SIMPOSIO INTERNAZIONALE

 

LIBER AMICORUM PER SEBASTIANO TAFARO

L’uomo, la persona e il diritto

 

Dipartimento Jonico dell’Università di Bari

Taranto, 20 dicembre 2019

 

 

 

SEBASTIANO TAFARO 2019. Un incontro di studio e di amicizia

 

di

 

SANDRO SCHIPANI – Professore Emerito

“Sapienza” Università di Roma

Presidente e Moderatore del Simposio

 

 

 

 

 

 

Magnifico Rettore, Autorità presenti, Signora Tafaro, presenti tutti, Sebastiano Tafaro, professore Onorario dell’Università italiana, nostro festeggiato e amico, essere nuovamente in questa suggestiva sala per questo Simposio sul Liber amicorum di Sebastiano Tafaro; essere qui, alcuni di noi che abbiamo collaborato al libro insieme con altri, essi pure a Tafaro legati da amicizia, e in rappresentanza di altri che ancora non hanno potuto venire, mi emoziona di più della volta precedente, quando festeggiammo, nel 2012, il conferimento a Tafaro del Premio De Robertis, da parte della Fondazione Nuove Proposte – Centro di Studi Giuseppe Chiarelli, premio intitolato al maestro di Tafaro, che mi permetto di considerare anche ora come allora presente.

L’indice dei due volumi posti al centro della nostra attenzione oggi dice già molto: in essi vi sono contributi di 49 colleghi di 18 università italiane e di 18 colleghi di 13 università non italiane delle quali alcune europee, altre latinoamericane, e del difensore civico di una delle regioni italiane; da alcune di questa Università, più di un collega ha inviato contributi, e ciò in modo particolare per l’Università di Bari che coralmente festeggia un suo Professore. Bastano questi numeri e l’orizzonte del sistema giuridico del diritto romano, che questi contributi aprono, per evidenziare la rilevanza dei volumi.

Ma non mi addentro a parlare del loro contenuto: io devo solo presiedere e moderare.

Non dirò neppure nulla sul complesso delle attività scientifiche di Sebastiano Tafaro, del quale, nel ricordato 2012, ho compiuto la laudatio. Certo, egli ha continuato a darci contributi scientifici importanti, ma, nei pochi minuti del mio intervento approfitto piuttosto per ricordare alcuni miei incontri e collaborazioni con il nostro onorato, nella fiducia di proseguirli.

Mi concentro quindi su tre punti: usura; America Latina; traduzione dei Digesti di Giustiniano e dei suoi giuristi.

 

 

1. – Usura

 

Come forse qualcuno ricorda, negli anni ’70-’80 del secolo scorso si svolse una guerra finanziaria mondiale che vide tre fasi che schematizzo: all’inizio degli anni ’70, gli USA denunciano gli accordi di Bretton Woods e il cambio fisso del Dollaro USA in oro; nella seconda parte degli anni ’70, vengono compiuti investimenti massicci in America Latina dei c.d. petrodollari, che il sistema finanziario internazionale non sapeva dove collocare; all’inizio degli anni ’80, viene cambiato unilateralmente il tasso di interessi del dollaro e viene avviata una politica di apprezzamento di questa valuta compiendo così un mutamento radicale unilaterale, ad opera del sistema finanziario della parte creditrice, delle condizioni originarie a cui erano stati compiuti gli investimenti in America Latina. La crisi dei pagamenti delle rate relative agli investimenti da parte di tutti i Paesi dell’America Latina fu immediata. Peraltro, si era verificata una violazione dei limiti del livello lecito degli interessi e inoltre un aggravamento della onerosità della prestazione per fatto, sia pure indirettamente, del creditore, nonché di una serie violazioni di altri principi.

Mi è grato ricordare oggi che Tafaro ha organizzato nel 1995, a Foggia, un Convegno su: L’usura ieri e oggi, Atti 1997. Come indica il titolo, “usura ieri e oggi”, l’attenzione era rivolta al diritto romano e alla sua vigenza odierna nei principi generali del diritto.

