Contributi

 

 

Prof. AMBROSINI LorenaLE RELAZIONI FAMILIARI:

TRASFORMAZIONI SOCIALI E NUOVE ISTANZE DI TUTELA

 

 

LORENA AMBROSINI

Università di Teramo

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa e delimitazione del tema. – 2. La regolamentazione delle nuove realtà familiari. – 3. L’ordine pubblico nei provvedimenti di delibazione. – 4. La nozione di ordine pubblico e la posizione della giurisprudenza. – 5. Il ripudio e le norme italiane in materia di unioni civili. – 6. (segue) Il controllo sugli effetti nel caso concreto. – 7. Ordine pubblico, bilanciamento di interessi e pluralismo culturale. – 8. Il ripudio e la prospettiva conformativa. – Abstract.

 

 

 

1. – Premessa e delimitazione del tema

 

Nel contesto italiano – nonché, più in generale, in quello europeo – si assiste da tempo ad una rilevante trasformazione della realtà familiare.

In particolare, si registra un crescente numero di famiglie c.d. “internazionali”, ossia composte da membri che hanno nazionalità diversa oppure non hanno la cittadinanza del Paese in cui vivono, nonché una forte presenza di liti c.d. “transfrontaliere” fra genitori, che interessano sia minori con cittadinanza in uno dei Paesi UE che minori con cittadinanza extracomunitaria[1]; tale fenomeno è dovuto non solo alla “globalizzazione sociale” in atto da alcuni decenni, ma alle numerose crisi (economiche, climatiche, democratiche e culturali) che interessano Paesi contigui o comunque vicini al nostro continente, a cui si aggiungono le conseguenze della guerra che ci sta interessando perfino dall’interno.

Si profila dunque, anche in Italia, una multiculturalità che interessa in modo sempre più incisivo le relazioni familiari, ponendo il delicato problema di dover operare scelte giuridiche che consentano la salvaguardia delle nuove realtà unitamente alla necessità di garantire la protezione dei soggetti deboli coinvolti e, più in generale, il rispetto dei diritti fondamentali.

Ai dati di fatto può essere utile aggiungere il profilo relativo alla notevole modificazione del tessuto sociale dovuta alla instabilità dei rapporti affettivi e/o di coppia, registrandosi peraltro un deciso cambio di sensibilità che conduce ad esaltare i diritti individuali e non più quelli collettivi[2]; a tale ultimo proposito può affermarsi – emblematicamente – che alla pregressa impostazione che propendeva per la tutela degli interessi “della” famiglia, si è sostituita l’esigenza di protezione e tutela degli interessi “nella” famiglia[3].

Le trasformazioni sociali e la mutata sensibilità collettiva[4] incidono in una serie molto ampia di questioni, la più nevralgica delle quali è senz’altro individuabile nella necessità di dover garantire identica tutela a tutti i minori coinvolti in controversie internazionali o transfrontaliere, aderendo ad una esigenza avvertita e riconosciuta da sempre ma che oggi affronta nuove sfide; tale specifico profilo, tuttavia, esula dalle presenti riflessioni, poiché il tema è già stato affrontato in altra sede, ove si è sottolineata l’esistenza di un sistema volto all’armonizzazione e tendente all’uniformità, ma che tuttavia mostra qualche incrinatura[5].

Sembra opportuno sottolineare che le sfide poste dalla multiculturalità possono essere risolte solo in parte dagli strumenti di armonizzazione predisposti dal diritto dell’UE, poiché nel territorio europeo in generale, ed in quello italiano in particolare, le questioni più controverse si registrano con riferimento a famiglie ed individui con cittadinanza extraeuropea, ponendo delicati problemi relativi ad istituti che non ci appartengono, sia dal punto di vista giuridico che sotto il profilo culturale (si pensi, a mero titolo esemplificativo e salvo quanto si dirà oltre, alla poligamia, alla dote, al ripudio, ecc.).

In merito alla tutela e protezione degli individui coinvolti, si riscontrano dunque una pluralità di fonti e di interventi che è necessario esaminare, e che sono riferibili sia al diritto europeo che al diritto interno, comprensivo delle norme di diritto internazionale privato di cui alla L. 218/1995.

 

 

2. – La regolamentazione delle nuove realtà familiari

 

La disciplina delle relazioni familiari transfrontaliere è attualmente affidata, con riferimento al diritto europeo[6], a due normative principali: il Reg. UE 2019/1111, c.d. Bruxelles II ter (che ha sostituito il Reg. CE 2201/2003, noto come Bruxelles II bis) - relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale e di sottrazione internazionale di minori – e il Reg. 1259/2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile alla separazione e al divorzio[7].

In particolare, il Reg. UE 2019/1111 mira a conferire organicità, effettività ed uniformità all’esecuzione delle decisioni giurisdizionali in materia matrimoniale pronunciate in uno Stato membro: ai sensi dell’art. 30, esse sono riconosciute dagli altri Stati senza necessità di alcun procedimento specifico e la stessa previsione è contenuta nell’art. 65 con riferimento agli atti pubblici e agli accordi in materia di separazione personale e divorzio che sono vincolanti nello Stato membro di origine; tuttavia, in entrambe le ipotesi, il riconoscimento è negato “se è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro in cui il riconoscimento è invocato” (si vedano rispettivamente gli artt. 38 e 68).

La vera novità non prevista nel Bruxelles II bis ed introdotta nel 2019 riguarda la circolazione di separazioni e divorzi frutto del mero accordo fra i coniugi, quali, ad esempio, gli strumenti negoziali introdotti in Italia con L. 162/2014 [8] (negoziazione assistita da avvocati o accordo stipulato dinanzi a ufficiale di stato civile). L’art. 3 individua altresì la competenza a decidere in materia matrimoniale (che ben potrà essere del giudice italiano in base al criterio della residenza, anche nel caso di richiedenti non cittadini[9]), ma non la legge applicabile, per la quale dovrà farsi quindi riferimento al sopracitato Reg. 1259/2010 per quel che concerne la separazione e il divorzio.

Nello specifico, l’art. 5 del Reg. 1259/2010 pone come criterio generale l’applicazione della legge scelta dalle parti, l’art. 8 individua la legge applicabile in mancanza di scelta delle parti (che si determinerà in base alla residenza abituale o alla cittadinanza comune), mentre l’art. 10 offre come criterio residuale la legge del foro, ove la legge scelta ex art. 5 o quella risultante ex art. 8 non prevedano il divorzio o non concedano “pari condizioni di accesso” alla separazione o al divorzio a uno dei due coniugi; anche in questo caso, in base all’art. 12, l’applicazione di una norma della legge designata può essere esclusa quando sia “manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro”.

È importante sottolineare che il Reg. 1259/2010, come espressamente previsto dal suo art. 4, ha carattere universale, nel senso che la legge designata in base al medesimo regolamento si applica anche qualora non sia quella di uno Stato membro; di conseguenza, ben potrebbe il giudice italiano – purché competente - essere chiamato a decidere applicando le norme di un Paese extraeuropeo e molto lontano dalla nostra cultura.

Tale aspetto segna dunque una differenza fondamentale rispetto al già richiamato Reg. 2019/1111: mentre infatti quest’ultimo deve essere applicato solo fra gli Stati che hanno partecipato alla cooperazione rafforzata (restandone esclusa, ad esempio, la Danimarca, e naturalmente tutti i Paesi non appartenenti all’UE) poiché mira principalmente – come detto – alla pronta circolazione di decisioni ed atti provenienti da Paesi esterni, il Reg. 1259/2010 finisce per porre una regola interna, poiché individua la legge che dovrà essere applicata ogni volta che un giudice appartenente ad uno Stato dell’Unione dovrà pronunciarsi in tema di separazione o divorzio.

Questo profilo, per la verità, non sempre è stato chiaramente avvertito dalla nostra dottrina.

Invero, se una parte della medesima ha sottolineato da tempo come il campo di applicazione del Reg. 1259 (c.d. Roma III) si sovrapponesse appieno alla norme di diritto internazionale privato interno che quindi - pur senza esplicita abrogazione - dovevano ritenersi sostituite[10], altri autori avevano continuato a ritenere operante il nostro art. 31 L. 218/1995, secondo il quale si applica(va), in via generale, il diritto nazionale dei coniugi o, in mancanza, la legge dello Stato in cui la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata[11]. La questione ha trovato oggi definitiva soluzione nell’ambito delle trasformazioni normative introdotte dalla c.d. “riforma Cartabia”, che ha esplicitamente sostituito le disposizioni dell’art. 31 prevedendo l’applicazione della legge designata dal Reg. Roma III[12].

Sembra dunque potersi affermare che in virtù del recente adeguamento formale – che peraltro dovrebbe avere solo valore ricognitivo - residuano ben pochi dubbi in merito alla legge applicabile e alla totale operatività del Reg. 1259/2010, potendosi già tirare una prima conclusione: se due cittadini extraeuropei si rivolgono al giudice italiano (competente, in tal caso, non già in virtù del reg. 2019/1111, ma ai sensi degli artt. 3 e/o 32 L. 218/1995 [13]), anche se scelgono la legge del loro Paese di origine e chiedono congiuntamente che sia applicata, il giudice – come previsto dal già citato art. 10 Reg. 1259/2010 - non potrà farlo se non vi sono “pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione”[14] per uno dei due coniugi, e dovrà dunque applicare la legge italiana senza neppure procedere alla ulteriore verifica dell’incompatibilità con l’ordine pubblico.

Passando dalle fonti europee al diritto interno, oltre a quanto già riferito relativamente agli artt. 3, 31 e 32 L. 218/1995, può aggiungersi brevemente che il nostro sistema di diritto internazionale privato prevede – in via generale - l’inapplicabilità di leggi straniere i cui “effetti” siano contrari all’ordine pubblico (art. 16), consentendo altresì il riconoscimento automatico di sentenze straniere a condizione che le sue disposizioni non producano “effetti contrari all’ordine pubblico” (art. 64) nonché il riconoscimento di provvedimenti stranieri «purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali di difesa» (art. 65).

Alla luce di quanto riportato e ai fini di maggiore chiarezza, si può brevemente affermare che le decisioni e gli accordi relativi alla materia matrimoniale:

- possono essere pronunciate nel nostro Paese applicando la legge di uno Stato terzo e non europeo, con il limite generico della contrarietà o incompatibilità con l’ordine pubblico (art. 16 L. 218/1995 e art. 12 Reg. 1259/2010 per separazione e divorzio) nonché con la condizione specifica che la legge straniera garantisca parità di accesso ai coniugi in caso di separazione e divorzio (art. 10 Reg. 1259/2010);

- possono essere riconosciute nel nostro Paese, se pronunciate in altro Stato, senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento (v. Reg. 1111/2019 per gli Stati aderenti e artt. 64 e 65 L. 218/1995 in generale) a condizione che non vi sia contrarietà con l’ordine pubblico (artt. 38 e 68 Reg. 1111/2019 e artt. 64 e 65 L. 218/1995);

- possono essere sottoposte a procedimento per l’accertamento dei requisiti del riconoscimento, qualora quest’ultimo venga contestato o non ottemperato, ovvero sia necessario procedere ad esecuzione forzata (art. 67 L. 218/1995).

Ne deriva, dunque, una efficacia automatica e diretta di sentenze e provvedimenti stranieri, purché rispettosi delle condizioni e dei limiti indicati dalla legge, con l’ipotesi di un’unica eccezione, relativa alle sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai Tribunali Ecclesiastici: in tal caso, poiché la disciplina specifica[15] prevede il procedimento di delibazione, l’orientamento maggioritario – ma non pacifico - ritiene che tale procedimento continui ad essere necessario nonostante il riconoscimento automatico introdotto dalla L. 218/1995 [16], pervenendo quindi ad una soluzione che si profila peggiorativa rispetto alle sentenze straniere.

