Si pubblica, col consenso dell’Autrice e dell’Editore, il Capitolo secondo, Parte seconda «I motivi di impugnazione del lodo rituale» (254-426) della monografia di MARIA LUISA SERRA, L’impugnazione per nullita’ del lodo rituale, Napoli, Jovene Editore, 2016, pp. XIV-611. ISBN 978-88-243-2406-9
Professore associato di Diritto processuale civile
Università di Sassari
I motivi di impugnazione del lodo rituale
Sommario: Sezione prima. I vizi del lodo che danno luogo ad una pronuncia rescindente dell’impugnazione e il riconoscimento della competenza del giudice ordinario: Premessa. – 1. Il vizio della convenzione di arbitrato secondo la disciplina austriaca. – 2. (Segue) Secondo la diciplina tedesca. – 3. L’invalidità della convenzione arbitrale nella disciplina italiana. – 4. I vizi della convenzione di arbitrato dopo la riforma del 2006. – 5. (Segue) L’inesistenza della convenzione di arbitrato. – 6. (Segue) L’invalidità della convenzione di arbitrato. – 7. (Segue) L’inefficacia della convenzione arbitrale. – 8. Il rilievo dell’eccezione di inesistenza, invalidità e inefficacia della convenzione arbitrale e la contumacia della parte. – 9. Il mancato rilievo dell’eccezione di incompetenza; conseguenze in tema di regolamentazione dei procedimenti pendenti davanti agli arbitri e ai giudici. – 10. Osservazioni conclusive. – 11. La non compromettibilità della controversia nella disciplina austriaca e tedesca. – 12. La non compromettibilità della controversia secondo il diritto austriaco (§ 611 Abs. 2 Z. 7 öZPO). – 13. (Segue) La disciplina tedesca. – 14. Il lodo avente oggetto controversie non compromettibili nella disciplina italiana. – 15. La disponibilità del diritto nelle controversie societarie. – 16. Il divieto espresso di legge. – 17. Non compromettibilità della controversia: rilievo del vizio e inadeguatezza della tutela offerta dalla disciplina italiana. – 18) Il vizio di extrapetizione nella disciplina austriaca (§ 611 Abs. 2 Z. 3 öZPO). – 19. (Segue) Nel diritto tedesco (§ 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. c dZPO). – 20. I vizi del lodo ex art. 829, co.1, n. 4: extrapetizione ed erronea pronuncia nel merito. – 21. Osservazioni conclusive. – Sezione seconda. – I vizi del lodo che portano a una pronuncia meramente rescindente dell’impugnazione e il riconoscimento della competenza arbitrale: Premessa. – 1. I vizi relativi alla nomina degli arbitri secondo la disciplina austriaca. – 2. (Segue) Secondo la disciplina tedesca. – 3. Nullità per vizio del procedimento di nomina degli arbitri nella disciplina taliana. – 4. L’incapacità degli arbitri. – 5. Il lodo che non decide il merito (art. 829, n. 10). – 6. Osservazioni conclusive. – Sezione terza. I vizi che portano a una decisione nel merito della causa: Premessa. – 1. I vizi della pronuncia del lodo: la violazione delle norme di diritto (art. 829, comma terzo). – 2. Ipotesi particolari. – 3. L’omissione di pronuncia del lodo su alcune delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato (art. 829, n. 12). – 4. La seconda tipologia di vizio: la mancanza di alcuni requisito del lodo (art. 829, n. 5). – 5. I vizi del procedimento arbitrale. – 6. La limitazione delle Angriffs- oder Verteidigungsmittel della parte nella disciplina austriaca (§ 611 Abs. 2 Z. 2 öZPO). – 7. (Segue) nella disciplina tedesca (§ 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. b dZPO). – 8. La violazione delle norme dell’ordine pubblico nella disciplina austriaca e tedesca. – 9. La violazione dell’ordine pubblico processuale secondo la disciplina austriaca (§ 611 Abs. 2 Z. 5 öZPO). –10. La contrarietà all’ordine pubblico sostanziale (§ 611 Abs. 2 Z. 8 öZPO). – 11. (Segue) nella disciplina tedesca (§1059 Abs. 2 Nr. 2 lit. b dZPO). – 12. I casi di revocazione (§ 611 Abs. 2 Z. 6 öZPO). – 13. La violazione delle norme di ordine pubblico nella disciplina italiana. – 14. Osservazioni conclusive.
Si è detto che il rimedio impugnatorio disciplinato dall’art. 828 c.p.c. è strutturalmente assimilabile al ricorso per Cassazione, ma si discosta da questo per l’ampiezza della cognizione assegnata al giudice chiamato a decidere dell’eventuale fase rescissoria. Sotto questo profilo si è osservato che la delimitazione dell’oggetto del giudizio rescissorio è effetto del tipo di vizio denunciato. Muovendo da questa premessa si procederà all’esame dei motivi di impugnazione offrendo una trattazione congiunta dei motivi che conducono ad un medesimo esito della pronuncia di impugnazione.
Il primo ordine di motivi preso in esame concerne le ipotesi in cui il giudizio di impugnazione si conclude con un esito assimilabile alla cassazione senza rinvio (ai sensi dell’art. 382, co. 2, c.p.c.,), esito che si verifica quando la Corte d’Appello accerta che il lodo è viziato per mancanza di potestas iudicandi in capo agli arbitri [ipotesi che ricorre quando sia invalida la convenzione di arbitrato sia per vizi della convenzione sia perché avente ad oggetto controversie non compromettibili] ovvero quando il lodo pronuncia fuori dal limite della convenzione (art 829, co. 1, n. 4, cpv.1). In tale ipotesi il giudizio di impugnazione davanti alla Corte d’Appello si conclude con una pronuncia meramente rescindente che apre la via alla giurisdizione statale. Prima di procedere all’esame della disciplina italiana ci si soffermerà ad analizzare la corrispondente disciplina di diritto austriaco e di diritto tedesco, le cui soluzioni coincidono, per diversi profili, con quelle accolte nella novella del 2006.
In questo ordinamento il primo motivo di impugnazione riassume in sé tre ipotesi di annullamento del lodo (§ 611 Abs. 2 Z. 1 öZPO): il primo concernente il caso di inesistenza di una valida convenzione arbitrale (wenn eine gültige Schiedsvereinbarung nicht vorhanden ist); il caso di pronuncia di incompetenza degli arbitri (wenn das Schiedsgericht seine Zuständigkeit verneint hat); infine, l’ipotesi di incapacità soggettiva della parte di compromettere la controversia in arbitri (subjektive Schiedsfähigkeit). Occorre precisare che il vizio ora menzionato deve essere tempestivamente rilevato dalla parte al momento della costituzione nel procedimento arbitrale, altrimenti in virtù del § 592 öZPO, il vizio è sanato[1]. Da ciò consegue, pertanto, che come per la disciplina italiana, il vizio relativo alla mancanza della sussistenza di una valida convenzione di arbitrato non può essere fatto valere per la prima volta in sede di impugnazione.
Altra precisazione riguarda il diverso contenuto delle ipotesi considerate: con il primo e il terzo motivo la parte impugna un lodo che ha deciso nel merito, per avere gli arbitri rigettato l’eccezione di invalidità della convenzione di arbitrato sollevate dalle parti; con il secondo motivo la parte impugnante eccepisce che gli arbitri abbiano pronunciato un lodo declinatorio della propria competenza[2].
a) L’inesistenza della convenzione di arbitrato.
Il motivo di impugnazione in esame corrisponde fondamentalmente al motivo di cui al § 595 Abs. 1 Z. 1, previgente che, però, stando al tenore letterale considerava ancora separatamente il motivo in esame (eine gültige Schiedsvereinbarung nicht vorhanden ist), dall’ipotesi in cui la convenzione arbitrale «non fosse più in vigore» («außer Kraft getreten») prima della pronuncia del lodo ovvero fosse diventata inefficace («unwirksam geworden ist»). Più precisamente, prima della modifica introdotta con la riforma dell’arbitrato austriaco del 2006 [3], il numero 1 dell’articolo dedicato alla disciplina dei motivi di impugnazione del lodo (§ 595 öZPO) indicava come motivo di impugnazione la stipulazione di una convenzione arbitrale non conforme al dettato del § 577ö ZPO («wenn ein dem § 577 entsprechender Schiedsvertrag nicht vorhanden ist»). Di qui, secondo alcuni[4], la considerazione che il rinvio al § 577 öZPO avrebbe avuto lo scopo di elevare detta norma a Sachnorm des österreichischen IPR (norma di diritto sostanziale del diritto internazionale privato austriaco) perché avrebbe portato all’applicazione del diritto austriaco anche qualora la controversia non avesse avuto alcuna relazione con l’Austria o anche qualora le parti avessero legittimamente scelto di applicare al procedimento arbitrale un diritto diverso. Sul punto, però, si faceva notare[5] che tale interpretazione si poneva in contrasto con lo spirito della Novella del 1983, che era quello da un lato di adeguare il diritto interno a quello internazionale e dall’altro di rendere l’Austria una sede attraente per lo svolgimento di procedimenti arbitrali internazionali. Di qui la conclusione secondo la quale il § 577 öZPO, non avendo mutato la sua natura, rimaneva una norma di diritto processuale civile valida per le convenzioni arbitrali di diritto interno (eine schlichte Sachnorm des österreichischen Zivilprozessrechts für den inländischen Schiedsvertrag[6]).
La riforma elimina ogni dubbio al riguardo elidendo il richiamo alla norma del codice di procedura civile austriaco e facendo riferimento più in generale all’inesistenza della convenzione di arbitrato. L’articolo non specifica i requisiti alla cui ricorrenza può considerarsi sussistente una valida convenzione arbitrale[7].
In punto giova sottolineare che nonostante il fatto che il testo della norma, a differenza della previgente formulazione, non preveda più espressamente come motivo di annullamento del lodo l’ipotesi in cui la convenzione di arbitrato, prima della pronuncia del lodo, non sia più in vigore[8] ovvero abbia perso efficacia, la dottrina ritiene che tali motivi possano comunque farsi valere nell’ambito del motivo in esame[9]. La previsione generale, che individua nella «non sussistenza» di una valida convenzione di arbitrato il motivo di annullamento del lodo, ricomprenderebbe, infatti, nel suo ambito applicativo anche le due ipotesi tipiche espressamente disciplinate dal legislatore nella previgente disciplina, senza quindi rendere necessaria un’esplicita previsione in tal senso[10]. Soluzione che in realtà appare ricavabile più che dal testo normativo della disciplina in vigore quanto piuttosto dall’Erläuterung (Relazione) che ha accompagnato la legge di riforma dell’arbitrato austriaco[11].
La previsione non contiene, sotto questo profilo ea differenza di quello che avviene in altri ordinamenti[12], «una norma di conflitto» che determini il criterio per la valutazione della validità della convenzione di arbitrato[13], perché il legislatore austriaco non ha inteso precludere l’applicabilità alla disciplina austriaca di eventuali evoluzioni internazionali della materia[14].
Vengono, pertanto, ricondotte al motivo di impugnazione in esame, le ipotesi di «esistenza apparente» della convenzione, ossia le ipotesi che si potrebbero definire di invalidità della convenzione di arbitrato, fra le cui il mancato rispetto dei requisiti di forma della convenzione di arbitrato ovvero la totale mancanza di ogni riferimento al patto compromissorio[15]. I relativi vizi devono essere eccepiti nel corso del procedimento arbitrale e, in caso di rigetto dell’eccezione, fatti valere con la domanda di annullamento del lodo[16].
Problema differente è quello che riguarda l’ipotesi in cui il lodo non abbia i requisiti richiesti per essere considerato tale (die Tatbestandsvoraussetzungen eins Schiedsspruchs). In questo caso il lodo non produce effetti e si qualifica come lodo inesistente (Nichts-schiedsspruche), non impugnabile con la domanda prevista dal § 611 e ss. öZPO[17], che ha invece natura costitutiva[18]; di conseguenza il vizio dovrà essere fatto valere con un’azione di accertamento dell’inesistenza del lodo. Al riguardo si osserva che la formulazione della norma, che espressamente richiama l’ipotesi di inesistenza della convenzione di arbitrato, implica che ogni ipotesi di inesistenza della convenzione di arbitrato costituisca motivo di annullamento del lodo e non di declaratoria di inesistenza[19].
b) Il difetto di “subjektive Schiedsfähigkeit”.
Per la terza ipotesi prevista dalla norma in esame costituisce motivo di impugnazione la comclusione del contratto da parte di persona priva della capacità di compromettere in arbitri la controversia. La novellata previsione coincide sostanzialmente con la previgente[20]. Il motivo di annullamento del lodo, disciplinato oggi dall’ultima parte del capoverso del § 611 Abs. 2 Z. 1, più precisamente disciplina l’ipotesi in cui la convenzione arbitrale sia stata stipulata da una parte priva della capacità di concludere una valida convenzione di arbitrato secondo la legge ad essa applicabile (mangelnde subjektive Schiedsfähigkeit).
E’ opportuno precisare che la capacità di concludere una convenzione arbitrale, cui si riferisce l’articolo in esame, nella previgente formulazione veniva individuata secondo il «Personalstatut» della parte (statuto personale della parte). La lettera della norma oggi elimina il richiamo al Personalstatut e individua la capacità di compromettere in riferimento al diritto applicabile personalmente alla parte (la variazione del testo normativo fa propria la formulazione del § 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. a della ZPO tedesca, senza alcun effetto sostanziale[21]). In conseguenza della qualificazione della convenzione arbitrale quale contratto di natura processuale, la capacità di concludere una convenzione arbitrale, cui si riferisce l’articolo in esame, secondo alcuni è da intendersi riferita alla capacità processuale, intesa quindi come capacità di agire nel procedimento, sia personalmente che a mezzo di rappresentante[22].
c) l’incompetenza dell’arbitro.
Il secondo motivo indicato dal Z. 1 del § 611 Abs. 2 öZPO, si riferisce al caso in cui gli arbitri abbiano dichiarato la propria incompetenza nonostante la sussistenza di una valida convenzione di arbitrato[23]. E’ opportuno notare che, a differenza di quanto previsto dalla disciplina italiana che non prevede espressamente, fra i motivi individuati dall’art. 829 c.p.c., il caso in cui il procedimento arbitrale si sia concluso con una pronuncia di incompetenza degli arbitri, la disciplina austriaca contempla espressamente questa ipotesi. Più precisamente rientra nell’ambito del motivo di impugnazione del lodo in esame (§ 611 Abs. 2 Z. 1) sia l’ipotesi in cui gli arbitri abbiano negato la propria competenza, pur sussistendo una valida convenzione di arbitrato, sia l’ipotesi inversa in cui gli arbitri abbiano riconosciuto la propria competenza in carenza di una convenzione di arbitrato; con riferimento a tale ultima ipotesi è opportuno ricordare che il § 592 Abs. 1 [24] prevede che gli arbitri possono pronunciare sulla propria competenza insieme al merito o con un autonomo lodo che pronunci sulla competenza.
Più in generale, con riguardo ai rimedi apprestati dall’ordinamento austriaco nei confronti della pronuncia degli arbitri sulla propria competenza, può dirsi che si tratta di una disciplina dettagliata e articolata che distingue le due ipotesi di pronuncia affermativa o negatoria della competenza. Nel caso in cui l’arbitro neghi la propria competenza il § 584 Abs. 2 öZPO dispone che se la parte – invece di impugnare il lodo declinatorio della competenza – propone davanti al giudice ordinario la domanda relativa alla controversia rdinario, l’impugnazione (del lodo) diventa inammissibile. Nel caso opposto (quando gli arbitri affermino la propria competenza), il lodo è immediatamente impugnabile e la pendenza dell’impugnazione davanti al giudice ordinario non comporta la sospensione del procedimento arbitrale (§ 592 Abs. 3 öZPO). L’arbitro pronuncia sulla (propria) competenza tramite lodo (§ 592 Abs. 1 öZPO)[25].
La previsione normativa, che oggi espressamente ammette la possibilità di proporre la domanda di impugnazione del lodo di cui al § 611 öZPO anche nei confronti del lodo cha abbia statuito sulla competenza degli arbitri, costituisce una delle novità di rilievo introdotte dalla riforma del 2006 [26]. Tale disciplina quindi, consentendo che la questione della competenza preventivamente decisa dagli arbitri sia sottoposta all´immediato controllo giudiziario, che decide definitivamente sulla questione, offre il vantaggio, in particolare con riferimento all’ipotesi di pronuncia affermativa della competenza arbitrale, di evitare inutili dispendi procedimentali[27].
Come noto, una regolamentazione così dettagliata non si riscontra nel diritto italiano nel quale non è espressamente disciplinata l’ipotesi in cui gli arbitri emettano una pronuncia negatoria della propria competenza; si ritiene che il vizio di incompetenza degli arbitri possa farsi valere attraverso il motivo individuato dal n. 10 dell’art. 829 c.p.c., che disciplina l’ipotesi di mancata decisione del merito quando il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri.
L’impugnazione del lodo per mancanza di una valida convenzione arbitrale è disciplinata al Nr. 1 lett. a) del § 1059 Abs. 2 dZPO sia in caso di mancanza di compromettibilità soggettiva della controversia sia in caso di invalidità della convenzione di arbitrato[28].
Il relativo vizio di forma si intende sanato quando non sia dedotto al momento della costituzione nel giudizio arbitrale e quindi non potrà essere fatto valere come motivo di annullamento del lodo (§ 1031 Abs 6 dZPO)[29]. Per quanto riguarda il termine entro il quale il vizio deve essere fatto valere, il § 1040 Abs 2 prevede che il convenuto debba eccepire il vizio “al più tardi” (spätestens) al momento della sua costituzione in giudizio[30]. Il convenuto, che non proponga tempestivamente l’eccezione, decade dalla possibilità di sollevare l’eccezione anche nel procedimento per ottenere l’esecutorietà del lodo (procedimento di exequatur)[31].
a) Il difetto di subjektive Schiedsfähigkeit.
Con riferimento all’ambito applicativo della fattispecie, la prima parte del Nr. 1 lit. a) individua come motivo di annullamento del lodo l’ipotesi in cui la convenzione di arbitrato sia conclusa da persona incapace. La capacità di concludere una convenzione arbitrale, viene determinata secondo il diritto applicabile personalmente alla parte[32] e coincide con la capacità di agire della parte (Geschäftsfähigkeit)[33]. Come è stato osservato in dottrina, l’indicazione di questo vizio come motivo di annullamento del lodo risulta superflua perché – trattandosi di vizio che rende inefficace la convenzione di arbitrato – lo stesso resta assorbito dal motivo di impugnazione disciplinato nella seconda parte della norma (§ 1059 Abs. 2 Nr.1 lit. a), che prevede l’annullamento del lodo per l’invalidità del patto compromissorio[34].
b) l’invalidità della convenzione di arbitrato.
Per quanto riguarda l’invalidità del contratto il § 1059 Abs. 2 Nr. 1 si premura di stabilire espressamente che il diritto, in conformità al quale deve essere valutata la validità del contratto, coincide con quello scelto dalle parti; in difetto si applica il diritto tedesco[35], che richiede il rispetto dei requisiti di forma individuati dal § 1031 dZPO[36]. Con il motivo di annullamento del lodo in esame possono farsi valere tanto le ipotesi di invalidità della convenzione di arbitrato, fra le quali rientrano sia l’inefficacia della convenzione sia la sua estinzione[37].
In punto occorre sottolineare che l’esame del motivo relativo alla sussistenza di una valida convenzione di arbitrato può essere limitato da pronunce intervenute in momento precedente. Più precisamente, nel caso in cui sia stato adito il giudice ordinario, ex § 1032 Abs. 2 dZPO, e questi abbia accertato l’ammissibilità o l’inammissibilità del procedimento arbitrale, la relativa statuizione ha efficacia vincolante nel procedimento per ottenere la dichiarazione di esecutorietà del lodo[38]. Si tenga presente che la domanda giudiziale volta ad ottenere l’accertamento dell’ammissibilità o inammissibilità del procedimento arbitrale (che può essere proposta prima della pendenza del giudizio arbitrale fino alla costituzione del collegio arbitrale)[39], non impedisce l’inizio nè la prosecuzione del procedimento arbitrale, rendendo possibilr che gli arbitri pronuncino il lodo.
c) la pronuncia sulla competenza degli arbitri.
Con riferimento al differente profilo legato alla disciplina dell’impugnazione del lodo che abbia pronunciato sulla competenza, vi è da segnalare una particolarità della disciplina tedesca, che si rileva interessante anche paragonando alla disciplina austriaca.
Il principio generale in materia è che agli arbitri è riconosciuto il potere di decidere della propria competenza in relazione alla sussistenza e validità della convenzione di arbitrato (§ 1040 Abs. 1dZPO)[40].
Per quanto riguarda la forma della decisione sulla competenza e il termine per la sua impugnazione è previsto che nel caso in cui gli arbitri affermino la propria competenza pronunciano di regola un lodo non definitivo, impugnabile davanti al giudice ordinario entro il termine di un mese dalla comunicazione della decisione (Mitteilung des Entscheids; § 1040 Abs. 3 dZPO)[41]. In punto è opportuno sottolineare che il termine per l’impugnazione del lodo non definitivo, che abbia affermato la competenza degli arbitri, è ridotto rispetto al termine ordinario previsto per l’impugnazione del lodo di merito (anche parziale), che è, invece, di tre mesi (§ 1059 Abs. 3 dZPO). In caso di mancata impugnazione, la proponibilità del rilievo è preclusa anche nel procedimento di esecuzione[42]. La decisione degli arbitri relativamente alla validità della convenzione di arbitrato, anche in relazione alla pronuncia sulla propria competenza, è vincolante per il giudice una volta decorso il termine previsto dal § 1040 Abs. 3 per l’impugnazione del lodo non definitivo[43].
Non è, invece, disciplinata l’ipotesi inversa, ossia il caso in cui gli arbitri affermino la propria incompetenza. Nel caso di pronuncia negatoria della competenza, si ritiene che la pronuncia non sia impugnabile e l’azione vada proposta davanti all’autorità giudiziaria ordinaria (soluzione questa accolta nella legge modello Uncitral all’art. 16, co. 1 e 3).
Ferma la previsione generale, secondo la quale l’impugnazione per nullità è ammessa nonostante qualunque preventiva rinuncia nei casi elencati dall’art. 829 c.p.c., la norma individua il primo motivo di nullità nell’invalidità della convenzione di arbitrato (art. 829, co.1, n. 1 c.p.c.). Riguardo a tale motivo di impugnazione l’ultima riforma della disciplina dell’arbitrato (d.lgs. n. 40/ 2006) ha introdotto due novità.
La prima riguarda l’individuazione della causa di nullità del lodo, consistente oggi nell’invalidità della convenzione e non più nella nullità del compromesso[44].
La seconda riguarda il regime della rilevabilità del vizio di invalidità della convenzione di arbitrato. Tale vizio diventa spendibile in sede di impugnazione del lodo a condizione che la parte che intende farlo valere abbia tempestivamente sollevato la relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale. La norma precisa, infatti, che l’impugnazione per nullità è ammissibile se la convenzione di arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo co., c.p.c., che subordina l’ammissibilità della denuncia del vizio in sede di impugnazione del lodo all’avvenuto rilievo dell’eccezione nella prima difesa successiva all’accettazione dell’incarico da parte degli arbitri. In punto giova precisare che la norma prevede una disciplina comune per le ipotesi di inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione arbitrale[45].
Pertanto, dal «coordinato operare» dell’art. 829, n. 1 e dell’art. 817, co. 2, parte seconda, c.p.c., si deduce che sono denunciabili con il motivo di nullità del lodo di cui al n. 1 dell’art. 829, co. 1, c.p.c., non solo l’invalidità, ma anche le ulteriori ipotesi previste dall’art. 817, co. 2, c.p.c., di inefficacia e inesistenza della convenzione di arbitrato. Da ciò consegue che le differenti cause di nullità della convenzione di arbitrato (invalidità, inefficacia e inesistenza), se non eccepite immediatamente in apertura del procedimento arbitrale, non possono essere fatte valere in sede di impugnazione quale motivo di nullità del lodo (ex art. 829, co. 1, n. 1, c.p.c.)[46]. Unica eccezione a tale principio è data dal lodo reso su controversia non arbitrabile, fattispecie quest’ultima sottratta al più severo regime dell’obbligatorietà della contestazione del relativo vizio nella prima difesa, essendo censurabile per la prima volta in fase di impugnazione del lodo.
Ciò posto, si può dire che la modifica introdotta abbia una specifica portata chiarificatrice, in quanto contribuisce a risolvere taluni dubbi applicativi sorti sotto il vigore della precedente disciplina. E invero, come autorevolmente osservato in dottrina, il richiamo alla nullità del compromesso contenuto nella previgente formulazione dell’art. 829 c.p.c. prestava il fianco a differenti interpretazioni riguardo all’individuazione delle fattispecie riconducibili al vizio in esame, coinvolgendo «la nota e insicura distinzione tra annullabilità, nullità e inesistenza»[47].
Il testo in vigore, estendendo il motivo in esame a tutti i tipi di convenzione di arbitrato (non riferendosi più al solo compromesso) e a tutti i casi di invalidità della convenzione, chiarisce oggi esplicitamente l’ambito di operatività della disposizione in esame[48]. La nuova formulazione del motivo di impugnazione, nel riferirsi all’invalidità della convenzione arbitrale, dissipa ogni dubbio circa il fatto che siano denunciabili attraverso il motivo in esame i vizi che rendono invalida la convenzione di arbitrato senza distinzione alcuna, siano essi cause di nullità o di annullabilità del lodo[49].
E’ da imputare, infatti, alla riformulazione di questo motivo di impugnazione in esame l’irrilevanza del distinguo fra cause di annullabilità e di nullità della convenzione arbitrale. Proprio in considerazione del fatto che il motivo di impugnazione per nullità del lodo individuato al n. 1 dell’art. 829 c.p.c. riguarda oggi la più ampia categoria dell’invalidità della convenzione, non ha più ragione di porsi il quesito relativo all’individuazione del motivo tramite il quale far valere un’eventuale causa di annullabilità della convenzione di arbitrato, quale ad esempio l’incapacità delle parti. In tal caso, i problemi interpretavi sorgevano in considerazione del fatto che – non essendo il vizio di incapacità delle parti espressamente previsto, come motivo di impugnazione del lodo (a differenza di quanto accade in altri ordinamenti[50]) e, non essendo qualificabile come causa di nullità ma di annullabilità del patto compromissorio[51] – taluni arrivavano a concludere nel senso che il lodo viziato per incapacità delle parti restasse privo di tutela diretta in sede di impugnazione per nullità, atteso che l’art. 829 n. 1 individuava come motivo di impugnazione del lodo «la nullità del patto compromissorio»[52]. Il problema, a prescindere dalla condivisibilità o meno della soluzione prospettata, è oggi superato dalla lettera della norma. La norma nell’individuare quale motivo di impugnazione del lodo l’invalidità della convenzione arbitrale, estende infatti espressamente l’operatività del motivo in esame a tutti i casi di invalidità siano essi riconducibili ad ipotesi di nullità dell’accordo compromissorio sia ad ipotesi di annullabilità[53].
A ciò si aggiunga che, nonostante l’esclusivo riferimento dell’art. 829, n. 1 all’invalidità della convenzione di arbitrato, il rinvio in esso contenuto all’art. 817, comma 2, parte seconda, che disciplina il rilievo dell’eccezione di incompetenza degli arbitri (per invalidità, inefficacia e inesistenza della convenzione di arbitrato) ai fini dell’impugnazione del lodo rituale, induce a ritenere che possano farsi valere attraverso il motivo in esame anche i vizi non strettamente riconducibili alle ipotesi tassative di invalidità[54]. Giova in punto sottolineare che, se da un lato la nuova formulazione del motivo di impugnazione del lodo contribuisce a risolvere eventuali problemi di coordinamento fra questo motivo di nullità della convenzione arbitrale ed altre ipotesi di nullità del lodo in passato ricondotte nella fattispecie in esame, dall’altro si deve constatare come le ragioni che hanno portato a dilatare l’ambito applicativo del motivo di impugnazione del lodo per nullità del compromesso sembrano oggi venute meno proprio in virtù della differente disciplina del rilievo del vizio in esame introdotta con la riforma del 2006. Invero, l’estensione dell’operatività del motivo in esame, che si basava su un’interpretazione lata della nozione di nullità, aveva lo scopo di consentire alle parti di beneficiare del più favorevole regime del rilievo dell’eccezione (relativa al motivo in esame) disposto dalla normativa previgente[55]. La riforma del 2006 nell’irrigidire la disciplina del rilievo del vizio, subordinando la spendibilità del motivo in sede di impugnazione per nullità del lodo alla proposizione della relativa eccezione nel corso procedimento arbitrale, fa venire meno la ragione principale posta a fondamento dell’interpretazione estensiva della fattispecie di vizio in esame[56].
Nonostante la lettera della norma si riferisse unicamente alla nullità del compromesso quale causa di impugnazione del lodo di cui all’art. 829, n. 1, c.p.c., l’interpretazione prevalente in dottrina e giurisprudenza era volta ad attribuire alla norma una portata applicativa indubbiamente più ampia.
Come in precedenza ricordato, si riteneva pacifico che rientrassero nell’ambito della nozione di nullità del compromesso (e della clausola compromissoria) individuata da tale articolo non solo le ipotesi di nullità derivanti dai vizi di forma estrinseca (individuate dagli artt. 807 e 808 c.p.c.), ma anche quelle legate a violazione delle norme relative alla disciplina dei contratti (violazione delle norme relative al contenuto-forma del patto stesso[57]). La trasposizione sul piano pratico di questi principi portava ad attribuire un connotato polivalente alla nozione di nullità disciplinata dall’art. 829, co. 1, n. 1. Vi si ricomprendevano, oltre alle ipotesi tipiche di nullità del contratto[58], differenti tipologie di invalidità, principalmente riconducibili: all’ipotesi di inesistenza del lodo; alla nullità del compromesso dovuta a carenza assoluta di patto compromissorio[59]; all’inefficacia dello stesso (nel caso di compromesso stipulato da falsus procurator)[60]; infine, alla non compromettibilità della materia devoluta alla cognizione degli arbitri (fattispecie quest’ultima che merita un approfondimento, specialmente in considerazione della possibilità di configurare il lodo affetto da tale vizio quale lodo inesistente)[61].
L’inquadramento della fattispecie in esame imponeva all’interprete di risolvere il problema relativo alla qualificazione e all’individuazione dei confini della categoria stessa. Più precisamente si discuteva, da un lato, circa l’ambito della nozione di nullità di cui all’art. 829, n. 1 [62] e, dall’altro, circa l’ammissibilità di un’autonoma azione di accertamento nelle ipotesi in cui il vizio inficiante il lodo per nullità del patto compromissorio fosse stato talmente grave da configurare un’ipotesi di inesistenza dello stesso[63]. Tale distinzione si rifletteva anche sulla rilevabilità del vizio, atteso che in tali ultime ipotesi si riteneva che la relativa eccezione potesse essere esperita anche ex officio in ogni stato e grado del giudizio[64].
In proposito è opportuno sottolineare che, secondo un consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, non sempre alla mancata proposizione dell’impugnazione doveva conseguire la sanatoria del vizio nel rispetto del c.d. principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame. E invero si riteneva che il principio ora enunciato non potesse trovare applicazione nei casi in cui il vizio avesse assunto un connotato di maggiore gravità rispetto alla causa di nullità, tale da configurare un’ipotesi di 1c.d. inesistenza giuridica o di nullità assoluta e radicalmente insanabile» del lodo[65]. Più in concreto in tale ipotesi venivano ricomprese sia le fattispecie in cui la volontà delle parti risultasse inesistente, per assoluta carenza di un valido patto compromissorio sia le ipotesi di indisponibilità del diritto oggetto della cognizione degli arbitri. Da qui l’esigenza di soffermarsi sulla qualificazione della natura del vizio dovuto alla radicale carenza di patto compromissorio e conseguentemente sul regime della impugnazione del lodo affetto da tale vizio prima e successivamente alla riforma del 2006, per poi procedere all’esame della altre tipologie di vizio della convenzione arbitrale sopra citate.
Giova ricordare in proposito che l’opinione dottrinale sopra ricordata, secondo la quale la carenza di patto compromissorio configurava un’ipotesi di nullità assoluta e radicalmente insanabile e/o di inesistenza del lodo che ne fosse derivato, veniva condivisa anche dal prevalente orientamento giurisprudenziale.
Più precisamente, facendo discendere dalla mancanza di un patto compromissorio l’assoluta carenza del potere giurisdizionale degli arbitri, si traeva la conclusione che il lodo pronunciato da arbitri privi di potere decisorio fosse insuscettibile di produrre qualsiasi effetto giuridico, perché da considerarsi giuridicamente tanquam non esset, essendo reso a non judice[66].
Da qui l’ulteriore conseguenza con riguardo alla natura della pronuncia della Corte d’appello chiamata a decidere sul vizio in esame. Qualora fosse stato riscontrato in sede di impugnazione per nullità del lodo che il processo arbitrale era stato celebrato in assenza di un previo patto compromissorio, il giudice dell’impugnazione non avrebbe potuto decidere la causa nel merito dovendosi limitare alla declaratoria di nullità del lodo[67]. Questa soluzione che si fondava sul principio, già ricordato, secondo il quale il lodo pronunciato da arbitri privi di potere decisorio è da considerarsi giuridicamente tanquam non esset, in quanto reso a non judice[68], sicchè la pronuncia del giudice chiamato a decidere sull’impugnazione doveva restare circoscritta al suo effetto rescindente, «senza accesso a quella fase rescissoria che postulerebbe la sussistenza di un lodo, pur risultante nullo per altre ragioni, ma comunque promanante da arbitri effettivamente investiti di potestas judicandi»[69]. In altre parole, il principio accolto era quello in base al quale l’operatività del previgente secondo comma dell’art. 830 c.p.c.[70] risultava subordinata alla sussistenza di una decisone arbitrale effettivamente esistente[71], cioè emessa da arbitri validamente investiti della potestas iudicandi[72]. Peraltro già prima della riforma del 2006, si era ritenuto che in caso di compromesso inesistente non si potesse parlare di lodo inesistente[73], in considerazione del fatto che «un arbitro nominato senza compromesso assomiglia più a un giudice che pronuncia senza giurisdizione che non a un non-giudice». Di qui la conclusione che portava a qualificare il vizio in esame come ipotesi di nullità del lodo (perché pronunciato da giudice privo di giurisdizione) e non di inesistenza[74].
Ulteriore conforto a sostegno di questa tesi si rinveniva nel motivo di impugnazione del lodo di cui all’art. 829, co. 1, n. 4, c.p.c., che commina(va) una mera sanzione di nullità al lodo che avesse pronunciato fuori dai limiti del compromesso. Pertanto, non essendo ravvisabile alcuna ragione che consentisse di distinguere le due ipotesi (lodo pronunciato senza patto compromissorio e lodo che avesse pronunciato fuori dai limiti del compromesso), anche l’ipotesi di inesistenza del patto compromissorio doveva essere configurata come ipotesi di nullità del lodo.
Anche il raffronto con la disciplina della sentenza del giudice statale forniva conforto alla qualificazione del vizio derivante da mancata stipulazione della convenzione di arbitrato quale causa di nullità e non di inesistenza del lodo. E invero, si osservava che perfino il vizio dovuto a carenza di sottoscrizione del lodo veniva (e viene) trattato dal legislatore con minore gravità rispetto al caso in cui il medesimo vizio colpisca l’omologo provvedimento del giudice ordinario. A norma dell’art. 829, co.1, n. 5, c.p.c., infatti, la mancata sottoscrizione del lodo configura un’ipotesi di nullità e non di inesistenza del lodo, a differenza di quanto previsto dal legislatore per la sentenza, a norma dell’art. 161, co. 2, c.p.c.[75]. Pertanto, secondo l’orientamento in esame, sarebbe apparso incoerente ritenere che la sanzione dell’inesistenza potesse essere imposta al lodo pronunciato in difetto di stipulazione di una convenzione arbitrale, quando analoga sanzione non era comminata nell’ipotesi in cui il lodo fosse stato privo della sottoscrizione degli arbitri; requisito, la cui mancanza comporta con riferimento all’omologo provvedimento pronunciato nel processo davanti al giudice ordinario l’inesistenza della sentenza[76].
