di un dio *Curis o *Curus o simili, forse comune anche agli Etruschi».
[9] J. POUCET, Recherches sur la légende sabine des origines de Rome, Louvain 1967, 64.
[10] A. BRELICH, Tre variazioni romane sul tema delle origini, I ed. Roma 1955, II ed. Roma 1976, III ed., a cura di A. ALESSANDRI, prefazione di E. MONTANARI, Roma 2010.
[11] 43 L: Curis est Sabine hasta. Unde Romulus Quirinus, quia eam ferebat, est dictus; et Romani a Quirino Quirites dicuntur. Quidam eum dictum putant a Curibus, quae fuit urbs opulentissima Sabinorum.
[12] II.48.4: κύρεις γὰρ οἱ Σαβῖνοι τὰς αἰχμὰς καλοῦσιν.
[13] ad Aen. I.292: Romulus autem ideo Quirinus dictus est, vel quod hasta utebatur, quae Sabinorum lingua curis dicitur.
[14] I.9.16: Quirinum quasi bellorum potentem ab hasta, quam sabini curis vocant.
[15] Ovid., Fast. II.477.
[16] Rom. LXXXII.
[17] Pur non essendovi identificazioni certe della dea in testimonianze iconografiche, nelle fonti letterarie essa appare ritratta armata di lancia. Fest. 43 L: Curitim Iunonem appellabant, quia eandem ferre hastam putabant; Id. 53 L: vel quia matronae Iunonis Curitis in tutela sint, quae ita appellabatur a ferenda hasta, quae lingua Sabinorum curis dicitur. Cfr. G. FERRI, Due divinità di Falerii Veteres: Giunone Curite e Minerva Capta, in Mélanges de l’École française de Rome 123, 1, 2011, 150-152, E. LA ROCCA, Iuno, in Lexikon icongraphicum mythologiae classicae, V, 1, 1990, 835.
[18] Tra le varie etimologie proposte da Festo (86 L.) per spiegare l’appellativo “gradivus” di Mars, vi è proprio l’oscillazione della lancia (sive a vibratione hastae). Inoltre, numerose fonti iconografiche – come i denarii imperiali RSC 113d (218-219 a.C.), RIC III 99b (140-143 d.C.), RIC V.1 345 (264-265 d.C.) – raffigurano il dio armato di lancia.
[19] Dion. II.48; Plut., Rom. XLV.
[20] Strab. V.3.1; Pseudo Aur. Vitt., De virib. illustr. III.1.
[21] Dion. IV.68.
[22] D. PORTE, Romulus-Quirinus, prince et dieu, dieu et prince. Étude sur le personnage de Quirinus et son evolution, des origins à Auguste, in ANRW. II. Principat, 17.1, Berlin – New York 1981, 305.
[23] L. 198.
[24] Varr., L.L. VI.68: Quirites a Curensibus; ab his cum Tatio rege in societatem venerunt civitatis; Id., L.L. V.8: Collis Quirinalis, quod ibi Quirini fanum. Sunt qui a Quiritibus, qui cum Tatio Curibus venerunt ad Romam, quod ibi habuerint castra.
[25] I.13: Regnum consociant: imperium omne conferunt Romam. Ita geminata urbe ut Sabinis tamen aliquid daretur Quirites a Curibus appellati. Monumentum eius pugnae ubi primum ex profunda emersus palude equus Curtium in vado statuit, Curtium lacum appellarunt.
[26] Rom. XLV: οἰκεῖν δὲ κοινῇ τὴν πόλιν Ῥωμαίους καὶ Σαβίνους, καὶ καλεῖσθαι μὲν Ῥώμην ἐπὶ Ῥωμύλῳ τὴν πόλιν, Κυρίτας δὲ Ῥωμαίους ἅπαντας ἐπὶ τῇ Τατίου πατρίδι, βασιλεύειν δὲ κοινῇ καὶ στρατηγεῖν ἀμφοτέρους.