Ricostruito lo stato dell’arte dal punto di vista normativo e procedimentale, è evidente che assume importanza centrale chiarire cosa si intenda per ordine pubblico e come tale elemento sia stato interpretato ai fini del riconoscimento (o meno) di sentenze e provvedimenti in materia matrimoniale.

 

 

3. – L’ordine pubblico nei provvedimenti di delibazione

 

La riflessione sull’ordine pubblico potrebbe giovarsi dell’attenzione ad un profilo che generalmente viene tralasciato, ma che in qualche modo appare invece sollecitato dalle indicazioni riportate alla fine del paragrafo che precede, ossia dal “concetto”[17] di ordine pubblico applicato dalle nostre Corti in tema di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio canonico.

In merito, ha destato particolare interesse la sentenza resa a SS.UU. nel 2014, con la quale si è statuito che non può essere accolta la richiesta di delibazione se i coniugi hanno convissuto per almeno tre anni dalla data del matrimonio concordatario, individuando così nella convivenza “stabile e continua” un elemento «costitutivo di una situazione giuridica disciplinata e tutelata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di “ordine pubblico italiano”»[18].

Per una migliore comprensione può ricordarsi, in estrema sintesi, che il problema nasce dal fatto che l’ordinamento canonico non conosce il divorzio, per cui ha la mera alternativa tra validità e nullità del matrimonio, nullità che può essere pronunciata anche dopo decenni di convivenza; nell’ordinamento civile, invece, la convivenza coniugale assume importanza fondamentale[19] e tale per cui la sua protrazione per tre anni giustifica l’accesso all’adozione[20]: di conseguenza, in tal caso non potrà pervenirsi a dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio concordatario.

La soluzione delle SS.UU. è stata ampiamente criticata dalla dottrina che, con riferimento all’attività interpretativa necessaria per la valutazione in termini di ordine pubblico, ha lamentato la tendenza giurisprudenziale a farvi rientrare “nozioni a dir poco fantasiose” e certamente ostative alla ricerca dell’essenza stessa di un istituto[21]; a ben vedere, tuttavia, la pronuncia è indice della necessità di trovare una soluzione di compromesso a fronte di una situazione che presupporrebbe un ingresso storicamente “privilegiato” della decisione nel nostro sistema[22] ma che tuttavia genera perplessità quando le circostanze di fatto sembrano stridere con una visione più ampia dell’ordinamento civile: in altre parole, potrebbe apparire contraddittorio ritenere fondamentale la convivenza al fine di accogliere un bambino, e poi sminuirne completamente la valenza recependo la declaratoria di nullità di un matrimonio magari ultratrentennale e con la presenza di molti figli, specie alla luce della considerazione che – in sede civile - ben potrebbero i coniugi separarsi e/o divorziare.

In merito, può farsi ulteriormente notare che, nel nostro ordinamento, l’impugnazione del matrimonio per incapacità legale o naturale e vizi del consenso è impedita dalla coabitazione protratta per un solo anno dopo la revoca dell’interdizione o la cessazione dell’incapacità o del vizio (artt. 119, 120 e 122 c.c.): dunque, un limite temporale ben più breve consente in qualche modo la “salvezza” del rapporto, pur nella consapevolezza che si è di fronte ad un termine di decadenza che dunque attiene esclusivamente alla modalità di tutela del diritto e non alla sua essenza intrinseca.

Di conseguenza, pur se sono condivisibili le osservazioni che evidenziano come la convivenza non possa considerarsi di per sé principio di ordine pubblico e come - anche ai sensi delle norme sull’adozione – il rapporto, quantunque triennale, non possieda alcun rilievo giuridico se non si accompagna ad un valido atto[23], si può comunque ritenere che le SS.UU. abbiano immaginato una nozione di ordine pubblico aperta e flessibile, idonea a modellarsi per meglio rispondere alle specifiche istanze di tutela.

L’affermazione che precede potrebbe apparire forte, tuttavia sembra possa trovare conferma in due sentenze molto recenti della I Sezione[24] che sono esplicitamente dirette a specificare la portata, i limiti ed il perimetro applicativo delle SS.UU.

In particolare, si è ritenuto di dover dare una “lettura restrittiva” della pronuncia del 2014, tale per cui la convivenza protratta per tre anni, pur integrando una situazione di “ordine pubblico italiano”, limita la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità per vizi riconosciuti nel solo ordinamento canonico (come, ad esempio, la riserva mentale sull’indissolubilità del matrimonio), ma non è ostativa alla delibazione di sentenze di nullità relative a vizi presidiati da nullità anche nell’ordinamento italiano (come nei casi di errore su qualità essenziali e incapacità a prestare consenso, riferibili rispettivamente agli artt. 120 e 122 c.c.).

Le pronunce vengono giustificate dal rilievo che, in tali casi, «è vano discettare di matrimonio-rapporto protratto per tre anni», anche considerando che semmai, secondo il nostro ordinamento, sarebbe «impeditivo il decorso del distinto termine di un anno di coabitazione» (già richiamato sopra, nel testo, sia pure per altri fini); di conseguenza, la delibazione sarà possibile (meglio, non impedita dalla convivenza ultratriennale) poiché «tale nullità non è sanabile nell’ordinamento italiano, dalla protrazione della convivenza prima della scoperta del vizio»[25].

Prescindendo da una serie di rilievi e dubbi ulteriori[26], è evidente che quando la Cassazione sottolinea che per verificare la sussistenza di «contrasto con l’ordine pubblico interno …è necessario operare … una distinzione fondamentale sul tipo di vizio che inficia l’atto produttivo del vincolo»[27] sta proponendo una costruzione peculiare, poiché se la convivenza stabile è espressione di un principio di ordine pubblico, dovrebbe esserlo sempre, e non a seconda del vizio; invero, sembra confermarsi l’idea già esposta, ossia quella di un concetto assolutamente non rigido, che impone il vaglio concreto ed il bilanciamento degli interessi coinvolti.

Ulteriori conferme all’assunto che precede possono essere trovate nelle pronunce ove si afferma che non solo è possibile delibare una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio pur in presenza di giudicato interno di divorzio[28], mantenendo peraltro l’assegno[29], ma che ben si può delibare una sentenza di nullità senza che questo sia di ostacolo alla prosecuzione del giudizio civile in corso solo per la liquidazione dell’assegno[30].

Tale orientamento ha sollevato numerose critiche ma mostra, ancora una volta, il tentativo di andare oltre il dato formale per privilegiare la tutela specifica, ossia impedire che attraverso la delibazione venga esclusa la c.d. solidarietà post-coniugale incarnata dalla liquidazione dell’assegno di divorzio; in questo modo si trovano a coesistere, nel nostro ordinamento, sia la nullità che il divorzio con riferimento al medesimo rapporto, ma la giurisprudenza supera l’empasse mediante costruzioni formali e processualistiche, che hanno il loro limite soltanto nella necessità di un già intervenuto giudicato in merito al divorzio[31].

Anche alla luce di tale peculiare atteggiamento, si può dunque cercare di rileggere il concetto di ordine pubblico nella materia matrimoniale.

 

 

4. – La nozione di ordine pubblico e la posizione della giurisprudenza

 

La nozione di ordine pubblico è notoriamente variabile, nel tempo e nello spazio[32], tanto da essere ritenuta da alcuni “evanescente” anche in virtù delle proposte distinzioni fra ordine pubblico “interno”, “internazionale”, “processuale” e perfino “matrimoniale”[33].

A ben vedere, una prima difficoltà si riscontra già nell’individuazione della forma linguistica (o del lemma) atta ad individuarlo: parlare di “concetto” di ordine pubblico significa interrogarsi sul suo contenuto, sulla sua essenza e – conseguentemente – tentare la sua definizione, mentre è stato giustamente sottolineato che l’ordine pubblico «non è mai stato chiamato a designare una sostanza, bensì ad assolvere una funzione», per cui non è un concetto, ma un “dispositivo”, un «congegno deputato ad un’operazione ermeneutica»[34].

Aderire a questa impostazione significa spostare il campo della ricerca dall’interrogativo “che cosa è”, riferibile ai concetti, agli interrogativi “a che serve” e “come funziona”, che devono essere rivolti alle nozioni giuridiche con natura strumentale[35].

La dottrina ha altresì utilizzato il riferimento alla “clausola generale”, espressione con la quale si evoca una vera e propria tecnica di normazione, per effetto della quale il legislatore inserisce in una norma giuridica un criterio di valutazione elastico, che rinvia a una pluralità di altre valutazioni e introduce elementi di flessibilità applicativa[36]; altri autori hanno invece affermato che il richiamo non deve essere alla clausola generale ma alla “norma generale”, poiché quest’ultima preclude al giudice di andare oltre il perimetro dell’ordinamento nell’opera di ricerca degli indici dai quali ricavare il contenuto dell’ordine pubblico[37].

La presente sede non consente approfondimenti, ma si può immaginare che le posizioni possano non essere distanti dall’idea di uno strumento di selezione (o, magari, di “filtro”[38]) che individui i principi irrinunciabili per la stessa razionalità dell’ordinamento, strumento quindi che opera sia dal punto di vista interno (impedendo l’efficacia degli atti di autonomia privata) che esterno (impedendo il riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri).

Con riferimento a tale ultimo profilo, si ricorda che la giurisprudenza suole distinguere fra ordine pubblico interno - inteso come complesso dei principi cardine dell’ordinamento e delle regole fondamentali, pur non necessariamente imperative[39]- e internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno, ma fondati su esigenze di tutela, comuni ai diversi ordinamenti, dei diritti fondamentali dell'uomo[40].

La differenziazione si è rivelata utile, ad esempio, per affermare che non è ontologicamente incompatibile con il nostro ordinamento l’istituto dei risarcimenti punitivi, ove la Cassazione ha indicato una strada ben precisa: accanto al tradizionale ruolo di strumento di controllo, si è specificato, l'ordine pubblico svolge anche una funzione promozionale dei valori di libertà, sicurezza e giustizia tutelati dall’Unione Europea; di conseguenza, i limiti derivanti dalla diversità di tradizioni giuridiche dovranno essere “privati di venature egoistiche” e non ci si potrà arrestare di fronte alla non corrispondenza degli istituti, poiché «l’interrogativo è solo il seguente: se l’istituto che bussa alla porta sia in aperta contraddizione con l’intreccio di valori e norme che rilevano ai fini della delibazione»[41].

In dottrina la differenza tra ordine pubblico interno e internazionale è stata ridimensionata osservando che essa corrisponde a quella tra principi identificativi del nostro Paese – come tali, inderogabili – e disposizioni imperative ma non espressione di principi fondamentali[42], ed anzi affermandosi più specificamente che l’ordine pubblico è uno soltanto ma, nei casi che recano un elemento di estraneità, le istanze protezionistiche interne devono essere bilanciate con le esigenze rappresentate dai sistemi di diritto stranieri, in modo da assicurare la c.d. armonia internazionale delle soluzioni[43].

Invero, come avvertito dalla stessa dottrina sopra riportata, la distinzione è ampiamente utilizzata, soprattutto a livello giurisprudenziale; più recentemente, e con riferimento a questioni più vicine al tema che ci occupa, le SS.UU. hanno affermato la riconoscibilità in Italia dell’adozione piena effettuata all’estero da coppia omoaffettiva maschile ribadendo la piena adesione al principio di ordine pubblico internazionale disegnato nella pronuncia sul risarcimento punitivo, e sottolineando la necessità di limitare la verifica agli effetti del provvedimento straniero, senza alcuna possibile valutazione e/o incisione sul suo contenuto[44].

La giurisprudenza dunque, perfino su temi estremamente delicati, mostra di dare continuità all’idea secondo cui il giudice nazionale, chiamato a valutare la compatibilità con l'ordine pubblico dell’atto straniero, deve verificare non già se quell’atto applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto a più norme interne (benché imperative o inderogabili), ma se contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo[45].