Da ultimo, veniva richiamato un argomento di carattere generale, tenuto presente dal legislatore della riforma del 2006 nella determinazione della disciplina del rilievo dei motivi di impugnazione del lodo. Muovendo dal principio che potrebbe definirsi di correttezza e buona fede cui devono attenersi le parti nello svolgimento del procedimento arbitrale, non può ritenersi conforme a tale principio che il soggetto, che ha accettato o dato impulso al procedimento arbitrale, possa poi lamentarsi del fatto che gli arbitri non avevano potere decisorio[77]. Anzi, si affermava che fosse ragionevole ritenere che un patto compromissorio, in origine inesistente, potesse perfezionarsi in un momento successivo proprio sulla base di comportamenti successivi delle parti attuati durante lo svolgimento del procedimento arbitrale[78]. Considerazioni che, come si è in precedenza osservato, sono state condivise dal legislatore della riforma del 2006, il quale nel ridisegnare la disciplina del rilievo del motivo di impugnazione del lodo, «sembra voler impedire che la parte utilizzi il vizio, che avrebbe potuto rilevare immediatamente, secundum eventum litis, finendo per abusare dello strumento processuale»[79].
La formulazione dell’attuale previsione normativa, prevedendo una disciplina specifica per il caso di vizio del lodo derivante dall’inesistenza della convenzione di arbitrato, fornisce un decisivo apporto per risolvere il quesito sorto in passato, relativo alla qualificazione del lodo affetto da tale vizio come lodo inesistente ovvero nullo. Dal combinato disposto degli artt. 829, co. 1, n.1 e 817, co. 2, parte seconda, c.p.c., si ricava che la denunciabilità – in sede di impugnazione per nullità del lodo – dell’inesistenza della convenzione di arbitrato è subordinata all’avvenuto rilievo della relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale. L’intervento del legislatore – nel prevedere che anche i vizi che inficiano la convenzione di arbitrato possano essere fatti valere come cause di nullità del lodo solo se previamente eccepiti nel corso del giudizio arbitrale – introduce un onere di rilievo dell’eccezione che mancava nella disciplina previgente. Di fatto la nuova disciplina ammette una forma di sanatoria del vizio, atteso che l’omesso rilievo del vizio nel procedimento arbitrale comporta l’inimpugnabilità del lodo per quel motivo.
Da ciò discende un’ulteriore implicazione: il nostro ordinamento riconosce valore alla volontà «compromissoria» delle parti se espressa per forma scritta nel rispetto dei requisiti di legge e alla volontà compromissoria delle parti se manifestata per comportamenti concludenti, ravvisabili nella proposizione della domanda arbitrale e nell’omesso rilievo da parte del convenuto della nullità della convenzione arbitrale[80]. Residua il dubbio che le due forme di manifestazione della volontà compromissoria delle parti possano considerarsi equipollenti. Sotto questo profilo può concludersi che l’omesso rilievo dell’eccezione si traduca nella creazione di una forma di convenzione arbitrale equipollente a quella scritta prevista dall’art. 807 [81], a patto che il consenso arbitrale ricavabile dagli atti introduttivi del procedimento sia inequivoco e direttamente attribuibile alle parti (e non ai loro difensori)[82]. Nel caso in cui tale requisito dovesse difettare, appare condivisibile l’opinione di chi parla, in questa ipotesi, di mera preclusione a far valere l’inesistenza in sede di impugnazione invece che di formazione progressiva della convenzione arbitrale, con le conseguenze che ne derivano riguardo alla fissazione della competenza arbitrale[83].
La modifica della disciplina del rilievo del vizio, individuato nel motivo di cui all’art. 829, co. 1, n. 1, c.p.c, evidenzia la ratio perseguita dal legislatore della riforma con riguardo all’impugnabilità del lodo, nel senso di accrescere la stabilità del lodo, limitando il controllo su di esso da parte dello Stato[84]. Non solo, la limitazione del potere di controllo dello Stato si traduce in una restrizione del potere delle parti di far valere il vizio, costringendole a esercitare il relativo potere in un arco di tempo ristretto e così impedendo alle stesse di riservarsi la possibilità di «rinnegare», nel giudizio di impugnazione del lodo, la scelta per la soluzione arbitrale della controversia, una volta che abbiano preso parte attivamente al giudizio arbitrale[85]. Non soggiace a tale onere di rilievo dell’eccezione, come ricordato, l’ipotesi di controversia non arbitrabile. In questo caso il vizio può essere fatto valere per la prima volta in sede di impugnazione del lodo, atteso che la volontà o il comportamento delle parti non assume rilevanza trattandosi di diritti indisponibili dalle parti[86].
Il motivo di impugnazione, così come riformato, offre un argomento rilevante al fine di decidere se l’inesistenza della convenzione configuri oggi un’ipotesi di nullità o inesistenza del lodo. Non sembra possano più residuare dubbi, circa il fatto che il vizio in esame configuri un’ipotesi di nullità del lodo, atteso che una diversa interpretazione farebbe perdere di significato alla disciplina individuata dal combinato disposto degli artt. 817, co. 2 e 829, co. 1, n. 1, c.p.c. Il fatto che il vizio sia raffigurato come causa di impugnazione per nullità subordinatamente all’avvenuto rilievo del vizio nel corso del procedimento arbitrale, fa sì che il lodo affetto da tale vizio non sia da considerare inesistente, ma semplicemente annullabile, con l’ulteriore conseguenza – accolta anche in altri ordinamenti[87] – che «se non è rilevato immediatamente in apertura del procedimento arbitrale, perde rilevanza come motivo di nullità del lodo ed è definitivamente sanato»[88].
Il principio di ordine generale ora enunciato trova unica deroga nella «circoscritta ma importante eccezione comunitaria»[89], costituita dalla clausola compromissoria stipulata fra il professionista e il consumatore. Per effetto delle note pronunce della Corte di Giustizia chiamata a pronunciarsi sul tema della tutela del consumatore, la natura abusiva e vessatoria della clausola compromissoria stipulata fra il professionista e il consumatore può essere fatta valere, infatti, per la prima volta davanti al giudice dell’impugnazione contro il lodo arbitrale[90].
Come più volte ricordato, la norma, nella sua precedente formulazione, individuava come motivo di impugnazione del lodo la nullità del compromesso. Tralasciando di considerare le ipotesi di inesistenza e di inefficacia della convenzione di arbitrato (per le quali si rinvia ai paragrafi successivi), in tale categoria di vizio si facevano rientrare non solo le ipotesi di nullità del compromesso (e della clausola compromissoria) derivanti dai vizi di forma estrinseca (individuati dagli artt. 807 e 808 c.p.c.) ma anche quelle legate a violazione delle norme relative alla disciplina dei contratti (violazione delle norme relative al contenuto-forma del patto stesso)[91]. Non vi è dubbio che tale inquadramento di principio valga ancor oggi. La norma di riferimento dalla quale muovere nell’analisi del motivo in esame è l’art. 807 c.p.c., in virtù della quale, il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l’oggetto della controversia[92]. La disposizione ora citata, trova applicazione anche per la clausola compromissoria, in forza del rinvio contenuto nell’art. 808 c.p.c.
a) Il requisito della forma scritta (la c.d. forma estrinseca)[93].
La nuova formulazione dell’art. 808, co. 1, che disciplina i requisiti di validità della clausola compromissoria limitandosi a tal fine al richiamo alla forma stabilita per il compromesso ai sensi dell’art. 807, e continuando a non riprodurre l’inciso per il quale tale requisito è previsto a pena di nullità (stabilendo più in generale che la clausola compromissoria deve risultare da atto scritto), non ha sciolto il dubbio circa il fatto se sussista una differenza riguardo al requisito di forma previsto per il compromesso e per la clausola compromissoria. Più precisamente, a differenza di quanto vale per il compromesso, per il quale il requisito della forma scritta è previsto ad substantiam, per la clausola compromissoria tale requisito potrebbe apparire richiesto ad probationem[94]. L’art. 808 c.p.c., nello stabilire che la clausola «deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso», non specifica se tale forma sia richiesta ad substantiam ovvero ad probationem[95].
Al riguardo vi è ritiene opportuno distinguere le due ipotesi, attribuendo alla clausola compromissoria un regime formale più attenuato[96]. La distinzione non sembra avere ragion d’essere perché non è dato rinvenire adeguata giustificazione a tale disparità di trattamento per l’una convenzione rispetto all’altra[97]. Conclusione condivisa dalla giurisprudenza, che ha costantemente affermato – prima della riforma[98] e ribadito successivamente[99] – la necessità del requisito della forma scritta ad substantiam, anche con riguardo alla clausola compromissoria.
Si aggiunga che è conclusione condivisa in dottrina e in giurisprudenza, quella secondo la quale il requisito della forma scritta non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione delle parti, potendo realizzarsi anche con lo scambio di atti separati[100]. In particolare è stata riconosciuta la validità del patto compromissorio concluso mediante lo «scambio di missive contenenti rispettivamente la proposta e l’accettazione del deferimento della controversia agli arbitri o la nomina dei rispettivi arbitri»[101] dovendosi interpretare «la richiesta di costituzione di un collegio arbitrale e la relativa accettazione come concorde volontà di compromettere la lite in arbitri»[102].
Si ritiene, altresì, idoneo a integrare il requisito formale anche il rinvio per iscritto al patto compromissorio contenuto in un altro documento, senza necessità di riproduzione materiale dello stesso[103]», dovendosi quindi ritenere valida la forma scritta per relationem, purché perfecta, sussistendo la relazione quando il rinvio «è accompagnato dalla manifestazione espressa della volontà di compromettere e dallo specifico riferimento all’atto contenente la disciplina del previsto arbitrato»[104].
Sempre in tema di sussistenza dell’accordo arbitrale sono stati avanzati dubbi circa la validità di una clausola contenuta in un testamento, che devolva ad arbitri la soluzione delle liti relative alla successione stessa, o alla divisione di beni ereditari o all’amministrazione dell’eredità. L’orientamento prevalente si esprime, con differenti motivazioni[105], nel senso di escludere la validità della clausola compromissoria contenuta nel testamento; ad opposta conclusione si perviene circa la vincolatività della clausola compromissoria contenuta in un contratto nel quale l’erede sia subentrato mortis causa e per il legatario qualora la clausola costituisca un onere connesso con il legato. La conclusione è condivisibile in ragione del fatto che, nel primo caso, il dante causa disporrebbe di un diritto non proprio a differenza di quanto avviene nella seconda ipotesi.
In seguito all’introduzione dell’art. 808 bis,che disciplina la convenzione di arbitrato in materia non contrattuale, non sussiste alcun dubbio circa l’ammissibilità del ricorso all’istituto arbitrale da parte degli eredi e legatari che vogliano con tale strumento risolvere eventuali controversie di diritto successorio (si pensi alle controversie relative all’amministrazione o distribuzione dell’eredità)[106]. Per quanto attiene al profilo più strettamente legato al requisito della forma, un profilo degno di interesse riguarda il tema della vessatorietà della convenzione arbitrale nei riguardi del consumatore e nei contratti in serie. In punto, la giurisprudenza ha più volte affermato, con riguardo ai contratti in serie, la nullità della clausola compromissoria in caso di mancata sottoscrizione specifica della stessa ex art. 1341 c.c.[107].
B) I requisiti di contenuto-forma.
I requisiti di «contento-forma» prescritti dall’art. 807 sono quelli relativi alla determinazione dell’oggetto della controversia e alla compromettibilità della stessa[108].
Con riferimento al primo profilo, legato alla determinatezza dell’oggetto della convenzione di arbitrato, è affermazione corrente in dottrina – in sede di individuazione delle differenze fra i due tipi di convenzione arbitrale (compromesso e clausola compromissoria) – quella che pone l’accento sul «diverso modo di identificare le controversie devolute alla cognizione degli arbitri». Nel primo tipo (compromesso), oggetto della potestas iudicandi degli arbitri è la controversia già insorta; nel secondo (clausola compromissoria), per determinare l’ambito della cognizione arbitrale occorre far riferimento al contratto al quale la clausola accede[109]. Da ciò discende un differente grado di determinatezza dell’oggetto della cognizione arbitrale. Nel caso del compromesso può dirsi che l’oggetto della cognizione arbitrale debba essere determinato (e non determinabile) attraverso l’indicazione dell’oggetto della controversia. Nella clausola compromissoria ciò che deve essere determinato, non è la controversia quanto piuttosto «il rapporto concreto dal quale possono nascere le controversie che le parti hanno ab initio [appunto con la stipulazione di quella clausola] deciso di devolvere al giudizio e alla decisione arbitrale»[110]. Da ciò consegue l’invalidità della convenzione arbitrale generale che preveda una generica attribuzione agli arbitri della potestas decidendi di tutte le controversie future che dovessero insorgere fra le parti[111]. Pertanto anche il ruolo svolto dai quesiti[112] assume un rilievo differente nelle due ipotesi. Si è infatti posto in evidenza come nel compromesso i limiti del giudizio arbitrale siano già in esso determinati ed i quesiti non possano in alcun modo modificarli; nella clausola compromissoria invece i quesiti servono proprio ad individuare le controversie nate dal contratto cui la clausola accede, che vengono a formare l’oggetto del giudizio arbitrale e a specificarlo[113].
C) Casistica giurisprudenziale: casi di nullità e annullabilità della convenzione di arbitrato.
Senza la pretesa di voler o poter fornire un’elencazione esaustiva di tutte le ipotesi di nullità, si possono ricordare alcune fattispecie che più di altre hanno suscitato l’interesse della giurisprudenza. A titolo esemplificativo, configura un’ipotesi di nullità della clausola compromissoria, per difetto dell’essenziale requisito (di ordine pubblico) dell’imparzialità degli arbitri, la clausola formulata in modo da comportare necessariamente l’impossibilità di costituzione di un giudice imparziale[114] o la violazione del principio della paritaria partecipazione di tutte le parti alla nomina degli arbitri[115], ovvero quella che indichi un modo di nomina degli arbitri di impossibile attuazione[116]. Si fanno rientrare nell’ambito delle ipotesi di nullità della convenzione di arbitrato anche quelle in cui il patto compromissorio nasca da un arbitrato obbligatorio[117]. In questi casi si riteneva che il vizio fosse rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado ma soggiacesse al limite del giudicato. Oggi, alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma del 2006, il rilievo d’ufficio delle ipotesi di nullità che sono state analizzate finora è da escludere, come si ricava dal chiaro dettato dell’art. 817, co. 3, c.p.c. Più precisamente discende da tale norma che i vizi nascenti dall’invalidità della convenzione di arbitrato sono sanati dall’omesso rilievo della relativa eccezione, salvo il caso espressamente disciplinato del non compromettibilità della controversia.
Fra le diverse ipotesi di annullabilità, si può pensare all’incapacità delle parti. In tal caso, i problemi interpretativi erano sorti in considerazione del fatto che – trattandosi di causa di annullabilità della convenzione arbitrale e non di nullità e non essendo tale vizio espressamente previsto come motivo di impugnazione del lodo – si era ipotizzato che il lodo viziato per incapacità delle parti restasse privo di tutela diretta in sede di impugnazione per nullità[118]. Il problema, a prescindere dalla condivisibilità o meno della soluzione allora prospettata, oggi è – come in precedenza ricordato - superato dalla lettera della norma.
Come più volte ricordato l’articolo 829, co., n. 1, c.p.c., disciplina in via generale l’invalidità della convenzione di arbitrato. Si è in precedenza osservato che, già nella vigenza della vecchia formulazione della norma, la dottrina e la giurisprudenza erano orientate per un’applicazione estensiva del motivo in esame, tale da ricomprendervi differenti tipologie di vizio – inesistenza, invalidità e inefficacia della convenzione arbitrale – accomunate dall’unica esigenza di garantire tutela in tutte le «fattispecie in cui sia messa in discussione, per qualsiasi motivo, la mancanza di potestas iudicandi degli arbitri»[119]. L’attuale formulazione della norma ricomprende certamente, oltre alla già esaminata ipotesi di inesistenza, anche le ipotesi di nullità del lodo dovute ad inefficacia della convenzione arbitrale.
Le ipotesi di inefficacia della convenzione di arbitrato espressamente previste dal legislatore sono contemplate negli articoli 819 ter e 816 septies c. p. c. Trattasi di ipotesi di inefficacia sopravvenuta della convenzione arbitrale, perché esse prevedono, rispettivamente, da un lato che la mancata proposizione dell’eccezione di competenza arbitrale davanti al giudice ordinario comporti il venir meno dell’efficacia della convenzione di arbitrato riguardo a quella controversia (art. 819 ter c.p.c.) e, dall’altro, che la prosecuzione del procedimento davanti agli arbitri venga meno qualora le parti non provvedano al versamento anticipato delle spese nella misura e nei termini stabiliti dagli arbitri (art. 816 septies c. p. c). Quest’ultima previsione, nel far conseguire al mancato versamento dell’anticipazione delle spese richieste dagli arbitri l’inefficacia della convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al relativo procedimento, non pone particolari questioni interpretative.
Maggiori problemi applicativi si pongono invece nell’ipotesi di inefficacia conseguente alla mancata proposizione dell’eccezione di incompetenza del giudice ordinario (nella comparsa di risposta), dalla quale discende l’esclusione della competenza arbitrale limitatamente alla controversia oggetto del procedimento davanti all’autorità statale. Le questioni che si pongono sul piano applicativo riguardano in particolare sia la rilevabilità dell’inefficacia sopravvenuta della convenzione di arbitrato in un successivo procedimento sia il valore da attribuire al mancato rilievo dell’eccezione di incompetenza (se di mera preclusione endoprocessuale o di formazione progressiva del consenso: il punto è stato approfondito al par. 9).
Con riguardo, invece, alle ipotesi di inefficacia genetica del patto compromissorio, in mancanza di una disciplina specifica, le ipotesi comunemente ricondotte dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella fattispecie in esame, riguardano la stipulazione della convenzione di arbitrato da parte del rappresentante non munito del relativo potere e il mancato verificarsi della condizione o mancata scadenza del termine previsto nella clausola compromissoria. In particolare è necessario soffermare l’attenzione sulla prima delle due ipotesi citate. E invero, nel caso in cui il patto compromissorio sia stato stipulato da un soggetto privo di tale legittimazione, occorre distinguere l’ipotesi in cui il falsus procurator abbia sottoscritto la convenzione e abbia partecipato al procedimento dall’ipotesi in cui il falsus procurator abbia sottoscritto la convenzione ma abbia partecipato al procedimento il titolare della legittimazione a compromettere[120]. In tale ultimo caso, se l’operato del falsus procurator viene ratificato, (ad esempio con la sottoscrizione dell’atto introduttivo del procedimento arbitrale dalla parte, o da chi, per procura la rappresenti)[121], il vizio deve considerarsi sanato.
Nel caso in cui, invece, il legittimato non abbia partecipato al procedimento, sarà libero di far valere l’eccezione anche in un altro giudizio. Questo perché, come è stato osservato in dottrina, «il patto compromissorio stipulato da chi non abbia legittimazione a compromettere (ad es. creditore surrogante nella controversia che abbia ad oggetto un rapporto di cui è titolare il debitore) non può spiegare alcun effetto nei confronti del titolare della situazione giuridica compromessa in arbitri, che non abbia partecipato al contratto»[122].
Da quanto precede deriva che il falso rappresentato che intervenga nel giudizio arbitrale può far valere l’inefficacia della convenzione senza che ciò gli sia precluso in base ai limiti individuati dall’art. 817 co. 3, c.p.c. Nel caso in cui il falso rappresentato non intervenga nel giudizio si troverà nella posizione di terzo e, conseguentemente, potrà utilizzare i rimedi a questi riconosciuti dall’ordinamento.
La disciplina individuata degli articoli 817, co. 2 e 829, co. 1, n. 1, c.p.c., pone un ulteriore interrogativo. Il punto sul quale occorre soffermare l’attenzione è, a mio avviso, il fatto che l’art. 817 c.p.c. presuppone la contestazione della potestas iudicandi degli arbitri. Ed infatti la norma dispone che in ogni caso di contestazione gli arbitri decidono della propria competenza. Proprio dalla previsione del presupposto della contestazione consegue che l’onere di rilievo dell’eccezione presupponga l’avvenuta costituzione delle parti.
Ci si deve allora domandare se la norma configuri un onere di costituzione del convenuto di fronte agli arbitri, al solo fine di contestare l’inesistenza del loro potere di decidere la controversia.
Al riguardo si può, in primo luogo osservare che, per essere distolti dalla giurisdizione ordinaria, è necessaria un’espressa manifestazione di volontà delle parti, i cui requisiti sono individuati agli artt. 807 e 808 c.p.c..
E’ pacifico, inoltre, che non vi sia una piena corrispondenza fra il difetto di potestas judicandi degli arbitri e l’incompetenza del giudice ordinario, in ragione del fatto che, per quanto sia ravvisabile un’assimilazione tra i due profili, non vi è coincidenza, come dimostrato in particolare da quanto disposto nell’art. 819 ter[123]. Pertanto, se nel processo ordinario l’omesso rilievo dell’eccezione di incompetenza comporta la sanatoria del vizio anche in caso di contumacia della parte, il principio non può essere automaticamente trasposto alla materia arbitrale, con riferimento alla disciplina del rilievo della mancanza di potestas decidendi degli arbitri derivante dall’invalidità della convenzione di arbitrato. Non si può trascurare di considerare, infatti, che il potere di cognizione degli arbitri discende dalla stipulazione di una valida convenzione arbitrale attraverso la quale le parti conferiscono agli arbitri il potere di decidere la controversia.
Ciò detto, si può procedere a richiamare dapprima le norme che disciplinano il rilievo dell’eccezione di incompetenza del giudice ordinario in ragione della sussistenza di una convenzione arbitrale stipulata fra le parti. L’art. 819 ter prevede che la mancata proposizione, nei termini di legge[124], dell’eccezione di incompetenza del giudice ordinario derivante dalla stipulazione fra le parti di una convenzione di arbitrato, escluda la competenza arbitrale limitatamente alla controversia oggetto. Di fatto, quindi, la mancata proposizione dell’eccezione di compromesso comporta il venir meno dell’efficacia della convenzione di arbitrato riguardo a quella controversia.
Pertanto, l’eccezione relativa all’incompetenza del giudice ordinario, derivante dalla stipulazione fra le parti di un patto compromissorio, è assimilata – con riguardo alla disciplina del rilievo – alla previsione relativa all’eccezione di incompetenza per territorio semplice (art. 38, co. 3, c.p.c.), nella parte in cui qualifica l’eccezione di compromesso come eccezione rilevabile unicamente su istanza di parte a pena di decadenza nella comparsa di risposta[125]. La conclusione porta da un lato a ritenere inammissibile l’eccezione di incompetenza tardivamente sollevata dalla parte e dall’altro – anche se non espressamente previsto, essendo implicito nella norma – ad affermare che la sentenza del giudice ordinario non potrà essere impugnata per violazione delle norme sulla competenza, o meglio, se impugnata per quel motivo, l’impugnazione dovrà essere rigettata.
Non sembra che la norma offra argomenti per concludere che la soluzione possa essere diversa nel caso in cui il convenuto non si sia costituito. Ed invero trattandosi di eccezione in senso stretto, da rilevarsi a pena di decadenza nella comparsa di risposta, non può non convenirsi sul fatto che la formulazione dell’art. 819 ter «elimina ogni dubbio interpretativo in ordine alla non rilevabilità d’ufficio dell’eccezione, anche nell’ipotesi di mancata costituzione del convenuto»[126]. La conclusione ora espressa vale con riferimento al mancato rilievo dell’eccezione di compromesso davanti al giudice ordinario.
Allo stesso modo deve ritenersi, con riferimento al rilievo dell’eccezione di incompetenza davanti agli arbitri, che l’articolo 817, co. 2, c.p.c. contenga una regola di valutazione del comportamento processuale delle parti dalla quale ricavare – in senso speculare rispetto all’art. 819 ter, – un criterio attributivo del riconoscimento della competenza arbitrale.
In altre parole, l’art. 817, co. 2, c.p.c. assegna alla mancata tempestiva contestazione del vizio della convenzione arbitrale (per inesistenza, invalidità, inefficacia della stessa)[127] valore di implicita accettazione/ratifica della stessa o più semplicemente, può dirsi, che l’art. 817, co. 2, c.p.c., non fa altro che introdurre un meccanismo di sanatoria del vizio. La conclusione ora enunciata, incontestabile nel caso in cui le parti si siano costituite, può forse essere meno immediata nel caso opposto, in quanto per giungere a tale soluzione – come in precedenza ricordato – la norma deve essere interpretata nel senso di imporre un onere di costituzione alla parte, al solo fine di contestare la validità della convenzione di arbitrato.
Fatta questa premessa si ritiene però che il dettato normativo non consenta di raggiungere una differente conclusione anche nell’ipotesi di mancata costituzione delle parti. Sembra difficilmente eludibile, infatti, la previsione dell’art. 817, co. 2, nella parte in cui individua le modalità di rilievo dell’eccezione di invalidità della convenzione arbitrale. In primo luogo la denunciabilità del vizio in sede di impugnazione per nullità del lodo risulta subordinata all’avvenuto rilievo della relativa eccezione nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri[128]. In secondo luogo, l’art. 817, co. 1, c.p.c. enuncia il principio generale in forza del quale gli arbitri sono competenti a decidere della loro potestas iudicandi, qualsiasi sia la contestazione loro rivolta nel corso del procedimento arbitrale. Non solo, in base al comma 2 dell’articolo in esame, il potere degli arbitri di decidere della propria competenza sussiste anche se questa sia stata contestata «in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento arbitrale».
La norma, pertanto, non pone limitazioni all’ampiezza del potere degli arbitri di decidere della propria competenza, ma individua un limite temporale entro il quale gli arbitri possono esercitare tale potere, specificando (art. 827, co. 2, 2 cpv., c.p.c.) che il difetto di competenza dovuto all’inesistenza, invalidità ed inefficacia della convenzione arbitrale deve essere sollevato dalla parte nella prima difesa successiva all’avvenuta accettazione dell’incarico da parte degli arbitri (laddove, invece, il potere degli arbitri sia contestato per fatti sopravvenuti, la relativa eccezione dovrà essere proposta nella prima difesa successiva al fatto sopravvenuto o alla sua conoscenza)[129]. Come si ricava dal tenore letterale, l’eccezione di incompetenza degli arbitri rientra fra le eccezioni in senso stretto, essendo posto in capo alla parte l’onere del rilievo della relativa eccezione.
Il profilo che in questo momento si ritiene di maggior rilevanza, ipotizzando la fattispecie relativa alla mancata costituzione della parte convenuta, riguarda il potere di rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di incompetenza degli arbitri per inesistenza, invalidità e inefficacia della convenzione di arbitrato. Al riguardo la formulazione della norma non lascia dubbi circa il fatto che si tratti di un’eccezione rilevabile unicamente a istanza di parte e, denunciabile, a pena di decadenza nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri[130]. Non avrebbe alcun senso, altrimenti la contrapposizione contenuta nei co. 1 e 2 dell’art. 817, c.p.c, tra eccezioni di incompetenza rilevabili nel corso del giudizio arbitrale e eccezioni che la parte deve eccepire nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri[131]. A ciò si aggiunga, anche considerando il differente significato da attribuire alla contumacia[132] nel procedimento arbitrale, che l’art. 810, c.p.c., al comma secondo, prevede che nel caso in cui la parte non provveda alla nomina del proprio arbitro, la controparte possa chiedere in via sussidiaria al presidente del tribunale del luogo in cui ha sede l’arbitrato di provvedere alla nomina dell’arbitro. Infine, decisiva appare la disposizione che consente al presidente del Tribunale di provvedere alla nomina richiestagli «se la convenzione di arbitrato non è manifestamente inesistente o non prevede un arbitrato estero» (art. 817, co. 3, c.p.c). Ciò significa che in sede di nomina il presidente del tribunale deve accertare che, almeno all’apparenza, sussista la convenzione di arbitrato; soltanto in tale ipotesi provvederà alla nomina dell’arbitro[133].
Ne consegue che il mancato rilievo dell’eccezione nel rispetto delle modalità di legge preclude la possibilità di far valere il vizio in un secondo tempo ovvero in altra sede (se si intende impugnare il lodo per tale motivo)[134]. In punto si può ulteriormente osservare che la disciplina in esame individua un duplice presupposto, nel senso che la domanda di arbitrato deve essere portata a conoscenza della parte convenuta (che decide di non costituirsi) a mezzo di notifica, e che il convenuto deve essere parte della convenzione di arbitrato. In tal caso opera la sanatoria individuata nell’art. 817, co. 2, c.p.c.[135]. Al contrario, non potrà ritenersi operante la sanatoria del vizio sia nel caso in cui alla parte che ha legittimamente sottoscritto la convenzione di arbitrato sia notificato un lodo senza la previa notifica della domanda arbitrale sia nel caso in cui la convenzione sia stata sottoscritta dal falsus procurator e il titolare della legittimazione a compromettere non abbia partecipato al procedimento. Questo perché, come è stato in precedenza osservato, «il patto compromissorio stipulato da chi non abbia legittimazione a compromettere non può spiegare alcun effetto nei confronti del titolare della situazione giuridica compromessa in arbitri, che non abbia partecipato al contratto»[136]. Da quanto precede deriva che nel caso in cui sia stata omessa la notifica della domanda di arbitrato alla parte ovvero nel caso di falso rappresentato, questi potranno impugnare il lodo con altri rimedi. Il falso rappresentato potrà proporre l’opposizione di terzo; la parte alla quale non è stata regolarmente notificata la domanda di arbitrato potrà, se non sono scaduti i termini, proporre impugnazione per nullità del lodo ex art. 829, co. 1, n. 9 (violazione del contraddittorio) ovvero, in caso contrario, proporre un’autonoma azione di accertamento della nullità del lodo.
Altro aspetto di indubbia rilevanza pratica, è quello legato all’individuazione degli effetti ascrivibili al difetto di tempestiva rilevazione del vizio. Secondo l’opinione prevalente all’intempestiva rilevazione del vizio deve attribuirsi efficacia preclusiva con effetti meramente endoprocessuali[137]; per l’opinione minoritaria, nel comportamento omissivo delle parti si dovrebbe ravvisare «una sorta di accordo tacito derogatorio della giurisdizione statale con valenza anche extraprocesuale»[138]. Optare per la prima tesi significa che «il meccanismo preclusivo, per sua natura, non potrà produrre effetti al di fuori del giudizio arbitrale (ad esempio, in caso di chiusura in rito del relativo processo o di annullamento del lodo)[139]». Nel caso opposto si rende necessario verificare l’esistenza di un’effettiva volontà delle parti volta alla stipulazione di un patto compromissorio per facta concludentia, destinato a dispiegare la sua efficacia anche nel caso in cui il giudizio arbitrale non giunga a conclusione ovvero il lodo venga annullato in sede di gravame[140].
La conclusione preferibile è quella che porta a ritenere che, in ipotesi, si configuri una mera preclusione a far valere l’inesistenza in sede di impugnazione, con le conseguenze che ne derivano riguardo alla fissazione della competenza arbitrale[141], pur dovendosi precisare che il meccanismo preclusivo non produce effetti al di fuori del giudizio arbitrale (ad esempio, in caso di chiusura in rito del relativo processo) mentre è destinato a operare nel caso di annullamento del lodo, in considerazione del fatto che il procedimento davanti alla Corte d’Appello rappresenta, per le ragioni evidenziate, una prosecuzione del giudizio arbitrale (supra, Parte terza).
L’ultimo profilo da considerare riguarda la regolamentazione dei rapporti giudice-arbitro, inciso positivamente dalla riforma che prevede oggi utili correttivi al fine di risolvere eventuali conflitti di competenza. In primo luogo nel caso in cui sia stato preventivamente instaurato il giudizio ordinario rispetto al giudizio arbitrale, a norma dell’art. 819 ter, co. 1, la mancata proposizione nella comparsa di risposta dell’eccezione di compromesso davanti al giudice ordinario comporta l’esclusione della competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio.
Analoga previsione non si ritrova per l’opposta ipotesi di mancato rilievo dell’eccezione di incompetenza degli arbitri in favore della cognizione del giudice ordinario, la cui soluzione, peraltro, può essere desunta con riferimento alla disciplina, prima richiamata, dell’omesso rilievo dell’eccezione di invalidità della convenzione di arbitrato (art. 817, co. 2, c.p.c.). Previsione normativa alla quale si può attribuire, per le ragioni sopra esposte, il ruolo di stipulazione implicita della convenzione di arbitrato (per facta concludentia) purchè sia verificata l’esistenza di un’effettiva volontà delle parti volta a rimettere agli arbitri la decisione della controversia.
L’esame della disciplina sinora svolto pone l’ulteriore questione relativa agli effetti del mancato rilievo, nel procedimento arbitrale, dell’eccezione di incompetenza rispetto a un successivo giudizio instaurato davanti al giudice ordinario dalla parte che non ha sollevato – nella prima difesa dopo l’accettazione degli arbitri – il vizio di invalidità della convenzione di arbitrato, nonché – in sede di giudizio ordinario – il valore della mancata eccezione di incompetenza del giudice statale «in ragione della convenzione di arbitrato». In altre parole occorre domandarsi se possa essere «spendibile» in un diverso procedimento il mancato rilievo dell’eccezione di incompetenza omesso in altro procedimento e in quali termini possa essere regolata l’ipotesi di contemporanea pendenza del procedimento arbitrale e del giudizio ordinario.
Premesso che la disciplina che regolamenta i rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria risulta molto complessa, essendo numerose le fattispecie di conflitto, non regolamentate dal legislatore, che possono venire a esistenza, per quanto riguarda il caso di contemporanea pendenza della lite davanti al giudice ordinario e davanti agli arbitri non vi è dubbio che la soluzione debba essere ricavata dai principi. Al riguardo si deve, infatti, sottolineare il fatto che, da un lato, l’art. 817, c.p.c. attribuisce agli arbitri il potere di decidere sempre della propria competenza, anche se contestata «in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento arbitrale» e, dall’altro, che il giudice ordinario deve valutare la sussistenza della propria competenza, accertando «l’esistenza e l’operatività della clausola compromissoria»[142]. Non trovando applicazione nella disciplina dei rapporti fra arbitri e autorità giudiziaria sia la norma che disciplina la litispendenza (art. 39 c.p.c.)[143] sia la sospensione necessaria del processo (art. 295 c.p.c.), la cui operatività è espressamente esclusa dall’art. 819 ter[144], si è ritenuto[145] che, a seguito della riforma del 2006, il rapporto fra arbitri e giudici ordinari sia retto dal c.d. principio delle vie parallele, per il quale – in caso di contestuale pendenza dei procedimenti davanti al giudice ordinario e davanti agli arbitri – l’uno e l’altro sono competenti a decidere della propria competenza. In altri termini la novellata disciplina avrebbe fatto venire meno il fenomeno della c.d. pregiudizialità zoppa[146] per il quale mentre il giudice ordinario è tenuto ad astenersi dal decidere la lite che sia stata preventivamente instaurata davanti agli arbitri, la previa instaurazione della lite davanti al giudice ordinario non precluderebbe agli arbitri di accertare la propria competenza[147].
Peraltro, proprio muovendo dal disposto, dell’art. 819 ter, nella parte in cui prevede che in pendenza del procedimento arbitrale non possono essere proposte domande giudiziali, si è ritenuto[148] che possa essere proposta una domanda giudiziale volta a ottenere la declaratoria della invalidità o inefficacia della convenzione, quando non sia stata introdotta una controversia davanti agli arbitri[149]. Secondo il recente orientamento della Corte di Cassazione, più precisamente, «tale domanda può essere proposta o di per sè sola, cioè come domanda di accertamento, certamente assistita dal requisito dell’interesse ad agire (per evitare che eventuali controversie possano essere introdotte davanti agli arbitri), o unitamente alla domanda relativa al rapporto in cui la clausola compromissoria potenzialmente troverebbe applicazione». E infatti, «l’invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato può essere invocata davanti all’autorità giudiziaria con autonoma domanda di accertamento, o unitamente alla domanda relativa al rapporto cui la clausola compromissoria troverebbe applicazione, ovvero, ancora, in via di contro eccezione proposta dalla parte attrice, allorché la parte convenuta abbia eccepito l’esistenza della clausola compromissoria invocando la competenza arbitrale»[150]. In altre parole, per la Suprema Corte, in pendenza del giudizio arbitrale, il giudice statale adito per decidere la controversia in base al presupposto che la convenzione di arbitrato sia invalida o inefficace non potrebbe decidere della validità del patto compromissorio, dovendosi arrestare a una pronuncia in rito. Secondo coloro che già prima della pronuncia giurisprudenziale ora richiamata erano giunti a tale conclusione, il giudice statale chiamato a decidere della controversia nonostante la pendenza del giudizio arbitrale, dovrà pronunziare l’inammissibilità della domanda[151]. L’interpretazione ora prospettata appare la più persuasiva, perché l’interpretazione diversa, secondo la quale l’ult. co. dell’art. 819 ter impedirebbe al giudice ordinario unicamente di accertare la validità o inefficacia della convenzione di arbitrato in pendenza del giudizio arbitrale, svuoterebbe di significato e forse di utilità pratica la disposizione in esame. Sembra, infatti, contraddittorio affermare che in pendenza del giudizio arbitrale il giudice ordinario non possa conoscere dell’invalidità dell’inefficacia della convenzione arbitrale in via principale ma possa invece accertarla se proposta in via di eccezione.