Romani e Sabini avrebbero abitato la città in comune; essa si sarebbe sempre chiamata Roma, dal nome di Romulus, e i Romani si sarebbero chiamati Quirites, dal nome della patria di Tazio.
[27] ad Aen. VII.710: priscique Quirites id est Sabini, prisci autem ideo, quia post foedus Titi et Romuli placuit ut quasi unus de duobus fieret populos: unde et Romani Quirites dicti sunt, quod nomen Sabinorum fuerat a civitate Curibus, et Sabini a Romulo Romani dicti sunt.
[28] De virib. illustr. I.2.10: Romulus foedus percussit et Sabinos in urbem recepit, populum a Curibus, oppido Sabinorum, Quirites vocavit. Centum senatores a pietate patres appellavit.
[29] Liv. I.13.
[30] B.G. NIEBUHR, Römische Geschichte, 1811, 365.
[31] Nella seconda metà del XIX sec., Rudolph von JHERING (Der Kampf um’s Recht, Wien 1872, 248-251) ipotizzò un collegamento tra le curiae e la lancia (“curis”), per cui i Quirites sarebbero stati i cittadini armati di lancia inquadrati nelle curiae. Cfr. R. FIORI, Un’ipotesi sull’origine delle “curiae”, cit., 328.
Tale interpretazione ha persuaso studiosi come F. BOZZA, “Ius Quiritium”, in Studi Senesi 64, 1952, 1-4, G. DE SANCTIS, Storia dei Romani II, Firenze 1988, 212, F.P. CASAVOLA, Fondamenti del diritto antico, in Iura & Legal Systems 2, 2015, 275-280, 3 e F. DE MARTINO (secondo cui «l’attributo Quirinus […] farebbe riferimento ad una pace conquistata dai Quirites, i cittadini-soldato»: L’idea della pace a Roma dall’età arcaica all’impero, in P. CATALANO, P. SINISCALCO [a cura di], Concezioni della pace. Da Roma alla Terza Roma. Documenti e studi 6, Roma 2006, 149).
[32] G. DUMÉZIL, La Religion romaine archaïque, I ed. Paris 1966, II ed. Paris 1974, ed. it. Milano 1977, nuova ed.: La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà, Milano 2019, 235: «sebbene le parole dalla medesima origine curia, Quirites, Quirinus, abbiano conosciuto evoluzioni indipendenti, tutte e tre presentano, in modi diversi, questa stessa sfumatura: di carattere civile contrapposto al militare, per le prime due; di pace contrapposta alla guerra, per la terza»; Ivi, 153, nt. 18: «i Quirites, contrapposti ai milites, non possono essere stati definiti dalla lancia né da alcuna altra arma».
[33] Liv. XLV.37.14: nec Quirites uos, sed milites uideor appellaturus, si nomen hoc saltem ruborem incutere et uerecundiam aliquam imperatoris uiolandi adferre possit.
Suet., Iul. LXX: Decimanos autem Romae cum ingentibus minis summoque etiam urbis periculo missionem et praemia flagitantes, ardente tunc in Africa bello, neque adire cunctatus est, quanquam deterrentibus amicis, neque dimittere; sed una voce, qua ‘Quirites’ eos pro militibus appellarat, tam facile circumegit et flexit, ut ei milites esse confestim responderint et quamvis recusantem ultro in Africam sint secuti…
«A Roma, quando i soldati della decima legione reclamarono il congedo e le ricompense con terribili minacce, ponendo la città in pericolo, proprio nel momento in cui la guerra divampava in Africa, [Cesare] non esitò a presentarsi davanti a loro, nonostante il parere degli amici, e a congedarli. Gli fu sufficiente una sola parola: li chiamò “Quirites” al posto di “milites” per calmarli e dominarli facilmente, e loro risposero che erano soldati e che, nonostante il suo rifiuto, lo avrebbero seguito spontaneamente in Africa».