Più nello specifico, si osserva che se l'ordine pubblico si identificasse con quello esclusivamente interno, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all'applicazione di norme materiali aventi contenuto analogo a quelle italiane, cancellando la difformità tra i sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato; di conseguenza, pur in presenza di divieti interni - che devono comunque essere mantenuti fermi – si riconosce «la diversità del paradigma normativo applicabile, a maglie più strette quello interno, a tessitura più larga quello fondato sui principi di ordine pubblico internazionale»[46].

Per rendere chiara l’operatività della distinzione proposta e ribadita dalla S.C., può ricordarsi che il limite dell’ordine pubblico ha invece impedito il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui era stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore intenzionale cittadino italiano[47]: in questo caso, il forte disvalore attribuito dal diritto interno alla surrogazione di maternità viene ritenuto come posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante, che impedisce dunque l’ingresso del provvedimento nel nostro ordinamento, mentre l’interesse del minore può essere tutelato facendo ricorso ad altri strumenti interni, quale l’accesso all’adozione in casi particolari.

In tale ultima sentenza è contenuta un’indicazione fondamentale, che va opportunamente sottolineata: la compatibilità con l’ordine pubblico deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi principi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti; di conseguenza, mentre non può ammettersi il riconoscimento di un provvedimento straniero fondato su un accordo di surrogazione di maternità, può invece riconoscersi l’adozione estera di una coppia maschile, poiché espressione di una regola la cui mutevolezza nei vari ordinamenti non va a violare un principio intangibile del diritto interno[48].

Da quanto precede possono trarsi le linee basilari tracciate dalla nostra giurisprudenza in merito al limite dell’ordine pubblico nel riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri.

In primo luogo, l’affermazione di coesistenza di sistemi normativi diversi implica che l’ingresso del provvedimento formato all’estero debba essere impedito solo per violazione di principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno e fondati su esigenze di tutela sovraordinati e relativi a diritti inviolabili; in secondo luogo, l’individuazione delle norme espressive di ordine pubblico - lungi dal coincidere con l’assimilazione ai precetti imperativi o inderogabili secondo il diritto interno - va condotta operando un giudizio preventivo e virtuale di costituzionalità, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui il giudice possa motivatamente ritenere che al legislatore ordinario sarebbe ipoteticamente precluso di introdurre una norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con valori costituzionali primari[49]; in terzo luogo, la verifica deve essere condotta con riguardo non già all’astratta formulazione della disposizione straniera o alla correttezza della soluzione adottata alla luce dell'ordinamento straniero o di quello italiano, bensì agli “effetti” della sentenza straniera; infine, la valutazione di tali effetti non è “formale”, ma deve estendersi alle modalità di produzione dei medesimi effetti[50], dunque analizzando il caso concreto in termini di compatibilità con il nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento.

L’orientamento giurisprudenziale appare dunque chiaramente indirizzato ad escludere qualunque sindacato sulla correttezza giuridica della soluzione straniera e qualunque valutazione contenutistica del provvedimento estero, dovendosi esaminare solo gli effetti di quest’ultimo anche in casi peculiari relativi allo scioglimento del matrimonio in virtù di dichiarazione unilaterale[51]; tale aspetto apre tuttavia la strada alla necessaria analisi del ripudio islamico, argomento che merita certamente un’attenzione più puntuale.

 

 

5. – Il ripudio e le norme italiane in materia di unioni civili

 

Il ripudio è una particolare forma di scioglimento unilaterale del matrimonio islamico – contratto consensuale disciplinato dalla sharia – che si realizza con la pronuncia del termine talaq (il cui significato è lasciare andare) o equivalenti da parte del marito, che esprime la volontà di porre fine alla sua autorità maritale sulla sposa[52].

Generalmente, per assumere carattere di irrevocabilità la formula deve essere ripetuta a distanza di tre mesi[53], ed assume la valenza di dichiarazione unilaterale di volontà, che potrebbe anche essere limitatamente riconosciuta alla moglie mediante inserimento di una clausola nel contratto matrimoniale.

L’originaria natura negoziale del ripudio viene oggi tendenzialmente esclusa in virtù del suo inserimento in un procedimento giudiziario, ma si sottolinea come gli ordinamenti giuridici arabo-islamici prevedano che l’autorità che interviene svolga attività di mero recepimento del potere unilaterale maritale, con funzioni di omologa e presa d’atto[54].

La giurisprudenza italiana appare orientata a non riconoscere efficacia alle sentenze emesse dal Tribunale sciaraitico - equiparabili, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale - ritenendo che lo scioglimento del matrimonio mediante ripudio è idoneo a violare il nostro ordine pubblico sotto un duplice aspetto: con riferimento al profilo sostanziale, il ripudio discriminerebbe la donna che non può opporsi né promuovere essa stessa il procedimento; relativamente all’aspetto processuale, il procedimento apparirebbe incompatibile con il diritto di difesa e con la garanzia di effettività del contraddittorio, mancando altresì qualunque accertamento in merito alla cessazione della comunione di vita da parte del Tribunale sciaraitico[55].

In merito può tuttavia rilevarsi come alcune censure non sembrano cogliere nel segno.

In primo luogo, l’istituto del ripudio islamico, che si sostanzia in una dichiarazione unilaterale di scioglimento, ha un referente analogo nel nostro ordinamento: il comma 24 della L. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) consente infatti all’unito civilmente di dichiarare unilateralmente di fronte all’ufficiale di stato civile (quindi, neppure dinanzi ad un Tribunale o ad un organo giurisdizionale …) di volersi sciogliere dall’unione[56], e tale dichiarazione viene immediatamente iscritta nei registri anagrafici (pur senza comportare la modifica immediata dello status) bastando che l’altra parte dell’unione sia a conoscenza della stessa dichiarazione[57].

Non sembra, dunque, esserci una grande differenza con il talaq islamico pronunciato di fronte al Tribunale della sharia, ed anzi la previsione di dover ribadire il talaq a distanza di tre mesi mostra una strana contiguità temporale con quanto previsto per le nostre unioni civili, ove in caso di mancato accordo tra gli uniti occorre promuovere il giudizio - appunto – dopo tre mesi dalla dichiarazione unilaterale.

Affermare dunque che contrasta con l’ordine pubblico lo scioglimento del vincolo affidato ad una mera dichiarazione in assenza di contraddittorio, significa non aver considerato che anche nelle unioni civili è prevista la possibilità di un “recesso ad nutum” senza che questo sia ritenuto contrario a precetti costituzionali o violativo di diritti fondamentali.

Peraltro, anche con riferimento alla crisi coniugale, viene costantemente affermato che la richiesta di separazione o divorzio avanzata da un coniuge ha natura di diritto potestativo, ribadendosi che il presupposto della intollerabilità della convivenza deve essere inteso in senso meramente soggettivo, non essendo necessaria una situazione di conflitto ma reputandosi sufficiente una condizione di distacco o disaffezione di cui il Tribunale si limita a prendere atto ai fini della pronuncia di separazione[58].

Se a tali ultime considerazioni si aggiunge il dato normativo relativo alla possibilità di ottenere la separazione o il divorzio in via stragiudiziale[59], il mancato accertamento giudiziale in merito alla cessazione della comunione di vita diviene sostanzialmente irrilevante, e sembrano, dunque, non condivisibili le lamentate violazioni dell’ordine pubblico processuale, mentre considerazioni diverse e più articolate devono essere fatte con riferimento al profilo sostanziale.

 

 

6. – (segue) Il controllo sugli effetti nel caso concreto

 

Ricordando preliminarmente che, ai fini del riconoscimento, la verifica deve riguardare gli effetti della sentenza straniera, non si vede come il ripudio non sia compatibile con il nostro ordinamento con riferimento allo scioglimento del vincolo[60]; il problema, invece si pone rammentando ulteriormente che la valutazione deve estendersi alle modalità di produzione dei medesimi effetti, per cui diventano rilevanti altri aspetti, ossia: la circostanza che il ripudio è di norma riservato al marito, e la considerazione che lo scioglimento del matrimonio non produce effetti solo nei rapporti personali fra coniugi, ma comporta anche ricadute sotto l’aspetto patrimoniale.

Relativamente all’impossibilità per la moglie di accedere allo scioglimento, occorre chiarire che esso non sembra sostanziarsi nella violazione di un diritto di difesa (richiamato dall’art. 65 L. 218/95, e dunque da considerare qualora si ritenga che al ripudio vada applicato il regime riferibile ai “provvedimenti”[61]), che peraltro avrebbe poca sostanza in presenza di un diritto potestativo che appare sovrapponibile a quello esistente nel nostro ordinamento; ciò che rileva è invece la violazione del fondamentale diritto di uguaglianza e del principio di non discriminazione.

Con riferimento a tali aspetti, la dottrina ha sottolineato come potrebbe tuttavia accadere che sia la stessa moglie a chiedere il ripudio in virtù di clausola contenuta nel contratto matrimoniale, ovvero a sollecitarlo, ad acconsentirvi, o a chiedere essa stessa il riconoscimento, magari per accedere a nuove nozze: in questi casi la discriminazione può considerarsi esclusa, poiché lo scioglimento del vincolo assume natura consensuale[62].

Emerge ancora, con assoluta chiarezza, la necessità che il vaglio di compatibilità con l’ordine pubblico sia effettuato in concreto[63] e con riferimento allo specifico provvedimento oggetto del riconoscimento[64].

Appaiono certamente condivisibili le posizioni che sostengono come non sembrano sussistere ostacoli al riconoscimento se le modalità sono tali da ricondurre il caso specifico all’ipotesi di consensualità, ma la questione potrebbe essere ulteriormente esplorata.

Invero, che la mancata consensualità non possa essere considerata un problema di per sé, è un dato che si riscontra dalla stessa analisi del nostro ordinamento, ove – come già evidenziato – l’eventuale disaccordo deve cedere di fronte alla posizione di soggezione di colui che non vorrebbe mettere fine al matrimonio; resta invece da comprendere se sia o meno superabile la circostanza che la possibilità di chiedere lo scioglimento non sia garantita ad entrambi i coniugi.

In merito, con riferimento agli effetti del ripudio che incidono sui rapporti personali tra coniugi, appare sostenibile che non sembrano esserci argomenti sufficienti per negare il riconoscimento: il marito, anche nell’ordinamento italiano, può chiedere ed ottenere il divorzio sulla base della sua sola volontà, mentre il mancato riconoscimento della stessa facoltà alla moglie potrebbe essere superato in applicazione delle regole relative al nostro sistema di diritto internazionale privato.

Nello specifico, la donna islamica che voglia accedere allo scioglimento del matrimonio in Italia, potrebbe adire il giudice[65] che, in virtù del già richiamato art. 10 Reg. UE 1259/2010, sarà tenuto ad applicare la legge italiana quando la legge applicabile in base alla scelta, alla residenza o alla cittadinanza dei coniugi, non consente pari condizioni di accesso alla separazione o al divorzio, potendosi quindi eliminare di fatto tale discriminazione[66].

Di conseguenza, non sembra configurabile un difetto di uguaglianza sotto il profilo – lo si ripete – dei soli rapporti personali: se la moglie potrà accedere allo scioglimento così come il marito, e se nessuno dei due potrà opporsi alla volontà dell’altro, la contestazione di unilateralità del ripudio potrebbe apparire strumentale.

Non altrettanto può sostenersi, invece, con riferimento agli effetti patrimoniali del ripudio: nel diritto islamico non sembra infatti sempre garantito il riconoscimento della tutela legata alla c.d. “solidarietà post-coniugale”, che nel nostro ordinamento assume invece la valenza di principio fondato sui canoni costituzionali offerti dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.[67].

Proprio con riferimento a tale aspetto andrebbe dunque condotta una attenta analisi, volta a verificare se nel caso concreto sia stata lesa la dignità della donna, intesa come valore assoluto ed indipendente dalla stessa volontà dell’individuo[68], ponendo un veto – secondo quanto si esporrà oltre - al riconoscimento quando le condizioni economiche previste in sede di ripudio siano tali da disconoscere completamente il rapporto pregresso ovvero da negare qualunque tipo di sostentamento all’ex coniuge debole.

