Contributi

 

 

Lobrano-1“FORME DI GOVERNO” E DEMOGRAFIA.

APPUNTI STORICO-GIURIDICI SU CAUSE E RIMEDI DELLO SPOPOLAMENTO *

 

 

GIOVANNI LOBRANO

Università di Sassari - Già Preside

della Facoltà di Giurisprudenza

 

 

SOMMARIO: 1. Jean-Jacques Rousseau: spopolamento effetto della peggiore “forma di governo”, quella feudale-rappresentativa. – 1.a. Spopolamento: effetto della peggiore “forma di governo”. – 1.b. Peggiore forma di governo: quella feudale-rappresentativa. – 1.c. Due opposte di forme di governo, feudale-rappresentativa e civica-partecipativa, e loro nesso con la natalità. – 2. Prova storica in Sardegna: spopolamento effetto del subentrare della forma di governo feudale-rappresentativa (catalano-aragonese) alla forma di governo democratica-civica dei Giudicati (di origine romana). – 2.a. Sardegna, secoli IX-XIV: mezzo millennio di forma di governo giudicale, non feudale ma civica-partecipativa. – 2.b. «L’introduzione del feudalesimo, che ebbe luogo con la conquista aragonese (1326), annullò in Sardegna l’ordinamento precedente, basato su istituzioni di tipo comunale, e sconvolse la società». – 2.c. “Spopolamento” e “villaggi abbandonati” in Sardegna: effetto della sopraggiunta forma di governo feudale. – 3. Evo contemporaneo: riscoperta “costituzionale” del sistema civico. – 3.a. Piccolissime e piccole Città per la “migliore costituzione”. – 3.b. Secolo XVIII: straordinaria convergenza sulla individuazione della federazione o confederazione di “villes” ovvero di “cités” come unica forma di governo repubblicano. – 3.c. Secolo XIX: straordinaria convergenza sull’elogio della “commune” ovvero del “municipio” come luogo per eccellenza di realizzazione “libera” e “auto-salvifica” del potere popolare. – 4. Quale ruolo della Città: sua riduzione al decentramento divisivo, con il “federalismo” statunitense, oppure sua espressione nella partecipazione unitiva, con la federazione civica delle Rivoluzioni Francese e Sarda? – 4.a. Costituzione USA (1787): “federalismo” come riduzione della federazione al “decentramento” ovverosia il grande ingresso del feudalesimo nelle Costituzioni contemporanee. – 4.b. “Grande Révolution” (1790-1793): contro il “federalism” a sovranità parlamentare la “fédération” a “sovranità comunale”. – 4.c. “Sarda Rivoluzione” (1793-1796): “Unioni di Ville” contro la “rappresentanza” nel “Parlamento” sardo. – 5. Riforma del Titolo V (2001): tentativo di contrastare il feudalesimo nella Costituzione italiana, ri-fondandola sui Comuni. – 5.a. Correttamente impostato. – 5.b. Insufficientemente realizzato. – 5.c. Gravemente contro-riformato. – 6. Oggi: che fare? – 6.a. Nel silenzio dei giuristi, ascoltiamo la voce degli economisti. Contro i disastri (tra cui lo spopolamento) della concentrazione della ricchezza: programmazione potenziata dal “capitale sociale della tradizione civica” cioè dalla partecipazione autopoietica delle “Comunità”. – 6.b. «Rappresentanza mite. Le seconde Camere e il futuro della democrazia parlamentare». – Abstract.

 

 

 

1. – Jean-Jacques Rousseau: spopolamento effetto della peggiore “forma di governo”, quella feudale-rappresentativa

 

1.a. – Spopolamento: effetto della peggiore “forma di governo”

 

Si deve al Contrat Social (pubblicato nel 1762 ovverosia nell’acme del massimo dibattito scientifico contemporaneo sulla “migliore costituzione”)[1] la dottrina secondo cui lo spopolamento è l’indicatore più certo di cattiva “forma di governo”[2] così come il popolamento lo è di buona “forma di governo”: «Sono sempre sorpreso [scrive Jean-Jacques Rousseau] che le persone non riconoscano un segno così semplice, o abbiano la malafede di non convenirne. Qual è il fine dell'associazione politica? È la conservazione e la prosperità dei suoi membri. E qual è il segno più sicuro che essai si conservano e anzi si incrementano? È il loro numero è la popolazione. Non cercate dunque altrove questo segno fondamentale. A parità di altre condizioni, il governo sotto il quale, senza mezzi stranieri, senza naturalizzazioni, senza colonie, il numero dei cittadini più cresce e si moltiplica è, infallibilmente, il migliore; quello sotto il quale un popolo diminuisce e perisce è il peggiore»[3].

 

 

1.b. – Peggiore forma di governo: quella feudale-rappresentativa

 

La forma di governo “peggiore” è – secondo lo stesso Rousseau – quella “feudale”: «governo feudale, un sistema assurdo se mai ce ne fu uno, contrario ai principi del diritto naturale e ad ogni buon governo»[4].

L’elemento distintivo del governo feudale è – sempre secondo Rousseau – l’istituto della “rappresentanza”, ovverosia l’istituto in forza del quale i membri della collettività sono esclusi dalla partecipazione al governo di sé medesimi in quanto “sostituiti”[5] da – appunto – “rappresentanti” riuniti nel “Parlamento”: «L’idea dei rappresentanti è moderna: ci viene dal governo feudale, da quel governo iniquo e assurdo in cui la specie umana è degradata, e dove il nome dell’uomo è disonorato»[6]. Che l’elemento discretivo della forma di governo feudale sia la rappresentanza non è una tesi rousseauiana. Qualche anno prima di lui già lo aveva affermato Montesquieu, il quale però (dal punto di vista del ceto aristocratico cui egli appartiene) giudica quella rappresentativa la migliore specie di governo (Esprit des lois, 1748, 11.8)[7].

La origine feudale della rappresentanza “parlamentare”[8] è stata negata con forza ‘et pour cause’ alla fine dell’Ottocento, quando la borghesia uscita vittoriosa dalla ‘Grande Révolution’, ha scientificamente consacrato questo istituto come la unica forma possibile di volizione unitaria collettiva[9], e sono ancora in molti a non rendersi conto di tale origine, sebbene essa sia ormai acquisita alla letteratura scientifica specialista[10].

 

 

1.c. – Due opposte di forme di governo, feudale-rappresentativa e civica-partecipativa, e loro nesso con la natalità

 

La prima considerazione è che le due opposte (“peggiore e migliore”) forme di governo, con cui egli si confronta, sono quella “feudale” e quella “repubblicana”. La forma di governo feudale (a suo avviso: la “peggiore” e di “modello [medievale] moderno-inglese”) ha i massimi esponenti moderno e proto-contemporaneo, rispettivamente, in Thomas Hobbes [Leviathan, 1651][11] e Montesquieu (EdL, cit.)[12] ed è esclusivamente individualista-competitiva. La forma di governo “repubblicana” (a suo avviso: la “migliore” e di “modello antico-romano”) ha il massimo esponente moderno in Johannes Althusius [Politica, 1603][13] ed è prevalentemente comunitaria-solidale. La costituzione della collettività in “comunità” si realizza soltanto nella partecipazione dei membri della collettività alla volizione unitaria collettiva per la individuazione e per il perseguimento della communis utilitas ovvero del bonum commune; ciò che può avvenire soltanto in ciascuna delle (piccole) collettività locali e nei loro insiemi[14].

La seconda considerazione è che i nuclei familiari costituiti dalle coppie coniugali saranno: α) tanto più propensi ad avere figli quanto più si percepiranno in un contesto caratterizzato dalla solidarietà (non riducibile al “welfare State”) di cui i figli potranno beneficiare e cui potranno essere affidati; β) tanto meno propensi ad averne quanto più si percepiranno in un contesto caratterizzato dalla competitività, da cui questi dovranno invece difendersi ed essere difesi con una combinazione potenzialmente tossica di iper-competitività e di iper-protezione.

Il cambiamento della forma di governo è impresa complessa e ardua e vi sono certamente mezzi più semplici e agevoli per combattere lo spopolamento[15]. All’uso di questi mezzi non si deve certamente rinunciare, tuttavia, se la dottrina rousseauiana è corretta (come [vedi, infra, § seguente] proprio la vicenda storica sarda appare provare), per condurre realmente questo ‘combattimento’ dovremo affrontare seriamente questa ‘impresa’.

 

 

 

2. – Prova storica in Sardegna: spopolamento effetto del subentrare della forma di governo feudale-rappresentativa (catalano-aragonese) alla forma di governo democratica-civica dei Giudicati (di origine romana)

 

2.a. – Sardegna, secoli IX-XIV: mezzo millennio di forma di governo giudicale, non feudale ma civica-partecipativa

 

La storia giuridica sarda appare confermare pienamente la tesi dello spopolamento quale effetto (perlomeno anche) della cattiva forma di governo.

Il massimo specialista del feudalesimo, Marc Bloch, ha definito ‘in negativo’ la Sardegna «terra senza feudalesimo»[16]. Studi recenti hanno richiamato la attenzione sulla straordinaria specificità storico-istituzionale ‘in positivo’ della Sardegna. L’Isola, durante i cinque secoli (dal IX al XIV) in cui nel resto della Europa si instaura il feudalesimo, è caratterizzata da una organizzazione democratica a struttura civica, la organizzazione giudicale[17]; il cui potere, lungi dall’esaurirsi in quello centrale del Giudice, si esprime principalmente in quello diffuso del popolo giudicale, strutturato nelle “biddas” (o “ville”: piccole o piccolissime ‘città’)[18].

Nel periodo di massima fioritura della organizzazione giudicale, la Sardegna è divisa in quattro Giudicati: di Gallura, di Torres (o Logudoro), di Arborea e di Calari (o Calaris). La struttura istituzionale di ogni Giudicato è fortemente comunitaria. Essa è articolata su tre livelli di aggregazioni successive, tutte a base civica: il livello di base delle “biddas”, il livello intermedio delle “curatorias” (sorta di distretti comprendenti ciascuno più “biddas”) e il livello finale del “logu” (parola con cui è indicato l’intero Giudicato). I tre livelli sono legati tra loro da assemblee dette “coronas”, secondo un ordine centripeto di formazione progressiva della volontà comunitaria. Le “coronas de bidda” riuniscono ciascuna i cives di ogni “bidda”. Le “coronas de curatoria” riuniscono ciascuna i majores (l’equivalente dei Sindaci odierni)[19] delle “biddas” di quel distretto. La “corona de logu” riunisce i delegati delle “curatorias”. Si ha notizia di riunioni – seppure eccezionali – della ‘corona inter-giudicale’[20].

 

 

2.b. – «L’introduzione del feudalesimo, che ebbe luogo con la conquista aragonese (1326), annullò in Sardegna l’ordinamento precedente, basato su istituzioni di tipo comunale, e sconvolse la società»

 

È osservazione unanime che in Sardegna il feudalesimo giunge soltanto nel secolo XIV, con la conquista catalana-aragonese[21], e vi porta il “sistema rappresentativo”, il quale si manifesta soprattutto nel Parlamento stamentale con sede in Cagliari[22].