Può, pertanto, concludersi nel senso che oggi il principio delle «vie parallele» operi nel caso in cui sia stato previamente instaurato il giudizio davanti al giudice ordinario rispetto a quello arbitrale. In punto può dirsi che i procedimenti proseguiranno per «vie parallele» sin tanto che non si verifichi un fatto/comportamento processuale dirimente riguardo all’individuazione del giudice competente. Sotto questo profilo, a seguito della riforma del 2006, non si può mancare di sottolineare, quale elemento di sicura utilità[152] – al fine di risolvere il conflitto di competenza in tempi brevi, senza dover aspettare l’esaurimento di tutti i gradi di giudizio dei relativi procedimenti – l’espressa qualificazione del rapporto fra autorità giudiziaria ed arbitri in termini di competenza (seppur impropria). Modifica che introduce l’indubbio vantaggio di consentire la proposizione del regolamento di competenza nei confronti della sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione di arbitrato (art. 819 ter)[153]. Non si ritiene infatti di condividere l’orientamento secondo il quale l’espressione contenuta nel co. 2 dell’art. 819 ter, in virtù della quale gli arbitri sono competenti a decidere della loro competenza «anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede e per qualsiasi ragione» debba essere intesa nel senso che gli stessi non siano vincolati al giudicato della Corte di Cassazione.
Il discorso, invece, è meno complesso con riferimento all’individuazione degli effetti prodotti dalle pronunce sulla competenza rilasciate nei singoli procedimenti. Le pronunce affermative della competenza possono ritenersi vincolanti unicamente nell’ipotesi in cui gli arbitri abbiano pronunciato un lodo non più impugnabile[154] ovvero quando sulla pronuncia sulla competenza del giudice ordinario si sia formato il giudicato[155]; per le pronunce declinatorie della competenza trova applicazione, come in precedenza ricordato, l’art. 50 c.p.c.[156].
L’impostazione seguita nella riforma della disciplina dell’arbitrato italiano del 2006 in materia di disciplina dei vizi della convenzione di arbitrato, comune anche ad altri ordinamenti, in particolare l’ordinamento austriaco e in quello tedesco, è imperniata sulla rilevabilità della relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale. Soltanto in tale ipotesi il vizio potrà essere fatto valere come motivo di annullamento del lodo. Le fattispecie che causano l’invalidità della convenzione di arbitrato nei due ordinamenti sono sostanzialmente simili mentre si differenziano sensibilmente con riferimento al profilo relativo all’impugnazione della pronuncia di incompetenza degli arbitri.
Per quanto riguarda il primo profilo, si constata un tendenziale superamento del requisito della forma scritta essendo tale requisito soddisfatto attraverso la formazione del consenso arbitrale per facta concludentia[157]e, comunque, qualora difetti il requisito della forma scritta, il vizio conseguente è da considerarsi causa di annullamento del lodo e non di inesistenza[158]. La comparazione dei differenti ordinamenti ha altresì evidenziato la comun esigenza di una regolamentazione dei rapporti fra arbitri e autorità giudiziaria allo scopo di risolvere eventuali conflitti di competenza che possano insorgere dallo svolgimento di procedimenti «paralleli».
Con riferimento al profilo relativo all’impugnabilità della pronuncia sulla competenza resa dagli arbitri, è possibile riscontrare – a fronte di una disciplina dettagliata e articolata che distingue le due ipotesi di pronuncia affermativa o negatoria della competenza – che la disciplina italiana e quella tedesca sono accomunate dalla mancata previsione di una norma espressa che disciplini l’ipotesi in cui gli arbitri affermino la propria incompetenza. Ipotesi che porta a ritenere che la pronuncia negatoria della competenza dell’arbitro, secondo il diritto tedesco, non sia impugnabile e, conseguentemente, l’azione vada proposta davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, mentre secondo la disciplina italiana, la conclusione raggiunta è a favore dell’impugnabilità del lodo per avere gli arbitri concluso il procedimento arbitrale senza decidere il merito della controversia quando il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri (art. 829, co. 1, n. 10, c.p.c.).
Anche con riguardo a questo motivo appare opportuno premettere l’esame della disciplina austriaca e di quella tedesca ricordando che in tali ordinamenti il legislatore espressamente distingue le ipotesi in cui il vizio è rilevabile unicamente su istanza di parte dalle ipotesi – limitate a due casi (violazione dell’ordine pubblico e non compromettibilità della controversia) – in cui l’eccezione è rilevabile anche d’ufficio, anche se decorso il termine per impugnare il lodo.
Per il § 611 Abs. 2 Z. 7 öZPO il lodo avente ad oggetto una controversia non compromettibile è annullabile e il relativo vizio è rilevabile anche d’ufficio (§ 611 Abs. 3 öZPO). La norma qualifica il lodo affetto da tale vizio come lodo annullabile a differenza di quanto previsto dalla disciplina previgente che non annoverava la non compromettibilità della controversia fra i motivi di annullamento del lodo. Prima della riforma, il lodo affetto da tale vizio costituiva pertanto ipotesi di «Nichtschiedsspruch»[159]. La riforma ha fatto rientrare anche tale tipo di lodo nell’ambito della disciplina del lodo annullabile, con l’ovvia conseguenza che il vizio può essere fatto valere nel termine previsto per l’impugnazione del lodo[160].
In punto è opportuno sottolineare che la disciplina austriaca prevede due strumenti di tutela rispetto al vizio in esame. Da un lato, la tutela contro la violazione dell’oggettiva non compromettibilità della controversia (come anche quella dell’ordine pubblico) non viene affidata unicamente alle parti del procedimento arbitrale ma è rimessa anche al giudice attraverso il suo rilievo ex officio. Dall’altro il § 613 öZPO dispone che, nell’ipotesi in cui il Tribunale o altra Autorità, accerti in un altro procedimento, anche ad esempio nel procedimento di esecuzione, che sussiste un motivo di impugnazione di cui al § 611 Abs. 2 Z. 7 e 8 öZPO (rispettivamente: non compromettibilità della controversia e contrarietà del lodo all’ordine pubblico), il lodo non deve essere osservato[161]
In considerazione sia delle differenti occasioni nelle quali tali lodi possono essere utilizzati sia delle diverse Autorità adite per giudicare, sembra che l’esame sulla sussistenza dei vizi sopra enunciati si collochi, nei rispettivi procedimenti, nell’ambito dell’esame delle questioni pregiudiziali («Inzidentalprüfung»)[162]. Nell’ipotesi in cui fosse stata già proposta una domanda di annullamento del lodo per gli stessi motivi e la stessa fosse stata rigettata con efficacia di giudicato, allora la questione preliminare non può più essere autonomamente valutata, perchè la sentenza che ha deciso sulla domanda di annullamento è vincolante[163].
Per l’individuazione delle controversie non compromettibili vale il principio generale desumibile dal § 582 öZPO, per il quale sono compromettibili le controversie relative a diritti patrimoniali, mentre le convenzioni arbitrali aventi ad oggetto pretese relative a diritti non patrimoniali sono efficaci se l’oggetto della controversia può formare oggetto di transazione. Infine, il secondo comma della norma citata individua una serie di ipotesi specifiche che sono escluse dalla compromettibilità in arbitri, fra le quali rientrano le controversie di diritto di famiglia e le controversie in materia di locazione[164].
Dell’impugnazione del lodo che abbia pronunciato su controversia non compromettibile in arbitri si occupano sia il Nr. 2 lit. a del § 1059 Abs. 2 sia il § 1060 dZPO. La prima norma disciplina la domanda di annullamento del lodo, la seconda il procedimento per attribuire efficacia esecutiva al lodo. In base al combinato disposto dei §§ 1059 e 1060 dZPO, alla parte soccombente si riconosce una duplice possibilità di impugnazione sia in via d’azione sia in via di eccezione. La disciplina tedesca prevede pertanto due mezzi attraverso i quali è possibile ottenere l’annullamento del lodo: la domanda di annullamento (Aufhebungsantrag; § 1059 dZPO) e le corrispondenti eccezioni (Einwendungen) opponibili nel procedimento di dichiarazione di esecutività (di cui al § 1060 Abs. 2 dZPO). Per quanto riguarda questa seconda eventualità, la dottrina sottolinea che trattasi di una scelta processuale aleatoria, in quanto i motivi di nullità – eccetto due, fra i quali rientra il vizio relativo alla non compromettibilità della controversia – possono essere fatti valere soltanto entro il termine decadenziale di tre mesi[165]. A ciò si aggiunga che, nel procedimento per ottenere l’esecutività, il giudice deve verificare d’ufficio se sussistono i motivi di nullità indicati nel Nr. 2 del § 1059 Abs. 2 dZPO [166], quali la non compromettibilità della controversia e la contrarietà all’ordine pubblico[167], rilevabili anche d’ufficio. Ciò comporta che, nel caso in cui sussista uno dei suddetti due motivi, il giudice dell’esecuzione deve rigettare la domanda di esecutorietà e contestualmente provvedere all’annullamento del lodo, anche qualora siano decorsi i termini per l’impugnazione di cui al § 1059 Abs. 3 [168]. Al contrario – secondo la tesi minoritaria – una volta decorso il termine per l’impugnazione del lodo, il giudice che verifica la sussistenza di uno dei due motivi individuati dal § 1059 Abs. Nr. 2, deve limitarsi a rigettare la domanda di esecutorietà del lodo, essendogli inibito di pronunciare l’annullamento dello stesso (come si deduce dal § 1060 Abs. 2)[169].
Pertanto, può concludersi che con riguardo all’individuazione dei rimedi, tramite i quali far valere i vizi del lodo nei differenti ordinamenti, la normativa tedesca si distingue da quella austriaca e italiana, ove – come noto – gli eventuali vizi della pronuncia possono essere fatti valere soltanto in sede di impugnazione del lodo.
Con riferimento all’individuazione delle controversie non compromettibili occorre far riferimento al § 1030 dZPO, a norma del quale – come oggi anche per il diritto austriaco – sono compromettibili le controversie relative a diritti patrimoniali, mentre le convenzioni arbitrali aventi ad oggetto pretese relative a diritti non patrimoniali sono efficaci se l’oggetto della controversia può formare oggetto di transazione. Il principio generale ora citato, contenuto nel primo comma della norma, è integrato con la previsione specifica, contenuta nel secondo comma, secondo il quale sono escluse dalla compromettibilità in arbitri le controversie riguardanti la sussistenza di un contratto di locazione nel territorio nazionale, salvo che non si tratti di abitazioni disciplinate dal § 549 Abs. 2 dal Nr. 1 al Nr. 3 BGB[170].
Fra le ipotesi di nullità, che danno luogo a una pronuncia meramente rescindente dell’impugnazione, rientra anche quella relativa alle pronunce aventi ad oggetto controversie non arbitrabili. L’art. 806 c.p.c. testualmente prevede che le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. Sono dunque due i limiti imposti dalla norma in esame alla compromettibilità della controversia: l’indisponibilità del diritto oggetto della controversia e l’espresso divieto di legge.
Al fine di determinare la nozione di non compromettibilità della controversia arbitrale occorre ricordare che prima della riforma del 2006, gli articoli 806 e 808 c.p.c., dettavano un’elencazione tassativa di cause non compromettibili, che comprendeva quelle previste negli artt. 429 e 459 c.p.c. (ora artt. 409 e 442 c.p.c.)[171] e quelle riguardanti questioni di stato e di separazione personale dei coniugi, integrata dal rinvio a una più ampia e generale categoria comprensiva di tutte le controversie che non potevano formare oggetto di transazione.
Il testo della norma novellata assume oggi quale unico criterio di compromettibilità delle controversie la disponibilità del diritto. A norma dell’art. 806 c.p.c., infatti, le parti possono compromettere in arbitri «le controversie tra di loro insorte che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge». A seguito della riforma, vengono meno sia il riferimento alle ipotesi tassative espressamente previste dal legislatore (il richiamo alle controversie di lavoro resta ma viene individuata una disciplina di maggior favore) sia il richiamo alla disciplina della transazione. Riguardo a quest’ultimo profilo, la dottrina aveva manifestato qualche dubbio sottolineando l'eterogeneità delle funzioni svolte da i due istituti[172]; sotto il profilo pratico, il testo novellato consente di superare i problemi di coordinamento tra la disciplina dell'istituto arbitrale e quella relativa alla transazione, anche per quanto riguarda l'ammissibilità dell'istituto arbitrale nelle ipotesi in cui gli arbitri fossero chiamati a decidere sull'illiceità del contratto, atteso che l’art. 1972 c.c. impedisce la transazione su titolo illecito[173]. Muovendo da questa premessa, può dirsi che oggi l’unico criterio idoneo a determinare l’arbitrabilità della controversia è individuato nella diponibilità del diritto oggetto della stessa.
Con specifico riguardo all'individuazione della nozione di «diritto disponibile» sono state prospettate differenti interpretazioni. Al di là del condiviso e comune convincimento, per il quale non deve confondersi il concetto di inderogabilità o imperatività della normativa con la nozione di indisponibilità del diritto[174] e del non meno accettato principio per cui tale indisponibilità si giustifica e trae legittimazione dall’esigenza di tutelare interessi di cui si fanno carico norme di ordine pubblico[175], differenti sono, invece, i criteri ai quali far ricorso per individuare le singole ipotesi di indisponibilità del diritto.
Al riguardo va segnalato l'orientamento per il quale la compromettibilità coincide con la disponibilità dell'azione[176]. In questa ottica, si è ritenuto che al concetto di indisponibilità sia da attribuire un significato «legato all’abdicazione o rinuncia ad un dato diritto preesistente», sicché «la disponibilità del diritto si misura sul potere di rinunciare al diritto o di diminuirlo o di spogliarsene»[177]. Si è peraltro obeittato che, a tal fine, non sia rilevante la rinunciabilità o cedibilità del diritto, quanto l'esistenza, rispetto ad esso, del potere negoziale, ossia del potere di darsi regole di condotta, che l'ordinamento recepisce e garantisce come vincolanti[178], ravvisando nella partecipazione del P.M. al processo, sia in via di azione sia di intervento, la prova dell'indisponibilità del diritto[179]. Per altri ancora, l'indisponibilità deriverebbe dal fatto che le parti non possono, con un accordo privato, raggiungere lo stesso effetto contenuto nella pronuncia del giudice[180].
Sulla scorta anche della casistica giurisprudenziale e dottrinale può dirsi che, tenuto conto del fatto che l'indisponibilità del diritto poggia indiscutibilmente sull'esigenza di tutelare interessi di cui si fanno carico norme di ordine pubblico, non sono compromettibili le controversie relative a diritti personalissimi, quali il diritto alla vita, all'integrità fisica[181], al nome e, con espresso riferimento al settore del diritto di famiglia, le liti sullo stato delle persone, ivi comprese le controversie sulla paternità, quelle attinenti alla capacità, interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno. Rientrano inoltre, tra le controversie non compromettibili, quelle relative alla separazione e al divorzio[182], seppur con motivate riserve circa la compromettibilità dei profili economici ricollegati a tali fattispecie[183].
Si ritiene, invece, che siano disponibili le liti successorie a carattere patrimoniale, tra le quali si fanno rientrare anche quelle scaturenti dal patto di famiglia[184] e più in generale le controversie che interferiscono su rapporti patrimoniali aventi ad oggetto posizioni soggettive disponibili[185]. Ancora sono ritenute compromettibili quelle controversie che attengono a materia disponibile in quanto «espressione della libertà di scelta e di svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto in quanto tale»[186]. Si è, infine, affermato che «l’eccezione al principio generale dell'arbitrabilità deriva dall'inderogabilità della funzione attribuita al giudice dall’ordinamento in particolari casi, a causa della peculiarità del contesto giuridico»[187].
Ulteriori spunti di riflessione in ordine alla nozione di disponibilità del diritto sono giunti dalla disciplina dell’arbitrato societario in materia di controversie arbitrabili (d. lgs. 5/2003)[188]. Sul tema può richiamarsi il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi prima della riforma citata, che – nel tentativo di determinare il contenuto da attribuire alla nozione di disponibilità del diritto al fine di individuare le controversie societarie arbitrabili – affermava, in via di principio, la compromettibilità delle sole questioni coinvolgenti la posizione soggettiva dei soci e i loro interessi particolari, mentre escludeva l’arbitrabilità delle questioni relative ad una pluralità di centri di interesse, quali gli interessi della società nel suo complesso (intendendosi quindi anche le controversie relative alla violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci) nonché i diritti dei terzi[189]. In altri termini, si escludeva la compromettibilità della controversia, qualora il suo oggetto avesse potuto toccare interessi di natura generale.
In particolare, con riguardo all’impugnazione delle deliberazioni assembleari, l’elemento discriminante ai fini dell’arbitrabilità delle controversie era individuato nella natura della sanzione comminata dalla legge, propendendosi per la compromettibilità in arbitri delle controversie comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare ed escludendosi la compromettibilità delle controversie volte a dichiarare la nullità, in quanto tale sanzione costituirebbe già di per sé indizio sufficiente di non compromettibilità della controversia[190]. E’ questo un criterio – come da altri evidenziato – tutt’altro che certo, attesa la difficoltà, nella pratica, di distinguere se il vizio lamentato fosse riconducibile alla previsione dell’art. 2379 c.c. ovvero a quella dell’art. 2377 c.c.[191]. D’altro canto anche il criterio fondato sulla natura dell’interesse - generale o meno - toccato dalla deliberazione risultava essere un criterio assai sfumato e in definitiva poco affidabile[192].
Proprio in considerazione della difficoltà di delimitare l’ambito delle controversie societarie compromettibili con riferimento al requisito della disponibilità del diritto, la legge delega (l. n. 366/2001) aveva autorizzato il legislatore a prevedere che gli statuti sociali potessero contenere clausole compromissorie «anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile». E’ noto il dibattito sorto in dottrina, in seguito all’introduzione della disciplina dell’arbitrato societario, riguardo al fatto se la legge delega abbia avuto piena attuazione, consentendo quindi la compromettibilità in materia societaria di controversie relative anche a diritti indisponibili, ovvero se il legislatore delegato abbia disatteso l’indirizzo «liberista» del legislatore delegante, tenendo fermo, anche in questa materia, il requisito della disponibilità del diritto quale limite fondamentale alla compromettibilità in arbitri. Non essendo questa la sede per riproporre il dibattito dottrinale che ha accompagnato l’introduzione della riforma dell’arbitrato societario[193], ci si limiterà ad un richiamo del dato normativo vigente.
In particolare, l’art. 34 co. 1, prevede che possano essere devolute agli arbitri alcune o tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e le società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale (art. 34, co. 1)[194]. Richiamo alla disponibilità del diritto che non viene ribadito al comma 4 del medesimo articolo (la norma non specifica, a differenza di quanto fatto nel primo comma, se oggetto della controversia debba essere un diritto disponibile o meno), nella parte in cui prevede che siano altresì compromettibili le controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti (in quanto la clausola è vincolante per costoro a seguito dell’accettazione dell’incarico). Infine, non sono compromettibili le controversie nelle quali è previsto l’intervento obbligatorio del P.M. (art. 34, co. 5).
In questa prospettiva, al fine di individuare la soluzione più appagante, occorre sgombrare il campo dal problema preliminare della natura negoziale dell’arbitrato[195]. A tale proposito, non può essere condiviso il rilievo di chi ritiene che l’arbitrato, avendo matrice privata, non possa avere ad oggetto diritti indisponibili, in quanto le parti non potrebbero trasferire agli arbitri un potere del quale le stesse non dispongono. E invero, se non può non essere tenuto fermo il limite specifico posto dall’art. 34, co. 1, relativo alla compromettibilità delle controversie riguardanti i diritti disponibili tra soci e società, in quanto espressamente previsto, altrettanto non può dirsi per le altre due ipotesi (controversie tra amministratori, liquidatori e sindaci, nonché impugnazione delle delibere assembleari) contemplate dalla norma.
Se si dovesse tenere conto soltanto della ratio della riforma (e quindi dell’intento liberale manifestato nella legge delega) e del dato testuale, si dovrebbe concludere che il legislatore – non avendo posto alcun limite all’impugnabilità per via arbitrale delle delibere nonché alla compromettibilità delle controversie promosse da (o nei confronti) di amministratori , liquidatori e sindaci a prescindere dalla natura disponibile o meno del diritto (art. 34, comma 4) – abbia voluto escludere con riferimento a tali controversie il requisito della disponibilità del diritto quale limite per la compromettibilità della lite. In estrema sintesi potrebbe dirsi che il limite della disponibilità del diritto opererebbe soltanto con riferimento alle controversie tra soci e società mentre in tutti gli altri casi l’indisponibilità del diritto non assumerebbe alcuna rilevanza preclusiva circa l’arbitrabilità della controversia.
Peraltro, ad una più approfondita riflessione, il dato letterale può offrire ulteriori indicazioni rispetto a quelle suggerite da una prima lettura. Una prima riflessione può essere suggerita dallo stesso titolo dell’art. 34, relativo a «oggetto ed effetti delle clausole compromissorie statutarie». Più precisamente tale articolo considera le controversie tra soci e tra soci e società, tra società e amministratori, liquidatori e sindaci nonché individua, nel comma 5, come non compromettibili, le controversie nelle quali la legge prevede l’intervento obbligatorio del P.M. Il richiamo alle controversie relative alla validità delle delibere assembleari è contenuto negli artt. 35 e 36, che sono riferiti rispettivamente alla disciplina inderogabile del procedimento arbitrale e all’obbligo (per gli arbitri) di decidere secondo diritto.
Di qui una prima conclusione, nel senso che soltanto all’art. 34 è rimesso individuare l’oggetto delle controversie compromettibili, con l’ulteriore conseguenza per cui il limite della disponibilità vale per le controversie indicate nell’art. 34, co. 1, mentre tale limite non vale per le controversie di cui al comma 4. Quando si convenga su tale conclusione, ne discende che anche la previsione di cui all’art 34, co. 5, assume una funzione specifica – e non meramente ridondante e ripetitiva del principio contenuto nel comma 2 circa l’arbitrabilità delle sole controversie relative a diritti disponibili – consistente nell’ introdurre una valvola di sicurezza (la non arbitrabilità delle controversie in cui sia obbligatorio l’intervento del P.M.) nell’ambito delle controversie per le quali non opera più il vincolo della disponibilità (quelle del comma 4).
Ulteriore implicazione di quanto precede è che le delibere assembleari sono impugnabili – in sede arbitrale – nell’ambito dei limiti imposti dall’art. 34 e per le ipotesi in esso contemplate (controversie concernenti i rapporti fra soci, soci e società e quelle relative agli amministratori, sindaci e liquidatori)[196]. Il fatto che gli arbitri debbano decidere secondo diritto, qualora oggetto del loro giudizio sia l’impugnazione di deliberazioni assembleari, non significa pertanto che in tal caso gli arbitri decidano sempre su diritti indisponibili, o meglio a prescindere dal fatto che si tratti di diritti indisponibili, quanto e soprattutto che in tale ipotesi gli arbitri non possono decidere secondo equità[197].
Pertanto la ratio della scelta operata dal legislatore, con riferimento alla determinazione del criterio che gli arbitri devono adottare per decidere sulla validità delle deliberazioni assembleari, sta nel fatto che il criterio di giudizio «secondo diritto» – in questa materia – offre maggiori garanzie di certezza giuridica rispetto alla decisione secondo equità[198], ma non tocca la natura dei diritti oggetto di controversia, individuati rispettivamente nell’art. 34 co. 1 e 4, del d.lgs. n. 5/2003.
A questo punto occorre piuttosto domandarsi quale possa essere la ratio che porta a discriminare o a tenere distinte le controversie tra soci e tra soci e società (per le quali permane il limite della disponibilità del diritto) e quelle tra società e amministratori, liquidatori e sindaci, per le quali tale limite non opera. Volendo dare un senso pratico alla norma si può pensare che, probabilmente, con tale disciplina il legislatore ha voluto escludere dalla compromettibilità in arbitrato i soli diritti indisponibili dei soci e della società e sempre che la controversia intercorra tra tali soggetti. Tale esclusione si giustificherebbe in considerazione del fatto che in queste ipotesi più spesso può porsi un problema di disponibilità del diritto controverso[199] – o forse è meglio dire, che sovente sono sorti in sede applicativa dubbi circa l’arbitrabilità delle controversie relative a diritti indisponibili dei soci e della società[200] – e pertanto è plausibile ritenere che il legislatore sia stato prudente nel circoscrivere l’ambito di applicazione di tale eccezione.
Al contrario, con riferimento alle controversie societarie tra amministratori, liquidatori e sindaci, il carattere della controversia, generalmente di natura gestoria e pertanto in linea di massima relativo a materia compromettibile, ha portato il legislatore – in considerazione del favor che ispira la riforma in parte qua – a ritenere opportuno eliminare ogni incertezza circa l’arbitrabilità della controversia almeno in quel settore che appare maggiormente legato a controversie aventi ad oggetto diritti disponibili, facendo comunque salvo il limite della non compromettibilità delle controversie in cui è previsto l’intervento obbligatorio del P.M.[201].
Da ciò consegue che non possono esservi dubbi circa la compromettibilità delle controversie relative all’accertamento della responsabilità degli amministratori, sindaci e liquidatori, nonché all’impugnazione delle delibere assembleari relative alla composizione e al funzionamento di questi organi; così, ad esempio, sarebbero compromettibili tanto le delibere di revoca degli amministratori, quanto le delibere di revoca dei sindaci, nonostante per le seconde sia prevista l’approvazione da parte del tribunale. Tale circostanza importa solamente, come ovvio, che non è compromettibile il procedimento di revoca del sindaco, ma ciò non è condizione sufficiente per escludere la compromettibilità dell’impugnazione della deliberazione assembleare, da parte del revocato, una volta intervenuta l’approvazione giudiziale della revoca[202]. Discorso analogo deve farsi con riferimento all’impugnativa delle deliberazioni del consiglio di amministrazione[203]. Le considerazioni esposte non paiono estensibili, nella loro interezza, all’impugnative delle delibere assembleari, rispetto alle quali non sembra appagante ritenere le deliberazioni tutte indistintamente compromettibili[204].
Sul punto occorre un’ulteriore precisazione: il criterio di tutela dell’interesse generale coinvolto nella lite – inteso come interesse alla tutela dell’inderogabilità della norma – non può essere, infatti, ritenuto criterio idoneo per l’individuazione della compromettibilità o meno della controversia. Non si deve in altri termini cadere nell’equivoco di far coincidere la nozione di diritto indisponibile con quella di norma inderogabile, in modo da escludere la compromettibilità della controversia ogniqualvolta la stessa abbia ad oggetto la violazione di norme inderogabili poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi[205]. Proprio su tale confusione concettuale si basa la contraddittorietà degli orientamenti giurisprudenziali in tema di compromettibilità del giudizio di impugnazione della delibera assembleare di approvazione del bilancio[206].
A tal fine occorrerà valutare l’arbitrabilità o meno della controversia, muovendo dal presupposto che debbono ritenersi compromettibili tutte le controversie in cui le parti abbiano la disponibilità dell’azione, anche se manca loro la diretta disponibilità negoziale dei diritti sottostanti, come avviene appunto in gran parte delle controversie che abbiano ad oggetto la validità delle delibere assembleari[207]. In punto, può segnalarsi un recente orientamento di giudici di legittimità, secondo il quale l’autonomia delle parti si manifesta nell’arbitrato, non già (come è ovviamente possibile, e come avviene nell’arbitrato «contrattuale») come atto di disposizione del diritto, ma come atto incidente sull’esercizio del potere di azione che a quel diritto è connesso[208]. Ciò significa che se il criterio ora richiamato (disponibilità dell’azione), in base al quale determinare la compromettibilità della controversia, non pone alcun problema con riferimento alla compromettibilità delle delibere annullabili, con riferimento alle delibere nulle occorre compiere una specificazione. Il codice civile riformato disciplina tre ipotesi di nullità: mancata convocazione dell’assemblea; delibera con oggetto illecito o impossibile (sanabili se non fatte valere, da chiunque vi abbia interesse, entro tre anni dall’iscrizione o dal deposito della deliberazione presso il registro delle imprese ex art. 2379, co. 1); delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite (impugnabili senza limiti di tempo). Se nessun dubbio sorge con riferimento alla compromettibilità delle controversie relative alla mancata convocazione dell’assemblea qualche dubbio potrebbe sorgere con riferimento alle compromettibilità delle altre due ipotesi se si tenesse fermo il requisito della transigibilità come criterio discriminante circa la compromettibilità o meno della controversia. Più precisamente l’art. 1972 c.c., dettato in tema di transazione, potrebbe costituire argomento contro la compromettibilità della deliberazioni viziate da nullità per illiceità dell’oggetto (come noto l’articolo ora citato dispone che sia nulla la transazione relativa a un contratto illecito).
Ciò significa che – muovendo dal presupposto che si basa sulle indubbie differenze sussistenti tra l’arbitrato e la transazione – non troverà applicazione l’art. 1972 c.c. Il criterio di discrimine sarà dato dalla disponibilità o meno dell’azione relativa ai diritti sottostanti ad essa, occorrendo pertanto distinguere tra delibere illecite e delibere che modificano l’oggetto sociale rendendolo illecito. Nel primo caso, a differenza del secondo, si deve riconoscere la compromettibilità della controversia in considerazione del fatto che in tali ipotesi l’illiceità non dà vita ad una vera e propria ipotesi di nullità bensì di annullabilità, essendo previsto il termine di tre anni per far valere la «nullità» della delibera; nel secondo caso, invece, l’azione è indisponibile, potendosi far valere tale vizio senza limiti di tempo. Da quanto detto deve concludersi anche per la compromettibilità dell’impugnazione delle deliberazioni di approvazione del bilancio, in considerazione del fatto che l’art. 2434 bis c.c. prevede che i vizi della delibera devono essere denunciati entro la data di approvazione del bilancio successivo.
In conclusione, dal raffronto fra la nozione di arbitrabilità nelle controversie societarie in quelle di diritto comune, si ricava che la nozione della disponibilità del diritto non costituisce più – nel diritto societario – limite invalicabile per rendere la controversia arbitrabile. Tale soluzione suggerisce piuttosto (come avvenuto in altri paesi) l’esigenza di interventi diretti a garantire i requisiti di capacità professionale degli arbitri atteso che l’art. 812 c.p.c. disciplina, infatti, tali requisiti in sintonia ancora con la vecchia idea privatistica dell’arbitrato come equipollente della transazione, con la conseguenza che il lodo potrebbe essere frutto dell’opera «di un soggetto o di soggetti che poterebbero essere neppure diplomati o financo non alfabetizzati»[209].
Con riferimento alle ipotesi in esame, l’art. 806 prevede che le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. L’inciso finale contenuto nella norma ora citata non pone, a differenza di quanto si verifica con riferimento alla definizione della categoria della disponibilità del diritto, particolari problemi applicativi riguardo all’individuazione delle controversie escluse per legge dalla compromettibilità in arbitri. Sotto questo profilo è, infatti sufficiente limitarsi a «prendere atto» dei divieti già esistenti nelle leggi speciali.
Il problema che pone la norma non è tanto quello di individuare le fattispecie coperte dal divieto quanto piuttosto quello di valutare se la norma debba essere interpretata come previsione di uno strumento restrittivo dell’autonomia negoziale delle parti, consentendo l’introduzione di un limite ex lege alla compromettibilità dei diritti altrimenti disponibili, ovvero se semplicemente ribadisca il principio della incompromettibilità della controversia avente ad oggetto diritti dichiarati indisponibili per legge. In punto, l’interpretazione più persuasiva è che con tale previsione il legislatore abbia voluto vietare la scelta arbitrale per diritti altrimenti disponibili; un’interpretazione differente, che vietasse la compromettibilità ove le legge stessa preveda l’indisponibilità del diritto, si risolverebbe in una «superfetazione della indisponibilità ex lege»[210]. Sotto questo profilo si può osservare che l’imposizione da parte del legislatore di un limite alla compromettibilità delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili deve essere il frutto di un’attenta analisi e del contemperamento di due valori: la sovranità dello Stato nell’imporre il divieto di legge e il valore costituzionalmente riconosciuto dell’autonomia dei privati. Il criterio per valutare il giusto contemperamento delle due contrapposte esigenze potrebbe essere individuato nel principio di ragionevolezza, inteso nel senso che il limite all’autonomia negoziale delle parti è consentito laddove prevalgano motivazione di ragionevolezza che lo giustifichino[211].
Quanto poi alle singole ipotesi, non può che farsi rinvio alle leggi speciali, limitandosi in questa sede al mero richiamo delle fattispecie più comuni considerate dal legislatore. Più precisamente, in sede di attuazione della delega[212], il legislatore delegato ha innanzitutto escluso l’ammissibilità delle clausole compromissorie contenute negli atti costitutivi delle società[213] che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325 bis c.c.[214].
Con riferimento alle controversie che coinvolgono la pubblica amministrazione è ammesso il ricorso al rimedio dell’arbitrato. Più precisamente, nell’ambito delle controversie tra pubblica amministrazione e privato si può procedere alla stipulazione della convenzione arbitrale per le liti concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo[215].
A differenza del motivo in precedenza analizzato, l’art. 829 non prevede un onere di rilievo della relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale. In questa sede ci si limita ad anticipare che, alla luce delle soluzioni accolte anche in altri ordinamenti (infra nei seguenti paragrafi), la disciplina italiana mostra un evidente lacuna nelle ipotesi in cui il lodo abbia deciso su materia non compromettibile e, ciò nonostante, non sia stato oggetto di impugnazione o siano decorsi i relativi termini.
L’impugnazione del lodo che abbia pronunciato extrapetita è disciplinato al § 611 Abs. 2 Z. 3 öZPO. Più precisamente l’ipotesi in esame riguarda il caso in cui il lodo abbia pronunciato su un controversia per la quale la convenzione arbitrale non è valida (incompetenza totale, wenn der Schiedspruch eine Streitigkeit betrifft, für welche die Schiedsvereinbarung nicht gilt ), ovvero contenga una decisione che abbia pronunciato oltre il limite stabilito dalla convenzione arbitrale[216] o dalla domanda delle parti[217]. L’ultimo capoverso della norma consente la possibilità di annullamento parziale del lodo, nell’ipotesi in cui il vizio riguardi una parte «separabile» del lodo[218].
Ricadono nell’operatività della norma sia le ipotesi d’incompetenza totale degli arbitri (la controversia non era oggetto della convenzione di arbitrato) sia quelle di incompetenza parziale, in cui il lodo è pronunciato da arbitri competenti, ossia legittimati dalla sussistenza di una valida convenzione di arbitrato, ma ha oltrepassato i limiti della convenzione arbitrale e, infine, l’ipotesi di ultrapetita, ossia il caso in cui gli arbitri abbiano deciso su materia oggetto della convenzione di arbitrato, ma in assenza di domanda di parte. Come per la disciplina italiana, quindi, occorre distinguere l’ipotesi in cui il lodo abbia pronunciato oltre i limiti della convenzione arbitrale dall’ipotesi in cui il lodo abbia deciso oltre i limiti delle domande sottoposte agli arbitri, ma non abbia oltrepassato i confini della convenzione di arbitrato. In quest’ultimo caso (pronuncia oltre la domanda di parte), il lodo è annullabile qualora gli arbitri siano stati aditi solo per decidere su quella domanda; a mero titolo esemplificativo rientra nella fattispecie in esame e, pertanto, è annullabile il lodo che accerta il quantum del diritto se gli arbitri sono stati chiamati soltanto ad accertare l’an[219]. E’importante notare che nel caso in cui sia stata sottoposta agli arbitri una domanda di arbitrato che non sia coperta dalla convenzione arbitrale, il motivo di annullamento del lodo in esame potrà essere fatto valere unicamente se la controparte abbia tempestivamente eccepito l’esorbitanza della domanda dai limiti della convenzione di arbitrato. In difetto di tempestiva eccezione, alla parte è preclusa la possibilità di far valere il vizio in sede di impugnazione del lodo, a norma del § 592 Abs. 2 öZPO[220].
Al riguardo si deve segnalare l’opinione di chi ritiene che non rientrerebbe nell’operatività della norma l’ipotesi in cui gli arbitri abbiano deciso secondo equità senza essere stati a ciò autorizzati dalle parti[221]. Tale opinione trova il suo fondamento nella considerazione che, in tale ipotesi, la decisione rimane nell’ambito della domanda di parte, sebbene gli arbitri abbiano eventualmente pronunciato una decisione sbagliata nel merito. Conclusione che suscita talune perplessità perché sembra svuotare di significato la previsione contenuta nel § 603 Abs. 3 öZPO, che attribuisce agli arbitri il potere di decidere secondo equità unicamente nel caso in cui le parti abbiano loro conferito tale potere[222].