Per rendere più chiaro il senso dell’affermazione, è utile considerare che, come già emerso, non sono necessari procedimenti particolari per il riconoscimento: il provvedimento di ripudio è presentato all’ufficiale di stato civile che potrebbe semplicemente procedere alla trascrizione o iscrizione della sentenza matrimoniale, ovvero rifiutarle; in entrambi i casi sarà possibile opporsi alla decisione promuovendo un giudizio che richiederà la verifica, rispettivamente, della sussistenza o meno dei motivi di diniego, il primo dei quali è ovviamente la contrarietà con l’ordine pubblico. Poiché appare difficile immaginare che la decisione dell’ufficiale di stato civile si spinga fino alla valutazione di lesione della dignità della donna come sopra indicata, è presumibile che tale verifica avvenga ex post, a seguito di intervento giudiziale promosso dalla parte interessata.

Sembra dunque possibile ritenere che, proprio in virtù dell’adeguata ponderazione e bilanciamento degli interessi coinvolti, nonché della ragionevolezza delle soluzioni adottate[69], non potrà ritenersi che il ripudio sia a priori non riconoscibile, dovendosi accedere ad una valutazione che tenga conto degli effetti, tanto personali che patrimoniali, prodotti dal provvedimento straniero.

In tale ottica sembra muoversi una parte della giurisprudenza che sottolinea come non possa costituire un ostacolo al riconoscimento il fatto che la sentenza straniera applichi una disciplina difforme rispetto a norme interne, perfino imperative o inderogabili; bisognerà, invece, valutare gli effetti del provvedimento, ed accertarsi che essi «compulsino il tasso di compatibilità con l’ordine pubblico»[70].

Il sindacato “limitato” agli effetti ma “esteso” agli effetti patrimoniali consente la verifica in concreto della tutela dell’ex coniuge, per cui – parafrasando le richiamate SS.UU. del 2017 sul risarcimento punitivo – potrebbe affermarsi che il ripudio «non è ontologicamente incompatibile con il nostro ordinamento», purché vengano rispettati i principi posti a presidio della dignità della persona ed espressivi di una rinnovata valenza dell’ordine pubblico[71].

 

 

7. – Ordine pubblico, bilanciamento di interessi e pluralismo culturale

 

La dottrina, aderendo alla posizione espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha sottolineato come il diniego di riconoscimento di un provvedimento straniero, in nome dell’ordine pubblico, possa considerarsi legittimo solo ove sia proporzionato allo scopo perseguito dall’ordinamento del foro[72]; in particolare, si è specificato che il mancato riconoscimento costituisce un’ingerenza sulle scelte personali di vita, che risulta ammissibile solo se è proporzionata al soddisfacimento di bisogni sociali imperativi dello Stato.

Emerge così l’inquadramento dell’ordine pubblico come clausola di interferenza, ossia strumento che individua la possibilità di intervenire nelle situazioni individuali (riconoscendo o meno i provvedimenti che incidono sulla sfera personale) purché tale interferenza rispetti i criteri della proporzionalità e ragionevolezza[73]; con riferimento all’aspetto funzionale, può inoltre specificarsi che l’ordine pubblico esprime dunque il grado di tollerabilità della diversità che l’ordinamento è disposto a sopportare, tollerabilità che tuttavia va valutata in concreto[74] e bilanciata con il rispetto dei diritti fondamentali.

L’aspetto relativo alla rilevanza dei diritti fondamentali rappresenta, per la verità, un risultato piuttosto recente: l’impostazione tradizionale riteneva che le norme di diritto internazionale privato fossero poste a presidio delle esigenze di continuità della vita giuridica (giustizia formale), impostazione superata con il tempo anche grazie ai contributi della Corte Costituzionale, che hanno evidenziato come le medesime norme, riflettendo lo spirito dell’ordinamento di appartenenza, devono abbandonare il connotato di neutralità legato alla loro supposta strumentalità, per tendere al conseguimento del fine di giustizia sostanziale[75].

Invero, le strade per giungere a tale risultato sono state diverse[76]: si è distinto tra ordine pubblico “assoluto” – che comprende le regole comuni a tutti i sistemi delle Nazioni civili – e ordine pubblico “relativo”, ossia le regole che appartengono all’ordinamento statale e che impediscono l’applicazione della disciplina straniera solo se rappresentano interessi fondamentali ed inderogabili dell’ordinamento interno[77]; si è ipotizzata la sussistenza di un ordine pubblico “attenuato”, inteso come limite meno rigido per le situazioni venutesi a creare legittimamente in un ordinamento diverso e che rappresentano un mero antecedente alla questione di cui si discute nel foro[78], specificando che occorrerebbe limitare il ricorso all’eccezione di ordine pubblico alle ipotesi in cui l’applicazione del diritto straniero pregiudicherebbe, in concreto, il principio di uguaglianza[79]; si è altresì discusso di ordine pubblico “di prossimità” da utilizzare nel settore specifico delle relazioni familiari, ritenendosi escluso il ricorso al medesimo ordine pubblico quando la fattispecie non sia collegata al foro da criteri significativi, quali il domicilio o la cittadinanza[80].

In tale contesto, la dottrina più recente ha sottolineato che il ricorso a teorie e classificazioni può profilarsi superfluo se si accoglie una nozione di ordine pubblico che comporta e presuppone il bilanciamento fra valori confliggenti, poiché dove sono in gioco diritti fondamentali sarà l’esigenza di dare tutela a tali diritti a dover prevalere[81].

La tutela dei diritti degli individui diviene, dunque, elemento fondamentale idoneo perfino ad orientare diversamente la lettura della disciplina internazionalprivatistica[82], e l’ordine pubblico viene subordinato ad una tutela ragionevole dei diritti umani[83], potendo apparire sovradimensionata anche la distinzione fra ordine pubblico internazionale e interno poiché, nelle fattispecie con elementi di estraneità, l’ordine pubblico individua la soluzione più congruente nel bilanciamento dei molteplici principi applicabili[84].

Alla luce di tale impostazione vanno dunque risolte questioni nevralgiche che derivano da istituti sconosciuti al nostro ordinamento e che sono espressione del multiculturalismo presente nella società civile.

In tema di ricongiungimento familiare, ad esempio, dovrà adottarsi un provvedimento positivo anche nel caso di poligamia, se vi è l’esigenza di tutelare il diritto di un minore a mantenere rapporti affettivi con entrambi i genitori[85], ravvisandosi in caso contrario la violazione di diritti fondamentali dell’individuo e del principio di uguaglianza; peraltro, a conclusioni non dissimili dovrebbe giungersi, secondo la dottrina, anche nel caso di richiesta di ricongiungimento in assenza di figli (per evitare discriminazione tra le mogli che abbiano contratto legittimo matrimonio poligamico nella terra di origine) ed in merito al riconoscimento di eventuali pretese successorie[86].

Quanto sostenuto non sembra doversi tradurre nel riconoscimento necessario di effetti al matrimonio poligamico, bensì nel rifiuto di soluzioni categoriche e chiusure aprioristiche che impedirebbero la stessa realizzazione dei nostri principi costituzionali[87].

Occorre, in altre parole, che il corretto bilanciamento degli interessi già applicato – ad esempio – in materia di espulsione[88], investa anche la valutazione di ordine pubblico [89], ed anzi si spinga fino a consentire la produzione di effetti – valutati caso per caso – a istituti giuridici stranieri del tutto sconosciuti nel nostro ordinamento[90].

Con specifico riferimento al ripudio, l’affermazione ricorrente di necessaria valutazione casistica delle fattispecie con elementi di estraneità e la già prospettata tensione verso il fine di giustizia sostanziale, possono condurre ad analizzarlo in un’ulteriore prospettiva.

 

 

8. – Il ripudio e la prospettiva conformativa

 

Riprendendo quanto in precedenza riferito, può confermarsi come il ripudio non vada considerato ontologicamente incompatibile con il nostro ordinamento, dovendosi valutare l’impatto concreto dei suoi effetti nei rapporti tra le parti, sia sotto il profilo personale che relativamente al profilo patrimoniale.

Con riferimento al primo, si è già espressa l’opinione secondo cui si verificherebbe una situazione non molto lontana – anzi, per alcuni versi, sovrapponibile – a quella esistente nel nostro ordinamento, apparendo superabile anche l’obiezione relativa alla violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione; il profilo patrimoniale si mostra, invece, più problematico, poiché le condizioni economiche conseguenti al ripudio potrebbero essere tali da risultare lesive della dignità della donna.

In tale ultimo caso, tuttavia, si potrebbe dubitare dell’adeguatezza di una soluzione che conducesse, semplicemente, a negare il riconoscimento, poiché non si riuscirebbe in ogni caso a garantire la tutela effettiva della parte debole: al marito, infatti, non potrebbe essere imposta la conservazione del rapporto sotto il profilo affettivo, né sarebbe sicuramente assicurabile un’equa modulazione dei rapporti patrimoniali fra soggetti che restano “coniugi” malgrado l’opposizione di uno di loro[91].

Una soluzione diversa potrebbe profilarsi ponendosi nella prospettiva dei “rimedi”[92] ed assumendo tale termine nell’ampia nozione di strumenti posti a presidio dell’effettività dei diritti e preposti al soddisfacimento di un bisogno di tutela, tale per cui, rovesciando l’impostazione classica, può affermarsi il principio ubi ius ibi remedium[93].

In tale ottica, in caso di impugnazione del provvedimento adottato dall’ufficiale di stato civile, il giudice chiamato a valutare – secondo quanto già riferito - la compatibilità o meno con l’ordine pubblico, potrebbe adottare una decisione articolata, rifiutando l’alternativa tra il riconoscimento o meno del ripudio.

In particolare, a seconda del caso concreto, si potrebbe emettere una sentenza condizionata, subordinando dunque l’efficacia del ripudio al riconoscimento di contributi economici o comunque di attribuzioni che garantiscano la tutela della donna[94], ovvero giungere ad una sentenza “conformativa”, ossia ad una pronuncia manipolativa dei contenuti del rapporto conseguente al medesimo ripudio[95], al fine di rendere gli effetti di quest’ultimo aderenti al principio di solidarietà post-coniugale.

Tali interventi non sembrano tradursi in un inammissibile riesame nel merito del provvedimento straniero, poiché rappresentano semplicemente la modalità per renderlo conforme ai nostri principi costituzionali e adeguato alle esigenze di rispetto di diritti fondamentali; in altre parole, il provvedimento in sé non sarebbe toccato, ma il rapporto che ne consegue sarebbe implementato di ulteriori effetti.

L’impostazione proposta, oltre ad individuare la soluzione che appare più congrua, evoca una nuova valenza dello stesso strumento dell’ordine pubblico, che da “limite” o “filtro”, diviene un “dispositivo” per realizzare, attraverso l’attività interpretativo-valutativa, la tutela effettiva del bisogno in chiave conformativa.

 

 

 

Abstract

 

Multiculturality is increasingly affecting family relations, leading to legal choices focused on the safeguarding of the new realities, the protection of the weak parties involved, and the respect of fundamental rights.

Therefore, the compatibility of foreign measures with the principle of public order shouldn’t rely on the mere alternative between recognizing them or not.  Instead, articulated judicial decisions should be carried out, aiming towards a “conformative” perspective.

 

La multiculturalità interessa in modo sempre più incisivo le relazioni familiari, rendendo necessarie scelte giuridiche che consentano la salvaguardia delle nuove realtà unitamente alla garanzia di protezione dei soggetti deboli coinvolti e di rispetto dei diritti fondamentali.