Il Convegno inquadrò il tema dell’usura sia guardando alla grave crisi del debito internazionale dell’America Latina su cui avevamo avviato da alcuni anni una ricerca internazionale, sia la pratica di interessi usurari presente in troppe situazioni della vita quotidiana del nostro Paese, e ciò in considerazione dell’intreccio fra gli uni e gli altri in questo nostro mondo di vasi comunicanti. Ne sono emersi sia l’esigenza di ribadire i principi e affinare la normativa in materia di interessi usurari, sia la assoluta attualità di rinnovare la consapevolezza della presenza di quel diritto comune gentium/delle genti, che coinvolge direttamente tutti gli uomini e che è costituito dal sistema del diritto romano oggi ancora vigente per tutti nei principi generali del diritto che, con troppa timidezza e miope idolatria dello stato nazionale sovrano assoluto (“miope statolatria”: Del Vecchio), si stenta a pretendere siano operazionali a livello globale.

I risultati di quella riflessione di Foggia hanno concorso alla redazione dei principi della Carta di Sant’Agata dei Goti. Dichiarazione su usura e debito internazionale, 1997, e si sono inseriti in quel movimento di dottrina europea e latinoamericana che, a fianco dell’approfondimento dell’esame dei principi predetti, sosteneva l’importanza della richiesta di un parere della Corte Internazionale di Giustizia in merito alla violazione di principi generali del diritto nella gestione del debito stesso, richiesta di parere che due Conferenze Interparlamentari Europa-America Latina e anche una legge italiana del 2000 (L. n. 209 e il suo art. 7) hanno fatto propri (invano!!: vi era e vi è la paura persino dei pareri!!).

 

 

2. – America Latina

 

Delle molte presenze di Tafaro in America Latina – non posso non menzionare che per i suoi contributi scientifici gli è stato conferito il titolo di Membro onorario della importante Academia Brasileira de Letras Jurídicas - dicevo: delle molte presenze di Tafaro in America Latina, ricordo in particolare quella a Bogotà nel 1999, e il suo contributo al Secondo convegno su: El contrato en el sistema jurídico latinoamericano: bases para un Código latinoamericano tipo i cui atti sono pubblicati Bogotà, 2001.

Eravamo una bella delegazione, con Rescigno, Visintini, De Los Mozos, Knütel, Cardilli e il tema era, e rimane, a me assai caro: quello della unificazione del diritto delle obbligazioni.

Il nostro onorato ha parlato della Perecuación entre las prestaciones: recurso a la cogitatio.

Cogitatio, termine-concetto a cui si è poi anche dedicato altre volte: ad es., in un articolo su: La limitazione dei debiti, del 2000; in uno su Sperequazione delle prestazioni e ricorso alla cogitatio (St. Buttaro, 2002) proprio per sottolineare come esso serva per adeguare ciò che si è convenuto a un necessario equilibrio contrattuale fra le parti, considerate nella loro concretezza di uomini che vivono in circostanze mutevoli. Questo collegamento del diritto delle obbligazioni agli uomini, Tafaro lo ha anche, giustamente, esplicitato in un altro articolo su Riflessioni sul rapporto fra buona fede, debito e condizione della persona e poi ha richiamato il tema all’interno di un altro articolo su Diritto e persona: centralità dell’uomo del 2006; e infine nel suo libro: Ius hominum causa constitutum del 2009 (giusto 10 anni fa).

In questo libro, il termine-concetto cogitatio è inserito nel capitolo su: “Obbligazioni: bilanciamento delle prestazioni”, tema per il quale esso offre uno strumento per adeguate messe a punto di tutte le circostanze della vita della obbligazione, anche di quelle che si possono verificare nel corso dell’esecuzione della stessa (ad es., p. 197 ss., emblematica è l’esegesi di D. 19.1.43 di Paolo in cui l’esame di un parere di Giuliano apre, come Tafaro sottolinea, uno sviluppo rispetto alle anteriori concezioni di Labeone e di Aristone per i quali la necessità di equivalenza della onerosità delle prestazioni da contratto è concentrato sul momento del compimento dell’atto da cui scaturiscono le obbligazioni stesse; rispetto a tale impostazione, Giuliano infatti apre una finestra sui momenti successivi della vita dell’obbligazione, in relazione ai quali la considerazione della cogitatio che la parte obbligata ha compiuto od avrebbe potuto normalmente compiere consente di distinguere fra ciò che, anche verificandosi, non avrebbe distolto la stessa dall’assumere l’obbligazione, da ciò che invece l’avrebbe indotta a non assumerla. Conclude Tafaro: «questa era la priorità della persona nel diritto» che «deve valutare il singolo agente in base a un criterio di ‘normalità’ di previsioni: diversamente [tale singolo agente] sarebbe non tutelato, bensì ‘schiacciato’ dal diritto»).