Varr., L.L. VI.88: Qui exercitum imperaturus erit, accenso dicit hoc: «C. Calpurni, uoca inlicium omnes Quirites huc ad me». Accensus dicit sic: «omnes Quirites, inlicium uos ite huc ad iudices». «C. Calpurni», cos. dicit, «uoca ad conuentionem omnes Quirites huc ad me». Accensus dicit sic: «omnes Quirites, ite ad conuentionem huc ad iudices». Cfr. B. LIOU, “Cultes héroïques” romains, Paris 1980, 173; R. FIORI, Un’ipotesi sulle origini delle “curiae”, cit., 332.
[34] Locuzione dal significato alquanto controverso in dottrina, sulla quale, per tutti, cfr. A. GUARINO, Storia del diritto romano, XII ed., Napoli 1998, 135 ss., Le origini quiritarie, Raccolte di scritti romanistici, Napoli 1973, 171 ss., F. BOZZA, “Ius Quiritium”, cit., e, da ultimo. G. NICOSIA, “Ex iure Quiritium”, Catania 2018.
[35] Varr., L.L. VI.68: Vicina horum quiritare, iubilare. Quiritare dicitur is qui Quiritum fidem clamans inplorat.
[36] A.L. PROSDOCIMI, Forme di lingua e contenuti istituzionali nella Roma delle origini, I, Napoli 2016, 272, cfr. 274.
[37] Scrive A. BRELICH, Tre variazioni, cit., 238, nt. 89, che il nome di Quirinus «non è, certamente, sabino». In senso dubitativo già DUMÈZIL, La religion romaine, cit., 23, 153, 228 e poi G. RADKE, Quirinus. Eine kritische Überprüfung der Überlieferung und ein Versuch, in ANRW. II. Principat, 17.1, Berlin-New York 1981, 284.
Sul rapporto tra Quirinus e ius Quiritium cfr., soprattutto, A. MAGDELAIN, Quirinus et le droit (“spolia opima”, “ius fetiale”, “ius Quiritium”), in MEFRA. 96/1, 1984, passim, A.L. PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit., 155 ss.
[38] G. DUMÉZIL, La religion romaine, cit., 82, afferma che la triade arcaica Iuppiter Mars Quirinus ha «presieduto fin dalle origini alla società latina».
[39] J. POUCET, Recherches, cit., 66. Scrive lo studioso (428): «Dans cette sabinisation, les pseudo-étymologies semblent avoir joué un grand rôle. Ainsi Cures, en attirant Quirites dans la légende, est à long terme responsable de la sabinisation du Quirinal et de Quirinus. Quirites désignera les compagnons sabins de Titus Tatius; le Quirinal sera considéré comme une des collines sabines de Rome; Quirinus deviendra dans certains contextes un dieu sabin. De la même manière, une préoccupation étymologique ou éponymique explique la présence dans l'épisode du motif de la création des curies et de la fondation des Titienses, des Ramnes et des Luceres, tandis que la curia Titia et les sodales Titii furent également mis en rapport avec le chef sabin. Ce rôle de l’étymologie, en tant que créatrice d’histoire légendaire, mérite d’être souligné».
[40] Ivi, 150.
[41] A. NOCENTINI, Miti etimologici antichi e moderni intorno a Quirites, in Arch. glott. it. 55, 1970, 130.
[42] Rom. XLV.
[43] R. FIORI, Un’ipotesi sulle origini delle “curiae”, cit., 332.
[44] ad Aen. VII.710.
[45] J. POUCET, Recherches, cit., 360.
[46] Fasti II.479.
[47] Ciò appare attestato dalla ricorrente locuzione populus Romanus Quirites, in cui i Quirites appaiono come qualcosa di precedente e, per molti versi, superiore rispetto al restante populus Romanus. Cfr. A. GUARINO, Le origini quiritarie, cit., 101, 167 ss., 171 ss., 179 ss., Storia del diritto romano, cit., 84 ss.