In tale ottica, il vaglio della compatibilità dei provvedimenti stranieri all’ordine pubblico andrebbe condotto rifiutando la secca alternativa tra il loro riconoscimento o meno, che spesso si profila non adeguata al soddisfacimento dei bisogni di tutela, e consentendo invece decisioni giudiziali articolate, anche in prospettiva conformativa.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

[1] Nel 2019 la Commissione Europea ha stimato che nel territorio dell’UE erano presenti almeno 16 milioni di famiglie internazionali, e che ogni anno si registrano circa 140.000 divorzi internazionali e 1800 casi di sottrazione di minori da parte di un genitore. Cfr. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/MEMO_19_3374

[2] Il mutamento di prospettiva è dimostrato dalla ormai pacificamente ritenuta configurabilità del c.d. “illecito endofamiliare”, ossia dall’ingresso della responsabilità civile nelle relazioni familiari; sul punto, la dottrina rileva che tale impostazione testimonia l’attenzione dell’ordinamento alle prerogative dei singoli individui, un tempo sacrificate dalle incombenti potestà familiari: cfr. M. Sesta, Manuale di Diritto di Famiglia, Vicenza 2021, 487 ss.

[3] Il ripensamento del concetto giuridico di famiglia che, da istituzione, è divenuta piuttosto un insieme di relazioni basate sugli affetti, strumentale rispetto all’individuo ed all’affermazione della di lui personalità, è sottolineato anche da R. Montinaro, Società multiculturali e diritto delle relazioni familiari: itinerari di una ricerca, in G. Cataldi – R. Montinaro (a cura di), Società multiculturali e diritto delle relazioni familiari, Napoli 2021, 282; in merito al carattere plurale della famiglia nella sua connotazione post-moderna, tale per cui le relazioni familiari sono comprese come mere proiezioni dell’individuo ed espressione della sua autodeterminazione, si vedano le considerazioni critiche di E. Bilotti, Principio monogamico, norma personalista e rilevanza di rapporti poligamici di fatto, ibidem, 131 e ss.

[4] In merito, parte della dottrina evidenzia criticamente come i cambiamenti della nostra struttura sociale ed economica – tali per cui la famiglia perde sempre di più le funzioni legata all’esistenza materiale delle persone – non ha portato a rafforzare i vincoli affettivi ma a precarizzare il matrimonio, che sembra ridursi ad un rapporto di scambio funzionale al “diritto alla felicità” in senso individuale di ciascuno dei partner: cfr. A. Nicolussi, Matrimonio, filiazione e unioni non coniugali: quale futuro per i rapporti etico-sociali?, in Jus-online 2, 2015, 6 e s.

Per la ricostruzione storica, l’analisi delle trasformazioni dell’istituto, il rifiuto della visione contrattualistica nonché lo sviluppo di una teoria neo-istituzionale fondata sulla tutela costituzionale della famiglia e che individua nel matrimonio la fonte di interessi indisponibili, si veda ampiamente A. Renda, Il matrimonio civile, Una teoria neo-istituzionale, Milano 2013, spec. 74 e ss. e 289 e ss.

[5] Sia consentito di rinviare a L. Ambrosini, Prospettive di armonizzazione nelle relazioni familiari in tema di responsabilità genitoriale, in Atti del V Forum Internazionale del Gran Sasso, in pubblicazione.

[6] Sembra opportuno evidenziare che l’armonizzazione appare scarsamente realizzata a livello UE, in virtù delle stesse specifiche disposizioni contenute nell’art. 81 TFUE: il par. 3 prevede infatti che le misure di armonizzazione relative al diritto di famiglia con implicazioni transnazionali possano essere adottate solo mediante una procedura legislativa speciale in cui il Consiglio delibera all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo. Per completezza può aggiungersi che i capoversi secondo e terzo disciplinano la c.d. norma “passerella”, ossia la possibilità per il Consiglio di determinare – sempre all’unanimità - gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria, dandone notizia ai Parlamenti nazionali; questi ultimi, tuttavia, entro sei mesi possono manifestare la propria opposizione ed impedire la decisione.

Sul punto si veda quanto riferito da G.M. Ruotolo, Il diritto internazionale privato italiano delle “nuove” famiglie nel contesto europeo, in Questione giustizia 2, 2019, 57 ss.; cfr., inoltre, l’opinione di E. Bergamini, Problemi di diritto internazionale privato collegati alla riforma dello status di figlio e questioni aperte, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Process. 2, 2015, 315 e ss., che sottolinea le ancora esistenti – ed anzi sempre più ampie – divergenze fra gli Stati membri in merito alle nozioni di famiglia e, conseguentemente, di figlio.

[7] Relativamente ai profili patrimoniali devono altresì ricordarsi il Reg. UE 2016/1103, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi, nonché il Reg. UE 2016/1104, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate, che tuttavia non saranno considerati nel presente contributo. Per un approfondimento in merito, si vedano i contributi di: D. Damascelli, La legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi, uniti civilmente e conviventi di fatto nel diritto internazionale privato italiano ed europeo, in Riv. Dir. internaz. 4, 2017, 1103 ss.; O. Feraci, L’incidenza del nuovo regime europeo in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi e parti di unioni registrate sull’ordinamento giuridico italiano e le interazioni con le novità introdotte dal d.lgs. 7/2017 attuativo della cd. legge Cirinnà, in Osservatoriosullefonti.it 2, 2017, 2 ss.; G. Oberto, Il divorzio in Europa, in Famiglia e Diritto 1, 2021, 112 ss. e Id., I patti prematrimoniali nel quadro del diritto europeo, in Il Corriere giuridico 6, 2020, 794 ss.

[8] Cfr. A. Zanobetti, Un nuovo atto di diritto internazionale privato in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale e di sottrazione dei minori: l’adozione del regolamento UE 2019/1111, in giustiziacivile.com 7, 2019, 6, che fa riferimento a divorzio e separazioni “semplici” e sottolinea l’opportunità della previsione - contenuta nel regolamento – secondo cui l’autorità di registrazione deve rilasciare, su istanza di parte, un certificato redatto secondo il modello allegato allo stesso regolamento, per facilitare la circolazione e le richieste di riconoscimento.

[9] Si riporta l’art. 3 del Reg. UE 2019/1111:

«Sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all'annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro:

a) nel cui territorio si trova: i) la residenza abituale dei coniugi, ii) l'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, iii) la residenza abituale del convenuto, iv) in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, v) la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o vi) la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso; o

b) di cui i due coniugi sono cittadini».

[10] Cfr. E.M. Magrone, Il ripudio islamico fra Corte di Cassazione e Corte di Giustizia: rilievi critici, in Studi sull’integraz. Europea 3, 2021, 562 e s.; C.E. Tuo, Divorzio-Ripudio islamico, riconoscimento automatico e ordine pubblico, in Corr. Giuridico 4, 2021, 481; F. Mosconi – C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, Vol. II, V ed., Milano 2019, 187 e s. e Id., Richiami interni alla legge di diritto internazionale privato e regolamenti comunitari: il caso dei divorzi esteri, in Riv. Di dir. internaz. priv. e process. 2017, 5 ss., spec. 8-9.

[11] V. il riferimento di R. Montinaro, Società multiculturali e diritto delle relazioni familiari: itinerari di una ricerca, cit., 273 e s., che cita anche la tendenza espressa dal Reg. Roma III.

[12] Si riporta il disposto dell’art. 29, comma 2, D. Lgs. 149/2022:

«Alla legge 31 maggio 1995, n. 218, l'articolo 31 è sostituito dal seguente:

Art. 31 (Scelta della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale). - 1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge designata dal regolamento n. 2010/1259/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e successive modificazioni.

2. Le parti possono designare di comune accordo la legge applicabile, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento, mediante scrittura privata. La designazione può avvenire anche nel corso del procedimento, sino alla conclusione dell'udienza di prima comparizione delle parti, anche con dichiarazione resa a verbale dai coniugi, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale».

[13] L’art. 3 stabilisce genericamente la giurisdizione italiana nel caso in cui il convenuto è domiciliato o residente in Italia, mentre l’art. 32 prevede in modo specifico che «In materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dall'articolo 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia».

[14] Come accade, ad esempio, nel caso del ripudio islamico, su cui v. infra.

[15] Si v. l’art. 8 della L. 121/1985 di ratifica del Concordato del 1984, a sua volta modificativo dei Patti Lateranensi stipulati tra la Santa sede e lo Stato Italiano nel 1929.

[16] Cfr. per tutti F. Finocchiaro, Profili problematici del riconoscimento civile del matrimonio canonico, in Il dir. eccles. 1999, 41 e ss., che attribuisce valore marginale alla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato del 1995 sottolineando la garanzia costituzionale di cui godrebbe la legge n. 121 del 1985 attuativa dell'Accordo del 1984, per cui una legge ordinaria successiva non potrebbe modificarne il contenuto.

Di contrario avviso, invece, G. Badiali, Il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità dei matrimoni nel nuovo sistema italiano di diritto internazionale privato, in Riv. dir. internaz. fasc. 1, 2000, 7 ss. (spec. par. 7) che ritiene che le sentenze ecclesiastiche siano sottoposte, sia pure con gli opportuni adattamenti, al regime del riconoscimento automatico, alla stessa stregua delle sentenze straniere.

[17] Rileva che l’ordine pubblico non possa definirsi come “concetto”, bensì come “dispositivo” o “congegno” M. Barcellona, Ordine pubblico e diritto privato, in Europa e dir. priv. 2020, 925; sul punto, si veda il paragrafo che segue.

[18] Cfr. Cass. SS.UU. 17.07.2014, n. 16379, in Dir. Fam. pers. 4, I, 2014, 1368; in dottrina si vedano: G. Casaburi, Nullità del matrimonio-atto e convivenza post-matrimoniale: le matrioske di piazza Cavour, in Foro it. I, 2015, 627-631; N. Colaianni, Convivenza “come coniugi” e ordine pubblico: incontro ravvicinato ma non troppo, in Giur. it. 2014, 2111 ss.; E. Giacobbe, Le sezioni unite tra nomofilachia e “nomofantasia”, in Dir. Fam. pers. 2014, 1416-1446.

[19] In quanto «fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari»: cfr. punto 3.9 delle motivazioni delle SS.UU. 16379/2014.

[20] Cfr. punto 3.7.3 SS.UU. 16379/2014, che evidenzia la valorizzazione della convivenza coniugale con le individuate caratteristiche di "stabilità" e di "continuità” ai fini della «complessa opera di selezione dei soggetti idonei a svolgere il delicatissimo compito di educare ed accogliere un bambino abbandonato».

[21] Cfr. P. Virgadamo, Il ripudio islamico pronunciato da un Tribunale religioso è ancora contrario all'ordine pubblico: una sentenza tanto decisa nelle (giuste) conclusioni, quanto perplessa nelle (a tratti nebulose) argomentazioni, in Dir. Fam. pers. 4, 2020, 1416.

[22] Si ricordi che il Concordato del 1929 prevedeva la riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici nelle cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, mentre l’accordo del 1984 ha formalmente assoggettato le sentenze ecclesiastiche a un regime di delibazione analogo a quello allora in vigore per le sentenze straniere.

[23] Cfr. E. Giacobbe, Le sezioni unite tra nomofilachia e “nomofantasia”, cit., spec. 1436 ss. e 1445.

[24] Cass. 1.6.2022 n. 17910 e Cass. 4.1.2023 n. 149, in banca dati DeJure.

[25] V. punti VIII e IX della motivazione di Cass. 1.6.2022 n. 17910.

[26] In modo assolutamente sommario, si può immaginare che le Corti d’Appello, a questo punto, si pongano il problema di dover valutare o meno se fosse trascorso più di un anno dalla scoperta del vizio al momento dell’instaurazione del giudizio di nullità; ovvero, che si debbano preventivamente domandare se tale termine di un anno può o meno essere considerato a sua volta norma di ordine pubblico e, solo in caso di orientamento positivo, procedere alla conseguente verifica.