Sebastiano Tafaro, peraltro, affrontando l’argomento che ho ora richiamato nel contesto di un Convegno sulla unificazione del diritto, aveva presente sia la rilevanza specifica della unificazione stessa in materia di obbligazioni per accrescere la ‘resistenza’ dei principi ad esse relativi, sia come la sua osservazione si collegasse con l’altra tematica che ho richiamato: quella del debito internazionale dell’America Latina e della violazione di principi generali del diritto nella gestione di esso; principi generali che in tali testi antichi hanno la loro culla.

Il rinascimento del diritto romano comune delle genti è necessario per il diritto in questa globalizzazione che altrimenti schiaccia le persone.

 

 

3. – La traduzione dei Digesti

 

Con Tafaro ci siamo incontrati anche per il lavoro della traduzione dal latino all’italiano dei Digesti di Giustiniano e dei suoi giuristi, da me a suo tempo proposto e coordinato.

Egli ha tradotto D. 9,4; tutto il libro D. 15; il titolo D. 19.1, delicatissimo; tutto il libro D. 20; e poi D. 27, dal titolo 2 al 10. Inoltre, insieme al latinista e collega Orazio Bianco, ha organizzato un Convegno a Lecce, su: “Il linguaggio dei giuristi romani”, atti 1999, che costituisce un contributo di filologia latina e di diritto romano. Il ‘tradurre’ per lo più non viene adeguatamente valutato e sia quel convegno fu di grande aiuto per noi stessi, che traducevamo, sia fu di aiuto l’accompagnarci nel tradurre lui stesso tanti testi.

Tradurre è trasferire da un sistema di segni ad un altro, ma le corrispondenze non sono sempre dirette; tradurre è anche trasferire da un sistema di significati in un altro, e le difficoltà e i problemi in certa misura aumentano. Pur in quel mondo bilingue greco-romano dell’impero, l’elaborazione del diritto rimase legata al latino; non che il greco non venisse usato nell’uso del diritto romano, tanto che ancora Modestino, nel III sec. d.C., scriveva una monografia in greco, ma sottolineava che questa lingua è poco adatta al diritto e che lui userà il latino laddove si debba poi fare uso in tribunale di quanto è scritto (D. 27.1).

Peraltro, l’elevato grado di elaborazione scientifica dei giuristi romani consolida la ‘cosa’ designata da un termine; inoltre, le ‘cose’ del diritto romano costituiscono tendenzialmente un sistema e ciò che viene trasferito nel tradurre è questo sistema, che, per così dire, può forzare-adeguare il sistema di segni in cui viene trasferito così che i significati sono tendenzialmente più resistenti e tendono a conservarsi. Ulteriormente, con la codificazione giustinianea questa tendenza di unitaria coerenza del sistema si è rafforzata, e, da un lato, la traducibilità si è per così dire accresciuta, d’altro lato si è accresciuta anche la volontà di rendere quel diritto proprio alla propria concreta identità, di farne un segno identitario.

Così vediamo che il mondo grecofono di Costantinopoli, dell’Oriente del Mediterraneo, che, come detto, usava già da secoli il greco nell’uso quotidiano del diritto, sente quel diritto come pienamente proprio e porta l’uso della propria lingua per la formulazione di esso anche al livello dell’insegnamento universitario, nelle lezioni, nella riflessione scientifica. Gli Antecessori dell’età di Giustiniano traducono i testi in greco, e ciò è formalmente previsto nell’ambito della riforma degli studi che fu parte del codificare stesso.

Un diritto, due lingue. Da qui, un diritto, molte lingue; il bulgaro, le lingue slave, e poi lo spagnolo, il portoghese, il tedesco, il francese, l’italiano, il russo, il giapponese, il cinese ecc.