In particolare, notano il tardo subentrare in Sardegna della organizzazione feudale alla organizzazione civica: Alberto Boscolo (il quale afferma che «L'introduzione del feudalesimo, che ebbe luogo con la conquista aragonese (1326), annullò in Sardegna l'ordinamento precedente, basato su istituzioni di tipo comunale, e sconvolse la società»)[23] e Marco Tangheroni (il quale anche ne sottolinea la contrapposizione alle Città)[24].

 

 

2.c. – “Spopolamento” e “villaggi abbandonati” in Sardegna: effetto della sopraggiunta forma di governo feudale

 

L’avvento del feudalesimo nell’Isola vi comporta lo spopolamento.

Il giurista Francesco Loddo Canepa, in uno saggio significativamente intitolato “Lo spopolamento della Sardegna durante la dominazione aragonese e spagnola”[25], scrive: «Lo spopolamento rapido e progressivo della Sardegna, iniziatosi nei primi tempi della dominazione aragonese, si va accentuando in modo impressionante nella seconda metà del secolo XIV e perdura per tutto il secolo successivo».

Il letterato Marco Tangheroni, in un saggio anche esso significativamente intitolato “Per lo studio dei villaggi abbandonati a Pisa e in Sardegna nel Trecento”[26], ammonisce di non «sottovalutare l’importanza gravissima della svolta che per l’evoluzione dell’isola significò la conquista aragonese e la conseguente introduzione del feudalesimo» e osserva che «L’indubbio regresso demografico e l’abbandono di certi villaggi […] sembrano piuttosto da mettersi in relazione con questa importante svolta rappresentata dalle conseguenze della conquista aragonese che con una tendenza interna ed irresistibile della storia sarda» e mette in evidenza che «l’assenza di regresso demografico e di abbandono di centri abitati che distingue la storia dell’Arborea e della Marmilla da gran parte del resto dell’isola ci sembra da riportare a due fattori […] da una parte la mancata introduzione, fino ai primi decenni del XV secolo, del feudalesimo, dall’altra la vitalità economica e commerciale del giudicato d’Arborea». Lo stesso Autore scrive anche di «diversità di destino delle regioni e delle città non immediatamente investite dalla riorganizzazione feudale di tipo aragonese» e di «gravità delle conseguenze, di ogni ordine, che l’introduzione del feudalesimo portò con sé e con la sua dicotomia città e campagne» e, a dimostrazione del suo assunto, cita le curatorie di Gippi e Trexenta, le quali conservano «tratti fortemente tipici della società sardo-pisana, non feudale, in dinamica evoluzione, propria della Sardegna duecentesca»[27].

Più recentemente, è stato confermato, che le comunità locali del territorio arborense «hanno conosciuto in modo differito e attutito la grave crisi del XIV e XV secolo conseguente all’introduzione del feudalesimo»[28].

 

 

 

3. – Evo contemporaneo: riscoperta “costituzionale” del sistema civico

 

3.a. – Piccolissime e piccole Città per la “migliore costituzione”

 

Gli Amministratori locali, specie quelli di Città (Comuni) piccole o molto piccole, possono oggi ricevere la impressione di svolgere un cómpito istituzionale modesto. Nulla di più falso. Il loro ruolo costituzionale è fondamentale e tale carattere tanto più si manifesta quanto più è negato.

Abbiamo già osservato (supra, § 1.a) che trovare e realizzare la migliore “costituzione politica” è la questione posta a fuoco alla origine della epoca contemporanea (nel secolo XVIII). Tale questione continua a determinare il pensiero e la azione del continente europeo (e dei continenti da questo influenzati) lungo i secoli XIX e XX e fino ai giorni nostri.

In tutta questa stessa epoca si afferma – praticamente senza eccezioni – la coscienza della necessità di strutturare ogni grande collettività pubblica in un sistema complesso di collettività, di tipo federativo o confederativo a più livelli, la “società di società”, i cui nuclei costitutivi sono le comunità locali: le “città”[29] ed esse sono non le rare città grandi o comunque eccezionali (come, ad esempio, Roma o Firenze) ma le numerose anzi numerosissime città piccolissime, piccole o medie e comunque assolutamente ‘normali’.

Adattando il titolo di una fortunata opera di storia giuridica (Ernst H. Kantorowicz, The King’s two Bodies, Princeton 1957) direi trattarsi della riscoperta della idea esperienza millenarie dei “due corpi del Popolo”. Secondo il Diritto romano, il Popolo è precisamente un “corpo” (corpus ex distantibus [Pomp. D. 41.3.30; Gai. D. 3.4.1]) e la esistenza del Popolo ha il proprio “principio” nella “cittadinanza” di ciascuna città e il proprio esito nella “Confederazione delle Città”[30].

 

3.b. – Secolo XVIII: straordinaria convergenza sulla individuazione della federazione o confederazione di “villes” ovvero di “cités” come unica forma di governo repubblicano

 

Del dibattito sulla migliore “costituzione” (che si svolge durante il Secolo dei Lumi e prepara la “Grande Révolution”) i due “philosophes” Montesquieu (l’aristocratico)[31] e Rousseau (il democratico)[32] sono gli esponenti massimi e opposti. Essi, però, concordano in maniera persino straordinaria sull’istituto della “fédération” o “confedération”[33] di Città (“villes” nel lessico di Montesquieu, “cités” in quello di Rousseau) come la unica forma di governo repubblicano.

Entrambi muovono dalla medesima osservazione: essere necessarie alla Repubblica due opposte e contestuali dimensioni: la piccola dimensione, la quale consente alla “repubblica” il governo ad essa proprio, e la grande dimensione, la quale le consente la sopravvivenza.

Ancora entrambi individuano la soluzione dell’apparentemente insolubile problema della giusta dimensione repubblicana nella contestualità della repubblica-città (quale piccola dimensione della repubblica) e nella federazione o confederazione delle repubbliche-città (quale sua grande dimensione, ciò che non esclude la possibilità di ulteriori più complesse aggregazioni).

Montesquieu (Esprit des lois, 1748) scrive «Si une république est petite, elle est détruite par une force étrangère; si elle est grande, elle se détruit par un vice intérieur. [à cause de] ce double inconvénient […] les hommes auraient été à la fin obligés de vivre toujours sous le gouvernement d’un seul, s’ils n’avaient imaginé une manière de constitution qui a tous les avantages intérieurs du gouvernement républicain, et la force extérieure du monarchique. Je parle de la république fédérative. Cette forme de gouvernement est une convention par laquelle plusieurs corps politiques consentent à devenir citoyens d’un État plus grand qu’ils veulent former. C’est une société de sociétés, qui en font une nouvelle, qui peut s’agrandir par de nouveaux associes qui se sont unis. […] Les association des villes […] Cette sorte de république, capable de résister à la force extérieure, peut se maintenir dans sa grandeur sans que l’intérieur se corrompe: la forme de cette société prévient tous les inconvénients.»[34].

Rousseau (Cs, 1762, 3.15)[35] scrive «Tout bien examiné, je ne vois pas qu’il soit désormais possible au Souverain [ossia, nel lessico del Ginevrino: il Popolo] de conserver parmi nous l’exercice de ses droits si la cité[36] n’est très-petite. Mais si elle est très-petite elle sera subjuguée? Non. Je ferai voir ci-après* comment on peut réunir la puissance extérieure d’un grand peuple avec la police aisée & le bon ordre d’un petit Etat. [* C’est ce que je m’étois proposé de faire dans la suite de cet ouvrage, lorsqu’en traitant des relations externes j’en serois venu aux confédérations. Matière toute neuve & où les principes sont encore à établir.]»[37].

La “république fédérative” (Montesquieu) o “confédération” (Rousseau) è, secondo entrambi i massimi Autori politici-giuridici del Settecento, semplicemente la repubblica-Città necessariamente “cresciuta” e “ingrandita”[38]; però: non per aumento dei suoi membri individuali ma per associazione di repubbliche-città[39]. È – per usare ancora la formula assolutamente precisa di Montesquieu – una “società di società”. Come gli uomini si associano per formare la città - piccola repubblica, così le città - piccole repubbliche si associano per formare la grande repubblica di città.

 

3.c. – Secolo XIX: straordinaria convergenza sull’elogio della “commune” ovvero del “municipio” come luogo per eccellenza di realizzazione “libera” e “auto-salvifica” del potere popolare

 

Ritroviamo la attenzione e la ammirazione per il ruolo decisivo delle (piccole) Città anche nel secolo XIX, pur caratterizzato – in Europa – dal fenomeno anti-rivoluzionario della “Restaurazione”[40].

Teatro di tale ruolo è il Nuovo Continente, l’America, sia quella di lingua inglese sia quella di lingua iberica, in particolare castigliana.

L’aristocratico francese Alexis de Tocqueville (1805-1859) e l’emigrato spagnolo in Cuba José Martí (1853-1895) sono due esponenti di spicco della cultura giuridico-politica ottocentesca, tra loro estremamente diversi, il cui comune interesse è il ‘nuovo mondo’ americano: degli Stati Uniti d’America, Tocqueville, e della America latina - “nuestra América”, Martí. Anche essi concordano in maniera persino straordinaria sulla rilevanza benefica della istituzione civica, che Tocqueville indica come la “commune” e Martí come il “municipio” e di cui entrambi formulano grandi elogi.

Alexis de Tocqueville[41] scrive (1835) a proposito della Costituzione federale USA del 1787: «Les États qui composent de nos jours l’Union américaine, présentent tous, quant à l’aspect extérieur des institutions, le même spectacle. La vie politique ou administrative s’y trouve concentrée dans trois foyers d’action, qu’on pourrait comparer aux divers centres nerveux qui font mouvoir le corps humain. Au premier degré se trouve la commune, plus haut le comté, enfin l’État. […]. Ce n’est pas par hasard que j’examine d’abord la commune. La commune est la seule association qui soit si bien dans la nature, que partout où il y a des hommes réunis, il se forme de soi-même une commune. […] c’est l’homme qui fait les royaumes et crée les républiques; la commune paraît sortir directement des mains de Dieu. Mais si la commune existe depuis qu’il y a des hommes, la liberté communale est chose rare et fragile. […] C’est pourtant dans la commune que réside la force des peuples libres. Les institutions communales sont à la liberté ce que les écoles primaires sont à la science; elles la mettent à la portée du peuple; elles lui en font goûter l’usage paisible et l’habituent à s’en servir. Sans institutions communales une nation peut se donner un gouvernement libre, mais elle n’a pas l’esprit de la liberté.»[42].

José Martí scrive (1891) «El Municipio es lo más tenaz de la civilización romana, y lo más humano de la España colonial [...] por los Municipios, en lo más de las colonias entró en la libertad la América. Esa es la raíz y esa es la sal de la libertad: el Municipio. El templa y ejercita los caracteres, el habitúa al estudio de la cosa pública, y a la participación en ella, y a aquel empleo diario de la autoridad por donde se aquilata el temple individual, y se salvan de sí propio los pueblos»[43].

 

 

4. – Quale ruolo della Città: sua riduzione al decentramento divisivo, con il “federalismo” statunitense, oppure sua espressione nella partecipazione unitiva, con la federazione civica delle Rivoluzioni Francese e Sarda?

 

4.a. – Costituzione USA (1787): “federalismo” come riduzione della federazione al “decentramento” ovverosia il grande ingresso del feudalesimo nelle Costituzioni contemporanee

 

Un ulteriore grave problema mina, però, la unanimità contemporanea sulla necessità di un sistema costituzionale federativo o confederativo a più livelli, il cui livello base è quello delle piccole o piccolissime Città. È il problema della formazione ovverosia della manifestazione della volontà di tale sistema.