Il motivo in esame riguarda l’ipotesi in cui gli arbitri abbiano pronunciato al di fuori della loro potestas iudicandi. Ipotesi che ricorre, come espressamente disciplinato dalla lett. c del § 1059 Abs. 2 Nr. 1 dZPO, nel caso in cui gli arbitri decidano su una controversia che non è oggetto del compromesso o della clausola compromissoria di arbitrato ovvero su domande che esorbitano dalla convenzione di arbitrato (ultrapetita). In tale ultima ipotesi se la parte del lodo che decide su tali domande è separabile dal resto del lodo, il lodo può essere parzialmente annullato[223].
Il primo caso configura un’ipotesi di incompetenza totale degli arbitri; il secondo di incompetenza parziale[224]. Sotto questo profilo, si osserva che solo il lodo che pronuncia oltre i limiti della convenzione arbitrale rientra in questa disposizione; la disciplina tedesca, a differenza di quella italiana e austriaca, è lacunosa con riferimento alle ipotesi in cui il lodo [überschreitet es (das Schiedsgericht) zwar die Grenzen der Parteianträge] decida ultrapetita, ma non travalichi i limiti della convenzione arbitrale ovvero infra petita[225] (ipotesi quest’ultima disciplinata espressamente soltanto del diritto italiano). Secondo l’orientamento della dottrina prevalente l’ipotesi è da ricondurre al motivo individuato dallo stesso articolo alla lett. d), che prevede l’ impugnazione del lodo nel caso di violazione da parte degli arbitri di quanto statuito dalle parti nella convenzione[226].
L’eccezione di incompetenza in sede di impugnazione è preclusa ogni qual volta non sia stata tempestivamente proposta dalla parte nel corso del procedimento arbitrale (§ 1040 Abs. 2 dZPO) ovvero nell’ipotesi in cui gli arbitri abbiano affermato la propria competenza e il lodo non sia stato impugnato davanti al giudice ordinario (§ 1040 Abs. 3 dZPO)[227].
Il motivo di impugnazione in esame è stato modificato dalla riforma del 2006, in quanto delle tre ipotesi originariamente previste dall’art. 829 è rimasta in vigore soltanto quella relativa al «lodo pronunciato fuori dai limiti della convenzione”; le altre due ipotesi sono autonomamente considerate con riferimento al lodo che «contiene disposizioni contraddittorie» (art. 829, co.1, n. 11, c.p.c.), e al «lodo che non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalla parti in conformità alla convenzione di arbitrato» (art. 829, n. 12)[228]; ipotesi integrate con l’ulteriore previsione di impugnabilità del lodo quando sia stato «deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso».
Con riguardo al vizio di extrapetizione o ultrapetizione[229], occorre distinguere l’ipotesi in cui il lodo abbia pronunciato oltre i limiti della convenzione arbitrale dall’ipotesi in cui il lodo abbia deciso oltre i limiti delle domande sottoposte agli arbitri, ma non abbia oltrepassato i confini della convenzione di arbitrato[230]. Il primo motivo disciplinato dall’art. 829, co. 1, n. 4, riguarda l’ipotesi in cui il lodo contenga una pronuncia esorbitante i limiti della convenzione di arbitrato[231]. Il lodo che abbia tale contenuto può essere pronunciato sia in seguito alla domanda di una delle parti che – come si ricava dal richiamo all’art. 817, co. 3 (e non 4, a cui fa erroneamente rinvio l’art. 829, co.1, n. 4) – formuli conclusioni esorbitanti dall’ambito oggettivo della convenzione di arbitrato sia ogniqualvolta l’arbitro decida sulla controversia che non rientra nell’ambito della convenzione di arbitrato in assenza di domanda di parte.
Le due ipotesi si differenziano riguardo alla modalità di rilievo del vizio. Nel caso in cui una delle parti formuli delle conclusioni esorbitanti dall’ambito oggettivo della convenzione di arbitrato (art. 829, co.1, n. 4), il vizio può essere fatto valere in sede d’impugnazione per nullità sempre che la relativa eccezione sia stata sollevata nel corso del procedimento arbitrale, così come si ricava dal rinvio operato dalla norma all’art. 817, co. 3[232]. Nel caso in cui gli arbitri pronuncino d’ufficio su domande escluse dall’ambito della convenzione di arbitrato l’onere di previa eccezione, come ovvio, non può valere, in quanto le parti vengono a conoscenza del vizio soltanto in seguito alla pronuncia del lodo[233].
Al fine di valutare se una controversia rientri o esorbiti dall’ambito oggettivo della convenzione d’arbitrato, gli arbitri sono tenuti a interpretare la convenzione[234] alla luce della regola sancita, oggi, dall’art. 808 quater c.p.c., che positivizza il principio dell’interpretazione estensiva del patto compromissorio[235]. Assume, pertanto, rilevanza anche il comportamento tenuto dalle parti nel corso del giudizio arbitrale[236].
Non vi è dubbio, infatti, che se le parti propongono concordemente domande originariamente escluse dall’accordo compromissorio ovvero nel caso in cui la parte non eccepisca che le conclusioni della controparte eccedono i limiti della convenzione di arbitrato, si avrà un ampliamento implicito della stessa. Sotto questo profilo il quesito che ci si deve porre riguarda la qualificazione degli effetti riconducibili al comportamento delle parti, e quindi la possibilità di attribuire a tale comportamento effetti sostanziali oppure meramente processuali, configurando in esso un’ipotesi di compromesso tacito nel primo caso (quindi una modifica o integrazione del compromesso originario) ovvero, nel secondo caso, «un allargamento implicito della convenzione di arbitrato ai soli fini endoprocessuali»[237]. Soluzione quest’ultima che appare preferibile per le stesse ragioni a suo tempo espresse con riferimento all’efficacia dell’omesso rilievo dell’eccezione di incompetenza degli arbitri, disciplinata dall’art. 817, co. 1[238]. Ragioni fondamentalmente riconducibili alla ratio perseguita dal legislatore della riforma con riguardo all’impugnabilità del lodo e che ispirano le preclusioni individuate dall’art. 829 c.p.c. Le restrizioni del potere delle parti di far valere il vizio in sede di impugnazione, subordinate all’esercizio della relativa eccezione in un arco di tempo ristretto nel corso del giudizio arbitrale, sono volte ad evitare che le parti possano «riservarsi» un motivo di impugnazione. Pertanto la ratio non è soltanto quella di limitare il controllo dello Stato ma anche quella di accrescere la stabilità del lodo; scopo perseguito dal legislatore restringendo l’accesso all’impugnazione per talune categorie di vizi. Di qui, la conclusione per cui alle preclusioni di cui all’art. 829 c.p.c. può essere riconosciuta unicamente una valenza endoprocessuale[239] individuabile nella non spendibilità del vizio in sede di impugnazione e, conseguentemente, nella sua sanatoria[240].
Come in precedenza accennato il vizio relativo alla pronuncia esuberante rispetto ai limiti oggettivi della convenzione di arbitrato può essere fatto valere in sede di impugnazione per nullità a patto che la relativa eccezione sia stata sollevata nel corso del procedimento arbitrale, così come si ricava dal rinvio operato dalla norma all’art. 817, co. 4, c.p.c.[241] . La norma, a proposito delle modalità del rilievo, non contiene un’indicazione esplicita del limite temporale entro il quale la parte è tenuta a sollevare l’eccezione di esorbitanza delle conclusioni delle altre parti dall’ambito oggettivo della convenzione di arbitrato. Nel silenzio, si deve ritenere applicabile il principio generale che impone l’onere della tempestività dell’eccezione ogniqualvolta si verifica un’ipotesi di invalidità del procedimento arbitrale (art. 829, co. 2, c.p.c.). Principio che, per le ragioni in precedenza espresse, trova applicazione per quei vizi per i quali il legislatore prevede un onere di rilievo nel corso del giudizio arbitrale, attribuendo così al secondo comma dell’art. 829 il compito di specificare il momento preclusivo di tale rilievo; momento che la disposizione citata individua nella prima difesa o istanza utile. Da ciò consegue che nel caso in esame l’eccezione dovrà essere sollevata nella prima difesa successiva «alla formazione delle conclusioni esorbitanti»[242]. Sempre a norma dell’art. 829, co. 2, c.p.c., non può impugnare il lodo la parte che ha dato causa al motivo di nullità[243].
Per quanto riguarda l’altro vizio considerato dall’arrt. 829, co. 1, n. 4 c.p.c., relativo all’errata pronuncia sul merito, occorre ricordare che, prima della riforma si distingueva, con riguardo al vizio di extrapetizione, fra pronuncia su domanda di parte esorbitante dal compromesso e pronuncia arbitrale oltre i limiti delle stesse domande sottoposte agli arbitri. Il profilo di nullità legato alla domanda di parte esorbitante dalla convenzione di arbitrato può ritenersi assorbito nel primo motivo mentre il secondo aspetto, legato all’eccesso di potere degli arbitri, rientra oggi nel secondo motivo individuato dal n. 4 dell’art. 829 (vizio che non può essere sanato dal comportamento delle parti, atteso che si manifesta nella pronuncia degli arbitri)[244].
Giova precisare che prima della riforma del 2006, si facevano rientrare nel motivo individuato dalla prima parte del n. 4 (pronuncia esorbitante dai limiti della convenzione di arbitrato) le ipotesi di c.d. «eccesso di potere» degli arbitri, fondamentalmente individuate non solo nel caso in cui gli arbitri avessero deciso sulla domanda proposta da una delle parti esorbitante i limiti della convenzione, ma anche nel caso in cui l’eccesso di potere si fosse concretizzato nell’errore degli arbitri che – incaricati di decidere secondo equità – avessero deciso secondo diritto; ovvero avessero deciso «su un giudizio instaurato tardivamente, cioè proposto dopo la scadenza di un termine posto a pena di decadenza (perché esso integrerebbe una pronuncia emessa fuori dei limiti del compromesso)»[245]. Ipotesi, questa, che in seguito alla riforma meglio si attaglia alla formulazione del secondo motivo indicato dal n. 4 dell’articolo, 829, co., 1, c.p.c., ossia al caso di erronea pronuncia del lodo nel merito anziché di rito.
In assenza di specifiche indicazioni normative, è opinione condivisa che debbano essere ricondotte nel motivo del vizio di errata pronuncia nel merito tutte le ipotesi in cui gli arbitri abbiano omesso di rilevare la sussistenza di questioni processuali impedienti, diverse da quelle considerate in modo esplicito da questo o da altro numero del primo comma dell’art. 829[246]. Si riconducono, pertanto, al vizio in esame «il difetto di legittimazione processuale o di interesse ad agire, la mancata partecipazione al giudizio di tutti i litisconsorti necessari»[247] «il difetto di giurisdizione o l’assenza di un presupposto processuale»[248]. Considerato che la norma ha una portata residuale – essendo il lodo impugnabile per nullità quando «ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso» – deve ritenersi estraneo alla fattispecie il motivo di impugnazione del lodo per incompetenza degli arbitri da farsi valere con il n. 1 dell’art. 829, co.1 c.p.c. Rientrano, invece, nella fattispecie considerata il lodo deciso dagli arbitri in diritto anziché – come espressamente richiesto dalle parti – secondo equità nonché le altre ipotesi in cui si suole ravvisare un eccesso di potere degli arbitri.
Il raffronto fra la disciplina italiana e quella austriaca e tedesca del vizio in esame, induce a concludere per una sostanziale assimilazione delle fattispecie ricomprese nell’ambito dell’operatività del vizio in esame con riguardo a quella italiana e austriaca, mentre la legislazione tedesca presenta maggiore lacunosità. Per quanto riguarda specificamente la previsione del vizio di errata pronuncia nel merito, presente soltanto nella disciplina italiana, può dirsi che la mancanza di tale previsione nell’ordinamento austriaco e tedesco risulta – sul piano applicativo – potenzialmente superata quando si consideri che l’occorrenza di tale vizio può ritenersi, comunque, motivo di annullamento del lodo riconducibile alla più ampia categoria delle violazioni dell’ordine pubblico processuale, disciplinata nel codice di rito austriaco al § 611 Abs. 2 Z. 5 öZPO e in quello tedesco al § 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. d dZPO (v. infra nel testo).
A questo punto possono esaminarsi i vizi del lodo che portano ad una pronuncia rescindente assimilabile alla pronuncia della cassazione con rinvio restitutorio, ipotesi che si verifica quando la Corte d’Appello annulla il lodo perchè viziato per violazione delle norme del procedimento di nomina ovvero di quelle dettate in tema di incapacità degli arbitri (art. 829, co. 1, nn. 2,3, c.p.c.), ovvero ancora per mancata decisione nel merito della controversia pur dovendo il merito della controversia essere deciso dagli arbitri (art 829, co. 1, n. 10, c.p.c.). Fermo restando che, in seguito alla pronuncia di annullamento, la controversia dovrà essere decisa dagli arbitri; è pacifico che nelle prime due ipotesi, il collegio arbitrale dovrà essere nuovamente nominato; nell’ultimo caso la questione non è di immediata soluzione, in quanto l’individuazione del collegio arbitrale (vecchio o di nuova costituzione) dipenderà dal motivo che ha determinato gli arbitri a non decidere nel merito la controversia. All’analisi della disciplina italiana può utilmente anteporsi un rinvio alla disciplina austriaca e tedesca.
a) Il vizio relativo alla composizione e costituzione del collegio arbitrale.
Il motivo di cui al § 611 Abs. 2 Z. 4 öZPO riguarda l’ipotesi di costituzione (Bildung) e di composizione (Zusammensetzung) del collegio arbitrale in violazione delle norme di legge ovvero delle disposizioni concordate dalle parti a tal fine. La formulazione della norma risponde all’esigenza di chiarire che il motivo disciplinato al § 611 Abs. 2 Z. 4 öZPO riguarda non solo la mera costituzione del collegio arbitrale, o meglio, il procedimento per la formazione del collegio arbitrale (Bestellung der Schiedsrichter) ma anche il risultato della stessa, ossia la sua composizione (Zusammensetzung des Schiedsgerichts). Soluzione questa coerente con l’impostazione della legge che, nell’ambito del capo[249] dedicato alla disciplina della formazione del collegio arbitrale, menziona specificamente i criteri ai quali devono attenersi le parti per la sua composizione (§ 586 öZPO)[250]. In punto giova sottolineare che, sotto questo profilo, la disciplina austriaca è stata segnata da una modifica di indubbio rilievo. Il previgente § 591 öZPO in combinato disposto con i §§ 583 e 584 öZPO, con riferimento alla composizione del collegio, lasciava le parti libere di decidere il numero e le modalità di nomina degli arbitri. A seguito della riforma del 2006 la composizione del collegio, invece, può essere determinata facendo ricorso a un criterio legale che può risultare difforme dalla volontà manifestata dalle parti nella convenzione di arbitrato. A norma del § 586 Abs 1 öZPO le parti possono concordare liberamente il numero degli arbitri, ma se hanno indicato un numero pari di arbitri questi devono nominare un altro arbitro quale presidente. Nel caso in cui le parti non abbiano concordato nient’altro gli arbitri sono in numero di tre (Abs. 2). La norma nel contemplare, quale motivo di annullamento del lodo, il vizio relativo alla composizione del collegio arbitrale si differenzia da quanto previsto dalla disciplina tedesca che, come si vedrà più avanti, si riferisce unicamente alla costituzione (Bildung) del collegio arbitrale (§ 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. d dZPO e, che fa propria la soluzione accolta nell’art. 34, co. 2, lett. a (iv) della Legge Modello)[251]. Nel diritto tedesco manca, infatti, una norma come quella individuata nel primo capo della norma in precedenza citata con riferimento al vizio del lodo per violazione delle norme sulla composizione del collegio arbitrale (§ 586 Abs. 1 öZPO) mentre il § 1034 Abs. 1 dZPO corrisponde al secondo capo del § 586 öZPO.
Non è necessario, ai fini della configurazione del motivo di impugnazione del lodo in esame, che il vizio di costituzione del collegio si ripercuota sull’esito del procedimento[252], perché la ragione della regola sta nel diritto delle parti a vedere la controversia decisa da un collegio arbitrale costituito o composto secondo i criteri di legge o i criteri dalle stesse concordati[253]. La norma tiene conto del fatto che, sotto il profilo pratico, sarebbe difficile dimostrare che un collegio arbitrale correttamente costituito e composto secondo i criteri di legge o concordati dalle parti avrebbe deciso diversamente da quanto statuito dal collegio arbitrale illegittimamente formato[254]. Anche sotto questo aspetto la disciplina austriaca si distingue da quella tedesca che, al contrario, richiede ai fini dell’annullamento del lodo per il medesimo motivo la sussistenza di una potentielle Kausalität, nel presupposto che la violazione delle regole per la costituzione del collegio arbitrale possa ripercuotersi sul lodo viziandolo[255].
Nell’ambito della disposizione in esame ricade l’ipotesi in cui alla deliberazione del lodo abbia preso parte un arbitro nei confronti del quale è stata accolta l’istanza di ricusazione[256]. Oggi bisogna distinguere l’ipotesi in cui l’istanza di ricusazione sia stata accolta da quella in cui sia stata rigettata. Il caso previsto dal previgente § 595 Abs. 1 Z. 4 öZPO, riguardante l’ipotesi in cui il collegio arbitrale abbia ingiustamente rigettato la domanda di ricusazione di un arbitro, è diventato un procedimento a sé stante disciplinato al § 589 öZPO. Sotto questo profilo giova ricordare che la parzialità o l’esclusione (Ausgeschlossenheit) di un arbitro non possono più essere fatte valere qualora sia decorso il termine previsto dal § 589 öZPO[257] senza che sia stato iniziato il procedimento per chiedere la ricusazione dell’arbitro ovvero nell’ipotesi in cui il collegio arbitrale abbia rigettato l’istanza di ricusazione dell’arbitro e il provvedimento non sia stato impugnato davanti al Tribunale[258]. Diversamente si potrebbe procedere all’annullamento del lodo soltanto qualora la causa di ricusazione sia stata conoscibile dopo la pronuncia a norma del § 611 Abs. 2 Z. 4 öZPO[259] ovvero nella diversa ipotesi, ricavabile dal § 589 Abs. 3 öZPO, in cui gli arbitri abbiano pronunciato il lodo al quale abbia preso parte l’arbitro successivamente ricusato, in pendenza del giudizio di ricusazione positivamente deciso dal giudice ordinario. Deve, infatti, trattarsi di un vizio che non è stato possibile rilevare tempestivamente nel corso del procedimento arbitrale, perché altrimenti la possibilità di spendere quel vizio in sede di impugnazione sarebbe preclusa a norma del § 579 öZPO.
b) Altre ipotesi: la deliberazione del lodo.
Il § 611 Abs. 2 Z. 4 öZPO non contempla più, a differenza della disciplina previgente (§ 595 Abs 1 Z. 3) fra i motivi di annullamento del lodo, l’ipotesi della violazione delle norme relative alla deliberazione del lodo (Beschlussfassung) e alla sua sottoscrizione[260]. Da ciò consegue, secondo alcuni[261], che i vizi relativi alla deliberazione del lodo o alla sua redazione[262] (Entstehung des Schiedsspruchs) possano farsi valere, oggi, quali ipotesi di contrarietà del procedimento arbitrale ai principi fondamentali dell’ordinamento austriaco (contrarietà all’ordine pubblico), mentre, secondo altri, tali vizi non possono essere di per sé causa di annullamento del lodo, ma possono (indirettamente) soddisfare i requisiti di un motivo di impugnazione, soltanto se si ripercuotono sul lodo viziandolo per un motivo per il quale il lodo soggiace all’impugnazione[263].
c) (Segue) La mancata sottoscrizione del lodo.
A seguito della nuova formulazione della norma, che a differenza di quanto previsto dalla previgente disposizione (§ 595 Abs. 1 Z. 3 öZPO), non contempla più fra i motivi di annullamento del lodo il mancato rispetto delle norme per la sottoscrizione del lodo, si esclude che possa essere richiesto l’annullamento del lodo nel caso in cui l’originale o la copia del lodo non contenga tutte le sottoscrizioni necessarie (die Ausfertigung für die Parteien nicht alle notwendigen Unterschriften trägt)[264]. In tal caso si ritiene che il lodo debba essere qualificato come lodo inesistente e, quindi, sia ammissibile la proposizione dell’azione di accertamento dell’inesistenza del lodo (was zur Feststellung seines Nichtbestehens führen kann) a norma del § 612 öZPO[265].
d) ipotesi applicative.
Con riferimento alle fattispecie concrete di applicazione della norma, si esclude che vi rientrino le ipotesi in cui abbia preso parte alla pronuncia del lodo un arbitro incapace o un «non arbitro» («Nichtschiedsrichter»), perché il motivo individuato al § 606 Abs. 2 Z. 4 öZPO riguarda soltanto il caso in cui il lodo sia stato pronunciato da arbitri capaci (geschäftsfähige Schiedsrichter). Nell’ipotesi ora richiamate, si configura un’ipotesi di lodo inesistente e pertanto l’impugnazione per nullità è da ritenersi inammissibile[266]. Nel caso in cui il lodo sia reso da collegio di cui uno dei componenti sia incapace, si ritiene di poter far ricorso al motivo individuato dal numero 5 del § 611 öZPO (contrarietà all’ordine pubblico, in punto infra nel testo), in modo da consentire che qualora una parte, per esempio, volesse riconoscere il lodo all’estero, la controparte abbia subito la possibilità di impugnare per nullità il lodo, disponendo così di uno strumento utile per ritardare il riconoscimento del lodo (art. V della Convenzione di New York)[267].
Infine, non rientrano nell’ipotesi in esame le ipotesi sia di invalidità del contratto degli arbitri[268] sia di assunzione della carica di arbitro da parte di un giudice ordinario[269]; in quest’ultimo caso si profila un’ipotesi di violazione delle norme che regolano il pubblico impiego, la cui inosservanza non comporta alcun vizio del procedimento arbitrale. E’, inoltre, da escludere l’ammissibilità dell’impugnazione del lodo per nullità per difetto in capo all’arbitro di specifiche qualità richieste dalle parti, pur nell’ipotesi in cui fossero state espressamente indicate nella convenzione di arbitrato, qualora la mancanza di tali qualità fosse conosciuta al momento della scelta dell’arbitro[270]. In questa ipotesi, come in precedenza ricordato, a norma del § 579 öZPO il rilievo deve essere tempestivamente sollevato nel corso del procedimento arbitrale altrimenti è preclusa la spendibilità del vizio come motivo di impugnazione del lodo.
La norma di riferimento è individuata nel §1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. d dZPO, ove è disciplinata l’ipotesi di annullamento del lodo nell’ipotesi in cui la costituzione del collegio arbitrale o il procedimento arbitrale si sia svolto in violazione delle norme individuate nel libro decimo della dZPO o di un (efficace) accordo intercorso fra le parti. La norma copre quindi sia i vizi della costituzione sia i vizi che si verificano nello svolgimento del processo arbitrale. Si tratta di vizi del procedimento diversi da quelli coperti dagli altri motivi di impugnazione (§ 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. a – lit. c) e che si possono definire bloß «schlichte» Mängel (vizi sanabili e di potenziale «influsso» sul merito del lodo), quando non riguardano violazioni dell’ordine pubblico processuale[271]. E’ importante sottolineare che, se da un lato la formulazione della norma possa apparire ad ampio spettro, consentendo di ricomprendere il nucleo centrale delle ipotesi del procedimento inammissibile disciplinate nel previgente § 1041 dZPO, alcune tipologie di vizio esigono il rispetto di un determinato comportamento processuale, in difetto del quale è precluso alla parte il rilievo del relativo vizio[272]. Si pensi a titolo esemplificativo all’ipotesi in cui la parte voglia far valere il vizio del lodo conseguente al maggior peso (Übergewicht) attribuito dalla convenzione di arbitrato alla controparte ai fini della composizione del collegio arbitrale[273]; come anche all’ipotesi in cui la parte voglia far valere la nullità del lodo per cessazione dell’arbitro dal suo ufficio[274].
Sotto questo profilo assume un ruolo determinante la previsione contenuta nel § 1027 dZPO , per la quale la violazione delle norme sulla formazione del collegio arbitrale non può essere fatte valere se la parte non ha sfruttato le possibilità messe a sua disposizione al fine di «corregere» il vizio[275]. Fra i vizi di costituzione del collegio rientrano sia l’ipotesi in cui abbia partecipato alla decisione del lodo un arbitro nei cui confronti sussistano motivi di parzialità o di esclusione (Ausschließungsgründe), che non costituiscono motivi di ricusazione[276] sia l’ipotesi in cui l’arbitro abbia partecipato alla decisione ancorché sia stata accolta l’istanza di ricusazione[277] sia, in via più in generale, l’ipotesi in cui concorra nella deliberazione del lodo un arbitro non nominato dalle parti[278] (il riferimento è al caso in cui il lodo sia redatto dal segretario del procedimento arbitrale in assenza di qualsiasi autorizzazione delle parti e gli arbitri si siano limitati a sottoscrivere il lodo[279]).
Non rientrano nell’ipotesi in esame, come già osservato per la disciplina austriaca, sia le ipotesi l’esercizio della carica di arbitro da parte di un giudice ordinario sia l’ipotesi di incapacità dell’arbitro. Nel primo caso si profila un’ipotesi di violazione delle norme che regolano il pubblico impiego, la cui inosservanza non comporta alcun vizio del procedimento arbitrale; nel secondo caso manca proprio la Gerichtsqualität[280].
Rientra, invece, nella seconda ipotesi disciplinata dalla norma, il motivo di annullamento del lodo per vizi del procedimento arbitrale, quali il caso in cui l’arbitro abbia omesso di pronunciare su una domanda delle parti ovvero abbia ammesso il giuramento (ammissibile solo davanti al giudice ordinario) del testimone davanti agli arbitri[281]; l’ipotesi di decisione del lodo assunta in assenza del concorso di un arbitro prima che le parti siano state informate (ex § 1052 Abs. 2)[282]; o anche l’ipotesi in cui gli arbitri abbiano deciso secondo equità senza essere stati autorizzati dalle parti[283] (ipotesi che forse potrebbe rientrare anche nella lett. c della medesima disposizione).
Non può attraverso questo motivo essere fatta valere l’ingiustizia di una sentenza nel merito, non è ammessa la possibilità di ridecidere nel merito la controversia[284]. Nell’ipotesi in cui il vizio sia stato sanato nel procedimento, non potrà essere fatto valere come motivo di annullamento del lodo[285].
A differenza di quanto previsto dalla disciplina austriaca, l’impugnazione del lodo per questo motivo è ammissibile soltanto quando la violazione delle norme per la costituzione del collegio arbitrale o del procedimento di nomina degli arbitri si rifletta sul lodo viziandolo[286].
La disciplina del motivo in esame, rimasta sostanzialmente invariata a seguito della riforma del 2006, riguarda la nullità del lodo nel caso di violazione delle forme e dei modi di nomina prescritti dalla legge (nei capi II e VI della disciplina dell’arbitrato[287]), sempre che la relativa eccezione sia stata sollevata nel giudizio arbitrale. La norma pone due diversi ordini di questioni.
Il primo relativo all’individuazione delle ipotesi di illegittimità della nomina degli arbitri riconducibili all’ambito applicativo dell’art. 829, co. 1, n. 2, c.p.c. (atteso l’ampio rinvio alla violazione delle norme contenute nei capi II e VI e il venir meno del richiamo al capo I); il secondo riguarda le modalità di rilievo del vizio nel corso del procedimento arbitrale, in particolare con riguardo al termine entro il quale sollevare l’eccezione.
Per quanto riguarda i vizi di nomina degli arbitri, si può muovere dalla constatazione per cui – a seguito della riforma – è venuto meno il richiamo ai vizi di nomina collegati alla convenzione di arbitrato, mentre è stato inserito il richiamo al capo VI, avente ad oggetto l’arbitrato amministrato[288]. Il risultato è una trattazione separata per capi della disciplina relativa alla convenzione arbitrale (capo I) e agli arbitri (capo II), alla quale corrisponde un’altrettanto distinta collocazione dei motivi di impugnazione del lodo, facente capo – l’una – alle ipotesi di invalidità della convenzione di arbitrato (art. 829, co.1., n. 1; sul punto cfr. quanto osservato supra par. 1 ss.) e – l’altra – alla violazione delle forme e dei modi di nomina degli arbitri previsti dalle parti o dai regolamenti degli arbitrati amministrati. Di qui la necessità di distinguere le ipotesi in cui la violazione del procedimento di nomina colpisca, viziandola, la convenzione di arbitrato dalle ipotesi in cui la violazione riguardi più semplicemente il rispetto dei criteri di nomina degli arbitri adottati dalle parti o dal regolamento precostituito ovvero la regolarità nel procedimento di nomina o sostituzione dell’arbitro da parte del giudice ordinario[289].
Con riguardo al profilo relativo alla violazione del procedimento di nomina indicato nella convenzione di arbitrato, appare condivisibile la soluzione [290], che distingue l’ipotesi in cui i criteri di nomina siano conformi ai disposti inderogabili di legge (quanto al numero e alle modalità di nomina) e, ciò nondimeno le parti, in sede di attuazione, abbiano disatteso tali criteri, dall’opposta ipotesi in cui la violazione delle regole in tema di nomina degli arbitri sia effetto dell’applicazione di una convenzione che preveda criteri viziati ab origine[291]. In quest’ultimo caso la violazione deve ritenersi riconducibile al caso disciplinato dall’art. 829, co. 1, n. 1, c.p.c., invece che, come nel primo caso, nel motivo individuato al n. 2 dello stesso articolo. Ne consegue, a titolo esemplificativo, che sono riconducibili ai vizi della convenzione di arbitrato – per difetto dell’essenziale requisito (di ordine pubblico) dell’imparzialità degli arbitri – le ipotesi in cui la clausola sia stata formulata in termini tali da comportare necessariamente l’impossibilità di costituzione di un giudice imparziale[292] ovvero la violazione del principio della paritaria partecipazione di tutte le parti alla nomina degli arbitri[293] o ancora l’impossibilità tout court di nomina degli arbitri[294]. In tali casi, infatti, il vizio attiene non tanto alla violazione delle forme o dei modi di nomina degli arbitri quanto piuttosto a un profilo che rende invalida la convenzione di arbitrato, viziata nel suo contenuto dalla presenza di clausole che prevedono un criterio per la nomina contrario ai principi di legge[295].
Rientrano, invece, nell’ambito applicativo della norma in esame i vizi relativi a violazioni delle forme e modalità di nomina degli arbitri attribuibili alle parti o individuati nei regolamenti degli arbitrati amministrati, come anche le irregolarità della nomina attribuibili all’autorità giudiziaria[296]. In particolare, in quest’ultimo caso, ci si riferisce alle irregolarità[297], che si possono verificare nell’ambito dei procedimenti «sussidiari» di nomina dell’arbitro (art. 810, co. 2, c.p.c.) o di sua sostituzione (artt. 811 e 813 c.p.c.) di competenza del giudice ordinario[298].
In via conclusiva deve ritenersi che qualora i criteri di nomina siano conformi alle disposizioni inderogabili di legge (quanto al numero e alle modalità di nomina) e ciò nondimeno gli stessi siano stati disattesi dalle parti in sede di applicazione, la violazione sarà denunciabile con il motivo individuato dell’art. 829, n. 2; qualora, invece, la violazione dei principi in tema di nomina degli arbitri derivi dall’attuazione della convenzione che prevede un criterio viziato ab origine, il motivo di nullità del lodo sarà quello individuato dall’art. 829, n. 1.
Distinzione, la cui importanza sotto il profilo pratico è di molto ridotta, atteso che a seguito della riforma del 2006, in entrambi i casi, la spendibilità del vizio in sede di impugnazione del lodo per nullità è subordinata all’avvenuto rilievo dell’eccezione nel corso del giudizio arbitrale, con l’unica distinzione legata all’individuazione del momento preclusivo entro il quale sollevare l’eccezione nel procedimento arbitrale. Proprio riguardo a quest’ultimo rilievo, la norma in esame (art. 829, co.1, n. 2) si limita a subordinare la possibilità di denunciare il vizio di illegittimità del procedimento di nomina degli arbitri, in sede di impugnazione del lodo per nullità, al fatto che la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale. Nulla si dice, peraltro, circa il momento del giudizio arbitrale entro il quale la parte deve sollevare la relativa eccezione. Al fine di individuare il momento preclusivo dell’eccezione, la norma di riferimento non può non essere l’art. 817, co. 1 e 2, dal cui contenuto si evince che nel caso in cui sorga una contestazione riguardo «alla validità, contenuto e ampiezza della convenzione di arbitrato o alla regolare costituzione degli arbitri», questi decidono della loro competenza sia che la contestazione sia sorta nel corso del giudizio arbitrale sia che i poteri degli arbitri siano contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel procedimento. Pertanto, sotto questo profilo, ossia riguardo all’attribuzione agli arbitri del potere di decidere della propria competenza, si deve concludere che i vizi della convenzione di arbitrato sono assimilati al vizio relativo alla regolare costituzione degli arbitri.
Con riferimento, invece, al termine preclusivo entro il quale sollevare la relativa eccezione, l’art. 817, co. 2, al secondo cpv., c.p.c. sembra operare una distinzione tra le due tipologie di vizio, individuando la barriera preclusiva – solo con riferimento all’incompetenza degli arbitri per «inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato» – nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri. Manca invece un’indicazione espressa in merito ai vizi relativi alla regolare costituzione degli arbitri[299].
Al riguardo, vi è chi ritiene che, nonostante il tenore letterale dell’art. 817, co. 2, «un simile onere di eccezione sussista in relazione a tutte le ipotesi di incompetenza contemplate dal co.1 dell’art. 817», ivi comprese, dunque, anche quelle derivanti da vizi di costituzione degli arbitri. La ragione per giungere a tale conclusione si deve ravvisare principalmente nel fatto che il vizio in esame – non investendo il profilo relativo alla manifestazione della volontà compromissoria delle parti, ma riguardando solo l’investitura del singolo collegio – si riferirebbe a vizi «indubbiamente meno gravi di quelli relativi all’esistenza, validità ed efficacia dell’accordo compromissorio, onde risulterebbe difficilmente giustificabile la loro sottrazione al regime preclusivo stabilito per questi ultimi»[300].
L’interpretazione restrittiva qui prospettata non pare – almeno nella sua radicale conclusione – condivisibile. In punto, sembra preferibile individuare il limite temporale entro il quale far valere il vizio relativo all’irregolare costituzione del collegio arbitrale con riguardo all’indicazione contenuta nell’art. 829, co. 1, n. 2. In tal senso milita, innanzitutto, il dato testuale dell’art. 817 c.p.c. che non individua il termine entro il quale rilevare l’eccezione in esame, a differenza di quanto avviene con riguardo al limite temporale entro il quale far valere il vizio della convenzione arbitrale. Questa conclusione trova conferma proprio nella disposizione relativa all’impugnazione per nullità del lodo rituale per vizi della convenzione di arbitrato, che espressamente rinvia all’art. 817, co. 3[301] (art. 829, co.1, n.1); rinvio che manca invece nella disciplina dell’ipotesi di nullità del lodo per vizi di nomina degli arbitri, per la quale il legislatore si limita a prevedere che il vizio sia spendibile in sede di impugnazione del lodo «purchè la nullità sia stata dedotta nel corso del procedimento arbitrale»(art. 829, co. 1, n. 2). Tale diversità di soluzioni normative si spiega inoltre con il fatto che i vizi di forma e dei modi prescritti per la nomina possono insorgere nel corso del procedimento (si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi di sostituzione dell’arbitro). E’ ragionevole pensare che, data la differente tipologia di ipotesi di nullità per vizi relativi all’irregolare costituzione degli arbitri, si sia ritenuto opportuno non individuare un termine preciso per il rilevo della relativa eccezione. Alla mancata indicazione di un termine espresso può supplirsi – in ipotesi – con l’applicazione del più generale criterio fissato dal legislatore per i vizi del lodo derivanti da errores in procedendo.
Più precisamente, la materia deve intendersi governata dalla regola (espressa nell’art. 829, co. 2) per la quale «la parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo»[302]. L’applicazione di tale principio comporta che la barriera preclusiva, entro la quale far valere l’eccezione di nullità delle norme che presiedono allo svolgimento del procedimento arbitrale, coincida con la prima istanza o difesa successiva alla violazione di tale norma.