[48] P. KRETSCHMER, Lateinische ‘quirites’ und ‘quiritare’, in Glotta 10, 1919, 147-157. Cfr. V. BASANOFF, Les Dieux des Romains, Paris 1942, 17, A. CARANDINI, Cercando Quirino. Traversata sule onde elettromagnetiche nel suolo del Quirinale, Torino 2007, 13, G. DUMÉZIL, La religion, cit., 153, 231, D. PORTE, Romulus-Quirinus, cit., 321, A. FRANCIOSI, Lo “ius” dei “Quirites”, cit., 13-16, R. FIORI, Un’ipotesi sulle origini delle “curiae”, cit., 329, E. STOLFI, Prima lezione di diritto romano, Bari – Roma 2023, 80 s.
[49] Cfr. R. FIORI, Un’ipotesi sulle origini delle “curiae”, cit., 329. Sul collegamento tra Quirites e curiae, cfr. anche G. PRUGNI, Quirites, in Athenaeum 65, 1987, 127-129.
[50] G. RADKE, Quirinus, cit., 284: “die vereinigte Männerschaft”.
[51] Noct. Att. XIII.23.1-2.6.
[52] B. LIOU, “Cultes héroïques”, cit., 170. Scrive la studiosa: «que Quirinus et Quirites aient même racine ne présente aucune difficulté: c’est le rapprochement de ces deux mots avec curia qui suscite quelques réticences. Pourtant la démonstration de P. Kretschmer permet seule d’interpréter de manière satisfaisante un certain nombre de faits».
[53] D. SABBATUCCI, Da Osiride a Quirino. Corso di storia delle religioni, 1984, 29-32. In tal senso anche PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit., 256 ss., 260-264, 271 ss.
[54] G. RADKE, Quirinus, cit., 285, PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit., 264, 283 ss.
[55] A. CARANDINI, Cercando Quirino, cit., 49.
[56] Tre variazioni, cit., 166.
[57] Non sarebbe la prima volta, d’altronde, che nella compilazione giustinianea si rinvengono delle etimologie non solo fantasiose, ma evidentemente volte a capovolgere, per motivi ideologici, la realtà: basti pensare alla nota argomentazione ulpianea (Ulp. D.I.1.1.pr.), probabilmente frutto di una manomissione testuale postclassica secondo cui “ius a iustitia appellatur” (laddove è chiaro il contrario, ossia che è la parola “iustitia” che deriva da “ius”, e non viceversa). Cfr. A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano, V ed., Napoli 1990, 488 ss.
[58] A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la Langue Latine, Paris 1959, 559; C. KOCH, Bemerkungen zum römischen Quirinuskult, in Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte 5/1, 1953, 29.
[59] J. BAYET, Histoire politique et psychologique de la religion romaine, Paris 1957, 28; SABBATUCCI, Da Osiride a Quirino, cit., 62, D. PORTE, Romulus-Quirinus, cit., 321; G. DUMÉZIL, La religion romaine, cit., 153; D. BRIQUEL, Remarques sur Quirinus, in Revue Belge de Philologie et d’Histoire 74/1, 1996, 100; A. CARANDINI, Cercando Quirino, cit., 13, et al.
[60] Ivi, 13.
[61] Pomponio, nel Liber singularis enchiridii, D. I.2.2, afferma che il termine curiae deriverebbe dal fatto che, attraverso tali partes della civitas, Romulus avrebbe svolto una cura rei publicae: “…quas partes curias appellavit propterea, quod tunc rei publicae curam per sententias partes earum expediebat”. Una “estrosa derivazione”, secondo A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano, V ed., Napoli 1990, 130, che sarebbe però «alquanto difficile da mandar giù».
[62] Secondo A. GUARINO, Le origini quiritarie, cit., 156, i comitia curiata sarebbero in realtà stati privi di effettivi poteri di deliberazione (ipotesi, però, non seguita dalla maggioranza della dottrina).