Anche durante la epoca contemporanea l’Europa e il Mondo hanno dovuto fare (e continuano a dover fare) i conti con la forza e la pervasività della giustificazione del potere dei gruppi dominanti (“aristocrazie”, “élites”) offerta dall’istituto feudale della “rappresentanza” ovverosia della “sovranità parlamentare”[44].

Questo istituto sorge già alla fine del secolo XIII, in Inghilterra, come correzione[45] della prassi parlamentare introdotta un secolo prima in Spagna[46]. La ‘correzione’ consiste precisamente nel divieto ai Comuni di ‘mandato imperativo’[47] ai propri delegati nel Parlamento (precisamente nella “Camera dei Comuni”)[48].

La elaborazione scientifica dell’istituto va dal secolo XVII al secolo XX. Nel secolo XVII, l’istituto è sistematizzato da Edward Coke[49] e giustificato da Thomas Hobbes (quest’ultimo con la dottrina della natura “astratta” del “popolo” ovvero della sua inesistenza)[50]. Nel secolo XVIII, è rilanciato da Montesquieu (EdL, 11.8)[51] e William Blackstone[52]. Infine, nei secoli XIX e XX è assunto a espressione indiscussa e indiscutibile della ragione applicata al diritto (anche privato)[53] e alla politica. Questa ultima consacrazione è operata dalla dottrina storico-giuridica (romanista) tedesca (in particolare Friedrich von Savigny e Bernhard Windscheid) e italiana (in particolare Riccardo Orestano)[54] mediante la assolutizzazione (non dichiarata ma evidente) della dottrina hobbesiana[55].

Nella prima costituzione federale del secolo XVIII (la Costituzione USA del 1787) questo istituto è tradotto nella riduzione della federazione a “decentramento” (“amministrativo”). È la esclusione delle Città dalle scelte “politiche”. Questa riduzione/esclusione è la ‘finestra’ attraverso la quale il feudalesimo entra nelle Costituzioni contemporanee. Il massimo interprete della Costituzione USA del 1787 [56], Alexis de Tocqueville (De la démocratie en Amérique, loc. cit.) lo loda perché combinazione della «extrême décentralisation administrative» con la «très grande centralisation gouvernementale». Ed è stato rilevato che l’opera teorica di promozione dell’impianto della costituzione USA, The Federalist (N.Y. 1787-1788) di Alexander Hamilton, James Madison e John Jay, «appare una nota a piè di pagina alla teoria della sovranità di Hobbes»[57].

 

4.b. – “Grande Révolution” (1790-1793): contro il “federalism” a sovranità parlamentare la “fédération” a “sovranità comunale”

 

Troviamo la riduzione anglosassone della federazione a “decentramento amministrativo” nel cuore del dibattito che anima la ‘Grande Révolution’ (esplosa due anni dopo).

È lo scontro tra il “federalism” USA, espressamente propugnato dai girondini Jacques Pierre Brissot e Charles Michel Trudaine de la Sablière, e la “fédération”, la cui “Fête” è celebrata sul Campo di Marte il 14 luglio 1790 (primo anniversario della presa della Bastiglia) e che è propugnata dal giacobino Louis Antoine de Saint-Just, nel cui “Essai de constitution” (presentato il 27 aprile 1793) è affermato (Chap. II, art. 6) «La souveraineté de la nation réside dans les communes»[58] e, nel cui discorso del 15 maggio 1793 è criticato il progetto di costituzione girondino precisamente perché “divisivo” e non unitivo del popolo[59].

 

4.c. – “Sarda Rivoluzione” (1793-1796): “Unioni di Ville” contro la “rappresentanza” nel “Parlamento” sardo

 

In uno degli “studi recenti” della storia giuridica sarda menzionato supra (§ 2.a)[60] si osserva che, al di là delle narrazioni (certamente intriganti) di “capi” (certamente importanti) quale, in particolare, l’ “Alternos” Giovanni Maria Angioy, la “Sarda Rivoluzione” del triennio 1793-1796 è essenzialmente un moto civico anti-feudale, il quale si esprime in maniera straordinariamente tecnico-giuridica; ovverosia: attraverso atti formali di “unioni di ville”, redatti alla presenza e con la assistenza di notai.

La rivendicazione di fondo (espressa in maniera particolarmente precisa nel “patto di unione” sottoscritto il 27 marzo 1796 a Thiesi, tra le ville di Thiesi, Cheremule e Bessude) è contro i rappresentanti dei loro territori nel Parlamento sardo. Le tre Ville contestano con forza che questi «possano votare […] primaché sopiano quale sia il voto, e desiderio delle inf/tte Ville, e loro abitanti [...] Non deesi in fatto prescindere di far presente l’incongruenza per non dir l’assurdo, che da pochi soggetti si desse il voto in un affare cotanto sostanziale, contro la già dichiarata volontà, e protesta de’ commitenti».

Il nerbo (giuridico) della “Sarda Rivoluzione” è le rivendicazioni delle unioni di piccole Città sarde (le Biddas o Ville) contro l’istituto feudale di un Parlamento i cui membri (rappresentanti) decidono indipendentemente dalla volontà di quelle Città.

Dunque la “Sarda Rivoluzione” avanza la medesima rivendicazione posta dalla “Grande Révolution”: il ri-equilibrio del potere centralizzato del Parlamento con il potere diffuso del sistema delle (piccole) Città (‘Communes’, ‘Biddas’) ovverosia il riequilibrio della rappresentanza con la partecipazione.

 

 

5. Riforma del Titolo V (2001): tentativo di contrastare il feudalesimo nella Costituzione italiana, ri-fondandola sui Comuni

 

5.a. – Correttamente impostato

 

Questa rivendicazione resta fino ad oggi centrale per la definizione e la realizzazione del “buon governo”. Circa due secoli dopo, la troviamo nel Commentario della Costituzione (1975) italiana diretto dal già presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca e dove il grande – forse massimo – costituzionalista italiano, Costantino Mortati, commentando l’art. 1, ha scritto, con evidente amarezza, che in Italia abbiamo non la sovranità del Popolo ma la sovranità del Parlamento[61].

Nel 2001, ritroviamo la medesima rivendicazione alla base della riforma del Titolo V della Costituzione italiana, dedicato al sistema delle Autonomie.

I tre pilastri di questa riforma (di gran lunga la più rilevante tra quelle realizzate dal 1948 ad oggi) sono: il principio ispiratore, la struttura dinamica e il ferro di lancia operativo. Il principio ispiratore, menzionato all’art. 118, è la “sussidiarietà”[62]. La struttura dinamica è scolpita nella riformulazione dell’articolo 114, il 1° del Titolo. Nella vecchia formulazione, esso disponeva: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni». Nella nuova formulazione esso dispone: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». Il ferro di lancia operativo è posto, dall’art. 23, nell’istituto del CAL - Consiglio delle Autonomie Locali, che riunisce il sistema dei Comuni di ogni Regione in una sorta di seconda camera regionale.

La novità essenziale della riforma è il cambiamento anzi il rovesciamento della concezione della natura del sistema repubblicano di collettività. Con la riforma, la Repubblica italiana è: non più una entità strutturalmente e dinamicamente divisa, della quale i Comuni sono le ultime propaggini; ma una entità strutturalmente e dinamicamente unita, della quale i Comuni sono i primi elementi costitutivi. Ovviamente, perché tale novità essenziale nella concezione della natura del sistema repubblicano di collettività sia reale e non soltanto nominale, essa deve comportare una novità altrettanto essenziale nel regime della sua volizione. Ciò significa che il regime del decentramento amministrativo (cioè la divisione esecutiva della volontà politica nelle volizioni locali) deve essere se non sostituito quanto meno integrato (e, nel connesso iter, preceduto) dalla partecipazione politica (cioè dal concorso delle volizioni locali alla definizione di quella volontà)[63] e le collettività locali trasformate in comunità locali.

Che questo fosse il disegno di fondo della riforma del 2001 è dimostrato dalla attività normativa che la precede ma anche la segue.

Della attività normativa precedente inizio con il ricordare, in ordine cronologico, il lavoro preparatorio, svolto dal 1983 al 1997, dalle tre Commissioni bicamerali per la riforma della Costituzione[64]. Ricordo quindi: α) la legge 142 del 1990 sull’“Ordinamento delle Autonomie Locali”, che ne introduce le nozioni strutturale di “sistema” e dinamica di “partecipazione” alla “programmazione” (da parte dei cittadini in ogni Comune e dei Comuni in ogni Regione, in ottica “cooperazionale”) e vi introduce il “Difensore civico” locale come “istituto di partecipazione”[65]; β) il Trattato di Maastricht, del 1992, che introduce nella Unione Europea il principio di “sussidiarietà”[66]; γ) la legge n. 81 del 1993, che introduce la elezione diretta dei Sindaci su “programma”[67]; δ) il decreto legislativo n. 267 del 2000, che (in applicazione della legge 265 del 1999) introduce le “Unioni di Comuni” in funzione della “partecipazione” (distinguendo chiaramente tra “partecipazione” e “decentramento”)[68]. Ricordo anche il progetto di legge (davvero straordinario seppure ancora magmatico) di “revisione” di tutta la Parte seconda della Costituzione, formulato nel 1997 dalla terza Commissione bicamerale, presieduta dall’on. Massimo D’Alema. Secondo questo progetto, la nuova intestazione della Parte seconda della Costituzione sarebbe dovuta essere “Ordinamento federale della Repubblica” e il suo nuovo Titolo I sarebbe dovuto essere “Comune, Provincia, Regione, Stato” (in luogo de “Il Parlamento”, spostato a Titolo IV)[69]. Mi permetto di menzionare anche il testo del disegno di legge regionale (formulato tra il 1994 e il 1995 di intesa con i rappresentanti dell’ANCI, dell’UNCEM e dell’UPI sarde) con il quale, sei anni prima della creazione dei CAL, come Assessore RAS al Personale e alla Riforma della Regione, ho tentato di coinvolgere il sistema delle Autonomie locali nella scrittura della programmazione regionale, allora disciplinata dalla l.r. 33/1975 [70].

Della attività normativa seguente ricordo infine il tentativo, effettuato tra il 2014 e il 2016 dal Governo italiano, presieduto dall’on. Matteo Renzi, di riformare il Senato in “Senato delle Autonomie” che (sul modello, come fu autorevolmente detto, dell’attuale ‘Bundesrat’ tedesco)[71] avrebbero dovuto consentire la partecipazione delle Regioni al governo (sempre in senso lato) dello Stato[72].

Questo disegno giuridico/istituzionale democratico è di oggettiva ascendenza althusiano-rousseauiana. È, cioè, volto a realizzare la partecipazione in (e per mezzo di) un sistema di Comunità locali, la cui volizione procede in senso crescente e centripeto/unitario: dai Cittadini ai Comuni, alle Province, alle Regioni, allo Stato e alla Unione Europea.

 

5.b. – Insufficientemente realizzato

 

Questo disegno, però, in parte non è stato realizzato e in parte è stato realizzato in maniera esitante e debole: in definitiva inefficiente e inefficace.

Tra le realizzazioni mancate ricordo i naufragi del progetto di legge “D’Alema” (1997)[73] e del disegno di legge “Renzi” (2014). Inoltre, la Giunta RAS, che nel ’95 approvò il disegno di legge di riforma partecipativa della programmazione regionale, ebbe vita breve e il disegno di legge, da essa licenziato, non approdò mai al Consiglio.