Può apparire anche vero che alla conclusione ora esposta non corrisponda una differenza sostanziale fra le due ipotesi di vizio del lodo disciplinate dall’art. 829 n. 1 e n. 2, c.p.c. In entrambe i casi, infatti, vige la regola dell’obbligatorietà del rilievo del vizio nel primo atto utile, che coincide – nel caso di vizi della convenzione arbitrale – con l’atto successivo all’accettazione degli arbitri, non foss’altro perché fino a quel momento gli arbitri non hanno potere di decidere non avendo accettato l’incarico e – nel vizio della nomina dell’arbitro – con la prima istanza o difesa successiva alla violazione delle regole che disciplinano il procedimento. E’ vero inoltre che, nell’uno come nell’altro caso, il criterio che individua nella prima difesa o istanza utile il termine preclusivo per il rilevo dell’eccezione possa anche coincidere con la memoria successiva all’accettazione dell’incarico da parte degli arbitri, ma – lo si ripete – si tratterà di mera coincidenza dipendente dal fatto che il vizio sia conosciuto/conoscibile dalla parti, potendosi verificare che a tale momento la parte non fosse a conoscenza del vizio[303].
La realtà è che le due fattispecie non hanno identica disciplina, in quanto il criterio individuato dall’art. 829, co. 2, c.p.c. contiene un dato ulteriore. La norma prevede, infatti, che la nullità del procedimento non possa essere rilevata da chi vi ha dato causa o vi ha rinunciato o non ha eccepito la nullità nella prima difesa. Quindi mentre il rilievo del vizio della convenzione di arbitrato (salvo quanto diversamente disposto per il vizio dovuto a causa della non arbitrabilità della controversia) trova come unico limite al suo esercizio il dato temporale, nel caso di vizio relativo lato sensu alla nomina dell’arbitro, sussiste anche l’ulteriore limite relativo all’individuazione della parte legittimata al rilievo. In altre parole, occorre domandarsi se la parte che ha violato le forme e i modi prescritti per la nomina degli arbitri possa far valere la nullità del lodo per tale motivo (si pensi alla nomina dell’arbitro affidata al difensore della parte). La risposta non può che essere negativa se si muove dal disposto dell’art. 829, co. 2, c.p.c. Di qui la conclusione per cui l’eccezione di irregolarità della nomina degli arbitri deve ritenersi rilevabile unicamente su istanza della parte, che non abbia dato causa alla relativa nullità nei limiti temporali individuati dall’art. 829, co. 2, c.p.c. (al contrario di quanto consentito in caso di vizio della convenzione di arbitrato, rilevabile da ciascuna parte).
Discorso parzialmente diverso richiede l’esame del vizio individuato al n. 3, relativo al caso di lodo deliberato da soggetto incapace di svolgere le funzioni di arbitro a norma dell’art. 812 c.p.c. per il quale non è richiesto il preventivo rilievo del vizio nel corso del giudizio arbitrale[304]. Più precisamente, l’ipotesi in esame ricorre nei casi in cui il lodo sia stato pronunciato da arbitro incapace, ai sensi dell’art. 812 c.p.c., ossia da arbitro privo «in tutto o in parte, della capacità legale di agire» (art. 829, co. 1, n. 3 c. p. c.). La norma, a seguito della riforma, ha ridotto a un’unica categoria le ipotesi di incapacità legali elencate dalla disciplina previgente[305]. Si deve, pertanto, ritenere soggetti alla previsione normativa, con conseguente esclusione dall’ufficio di arbitro, i minori (salvi i casi di emancipazione)[306] e gli incapaci legali per interdizione o inabilitazione[307].
In materia è venuto meno il riferimento espresso al fallito; modifica che ha indotto ad affermare che per il fallito «non si può ritenere sopravvissuta un’incapacità». E invero, seppure l’art. 78 co. 2 L.F. preveda lo scioglimento del mandato a seguito del fallimento del mandatario, allo stesso tempo il terzo comma dello stesso articolo lascia al curatore la facoltà di subentrare nel mandato e quindi – si osserva – anche nel mandato degli arbitri[308]. Si rende opportuno precisare che non va confuso con il vizio in esame quello concernente la mancanza in capo agli arbitri delle qualità convenute dalle parti. Come già rilevato, con riguardo al motivo individuato al n. 2 dell’art. 829, vi è chi osserva che[309] «normalmente la giurisprudenza ritiene deducibili ex art. 829 n. 2 la mancanza negli arbitri di qualità particolari o di specifiche competenze professionali richieste nel patto compromissorio (ipotesi che è ora impropriamente annoverata tra le fattispecie legittimanti la ricusazione dell’arbitro: v. art. 815, co. 1, n. 1) o gli eventuali vizi relativi alla nomina e alla sostituzione giudiziale degli arbitri”. Si tratta, infatti, di situazioni personali che possono dar luogo soltanto a un vizio relativo alla nomina ex art. 829, co.1, n. 2, da far valere quindi, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, nel corso del giudizio arbitrale[310].
Analogamente è stato ritenuto che «non è qualità che impedisca la nomina ad arbitro la particolare soggettività giuridica attribuita agli enti, siano essi dotati o meno di personalità giuridica», poiché il richiamo a essi contenuto nel contratto di arbitrato o nell’atto di nomina deve intendersi riferito all’organo che rappresenta l’ente, ovvero alle persone fisiche che, anche collegialmente, lo compongono[311]. Allo stesso modo non è questione pertinente alla capacità di essere arbitro l’eventuale assenza di autorizzazione preventiva nel caso di nomina di un pubblico impiegato[312]. In tali casi, «nonostante qualche malinteso con la giurisprudenza», la mancata autorizzazione potrà avere rilievo disciplinare o, comunque, riflesso sul singolo rapporto di lavoro, ma sarà del tutto irrilevante agli effetti della valida costituzione dell’arbitrato[313].
Da ultimo è opportuno osservare che il legislatore – risolvendo un dibattito secolare – confinando in matrice privatistica l’arbitrato ha espressamente escluso che l’arbitro possa essere assimilato ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio (art. 813, co. 2°, c.p.c.) e coerentemente ha escluso dal novero dei vizi l’incapacità e l’interdizione dai pubblici uffici. In materia si è posto, piuttosto, il problema circa la possibilità di ricondurre nell’ambito del motivo in esame la violazione delle disposizioni sulla ricusazione ex art. 815 c.p.c.[314]. In proposito si è osservato che il legislatore espressamente prevede fra le ipotesi di ricusazione dell’arbitro la mancanza delle «qualifiche espressamente convenute fra le parti» (art. 815, co. n. 1)[315]. Dal coordinamento delle disposizioni in esame (art. 829, co. 1, n. 2 e art. 815) si ricava che la parte abbia l’onere di proporre istanza di ricusazione, mentre è dubbio se residuino delle ipotesi con riferimento all’imparzialità degli arbitri che possano trovare accoglimento nell’ambito della tutela offerta dal vizio in esame[316].
La soluzione qui esposta trova parziale corrispondenza con la disciplina adottata dal legislatore austriaco nella parte in cui individua, quali motivi di ricusazione degli arbitri, quegli stessi che fondano la ricusazione del giudice ordinario[317] mentre più accentuate sono le differenze con riferimento alle norme del procedimento di ricusazione[318]. Sensibilmente diversa è la disciplina tedesca che, in linea di principio, pone in capo all’arbitro l’onere di rendere note tutte le circostanze che potrebbero deporre in senso contrario alla sua imparzialità e indipendenza (§1036 dZPO)[319] e consente alle parti di concordare un procedimento per la ricusazione degli arbitri)[320]. Con riguardo alla possibilità di ricondurre nell’ambito del motivo in esame la violazione delle disposizioni sulla ricusazione, la soluzione prospettata nell’ordinamento austriaco e tedesco porta sostanzialmente ad ammettere l’utilizzo del motivo di annullamento del lodo relativo alla violazione delle norme per la nomina degli arbitri soltanto qualora la causa di ricusazione sia stata conoscibile dopo la pronuncia del lodo ovvero nel caso in cui il giudice ordinario abbia accolto la domanda di ricusazione dell’arbitro e, nelle more di tale procedimento, gli arbitri abbiano pronunciato il lodo al quale abbia preso parte l’arbitro successivamente ricusato (per un approfondimento del tema, infra nel testo).
Con riferimento alla disciplina italiana l’orientamento giurisprudenziale è nel senso di ammettere la spendibilità del motivo di ricusazione nell’ambito del motivo di cui all’art. 829, co. 1, n. 2, c.p.c. (violazione delle norme sulla nomina dell’arbitro) a patto che la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata nel procedimento arbitrale, non essendo sotto questo profilo preclusivo l’avvenuto rigetto dell’istanza di ricusazione[321]. Un’ipotesi particolare è quella riguardante l’arbitro che abbia omesso di informare immediatamente la parte che lo ho nominato o contribuito a nominare circa la situazione soggettiva di ricusabilità. In tale ipotesi è stato osservato che l’arbitro potrebbe essere chiamato dalla parte a rspondere del ritardo sofferto a causa del procedimento di ricusazione divenuto accessibile solo successivamente alla comunciazione del motivo; più precisamente nei confronti dell’arbitro sarebbe proponibile la causa per danni immediatamente dopo la cessazione della litispendenza arbitrale e anche a prescindere dalla concreta praticabilità dell’impugnazione[322]
Il lodo che conclude il procedimento arbitrale senza decidere il merito della controversia quando il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri è annullabile a norma dell’art. 829, co. 1, n. 10, c.p.c. Il motivo individuato al n. 10 costituisce una novità introdotta dalla riforma del 2006 anche se, già prima della riforma, si riteneva il vizio in esame inquadrabile nel n. 4 del previgente testo dell’art. 829, co. 1, c.p.c. sub specie di mancata pronuncia sopra uno degli oggetti del patto compromissorio[323].
La norma ha il pregio di sancire che l’annullamento del lodo può essere chiesto con il rimedio di cui all’art. 828 c.p.c., nell’ipotesi in cui gli arbitri si limitino erroneamente ad una pronuncia di absolutio ab instantia[324]. Si è in precedenza osservato che la disciplina italiana e quella tedesca sono accomunate dalla mancata previsione di una norma espressa che disciplini l’ipotesi in cui gli arbitri affermino la propria incompetenza. Si ritiene che rientri nell’ipotesi in esame anche il caso in cui gli arbitri abbiano pronunciato un lodo declinatorio della propria competenza.
Il quesito che si pone è quello relativo all’individuazione del collegio arbitrale chiamato a decidere la controversia. Alla luce di quanto osservato si ritiene che in tutte le ipotesi nelle quali la Corte d’Appello ritenga erronea la pronuncia di absolutio ab instantia e l’impedimento processuale non riguardi la figura degli arbitri (per esempio, dichiarazione di incompetenza[325]) la cognizione della causa «possa», ma non «debba» essere attribuita allo stesso collegio[326]. E’ da escludere la possibilità dello svolgimento di un giudizio rescissorio davanti agli arbitri nell’ipotesi in cui l’impedimento processuale si concretizzi in ipotesi di vizi insanabili (mancanza di legittimazione o di interesse ad agire)[327].
La disciplina austriaca e tedesca, a differenza di quella italiana, prendono in considerazione la violazione delle disposizioni concordate dalle parti o previste dalla legge per la nomina degli arbitri. La disciplina austriaca a differenza di quella tedesca ricomprende nell’ambito dell’operatività del vizio in esame non solo la violazione delle norme sulla costituzione del collegio arbitrale ma anche quelle relative alla sua composizione. Il profilo connesso agli «effetti» prodotti sul lodo dal vizio in esame differenzia sensibilmente gli ordinamenti in esame. In quello austriaco e in quello italiano, a differenza di quello tedesco, non è necessario che il vizio relativo alla costituzione e/o composizione del collegio si ripercuota sul lodo viziandolo, mentre la soluzione opposta è accolta nell’ordinamento tedesco. Per tutte le discipline in esame trova applicazione il principio in virtù del quale la spendibilità del vizio in esame come causa di annullamento del lodo è subordinata al tempestivo rilievo del vizio su istanza di parte nel corso del procedimento arbitrale; discorso a parte, come si vedrà, deve essere fatto con riferimento alle fattispecie che concretano motivi di ricusazione degli arbitri.
Sotto questo profilo vi una parziale corrispondenza fra la disciplina italiana e quella austriaca con riferimento all’individuazione dei motivi, mentre più accentuate sono le differenze con riferimento alle norme del procedimento di ricusazione[328]. Sensibilmente diversa è la disciplina tedesca che, in linea di principio, pone in capo all’arbitro l’onere di rendere note tutte le circostanze che potrebbero deporre in senso contrario alla sua imparzialità e indipendenza (§1036 dZPO) e consente alle parti di concordare un procedimento per la ricusazione degli arbitri. Come già detto con riguardo alla possibilità di ricondurre nell’ambito del motivo in esame la violazione delle disposizioni sulla ricusazione, la soluzione prospettata nell’ordinamento austriaco e tedesco è quella che sostanzialmente porta ad ammettere l’utilizzo del motivo di annullamento del lodo relativo alla violazione delle norme per la nomina degli arbitri soltanto in ipotesi eccezionali (qualora la causa di ricusazione sia stata conoscibile dopo la pronuncia del lodo ovvero nel caso in cui il giudice ordinario abbia accolto la domanda di ricusazione dell’arbitro e nelle more di tale procedimento gli arbitri abbiano pronunciato il lodo al quale abbia preso parte l’arbitro successivamente ricusato) mentre, in mancanza di una previsione espressa sul punto, l’orientamento della giurisprudenza italiana è incline ad ammettere la spendibilità del motivo di ricusazione nell’ambito del motivo di cui all’art. 829, co. 1, n. 2, c.p.c. (violazione delle norme sulla nomina dell’arbitro) a patto che la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata nel procedimento arbitrale, non essendo sotto questo profilo preclusivo l’avvenuto rigetto dell’istanza di ricusazione.
Con riferimento ai possibili esiti del giudizio di impugnazione ci si occuperà, in questa sede, dell’analisi dei (restanti) vizi del lodo in presenza dei quali la Corte d’Appello non si limita ad una pronuncia rescindente di annullamento del lodo, ma decide la controversia nel merito (salvo che le parti non abbiano riservato agli arbitri tale competenza). Si è in precedenza osservato che la soluzione di compromesso tra le differenti esigenze perseguite dal rimedio impugnatorio in esame sfocia in una disciplina che da luogo a perplessità applicative e a soluzioni non univoche specie con rigurado all’individuazione delle norme che regolano il procedimento. E’evidente, infatti, che l’oggetto del giudizio rescissorio, conseguente alla sentenza di annullamento del lodo, non può essere identico per tutti i tipi di vizio, in considerazione da un lato della differente gravità degli stessi e, dall’altro, del diverso momento in cui il vizio colpisce il procedimento arbitrale (si pensi a titolo esemplificativo all’ipotesi in cui il vizio del lodo consista in un’omissione di pronuncia e all’ipotesi in cui il lodo sia privo della sottoscrizione degli arbitri).
A fronte di questa genetica differenziazione dei tipi di vizi vi è però un tratto comune a tutte le ipotesi in esame. In seguito al verificarsi di uno di questi vizi il legislatore – salvo contraria volontà delle parti – riapre la strada alla giurisdizione ordinaria, così liberando le parti dal vincolo nascente dalla stipulazione delle convenzione di arbitrato. Risultato che si persegue – nell’ordinamento italiano – quale diretta conseguenza del giudizio di annullamento del lodo e che in altri ordinamenti, invece, può essere postergato ad un successivo momento (dopo il secondo annullamento del lodo e sempre su istanza di parte, come previsto dal § 611 Abs. 5 öZPO).
Ciò posto, al fine di individuare i criteri che regolano lo svolgimento del procedimento che si svolge davanti alla Corte d’appello, si deve tenere conto quanto meno di un duplice ordine di questioni.
In primo luogo non si può ignorare che spetta all’ordinamento statale apprestare la tutela giurisdizionale dei diritti, che può essere conseguita anche con mezzi alternativi, quali il procedimento arbitrale. Peraltro, una volta che tale strumento risulti inadeguato perchè inficiato da vizi propri, lo Stato si riappropria della funzione giurisdizionale – nel rispetto dei principi costituzionali (art. 24 e art. 111 Cost.) e comunitari (art. 6 CEDU) – offrendo alle parti del processo la possibilità di ritornare alla tutela giurisdizionale statale.
In secondo luogo è necessario che lo svolgimento del giudizio davanti alla Corte d’appello – in mancanza di norme dettagliate, che peraltro sarebbe difficile individuare con completezza attesa la diversità delle singole fattispecie di vizio – sia caratterizzato dall’applicazione dei principi generali e fondamentali del processo, che possano portare ad affermare che la decisione che pone capo a quel procedimento risponde ai canoni fissati per consentire alle parti di avere un equo e giusto processo.
Compiuta questa premessa si rende opportuno procedere all’analisi delle singole fattispecie.
La norma consente l’impugnazione del lodo per violazione delle norme di diritto relative al merito della controversia se espressamente prevista dalle parti o dalla legge.
Il primo dato ricavabile dalla norma in esame è che, fatti salvi i casi in cui l’impugnazione per violazione delle norme di diritto relative al merito è prevista dalla legge, le parti devono espressamente prevedere l’impugnazione del lodo per violazione delle norme di diritto sostanziale, altrimenti è loro preclusa la possibilità di impugnare il lodo per tale motivo. La previsione ribalta il principio generale valido fino all’entrata in vigore della riforma del 2006, a norma del quale l’impugnazione per violazione delle norme di diritto rappresentava la regola e la sua esclusione l’eccezione (l’impugnazione per tale motivo era sempre ammessa salvo che le parti non avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile). L’attuale previsione legislativa deve essere vista nell’ottica di attribuire al lodo maggiore stabilità tramite la limitazione del potere di controllo del giudice ordinario, obiettivo reso palese anche dalla disciplina degli altri motivi di annullamento del lodo per i quali la spendibilità del vizio in sede di impugnazione è subordinata al rilievo della relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale.
Vi è però un profilo che merita di essere sottolineato con riferimento al motivo in esame. L’art. 27, co. 4 del d. lgs. n. 40/2006 (norma che contiene la disciplina transitoria della riforma) prevede che il principio accolto nell’art. 829, co. 3, c.p.c. sia da applicare «ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del [provvedimento]» (ossia il 2 marzo 2006). Da ciò si dovrebbe ricavare che in base alla disposizione contenuta nella disciplina transitoria l’esclusione dell’operatività del motivo di impugnazione del lodo per violazione di norme di diritto sostanziale trovi applicazione anche per le convenzioni di arbitrato stipulate precedentemente all’entrata in vigore della riforma quando, come osservato in dottrina, «il silenzio delle parti circa l’impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto aveva l’opposto significato di ammettere (e non di escludere) una tale facoltà»[329].
Al riguardo, giova sottolineare che in dottrina era stata avanzata un’interpretazione adeguatrice di tale norma, al fine di renderla conforme ai principi costituzionali[330], che portava a ritenere ammissibile l’impugnazione del lodo per violazione di norme di diritto nell’ipotesi in cui la convenzione arbitrale fosse stata stipulata prima della riforma del 2006 [331]. L’interpretazione è stata accolta di recente dalla S.C.[332], la quale ha affermato che le convenzioni concluse prima dell’entrata in vigore della riforma continuano ad essere regolate dalla legge previgente. Più specificamente, la S.C. ha escluso che la regola dell’impugnabilità nel merito del lodo per violazione delle regole di diritto (come disciplinata dal riformato art. 829, co. 3, c.p.c.) «sia immediatamente applicabile a tutti gli arbitrati introdotti in data successiva alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006, ancorché nascenti da clausole arbitrali anteriormente stipulate, dovendo le relative condizioni di efficacia restare disciplinate, ai sensi dell’art. 11 delle preleggi, dalla legge in vigore al momento di adozione dell’atto negoziale cui accedono».
E’ da segnalare un recente intervento legislativo[333] che ha derogato al principio generale sancito dall’art. 829, co. 3 c.p.c, ammettendo – per i lodi emessi su controversie comunque connesse ai contratti pubblici (lavori pubblici, servizi e forniture) – l’impugnazione «oltre che per motivi di nullità, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia». Giova sottolineare che la materia aveva subito una precedente modifica[334] in virtù delle quale, l’impugnazione per violazione di norme di diritto era stata ammessa nei confronti dei lodi in materia di «controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee»[335]. Il recente intervento legislativo del 2012, nel riferisi alle «controversie comunque connesse ai contratti pubblici (lavori pubblici, servizi e forniture)» estende l’ambito applicativo del motivo di impugnazione in esame. Resta, infine, da sottolineare una particolarità della disciplina transitoria del d.l. n. 83/2012, in virtù della quale la nuova norma si applica anche ai giudizi arbitrali per i quali non sia scaduto il termine per l’impugnazione davanti alla Corte d’Appello alla data di entrata in vigore del decreto. La disciplina transitoria fa sì che l’ampliamento dei motivi di impugnazione per violazione delle norme di diritto trovi applicazione nei confronti dei lodi per i quali non siano scaduti i termini di impugnazione, consentendo quindi un ampliamento dei motivi di impugnazione «in corsa», offrendo così alla parte soccombente una tutela inaspettata[336].
Ciò premesso, e ribadito il principio generale secondo il quale l’impugnazione del lodo rituale per violazione delle norme di diritto a norma dell’art. 829, co. 3 c.p.c. è ammessa soltanto se espressamente prevista dalle parti, giova a questo punto precisare che la regola generale ora richiamata soffre talune eccezioni. Più precisamente, l’impugnazione del lodo per questo motivo è sempre ammessa sia nelle controversie di lavoro (per le quali è estesa anche alla violazione dei contratti e accordi collettivi, art. 829, co. 5, c.p.c.) sia nel caso in cui la violazione delle regole di diritto concerna la soluzione di questione pregiudiziale in materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato; infine è ammessa l’impugnazione per contrarietà del lodo alle norme dell’ordine pubblico. Con riferimento al contenuto da attribuire alla violazione delle norme di diritto, l’orientamento della giurisprudenza è nel senso di ricalcare i principi elaborati per la definizione dell’ambito applicativo del motivo di ricorso in cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, a norma dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.[337].
Nel caso in cui manchi il presupposto per domandare l’annullamento del lodo per violazione delle norme di diritto, individuato nell’espressa previsione dalle parti o disposizione di legge (art. 829, co. 3, c.p.c.), il lodo sarà impugnabile – se ne ricorrono i presupposti – unicamente per violazione dell’ordine pubblico (in punto, infra nel testo)
Sono invece discusse con riferimento alla disciplina italiana alcune tipologie di vizio. In particolare ci si riferisce all’ipotesi in cui gli arbitri abbiano deciso secondo equità anziché diritto e viceversa[338]; abbiano qualificato il lodo come rituale nonostante la contraria volontà delle parti[339]; ancora abbiano pronunciato provvedimenti diversi da quelli che esauriscono il possibile contenuto delle sentenze[340]. Cominciando l’esame delle fattispecie ora richiamate dall’ultima delle ipotesi prospettate – nel caso in cui il lodo abbia pronunciato provvedimenti diversi da quelli che esauriscono il possibile contenuto della sentenza – l’argomento dirimente a favore dell’esclusione dell’ammissibilità dell’impugnazione per nullità discende non tanto dal rilievo per cui si violerebbe il principio d’uguaglianza[341], quanto e soprattutto dal disposto dell’art. 824 bis c.p.c., che attribuisce al lodo l’efficacia della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria. E, infatti, atteso che tale norma espressamente equipara, quanto agli effetti, il lodo alla sentenza del giudice ordinario, non può essere compatibile con tale conclusione un’interpretazione dell’ambito della statuizione del lodo che consenta di ricomprendervi controversie che non possono essere dedotte davanti al giudice ordinario. Pertanto in tale ipotesi, qualora il lodo abbia pronunciato provvedimenti aventi ad oggetto un contenuto diverso da quello che potrebbe essere oggetto di una sentenza, non potendosi qualificare la pronuncia degli arbitri come lodo in senso sostanziale, il lodo dovrà essere qualificato come lodo inesistente.
Riguardo all’altro problema, relativo all’impugnazione del lodo qualificato come rituale nonostante le parti volessero un lodo irrituale, si deve considerare che il tema in esame, con le debite distinzioni, sembra richiamare quello relativo all’individuazione del criterio da prediligere al fine di individuare la disciplina applicabile nelle ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale rivesta una determinata forma (per esempio ordinanza) ma abbia il contenuto proprio di un altro tipo di provvedimento (sentenza). Ci si domanda se in tale ipotesi – in riferimento all’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile nei confronti del provvedimento – debba prevalere la forma sulla sostanza o viceversa[342], fermo restando che – nel caso di specie – la natura (rituale o meno) dell’atto è frutto della volontà delle parti e che, soprattutto, da essa dipende la qualificazione degli effetti del lodo, effetti negoziali per il lodo irrituale e giurisdizionali per il lodo rituale.
Si è osservato che l’impugnazione per nullità dovrebbe ritenersi inammissibile, in considerazione del fatto che l’impugnazione per nullità presuppone necessariamente la natura rituale del lodo. Pertanto, «non sembra ammissibile che, per effetto dell’erronea qualificazione ricevuta dagli arbitri, un atto di natura negoziale, quale è e resta – nonostante l’erronea qualificazione – il lodo irrituale, venga assoggettato, anziché alle ordinarie azioni di impugnativa dei negozi giuridici, ad un rimedio di natura processuale quale quello disciplinato dagli artt. 828 e ss. c.p.c.»[343]. Al contrario vi è chi si è espresso a favore dell’ammissibilità del rimedio individuato dall’art. 829 c. p. c. nei confronti del lodo erroneamente qualificato come rituale. In tal caso l’impugnazione per nullità, ai sensi dell’art. 829, c. 1, n. 4, seconda parte, si giustificherebbe in ragione del fatto che in ipotesi non si è verificato «un errore di forma, ma qualcosa di più grave: l’emissione di un provvedimento decisorio anziché di un atto con effetti equivalenti a quelli del negozio»[344].
L’osservazione secondo la quale in questa ipotesi non si tratterebbe di un errore di forma ma di qualcosa di più grave, condivisibile come premessa del ragionamento, porta a una conclusione differente. E invero, premesso il differente connotato che assume, rispetto al provvedimento giurisdizionale, il quesito relativo alla prevalenza della forma sulla sostanza con riguardo al lodo pronunciato nella forma diversa da quella richiesta dalla parti; premesso che l’ammissibilità dell’impugnazione per nullità avrebbe il vantaggio di soddisfare esigenze di certezza con riferimento all’individuazione del mezzo di impugnazione[345], resta però il fatto che ai fini dell’individuazione del rimedio esperibile si deve muovere dalla natura del provvedimento che si vuole impugnare.
Ciò comporta che debba ritenersi sempre dirimente, ai fini dell’impugnazione, la differente natura dei due provvedimenti. E se prima della riforma del 2006 forse qualche perplessità poteva sorgere riguardo al motivo attraverso il quale dedurre il vizio del lodo libero erroneamente qualificato come lodo rituale, tale conclusione non pare più sostenibile, oggi, alla luce della nuova formulazione dell’art 808 ter. La soluzione del problema discende, infatti, dalla previsione contenuta nell’art. 808 ter, n. 4, a norma del quale è ammessa l’impugnazione per nullità del lodo libero nell’ipotesi in cui gli arbitri non si siano attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo[346]. Il lodo erroneamente qualificato come rituale dagli arbitri potrà pertanto essere impugnato per tale motivo, perchè contrario alla determinazione manifestata dalle parti a favore dell’arbitrato libero. Nell’ipotesi inversa, il lodo rituale erroneamente qualificato come lodo irrituale sarà impugnabile con il rimedio di cui all’art. 828 c.p.c.
Con riferimento, infine, all’ipotesi in cui gli arbitri abbiano deciso secondo equità anziché secondo diritto e viceversa, occorre tenere distinte le due ipotesi, pur convenedosi che l’una e l’altra comportino una violazione del criterio di giudizio indicato dalle parti. Nel primo caso, avendo gli arbitri pronunciato secondo equità invece che diritto, il lodo sarà impugnabile per aver gli arbitri pronunciato «fuori dei limiti della convenzione di arbitrato» (ex 829, co. 1, n. 4, c.p.c.). Soluzione, quest’ultima, che non pare sempre praticabile nell’ipotesi inversa (lodo secondo diritto invece che secondo equità). In punto – secondo consolidato orientamento giurisprudenziale – l’impugnazione per nullità del lodo non è ammissibile nel caso in cui gli arbitri ritengano coincidenti la decisione secondo diritto e quella secondo equità, liberando gli arbitri dall’onere di fornire adeguata motivazione sulla sussistenza di tale coincidenza[347]. Al riguardo giova sottolineare che, a differenza della formulazione del testo previgente alla riforma del 2006, che prevedeva la possibilità che le parti autorizzassero gli arbitri a pronunciare secondo equità, ai sensi del vigente art. 822 c.p.c., compete alle parti disporre che gli arbitri decidano secondo equità. In considerazione della modifica legislativa si è affermato che la norma pone un obbligo in capo agli arbitri di decidere secondo equità; obbligo dalla cui violazione non può non derivare un vizio della decisione quantomeno nelle ipotesi in cui la decisione sia «difforme» da quella che sarebbe stata adottata secondo equità[348]. Sotto questo profilo, se l’osservazione è condivisibile in linea teorica, sotto il profilo pratico appare difficile che le parti possano offrire la prova di tale «difformità», salvo il caso in cui «gli arbitri neghino a priori la possibilità di avvalersi dei poteri equitativi loro conferiti, ovvero quando, pur ravvisando una difformità tra il giudizio di equità e quello secondo diritto, emettano una pronuncia secondo diritto»[349].
Non vi è dubbio che anche nell’ipotesi in cui le parti abbiano domandato la pronuncia di un lodo secondo equità lo stesso sia impugnabile nel caso in cui abbia pronunciato in violazione di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti; in tal caso la parte potrà domandare l’annullamento del lodo in quanto pronunciato in violazione delle norme di ordine pubblico[350].
Il motivo in esame riguarda l’ipotesi dell’omissione di pronuncia che si verifica nel caso di omissione tanto su domande quanto su eccezioni. Fattispecie quest’ultima comunemente esclusa dall’ambito applicativo della censura in esame, atteso il tenore letterale della previgente disciplina, che faceva riferimento all’ipotesi in cui il lodo non avesse «pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso» (a norma del previgente art. 829, co.1., n. 4, c.p.c.) e ricondotta nell’ambito del vizio del lodo per difetto di motivazione[351].
La norma, oggi, chiarisce – eliminando il rinvio al compromesso e ponendo, invece, l’accento sulle omissioni riguardanti le domande e/o eccezioni delle parti – che su tali richieste si misura la violazione da parte degli arbitri del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Da ciò consegue che il vizio non si verifica nell’ipotesi in cui gli arbitri non pronuncino sulle domande ed eccezioni astrattamente rientranti in detta convenzione, ma concretamente non proposte. Conclusione che trova il conforto della giurisprudenza della Corte di legittimità, la quale ha affermato che la disposizione in esame deve essere interpreta nel senso che gli arbitri hanno l'obbligo di decidere su tutto il «thema decidendum» a essi sottoposto e non oltre i limiti di esso. Tale concetto, valido per il compromesso, si estende anche alla clausola compromissoria, e in tal caso il «thema decidendum» è quello specificato nei quesiti posti agli arbitri, non già quello genericamente indicato nella clausola, fermo restando che la cognizione degli arbitri si estende (salvo eventuali ben precisi limiti legali) a qualsiasi aspetto della vicenda, che risulti rilevante ai fini di stabilire se e in qual misura la pretesa fatta valere da una parte sia fondata[352]. Ne consegue che il lodo arbitrale, che ometta di decidere su una questione non esorbitante dai limiti della convenzione arbitrale e suscettibile di essere decisa incidentalmente e senza efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 819 cod. proc. civ. , è nullo in quanto affetto da error in procedendo[353].
Con riferimento a tale profilo, è stato osservato che gli arbitri non hanno il dovere di pronunciarsi sulle conclusioni formulate da una delle parti al di fuori della convenzione di arbitrato, nonostante la mancanza di eccezione della controparte. Il mancato rilievo dell’eccezione relativa all’esorbitanza delle conclusioni della controparte, invero, preclude alla parte di impugnare il lodo per tale motivo, ma non impone agli arbitri un dovere di pronuncia[354]. Sotto questo profilo si ritiene, peraltro che – se ciascuna delle parti sia stata messa in condizione di svolgere le proprie difese e sia stato quindi rispettato il principio del contraddittorio – gli arbitri siano tenuti a pronunciarsi sul punto, fermo restando che in tal caso, se gli arbitri sono vincolati al rispetto delle norme del procedimento ordinario dovranno pronunciarsi rilevandone la tardività, altrimenti dovranno pronunciarsi anche sulle conclusioni esorbitanti[355]. E’opportuno ricordare che la materia è disciplinata dall’art. 816 bis c.p.c. Ne consegue che se gli arbitri si sono vincolati – per disposizione delle parti o, in difetto, per propria scelta – al rispetto delle forme di rito, la pronuncia non può non essere identica a quella che sarebbe stata la pronuncia del giudice ordinario.
Il motivo in esame individua i requisiti di contenuto-forma, la cui mancanza determina la nullità del lodo. I requisiti di forma che il lodo deve contenere (individuati dall’art. 829, n. 5) sono l’esposizione sommaria dei motivi; il dispositivo e la sottoscrizione degli arbitri. A differenza della disciplina previgente non rientra più tra i requisiti previsti a pena di nullità del lodo l’indicazione della sede.
a) L’indicazione sommaria dei motivi.
La norma contempla fra gli altri requisiti richiesti a pena di nullità anche l’indicazione sommaria dei motivi. Il requisito in esame, la cui omissione comporta la nullità del lodo, viene differentemente interpretato. Vi è chi, muovendo da un’interpretazione letterale della norma, attribuisce al requisito in esame un’ampiezza inferiore – quanto alla tipologia del vizio in esso sussunta – rispetto all’analoga previsione valida per la sentenza. In particolare, si richiama la diversa locuzione utilizzata dagli articoli, che fanno riferimento all’indicazione concisa dei motivi prevista per la sentenza, per porla in contrapposizione con la sommarietà degli stessi prevista dal lodo.
Peraltro se è ravvisabile una corrispondenza fra l’omissione di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 della sentenza e l’omessa esposizione sommaria dei motivi del lodo, le discrepanze fra la disciplina del lodo e della sentenza emergevano con riferimento al profilo relativo all’insufficienza della motivazione. Giova ricordare il dato normativo: l’art. 829, co. 1, n. 5, c.p.c., individua quale causa di annullamento del lodo la mancanza del requisito di cui all’art. 823, n. 5, c.p.c.[356], mentre il testo dell’articolo 360, n. 5, c.p.c., prima della modifica attuata con la riforma del 2012[357], disciplinando l’analogo vizio della sentenza, contemplava oltre alla mancanza della motivazione, la sua insufficienza e contraddittorietà.
Secondo l’opinione in esame, che trovava conforto in un consolidato orientamento giurisprudenziale[358], questa differente valenza del requisito della motivazione, portava a ritenere che il carattere della sommarietà potesse considerarsi rispettato in presenza dei «requisiti bastevoli per ravvisare la ratio decidendi». Quando tale indagine avesse dato esito positivo, quando cioè la ratio decidendi fosse comunque rilevabile, la motivazione offerta doveva intendersi non solo formalmente fornita degli elementi essenziali per l’assolvimento della sua funzione, ma ogni ulteriore sindacato sulla congruità della motivazione offerta dagli arbitri doveva ritenersi precluso[359].
Di qui la conclusione per la quale era da escludere un sindacato del giudizio di fatto degli arbitri attraverso il controllo sulla motivazione, analogo a quello che si svolge presso la Corte di Cassazione sulla motivazione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 360, n. 5 [360]. Più in generale, l’orientamento della giurisprudenza si esprimeva nel senso di escludere che il giudice dell’impugnazione per nullità potesse, attraverso questo motivo, estendere il proprio sindacato sul merito del giudizio espresso dagli arbitri in sede di motivazione[361]. Allo stesso modo era escluso il sindacato su errori di valutazione nell’apprezzamento delle prove[362]. Pertanto rientravano nella fattispecie in esame, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza in precedenza richiamato, le ipotesi in cui difettasse la motivazione o la stessa fosse solo apparente, nel senso di essere tale da integrare gli estremi di un’omissione sostanziale[363].