[63] Cfr. A. GUARINO, Le origini quiritarie, cit., 152-154, e bibl. ivi cit. Curia era anche detto, però, a volte, il luogo in cui si riuniva il Senato. Ovidio, rivolgendosi ad Augusto, afferma che l’appellativo di pater patriae gli sarebbe stato conferito, tra gli altri, anche dalla curia (Fasti II.127-128: “sancte pater patriae, tibi plebs, tibi curia nomen dedit…). È stato sostenuto che il termine sarebbe stato utilizzato come equivalente di Senatus (così BIANCHI 2010, 82, nt. 5), ma non può essere considerato un dato certo.
[64] Cfr. M. TALAMANCA (cur.), Lineamenti di storia del diritto romano, Milano 1989, 207-216.
[65] Cfr., per tutti, F. SERRAO, Diritto privato, economia e società nella storia di Roma. 1. Dalla società gentilizia alle origini dell’economia schiavistica, Napoli 2006, 145-155, M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, II ed. Palermo 1994, 221-233.
[66] L’adrogatus, in quanto filius, ereditava dall’adrogator, e questi, magari privo di figli naturali, si assicurava che qualcuno ne avrebbe onorato la memoria post mortem. L’atto, così, diventava, di fatto, una forma di testamento (anche se la successione, tecnicamente, sarebbe avvenuta ab intestato), il cd. testamentum calatis comitiis (ossia realizzato attraverso la convocazione dei comitia curiata). La convocazione dei comitia, in occasione dell’adrogatio, sarebbe comunque diventata, già nella prima età repubblicana, meramente fittizia, e l’atto avrebbe avuto valore meramente negoziale, sul piano del diritto privato: cfr., per tutti, TALAMANCA, Lineamenti, cit., passim.
[67] A. CARANDINI, Cercando Quirino, cit., 40: «Quirino protegge le curiae e i Quirites che le abitano, ma diventa altresì - nella sua maturazione cittadina - il protettore dei Quirites che si riuniscono nell’assemblea popolare».
[68] Sulla reazione antigentilizia nel primo secolo e mezzo di repubblica (dall’abolizione del regnum [509] alle leggi Licinie-Sestie [367 a.C.]), cfr. per tutti, F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, vol. I., II ed., Napoli 1972, 161-262; A. GUARINO, La rivoluzione della plebe, Napoli 1976, 135-256.
[69] A. GUARINO, La rivoluzione della plebe, cit., passim.
[70] La differenza etnica tra patrizi e plebei, e tra gentiles e non gentiles, sarebbe stata infatti sostituita da quella, economica e censitaria, tra nobiles e ignobiles: cfr. A. GUARINO, La rivoluzione della plebe, cit., 238-256.
[71] D. SABBATUCCI, Da Osiride a Quirino, cit., 69-71.
[72] Varro, L.L. VI.13; Ov., Fasti II.529-530. Cfr. A. BRELICH, Tre variazioni, cit., 184.
[73] M. LENTANO, I due mirti di Quirino. L’identità vegetale di un dio romano, in Classica Vox. Rivista di Studi Umanistici 3, 2021, 122.
[74] KOCH, Bemerkungen, cit., 2: «Ein Gott des lebendigen Glauben war er nicht, vielmehr ein politisch-nationales Symbol».
[75] Y. LEHMANN, Varron théologien et philosophe romain, Bruxelles 1997, 38-40.
[76] L.L. V.74.2: Feronia, Minerva, Novensiders a Sabinis. Paulo aliter ab eisdem dicimus Herculem, Vestam, Salutem, Fortunam, Fontem, Fidem. Ea re in Sabinum linguam olent quae Tati regis voto sunt Romae dedicatae; nam, ut Annales dicunt, vovit Opi, Florae, Vedio Iovi Saturnoque, Soli, Lunae, Volcano et Summano, itemque Larundae, Termino, Quirino, Vortumno, Laribus, Dianae Lucinaeque; e quis nonnulla nomina in utraque lingua habent radices, ut arbores quae in confinio natae in utroque agro serpunt; potes enim Saturnus hic de alia causa esse dictus atque in Sabinis et sic Diana, de quibus supra dictum est.