Le realizzazioni esitanti e inefficienti-inefficaci hanno indebolito tutti e tre i ‘pilastri’ della riforma. La formulazione del principio di sussidiarietà si è prestata ad essere letta anzi che come introduzione della nuova ratio della partecipazione come ennesima applicazione della vecchia ratio del decentramento, con la attribuzione divisiva alle Autonomie di competenze tanto meno significative (“amministrative”) quanto più quelle Autonomie distano dal ‘centro’ (ovverosia dal ‘vertice’)[74]. Assieme e anzi sinotticamente alla nuova formulazione dell’art. 114 è stata conservata la vecchia e rotondamente opposta formulazione del Titolo V[75]. Il CAL può soltanto esprimere pareri in nessun modo vincolanti e, conseguentemente, assolutamente inefficaci[76].

 

5.c. – Gravemente contro-riformato

 

Alle insufficienze già presenti nella realizzazione del disegno riformatore si è subito sommato un aggressivo disegno contro-riformatore che appare oggi prosperare.

La contro-riforma è iniziata già nel 1993 e proseguita sino al 1998, con le sentenze dei Giudici del TAR Abruzzo e del CdS, le quali hanno cancellato la obbligazione del Sindaco eletto a rispettare gli impegni assunti con i cittadini-elettori attraverso il proprio programma elettorale[77].

la Legge finanziaria statale del 2010, con un trattino di penna (il comma 186 [!] dell’art 2), ha cancellato i Difensori civici comunali come spesa superflua.

Della riforma del 2001 è ora rilanciato l’art. 2016, in chiave precisamente decentralista-divisiva, con il risultato (¿paradossale?) di ribaltare il ruolo della “autonomia speciale”, volta a ridurre i dislivelli tra Regioni, nella “autonomia differenziata”, volta e ingigantirli.

 

 

 

6. Oggi: che fare?

 

6.a. – Nel silenzio dei giuristi, ascoltiamo la voce degli economisti. Contro i disastri (tra cui lo spopolamento) della concentrazione della ricchezza: programmazione potenziata dal “capitale sociale della tradizione civica” cioè dalla partecipazione autopoietica delle “Comunità”

 

In un contesto di debolezza della scienza giuridica democratica recente (e potrebbe dirsi: di sua assenza, in quanto scrupolosamente cancellata dai giuristi tedeschi dell’Ottocento quindi seguiti da quelli italiani del Novecento)[78] ci viene in soccorso la scienza economica.

Ricordo, in questo senso:

α) i contributi propositivi – estremamente puntuali – di Robert Putnam (1993) sulla importanza della «tradizione civica» come «capitale sociale» (cioè della partecipazione di tipo societario all’interno di ciascuna Città e tra le Città) per lo sviluppo regionale sub-statale[79] e, più generale, di Amartya Senn, sulla importanza della democrazia nello sviluppo ‘tout court’ (1999)[80]; β) l’allarme lanciato da Joseph Stiglitz (2012)[81], quindi sostenuto dai calcoli di Thomas Piketty (2013)[82] e rilanciato da Zygmunt Bauman (2013)[83], sui rischi di gravi collassi socio-economici connessi alla crescente concentrazione di ricchezza nel mondo; γ) i bilanci “fallimentari” dello sviluppo locale in Sardegna, fatti da Antonio Sassu (2017)[84], il quale (si noti) ne indica il sintomo più evidente nello spopolamento delle aree interne, e da Gianfranco Sabattini con Vittorio Dettori (2018)[85], i quali ne individuano la causa essenziale nel centralismo della programmazione; δ) la conferma data da Raghuram Rajan (2019)[86] circa la necessità di coinvolgere la «comunità» nel governo della economia.

I dati che emergono dalle migliori analisi economiche sono dunque che: α) non c’è sviluppo locale senza la partecipazione delle collettività locali alla sua programmazione; β) senza sviluppo locale non c’è sviluppo in assoluto; γ) ci sono, invece, le grandi crisi, endemiche e cicliche tra cui precisamente il “calo demografico”; δ) la economia, ridotta alla interazione tra Mercato e Stato, senza l’apporto delle Comunità non funziona.

 

6.b. – «Rappresentanza mite. Le seconde Camere e il futuro della democrazia parlamentare»

 

La soluzione cui ci richiamano gli economisti non ci sollecita sforzi straordinari di ingegneria costituzionale. La soluzione da loro unanimemente prospettata è, infatti, precisamente quella già delineata chiaramente (seppure realizzata insufficientemente e quindi inefficacemente) dalla riforma del 2001 e ‘dintorni’.

Ricorrendo ancora (per non essere autoreferenziale) a suggestioni fornite da ricerche e riflessioni altrui, ho intitolato questo paragrafo finale: “Rappresentanza mite. Le seconde Camere e il futuro della democrazia parlamentare”[87]. Non abbiamo, infatti, bisogno di distruggere l’ordine rappresentativo per sostituirlo con l’ordine partecipativo. Ci basta integrare (purché in modo e misura significativi) l’ordine rappresentativo con quello partecipativo. E la formula può essere semplicemente quella di porre accanto alle camere rappresentative (i Consigli regionali e la Camera dei Deputati) le energie di camere partecipative (i CAL, resi efficienti ed efficaci, e il Senato, ri-formato a Senato della Regioni) in un bicameralismo non inutile perché non “perfetto”.

Si tratterebbe, in definitiva, come hanno chiesto durante la Sarda rivoluzione le Unioni di Ville, di recuperare il senso originario della istituzione del Parlamento; il senso, cioè, precedente la sua chiusura centralistica anti-civica, effettuata in Inghilterra nel 1295. Il Parlamento originario è sì istituzione nata in epoca e contesto feudali (nel 1188 con le Cortes di León del Regno omonimo) ma di un feudalesimo in crisi; crisi da cui esso trova la uscita alleandosi con il sistema delle Città, dando cioè loro – con lungimiranza – voce e potere. Il Parlamento originario ha avuto la funzione di introdurre nella Curia regia, accanto ai Baroni feudali laici ed ecclesiastici, i delegati “mandati” dai Comuni. La presenza di questi “mandatari” (giuridicamente obbligati – questo è il punto – a portare nella Curia regia la volontà dei Comuni loro “mandanti”) ha reso la stessa Curia luogo di dialogo e di sintesi tra il potere regio-baronale (centrale) e il potere popolare (diffuso).

Proviamo a riprendere (con “mitezza”) il filo del ragionamento storico-giuridico e della connessa proposta istituzionale formulati dalle Unioni delle Ville sarde “rivoluzionarie”.

 

 

Abstract

 

La réflexion sur la “meilleure forme de gouvernement” marque la culture antique, du Ve siècle av. J.-C. jusqu’au Ier siècle après J.-C., en s’articulant entre la plus ancienne pensée politique grecque (tripartite et irrésolue, qui compare les “formes de gouvernement” monarchique, aristocratique et démocratique) et la plus récente pensée juridique romaine (bipartite et résolue, qui qualifie la royauté de “crime” et n’admet que la “forme de gouvernement” républicaine).

Cette réflexion est reprise pendant une période relativement courte (mais atteignant des sommets inégalés) au XVIIIe siècle, lorsqu’elle prépare la ‘Grande Révolution’. Cette réflexion est également bipartite mais prend la forme d’un débat : entre les partisans du Féodalisme contre la République et les partisans de la République contre le Féodalisme. Le Féodalisme est la forme de gouvernement fondée sur le transfert du pouvoir de la collectivité à une “élite” de “représentants”, réunis en un Parlement spécifiquement réformé. La République est la forme de gouvernement fondée sur la “participation” de la collectivité (structurée en un système de Communautés locales, les Cités, même très petites) à l’exercice du pouvoir sur elle-même.

Jean-Jacques Rousseau, le plus grand partisan de la République contre le Féodalisme, affirme que la population est l’indicateur par excellence non pas du bon gouvernement mais de sa bonne forme et, inversement, que la dépopulation est l’indicateur par excellence de sa mauvaise forme.

L’histoire médiévale de la Sardaigne semble confirmer cette affirmation. Le fort déclin démographique du XIVe siècle est produit par le remplacement d’une forme civique de gouvernement (“judicale”, qui a dans les [petites] cités [Biddas] et leurs réunions [Coronas] son institution qualifiante) par la forme féodale de gouvernement (catalan-aragonais, qui a dans le Parlement son institution qualifiante). La Révolution sarde de 1793-1796 est faite d’“Unions de [petites] cités”, qui revendiquent (même sans y parvenir) le pouvoir d’exprimer leur volonté de manière contraignante dans le Parlement sarde.

Les XIXe et XXe siècles sont dominés, dans tout le monde dit “occidental”, par la pensée juridique féodale qui désormais ne se définit plus comme telle mais seulement “représentative” et qui efface la mémoire de la pensée juridique républicaine. La Constitution italienne de 1948 est également l’expression de la pensée dominante (voir notamment l’article 67).

Dans la dernière décennie du XXe siècle, un mouvement de réforme s’est manifesté dont l’objectif était de reproposer la nature républicaine, c’est-à-dire citoyenne et participative, des constitutions (ou, au moins, d’y introduire cette composante). Ce mouvement conduit, en 1992, à la réforme de ce qui était alors la CEE - Communauté économique européenne et, en 2001, à la réforme du titre V de la Constitution italienne. La mise en œuvre de la réforme, en particulier la réforme italienne, n’est pas à la hauteur de l’objectif mais constitue le point de départ d’où reprendre l’engagement réformateur.

 

 

La riflessione sulla “migliore forma di governo” segna la cultura antica, dal secolo V a.C. al secolo I d.C., articolandosi tra il più risalente pensiero politico greco (tripartito e irresoluto, che compara le “forme di governo” monarchica, aristocratica e democratica) e il più recente pensiero giuridico romano (bipartito e risoluto, che, bollando come “crimine” il Regno, ammette soltanto la “forma di governo” repubblicana).

La riflessione è ripresa per un periodo relativamente breve (ma raggiungendo vertici quindi insuperati) nel secolo XVIII, quando essa prepara la ‘Grande Révolution’. Anche la riflessione contemporanea è bipartita ma si svolge come dibattito: tra i sostenitori del Feudalesimo contro la Repubblica e i sostenitori della Repubblica contro il Feudalesimo. Il Feudalesimo è la forma di governo fondata sul trasferimento del potere della collettività a una “élite” di “rappresentanti”, riuniti in un Parlamento appositamente riformato. La Repubblica è la forma di governo fondata sulla “partecipazione” della collettività (strutturata in sistema di Comunità locali, le Città, a iniziare da quelle più piccole) all’esercizio del potere su sé medesima.

Il massimo sostenitore della Repubblica contro il Feudalesimo, Jean-Jacques Rousseau, afferma essere il popolamento l’indicatore per eccellenza non della buona gestione del governo ma della buona forma del governo e, al contrario, lo spopolamento l’indicatore per eccellenza della sua cattiva forma.

La Storia medievale della Sardegna appare confermare questa affermazione. Il forte calo demografico del secolo XIV è prodotto dal subentrare della forma di governo feudale (catalano-aragonese, la quale ha nel Parlamento il proprio istituto qualificante) ad una forma di governo civica (giudicale, la quale ha nelle piccole Città [Biddas o Ville] e nelle loro riunioni [Coronas] il proprio istituto qualificante). La Sarda Rivoluzione del 1793-96 è fatta da “Unioni di Ville”, che rivendicano (seppure senza esito) il potere di esprimere in modo vincolante la propria volontà nel Parlamento sardo.