È probabile che non si riterrà necessario procedere ad ulteriori verifiche né in punto di fatto (poiché un simile riesame appare molto vicino al merito, ed è dunque precluso) né in punto di diritto (poiché una qualificazione in termini di ordine pubblico della convivenza annuale ben poteva essere fatta già dalla Cassazione) e in ogni caso sembra da escludere che il termine di decadenza dell’azione nell’ordinamento italiano possa ostare alla delibazione, con la conseguenza che la nullità del matrimonio concordatario non soffrirà dei limiti temporali imposti all’impugnazione del matrimonio civile.

[27] V. punto 5.2 della motivazione di Cass. 1.6.2022 n. 17910.

[28] In linea di principio, il divorzio dovrebbe presupporre un matrimonio valido, o comunque non nullo, per cui la sua presenza potrebbe essere di ostacolo alla delibazione di una sentenza di nullità; la pronuncia fondamentale in merito è quella di Cass. 23.3.2001 n. 4202 (in Dir. Fam. pers. 2001, 961) che, ancora una volta, sceglie una soluzione di compromesso.

La sentenza statuisce infatti che esistenza e validità del matrimonio costituiscono presupposto del divorzio, ma non sono oggetto di specifico accertamento suscettibile di giudicato (a meno che non vi sia richiesta specifica); di conseguenza, se non v’è giudicato, vi può essere delibazione della sentenza di nullità, che a sua volta non travolge la sentenza di divorzio passata in giudicato, con salvezza dei profili patrimoniali.

Dal 2001 la giurisprudenza si muove quindi su questa linea, salvando gli aspetti economici sul presupposto dell’esistenza del giudicato ed escludendo la revocazione ex art. 395 c.p.c.

[29] Si v., in particolare, Cass. 18.9.2013 n. 21331 (in Guida al diritto 2013, 48, 70), che muovendosi nel solco tracciato dalla già richiamata sentenza 4202/2001, giustifica il permanere dell’assegno di divorzio nonostante la delibazione della sentenza di nullità con la salvezza del rapporto di credito instauratosi fra gli ex coniugi in virtù della sentenza di divorzio.

[30] Cfr. Cass. SS.UU. 31.3.2021 n. 9004, in Dir. Fam. Pers. 2021, 3, I, 1090 secondo cui «In tema di divorzio, il riconoscimento dell'efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili, ma prima che sia divenuta definitiva la successiva decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere in quest'ultimo giudizio, il quale può dunque proseguire ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno divorzile».

La pronuncia si fonda sulla ben nota differenza fra matrimonio–atto (investito del giudizio di nullità, che mira ad un accertamento di inefficacia ex tunc) e matrimonio–rapporto (investito del giudizio di divorzio, e che provoca lo scioglimento ex nunc); di conseguenza, dato che i giudizi hanno petitum e causa petendi diversa, è possibile procedere alla delibazione anche in presenza di divorzio e, poiché quest’ultimo è coperto da giudicato, può restare in piedi il giudizio per la determinazione dell’assegno che vede nel divorzio il suo presupposto.

[31] Recentemente si è specificato che «Il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell'efficacia, nell'ordinamento dello Stato, della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, intervenuta in pendenza del giudizio d'appello per la cessazione degli effetti civili del matrimonio medesimo, determinando il venir meno del vincolo coniugale, travolge la sentenza civile di divorzio emessa in primo grado e le statuizioni economiche in essa contenute, in quanto tali statuizioni presuppongono la validità del matrimonio e del vincolo conseguente»: cfr. Cass. sez. I, 28.10.2021, n.30647, in Guida al diritto 2, 2022.

[32] Così C. Irti, Digressioni attorno al mutevole “concetto” di ordine pubblico, in Nuova giur. civ. comm. 3, 2016, 481 ss., che specifica come esso si presenti variabile sia nello spazio geografico che nel tempo, posto che un certo principio giuridico può essere ritenuto fondamentale in un dato periodo storico e può cessare di esserlo in un momento successivo (490).

[33] Così P. Virgadamo, Il ripudio islamico pronunciato da un Tribunale religioso è ancora contrario all'ordine pubblico: una sentenza tanto decisa nelle (giuste) conclusioni, quanto perplessa nelle (a tratti nebulose) argomentazioni, cit., 1413 s.

[34] M. Barcellona, Ordine pubblico e diritto privato, cit., 956-957.

[35] Sollecitazioni tratte da M. Barcellona, op. e loc. ultt. citt.

[36] Così V. Barba, L’ordine pubblico internazionale, in Rass. Dir. civ. 2, 2018, 423 e s.; cfr. altresì G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Napoli 2019, 27 ss., ove si rappresenta l’ordine pubblico come clausola generale storica e relativa.

In tema di clausole generali, si vedano i primi contributi di L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv. I, 1986, 5 s., che si riferisce ad una tecnica di formazione giudiziale della regola da applicare al caso concreto, senza un modello di decisione precostituito da una fattispecie normativa astratta, e S. Rodotà, Il tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv. 1987, 715, che vi intravede l’apertura dell’ordinamento verso la società.

[37] Cfr. A. Montanari, Ordine pubblico, diritto privato e vocazione internazionale, in Europa e dir. priv. 1, 2022, 140 ss. (spec. 148) e 177.

[38] Così A. Montanari, op. cit., 149.

[39] Si veda, ad esempio, Cass. sez. I, 13.12.1999, n.13928 : «L'ordine pubblico italiano comprende il complesso dei principi - ivi compresi quelli desumibili dalla carta costituzionale - che formano il cardine della struttura economico - sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, conferendole una ben individuata ed inconfondibile fisionomia, nonché quelle regole inderogabili, le quali abbiano carattere di fondamentalità (che le distingue dal più ampio genere delle norme imperative) e siano immanenti ai più importanti istituti giuridici».

[40] Cfr. Cass. sez. I, 16.05.2016, n.9978: «l’ordine pubblico, originariamente inteso come espressione di un limite riferibile esclusivamente all'ordinamento giuridico nazionale, è andato successivamente ad identificarsi con l'“ordine pubblico internazionale”, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela, comuni ai diversi ordinamenti, dei diritti fondamentali dell'uomo e desumibili dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria».

[41] Cass. SS.UU., 05.07.2017, n.16601, punto 6 della motivazione.

[42] Cfr. G. Perlingieri, Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale, in Actualidad Jurídica Iberoamericana 2019, 28 e s.

[43] Così G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., 52 - 56. Aderisce all’idea di un concetto unitario di ordine pubblico P. Virgadamo, Il ripudio islamico pronunciato da un Tribunale religioso è ancora contrario all'ordine pubblico: una sentenza tanto decisa nelle (giuste) conclusioni, quanto perplessa nelle (a tratti nebulose) argomentazioni, cit., 1416.

[44] Cfr. Cass. SS.UU. 31.03.2021, n. 9006, punto 14 della motivazione: «la compatibilità della decisione con i principi di ordine pubblico internazionale … deve, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, essere limitata agli effetti che l'atto è destinato a produrre nel nostro ordinamento, e non alla conformità della legge estera, posta a base del provvedimento, alla nostra legge interna regolativa degli stessi istituti. Le S.U. nella pronuncia n. 11601 del 2017, che ha individuato la nozione di ordine pubblico internazionale cui il Collegio presta adesione, hanno ribadito che il controllo giurisdizionale è concentrato sugli effetti dell'atto. In tema di riconoscimento di atti esteri … deve escludersi il sindacato sulla correttezza giuridica della soluzione adottata … non essendo consentito un controllo di tipo contenutistico sul provvedimento di cui si chiede il riconoscimento».

[45] Cfr. Cass. sez. I, 30/09/2016, n.19599 (specialmente punto 7 della motivazione) in tema di riconoscimento e trascrizione, nei registri dello stato civile italiano, di un atto straniero validamente formato in Spagna, nel quale risultava la nascita di un figlio da due donne (in particolare, da una donna italiana -indicata come "madre B"- che aveva donato l'ovulo, e da una donna spagnola -indicata come "madre A"- che aveva partorito) nell'ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel Paese.

[46] Cfr. Cass. SS.UU. 31.03.2021, n. 9006, punto 18.2 della motivazione.

[47] Cfr. Cass. SS.UU. 08.05.2019, n. 12193.

[48] Un altro esempio di decisioni apparentemente non convergenti, ma che trovano fondamento nella diversità e coesistenza dei sistemi di riferimento, può essere rinvenuto nelle pronunce che per un verso negano la possibilità di formare in Italia un atto di nascita che contenga l’indicazione della madre di intenzione, oltre a quella della madre che partorisce (Cfr. Cass. sez. I, 03.04.2020, n.7668 e Cass. sez. I, 22.04.2020, n. 8029, che hanno ritenuto non riconoscibile il minore da parte della donna unita civilmente con la madre, stante l’inapplicabilità alle coppie omoaffettive delle norme sulla Procreazione Medicalmente Assistita di cui alla l. 40/2004) ma per altra via ammettono la trascrizione di atti di nascita formati all’estero ove si riporta l’indicazione di due madri (oltre a Cass. sez. I, 30/09/2016, n. 19599, sopra citata, cfr. anche Cass. sez. I, 15.06.2017, n. 14878) poiché in tal caso si tutela l’esigenza che lo status circoli legittimamente, con il solo limite dell’ordine pubblico internazionale e, dunque, della insussistenza di maternità surrogata.

[49] Così, letteralmente, Cass. sez. I, 30/09/2016, n.19599, punto 7 della motivazione.

[50] Cfr. Cass. SS.UU. 31.03.2021, n. 9006, punto 20.2 della motivazione: con riferimento all’adozione estera fondata sul consenso dei genitori biologici e alla possibilità che tale modello possa celare un accordo oneroso, non libero, o comunque vietato, si è affermato che, pur ritenendosi compatibile con il nostro ordinamento un modello consensuale, l’adozione non potrà essere riconosciuta ove emerga ed appaia obiettivamente provata una fattispecie illecita.

[51] La più volte citata sentenza a SS.UU. 9006/2021 richiama peraltro espressamente (al punto 14 della motivazione) un precedente della I sezione relativo all’istituto di divorzio iraniano di genere rojee, «che abilita il marito a divorziare dalla moglie quante volte lo vorrà»: cfr. Cass. 14.08.2020 n. 17170, su cui si veda infra.

[52] In merito si veda il contributo di M. D'Arienzo, Diritto di famiglia islamico e ordinamento giuridico italiano, in Dir. Fam. Pers. 2004, 203 ss., ove vengono riportati anche i relativi passi del Corano, con l’avvertenza che il ripudio, pur essendo lecito, è fortemente disapprovato dalle fonti religiose.

[53] Lo scioglimento immediato del matrimonio può essere ottenuto pronunciando la formula per tre volte di seguito in un’unica occasione (talaq talaq talaq), ma le moderne legislazioni tendono a rigettare l’istituto del triplice ripudio: cfr. M. D'Arienzo, Diritto di famiglia islamico e ordinamento giuridico italiano, cit., 204.

[54] Cfr. la ricostruzione dell’istituto contenuta nella sentenza di Cass. sez. I, 07.08.2020, n. 16804, punto 2.2 delle Ragioni della Decisione.

In dottrina, si veda G. Liberati Buccianti, Il ripudio islamico e l’ordine pubblico internazionale, in Nuova Giur. Civ. comm. 2, 2021, 381 ss., che sottolinea la funzione di mera omologazione svolta dal Tribunale sciaraitico, l’attribuzione al ripudio della natura di diritto potestativo e l’accostamento del talaq al recesso ad nutum.

[55] Da ultimo, Cass. sez. I, 07.08.2020, n. 16804, già richiamata.

[56] Si riporta il testo della disposizione: «24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione».