[77] Nel descrivere l’incontro tra Aeneas e Numa nell’Ade, nel sesto libro dell’Eneide, Virgilio ci tiene a ricordare l’origine del virtuoso re (che avrebbe dato alla prima Urbs, Roma, il fondamento delle leggi) dalla piccola e povera terra di Curi, da cui sarebbe sorto l’imperium magnum: VI.808-812: Quis procul ille autem ramis insignis olivae/ sacrae ferens? Nosco crinis incanaque menta/ regis Romani primam qui legibus urbem/ fundabit, Curibus parvis et paupere terra/ missus in imperium magnum.
[78] II.63.3.
[79] Plut., Numa LXIV; Liv. I.20: Huic duos flamines adiecit, Marti unum, alterum Quirino; Pseudo Aur. Vitt., De virib. illustr. III.1: …flamines tres, Dialem Martialem Quirinalem… (secondo lo storiografo tardoantico, Numa avrebbe istituito tutti e tre i flamines maiores).
[80] Cfr. G. BANDELLI, La conquista dell’“ager Gallicus” e il problema della “Colonia Aesis”, in “Aquileia Nostra” 76, 2005, 13-54.
[81] Fest. 304 L: Quirina tribus a Curensibus Sabinis appellationem videtur traxisse.
[82] DUMÉZIL, La religion romaine, cit., 80.
[83] Fest. 43 L.
[84] DUMÉZIL, La religion romaine, cit., 228. Lo studioso nota (ibidem) come «le due interpretazioni ‘storiche’ di Quirino, sia come Romulus divinizzato, sia come dio introdotto a Roma dai Sabini in occasione della fusione dei due popoli», apparentemente confliggenti, «siano contemporanee, e che l’esitazione tra l’una e l’altra (che impedì all’una e all’altra di acquistare assoluta veridicità) sia antica quanto la loro stessa formulazione».
[85] Sulla guerra tra Roma e Caenina, cfr. Liv. I.9-10.
[86] Fasti II.135. Cfr. cap. XV, § 2.
[87] Cfr. A. MAGDELAIN, Quirinus et le droit, cit., passim, C. BARBAGALLO, Roma antica. I Dalle origini alla fine della repubblica (VIII sec. a.C.- 49 a.C.), Torino 1931, 31, P. GIUDICI, Storia d’Italia dalla fondazione ai giorni nostri, I, Roma e l’impero romano, Firenze 1956, 12.
[88] L’elemento monarchico, in base ai dati forniti dalle fonti, non risulta del tutto abolito, come sta ad attestare, in particolare, la persistenza del cd. rex sacrorum, o sacrificulus: il re non sarebbe scomparso, ma si sarebbe solo spogliato delle prerogative politiche e militari, per conservare quelle sacerdotali: Cfr. M. RAVIZZA, Pontefici e Vestali nella Roma repubblicana, Milano 2020, 9-34.
[89] Cfr. A. GUARINO, La rivoluzione, cit., 85-134, F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, cit., 161-201.
[90] I. LANA, Storia della civiltà letteraria di Roma e del mondo romano. Letteratura latina, Firenze 1984, 5: «Dal momento in cui Roma ‘caccia i re’, incomincia a delinearsi una fisionomia sua: perché, evidentemente, non più costretta sotto il dominio di una monarchia di civiltà etrusca, essa può più liberamente lasciare parlare gli elementi che costituiscono il suo tessuto sociale e tentare di amalgamarli e fonderli: Sabini, Latini, Etruschi, che formano la popolazione, hanno tutti parte nella vita della città».
[91] I.13.
[92] Rom. XXX.