Di diverso avviso erano coloro che, pur muovendo dal presupposto che si possa solo parlare di analogia e non di identità fra la disciplina del lodo e quella della sentenza, ritenevano che tale distinzione non dovesse essere sopravvalutata, atteso che in entrambi i casi «il legislatore intende soddisfare l’esigenza che la decisione di una controversia sia giustificata dall’esposizione sommaria delle ragioni di fatto e di diritto per le quali la decisione dovrebbe considerarsi valida ed accettabil»[364]. La conclusione quindi era quella di ritenere applicabile nella valutazione del requisito di cui al n. 5 dell’art. 829, co. 1, c.p.c., gli stessi criteri validi per valutare la legittimità della motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
Questi principi erano senz’altro condivisibili, soprattutto tenuto conto delle considerazioni espresse in dottrina in ordine al contrasto che una differente interpretazione avrebbe manifestato rispetto ai principi di cui al comma 7 dell’art. 111 e art. 3 della Costituzione[365]. In punto si osservava che «la motivazione sulle questioni di fatto del lodo anche se insufficiente ne consentirebbe la sopravvivenza, mentre l’analoga insufficienza, ove commessa dalla Corte d’Appello in sede di nuovo riesame del merito dopo l’annullamento del lodo, verrebbe cassata, né questa assimetria di garanzie rimediali nei confronti di un analogo vizio può giustificarsi con la natura privata e pure fiduciaria della figura arbitrale rispetto a quella del giudice togato chiamato ad esprimersi sulle medesime questioni di fatto all’interno del medesimo rapporto processuale»[366]. Soprattutto decisivo, in questo senso, risultava il richiamo alla statuizione dell’art. 824 bis, c.p.c. che, equiparando gli effetti del lodo a quelli della sentenza del giudice ordinario, costituiva un argomento insuperabile a favore dell’applicabilità al lodo del principio sancito dall’art. 111, co. 7, Cost. In punto, si osservava, infatti, «che non si possono avere gli effetti utili della giurisdizione senza rispettarne i dettami costituzionali di validità»[367].
Se così non fosse, resterebbe altrimenti una mera petizione di principio l’affermazione della sussistenza di imprescindibile collegamento fra natura del mezzo di impugnazione ed effetti del provvedimento impugnato. In questa prospettiva, e in via conclusiva, l’attribuzione al lodo degli effetti della sentenza e, conseguentemente, l’estensione al lodo dei criteri per valutare la legittimità della motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. portava ad ammettere, seppur attraverso una forzatura della norma, la possibilità di far valere, nei confronti del lodo, attraverso questo motivo anche l’ipotesi di errore di fatto revocatorio[368].
In questo contesto si inserisce la riforma dell’art. 360, n. 5, c.p.c. che non indica più quale motivo di ricorso in Cassazione la contraddittorietà o insufficienza della motivazione, prevedendo oggi l’ammissibilità del rimedio nei confronti della sentenza soltanto nel caso di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». In questa sede, ci si limita a osservare con riferimento alla disciplina arbitrale che, a prescindere dalla condivisibilità di tale modifica o dalle sue possibili interpretazioni[369], la stessa è destinata a rafforzare l’indirizzo giurisprudenziale finora formatosi, secondo il quale la sussistenza del motivo di impugnazione per nullità del lodo di cui all’art. 829, co. 1, n. 5 è ravvisabile solo nel caso in cui la motivazione manchi del tutto o sia al suo interno talmente carente da non consentire la comprensione e l'individuazione della ratio decidendi[370]. Di qui, peraltro, la necessità di condividere l’auspicio di chi osservava, seppur prima della modifica dell’art. 360, n. 5, che sarebbe opportuno procedere «ad un’interpretazione evolutiva e adeguatrice della norma alle garanzie costituzionali dell’art. 111, co. 7 Cost.”[371].
b) La mancanza del dispositivo (art. 829 n. 5) e la contraddittorietà del dispositivo (art. 829, n. 11).
Rientra nel motivo individuato dall’art. 829, co. 1, n. 5, c.p.c., l’ipotesi di mancanza del dispositivo, intesa non come mancanza formale e quindi rilevante soltanto nel caso in cui il dispositivo non risulti chiaramente desumibile dal lodo[372]. In via autonoma e – per un certo verso contrapposta – è stata disciplinata la contraddittorietà delle disposizioni (art. 829, co.1, n. 11, c.p.c.). Dal quadro normativo ora delineato emerge una prima osservazione: il motivo in esame deve essere tenuto distinto da quello relativo all’omissione della motivazione[373]. La contraddittorietà del dispositivo ricorre tutte le volte in cui vi sia un vero e proprio contrasto fra le statuizioni del dispositivo ovvero fra dispositivo e motivazione, mentre non acquista alcun rilievo un eventuale vizio nell’iter logico-giuridico seguito dall’arbitro per pervenire alla deliberazione del dispositivo[374].
In questa ottica occorre altresì valutare l’ipotesi di contrasto fra lodo non definitivo e definitivo e fra lodo parziale e definitivo. Con riferimento alla prima ipotesi, contrasto fra lodo non definitivo e definitivo, atteso che in questo caso non si tratta di contrasto tra due decisioni ma di un contrasto nell’ambito dello stesso procedimento, si ritiene che lo stesso sia inquadrabile nel motivo di nullità costituito dalla sussistenza di disposizioni contraddittorie[375], al contrario di quanto statuito in giurisprduenza, per la quale si tratta di un’ipotesi di nullità per essere stata la pronuncia resa al di fuori dei limiti funzionali della convenzione di arbitrato[376]. Nel secondo caso, con riferimento ad un eventuale contrasto fra quanto statuito nel lodo parziale e nel lodo definitivo, si deve ritenere applicabile la disposizione dell’art. 829, co. 1, n. 8, c.p.c., perché trattasi di pronunce distinte e, una volta passato in giudicato il lodo parziale, il rimedio per risolvere un eventuale contrasto di pronunce è quello individuato in tale norma.
c) La mancanza della sottoscrizione.
A seguito della riforma, non è più necessario che il lodo sia sottoscritto da tutti gli arbitri, essendo sufficiente la sottoscrizione della maggioranza di essi, se accompagnata dalla dichiarazione che lo stesso è stato deliberato con la partecipazione di tutti e che gli altri non hanno voluto o non hanno potuto sottoscrivere (art. 823, n. 7, c.p.c.)[377]. Non è causa di nullità dello lodo, invece, la mancanza dell’indicazione della data della sottoscrizione (a norma dell’art. 829, co. 1, n. 5)[378]. Occorre, comunque, sottolineare che l’omissione della data non è di scarsa rilevanza atteso che dalla data della sottoscrizione decorrono sia il momento in cui il lodo è vincolante fra le parti sia il termine lungo per l’impugnazione e il dies ad quem per verificare il rispetto del termine della pronuncia degli arbitri. In caso di mancata indicazione della data di sottoscrizione del lodo non si è ritenuto di poter far ricorso al procedimento per ottenere la correzione del lodo a norma dell’art. 826, lett. a[379]. Il rimedio non pare appropriato, in ragione del fatto che mediante il procedimento di correzione possono oggi farsi valere le eventuali difformità tra gli originali del lodo, “pure se relativa alla sottoscrizione degli arbitri” ovvero può essere richiesta l’integrazione tramite correzione dei requisiti formali mancanti, espressamente indicati nella norma, fra i quali non è richiamata la data della sottoscrizione[380]. Analogamente non pare condivisibile la tesi per la quale – nel caso in cui vi sia assoluta incertezza circa la data della sottoscrizione del lodo – si dovrebbe ravvisare un’ipotesi di inefficacia del lodo[381], perchè la data della sottoscrizione «fa corpo con la sottoscrizione»[382] e, pertanto, la sua assenza comporterebbe non già la nullità del lodo quanto piuttosto il suo mancato perfezionamento. La conclusione è, peraltro, smentita dalla legge, perchè il lodo privo della sottoscrizione è nullo e come tale viene trattato.
La soluzione preferibile consiste nel fare ricorso ad altri elementi dell’atto o del procedimento, che consentano di individuare una data certa dalla quale far decorrere gli effetti del lodo. Più precisamente, in mancanza della indicazione della data, al fine di dare data certa al lodo dovrà farsi riferimento alla data della sua deliberazione, se indicata e, in difetto anche di tale requisito, alla data di comunicazione del lodo[383]. Nel caso in cui la parte, non voglia far valere la mancanza della data, ma sostenga – ai fini dell’accertamento della tardività del deposito – che il lodo arbitrale sia stato sottoscritto in data diversa da quella da esso risultante, la stessa dovrà promuovere querela di falso (nelle forme previste dall’art. 221 c.p.c.) atteso che con tale contestazione è dedotta una questione di falso[384].
Infine, è opportuno precisare che non rientra più fra i requisiti del lodo previsti a pena di nullità l’indicazione della sede dell’arbitrato.
A seguito della riforma dell’arbitrato del 1994 il criterio di attribuzione della nazionalità del lodo è individuato facendo riferimento alla sede dell’arbitrato. In particolare, come effetto dell’abrogazione dell’allora vigente art. 824, in base al quale il lodo doveva essere pronunciato nel territorio della Repubblica, il lodo è da qualificarsi italiano qualora le parti determinino la sede dell’arbitrato all’interno della Repubblica, non rilevando più il luogo di deliberazione del lodo. L’art. 816, del resto, espressamente specifica – conclusione alle quale era pervenuta la dottrina maggioritaria già prima dell’attuale modifica legislativa – che l’individuazione della sede abbia una valenza formale, non essendo necessario che il procedimento debba effettivamente svolgersi nella sede prescelta[385].
Si aggiunga che l’indicazione della sede in Italia non comporta l’automatica applicazione della disciplina interna dell’arbitrato, essendo le parti libere di determinare le regole che gli arbitri dovranno seguire nel procedimento, così consentendosi alle parti di avere un lodo italiano regolato da una disciplina processuale difforme da quella italiana. Questa soluzione è ormai condivisa anche in altri ordinamenti e in particolare quello tedesco che ha sostituito il «Prinzip des angewandten Verfahrensrecht» con il «Territorialitäsprinzip»[386], in base al quale è l’indicazione della sede prescelta per l’arbitrato a determinare la nazionalità del lodo (§ 1025 dZPO).
Per la disciplina austriaca[387] il § 595 öZPO (che corrisponde al 20 L.M. e al § 1043 dZPO) dispone che, accanto al criterio di determinazione della competenza legato alla sede del collegio arbitrale, si debba aver riguardo all’indicazione delle parti e in mancanza degli arbitri. Nel caso in cui il luogo della sede sia in Austria, trova applicazione il diritto processuale austriaco. Nel caso in cui le parti non abbiano diversamente stabilito, il collegio arbitrale potrà decidere di svolgere il procedimento, interamente o parzialmente in un altro luogo[388].
Nell’ambito dei motivi in esame rientrano tutte le ipotesi di vizi imputabili al fatto degli arbitri a seguito della gestione del procedimento arbitrale.
a) Violazione del termine per la pronuncia del lodo (art. 829, n, 6).
Il motivo in esame non richiede particolare approfondimento, limitandosi a prevedere, quale causa di nullità del lodo, la pronuncia oltre il termine previsto dall’art. 820, c.p.c. Trattasi di vizio sanabile nel senso che il decorso del termine può essere fatto valere come causa di nullità del lodo solo nel caso in cui la parte interessata abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende fare valere la loro decadenza (art. 821). L’unica precisazione riguarda il fatto che non è sufficiente che la parte sollevi l’eccezione nel procedimento arbitrale dovendo provvedere a notificare alle altre parti il relativo atto[389].
b) Violazione delle forme prescritte dalle parti a pena di nullità (art. 829, n.7).
Il motivo di nullità individuato dall’art. 829, co. 1, n. 7, c.p.c., riguarda l’inosservanza delle forme prescritte dalle parti a pena di nullità, salvo che la nullità non sia stata sanata. La norma racchiude in sé una novità di sicuro rilievo atteso che è attribuito alle parti il potere di determinare requisiti di forma non previsti dalla legge[390]. Secondo la formulazione previgente la nullità del lodo per inosservanza delle forme processuali soggiaceva a una duplice condizione: la previsione legislativa espressa della forma processuale la cui violazione fosse sanzionate ex lege di nullità; la volontà delle parti di applicare tali regole di forma (o requisiti formali) al procedimento arbitrale[391]. Come è stato osservato, quindi, il motivo di cui all’art. 7 sottostava a un «duplice manifestazione di volontà – normativa e poi pattizia – quanto alla sanzione di nullità»[392]. In altre parole, la nullità per inosservanza delle forme ricorreva se prevista per legge e se le parti avessero fatto rinvio a tale disciplina[393].
Ciò premesso, la disciplina in esame suscitava taluni dubbi applicativi. In particolare, ci si interrogava sulle conseguenze della violazione delle prescrizioni di forma disposte dal legislatore per il procedimento arbitrale, domandandosi se il lodo pronunciato in violazione di tali disposizioni dovesse essere colpito o meno dalla sanzione di nullità. Tale quesito veniva prevalentemente risolto nel senso di escludere che la violazione delle prescrizioni di forma previste ex lege per il procedimento arbitrale potesse in via generale configurare un’ipotesi di nullità del lodo per inosservanza delle forme[394]. D’altro canto si rilevava che la violazione di tali prescrizioni non sempre restava priva di sanzione[395] perché, «secondo unanime orientamento, la violazione dei principi fondamentali del processo, vale a dire dei canoni fondamentali volti a garantire la funzionalità e ad assicurare il rispetto del diritto di difesa delle parti è sempre sindacabile in sede di impugnazione, a prescindere dalla previsione delle parti e della sanzione espressa di nullità»[396]; analoga conclusione era estesa alla violazione dei principi fondamentali di rango costituzionale[397].
La norma vigente sovverte il requisito della duplice manifestazione di volontà, riservando alle parti il potere di individuare nuove fattispecie di nullità formali il cui mancato rispetto causa la nullità del lodo per inosservanza delle forme, salva l’avvenuta sanatoria del vizio. La sua introduzione, pertanto, può essere salutata favorevolmente in quanto consente alle parti di individuare fattispecie di nullità ulteriori rispetto a quelle del processo civile ordinario che possano tenere conto anche di alcuni profili di specificità del procedimento arbitrale[398].
La norma in esame si concilia agevolmente, altresì, con la natura e lo scopo dell’arbitrato, che riflettono esigenze di rapidità che – pur non sacrificando il rispetto delle garanzie processuali minime dell’uguaglianza delle parti e dell’esercizio del diritto di difesa – non sempre si conciliano con la scelta di rinviare alla forme previste per il processo ordinario di cognizione[399]. E invero, è condivisibile l’osservazione secondo la quale – nel rispetto dei limiti ora indicati – il processo arbitrale debba essere un processo semplificato[400], sebbene sempre nel rispetto delle garanzie processuali fondamentali, in particolare del principio del contraddittorio, quale espressione imprescindibile del diritto di difesa delle parti.
Alla luce di queste osservazioni è inoltre possibile dare risposta al trattamento da riservare all’atto del procedimento da qualificarsi nullo a norma di legge e rispetto al quale, peraltro, le parti abbiano espressamente escluso la nullità[401]. Al riguardo – se si tiene conto della ratio della norma, che appare diretta ad attribuire alle parti il potere di imporre prescrizioni di forma a pena di nullità e, quindi, di ampliare le ipotesi di nullità previste dalla legge – la conclusione non può non essere nel senso di escludere in capo alle parti il potere di derogare alle previsioni di nullità espressamente contemplate dalla legge. Tale conclusione trova conforto innanzitutto nel principio generale per cui – essendo la nullità prevista nell’interesse generale – non può essere consentito alla parte (ancorché parti di un giudizio strutturato su una scelta dell’autonomia privata) di disporre di tale interesse.
Si aggiunga che – nel processo – la sanzione di nullità è diretta a garantire il rispetto dei «canoni fondamentali» che presidiano la funzionalità e assicurano «il rispetto del diritto di difesa delle parti». Consentire alle parti del procedimento arbitrale di escludere la sanzione di nullità per ipotesi previste dal codice significa attribuire alle stesse il potere di programmare e conseguire un risultato contrario alla legge e/o ai principi fondamentali di rango costituzionale. Nulla viene previsto per le cause di sanatoria legali, che rimangono tali[402].
c) Contrarietà del lodo ad altro precedente lodo non più impugnabile o ad altra sentenza passata in giudicato.
Il motivo individua la causa di nullità del lodo nella contraddittorietà rispetto a un precedente giudicato[403], a condizione che la precedente sentenza ormai passata in giudicato o il precedente lodo non più impugnabile siano prodotti nel giudizio arbitrale[404]. La modifica apportata dalla riforma, offre un’indicazione chiara circa il profilo legato alla rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di giudicato[405], sempre che risulti dagli atti del procedimento, «similmente a quanto si verifica (ormai anche secondo la giurisprudenza) nel giudizio ordinario»[406].
Il testo novellato non ha superato il quesito relativo all’applicabilità della disposizione in esame – oltre al caso in cui il precedente lodo o la precedente sentenza abbiano ad oggetto la medesima causa[407] – nell’ipotesi in cui sussista un nesso di «pregiudizialità, incompatibilità, concorrenza rispetto alle situazioni giuridiche risolte con il lodo o la precedente sentenza»[408]. Applicabilità esclusa dalla giurisprudenza[409] e, al contrario, sostenuta dal prevalente orientamento dottrinale[410].
Ulteriore profilo che desta perplessità interpretative riguarda le conseguenze del mancato rilevo dell’omissione di pronuncia degli arbitri. In particolare si discuteva circa il fatto se la formulazione del motivo n. 4, nella parte in cui individuava come impugnabile per nullità «il lodo che non ha pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso», ricomprendesse o meno l’omissione di pronuncia degli arbitri sulle eccezioni delle parti[411], oltre che sulle domande[412]. La nuova formulazione dissipa ogni dubbio, prevedendo espressamente l’impugnabilità del lodo per avere gli arbitri omesso di pronunciare su domande ed eccezioni proposte dalle parti. La norma ha il merito, accomunando i due termini, di liberare gli interpreti dall’onere di troppo sottili distinzioni fra quesiti-domande e quesiti-eccezioni[413].
Il motivo di nullità di cui all’art. 829, co. 1, n. 8, come in precedenza osservato, è applicabile al contrasto fra lodo definitivo e lodo parziale.
Ultimo profilo da trattare riguardo alla causa di nullità del lodo per contraddittorietà dei giudicati concerne le conseguenze della mancata proposizione dell’impugnazione per tale motivo; in altre parole si pone il quesito se debba prevalere il precedente lodo non più impugnabile (e/o la sentenza passata in giudicato) oppure il successivo lodo non impugnato. La soluzione preferibile è nel senso della prevalenza del secondo provvedimento, perché il mancato esperimento dell’impugnazione, come la mancata allegazione del precedente giudicato, dovrebbero essere interpretati come rinuncia a far valere la precedente decisione[414]. Del resto la soluzione in esame è quella accolta anche dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza nell’ipotesi in cui la contraddittorietà dei giudicati si verifichi fra due sentenza; conclusione che si ispira al principio dell’art. 395, n. 5, «dal quale si dedurrebbe che la seconda sentenza rimane ferma e vincolante, in assenza di impugnativa»[415].
d) violazione del principio del contraddittorio (art. 829, n. 9).
Il motivo in esame introduce – quale ulteriore ragione di impugnazione per nullità – la violazione del principio del contraddittorio durante lo svolgimento del procedimento arbitrale. Esso impone – quale regola espressa di diritto, valida anche nel procedimento arbitrale – la tutela del principio del contraddittorio, così dando vita ad una disciplina che, nel sanzionare specificamente il lodo affetto da tale vizio, risulta – secondo alcuni – anche più «avanzata» di quella vigente per il processo davanti al giudice ordinario[416].
Il motivo disciplinato dall’art. 829, n. 9 introdotto con le riforma del 1994, per la verità ha da sempre trovato applicazione con riguardo all’istituto dell’arbitrato rituale[417]. Come da altri posto in evidenza, la violazione del principio del contraddittorio nel procedimento arbitrale rileva sotto due profili: nella mancanza di una delle parti al momento dell’instaurazione del procedimento arbitrale, c.d. contraddittorio statico; nel privare le parti del potere di contraddire in modo pieno e reciproco all’interno del procedimento arbitrale, c.d. contraddittorio dinamico[418]. Rientrano nella fattispecie in esame le violazioni riconducibili al secondo tipo, riguardanti il rispetto del contraddittorio «all’interno» del procedimento arbitrale[419].
Sotto questo profilo, il rispetto del principio del contraddittorio, costituisce da un lato un limite al potere regolamentare delle parti o degli arbitri[420] e, dall’altro, essenziale garanzia per l’esercizio del diritto di difesa delle stesse. In questa prospettiva, l’obbligo degli arbitri di rispettare il principio del contraddittorio si traduce in differenti precetti che – nel rispetto del principio fondamentale della garanzia del trattamento paritetico delle parti – vanno dalla comunicazione alle parti delle regole del processo[421] al rispetto della «parità delle armi» sia nell’attività di allegazione sia nello svolgimento dell’istruzione probatoria[422] sino – per taluni – al diritto all’imparzialità dell’arbitro, quale condizione essenziale perché le parti possano ottenere giustizia[423].
Dubbio è se gli arbitri debbano suscitare il dibattito nel contraddittorio delle parti sulle questioni di diritto[424] e sulle questioni di merito riguardanti l’esistenza o inesistenza di un fatto costitutivo, estintivo o modificativo del diritto dedotto in giudizio[425]. Al riguardo è stato rilevato che il principio del contraddittorio opera non solo nei confronti delle parti ma anche del giudice e dell’arbitro[426] e che deve pertanto condizionarne i provvedimenti e l’attività istruttoria[427]. In senso favorevole alla sussistenza di tale obbligo si è espressa parte della dottrina, sottolineando che gli arbitri devono sottoporre all’attenzione delle parti anche gli argomenti giuridici su cui ritengono che si possa fondare la decisione, quando gli stessi non siano conosciuti dalle parti, che pertanto non possono prevederne l’applicazione[428]. E’ opportuno sottolineare con riguardo al rilievo della violazione del contraddittorio, che tale causa di nullità del lodo può essere denunciata per la prima volta in sede di impugnazione, atteso che il vizio in esame non rientra fra i motivi per i quali il legislatore prevede un previo onere di rilevazione nel corso del procedimento in esame.
Non si deve tralasciare di considerare che nel caso in cui la violazione del contraddittorio si risolva in un vizio di nullità formale, l’operatività del motivo in esame risulta attenuata, atteso che in tale circostanza valgono i principi che disciplinano le nullità relative, ivi compresa la possibilità di sanatoria del vizio, in caso di mancata tempestiva rilevazione dello stesso ad opera della parte[429]. Al fine di dare una soluzione al problema, appare condivisibile l’orientamento per il quale i motivi in esame operano su piani diversi; pertanto un’interpretazione che voglia tradurre il principio del contraddittorio in termini di effettività, piuttosto che di formalismo, dovrà portare a ravvisare un’ipotesi di violazione di cui al motivo n. 9 dell’art. 829 ogniqualvolta la parte sia lesa nel suo diritto di difesa[430].
Circa le conseguenze del vizio e quindi della sanzione a esso collegata, si discute se la sanzione debba consistere necessariamente nella nullità del lodo ovvero debba essere valutata «tenendo conto del profilo sostanziale del contraddittorio e dello scopo che tale garanzia intende attuare in concreto»[431]. In punto la dottrina sembra divisa con specifico riferimento al materiale probatorio[432] e alle questioni rilevabili d’ufficio[433] (tale profilo è oggetto ancor oggi di vivace dibattito con riferimento alle conseguenze derivanti dalla pronuncia di una sentenza fondata su questioni rimaste estranee alla discussione[434]). Con riferimento all’ultimo profilo richiamato – decisioni della «terza via» – si ritiene che in tale ipotesi la violazione del contraddittorio comporti la nullità della pronuncia per violazione del principio sanzionato dall’art. 101, co. 2, c.p.c., essendo indubbio che la norma citatata sanzioni di nullità la pronuncia fondata sulla soluzione di questioni rimaste estranee alla discussione[435]. Ciò anche perché l’accoglimento della soluzione contraria imporrebbe al soccombente l’onere di dedurre la causalità del vizio processuale, onere che nel nostro ordinamento, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti (infra, nel testo), non è contemplato e non può certo essere introdotto in via interpretativa[436].
Con specifico riferimento al lodo, è condivisibile l’opinione che riconduce la violazione in esame nell’ambito applicativo del n. 9 dell’art. 829, c.p.c., a norma del quale la mancata osservanza nel procedimento arbitrale del principo del contraddittorio è motivo di annullamento del lodo[437].
Detto ciò – escluse le ipotesi in cui la violazione del contraddittorio sia conseguenza della mancata osservanza del principio di cui all’art. 101, co. 2, c.p.c., che costituiscono di per sè violazioni del principio del contraddittorio – occorre valutare se ogni violazione del contraddittorio comporti la nullità del provvedimento. Sotto questo profilo, per orientamento giurisprudenziale consolidato si deve ritenere che nel procedimento arbitrale l’omessa osservanza del principio del contraddittorio non sia un vizio formale, ma di procedura (attività). Da ciò consegue – secondo tale orientamento – che, ai fini della declaratoria di nullità, sia necessario accertare la «concreta menomazione del diritto di difesa», tenendo conto delle modalità del confronto tra le parti e delle possibilità, per le stesse, di esercitare, su un piano di uguaglianza, le facoltà processuali loro attribuite[438]. Pertanto, qualora l'omessa osservanza del contraddittorio implichi una compressione del diritto alla difesa della parte processuale, la sua occorrenza determina la nullità del procedimento arbitrale, che può essere però sanata dal raggiungimento dello scopo[439]. In applicazione di tale principio, si è escluso che nel procedimento arbitrale l’omessa comunicazione al consulente tecnico di parte, già nominato, delle indagini predisposte dal consulente d'ufficio sia causa di nullità, ove il consulente della parte interessata avrebbe potuto essere informato di tali operazioni dal difensore della medesima, regolarmente avvisato[440]. Si è inoltre affermato che la fissazione, da parte degli arbitri, di un’unica udienza per la precisazione delle conclusioni ed il deposito delle comparse conclusionali, ossia per l’illustrazione delle conclusioni, con fissazione di un ulteriore termine per il deposito da entrambe le parti delle memorie di replica, non violi il principio del contraddittorio[441].
Detto ciò, pur condividendo la tesi che ai fini declaratoria di nullità sia necessario accertare la «compressione del diritto di difesa della parte»,«tenendo conto del profilo sostanziale del contraddittorio e dello scopo che tale garanzia intende attuare in concreto»[442], allo stesso tempo – anche alla luce dell’applicazone che di tale principio ha fatto la giurisprudenza – occorre sottolineare che ciò non significa che il principio della libertà delle forme, cui si ispira il procedimento arbitrale, più volte invocato dalla giurisprudenza, possa giustificare il superamento del rispetto del principio del contraddittorio[443]. Giova in punto richiamare l’osservazione che evidenzia come tale norma «finisca con l’essere la chiave di lettura di numorese disposizioni ormai inadeguate», perché formulate quando non era certo che la domanda di arbitrato desse luogo ad un processo[444].
Il sistema dei vizi dell’ordinamento italiano ora esposti può essere utilmente confrontato con la disciplina diretta a garantire la tutela dei principi fondamentali del procedimento arbitrale relativi al leale trattamento delle parti e alla tutela del principio del contraddittorio accolta nell’ordinamento austriaco e tedesco[445].
La tutela del principio del contraddittorio è – nell’ordinamento austriaco non diversamente da quello italiano – coordinata con le altre ipotesi che disciplinano un principio fondamentale del procedimento, e specificamente con le altre ipotesi che disciplinano i motivi di annullamento del lodo per violazione dell’ordine pubblico processuale (§ 611 Abs. 2 Z. 5 öZPO).
Essa si sostanzia nei mezzi di impugnazione del lodo individuati al § 611 Abs. 2 Z. 2 öZPO relativi al caso in cui non sia stato ritualmente portato a conoscenza di una parte la nomina di un arbitro o del procedimento arbitrale (violazione formale del contraddittorio) oppure al caso in cui una parte non abbia potuto per qualsiasi altro motivo far valere i suoi «mezzi di attacco o di difesa» (ihre Angriffs- oder Verteidigungsmittel) che trova corrispondenza nell’art. 18 L. M. (violazione sostanziale del contraddittorio). In punto il concorso di norme è regolato nel senso che nell’ipotesi in cui la violazione del principio del contraddittorio comporti la violazione dell’ordine pubblico processuale[446], non assume rilevanza decisiva valutare se il lodo sia annullabile anche a norma del § 611 Abs. 2 Z. 2 öZPO (ossia mancato esercizio dei «mezzi di attacco e di difesa» della parte).
Nell’ipotesi in cui, al contrario, non sia configurabile un motivo di violazione della norma da ultimo citata (Z. 2), non è neanche da prendere in considerazione la sussistenza dell’ipotesi di vizio dell’ordine pubblico processuale (Z. 5)[447]. Quest’ultima ipotesi quest’ultima oggi ricade comunque nell’ambito applicativo della norma in esame nella parte in cui individua quale causa di annullamento del lodo qualsiasi motivo che abbia impedito alla parte di esercitare i propri mezzi di attacco o di difesa[448].
Il motivo in esame corrisponde al motivo di cui al § 611 Abs. 2 Z. 2 öZPO, sul quale ci si è in precedenza soffermati. In realtà le due norme coincidono anche sotto il profilo testuale. A norma del § 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. b dZPO, la parte che impugna il lodo può chiederne l’annullamento affermendo di non aver potuto far valere i propri «mezzi di attacco o di difesa» (ihre Angriffs- oder Verteidigungsmittel) a causa della mancata conoscenza della nomina di un arbitro o del procedimento arbitrale, ovvero, più in generale, per la sussistenza di qualsiasi altro motivo che abbia impedito l’esercizio di tali poteri. Si tratta in questo caso, di vizi del procedimento arbitrale che si riferiscono più precisamente all’omissione (Unterlassungen) di tutti o alcuni atti processuali che furono determinati per il lodo (die für den Schiedsspruch kausal wurden)[449] e che inoltre possono rappresentare una violazione del principio del contraddittorio, fattispecie quest’ultima che ricade nell’ambito applicativo del motivo in esame (§ 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. b dZPO).
Più precisamente, con riferimento alle ipotesi specificatamente indicate nella prima parte della norma in esame, ossia relative alla mancata conoscenza della nomina di un arbitro o del procedimento per la nomina arbitrale, si deve far riferimento a quanto statuito rispettivamente nei §§ 1035 e 1047 Abs. 2 e 3 dZPO. In particolare, si fanno rientrare nell’ambito applicativo della norma in esame (§ 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. b dZPO, prima parte), l’ipotesi in cui la controparte non riveli il nome del proprio arbitro o del presidente del collegio arbitrale ovvero quando sia previsto un termine per la nomina dell’arbitro troppo corto[450].
Con riferimento all’ultima causa di annullamento del lodo, nel caso in cui la parte eccepisca di non avere potuto esercitare pienamente il proprio diritto di azione e di difesa, le fattispecie in essa ricomprese sono le più varie (ad es. mancata notifica degli atti di parte; richiesta di ammissione di prova rigettata senza motivazione; mancato esame di produzioni tardive, sebbene la tardività fosse scusabile o il termine di legge fosse troppo breve) (§ 1046 dZPO)[451], anche se si discute se il vizio possa essere fatto valere come motivo di impugnazione, qualora si abbia la certezza che il vizio non ha in alcun modo influito sul risultato del lodo[452].
Un primo profilo che merita di essere segnalato è, come già ricordato, quello relativo al fatto che nella disciplina austriaca e in quella tedesca il legislatore espressamente distingue le ipotesi in cui il vizio è rilevabile unicamente su istanza di parte dalle ipotesi, limitate a due casi, in cui l’eccezione è rilevabile anche d’ufficio, ancor quando sia decorso il termine per impugnare il lodo. I due motivi per i quali ciò è ammesso sono la violazione dell’ordine pubblico (la disciplina autriaca precisa, dell’ordine pubblico sostanziale) e la non compromettibilità della controversia.
La disciplina austriaca prevede come motivo di impugnazione del lodo la contraddittorietà del procedimento arbitrale all’ordine pubblico processuale. In punto giova sottolineare che la disciplina austriaca contempla due ipotesi distinte di impugnazione del lodo per violazione dell’ordine pubblico: la violazione dell’ordine pubblico processuale (§ 611 Abs. 2 Z. 5 öZPO) e la violazione dell’ordine pubblico sostanziale (§ 611 Abs. 2 Z. 8 öZPO); la prima rilevabile su istanza di parte, la seconda anche d’ufficio.
Il primo caso disciplinato dalla norma (Z. 5) riguarda l’annullamento del lodo per violazione dell’ordine pubblico processuale, la cui impugnazione è consentita quando lo svolgimento del procedimento arbitrale sia in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento austriaco. La previsione ha lo scopo di porre fine al dibattito, sorto in dottrina e in giurisprudenza, relativo all’individuazione delle fattispecie di annullamento del lodo ricomprese nell’ambito della nozione di ordine pubblico. Più precisamente, muovendo dal tenore letterale della previgente formulazione del motivo (§ 595 Abs. 1 Z. 6 öZPO, a.F.)[453], che – non distinguendo le due ipotesi – individuava come motivo di annullamento del lodo il più generale principio della contrarietà del lodo ai principi fondamentali dell’ordinamento austriaco, l’orientamento della giurisprudenza si era indirizzato nel senso di considerare coperte dall’ambito applicativo del vizio, le violazioni dell’ordine pubblico sostanziale e, sotto il profilo processuale, unicamente la violazione del principio del contraddittorio[454].
La formulazione della norma ha, secondo quanto affermato dalla dottrina, lo scopo di limitare l’operatività del motivo in esame ai vizi del procedimento arbitrale che siano talmente gravi da essere inaccettabili dall’ordinamento, escludendo la possibilità di far valere come causa di annullamento del lodo i meri vizi del procedimento arbitrale (etwa bloße Mängel der prozessualen Stoffsammlung)[455].
Si ritiene che rientrino nell’ambito applicativo della norma, la violazione del principio di imparzialità e di indipendenza degli arbitri; la violazione delle norme sulla rappresentanza della parte, la partecipazione al procedimento arbitrale di una parte priva della capacità processuale[456]; si esclude, invece, che vi rientrino le ipotesi di mancata partecipazione di tutti gli arbitri alla conferenza telefonica[457], la mera allegazione di una falsa testimonianza nel procedimento [458].
La contrarietà del lodo all’ordine pubblico sostanziale è un vizio rilevabile d’ufficio (§ 611 Abs. 2 Z. 8 öZPO), nel quale si fanno normalmente rientrare le violazioni dei principi fondamentali della Costituzione, del diritto penale, privato, processuale e pubblico[459]. Si tratta di un’ipotesi di vizio più severa del vizio relativo alla violazione di norme imperative, perchè non tutte le violazioni di norme cogenti comportano una violazione dell’ordine pubblico sostanziale.
Deve, inoltre, essere sottolineato il fatto che, nel diritto austriaco, l’impugnazione del lodo ha natura costitutiva e non può mai portare ad una revisione nel merito del lodo. Ciò significa che l’esame relativo alla sussistenza del vizio offre soltanto la possibilità di ottenere l’annullamento del lodo ma non può costituire fondamento di diritto per accertare se e in che misura le questioni di fatto o di diritto oggetto del procedimento siano state correttamente risolte dagli arbitri[460].
Determinante ai fini dell’accertamento della sussistenza del vizio non è il procedimento o la motivazione, ma il risultato del lodo. Ciò significa che nell’accertamento della sussistenza di questo vizio il giudice non può limitarsi a valutare il lodo in sè ignorando il negozio giuridico che ne sta a base[461]. Con riferimento alla possibilità di non osservare il lodo (§ 613 öZPO) si rinvia al paragrafo relativo alla non compromettibilità della controversia.
A differenza dell’ordinamento austriaco, il diritto tedesco prevede quale unico motivo di impugnazione del lodo per contrarietà all’ordine pubblico, l’ipotesi in cui il riconoscimento o l’esecuzione del lodo portino ad un risultato contrario all’ordine pubblico[462].
Il vizio in esame è rilevabile d’ufficio dal giudice. Non tutti i casi di violazione delle norme imperative rientrano nell’ambito applicativo della norma, ma soltanto quelle che costituiscono violazione delle norme e dei principi fondamentali dell’ordinamento. Tali debbono intendersi i principi fondamentali relativi ai rapporti di natura sociale ed economica ma anche quelli che riguardano i principi elementari di giustizia. In linea generale può dirsi che siano riconnducibili alla fattispecie in esame tutte le ipotesi di contrarietà all’ordine pubblico sostanziale nonché quelle in contrasto con uno standard minimo di giustizia processuale[463].
La violazione dell’ordine pubblico sostanziale ricorre ogni qualvolta il riconoscimento del lodo violi i principi fondamentali che regolano i fondamenti socio-economici della vita dello Stato (welche die Grundlagen des staatlichen oder wirtschaftlichen Lebens regeln) oppure quando si pongano in evidente contrasto con i principi sostanziali del diritto[464]. A titolo di esempio rientrano in questa ipotesi la condanna a una prestazione vietata dalla legge oppure la contrarietà del lodo al buon costume; alle previsioni sul blocco di prezzi nonchè ancora alle norme sulla concorrenza[465].