[57] Si veda il DPR 396/2000, art. 63, comma 1, lett. g quinquies: «Negli archivi di cui all'articolo 10, l'ufficiale dello stato civile iscrive … la manifestazione congiunta di volontà di scioglimento dell'unione civile, a norma dell'articolo 1, comma 24, della legge 20 maggio 2016, n. 76, ovvero la manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione civile di una sola parte a norma della predetta disposizione, previamente comunicata all'altra parte mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento alla residenza anagrafica o, in mancanza, all'ultimo indirizzo noto, ovvero con altra forma di comunicazione parimenti idonea».

[58] Cfr., da ultimo, Cass. sez. VI, 15.10.2019, n. 26084, punto 6 della motivazione: «In tema di separazione tra coniugi, la situazione di intollerabilità della convivenza va intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, (e, in particolare alle negative risultanze del tentativo di conciliazione), dovendosi ritenere, in tali evenienze, venuto meno quel principio del consenso che, con la riforma attuata attraverso la L. 19 maggio 1975, n. 151, caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale».

[59] Il riferimento è alla già citata L. 162/2014, di conversione del D.L. 132/2014, recante misure di “degiurisdizionalizzazione”, ove si prevede che la separazione consensuale o il divorzio congiunto, ovvero la modifica delle relative condizioni, possono prodursi anche per effetto di un accordo negoziato dai coniugi con l’assistenza di un avvocato per parte, oppure – in assenza di figli minori o non autonomi - di un atto dei coniugi ricevuto dall’ufficiale di stato civile.

In dottrina Cfr. M. Rizzuti, Ordine pubblico costituzionale e rapporti familiari: i casi della poligamia e del ripudio, in Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 10, febrero 2019, 617 s., che rileva come sarà quindi ben difficile sostenere che i c.d. “divorzi privati” siano, come tali, sempre incompatibili con l’ordine pubblico.

[60] Parte della dottrina, in merito, ritiene che se il controllo fosse limitato agli effetti, il ripudio sarebbe sempre lecito in quanto lo scioglimento del matrimonio – che ne costituisce l’effetto – sarebbe sempre compatibile con l’ordine pubblico: cfr. A. Bellelli, La irriconoscibilità nell’ordinamento italiano del provvedimento straniero di scioglimento del matrimonio fondato sul ripudio, in Nuova Giur. Civ. comm. 2, 2021, 426.

[61] In merito alla diversa valenza e differenti conseguenze derivanti dall’applicazione degli artt. 64 e 65 L. 218/1995 si veda C. Scalvini, Un divorzio “unilaterale” non è automaticamente contrario all’ordine pubblico, in Giur. It. 2, 2021, 344 ss., ove si ritiene che le disposizioni dell’art. 65 legittimano il giudice a giudicare la contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento “in quanto tale”, e non solamente con riferimento agli effetti, come previsto dall’art. 64.

Ritiene, invece, che una lettura congiunta degli artt. 64 e 65 L. 218/95 imponga sempre una verifica del provvedimento nella sua integralità A. Bellelli, La irriconoscibilità nell’ordinamento italiano del provvedimento straniero di scioglimento del matrimonio fondato sul ripudio, cit., 425 s.

[62] Così C. Campiglio, Identità culturale, diritti umani e diritto internazionale privato, in Riv. Dir. internaz. fasc. 4, 2011, spec. 1060 ss.

Nello stesso senso, M. Rizzuti, Ordine pubblico costituzionale e rapporti familiari: i casi della poligamia e del ripudio, cit., 619 e s., che fa riferimento ad un “ordine pubblico di protezione” sottolineandone la funzionalizzazione all’obiettivo e rilevando come, ad esempio, sarebbe inaccettabile che il ripudiante potesse strumentalizzare la contrarietà all’ordine pubblico per accampare diritti sui beni della ex moglie deceduta.

In merito si veda anche la conclusione di P. Virgadamo, Il ripudio islamico pronunciato da un Tribunale religioso è ancora contrario all'ordine pubblico: una sentenza tanto decisa nelle (giuste) conclusioni, quanto perplessa nelle (a tratti nebulose) argomentazioni, cit., 1425, che si chiede tuttavia, ove tali condizioni si realizzassero, cosa resterebbe del ripudio propriamente inteso, dovendo ritenersi che in tal caso ci troveremmo di fronte ad un divorzio in senso stretto.

[63] Cfr. G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., 16 ss., nonché, con specifico riferimento al ripudio, 144 e s. e 151 ss., ove si stigmatizza l’“ottuso e costante rifiuto di esecuzione degli atti di ripudio stranieri”, propendendo per un’analisi più flessibile che individui il modo migliore per proteggere gli interessi in gioco.

[64] Sottolinea come oggetto dell’indagine sia solo il provvedimento O. Vanin, Divorzio iraniano e controllo “in concreto” di compatibilità con l’ordine pubblico del provvedimento straniero, in Fam. e dir. 5, 2021, 507.

[65] Per la giurisdizione del giudice italiano v. supra, nota 13 e testo corrispondente.

[66] La dottrina individua nella disposizione una “clausola di ordine pubblico speciale”, in quanto tipizzata dal legislatore europeo, assai sensibile al principio di non discriminazione sancito dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali: cfr. F. Mosconi – C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, Vol. II, cit., 170.

[67] Può brevemente ricordarsi che, recentemente, la pronuncia della Cass. SS.UU. 11.07.2018 n. 18287 ha fondato proprio sulla solidarietà post-coniugale il riconoscimento della natura composita (assistenziale, perequativa e compensativa) dell’assegno di divorzio, mostrando sensibilità verso i valori personali e di dignità etica legati alla fine del matrimonio.

In dottrina, sugli effetti patrimoniali del divorzio, in generale v. P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, Napoli 2018, 1050 ss.; G. Carapezza Figlia, N. Cipriani, G. Frezza, G. Perlingieri e P. Virgadamo, Manuale di Diritto di Famiglia, Napoli 2021, 265 ss.; M. Dogliotti, L'assegno di divorzio tra innovazione e restaurazione, in Fam. dir. 11, 2018, 964; C.M. Bianca, Le Sezioni Unite sull'assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, in Fam. dir. 11, 2018; E. Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell'assegno divorzile, in Nuova giur. civ. comm. 2015, 683; R. Pasquili, La solidarietà coniugale al tempo del divorzio, in Riv. dir. civ. 3, 2021, 539; C. Rimini, Verso una nuova stagione per l'assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, in Nuova giur. civ. comm. 2017, 1281; G. Casaburi, L'assegno divorzile secondo le SSUU della Cassazione: una problematica ‘terza via', in Foro it. I, 2018, 2699; M. Porcelli, L'assegno divorzile. Verso una nuova stagione, Napoli 2020, 10; V. Rossi, Investimento nella famiglia e solidarietà post-coniugale, in Atti del III Forum Internazionale del Gran Sasso, a cura di E. Bettini e D. Tondini, Teramo 2021, 385.

[68] Per la ricostruzione del principio di dignità si vedano i contributi di F.D. Busnelli, Le alternanti sorti del principio di dignità della persona umana, in Riv. Dir. Civ. 5, 2019, 1071; C. Scognamiglio, Dignità dell'uomo e tutela della personalità, in Giust. Civ. 2014, 67.

[69] Il riferimento è ancora a G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., spec. 154-155.

[70] Cfr. Cass. sez. I, 14.08.2020 n. 17170, già richiamata, ove viene accolto il ricorso avverso una sentenza della Corte d’Appello contenente l’apodittica affermazione di contrarietà all’ordine pubblico di un provvedimento iraniano accostabile al ripudio; può peraltro notarsi che la decisione è stata depositata ad una sola settimana di distanza dalla pronuncia di Cass. sez. I, 07.08.2020, n. 16804, anch’essa già citata e di segno opposto.

[71] In merito cfr. F. Caggia, Capire il diritto di famiglia attraverso le sue fasi, in Riv. Dir. Civ. 6, 2017, 1572, che sottolinea (v. 1590) come «la centralità dei diritti umani nella disciplina recente del diritto di famiglia… inevitabilmente incide nell’orizzonte ricostruttivo dell’interprete. Questi, pur sollecitato a percorrere la logica consueta del bilanciamento, è chiamato a muoversi non solo nella prospettiva orizzontale dettata dalla contestuale rilevanza di più diritti fondamentali, di cui sono titolari i soggetti uniti in una relazione familiare, ma anche nella dimensione verticale tracciata dalla presenza di garanzie riconducibili ora a questi stessi soggetti ora allo Stato impegnato nell’esercizio delle sue prerogative».

[72] Cfr. C. Campiglio, Identità culturale, diritti umani e diritto internazionale privato, cit., 1046 ss., che fa riferimento alla sentenza Negrepontis-Giannisis c. Grecia, ove si era ritenuto che, con riferimento al mancato riconoscimento del provvedimento straniero di adozione del nipote da parte dello zio Vescovo, il motivo addotto dalle autorità statali (contrasto con regole ecclesiastiche) non fosse in realtà coperto dalla clausola di ordine pubblico.

[73] Sia pure con riferimento a diverso profilo, può ricordarsi la pronuncia resa nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Costa e Pavan c. Italia (ric. n. 54270/10) ove si è dichiarato all'unanimità che il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto imposto alle coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili dalla legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita contrasta con l'articolo 8 della CEDU; in particolare, la Corte ha riconosciuto da un lato l'incoerenza sistematica (e, dunque, l’irragionevolezza) del divieto, a fronte della possibilità di avere successivamente accesso all'interruzione volontaria di gravidanza, ai sensi della legge 194/1978, e, per altro verso, ha qualificato come sproporzionata l'interferenza della legge 40 con l'esercizio da parte della coppia del diritto al rispetto della propria vita familiare garantito dall'articolo 8 CEDU.

[74] Cfr. V. Barba, L’ordine pubblico internazionale, cit., 409 e s.: «è necessario che la verifica di compatibilità riguardi non già la legge o la norma straniera astrattamente considerata, bensì la sua applicazione concreta, dimostrando che l’ordine pubblico internazionale è uno strumento d’interpretazione, che serve a individuare l’ordinamento del caso concreto. Non si deve valutare, cioè, l’astratta compatibilità della norma straniera rispetto al nostro sistema ordinamentale, bensì la concreta applicazione di quella regola al caso concreto. Con il risultato che una medesima legge, o una medesima regola, secondo le applicazioni che essa può ricevere nel singolo caso, potrebbe risultare talora contraria all’ordine pubblico internazionale, talaltra no».

[75] Sul punto, si veda la ricostruzione di S. Guzzi, L’incidenza della CEDU sull’eccezione dell’ordine pubblico, in La comunità internazionale 3, 2016, 384 e ss., che sottolinea come «Dal vaglio di costituzionalità alla luce di valori che non sono solo nazionali ma anche internazionali può rimodularsi il rapporto tra diritti fondamentali e DIP e ordine pubblico in una prospettiva di interferenza quando non addirittura di impatto dei primi sul secondo».

[76] Per un’ampia rassegna delle varie impostazioni, estesa anche a indicazioni provenienti da altri ordinamenti statali, si veda A. Viviani, Coordinamento fra valori fondamentali internazionali e statali: la tutela dei diritti umani e la clausola di ordine pubblico, Riv. Dir. int. Priv. proc. 1999, 847 ss.

[77] Cfr. G. Sperduti, Ordine pubblico e divorzio, in Scritti giuridici in onore di Carnelutti, IV, Padova 1950, 313 e ss.; l’Autore, richiamando suoi precedenti lavori, sottolinea la necessaria revisione del principio di ordine pubblico, specificando – in adesione alla dottrina di Perassi - che lo stesso concetto di ordine pubblico internazionale è «non assoluto ma essenzialmente storico e relativo», mentre con riferimento all’ordine pubblico interno, la «distinzione fra ordine pubblico assoluto e relativo e più in generale fra ordine pubblico di un certo grado e di un certo altro grado di valore non incontra più difficoltà logiche ed è pienamente ammissibile» (316).