I secoli XIX e XX sono di predominio del pensiero giuridico feudale, che oramai non si autodefinisce più tale ma soltanto “rappresentativo” e che cancella la memoria del pensiero giuridico repubblicano. Di questo pensiero è espressione anche la Costituzione italiana del ’48 (vedine, in particolare, l’art. 67).

Nell’ultima decade del Novecento si sviluppa un movimento riformatore con l’obiettivo di riproporre la natura o, almeno, di rafforzare la componente repubblicana, cioè civica-partecipativa, delle costituzioni. Questo movimento conduce, nel 1992, alla riforma della allora CEE - Comunità Economica Europea e, nel 2001, alla riforma del Titolo V della Costituzione italiana. La realizzazione della riforma, in particolare, di quella italiana, non è alla altezza dell’obiettivo ma costituisce il punto di partenza dal quale riprendere l’impegno riformatore.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind.

 

* Comunicazione all’incontro su “Unioni di Comuni e politiche per la gioventù”, organizzato dalla Diocesi di Alghero-Bosa (Ufficio per i Problemi sociali e il Lavoro) con i Presidenti delle Unioni dei Comuni, a Sennariolo, 18 marzo 2023.

[1] Nel CS, la espressione «la meilleure constitution» ricorre, in particolare, al livre II. Où il est traité de la Législation”, ch. IX. Du Peuple. Suite” e al livre III. Où il est traité des Loix politiques, cʼest-à-dire, de la forme du Gouvernement”, ch. IV De la Démocratie” e ch. XI. “De la mort du Corps politique”.

[2] Uso la parola “governo” non nel senso stretto (che indica il potere esecutivo in opposizione al potere legislativo) ma nel senso ampio (che comprende legislazione ed esecuzione e che tale parola assume nella espressione “forma di governo” con la quale è correntemente tradotta la parola greca “politeia”).

[3] CS, 3.9 «je m’étonne toujours qu’on méconnaisse un signe aussi simple, ou qu’on ait la mauvaise foi de n’en pas convenir. Quelle est la fin de l’association politique? C’est la conservation & la prospérité de ses membres. Et quel est le signe le plus sûr qu’ils se conservent & prospèrent? C’est leur nombre & leur population. N’allez donc pas chercher ailleurs ce signe si disputé. Toute chose d’ailleurs égale, le Gouvernement sous lequel, sans moyens étrangers, sans naturalisation, sans colonies, les citoyens peuplent & multiplient davantage, est infailliblement le meilleur; celui sous lequel un peuple diminue & dépérit est le pire».

[4] CS, 1.4 «gouvernement féodal, systême absurde s’il en fut jamais, contraire aux principes du droit naturel, & à toute bonne politie.».

[5] PAOLO D’AMICO, Rappresentanza, I. Diritto civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXIX, Roma 1991, § 1. “Nozione, struttura, funzione”.

[6] CS, 3.15 “Des Députés ou Représentans” «L’idée des représentans est moderne: elle nous vient du Gouvernement féodal, de cet inique & absurde Gouvernement dans lequel l’espèce humaine est dégradée, & où le nom d’homme est en déshonneur». La certezza che si tratti dei “Rappresentanti” riuniti nel “Parlamento” ci è data dalla lettura delle parole immediatamente precedenti quelle appena citate: «Le peuple Anglois pense être libre; il se trompe fort il ne l’est que durant l’élection des membres du Parlement; sitôt qu’ils sont élus il est esclave il n’est rien».

[7] Montesquieu ammette che la forma di governo feudale «avait cet inconvénient que le bas peuple y était esclave» tuttavia afferma che a ciò si ovviò non riconoscendo al popolo il “potere” ma dandogli la «liberté civile» (EdL, 11.8 vedi citazione estesa alla nt. 51).

[8] Vedi, supra, nt. 6.

[9] Nega, ad esempio, con ingenua protervia, la natura rappresentativa dei Parlamenti feudali, F. PEPERE, I parlamenti feudali ed il sistema rappresentativo, Napoli 1885, la cui tesi è che «L’opinione che mantiene la derivazione del sistema rappresentativo dal parlamento feudale rovescia la storia e non intende. Esso è nato coi liberi governi e fuori di questo non ha avuto esistenza, poiché essendo il sistema rappresentativo il modo razionale dell’esercizio della sovranità popolare, non può logicamente essere esistito prima che questa non sia riconosciuta e stabilita» (così la scheda in Rivista Storica Italiana n. 4, 1887, 763).

[10] Vedi, ad esempio, R.H. LORD, The Parliament in the Middle Ages and the Early Modern Period, in The Catholic Historical review XVI, 1930, 125 ss. (versione italiana I Parlamenti del Medio Evo e della Prima Età Moderna, in G. D’AGOSTINO, a cura di, Le istituzioni parlamentari nell’Ancien Régime, Napoli 1980, 105 ss.; ivi vedi anche [521 ss.] J. LALINDE ABADIA, Istituzioni rappresentative della Corona d’Aragona (1416-1516) già pubblicati in Atti del IX Congresso di storia della Corona d’Aragona, Napoli, 11-15 aprile 1973, I, Napoli 1978).

[11] La cui tesi di fondo Rousseau definisce “odieuse” (CS, 4.8).

[12] Vedi, supra, nt. 7.

[13] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, Torino 1971, 59, nt. 1: «Il pensiero del Rousseau dipende da quello dell’Althusius».

[14] Secondo Rousseau (premesso che soltanto la organizzazione societaria in senso proprio consente di coniugare la organizzazione collettiva e la libertà individuale [CS, livre I. “Où lʼon recherche comment lʼhomme passe de lʼétat de nature à lʼétat civil, & quelles sont les conditions essentielles du pacte”, ch. VI “Du pacte social”]) questa società può realizzarsi soltanto nella «cité […] très-petite» e nella “confédération” di “cités” (CS, 3.15; vedi, infra, § 3.b).

[15] Vedi, ad esempio, le recentissime misure assunte dal governo regionale sardo con la delibera del 06 aprile 2023 “Disposizioni in materia di contrasto allo spopolamento”.

[16] M. BLOCH, La société féodale, 1ª ed. Paris 1949, tr. it. La società feudale, Torino 1949, 509 e 442.

[17] V. PIRAS, di cui ricordo, in particolare: La pentasecolare esperienza democratica della Sardegna giudicale: non feudi e loro parlamento ma (piccole) città e loro assemblee, in Diritto @ Storia 17, 2019, https://www.dirittoestoria.it/17/tradizione/Piras-Vanni-Pentasecolare-esperienza-democratica-Sardegna-giudicale.htm; ID., «Sarda rivoluzione»: unioni di comunità locali (“ville”) contro feudalesimo stamentale. Termini dello scontro giuridico, in Diritto @ Storia 18, 2021, https://www.dirittoestoria.it/18/contributi/Piras-Sarda-Rivoluzione.htm.

[18] Si tratta della prosecuzione sovrana della organizzazione repubblicana romana (di cui la Sardegna era provincia insieme alla Corsica) così che, per comprendere appieno la organizzazione provinciale romana, occorre conoscere la organizzazione giudicale sarda e viceversa. Forte impronta romana ha il documento giuridico più rilevante prodotto dalla esperienza giudicale: la Carta de logu, raccolta di norme per il Giudicato d’Arborea, fatta redigere tra il 1345 e il 1376 dal Giudice Mariano IV, la cui stesura definitiva si deve nel 1395 alla figlia Eleonora Giudicessa di Arborea e che costituì legge generale dell’Isola sino al 1827, quando venne sostituita dal Codice “feliciano”. Vedi, in proposito, F. SINI, “Comente comandat sa lege”: diritto romano nella Carta de logu d'Arborea, Torino 1997; ID., Notazioni (e/o rimeditazioni) su diritto romano e Carta de Logu de Arborea, in Diritto @ Storia 11, 2013, https://www.dirittoestoria.it/11/D&Innovazione/Sini-Notazioni-rimeditazioni-diritto-romano-Carta-Logu-Arborea.htm.

[19] È la espressione tecnica romana, conservatasi (ad esempio) nell’odierno lessico inglese, nel quale il Sindaco è chiamato “Mayor”.

[20] Vedi ancora, V. PIRAS, op. ult. cit.

[21] U.G. MONDOLFO, Terre e classi sociali in Sardegna nel periodo feudale, in Rivista italiana per le scienze giuridiche XXXVI, Torino 1903, ora in A. BOSCOLO, a cura di, Il feudalesimo in Sardegna, Cagliari 1967, 296; F. LODDO CANEPA, Ricerche e osservazioni sul feudalesimo sardo dalla dominazione aragonese, in Archivio Storico Sardo VI, 1910, 50; R. CARTA RASPI, La Sardegna nell’alto medioevo, Cagliari 1935, 206; R. BOUTRUCHE, Seigneurie et féodalité, 1ª ed. Paris 1961, tr. it. Signoria e feudalesimo, I. Ordinamento curtense e clientele vassallatiche, Bologna 1961, 207; G. ZANETTI, Giudicato (Storia del diritto sardo), in Novissimo Digesto Italiano, VII, Torino 1957, 864 E. BESTA, Sardegna feudale. Discorso detto il 18 novembre 1899 per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Sassari, in Annuario della Regia Università degli Studi di Sassari, Sassari 1900, 43, ora in A. BOSCOLO, a cura di, Il feudalesimo in Sardegna, cit., 185; A. SOLMI, Sulla origine e sulla natura del feudo in Sardegna, in Rivista italiana di sociologia X, fasc. I, 1906, ora in A. BOSCOLO, a cura di, Il feudalesimo in Sardegna, cit., 148 e 152; M. TANGHERONI, La Sardegna prearagonese: una società senza feudalesimo?, in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe -XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches, Actes du Colloque de Rome (10-13 octobre 1978), Rome 1980, 550, ora in ID., Sardegna Mediterranea, Roma 1983, 84; ID., Su un contrasto tra feudatari in Sardegna nei primissimi tempi della dominazione aragonese, in Medioevo età moderna. Saggi in onore del Prof. Alberto Boscolo, Cagliari 1972, ora in ID., Sardegna Mediterranea, cit., 7-8 «nell’isola le città verranno ad essere delle oasi sempre più soffocate dalla circostante organizzazione (politica e socioeconomica) di puro stampo feudale»; ID., Il feudalesimo in Sardegna in età aragonese, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa III, 1973, ora in ID., Sardegna Mediterranea, cit., 28; ID., L’economia e la società della Sardegna (XI-XIII secolo), in M. GUIDETTI, a cura di, Storia dei Sardi e della Sardegna, II. Il Medioevo. Dai Giudicati agli Aragonesi, cit., 188; R. PINTUS, Il feudo e i feudatari in Sardegna, in Archivio Storico Sardo di Sassari XII, 1986, 7: «Il feudalesimo ebbe origine concreta, nella nostra isola, quando ormai era finito nel resto dell’Europa, cioè dopo il 1326, all’inizio della dominazione aragonese»; G. MELONI, La Sardegna nel quadro della politica mediterranea di Pisa, Genova, Aragona, in M. GUIDETTI, a cura di, Storia dei Sardi e della Sardegna, II. Il Medioevo. Dai Giudicati agli Aragonesi, cit., 92; A. MATTONE, Il feudo e la comunità di villaggio, in M. GUIDETTI, a cura di, Storia dei Sardi e della Sardegna, III. L’età moderna dagli aragonesi alla fine del dominio spagnolo, Milano 1989, 335; G. SORGIA, Introduzione, in Feudi di Sardegna. Registro storico dei feudi del Regno di Sardegna, Sassari 1991, 8: «La conquista aragonese della Sardegna segna, a partire dal secondo decennio del secolo XIV, un profondo mutamento nelle strutture sociali isolane […] soprattutto, con l’introduzione del sistema feudale che cancellò quasi totalmente gli ordinamenti precedenti […] Le antiche circoscrizioni politiche e amministrative dei giudicati, e delle curatorie da essi dipendenti, furono oggetto di comprensibili mutamenti dovuti proprio alla nuova realtà feudale».