[93] II.45: Συναχθέντος δὲ αὐταῖς τοῦ συνεδρίου τῶν προβούλων καὶ κελεύσαντος τοῦ βασιλέως ὑπὲρ ὧν ἥκουσι λέγειν ἡ τοῦ βουλεύματος ἄρξασα καὶ τὴν ἡγεμονίαν ἔχουσα τῆς πρεσβείας Ἑρσιλία μακρὰν καὶ συμπαθῆ διεξῆλθε δέησιν, ἀξιοῦσα χαρίσασθαι τὴν εἰρήνην ταῖς δεομέναις ὑπὲρ τῶν ἀνδρῶν, δι´ ἃς ἐξενηνέχθαι τὸν πόλεμον ἀπέφαινεν·.
«Quando il consiglio si riunì per riceverle e il re domandò loro perché fossero venute, Hersilia, a capo dell’ambasciata, espose una storia lunga e commovente, pregandoli di per concedere la pace a coloro che intervenivano per i loro mariti e a causa delle quali, precisava, era iniziata la guerra».
[94] Il quadro, custodito al Museo del Louvre, è stato scelto da Dominique Briquel come copertina del suo libro Romulus jumeau et roi. Réalités d’une légende, Paris 2018.
[95] Ps. Aur. Vitt. I.2.1: Romulus asylum convenis patefecit et magno exercitu facto, cum videret coniugia deesse, per legatos a finitimis civitatibus petiit. 2 Quibus negatis ludos Consualia simulavit, ad quos cum utriusque sexus multitudo venisset, dato suis signo virgines raptae sunt.
[96] Liv. I. 9.1: Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent: urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere. Cfr. DUMÉZIL 2019, 74.
[97] Liv. I. 9.1: Nusquam benigne legatio audita est: adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem sibi ac posteris suis metuebant.
[98] Ov., Fasti III.178-199. Cfr. G. DUMÉZIL, La religion romaine, cit., 74.
[99] Liv. I.9: Sed ipse Romulus circumibat docebatque patrum id superbia factum qui conubium finitimis negassent; illas tamen in matrimonio, in societate fortunarum omnium civitatisque et quo nihil carius humano generi sit liberum fore…
[100] Liv. I.13: Tum Sabinae mulieres, quarum ex iniuria bellum ortum erat, crinibus passis scissaque veste, victo malis muliebri pavore, ausae se inter tela volantia inferre, ex transverso impetu facto dirimere infestas acies, dirimere iras, hinc patres, hinc viros orantes, ne sanguine se nefando soceri generique respergerent, ne parricidio macularent partus suos, nepotum illi, hi liberum progeniem. «Si adfinitatis inter vos, si conubii piget, in nos vertite iras; nos causa belli, nos volnerum ac caedium viris ac parentibus sumus; melius peribimus quam sine alteris vestrum viduae aut orbae vivemus».
[101] Plut., Rom. XXX: ἅτε δὴ μὴ μεθ' ὕβρεως μηδ' ἀδικίας ἐλθόντας ἐπὶ τὴν ἁρπαγήν, ἀλλὰ συμμεῖξαι καὶ συναγαγεῖν εἰς ταὐτὸ τὰ γένη ταῖς μεγίσταις ἀνάγκαις διανοηθέντας.
[102] Ivi, LXXXIX: τὴν βίαν ἐκείνην καὶ τὴν ἀδικίαν κάλλιστον ἔργον καὶ πολιτικώτατον εἰς κοινωνίαν γενομένην. Οὕτω συνέμειξεν ἀλλήλοις καὶ συνέπηξε τὰ γένη, καὶ παρέσχε πηγὴν τῆς εἰς αὖθις εὐροίας καὶ δυνάμεως τοῖς πράγμασιν.
[103] D. PORTE, Romulus-Quirinus, cit., 72. Cfr.anche 314.
[104] D. PORTE, Romulus-Quirinus, cit., 325: «Quirinus serait donc le dieu de la Cité, des Curies, des Quirites»; A.L. PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit., 114: Quirinus è “il dio della comunità TUTTA”.