Si veda anche Id., Ordine pubblico internazionale e ordine interno, in Riv. Dir. internaz. 1954, 82 e ss., ove si specifica che «ciò che viene in considerazione nell’ordine pubblico interno è la comunità nazionale con le sue particolari esigenze. Si tratta di imprimere a certe norme di diritto interno un valore assoluto… Un modo di esprimere la distinzione tra ordine pubblico internazionale e ordine pubblico interno è che l’ordine pubblico internazionale ha per funzione sua propria, caratteristica e diretta di limitare il riconoscimento del diritto straniero, mentre l’ordine pubblico interno funziona come limite al riconoscimento del diritto straniero per effetto della funzione sua propria di imporre l’applicazione del diritto interno» (84).

[78] Sul punto si vedano i riferimenti di G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., 127-128, che evidenziano la matrice francese di tale impostazione.

[79] Cfr. l’indicazione di C. Campiglio, Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, in Riv. Dir. internaz. priv. process. 2008, 62-63, ove si riferisce che la chiusura dei Paesi occidentali nei confronti della poligamia e di altri istituti di diritto islamico, ha indotto l’Institut de droit international a pronunciarsi a favore della dottrina – di origine francese – dell’effetto attenuato dell’ordine pubblico. L’Institut ha invitato gli Stati a limitare il ricorso all’eccezione di ordine pubblico alla presenza di particolari collegamenti tra gli interessati e uno Stato che non conosce la poligamia (ad esempio, potrà essere negato il riconoscimento di matrimoni poligamici validamente celebrati all’estero, qualora i coniugi avessero, al momento delle nozze, la residenza abituale in uno Stato «monogamico», o qualora la prima moglie abbia la cittadinanza di tale Stato o sia ivi residente) mentre negli altri casi l’ordine pubblico non dovrebbe essere opposto al riconoscimento di effetti.

[80] Si veda il riferimento di O. Feraci, L’ordine pubblico nel diritto dell’Unione Europea, Milano 2012, 14 e s., che sottolinea come questa figura «si presenta come un fattore supplementare della relatività dell’ordine pubblico, che si aggiunge alla necessità di prendere in considerazione, nel caso di specie, i risultati concreti di applicazione delle norme straniere richiamate», specificando che la giurisprudenza francese vi ha fatto ricorso in relazione soprattutto a tre settori dello statuto personale, ossia il divorzio, la filiazione e l’adozione internazionale.

[81] Così G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., 130 e ss.

[82] Si veda in proposito il contributo di G. Carella, Sistema delle norme di conflitto e tutela internazionale dei diritti umani: una rivoluzione copernicana?, in Dir. umani e Dir. internaz. 2014, 523 ss., specialmente 545 e ss., ove si sottolinea che, tradizionalmente, il fondamento dell’intera disciplina di diritto internazionale privato viene ravvisato nella tutela della sovranità, per cui le norme sull’efficacia delle sentenze e sulla legge applicabile sono intese come autorizzazioni all’ingresso nel territorio di atti di sovranità di un altro Stato per esigenze di cooperazione tra Stati, mentre la continuità delle posizioni giuridiche dei privati e la tutela dell’aspettativa delle parti assurgono a livello di mero interesse; tuttavia, la tutela internazionale dei diritti umani ha l’effetto di trasformare in diritti quelli che, prima di essa, erano meri interessi e sull’armonia internazionale delle soluzioni si innesta il diritto alla continuità delle situazioni giuridiche dei privati. Da tale impostazione deriva la rilettura degli stessi criteri di collegamento: «il criterio della nazionalità perde la funzione di conservazione del legame tra uno Stato e i suoi cittadini e diventa utilizzabile in funzione della preservazione del diritto alla identità culturale, ovvero del diritto alla certezza e prevedibilità della legge; il criterio della residenza non viene più letto alla luce della estensione della lex fori a chi si trovi sul territorio, ma in funzione della realizzazione di un diritto alla integrazione; la legge del luogo del danno è trasfigurata dalla funzione di tutela dei diritti delle vittime di reati» (547).

[83] Così G. Carella, op. e loc. ultt. citt.

[84] Cfr. P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, cit., 129 e ss., ove si rileva come la maggiore apertura dell’ordine pubblico nella materia del diritto internazionale privato non si traduce nell’evasione delle norme italiane, ma nella retta applicazione di principi costituzionali italiani in fattispecie straniere ove, per assicurare la disciplina più adatta, si tiene conto anche dell’esigenza di apertura internazionale dell’ordinamento.

[85] Cfr. G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., 131 e ss., ove si riferiscono anche le posizioni giurisprudenziali in merito e si sostiene che la tutela della poligamia può essere, a volte, soluzione necessitata.

La stessa conclusione è prospettata da P. Palermo, Parità culturale e famiglia multiculturale in Italia, in Fam e dir. 6, 2011, 628 ss.

[86] Così ancora G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, cit., 137 e s.; con riferimento all’aspetto successorio viene generalmente ricordata la ben nota sentenza di Cass. 2.3.1999 n. 1739 ove (sia pure pronunciandosi in un caso di poligamia solo potenziale, poiché di fatto l’uomo aveva sposato una sola donna) si è ammessa la possibilità di riconoscere lo status di soggetti ammessi alla successione a mogli e figli di musulmano poligamo, attraverso la distinzione tra la questione principale della devoluzione ereditaria e le questioni preliminari dell’esistenza di un matrimonio valido o di una filiazione legittima, che presentandosi come acquisite secondo l’ordinamento straniero e non implicando un'inserzione nella "lex fori" delle norme straniere che ammettono la poligamia o vietano i matrimoni misti, non pongono neppure un problema di compatibilità con l'ordine pubblico interno.

[87] Sul punto, G. Perlingieri, In tema di rapporti familiari poligamici, in Dir. succ. fam. 2018, 821 e ss., rileva come, poiché la rilevanza giuridica della famiglia è svincolata dal matrimonio e merita tutela in quanto formazione sociale, ex art. 2 Cost., non si può sbrigativamente negare la meritevolezza di tutela di alcune forme di convivenza per il solo fatto di essere estranee alle tradizioni del nostro Paese; di conseguenza, atteso che «la Costituzione italiana tutela qualsiasi formazione sociale fattuale purché funzionale allo sviluppo della persona», «non può a priori… escludersi, entro certi limiti, la meritevolezza dei rapporti familiari (in fatto) poligamici, che, espressione della libertà culturale e religiosa, non sono, di per sé, lesivi della tutela della persona».

[88] Si veda G. Carapezza Figlia, Condizione giuridica dello straniero e legalità costituzionale, in Riv. Dir. Civ. 4, 2018, 950 ss., che sottolinea come «gli automatismi espulsivi, un tempo considerati riflesso del principio di “stretta legalità” che connota la disciplina in materia di immigrazione … a partire dall’inizio della seconda decade di questo secolo … sono stati sottoposti a una valutazione di proporzionalità e ragionevolezza, specialmente quando incidono sul rispetto della vita familiare, con l’esclusione di “presunzioni di pericolosità” assolute e “automatismi procedurali”», concludendo per la necessità di rinnovare profondamente il metodo ermeneutico in una società che deve affrontare le sfide del pluralismo.

[89] Con riferimento ai limiti posti dal superiore interesse del minore all'operatività dell'ordine pubblico, in materia di rapporti di filiazione e - più specificamente di riconoscimento di provvedimenti di adozione omoparentale, si veda S. Tonolo, L'evoluzione dei rapporti di filiazione e la riconoscibilità dello status da essi derivante tra ordine pubblico e superiore interesse del minore, in Riv. Dir. Internaz. 4, 2017, 1070 e ss.

[90] Si vedano i riferimenti di C. Campiglio, Identità culturale, diritti umani e diritto internazionale privato, cit., 1062 ss., che propone la metafora della cultura come “occhiali attraverso i quali ciascuno vede e valuta sé stesso e gli altri”, specificando che laddove il giudice non riesca a mettere bene a fuoco l'immagine straniera, debba usare un filtro correttivo che la renda riconoscibile. Così, di fronte a istituti giuridici stranieri sconosciuti nel foro — quali ad esempio mahr (donativo nuziale in favore della donna da parte del marito) e kafalah (assunzione dell’obbligo di provvedere alle cure del minore, senza instaurare un rapporto di filiazione) islamica — il giudice deve estrapolarne gli elementi essenziali per valutare a quali istituti del foro siano assimilabili.

[91] Si ricorda come, secondo quanto disposto dall’art. 30 L. 218/1995, i rapporti patrimoniali tra coniugi siano regolati dalla legge applicabile ai rapporti personali, che a sua volta – ai sensi dell’art. 29 – è la legge nazionale comune ovvero, nel caso di coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni, la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.

[92] Sulla “prospettiva rimediale” si vedano – senza pretesa di completezza - A. Di Majo, La tutela dei diritti tra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. dir. civ. 1989, 363 ss.; Id., Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv. 2005, 341 ss.; Id., Rimedi e dintorni, in Europa dir. priv. 2015, 703 ss.; U. Mattei, I Rimedi, in Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile, a cura di R. Sacco, Torino 2001, 105 ss.; D. Messinetti, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Europa dir. priv. 2005, 605 ss.; S. Mazzamuto, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv. 2005, 341 ss.; Id., La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Europa dir. priv. 2007, 585 ss.; L. Nivarra, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, in Europa dir. priv. 2015, 583 ss.; V. Scalisi, Lineamenti di una teoria assiologica dei rimedi giuridici, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti. Omaggio a Salvatore Mazzamuto a trent’anni dal convegno palermitano, a cura di G. Grisi, Napoli 2019, 149 ss.; M. Barcellona, L’ottica rimediale e la morte della legge, ivi, 681 ss.; G. Smorto, Sul significato di “rimedi”, in Europa e dir. priv. 2014, 159 ss.; P. Perlingieri, Il «giusto rimedio» nel diritto civile, in Il Giusto proc. Civ. 6, 1, 2011, 1.

[93] In merito, P. Perlingieri, Il «giusto rimedio» nel diritto civile, cit., 3, dopo aver rilevato che «L’intero sistema rimediale va dunque ripensato in prospettiva funzionale, alla luce dei principi di proporzionalità, effettività, dei criteri di adeguatezza e ragionevolezza», osserva «Affermare che la previsione di un rimedio è misura della rilevanza giuridica di un interesse (ubi remedium ibi ius) non è operazione logico-giuridica diversa dall’affermare che una situazione è meritevole di tutela soltanto se qualificata dall’ordinamento come diritto (ubi ius ibi remedium)» (6).

[94] L’ipotesi di sentenza condizionata non appare sconosciuta al nostro ordinamento: la si può rinvenire, ad esempio, in materia di prelazione agraria e diritto di riscatto (laddove l’art. 8, comma 8, L. 590/1965 stabilisce che il trasferimento della proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo), in tema di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto (il comma 2 dell’art. 2932 c.c. dispone che, nel caso di contratti con effetti reali, la domanda non può essere accolta se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge) o anche – sia pure in diversa prospettiva - in materia di servitù coattive (ove l’art. 1032 c.c. stabilisce che prima del pagamento dell’indennità determinata nella sentenza, il proprietario del fondo servente può opporsi all’esercizio della servitù).

Gli esempi che precedono coinvolgono situazioni con rilievo esclusivamente patrimoniale, ma a maggior ragione dovrebbe considerarsi possibile operare in tal modo laddove il profilo patrimoniale sia strumentale alla protezione di beni e diritti di rango sovraordinato.

[95] In tema di intervento conformativo, sia pure con riferimento all’ambito negoziale ed al profilo della nullità, si veda D. Russo, Dimensione del vizio, nullità “selettiva” e conformazione dei negozi, Napoli 2020, passim e spec. 230: «L’interprete non deve reputarsi vincolato ad operazioni ortopediche, … a recitare soluzioni preconfezionate, bensì deve essere sempre pronto, verificati gli interessi riprovati e quelli invece leciti e meritevoli, a riconformare la potenza effettuale sì che per modi, misura, tempi, risulti adeguata al caso».