Per ulteriori indicazioni vedi ancora V. PIRAS, op. ult. cit.

[22] Istituito a Cagliari da Pietro il Cerimonioso il 15 febbraio 1355. Dopo la consolidazione del potere aragonese nell’Isola, fu convocato ogni dieci anni circa fino a quando, divenuti re di Sardegna i Savoia, non fu più convocato. Vedi G. MURGIA, Il Parlamento di Pietro IV il Cerimonioso (1355): la Sardegna all’indomani della prima fase della conquista aragonese, in Aragón en la Edad Media XXI, 2009, 169-196.

[23] A. BOSCOLO, Premessa, in A. BOSCOLO, a cura di, Il feudalesimo in Sardegna, cit., 1-24 [leggibile in http://www.araldicasardegna.org/genealogie/feudi/feudalismo_in_sardegna.htm].

[24] Vedi supra nt. 21; in V. PIRAS, op. ult. cit., in part. nt. 113, una indicazione puntuale dei molteplici contributi di questo autore al nostro tema.

[25] In Atti del Congresso internazionale per gli studi sulla popolazione, I, Roma 1933, 3.

[26] In Bollettino Storico Pisano XL-XLI, 1971-1972, 65-69, ora in ID., Sardegna Mediterranea, Roma 1983, 223-227.

[27] ID., Archeologia e storia in Sardegna topografia e tipologia. Alcune riflessioni, in Atti del Colloquio internazionale di archeologia medievale, Palermo 1976, ora in ID., Sardegna Mediterranea, cit., 238 s.

[28] A. CADINU, I villaggi, in A. ASOLE, a cura di, La Provincia di Oristano il territorio, la natura, l’uomo, Milano 1997, 152.

[29] Uso la parola “città” non nel senso italiano di collettività locale rilevante per dimensioni e/o storia ma nel senso francese di collettività locale ‘politica’, di “cité” (vedi, infra, nt. 36).

[30] TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, III. 1, Berlin 1887, 781 «Seitdem ist die römische Bürgerschaft rechtlich vielmehr die Conföderation der sämtlichen Bürgergemeinden, oder, wie die römischen Rechtslehrer dies ausdrücken, es steht für jeden Römer neben der communis patria Roma die Sonderheimath, die domus oder die origo.».

Vedi G.D. MEROLA, Roma: un Impero di Città, in Diritto @ Storia 15, 2017, https://www.dirittoestoria.it/15/memorie/Merola-Roma-Impero-di-citta.htm, che esordisce con una citazione del retore greco Elio Aristide.

[31] EdL, 6.11 “De la constitution d’Angleterre” «Le grand avantage des représentants, c’est qu’ils sont capables de discuter les affaires. Le peuple n’y est point du tout propre; ce qui forme un des grands inconvénients de la démocratie. […] Il y avait un grand vice dans la plupart des anciennes républiques: c’est que le peuple avait droit d’y prendre des résolutions actives, et qui demandent quelque exécution, chose dont il est entièrement incapable. Il ne doit entrer dans le gouvernement que pour choisir ses représentants, ce qui est très à sa portée».

Si noti che, nell’EdL, compare 58 volte il verbo “représenter” di cui 25 volte come participio presente (sostantivato o aggettivato: “représentant”) mai però il sostantivo “représentation”.

[32] In Rousseau, i cittadini, uniti in società, costituiscono concretamente il Popolo, che è “sovrano” per definizione; CS, 1.6 “Du Pacte Social” «A l’égard des associés, ils prennent collectivement le nom de Peuple, & s’appellent en particulier Citoyens, comme participant à l’autorité souveraine» [cfr., infra, nt. 36]) e che, pertanto, non conosce la rappresentanza: CS, 3.15 “Des Députés ou Représentans” «L’idée des représentans est moderne: elle nous vient du Gouvernement féodal, de cet inique & absurde Gouvernement dans lequel l’espèce humaine est dégradée, & où le nom dʼhomme est en déshonneur. Dans les anciennes républiques & même dans les monarchies, jamais le peuple n’eut des représentants; on ne connoissoit pas ce mot-là.» (cfr., supra, nt. 6).

[33] Montesquieu adopera entrambi i vocaboli come sinonimi, definendo “confédération” la “république fédérative” e “confédérés” i suoi membri. Rousseau usa soltanto il vocabolo “confédération”.

[34] EdL, Seconde partie, livre IX. “Des lois dans le rapport qu’elles ont avec la force défensive”, ch. I. “Comment les républiques pourvoient à leur sûreté”; cfr. EdL, livre II “Des lois qui dérivent directement de la nature du gouvernement” ch. 1 “Des lois qui dérivent directement de la nature du gouvernement” «Il y a trois espèces de gouvernements: le RÉPUBLICAIN, le MONARCHIQUE et le DESPOTIQUE. […] le gouvernement républicain est celui où le peuple en corps, ou seulement une partie du peuple, a la souveraine puissance; le monarchique, celui où un seul gouverne, mais par des lois fixes et établies; au lieu que, dans le despotique, un seul, sans loi et sans règle, entraîne tout par sa volonté et par ses caprices.»; cfr. §§ 2.3; 8.16; 11.2; 11.11.

[35] Livre III. “Où il est traité des Loix politiques, cʼest-à-dire, de la forme du Gouvernement”, ch. XV. “Des Députés ou Représentans”.

[36] Vedi il dizionarietto inserito in CS, 1.6 “Du Pacte Social” «A l’instant, au lieu de la personne particulière de chaque contractant, cet acte d’association produit un Corps moral & collectif composé d’autant de membres que l’assemblée a de voix, lequel reçoit de ce même acte son unité, son moi commun, sa vie & sa volonté. Cette personne publique, qui se forme ainsi par l’union de toutes les autres, prenoit autrefois le nom de Cité* & prend maintenant celui de République [205] ou de Corps politique, lequel est appelé par ses membres Etat quand il est passif, Souverain quand il est actif, Puissance en le comparant à ses semblables. A l’égard des associés, ils prennent collectivement le nom de Peuple, & s’appellent en particulier Citoyens, comme participant à l’autorité souveraine, & Sujets, comme soumis aux loix de lʼEtat. [* … les maisons font la ville, mais les Citoyens font la Cité …]».

[37] Vedi anche CS, 4.9 “Conclusion” «Après avoir posé les vrais principes du droit politique & tâché de fonder l’Etat sur sa base, il resteroit à lʼappuyer par ses relations externes […] Mais tout cela forme un nouvel objet trop vaste pour ma courte vue; jʼaurois dû la fixer toujours plus près de moi.» e ID., Projet de constitution pour la Corse, redatto tra il 1760 e il 1769 e pubblicato post mortem nel 1861 (così: S. STELLING-MICHAUD in Jean-Jacques Rousseau, Œuvres complètes, Paris 1964, cxcviv-ccxv) «Les pièves […] sont le seul moyen possible d’établir la démocratie dans tout un peuple qui ne peut s’assembler à la fois dans un même lieu». Cfr. J. DOMENECH, Jean-Jacques Rousseau Projet de constitution pour la Corse, in ID., édit., Rousseau et la Méditerranée. La réception de Jean-Jacques Rousseau dans les pays méditerranéens, Paris 2016, 285: «Parmi les économistes contemporains les plus éminents, certains tentent de mettre au cœur de la question économique les notions de liberté, de justice et d’égalité et semblent ainsi rejoindre Rousseau sur un nombre important de principes. Constituent-ils pour autant les héritiers, volontaires ou non, de Rousseau? Nous nous limiterons à deux exemples, celui d’Amartya Sen et celui de Joseph Stiglitz, qui paraissent significatifs.».

[38] Pomp. D. 1.2.2.7 augescente civitate; CJ. 7.15.2 ampliandam enim magis civitatem nostram quam minuendam esse censemus (su cui P. CATALANO, Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, XIV s. e, nella medesima linea, M.P. BACCARI, Il concetto giuridico di civitas augescens: origine e continuità, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61, 1995; EAD., Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 47 ss.).

[39] Cicerone (che riprende la πολιτική κοινωνία’ di Aristotele, Politica I.1252a §1) definisce il popolo società dei cittadini (rep. 1.39; 1.49; cfr. 6.13) e Johannes Althusius (che riprende Cicerone) ricostruisce l’impero (romano) come sequenza centripeta (ovvero, nel lessico odierno: ‘ascendente’) di città e province (Politica methodice digesta, Herborn 1603-1614).

[40] Che si fa iniziare con il Congresso di Vienna (1814-1815) su cui M. SORESINA, L’età della Restaurazione 1815-1860: Gli Stati italiani dal Congresso di Vienna al crollo, Sesto san Giovanni (Mi) 2015.

[41] De la démocratie en Amérique, I-II, Paris 1835-1830, Chapitre V. “Nécessité d’étudier ce qui se passe dans les états particuliers, avant de parler du gouvernement de l’union” [l’intiera opera è leggibile in https://www.institutcoppet.org/wp-content/uploads/2012/01/De-la-d%C3%A9mocratie-en-Am%C3%A9rique.pdf ].

[42] De la démocratie en Amérique, cit., 15 «l’institution des communes introduit la liberté démocratique au sein de la monarchie féodale»; 41 «En Amérique, au contraire, on peut dire que la commune a été organisée avant le comté, le comté avant l’État, l’État avant l’Union. Dans la Nouvelle-Angleterre, dès 1650, la commune est complètement et définitivement constituée. Autour de l’individualité communale viennent se grouper et s’attacher fortement des intérêts, des passions, des devoirs et des droits. Au sein de la commune on voit régner une vie politique réelle, active, toute démocratique et républicaine. Les colonies reconnaissent encore la suprématie de la métropole ; c’est la monarchie qui est la loi de l’État, mais déjà la république est toute vivante dans la commune.».

53 «La révolution d’Amérique éclata. Le dogme de la souveraineté du peuple sortit de la commune, et s’empara du gouvernement; toutes les classes se compromirent pour sa cause; on combattit, et on triompha en son nom; il devint la loi des lois.».

[43] Un libro del norte sobre las instituciones españolas en los Estados que fueron de México (sorta di ‘recensione’ a F.W. BLACKMAR, Spanish Institutions of the Soutwest, Baltimore 1891), in El Partido Liberal, México 25 noviembre 1891, ora in ID., Obras completas. Volumen 7. Nuestra América, La Habana 1975, 58 ss. [Edizione digitale: Centro de Estudios Martianos - Karisma Digital - Editorial de Ciencias Sociales, 2011, leggibile in http://biblioteca.clacso.edu.ar/Cuba/cem-cu/20150114042653/Vol07.pdf ].