Il giurista colto deve poter leggere i Digesti.

Nel contesto sopra richiamato della necessità del diritto comune, il diritto romano deve poter essere letto da tutti i giuristi. E noi ci siamo messi a tradurre in italiano e a riflettere scientificamente su ciò che stavamo facendo

Nello stesso tempo, proprio il tradurre, pur con i grandi pericoli di ambiguità che ciò porta con sé, che comportano a volte anche accrescimento delle prospettive che se ne possono trarre, apre la via ad una rilettura del testo antico, a partire da una pulizia terminologico-concettuale che può accompagnarlo, che noi stiamo praticando e che consente a tutti i giuristi del sistema di confrontarsi con una realtà diversa e pur interna a loro stessi, alla loro precomprensione sub specie iuris della realtà, al loro – che è il nostro – nostro modo di essere giuristi, di assumere, dal diritto dell’età della formazione del nostro sistema, o dai suoi accrescimenti posteriori, contributi o motivi di riflessione critica.

Aver condiviso, con Tafaro, anche questo lavoro, le riflessioni che stanno alla base di esso, è per me importante.

 

 

4. – Il civis

 

Da quanto ho cercato di dire, anche se così semplificato e rapido, spero che sia stato possibile accorgersi di come questi incontri con Tafaro, che ora ho voluto ricordare, siano stati per me di profonda amicizia. Non sono stati gli unici, ma devo concludere.

Aggiungo ancora solo una nota.

L’amicizia intitola questi due volumi che vengono offerti al nostro onorato, e che, mi si consenta di dire, sono anche frutto di pietas filiale, e di consortium coniugale a cui rendo omaggio.

Ma torno all’amicizia. La nostra amicizia ha certamente avuto a Sassari, oltre 40 anni fa, una stagione particolare, affiancata da una dimensione extra-accademica che cercava di alleviare la fatica dei suoi viaggi e che per me è stata un complemento dell’amicizia accademica. Per menzionarne un aspetto, anche mia moglie, che avrebbe voluto poter essere presente oggi, ricorda fra l’altro le doti di fotografo di Iano!

La sua capacità di fotografare è capacità di guardare in profondità la realtà che lo circonda.

Taranto, le poche ma significative visite che, a Taranto, Tafaro, mi ha invitato a compiere, mi hanno fatto vedere, quasi toccare con mano come il suo osservare in profondità produca in lui condivisione.

Questo nostro incontro odierno include questa dimensione di condivisione, anche nel collegamento della dimensione accademica con quella “civica” e quella civica a quella umana, e che in Tafaro, che è stato Preside e fondatore delle nuova Facoltà di Giurisprudenza di questa città, è vita vissuta. Oggi, dopo gli interventi accademici, ne sono previsti altri, perché Tafaro è un professore, ma è un cittadino. Per concludere, allora, mi si consenta ancora un cenno di “pulizia concettuale”.

Secondo il Dizionario Treccani, il termine italiano ‘cittadino’ è prima di tutto un aggettivo, deriva da ‘civitate’, variante antiquata di ‘città’ e indica colui che abita in città; dall’aggettivo, deriva il sostantivo ‘cittadino’. Io ritengo, però, che questo termine rimanga anche portatore del concetto espresso dal latino civis. Ed è un po’ di tempo che vengo sottolineando ciò che rilevò già il Benveniste, che in latino civitas/cittadinanza, città deriva da civis; cioè è civis il termine radice e la sequenza civis-civitas/ cittadino-cittadinanza-città fotografa sinteticamente, ma puntualmente un percorso: la civitas, dice il giurista romano Pomponio, ‘è fondata’ dai cittadini, i quali con il loro statuire attraverso le leggi poste dalla loro volontà derivano il loro modo di essere cittadini; sono, cioè, i cittadini che costruiscono la cittadinanza e la città. Qui a Taranto sono venuto ospite altre volte è ho già visto come l’amicizia, di cui è circondato l’amico Tafaro, è una amicitia qualificata, perché è partecipazione alla costruzione della civitas/ della cittadinanza, della città.