Rientrano nella violazione dell’ordine pubblico processuale la violazione delle norme sulla rappresentanza della parte e quella sul contraddittorio, che costituisce la fattispecie più rappresentativa del vizio in esame[466] e anche quella con maggiore margine di incertezza, in considerazione del fatto che le violazioni del principio del contraddittorio rappresentano una categoria molto ampia che ricomprende ipotesi diversificate di vizio. Poichè non tutte le violazioni del contraddittorio sono configurabili come violazioni dell’ordine pubblico processuale, occorre coordinare la portata applicativa del vizio in esame con la previsione individuata al §1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. d dZPO[467]. Differenza di non poco conto quando si considerino la differenza del rilievo del vizio e il fatto che in quest’ultimo caso il vizio deve riflettersi sul lodo per potere costituire motivo di impugnazione[468].
Il secondo motivo per il quale è previsto il rilievo d’ufficio oltre il termine per impugnare il lodo è quello relativo alla non compromettibilità della controversia.
Il lodo austriaco è impugnabile a norma del § 611 Abs. 2 Z. 6 öZPO nell’ipotesi in cui sussitano i casi di revocazione individuati dal § 530 Abs. 1 da Z. 1 fino a Z. 5 öZPO. Deve essere evidenziato che il richiamo ai motivi della revocazione è limitato nell’attuale formulazione legislativa ai numeri da 1 a 5 [469], motivi che hanno rilevanza penale, invece che alla più ampia previsione della previgente disciplina, che ricomprendeva tutti i motivi di revocazione della sentenza, incluse quindi anche le ipotesi individuate alle Z. 6 (scoperta di una precedente decisione sulla controversia) e 7 (scoperta o possibilità di provare nuovi fatti o mezzi di prova)[470]. I motivi ora richiamati continuano a essere causa di annullamento del lodo con riferimento alle controversie nelle quali sia parte il consumatore (§ 617 Abs. 6 Z. 2 öZPO) o il lavoratore (§ 618 öZPO).
L’eliminazione dei motivi di revocazione per le altre controversie si spiega con lo scopo di evitare che l’incertezza circa la validità del lodo si protragga troppo a lungo, scoraggiando così la scelta dell’Austria come sede per lo svolgimento di procedimenti arbitrali[471]. Il caso di cui al Z 6 (scoperta di una precedente decisione sulla controversia) può farsi rientrare nella violazione all’ordine pubblico processuale (cfr. supra par. 9). La differenza consiste da un lato nel rilievo processuale del vizio e dall’altro nel termine per farlo valere.
Come in precedenza ricordato il motivo relativo alla contrarietà del lodo all’ordine pubblico processuale non è rilevabile d’ufficio e il termine per la sua impugnazione decorre dal momento della comunicazione del lodo. Nel caso, invece, dei motivi di revocazione che, con riferimento al lodo, sono solo quelli di rilevanza penale, si ritiene applicabile riguardo al termine, quello più favorevole individuato dal § 534 öZPO per la proposizione della domanda di revocazione[472].
In punto occorre ricordare che era discussa la costituzionalità della previdente norma del § 598 Abs. 2 che consentiva a imprenditori (Unternehmer) di rinunciare al motivo di impugnazione del lodo sopra richiamato. Si faceva notare in merito che nei casi in cui è ammessa la revocazione figurano fattispecie penalmente sanzionabili e pertanto si riteneva che la norma da ultimo citata si ponesse in aperto contrasto con l’art. 6 EMRK[473]; la disposizione è stata eliminata dal legislatore della riforma e non è più un motivo rinunciabile.
La disciplina italiana, non diversamente da quanto previsto nell’ordinamento austriaco e tedesco, prevede espressamente, in seguito alla riforma del 2006, l’impugnabilità del lodo per contrarietà all’ordine pubblico. Punto nodale della disciplina è quello di delimitare l’ambito di operatività del motivo in esame. In particolare, occorre domandarsi se nell’ambito della nozione di ordine pubblico contemplata dal vizio in esame ricada anche la violazione dell’ordine pubblico processuale e, inoltre, se la violazione debba riguardare l’ordine pubblico interno o anche quello internazionale. Al fine di giungere a una corretta interpretazione del dato normativo non può prescindersi dal richiamo contenuto nella legge delega n. 80 del 2005, ai «principi fondamentali dell’ordinamento giuridico».
Ciò premesso, resta da chiarire se tali siano quelli trasfusi in norme imperative ovvero, più in generale, quelli posti a tutela dell’ordinamento giuridico inteso nel suo insieme[474]. Sotto questo profilo non pare vi siano dubbi sul fatto che la nozione di ordine pubblico si stia evolvendo in senso «meta-giuridico» e che pertanto debba essere intesa come nozione «di tipo etico e socio-politico»[475] e, come tale, preposta alla tutela dei principi fondamentali dell’ordinamento nel suo insieme.
Orbene, con più specifico riferimento al significato da attribuire al lodo affetto da tale vizio, l’orientamento della giurisprudenza si esprime a favore di una concezione della nozione di ordine pubblico estesa alle ipotesi di violazione dell’ordine pubblico processuale, inteso essenzialmente come violazione del principio del contraddittorio[476]. Peraltro, poiché tale ipotesi di violazione – a differenza di quello che accade in altri ordinamenti – è oggetto di specifica tutela (art. 829, n. 9), non paiono agevolmente configurabili altre fattispecie che possano comportare vizi dell’ordine pubblico processuale diverse da quella espressamente contemplata all’art. 829, n. 9. Pertanto, se è vero che l’orientamento della giurisprudenza non sembra precludere un’interpretazione del vizio in esame volta a ricomprendere al suo interno anche le violazioni di natura processuale, al contempo si deve constatare che la portata applicativa di tale vizio appare quantomeno residuale.
Con riferimento alla violazione dell’ordine pubblico sostanziale, la ricorrenza di tale vizio può configurarsi ogniqualvolta il lodo comporti «l'inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti». Pertanto nell’ipotesi in cui le parti abbiano autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità ovvero abbiano scelto un arbitrato di diritto rinunciando alla possibilità di impugnare il lodo per violazione delle regole di diritto, potranno invocare il vizio in esame al fine di impugnare il lodo che abbia pronunciato in violazione di tali principi[477].
Infine, con riferimento alla possibilità che la nozione di ordine pubblico debba essere intesa anche con riferimento al diritto interno o al diritto internazionale, si ritiene che costituisce violazione dell’ordine pubblico anche quella concernente la normativa comunitaria che svolge una funzione integrativa rispetto alle garanzie interne[478].
La norma in realtà suscita maggiori perplessità non tanto con riferimento alla delimitazione dell’ambito applicativo, quanto piuttosto con riferimento al rilievo del vizio. La norma, infatti, assoggetta la violazione dell’ordine pubblico al regime degli altri vizi contemplati dall’art. 829, c.p.c., precludendo, quindi, la possibilità del rilievo del vizio una volta decorsi i termini di impugnazione. In punto, valgono le stesse osservazioni compiute (infra Sez. I, par. 17) con riferimento all’inadeguatezza della tutela offerta dalla disciplina italiana riguardo alla tutela apprestata dall’ordinamento nei confronti del lodo che abbia pronunciato su materia non compromettibile e alla soluzione che sarebbe de jure condendo auspicabile.
Un dato emerge dall’analisi della categoria di vizi che, salva diversa volontà delle parti, danno accesso alla seconda fase del giudizio di impugnazione per nullità del lodo (che culmina nella decisione della causa nel merito da parte della Corte d’appello): la varietà delle tipologie di vizio del lodo ivi ricomprese. Come in precedenza ricordato, rientrano in tale categoria: il vizio della pronuncia del lodo per violazione delle norme di diritto; l’omissione di pronuncia del lodo su alcune domande e/o eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato; la mancanza di alcuni requisiti del lodo e i vizi del procedimento arbitrale.
Una prima considerazione emerge dall’analisi dei differenti tipi di vizio del lodo: l’oggetto del giudizio rescissorio, conseguente alla sentenza di annullamento del lodo, non può essere identico per tutti i tipi di vizio, in considerazione da un lato della differente gravità degli stessi e, dall’altro, del diverso momento in cui il vizio colpisce il procedimento arbitrale (il tema sarà afforntato infra, nella Parte terza, Cap. II, Sez. II).
[1] In argomento, Reiner, Das
neue österreichische Schiedsrecht, SchiedsRÄG 2006 – The new Austrian
Arbitration Law, Arbitration Act 2006, cit., p. 49, nt. 192; Zeiler, Schiedsverfahren, cit., sub § 611, Rz. 11.
[2] In quest’ultimo caso, nell’ipotesi in cui il giudice accolga l’impugnazione del lodo la conseguenza è quella di imporre all’arbitro di svolgere il giudizio arbitrale. Fattispecie particolare in considerazione del fatto che nella disciplina previgente nel caso di pronuncia di incompetenza dell’arbitro la controversia doveva essere decisa dal giudice ordinario.
[3] Ci si riferisce alla legge di riforma SchiedsRÄG 2006, BGBl. I Nr. 7/2006, cfr., quanto osservato nella Parte prima, Cap. I, par. 14.
[4] In punto, Reiner, Die
internationale Schiedsgerichtsbarkeit nach österreichischem und französischem
Recht, ZfRV, 1986, p. 162 ss., 176.
[5] Così, Bajons,
in Krilyszyn, Bajons, Zur
Internationalisierung des österreichischen Schiedsrechts, in
Jahrbuch für die Praxis der Schiedsgerichtsbarkeit, Heidelberg, 1987, p.
237.
[6] Sempre, Bajons,
Zur Internationalisierung des österreichischen Schiedsrechts, cit.,
p. 237.
[7] La norma consente così di evitare di considerare l’ipotesi di lodo pronunciato in presenza del vizio in esame (mancanza di una valida convenzione arbitrale) come caso di «Nichtschiedsspruch», sul punto cfr. Zeiler, Schiedsverfahren, cit., sub § 611, Rz. 9. Non rientra invece nell’ipotesi disciplinata dal § 611 Abs. 2 Z. 1 öZPO il caso in cui in presenza di una valida convenzione di arbitrato, l’oggetto della domanda proposta dalla parte non rientri nell’ambito della convenzione stessa, trovando invece applicazione l’Abs. 2 Z. 3, che disciplina l’ipotesi in cui il lodo contenga una decisione che eccede il limite alla potestas iudicandi degli arbitri stabilito dalle parti nella convenzione di arbitrato.
[8] Il § 583 öZPO previgente individuava le ipotesi in cui la convenzione di arbitrato perdeva vigore; a titolo di esempio, si può ricordare l’ipotesi in cui le parti non fossero riuscite a mettersi d’accordo per la nomina dell’arbitro nel caso in cui la nomina dovesse essere effettuata congiuntamente dalle stesse.
[9] In punto, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 93; Kloiber, Haller, Das neue
Schiedsverfahrensrecht – eine Einführung, in Kloiber, Rechberger; Oberhammer, Haller, Das neue
Schiedsrecht. Schiedsrechts-Änderungsgesetz 2006, cit., p. 57; Riegler, in Riegler, Petsche, Fremuth-Wolf, Platte, Liebscher, Arbitration
Law of Austria: Practice and Procedure, New York, 2007, sub sec.
611, mn. 23.
[10] In questo senso, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 93.
[11] Il § 583 öZPO, che individuava le fattispecie in cui la convenzione di arbitrato perdeva vigore, è stato abrogato dalle modifiche introdotte dalla legge di riforma della disciplina austriaca dell’arbitrato, cfr. quanto osservato alla nt. 8.
[12] Il § 1059 Abs. 2 Nr.1 lit. a dZPO e l’art. 34, co. 2, lett. a (i) UNCITRAL Model Law prevedono un’analoga disposizione che valuta i requisiti di validità della convenzione arbitrale sulla base della legge scelta dalle parti ovvero, in mancanza di tale determinazione, occorre aver riguardo, a norma del § 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. a, alla disciplina dello Stato tedesco; in punto, cfr. Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 95; Zeiler, Schiedsverfahren, cit., p. 266, sub § 611, Rz. 10.
[13] Come evidenziato in dottrina, cfr., Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen,
cit., sub § 611, Rz. 95; Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, Wien, 3ªed., 2006, sub § 611, Rz. 4.
[14] Cfr., Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 95; in
argomento, Zeiler, Schiedsverfahren,
cit., p. 266, sub § 611, Rz. 10.
[15] Cfr., Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 94, il quale
osserva che rientra nell’ambito applicativo del motivo in esame sia l’ipotesi
di «Nichtexistenz» sia l’ipotesi di «scheinbare Existenz»; «auch wenn dem
äußeren Anschein nach eine Schiedsvereinbarung vorliegt, soll ebenso wie bei
völligem Fehlen jeglichen Hinweises auf eine Schiedsvereinbarung mit
Aufhebungsantrag vorgegangen werden können»; nello stesso
senso Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 611, Rz 4.
[16] Cfr., Kloiber,
Haller, in Kloiber et al., Das
neue Schiedsrecht, cit., p. 57.
[17] In argomento, Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 2.
[18] In punto, Riegler,
in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit.,
sub sec. 612, mn. 4; Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 5 e Rz. 26; Rechberger, Zur Neuordnung des
„Rechtsbehelfs gegen den Schiedsspruch“ in der öZPO, in Zivilverfahrensrecht.
Jahrbuch 2010, a cura di Fucik,
Konecny, Lovrek, Oberhammer, Wien e Graz, 2010, p. 287 ss.; Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 612, Rz. 1.
[19] In punto, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 93, il quale
osserva che la formulazione della norma chiarisce “dass jeder Fall der
Nichtexistenz einer Schiedsvereinbarung einen Aufhebungsgrund bildet und nicht
etwa ein unanfechtbarer (weil nicht existenter) Nichtschiedsspruch vorliegt (Oberhammer, Entwurf eines neuen
Schiedsverfahrensrechts, cit., p. 131)".
[20] A norma del § 595 Abs.1 öZPO nella formulazione previgente: Der Schiedsspruch ist aufzuheben, 1. wenn ein dem § 577 entsprechender Schiedsvertrag nicht vorhanden ist, der Schiedsvertrag vor der Fällung des Schiedsspruches außer Kraft getreten oder für den einzelnen Fall unwirksam geworden ist oder wenn eine Partei nach ihrem Personalstatut zur Eingehung des Schiedsvertrages nicht fähig war. Come detto nel testo, la normativa previgente determinava l’incapacità della parte con riferimento al Personalstatut mentre oggi richiama das Recht, das für die Partei persönlich maßgebend ist.
[21] La nuova formulazione della norma, infatti, come osservato in dottrina (Kloiber, Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 57, nt. 138), non ha comportato una modifica sostanziale (inhaltliche Änderung) della norma; nello stesso senso, cfr. Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 101; Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 29.
[22] Cfr., Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit.,sub sec. 611, mn. 29; nello stesso senso Fasching, Schiedsgericht und Schiedsverfahren im österreichischen und internationalen Recht, cit., p. 14; Backhausen, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., p. 22. Occorre precisare che tale conclusione vale con riguardo alla disciplina dell’arbitrato interno mentre con riferimento allo straniero è determinante ai fini dell’individuazione della capacità di concludere una convenzione arbitrale la normativa per esso applicabile (secondo il § 9 dell’IPRG.).
[23] Cfr., Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 28; Reiner, Das neue österreichische Schiedsrecht, cit., p 49, nt. 192, osserva che questa possibilità di impugnazione è prevista nella disciplina svizzera ma non in quella tedesca.
[24] Cfr., Rechberger, Bemerkungen zum neuen
österreichischen Schiedsverfahrensrecht, in Kloiber, Rechberger, Oberhammer, Haller, Das neue
Schiedsrecht. Schiedsrechts-Änderungsgesetz 2006, cit., p. 71, spec.
81; Kloiber, Haller, Das neue
Schiedsverfahrensrecht, cit., p. 57.
[25] Precisazione che non è solo formale ma si ripercuote, come vedremo, sull’individuazione degli strumenti per far valere il vizio in esame nel diritto austriaco, v. nt. successiva.
[26] Sotto questo profilo è opportuno sottolineare che a norma della previgente disciplina l’impugnazione era ammissibile soltanto nei confronti del lodo che avesse pronunciato nel merito della controversia; le pronunce (affermative o negatorie) della competenza, in quanto classificabili come «Nichtschiedssprüche», erano sottratte alla disciplina dell’impugnazione del lodo. L’impugnazione per nullità era ammessa unicamente con riferimento al lodo definitivo sul merito. Ecco perché il legislatore specifica che è un lodo il provvedimento che decide sulla competenza; in punto, cfr., Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 76.
[27] In punto, Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 2; Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 76. A norma del § 592 Abs. 3 öZPO, l’impugnazione della pronuncia degli arbitri che abbiano deciso della propria competenza non produce effetti sospensivi o interruttivi sul procedimento arbitrale; però, si osserva, Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 97, e Reiner, Das neue österreichische Schiedsrecht, cit., p. 49, sub § 611, nt. 194, che la decisione del giudice ordinario è vincolante per gli arbitri.
[28]In questo senso, Kreindler, Schäfer,
Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit. Kompendium für die Praxis, Frankfurt
am Main, 2006, Rn. 1080 ss.
[29] Cfr., Schütze,
Schiedsgericht und Schiedsverfahren, cit, Kap. 11, Rn. 306: Dabei
ist allerdings zu beachten, dass die Partei nach § 1040 Abs. 2 und 3 ZPO
vorgehen können – und zur Vermeidung des Verlustes des Rügerechts müssen – und
die rügelose Einlassung Mängel der Schiedsvereinbarung heilt; Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit,
cit., Rn. 1083.
[30] La norma precisa che la parte che abbia nominato o abbia partecipato alla nomina di un arbitro non decade dal potere di rilevare l’eccezione (§ 1040, Abs. 2 dZPO).
[31] Cfr., Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1085. L’A. osserva che nel rilevare l’eccezione si deve tenere conto anche del principio di buona fede; ciò significa che chi ha dato causa al vizio, non può in un momento successivo avvalersene per contestare il lodo; a titolo di esempio, si osserva che una parte non può dapprima iniziare il procedimento oppure invocare davanti al giudice ordinario la sussistenza di una convenzione d’arbitrato e poi richiedere l’annullamento del lodo per vizio di forma della convenzione arbitrale (op. ult. cit., Rn. 1084); in questo senso, RGZ 40, p. 401, 403; OLG Naumburg, JurBüro 2003, p. 389, 390; Voit, in Musielak, Kommentar zur Zivilprozessordnung mit Gerichtsverfassungsgesetz, 9ª ed., München, 2012, sub § 1059, Rn. 7; Geimer, in Zöller, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 39b; Schlosser, in Stein, Jonas, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., § 1031, Rn. 20 e Rn. 24; Kröll, Die schiedsrechtliche Rechtsprechung 2005, SchiedsVZ 2006, 203, 213; Hartmann, in Baumbach, Lauterbach, Albers, Hartmann, Zivilprozessordnung, 72ªed., München, 2014, sub § 1059, Rn. 6.
[32] Requisito che deve essere valutato secondo il diritto applicabile alla parte, che a sua volta deve essere determinato secondo i principi del diritto internazionale privato, così, Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1081; nello stesso senso, Münch, in Münchener Kommentar zur ZPO, Bd. 3, a cura di Krüger, Rauscher, 4a ed., München, 2013, sub § 1042 ZPO, Rn. 10; Reichold, in Thomas, Putzo, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 7).
[33] In questo senso, Geimer
in Zöller, Zivilprozessordnung,
cit., sub § 1059, Rn. 39; Lachmann, Handbuch für
die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2178; Münch, in Münchener Kommentar
zur ZPO, sub § 1052 ZPO, Rn. 5; Schütze,
Schiedsgericht und Schiedsverfahren, cit., Rn. 306; Schwab, Walter, Schiedsgerichtsbarkeit,
cit., Kap. 24, Rn. 6; Voit, in
Musielak, Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 1059, Rn. 6.
[34] Cfr., Schütze, Schiedsgericht und Schiedsverfahren, cit, Kap. 11, Rn. 306, il quale osserva che il motivo è stato previsto nella disciplina tedesca perché la Legge Modello indica questo vizio fra i motivi di annullamento del lodo.
[35] Cfr., Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1082; Reichold, in Thomas, Putzo, Zivilprozessordnung, cit., sub §
1059, Rn. 8.
[36] In argomento, Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1082.
[37] In questo senso, Schütze,
Schiedsgericht und Schiedsverfahren, cit, Kap. 11, Rn. 306: «Fehlt
eine Schiedsvereinbarung, ist sie unwirksam oder erloschen, so ist der
Schiedsspruch aufhebbar».
[38] Cfr., Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1086; Voit, in Musielak, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub
§ 1059, Rn. 11; Geimer in Zöller, Zivilprozessordnung, cit.,
sub § 1059, Rn. 39; P.Huber,
SchiedsVZ 2003, 73, 75.
[39] A norma del § 1032 Abs. 1 dZPO, giudice competente è il Tribunale che sarebbe competente a decidere nel merito la causa.
[40] La differente ipotesi di «incompetenza», riguardante l’ipotesi di pronuncia ultrapetita, è disciplinata al § 1059, Abs. 2, lit. c dZPO.
[41] In punto cfr., Geimer, in Zöller, Zivilprozessordnung, cit.,
sub § 1059, Rn. 39; Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1086.
[42] V., Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1086, il quale cita BGH, SchiedsVZ 2003, p. 133, 134; BayObLG, in SchiedsVZ 2004, p. 163, 164; OLG Celle, in SchiedsVZ 2004, p. 165, 168; OLG Hamm, in SchiedsVZ 2006, p. 106, 108; Voit, in Musielak, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 11; Geimer, in Zöller, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1040, Rn. 12. Il § 1040 prevede che di regola, gli arbitri pronuncino un lodo non definitivo, nel caso in cui ciò non avvenga, non vi sono preclusioni; in punto Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1086, il quale cita BayObLG, in SchiedsVZ 2004, p. 163, 164.
[43] In punto, Reichold,
in Thomas, Putzo, Zivilprozessordnung,
cit., sub § 1059, Rn. 8.
[44] Il previgente art. 829, co. 1, n. 1, c.p.c., prevedeva l’ammissibilità dell’impugnazione per nullità «se il compromesso è nullo»; oggi la medesima norma l’ammette “«se la convenzione di arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’art. 817, terzo comma».
[45] L’art. 829, co.1, n. 1, c.p.c., fa rinvio all’art. 817 co. 3, ma trattasi – come puntualmente rilevato – di un «evidente errore tipografico» [come si deduce dal rinvio al (l’inesistente) quarto comma dell’art. 817, contenuto nell’art. 829, co. 1, n. 4, c.p.c.; in punto, cfr. Boccagna, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 829, p. 463; E.F. Ricci, L’arbitrato e il tipografo legislatore (Elogio della «rientranza»), in Riv. proc. civ., 2006, p. 631], perché è il co. 2 a fissare, «nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri», il limite temporale entro il quale fare valere il vizio dovuto a inesistenza, invalidità, inefficacia della convezione di arbitrato.
[46] Così, Menchini, Impugnazione del lodo «rituale», p. 185; Id, Impugnazione del lodo «rituale», in Riv. arb., 2005, p. 843 ss., in particolare p. 848; nello stesso senso, Boccagna, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 829, p. 463; Id, Riforma del diritto arbitrale, cit., p. 1415, il quale richiama come argomento a sostegno di tale conclusione il rinvio all’art. 817, co. 3, contenuto nella disposizione in esame, «che riguarda appunto tutti i casi di incompetenza degli arbitri per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione arbitrale».
[47] Così, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 533.
[48] Sul punto, cfr. Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 714. Anticipando quanto si dirà in seguito, può ricordarsi il rilievo (Boccagna, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 829, p. 463; Id, in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 829, p. 1415), per cui la modifica non sembra avere «una reale portata innovativa, dato che, già in relazione alla vecchia formulazione della norma, la giurisprudenza aveva chiarito come attraverso tale motivo potessero farsi valere tutte le ipotesi di inesistenza, invalidità e inefficacia del patto compromissorio, riguardando lo stesso ogni fattispecie in cui venga messa in discussione, per qualsiasi ragione la mancanza di potestas iudicandi degli arbitri». Ciò non di meno, l’intervento del legislatore deve essere accolto con favore, in quanto il dato normativo offre maggiore certezza applicativa consentendo di superare alcuni dubbi interpretativi sorti sotto il vigore della disciplina previgente (cfr., infra, nt. 53 e ss. e testo corrispondente). Inoltre, seppur non vi fossero dubbi a riguardo, la formulazione del motivo di cui all’art. 829, co. 1, n.1, c.p.c., riferendosi espressamente ai vizi della convenzione di arbitrato, include nell’ambito applicativo della norma in esame tutti i tipi di convenzione arbitrale ivi compresa la clausola compromissoria.
[49] Il profilo è approfondito infra al par. 6.
[50] Vedi quello austriaco e tedesco, in punto infra nel testo (Sez. II, sub par. 12 e 13).
[51] Sul punto, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit. p. 97.
[52] I sostenitori di tale conclusione ritenevano necessaria dapprima la pronuncia di una sentenza costitutiva, allo scopo di privare di effetto la convenzione arbitrale, perché «soltanto una volta ottenuta una sentenza di annullamento della convenzione per incapacità delle parti», si sarebbe potuta proporre impugnazione nei confronti del lodo per nullità del patto compromissorio (in punto, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 97).
[53] Cfr., sul punto Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 717, la quale osserva che il motivo individuato dall’art. 829, co. 1, n. 1, ricomprende oggi tutti i casi di invalidità della convenzione di arbitrato, quindi «non solo quelli di nullità dell’accordo compromissorio, in parte espressamente individuati dagli artt. 807 e 808 c.p.c. (forma scritta e determinazione dell’oggetto della controversia) e in parte rinvenibili nella disciplina generale dei contratti (art. 1418 c.c.), ma anche quelli di annullabilità scaturenti dai principi generali dei contratti».
[54] In questo senso, cfr. Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 718; Menchini, Impugnazione del lodo «rituale», cit., p 186, nonché infra nel testo.
[55] In punto, con riferimento ai problemi di coordinamento, sorti prima della riforma dell’arbitrato del 2006, tra questo motivo (vizi legati alla convenzione di arbitrato) e quello individuato dal n. 2 del medesimo articolo (vizi relativi alla nomina degli arbitri; in particolare, era discusso, con riferimento alla previsione di cui all’art. 809 c.p.c., se il rispetto della prescrizione prevista a pena di nullità relativa al numero dispari degli arbitri fosse configurabile quale requisito di validità del compromesso ovvero fosse da ricondurre nell’ambito del motivo relativo ai vizi di nomina degli arbitri), si rinvia a Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 531 ss. Distinzione di non poco conto se si considera che – secondo la disciplina all’epoca vigente – nel primo caso la violazione non avrebbe richiesto il rilievo della relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale (trattandosi di vizi inficianti il compromesso o la clausola compromissoria e come tali svincolati dal previo rilievo dell’eccezione), mentre nel secondo caso, il motivo di nullità era subordinato, come oggi, all’avvenuta proposizione della relativa eccezione nel corso del giudizio arbitrale).
[56] In punto, cfr. quanto osservato alla nt. precedente.
[57] Sul punto, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, II, cit., p. 199; Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 717 ss.
[58] Si pensi al vizio di forma del patto compromissorio o alla sussistenza di specifici vizi (genetici) del patto arbitrale.
[59] In tema di vizi riguardanti il patto compromissorio, alla fattispecie ora richiamata in cui si fosse rivelata inesistente la volontà contrattuale delle parti, era affiancata l’ipotesi di violazione del principio di equidistanza delle parti nella nomina del giudice arbitrale per ragioni indipendenti dalla volontà della parte («e che ne avevano determinato la mancata partecipazione al processo»), cfr., sul punto, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub. art. 827, p. 637.
[60] Con riferimento all’ipotesi di inefficacia dovuta alla stipulazione della convenzione arbitrale da parte del rappresentante senza poteri, cfr. Cass., 30 agosto 1995, n. 9162, in I contratti, 1996, p. 342, con nota di Moretti.
[61] Queste sono solo alcune delle ipotesi che si facevano rientrare nella fattispecie in esame, alle quali si aggiungono altre, in particolare, il lodo che abbia pronunciato su una situazione giuridica inesistente, in quanto non riconosciuta dall’ordinamento (in ipotesi trattavasi di controversia relativa all’attribuzione e utilizzo del titolo nobiliare, Trib. Prato, 26 settembre 2011, in bancadati dejure); il patto compromissorio nascente da un arbitrato obbligatorio (in argomento, Cass., sez. un., 21 giugno 1983, n, 4259, in Mass. Foro it., 1983, c. 886; Cass., 14 maggio 1981, n. 3167, in Rep. Foro it., 1981, Voce Arbitrato , n. 138; in senso contrario Cass. 27 maggio 1981, n. 3475, in Mass., Foro it., 1981, c. 702; in punto, cfr. Briguglio, Gli arbitrati obbligatori e gli arbitrati da legge, in Riv. arb., 2003, p. 81 ss.
[62] Sul punto, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 531, il quale ricorda il tentativo di ridurre le ipotesi di cui all’art. 829, co. 1, n. 1, c.p.c alle sole ipotesi di annullabilità, prevedendo per tutte le ipotesi di nullità l’esperimento di un’autonoma azione di accertamento (Carnacini, Voce, Arbitrato rituale, p. 915). Tentativo contrastato dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, per le quali le uniche ipotesi di esperibilità di un’autonoma azione di accertamento erano sostanzialmente limitate all’inesistenza del compromesso (e della clausola compromissoria) e a quella di incompromettibilità dell’oggetto della controversia devoluta agli arbitri.
[63] In argomento, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, II, cit., p. 199 ss., per il quale sia nel caso di inesistenza della convenzione di arbitrato, fattispecie nella quale difetta la stessa potestas judicandi degli arbitri, sia nel caso di indisponibilità del diritto e di divieto assoluto di compromettibilità della controversia il vizio del lodo non solo era rilevabile d’ufficio (Punzi, op. cit., p. 201), ma si doveva «ammettere l’esperibilità (…) di un giudizio di cognizione, per far accertare in via principale ed autonoma, o anche in via incidentale e di eccezione, la nullità assoluta del patto compromissorio e conseguentemente del lodo» ( Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, cit., p. 203).
[64] Sul punto, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, II, cit., p. 199.
[65] Così, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodo1, Padova, 2006, p. 285, con riguardo alla disciplina previgente.
[66] Così, Cass., 25 gennaio 1997, n. 781, in Riv. arb., 1997, p. 529, spec. p. 534, con nota critica di Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio; nello stesso senso, Cass., 29 aprile 2004, n. 8206, in Giust. civ., 2005, I, 747, con nota di Auletta, Ancora sull’internazionalizzazione dell’arbitrato (altrimenti) domestico; Cass., 27 gennaio 2001, n. 1191, in Riv. arb., 2002, p. 303, con nota di Amadei, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo.
[67] Cfr., Cass., 25 gennaio 1997, n. 781, cit.; nello stesso senso, Cass., 27 gennaio 2001, n. 1191, cit. Nel senso di escludere la devoluzione della cognizione sul merito della controversia al giudice dell’impugnazione per nullità, ogni qualvolta la pronuncia di nullità sia emanata per invalidità della convenzione arbitrale dipendente da incompromettibilità della controversia, cfr. Cass., 27 luglio 1990, n. 7597, in Riv. arb., 1991, p. 535, con nota di Ruffini, Alcune questioni in tema di impugnazione per nullità del lodo arbitrale; in senso contrario Corte d’App. Firenze, 31 gennaio 2001, in Riv. arb., 2002, p. 325, con nota di Fusillo, Disponibilità del diritto e ammissibilità della clausola compromissoria nelle controversie in materia societaria. Rescindente e rescissorio nel giudizio di impugnazione per nullità.
[68] Cass., 25 gennaio 1997, n. 781, cit.
[69] Sempre, Cass., 25 gennaio 1997, n. 781, cit.
[70] Il testo dell’art. 830 c.p.c. disponeva, che «salvo volontà contraria di tutte le parti, la Corte d’Appello pronuncia anche sul merito, se la causa è in condizione di essere decisa, ovvero rimette con ordinanza la causa all’istruttore, se per la decisione del merito è necessaria una nuova istruzione”.
[71]In punto, Giorgetti, Volontà delle parti e giudizio rescissorio nell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, in Riv. dir. proc., 1996, p. 731 ss.
[72] In senso contrario, Luiso (Rapporti fra arbitro e giudice, cit., p. 781), il quale con riferimento alla contestazione di cui all’art. 829, co.1, n. 1, c.p.c., specifica che il motivo di impugnazione non era costituito dall’errata decisione degli arbitri circa la sussistenza del proprio potere decisorio ma tout court dalla mancanza di tale potere. Inoltre l’A. osserva come attraverso l’impugnazione la questione venga devoluta «vergine» alla Corte d’Appello, la quale la affronterà e deciderà ex novo, senza essere in alcun modo condizionata dal lodo, e soprattutto senza dover rilevare degli errores in iudicando dell’arbitro, come passaggio necessario per decidere la questione (contra Cass., 21 settembre 2004, n. 18917, in Riv. arb., 2005, p. 275, richiamata dallo stesso A.).
[73] In questo senso, Amadei, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo, cit., p. 311, il quale osserva che non sembra corretto che il soggetto che ha accettato o dato svolgimento al procedimento arbitrale possa poi lamentarsi del fatto che gli arbitri non avevano potere decisorio, soprattutto se in ipotesi il lodo gli è sfavorevole: si configura così un meccanismo inaccettabile nella misura in cui la parte non può venire contra factum proprium, per valutazioni ex post di pura convenienza (la parte intanto fa pronunciare il lodo, poi se ne resta pregiudicata lo impugna perché l’arbitro non aveva il potere di pronunciarlo); in argomento, ugualmente critico, già Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio, cit., p. 538 s.
[74] In questo senso, Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio, cit., p. 543, per il quale l’eccezione di compromesso dovrebbe essere qualificata come eccezione di difetto di giurisdizione, in considerazione del fatto che l’arbitrato si caratterizza per essere un’autonoma giurisdizione rispetto alla giurisdizione ordinaria.
[75] Sempre, Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio, cit., p. 539.
[76] E’ implicito in questa conclusione il fatto che il vizio relativo all’inesistenza della convenzione di arbitrato, essendo configurabile unicamente come motivo di nullità del lodo e non di inesistenza, possa essere fatto valere soltanto attraverso la proposizione dell’impugnazione di nullità del lodo.
[77] In questo senso, Amadei, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo, cit., p. 311.
[78] Così, Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio, cit., p. 536; nello stesso senso, Amadei, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo, cit., p. 310, per il quale sarebbe corretto ritenere che se in assenza di patto compromissorio la volontà di deferire la controversia in arbitri emerge univocamente dal comportamento delle parti (es. attraverso lo scambio tra le parti degli atti di nomina degli arbitri, qualificati da alcuni elementi e senza riserve in funzione dell’accettazione della via arbitrale), non vi sarebbero ostacoli a ritenere che vi sia stata una stipulazione «in corsa» del contratto di compromesso.
[79] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 715.
[80] In punto, D’Alessandro, Conclusione dell’accordo compromissorio mediante meri atti di nomina degli arbitri?, in Riv. arb., 2007, p. 243, la quale richiama l’orientamento della dottrina civilistica per cui anche «in presenza di un contratto per cui è prevista la forma scritta ad substantiam sarebbe ammessa la conclusione con consenso tacito».
[81] In tema di rapporto fra lex generalis e lex specialis con riguardo a questo profilo, cfr. D’Alessandro, Conclusione dell’accordo compromissorio mediante meri atti di nomina degli arbitri?, cit., p. 243; Amadei, Note in tema di inesistenza dell’accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo, cit., p. 305; Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in carenza di patto compromissorio, cit., p. 536 ss.
[82] Riguardo al fatto che la giurisprudenza ammetta pacificamente la conclusione del contratto formale per facta concludentia, cfr. Zucconi Galli Fonseca, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 807, p. 43, nt. 686).