La affermazione è ripresa da J.M. OTS CAPDEQUI, El Estado español en las Indias, Ciudad de México 1941, 61 «en las nuevas ciudades de las Indias, estas mismas instituciones municipales, caducas en la Metrópoli, cobraron savia joven en un mundo de características sociales y económicas tan distintas, y jugaron un papel importantísimo en la vida pública de los nuevos territorios»; I. BURGOA O., Derecho constitucional mexicano, 20ª E., México 2009, 86 [leggibile in file:///C:/Users/Utente/Downloads/Derecho_constitucional_burgoa.pdf ].

[44] Il concetto di “sovranità parlamentare”, di origine inglese, è oggi diffuso anche perché, secondo la scienza giuridica odierna, il Popolo è una astrazione. Sul formarsi e imporsi della dottrina della concezione astratta del popolo vedi, infra, nt. 50.

[45] Operata da Edoardo I, nel 1295: W. STUBBS, Select Charters and other Illustrations of English Constitutional History from the Earliest Times of the Reign of Edward the First, 1870, riedizione della 9ª ed. 1913, Oxford 1962, 476 «cum plena potestate pro se et tota communitate comitatus praedicti, ad consulendum et consentiendum pro se et communitate illa hiis quae comites, barones et proceres praedicti concorditer ordinaverint in praemissis» (cfr. 457 s.; 472 s.; 481 s.); J.G. Edwards, The Plena Potestas of English Parliamentary Representatives, in Oxford Essays in Medieval History, presented to H.E. Salter, Oxford 1934; G. POST, Plena potestas and consent in medieval assemblies: A Study in Romano-Canonical Procedure and the Rise of Representation, 1150–1325, in Traditio vol. 1, 1943, 355 ss.; CH. MÜLLER, Das imperative und freie Mandat. Überlegungen zur Lehre von der Repräsentation des Volkes, Leiden 1966, Viertes Kapitel “Plena potestas und repräsentative Versammlungen”, A. “Das freie Mandat in England”, 5. “Repräsentative Stellung der Commoners” 137 ss.

[46] J.F. O’CALLAGHAN, Le origini delle cortes di Leon-Castiglia, in The American Historical Review LXXIV, 5, 1969, ora in G. D’AGOSTINO, a cura di, Le istituzioni parlamentari nell’Ancien Régime, Napoli 1980, 499-500; cfr. V. PIRAS, La pentasecolare esperienza democratica della Sardegna giudicale, cit., in part. nt. 73.

[47] Vedi, supra, nt. 45. Sulla contrapposizione nella dottrina odierna, tra mandato imperativo e mandato libero, vedi N. ZANON, Il libero mandato parlamentare. Saggio critico sull'articolo 67 della Costituzione, Milano 1991.

[48] C. JOURNES, L’Etat britannique, Paris 1985, 44: «A la fin du XIIIe siècle et dans la courant du XIVe, trois caractéristiques essentielles marquent l’originalité du Parlement anglais, par rapport aux autres assemblées apparues en Europe dans le même période: l'idée même de représentation, une division en deux Chambres, des compétences relativement importantes. [...] L'idée même de représentation, c'est-à-dire d’agissements individuels au nom d’une communauté [...], est dirigée contre les communautés représentées».

[49] Institutes of the Laws of England. The fourth part concerning the Jurisdiction of Courts, London 1644, cap. I “Of the high and most honourable Court of Parliament” 34 ss., in particolare § “The Power and Jurisdiction of the Parliament” 36 [opera leggibile in https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5a/Edward_Coke%2C_The_Fourth_Part_of_the_Institutes_of_the_Laws_of_England_%281797%29.pdf ].

[50] Il contratto tra gli uomini produce, secondo Hobbes non una società concreta ma un ente astratto: Leviathan or The Matter, Forme and Power of a Common Wealth Ecclesiastical and Civil, London 1651, il cui potere è pertanto esercitato da uomini concreti, suoi rappresentanti.

Pierangelo Catalano (Populus Romanus Quirites, Torino 1974) attribuisce alla scienza giuridica del secolo XIX (in particolare ai contributi di Friedrich Hegel e Theodor Mommsen) la trasformazione del “popolo concreto” antico-romano nello “Stato astratto” contemporaneo. Ulteriori riflessioni in G. LOBRANO, P.-P. ONIDA, V. PIRAS, G.C. SEAZZU, Pandette di Pothier o di Windscheid. Code Napoléon o BGB. Quale “diritto romano”?, a cura di G.C. SEAZZU, Sassari 2022.

[51] Il “gouvernement féodal”, che, secondo Rousseau (vedi, supra, ntt. 4, 6 e 32) è un “systême absurde sʼil en fut jamais, contraire aux principes du droit naturel, & à toute bonne politie”, è, secondo Montesqueiu (vedi, supra, nt. 7), “la meilleure espèce de gouvernement”. Scrive Montesquieu: «Les nations germaniques qui conquirent lempire romain étaient, comme lon sait, très libres. On na quà voir làdessus Tacite sur Les Mœurs des Germains. Les conquérants se répandirent dans le pays; ils habitaient les campagnes, et peu les villes. Quand ils étaient en Germanie, toute la nation pouvait sassembler. Lorsquils furent dispersés dans la conquête, ils ne le purent plus. Il fallait pourtant que la nation délibérât sur ses affaires, comme elle avait fait avant la conquête: elle le fit par des représentants. Voilà lorigine du gouvernement gothique parmi nous. Il fut dabord mêlé de laristocratie et de la monarchie. Il avait cet inconvénient que le bas peuple y était esclave. C'était un bon gouvernement qui avait en soi la capacité de devenir meilleur. La coutume vint d'accorder des lettres d'affranchissement; et bientôt la liberté civile du peuple, les prérogatives de la noblesse et du clergé, la puissance des rois, se trouvèrent dans un tel concert, que je ne crois pas qu'il y ait eu sur la terre de gouvernement si bien tempéré […] la meilleure espèce de gouvernement que les hommes aient pu imaginer» (EdL, Livre XI. Des lois qui forment la liberté politique dans son rapport avec la constitution.Chapitre I Des lois féodales C'est un beau spectacle que celui des lois féodales.Chapitre VIII Pourquoi les anciens n'avaient pas une idée bien claire de la monarchie”; cfr.: livre XXX “Théorie des lois féodales chez les Francs dans le rapport qu'elles ont avec l'établissement de la monarchie” ch. II Des sources des lois féodales «Les peuples qui conquirent l'empire romain étaient sortis de la Germanie»).

[52] Commentaries on the Laws of England in Four Books. Book the first, Oxford 1765, ch. II. “Of the Parliament”, § III “We are next to examine the laws and customs relating to parliament, thus united together, and considered as one aggregate body”: «The power and jurisdiction of parliament, says Sir Edward Coke, is so transcendent and absolute, that it cannot be confined, either for causes or persons, within any bounds. […] It can, in short, do every thing that is not naturally impossible; and therefore some have not scrupled to call its power, by a figure rather too bold, the omnipotence of parliament.» [opera leggibile in http://files.libertyfund.org/files/2140/Blackstone_1387-01_EBk_v6.0.pdf ].

Troviamo una prima dichiarazione di applicazione delle dottrine di Coke e Blackstone, nel famoso “Discorso” con cui (9 anni dopo, il 3 novembre 1774) Edmund Burke spiega, arrogantemente, agli “elettori di Bristol” perché, in quanto loro “rappresentante”, egli deve attenersi al proprio giudizio e non alla loro volontà [leggibile in https://press-pubs.uchicago.edu/founders/documents/v1ch13s7.html ].

[53] BGB, 1900; Aktiengesetz, 1936.

[54] Bisogna non dimenticare il contributo novecentesco di Riccardo Orestano, secondo il quale la conquista della concezione unitaria della collettività (quale è il Popolo) deve necessariamente transitare per la sua concezione astratta (ID., Il problema delle fondazioni in diritto romano, Torino 1959, 166; ID., Rappresentanza. Diritto romano, in NNDI, XIV, Torino 1967, 796; ID., Il problema delle persone giuridiche in diritto romano, I, Torino 1968, 69 ss.). Sulla collocazione e sull’apporto della specifica dottrina di Orestano nel quadro della- e alla generale dottrina romanista, in materia di astrazione, vedi G. LOBRANO, Libertas, qui in legibus consistit (Cic. agr. 2.100) Pour se libérer de l’«Heutiges Römisches Recht», in J. BOUINEAU, sous la dir. de, B. KASPARIAN, tex. réunis par, Hommages à Marie-Luce Pavia. L’homme méditerranéen face à son destin, Paris 2016, 256-304; ripubblicato in lingua italiana, con integrazioni e con il titolo La libertas che in legibus Consistit, in Diritto @ Storia 15, 2017, https://www.dirittoestoria.it/15/tradizione/Lobrano-Libertas-in-legibus-consistit.htm.

[55] In proposito, da ultimo vedi G. LOBRANO, Diritto e pace. La prospettiva mediterranea, in G.C. SEAZZU, a cura di, Pandette di Pothier o di Windscheid. Code Napoléon o BGB. Quale “diritto romano”?, cit., § 3.d “Cancellazione e, quindi, “dimenticanza” di questo Diritto” 120 ss.

[56] La cui prima teorizzazione è formulata nella raccolta (in due volumi The Federalist. A collection of Essays written in favour of the New Constitution, New York 1788) di 85 articoli o saggi (settantasette apparsi in tre giornali di New York tra l’ottobre 1787 e l’agosto 1788, firmati con lo pseudonimo “Publius”, più altri otto) tutti scritti da Alexander Hamilton, James Madison e John Jay, per convincere i membri dell’assemblea dello Stato di New York a ratificare la Costituzione USA.

[57] M. BASSANI, Gli avversari della Costituzione americana: ‘antifederalisti’ o federalisti autentici?, in ID., a cura di, Gli antifederalisti. I nemici della centralizzazione in America, Torino 2011, 42: «Come rilevava Preston King, il “Federalist […] appare una nota a piè di pagina alla teoria della sovranità di Hobbes” […] “Il Federalist è centralista”» [P. KING, Federalism and Federation, Baltimore 1982, 24].

[58] Oeuvres de Saint-Just, représentant du peuple a la Convention Nationale, Paris 1834, 85. L’Essai de Constitution” «lu dans la séance du 24 avril 1793, et imprimé [il 27 aprile] par ordre de la convention», diviso in due parti e composto di 26 articoli, occupa le pagine da 81 a 112 [opera leggibile in https://books.google.it/books?id=ETsuAAAAMAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false ].

[59] In M. LE BLOND, a cura di, Les plus beaux discours de Saint-Just, Paris senza data [ma 1929], 108 ss. Il giovane Saint-Just contrappone la divisione del popolo per territori, che produce concentrazione del governo, alla divisione del popolo in Comuni, che non impedisce ma consente la formazione della sua volontà generale: «le souverain se forme alors, il se comprime, et la République véritablement existe».

Mi pare una efficace espressione del formarsi di quella unità concreta della collettività (cfr., supra, alla nt. 35, la convergente citazione di Rousseau) dichiarata impossibile dai giuristi (romanisti) dell’Ottocento e del Novecento (vedi, supra, nt. 50). La tesi espressa da Saint-Just sottende anche la Costituzione giacobina del ’93 (su cui CH. DEBBASCH, J.-M. PONTIER, Les Constitution de la France, Paris 1989, 41 ss.)

[60] V. PIRAS, «Sarda Rivoluzione»: unioni di comunità locali («ville») contro feudalesimo stamentale. Termini dello scontro giuridico, cit., in particolare § 3. Unioni di ville e loro richiesta – straordinariamente puntuale – di riforma della «rappresentanza»”.

[61] La idea che “il potere” stia di casa a Palazzo Madama o a Montecitorio appare quasi risibile. Se il potere non si costituisce presso la “società dei molti” (il Popolo) si costituisce presso la “fazione dei pochi” (la élite ‘socio-economica) della quale il Parlamento è soltanto il braccio istituzionale. La denunzia, da parte di Mortati, del deficit democratico della Costituzione italiana era stata preceduta qualche anno prima dalla non meno netta denunzia, da parte del giurista Vezio Crisafulli (Partiti, Parlamento, Governo, 1966), che «all’origine della crisi della democrazia parlamentare [sic] vi sono i partiti politici, ormai incapaci di svolgere il loro compito storico» favorendo il dominio di forze «di natura economica».

[62] Vedi, infra, nt. 66.

[63] C. SBAILÒ, La rappresentanza mite. Le seconde Camere e il futuro della democrazia parlamentare, Troina 2009, in part. Capitolo sestoIl Bundesrat come custode dell’origine pre-statale della Germania”.

[64] La prima “Bicamerale”, presieduta dall’On. Aldo Bozzi è del 1983, la seconda, presieduta dagli Onn. Ciriaco De Mita e Nilde Iotti, è del 1993-94 e la terza, presieduta dall’On. Massimo D’Alema, è del 1997.

[65] Capo. III “Istituti di partecipazione”, art. 8 “difensore civico”.

[66] Principio il quale (art. 5) introduce nella architettura (ripeto: strutturale e dinamica) della Unione Europea il “principio di sussidiarietà” ovverosia, come è stato sintetizzato, una concezione “non discendente ma ascendente” della volizione europea: J. BARROCHE, Subsidiarité, in V. BOURDEAU et R. MERRILL, sous la dir. de, DicoPo, Dictionnaire de théorie politique, 2007: «1°, la décentralisation suppose un centre qui, selon une logique descendante, consent à la délégation de certaines compétences à des échelons inférieurs (qui dépendent directement de lui). La hiérarchie prime alors, et n’est pas sans rappeler le vieil adage de minimis non curat praetor. 2°, la subsidiarité s’inscrit, elle, dans un autre paradigme – ascendant plus que descendant […]» [leggibile in https://www.dicopo.org/spip_article61.html ]. Alla contrapposizione “ascendente - discendente” (che paga uno ‘scotto’ al presupposto ideologico che il centro stia in alto) preferisco la contrapposizione “divisivo - unitivo”. Cfr. ID., Etat, libéralisme et christianisme. Critique de la subsidiarité européenne, Paris 2012; ID., La subsidiarité: quelle contribution à la construction européenne?, in Revue Projet n. 340, 2014.3, 66-75 [leggibile in https://www.cairn.info/revue-projet-2014-3-page-66.htm ].

[67] Riconoscendo così ai Cittadini il potere di decidere in sede elettorale il programma del Sindaco (potere che l’art. 67 della Costituzione italiana del ’48 ha negato e nega espressamente ai Cittadini elettori dei membri del Parlamento)

[68] E promuovendo con forza la partecipazione: sia dei Comuni alla programmazione regionale (è il cómpito essenziale delle Province) sia dei Cittadini al governo (in senso lato) del Comune. Vedi, in particolare, gli artt. 6, 8 e 10 (“partecipazione popolare […] all’amministrazione locale”), 5 (partecipazione dei Comuni alla programmazione regionale), 15 e 17 (partecipazione dei Comuni attraverso i rapporti intra-comunali), 20 e 21 (ruolo delle Province di promozione e organizzazione della partecipazione dei Comuni), 34 (accordi di programma) e 42 (sui Consigli come “organismi di partecipazione”).

[69] Spostato al Titolo IV. In questo progetto (redatto, nella parte concernente la riforma della “forma di Stato”, dall’allora Senatore oltre che Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Francesco D’Onofrio) la Parte seconda della Costituzione è così articolata: Titolo I. Comune, Provincia, Regione, Stato, Titolo II. Il Presidente della Repubblica, Titolo III. Il Governo, Titolo IV. Il Parlamento, Titolo V. Pubbliche Amministrazioni, Autorità di Garanzia e Organi Ausiliari, Titolo VI. Partecipazione dell’Italia all’Unione Europea, Titolo VII. La Giustizia, Titolo VIII. Garanzie Costituzionali e, infine, Disposizioni transitorie.

[70] Il disegno di legge è leggibile in appendice a G. LOBRANO, Riforma costituzionale e riforme statutarie, in Presenza. Periodico della CISL Sarda anno XVI n. 93 [= AA.VV., Nuova Regione Assemblea costituente Federalismo], Cagliari ott. 2000 n. 4, 5-27, 26 s.

[71] Il ‘Bundesrat’ tedesco (il quale non è “rappresentativo” e funziona con “mandato imperativo”) è stato espressamente richiamato come modello per il “disegno di legge” governativo di riforma del Senato italiano, dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, On. Graziano Delrio, in sede di costruzione del “disegno di legge” (in proposito vedi, ad es., F. ARGANO, Caro Delrio, sicuro di volere il Bundesrat?, e Senato di Renzi e Bundesrat. Il confronto del prof. Luther, in formiche.net. dell’1 e del 5 aprile 2014). Il richiamo originario al modello tedesco è però stravolto e travolto già nel disegno di legge governativo dell’8 aprile 2014.

Nella fase centrale e conclusiva del dibattito sulla riforma, lo stesso Governo ne ha richiamato la attenzione sui minori costi da essa derivanti, così inserendo nel dibattito pluri-millenario sulla “migliore forma di governo” l’argomento un po’ dei loro costi. Con questo argomento appaiono essere stati cancellati i Difensori civici comunali (vedi § seguente).

[72] Su questa stagione delle riforme, vedi G. LOBRANO, Per la Repubblica: “rifondare la Città con le leggi”. Dal Codice civico al Codice civile attraverso le Assemblee di Città, in D. D’ORSOGNA, G. LOBRANO, P.-P. ONIDA, a cura di, Città e diritto. Studi per la partecipazione civica. Un «Codice» per Curitiba, Napoli 2016, 15-87; “Autonomie locali” [comunicazione al Convegno della Associazione ex Consiglieri Regionali della Sardegna Lo Stato di attuazione dello Statuto speciale della Sardegna. Un bilancio dopo 70 anni, Cagliari, 15/10/2018], in MARIAROSA CARDIA, a cura di, Lo Stato di attuazione dello Statuto speciale della Sardegna. Un bilancio dopo 70 anni, Cagliari 2019 [Collana della Associazione ex Consiglieri Regionali della Sardegna Presente e futuro, n. 30, 2019], 53-62.

[73] Il “Progetto di legge costituzionale”, redatto nel 1997 dalla Commissione parlamentare bicamerale presieduta dall’on. Massimo D’Alema non è stato approvato dal Parlamento ed è rimasto un testo magmatico. Esso merita, tuttavia, una menzione particolare. Nella parte concernente la riforma della “forma di Stato” (curata dall’allora Senatore oltre che Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Francesco D’Onofrio) l’“Ordinamento della Repubblica” è riformato in “Ordinamento federale della Repubblica”. In esso, il nuovo titolo del Titolo V rovescia il vecchio ordine degli Enti costitutivi dello Stato: “Le Regioni, le Provincie, i Comuni”, nel nuovo ordine degli enti costitutivi della Repubblica: “Comune, Provincia, Regione, Stato”. Il nuovo ordine rende dignitosa la categoria di “sistema delle autonomie” che il vecchio ordine riduce a semplice articolazione amministrativa del potere centrale. Nella stessa logica, l’intero Titolo V è fatto assurgere – scalzando il Parlamento! – a Titolo I e viene – ovviamente – meno non la distinzione né la dialettica tra la attività legislativa e quella esecutiva ma la riserva della attività legislativa alla parte apicale/centrale dell’ordinamento con la esclusione delle Comunità locali.

[74] Vedi, supra, nt. 66, la citazione di Barroche.

[75] Titolo V “Le Regioni, le Province, i Comuni”. Art. 114 «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».

[76] Vedi la Legge Regionale sarda del 17 gennaio 2005, n. 1 “Istituzione del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regione-enti locali”, in part. l’art. 9 “Partecipazione al procedimento legislativo”.

[77] Decisione del TAR Abruzzo - Pescara, 5 novembre 1993, n. 537, confermata dal Consiglio di Stato - Quinta Sezione, Decisione 6 luglio 1994, n. 732; Decisione del TAR Campania - Napoli: II Sezione, 15 febbraio 1997, n. 357, conferma dal Consiglio di Stato - Quinta Sezione, Decisione 25 maggio 1998, n. 688. Informazioni prese da Ministero dell’Interno - Dipartimento per gli Affari interni e territoriali - Direzione centrale dei Servizi elettorali, Elezioni comunali e regionali - Pubblicazione n. 5 - Elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale - Istruzioni per la presentazione e l’ammissione delle candidature, Roma 2015, 235.

[78] Vedi, supra, ntt. 50 e 54.

[79] Meccanismo partecipativo rinvenuto e studiato da Putnam nella esperienza istituzionale italiana: Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy, Princeton - New Jersey 1993.

[80] Development as Freedom, Oxford 1999, cap. 6 “The importance of democracy” (tr. it. Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Milano 2000).

[81] The price of inequality: how today’s divided society endangers our future, New York 2012.

[82] Le Capital au XXIe siècle, Paris 2013.

[83] La ricchezza di pochi avvantaggia tutti Falso!, Cambridge (UK) e Malden (Mass.) 2013.

[84] Con la collaborazione di Antonello Angius e Paolo Fadda, Lo sviluppo locale in Sardegna? Un flop. Numeri, cause, suggerimenti, Roma 2017. In una intervista alla “Nuova” del 9 ottobre 2017, Sassu, per provare il “fallimento totale” sugli “obiettivi cruciali” delle politiche di sviluppo, indica il “calo demografico”.

[85] Con una “Introduzione” di P. MAURANDI, Lo sviluppo locale della Sardegna. Territori, popolazione, istituzioni, Cagliari 2018.

[86] The Third Pillar: How Markets and the State Leave the Community Behind, New York 2019.

[87] C. SBAILÒ, La rappresentanza mite. Le seconde Camere e il futuro della democrazia parlamentare, Troina (En) 2000, ove a conclusione del Capitolo sesto “Crisi dello stato nazionale e declino della rappresentanza”, 136, l’autore scrive «La rappresentanza mite non può essere uno schema ideologico che si sovrappone a un altro, ma può essere solo uno strumento di interpretazione, qualora si includa nell’interpretazione anche la costruzione di nuovi modelli e nuovi percorsi politici, al fine di trovare nuovi modi per soddisfare l’istanza originaria del costituzionalismo, che non è né la democrazia rappresentativa né la separazione dei poteri, ma il primato dell’Agorà su tutti gli altri luoghi della Polis».