[83] In punto è stato osservato che «nel primo caso, infatti, il giudice statale adito per la stessa controversia deve senz’altro dichiarare il difetto di potestas iudicandi per esistenza di un patto compromissorio; nel secondo caso, invece, tale provvedimento non è così scontato» (Zucconi Galli Fonseca, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 807, p. 42 ss.; Bove, Aspetti problematici della nuova disciplina della convenzione d’arbitrato irrituale, in Il giusto proc. civ., 2006, p. 65 ss.). Naturalmente, la conclusione alla quale si è prevenuti circa la formazione del consenso arbitrale per facta concludentia non può ritenersi assoluta dovendo misurarsi con specifiche ipotesi normative che prevedano un più rigoroso meccanismo di formazione del consenso arbitrale (si pensi a titolo esemplificativo all’art. 18 del d.m. 20 dicembre 2006, relativo alle liti fra Agenzia per le erogazioni in agricoltura e soggetti privati, nella parte in cui prevede che la proposta di compromesso può «essere contestuale alla domanda di arbitrato», con questa notificata e «rimane ferma per i sessanta giorni successivi alla notifica», mentre l’avversario deve accettare espressamente, anche contestualmente al proprio atto di nomina dell’arbitro. Il caso ora citato è in Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 43, la quale in ipotesi pare ritenere indispensabile il consenso espresso della parte e quindi implicitamente esclude che possa realizzarsi un’ipotesi di formazione progressiva della convenzione arbitrale; in senso contrario, Cass., 14 maggio 2014, n. 10436m in Mass. Giust. civ., 2014, secondo la quale ai fini della validità del compromesso non occorre una specifica approvazione per iscritto del compromesso, essendo sufficiente la nomina dell’arbitro).
[84] In punto, Boccagna, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 829, p. 1414.
[85] Così, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 82.
[86] In punto, D’Alessandro, Conclusione dell’accordo compromissorio mediante meri atti di nomina degli arbitri?, cit., p. 245.
[87] Ci si riferisce alla corrispondente disciplina austriaca e tedesca, ma sul punto cfr. infra par. e 2 ss.
[88] Così, Menchini, Impugnazioni del lodo «rituale», cit., p. 197, il quale – nel riferirsi al motivo di nullità del lodo per contraddittorietà all’ordine pubblico (art. 829, co. 3, c.p.c.) – conclude nel senso che in tal caso il vizio non è causa di inesistenza del lodo bensì causa di nullità e quindi il difetto «non è insanabile e rilevabile da chiunque vi abbia interesse in qualsiasi momento e in ogni sede processuale», trattandosi, come ricordato nel testo, di vizio.
[89] Così, E.F. Ricci, Clausola compromissoria vessatoria e impugnazione del lodo, in Riv. dir. proc., 2007, p. 1087.
[90] Ci si riferisce alla nota pronuncia della Corte di Giustizia, 26 ottobre 2006 (C-168/05), Mostanza Claro c. Centro Mòvil Milenium sSL, in Riv. proc. civ., 2007, p. 1083, con nota di E.F. Ricci, Clausola compromissoria vessatoria e impugnazione del lodo, cit.; sulla natura vessatoria della clausola compromissoria nei contratti con i consumatori, cfr. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, cit., p. 379 ss; Alpa, La clausola compromissoria nei contratti con i consumatori, in Riv. arb., 1997, p. 657 ss.; Consolo, De Cristofaro, Clausole abusivie e processo, in Corr. giur., 1997, p. 469 ss.; Gabrielli, Clausole compromissorie e contratti per adesione, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 555 ss; più di recente Luiso, La recente direttiva 2013/11/UE, sulla risoluzione delle controversie dei consumatori, in Judicium.it (21.1.2015); con particolare riguardo all’orientamento della giurisprudenza infra, nt. 107.
[91] Sul punto, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 531; Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 603.
[92] Con riferimento alla forma scritta, la norma precisa che, si intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti trasmessi
[93] La ripartizione fra vizi di «forma estrinseca» e di «forma contenuto» è di Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, cit., II, p. 531 e ss. e I, p. 346.
[94] Giova in punto ricordare che la formulazione dell’art. 808, c.p.c., prima della riforma della disciplina dell’arbitrato attuata con la l. n. 25/1994, prevedeva espressamente per la clausola compromissoria la forma scritta a pena di nullità.
[95] In punto, cfr. Ruffini, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 808, p. 48 ss.
[96] Cfr., Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 356, il quale osserva che «è agevole osservare che la diversità di trattamento è giustificata dal fatto che la clausola compromissoria, “che deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso”, può anche accedere ad un contratto per il quale la forma scritta non sia richiesta ad substantiam, sicchè non sarebbe logico imporre la forma scritta ad substantiam per una singola clausola».
[97] In questo senso, cfr. Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit, sub art. 808, p. 50; Bove, La giustizia privata, Padova, 2013, p. 41.
[98] Orientamento unanime in giurisprudenza con riferimento all’arbitrato rituale, cfr. Cass., 2 febbraio 2007, n. 2256, in Mass. Giust. civ., 2007; Cass., 2 aprile 2004, n. 6847, in Guida al dir., 2004, f. 20, p. 62; al contrario analoga conclusione non vale per l’arbitrato irrituale per il quale si afferma che la forma scritta a pena di nullità è richiesta solo se esso concerne rapporti giuridici per i quali è prevista la forma scritta «ad substantiam» ai sensi dell’art. 1350 c.c., dovendosi negli altri casi fare riferimento all’art. 1967 c.c., che prevede la forma scritta «ad probationem», così, Cass., 7 luglio 1999, n. 7048; Cass., 25 agosto 1998, n. 8417; Cass., 14 maggio 1997, n. 4258.
[99] In questo senso, Cass., 11 luglio 2014, n. 15993;Cass., 30 settembre 2010, n. 20504; Trib. Monza, 9 marzo 2015, in Banca dati dejure.
[100] Così, Cass. 30 settembre 2010, n. 20504, in Riv. arb., 2011, p.69 ss., con nota di Ungaretti dell’Immagine, Brevi note sulla forma della convenzione arbitrale; Cass., 24 luglio 2007, n. 16332, in Guida al dir., 2007, f. 39, p. 64.
[101] Cfr., Cass., 11 luglio 2014, n. 15993; Cass., 22 febbraio 2000, n. 1989, in Foro it., 2001, I, c. 1645 e Cass., 2 febbraio 2007, n. 2256; in punto cfr. Iacoviello, in Arbitrato, a cura di Salvaneschi, Radicati di Brozolo, Carlevaris, Allavena, Cintioli, Iacoviello, Ielo, Olivieri, Villa, Milano 2012, p. 37.
[102] Cass., 2 febbraio 2007, n. 2256, cit.
[103] Cfr., Cass., 11 luglio 2014, n. 15993; Cass., 5 aprile 2011, n. 7839, in Mass. Giust. civ., 2011, p. 547; Cass., 24 settembre 1996, n. 8407; Cass., 13 maggio 1989, n. 2198, in Foro it., 1989, I, c. 2395.
[104] Così Iacoviello, in Arbitrato, a cura di Salvaneschi, Radicati di Brozolo, Carlevaris, Allavena, Cintioli, Iacoviello, Ielo, Olivieri, Villa, cit., p. 38; per la relatio «consapevole», cfr. Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit, sub art. 807, p. 41; in punto, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 358; Fazzalari, L’arbitrato, cit., p. 39 ss. In giurisprudenza, conformemente a quanto osservato, si è affermato che, in tema di arbitrato rituale, il requisito della forma scritta di cui all’art. 807 c.p.c. «è soddisfatto quando la volontà di compromettere la causa è contenuta in un atto scritto, ciò che è ravvisabile, per un contratto di appalto redatto per iscritto, ogniqualvolta sia in esso contenuto un richiamo a norma regolamentare che preveda l’espletamento dell’arbitrato, risultando – ad esempio – una inutile duplicazione la riproduzione di un atto autonomo della clausola compromissoria contenuta nell’art. 43 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063» (così Cass., 19 marzo 2004, n. 5540, in Mass. Giust. civ., 2004, f. 3; nello stesso senso, Cass., 16 febbraio 1993, n 1930; sull’argomento e per ulteriori richiami giurisprudenziali, cfr., Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 340 e s.). nello stesso senso circa il requisito della forma ad substantiam in tema di compromesso per arbitrato estero, cfr. Cass., sez. un., 19 maggio 2009, n. 11529, in Mass. Giust. civ., 2009, p. 790; è stato invece esclusa la validità della convenzione di arbitrato contenuta nel preliminare «ma non reiterata dalle parti nella successiva transazione con efficacia novativa» (Cass., 13 dicembre 2010, n. 25159, in Riv. arb., 2011, p. 85, con nota di Amendolagine, Clausola compromissoria e transazione novativa).
[105] La ragione dell’invalidità della clausola in esame è ravvisabile: per Marinucci (L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 90 ss.) nella mancanza dell’accordo (requisito essenziale di tutti contratti), atteso che la clausola imporrebbe agli eredi un arbitrato per effetto di una convenzione voluta solo dal de cuius; per Cecchella, (L’arbitrato, cit., p. 62), nel fatto che l’erede non subentra nell’accordo di arbitrato non appartenendo lo stesso alla sfera patrimoniale del de cuius; per Zucconi Galli Fonseca (Note sulla convenzione di arbitrato nel diritto successorio, in Riv. arb., 2006, p. 281 ss.) si configurerebbe un’ipotesi di arbitrato obbligatorio; contra Festi, Testamento e devoluzione ad arbitri delle liti tra i successori, in Riv. arb., 2002, p. 820, per il quale «la previsione testamentaria di arbitrato costituisce un’espressione del potere del soggetto di regolamentare i rapporti giuridici altrui nel periodo successivo al suo decesso che non trasgredisce i limiti stabiliti nell’ordinamento».
[106] Per un approfondimento sul tema, Zucconi Galli Fonseca Note sulla convenzione di arbitrato nel diritto successorio, cit., p. 281 e ss. e Id, La nuova disciplina dell’arbitrato rituale, cit., sub art. 808 bis., p. 56 ss.
[107] Cfr., Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 340; Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit, sub art. 807, p. 43, la quale osserva, che «il legislatore ha abrogato l’art. 833, co.1, che solleva dall’onere della “doppia sottoscrizione” di cui all’art. 1341 c.c. la convenzione arbitrale internazionale, ma, nonostante il chiaro dettato della legge delega (in ciò condividendo le osservazioni di Bove, Aspetti problematici della nuova disciplina della convenzione d’arbitrato rituale, cit., p. 67), non ha esteso detta regola all’arbitrato in generale, omettendo inopportunamente di dettare una esplicita disciplina, cosicché occorre rinviare a fonti esterne, quali, per i contratti in serie, l’art. 1341 c.c. – salva l’applicazione della Convenzione di New York – e, per l’arbitrato con il consumatore il non chiarissimo d. lgs. n. 206/05».
Alla disciplina dell’arbitrato nelle controversie fra consumatori è regolata dal d. lgs n. 206/05. Giova ricordare che, a norma dell’art. 33 del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, si considerano vessatorie fino a prova contraria e pertanto nulle ai sensi del successivo art. 36, le clausole inserite nei contratti con i consumatori che, senza essere state oggetto di trattativa individuale, escludano o limitino le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista (lett. b), che sanciscano deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria (lett. t), o che stabiliscano come sede del foro competente località diverse da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore (lett. u); per un ampio esame dei problemi interpretative posti dalla disciplina, cfr. Ruffini, Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., sub art. 808, p. 51 ss.; ma già Tommaseo, Art. 1469 sexiex c.c., in Le clausole compromissorie nei contratti con i consumatori, a cura di Alpa e Patti, Milano, I, 1997, p. 444. In applicazione di tale principio sono state ritenute vessatorie le clausole contenute in un contratto di assicurazione che devolvano la competenza ad un collegio arbitrale irrituale che preveda un meccanismo di corresponsione dell’onorario degli arbitri correlato al valore della causa, ma non in misura proporzionale, e indipendente dall’esito della controversia, perché espongono l’assicurato al rischio di sborsare rilevanti somme per gli onorari degli arbitri non proporzionate a quelle riconoscibili a titolo risarcitorio (Cass., 30 giugno 2015, n. 13312; Cass., 8 maggio 2015, n. 9315; nello stesso senso Trib. Roma, 14 febbraio 2015, n. 5686, nel caso di lesioni dal danneggiato che abbiano generato lievi postumi di natura invalidante); per la vessatorietà della clausola, che deroga la competenza della giurisdizione ordinaria, inserita in un contratto di assicurazione predisposto unilateralmente, cfr. Corte d’App. Genova, 13 febbraio 2007, in Obbligazioni e Contratti, 2007, p. 650; in senso contrario Trib. Genova, 18 febbraio 2004, n. 780, in Guida al dir., 2004, 14, p. 63, perché la clausola comporterebbe deroga alla giurisdizione e non alla competenza. Nel senso che la clausola compromissoria, inswerita tra le condizioni generali del contratto predisposto da uno dei contraenti, rientra fra quelle da approvarsi specificatamente per iscritto a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c. soltanto se istituttiva di un arbitrato rituale e non nell’ipotesi in cui preveda un arbitrato irrituale cfr. Cass., 28 giugno 2000, n. 8788 e per la giurisprudenza di merito, Corte d’App. Ancona, 15 gennaio 2010, n. 49 e Trib. Torino, 26 novembre 2005. I problemi di applicazione delle regole di abitrato alle controversie che riguardano i consumatori risultano superabili negli ordinamentoi che prevedano una specifica disciplina arbitrale per tali controversie (come si verifica, ad esempio, nell’ordinamento spagnolo a seguito della riforma attuata con il Real Decreto 231/2008 che regolamenta El Sistema Arbitral de Consumo). In materia il d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130, in attuazione della direttiva 2013/11/UE (Direttiva dell’ADR per i consumatori), ha introdotto ulteriori due ipotesi di presunzione di vessatoretà delle callusole inserite nei contratti con i consumatori, nel caso di calusole che impongano al consumatore di rivolegersi esclusivamente ad un’unica tipologia di organismi ADR o ad un unico organismo ADR ovvero che rendano eccessivamente difficile per il consumatore l’esperimento della procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis della parte V (lett. v-bis e lett. v-ter inserite nell’originario testo dell’art. 33 cit.).
[108] In punto, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 383 ss.
[109] Sul punto, approfonditamente, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 383 ss.
[110] Così, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 384 ss
[111] In punto, Marinucci, L’impugnazione per nullità del lodo rituale, cit., p. 93.
[112] Sotto questo profilo, è stato sotto osservato che nel compromesso “la determinazione dell’oggetto della controversia prende in pratica l’aspetto e la denominazione di proposizione dei quesiti, intesi come proposizione dei problemi che gli arbitri sono chiamati a risolvere”; non costituiscono, invece, requisito di contenuto-forma le domande rivolte da ciascuna parte agli arbitri (così, Ruffini, Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., sub art., 807, p. 45; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 384 ss.).
[113] Vedi, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 388.
[114] Così, Cass., 20 dicembre 1982, n. 7049, la quale precisa invece che l’esistenza in concreto di situazioni che comportino un difetto di imparzialità degli arbitri comporta solo il ricorso al rimedio della ricusazione degli stessi; Cass., 26 ottobre 1981, n. 5599 e Cass., 26 febbraio 1981, n. 1190.
[115] Cfr., Trib. Trento, 20 marzo 2012, n. 300; Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 54.
[116] Cfr., Cass., 7 ottobre 2004, n. 19994, in Foro it., 2005, 1, p.120, per la quale la clausola compromissoria, che stabilisca un modo di nomina degli arbitri di impossibile attuazione pratica, è nulla ai sensi dell'art. 809, secondo e terzo co., c. p. c., ma ciò non comporta l'inesistenza del lodo arbitrale, che si verifica invece nelle sole ipotesi in cui, per inesistenza del compromesso o della clausola compromissoria, o per essere la materia affidata alla decisione degli arbitri estranea a quelle suscettibili di formare oggetto di compromesso, viene a mancare in radice la «potestas decidendi», costituendo, quindi, la pronuncia arbitrale una vera e propria usurpazione di potere. Al di fuori di tali ipotesi, le eventuali difformità dai requisiti e dalle forme del giudizio arbitrale possono provocare solo la nullità del lodo che, una volta rilevata, non impedisce il passaggio alla fase rescissoria per l'accertamento della eventuale nullità del compromesso prevista dall'art. 829, primo co., n. 1, c.p.c. In dottrina, cfr., Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 340.
[117] Cfr., Cass., sez. un., 21 giugno 1983, n, 4259; Cass., 14 maggio 1981, n. 3167; in senso contrario Cass. 27 maggio 1981, n. 3475; in dottrina, cfr., Zucconi Galli Fonseca, L’arbitrato, sub art. 829 cit., p. 718; in punto si rinvia a quanto osservato alla nt. 61.
[118] Cfr. quanto osservato alla nt. 52.
[119] In argomento, Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 339.
[120] Il tema della legittimazione a stipulare la convenzione è diffusamente trattato da Zucconi Galli Fonseca, Note in tema di legittimzione a compromettere, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, p. 1127 ss., spec. p. 1158 ss.
[121] In questo senso, Trib. Rimini, 28 marzo 2003, (in Giur. it., 2004, p. 1655, con nota di Barbiani, La qualificazione della clausola compromissoria e i suoi limiti soggettivi di efficacia: il difficile cammino della nuova concezione negoziale dell’arbitrato rituale) che ha affermato che la ratifica del negozio concluso da falsus procurator ben può essere costituita dall'atto introduttivo di un giudizio, sottoscritto dalla parte o da chi, per procura, la rappresenti, con la quale si chieda l'esecuzione del contratto medesimo o la sua risoluzione e tale modalità di ratifica è in grado anche di soddisfare la necessità della forma scritta ove sancita per legge. Risulta in tal modo opponibile al dominus negotii la clausola compromissoria di cui il contratto stipulato dal soggetto privo di poteri rappresentativi risulti corredata.
[122] Così, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato, cit., sub art. 827, p. 642, la quale richiama Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 1987, p. 127.
[123] In particolare ci si riferisce al comma 2 dell’articolo citato.
[124] L’art. 819 ter, co. 1, dispone che «l’eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta».
[125] L’art. 38, co. 3, c.p.c. prevede la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di incompetenza unicamente nelle ipotesi di incompetenza per materia, valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c. non oltre l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.
[126] Cfr., Ruffini, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 819, ter, p. 1366; Consolo, Autonomia diretta delle parti VS discrezionalità dei difensori – e residualmente degli arbitri come mandataria – negli snodi dell’arbitrato qualegiudizio isonomico, in Riv. dir. proc., 2015, p. 1358 ss., il quale osserva che «l’amplimento della potestas decidendi deriva infatto da una preclusione processuale, e non da manifestazione della volontà della parte. Si che la sua partecipazione o meno al giudizio arbitrale non dovrebbe incidere sull’operare del meccanismo, anche se la domanda nuova pur qui va notificata al contumace per non ledere, sotto questo preliminare e sotto ogni profilo, il diritto alla difesa» 8p. 1373 s.).
[127] Dal combinato disposto degli artt. 829, co. 1, n. 1 e 817, co. 2, c.p.c., si ricava che il legislatore non pare distinguere le modalità del rilievo del vizio a seconda che la nullità del lodo derivi da inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato
[128] Cfr., nt. precedente.
[129] In questo senso, Boccagna, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 817, p. 258; Luiso, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., p. 778; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, p. 536 ss.
[130] In senso contrario, a favore della rilevabilità d’ufficio del vizio in caso di contumacia della parte, Boccagna, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 817, p. 258; Ruffini, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 817, p. 1332.
[131] In dottrina, Boccagna, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 817, p. 258, per il quale, nonostante la lettera della norma, l’onere di sollevare l’eccezione di incompetenza nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri può essere esteso, in via interpretativa, a tutte le ipotesi di incompetenza contemplate al primo comma, non solo alle ipotesi per le quali è espressamente disposto di difetto di competenza per inesistenza, invalidità e inefficacia della convenzione arbitrale.
[132] In punto, cfr. Verde, Lineamenti dell’arbitrato, p. 137 ss.
[133] Valutazione che non preclude «il potere-dovere degli arbitri di sindacare» se l’art. 810, co. 2 c.p.c. sia stato correttamente applicato (in questo senso Verde, Lineamenti dell’arbitrato, cit. p. 134).
[134] Anche perché non si può pensare che l’eccezione debba essere tempestiva se si vuole poi impugnare il lodo per questo motivo e possa essere, invece, tardiva se l’eccezione è volta unicamente a richiedere una valutazione della competenza in capo agli arbitri, valutazione che se fosse affermativa non sarebbe poi contestabile in alcun modo.
[135] Qualche perplessità resta con riguardo all’ipotesi di chiamata in causa del terzo nel giudizio arbitrale societario, a norma dell’art. 35, co. 2, d. lgs. n. 5/2003; in tal caso ci si dovrebbe domandare se, trattandosi di disciplina speciale, trovi applicazione il limite dell’art. 817, co. 2, c.p.c. Più precisamente, in caso affermativo, il terzo deve eccepire l’invalidità della convenzione arbitrale al momento della sua costituzione, in caso contrario, dovrebbe essere individuato un motivo di impugnazione per nullità attraverso il quale il terzo possa far valere il vizio in esame. Ulteriori perplessità, suscita l’ipotesi in cui vi sia stata la falsificazione della sottoscrizione della convenzione di arbitrato, vizio questo la cui rilevabilità dovrebbe essere disciplinata dall’art. 293 ult. co. c.p.c., che, in tema di disconoscimento della scrittura privata, prevede che in ogni caso il contumace che si costituisce può disconoscere, nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice istruttore, le scritture contro di lui prodotte.
[136] In punto, si rinvia a quanto osservato supra al par. 7.
[137] Tesi assolutamente maggioritaria, si veda l’ampia nota di Ruffini, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 817, p. 1332, nt. 30, nonché Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 546; Id., Autonomia diretta delle parti VS discrezionalità dei difensori – e residualmente degli arbitri come mandataria – negli snodi dell’arbitrato qualegiudizio isonomico, cit., p. 1373 ss.
[138] Cfr., Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, cit., p. 833, con riferimento al pensiero del quale, Ruffini (La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 817, p. 289) osserva «in tal senso è sempre stato inteso, anche se forse non fedelmente il pensiero» di Andrioli; Motto, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comportamento delle pari, in Riv. arb., 2006, p. 99 ss.
[139] In questo senso, Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 817, p. 290.
[140] Con riferimento all’analisi degli effetti derivanti dall’accoglimento dell’una o dell’altra tesi, cfr., Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 290; D’Alessandro, Conclusione dell’accordo compromissorio mediante meri atti di nomina degli arbitri?, in Riv. arb., 2007, p. 243; Amadei, Note in tema di inesistenza dell’accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo, cit., p. 305; Bove, Impugnazione per nullità del lodo pronunciato in carenza di patto compromissorio, cit., p. 536 ss.
[141] In punto si veda supra, nt. 83 e testo corrispondente.
[142] Così, Trib. Verona, 7 novembre 2006, in (Banca dati) Dejure; nello stesso senso Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 819 ter, p. 376.
[143] Com’è stato rilevato in dottrina, la mancata inclusione dell’art. 39 c.p.c. tra le norme dichiarate inapplicabili ai rapporti tra arbitrato e processo, ai sensi dell’art. 819 ter, co. 2, non è elemento sufficiente a far ritenere operante la disciplina della litispendenza nella regolamentazione dei rapporti fra giudici ordinari e arbitri. E, infatti, l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 39 c.p.c. «è agevolemente ricavabile dall’incompatibilità della disciplina da esso dettata, incentrata sul principio della prevenzione, con il primo periodo della norma» [individuata nell’art. 819 ter], laddove prevede che la competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, nè dalla connessione tra la controversia a essi deferita e una causa pendente davanti al giudice. Inoltre, si fa osservare che presupposto per l’applicazione dell’art. 39 c.p.c. è la contemporanea investitura di due giudici appartenenti al medesimo ordine giurisdizionale; sul punto, Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 819 ter, p. 377.
[144] Giova segnalare che, già prima dell’introduzione dell’art. 819 ter (operata dalla riforma del 2006) che espressamente esclude l’applicabilità dell’istituto della sospensione necessaria del processo ai rapporti fra arbitri e giurisdizione ordinaria, la S.C. affermava l’inapplicabilità della sospensione (di cui all’art. 295 c.p.c.) quale strumento per risolvere l’ipotesi di contemporanea pendenza della stessa causa fra arbitri e giudici ordinari. In punto, conviene ricordare che l’art. 819 c.p.c., nella formulazione ante riforma, prevedeva la sospensione del procedimento arbitrale qualora nel corso di quel procedimento fosse insorta una questione che per legge non poteva costituire oggetto di giudizio arbitrale. La S.C. ha in proposito affermato che l’art. 819 c.p.c. (nella formulazione applicabile «ratione temporis» anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 22. d. lgs. n. 40 del 2006) prevedeva la sospensione del procedimento arbitrale solo per le ipotesi in cui, nel corso del giudizio, fosse sorta una questione che non poteva costituire oggetto del giudizio arbitrale «quando tale questione fosse stata ritenuta dagli arbitri rilevante per il giudizio ad essi affidato». La norma regolava l’ipotesi in cui doveva essere decisa una questione di carattere pregiudiziale, che non poteva costituire oggetto del giudizio arbitrale, «ipotesi del tutto diversa da quella (…), di contemporanea pendenza delle stessa causa dinanzi agli arbitri e al giudice ordinario, in conseguenza della clausola compromissoria». Di qui, la conclusione, che porta la S.C. ad affermare «che la mancata sospensione del procedimento da parte degli arbitri, nel caso di concorrente pendenza davanti al giudice ordinario di un giudizio avente il medesimo oggetto non costituisce causa di nullità del lodo» (Cass., 9 gennaio 2008, n. 178).
[145] In questo senso, Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 819, ter, p. 376 e 377.
[146] L’espressione è di Consolo, Litispendenza e connessione fra arbitrato e giudizio ordinario. Evoluzione e problemi irrisolti, cit., p. 675; in giurisprudenza, cfr. Cass., 8 luglio 1996, n. 6205 in Riv. arb., 1997, p. 325 ss., con nota critica di Vaccarella e in Foro it., 1997, I, c. 1381, con nota ugualmente critica di Luiso.
[147] In punto, cfr., Consolo, Litispendenza e connessione fra arbitrato e giudizio ordinario. Evoluzione e problemi irrisolti, cit., p. 675; Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 819, ter, p. 377.
[148] In questo senso, Cass., 4 agosto 2011, n. 17019.
[149] Norma che per i sostenitori dell’opposta tesi non appare rilevante atteso che la disposizione si riferisce alla proposizione davanti ai giudici ordinari di domande aventi ad oggetto l’invalidità o l’inefficacia della convenzione di arbitrato, ma non anche di domande identiche a quelle già devolute al giudizio degli arbitri e di eccezioni dirette a paralizzare le stesse, ivi comprese quelle fondate sulla convenzione di arbitrato, così Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 819 ter, p. 377.
[150] Così, Cass., 4 agosto 2011, n. 17019, cit.
[151] In questo senso, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 23.
[152] In questo senso, Ruffini, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 819 ter, p. 1370.
[153] Non è superfluo ricordare che a seguito della sentenza della Cassazione che aveva qualificato l’eccezione di compromesso come questione preliminare di merito, conseguentemente la S.C. escludeva l’ammissibilità del regolamento di competenza nei confronti della sentenza del giudice ordinario che si fosse pronunciato sull’eccezione di compromesso. Con riferimento all’impugnabilità con regolamento di competenza del lodo degli arbitri che abbiano deciso sull’eccezione d’incompetenza, cfr. quanto osservato nella Parte prima, Cap. I, par. 13.
[154] In ragione dell’efficacia riconosciuta oggi dall’art. 824 bis c.p.c. al lodo rituale (con riferimento a quest’ultimo profilo si rinvia a quanto osservato nella Parte prima, Cap. I, par. 13). Sul punto, cfr. Acone, Arbitrato e traslatio iudicii: un parere eretico, cit., p. 1 ss., il quale, con riferimento all’operatività della traslatio iudicii prevista dall’art. 50 c.p.c., rileva che l’attuazione del meccanismo conservativo previsto dall’art. 50 c.p.c. «è strettamente legata al riconoscimento del vincolo, previsto dall’art. 44 c.p.c., della pronuncia sulla competenza – non solo della Suprema Corte, ma pure dei giudici di merito – per il giudice indicato o dichiarato competente, essendo parimenti contrario al principio di effettività della tutela giurisdizionale consentire il palleggiamento della causa a getto continuo. Tale meccanismo deve necessariamente operare anche tra gli arbitri rituali e il giudice» (Acone, op. cit., p. 14).
[155] In punto, approfonditamente Ruffini, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 817, p. 284 ss. e sub art. 819 ter, p. 286 ss.; Luiso, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., p. 126 ss.; Bove, Aspetti problematici della disciplina dell’arbitrato, cit., par. 71.
[156] In punto, si rinvia a quanto osservato nella Parte prima, Cap. I, alla nt. 164.
[157] Cfr., quanto osservato, con riferimento alla disciplina italiana alle nt. 82 e 83.
[158] In punto, si veda quanto osservato riguardo alla disciplina quella austriaca e a quella tedesca, rispettivamente, alle nt. 7 e 31.
[159]In questo senso, Zeiler, Schiedsverfahren, cit., p. 264; Kloiber, Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrensrecht, cit., p. 59; Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 78; in questo senso era anche l’orientamento della giurisprudenza OGH 13.1.2004, 5 Ob 123/03d, in SZ 2004/1; RIS-Justiz RSO 118799; in senso contrario, ossia che il lodo rimanesse efficace fintanto che non fosse stato annlato dal giudice, cfr. Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 595, Rz. 5.
[160] In questo senso, Zeiler, Schiedsverfahren,
cit., p. 264; Kloiber, Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 60.
[161] In punto, cfr. Kloiber,
Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 60; Riegler, in Riegler et al., Arbitration
Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 79.
[162] In argomento, cfr. Kloiber,
Haller,in Kloiber et al., Das
neue Schiedsrecht, cit., p. 62.
[163] In punto, Kloiber,
Haller,in Kloiber et al., Das
neue Schiedsrecht, cit., p. 63.
[164] Per un’analisi approfondita delle fattispecie compromettibili in arbitri, cfr. Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, 2a ed., vol. IV/2, Wien, 2007, sub § 582, Rz. 1 ss.
[165] La riforma della disciplina dell’arbitrato del 1998 ha introdotto un termine (tre mesi) entro il quale si possono far valere i motivi di nullità del lodo (§ 1059 Abs. 3 dZPO).
[166] Cfr., Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit,
cit., Rn. 1066.
[167] Il giudice non
compie in questa sede una valutazione sul merito; una valutazione sulla
correttezza della decisione di merito è svolta solo nell’ambito della
valutazione circa il rispetto dei limiti dell’ordine pubblico, in questo senso Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit,
cit., Rn. 1076, il quale cita BGHZ 151, 79, 82; BGH, in ZIP 1999,
1575; Begr. RegE, BT-Drucks. 13/5274, S. 58 f.; Geimer,
in Zöller, Zivilprozessordnung,
cit., sub § 1059, Rn. 74.
[168]Cfr., Baumbach,
Lauterbach, Albers, Hartmann, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1060,
Rn. 12 s.; Geimer, in Zöller, Zivilprozessordnung, cit.,
sub § 1060, Rn. 26; Münch,
in Münchener Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 1060 ZPO, Rn. 26;
Reichold, in Thomas, Putzo, Zivilprozessordnung,
cit., sub § 1060, Rn. 4; Voit,
in Musielak, Kommentar
zur ZPO, cit., § 1060, Rn. 15
[169] In questo senso, Jauernig,
Hess, Zivilprozessrecht, 30a ed., München, 2011, sub § 92,
Rn. 27 (p. 379), secondo il quale «Anfechtungsgründe nach § 1059 II Nr. 2
ZPO (fehlende objektive Schiedsfähigkeit, Verstoß gegen den ordre public)
[verhindern] die Vollstreckbarerklärung auch dann noch, wenn sie wegen
Fristversäumung (§ 1059 III ZPO) nicht mehr zur Aufhebung des Schiedsspruchs
führen können».
[170] In argomento, cfr. Geimer, in
Zöller, Zivilprozessordnung,
cit., sub § 1030, Rn. 20 s.; Münch,
in Münchener Kommentar, Zivilprozessordnung,
4a ed., München, 2013, sub § 1030 ZPO, Rn. 25 ss.; Lachmann, Handbuch für die
Schiedsgerichtspraxis, cit., 2008, Rn. 298; Reichold, in Thomas,
Putzo, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1030, Rn. 4; Schlosser, in Stein, Jonas, Kommentar zur Zivilprozessordnung, 22a
ed., Tübingen, 2002, vol. 9, sub § 1030, Rn. 9 ss.
[171] Con riferimento alla disciplina dell’arbitrato in materia di lavoro, per tutti, anche per esaustive indicazioni bibliografiche, Punzi, L'arbitrato nelle controversie di lavoro, in Riv. arb., 2001, p. 389; Trisorio Liuzzi, La conciliazione obbligatoria e l'arbitrato nelle controversie di lavoro privato, in Riv. dir. proc., 2001, p. 948 e, dopo la riforma, Bove, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in La riforma della disciplina dell’arbitrato, (l. n.80/2005 e d. lgs. n. 40/2006), a cura di Fazzalari, Milano, 2006, p. 215 ss.; Motto, La convenzione di arbitrato per controversie future relative a rapporti non contrattuali (art. 808 bis c.p.c.), in www.judicium.it; Zucconi Galli Fonseca, in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 806, p. 1162 ss.
[172] Cfr., Consolo, Sul campo dissodato della compromettibilità in arbitri, in Riv. arb, 2003, p. 241, ss.
[173] In argomento, Criscuolo, Ancora sulla compromettibilità in arbitri della questione di nullità del contratto per illiceità, in Riv. arb., 1998, p. 276; Festi, Clausola compromissoria e contratto illecito, in Corr. Giur., 1997, p. 1453; Zucconi Galli Fonseca, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 806, p. 1153.
[174] Da ciò deriva, secondo questo orientamento che «l’inderogabilità o imperatività della norma, anche comunitaria che regola il diritto, non trasforma automaticamente quest’ultimo in indisponibile» (così Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 806, p. 6; Ruffini, Patto compromissorio, in Riv. arb., 2005, p. 713; sul punto, inoltre, Bove, L'arbitrato nelle controversie societarie, cit., p. 474; Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., p. 116 ss. Con riferimento alla disciplina comunitaria, cfr. Corte di Giust. Ce, Ecoswiss v. Benetton, 1 giugno 1999, in Foro it., 1999, IV, c. 470, con nota di Bastianon, e pubblicata anche in Riv. arb., 1999, p. 666, con nota di Radicati di Brozolo, Arbitrato, diritto della concorrenza, diritto comunitario e regole di procedure nazionali; nonchè Corte d’Appello dell’Aja, 28 marzo 1996, in Riv. arb., 1999, p. 297, con nota di Giardina, Rispetto del diritto comunitario della concorrenza e regole nazionali concernenti il principio dispositivo e l’effetto di cosa giudicata dei lodi parziali non impugnati).
[175] In punto, Zucconi Galli Fonseca, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 806, p. 1154.
[176] Cfr., Chiarloni, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, in Riv. trim. dir e proc. civ, 2004, p. 131; in particolare si può ricordare l'orientamento dottrinale che già prima della riforma del 2006 (che ha soppresso il richiamo alla disciplina della transazione) propendeva per la non applicabilità, ai fini dell'individuazione della compromettibilità della controversia, delle norme tipiche della transazione che prescindono da un diretto collegamento con la disponibilità del diritto; in questo senso, Corsini, L'arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur it., 2003, p. 1218; Verde, La convenzione di arbitrato, cit., p. 92 ss., spec., 96 ss.; Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, p. 937, nt. 30; in punto per un approfondimento del tema, cfr. Donativi, L’arbitrato societario. Presupposti di compromettibilità, Torino, 2015, p. 56 ss.
[177] In questo senso, Zucconi Galli Fonseca, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 806, p. 1153.
[178] Cfr., Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., p. 115.
[179] In questo senso, sempre, Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., p. 116.
[180] Si veda, E. F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, p. 522, Vanoni, le controversie arbitrabili, in La prassi dell’arbitrato irrituale, a cura di Bossi, Torino, 2012, p. 25.
[181] Sotto questo profilo si è affermato in giurisprudenza che non sono compromettibili le controversie su diritti che, «per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti» ossia «le controversie aventi ad oggetto solo quei diritti – di regola, ma non sempre, personali o personalissimi – che sono irrinunziabili, intrasmissibili ed imprescrittibili (e dei quali perciò non si può disporre con transazione o compromesso), fermo restando che non tutte le norme imperative e neppure tutte quelle di ordine pubblico hanno ad oggetto diritti indisponibili potendo esse agire con comandi o divieti pur sempre perentori ma nel territorio dei diritti disponibili, che restano tali anche quando il loro esercizio sia “conformato” da una disciplina inderogabile che preveda, ad esempio, specifiche sanzioni di nullità di atti o fatti illeciti» (in questo senso, Corte d’App., Milano, 13 settembre 2002). Il tema del rapporto fra inderogabilità della normativa e indisponibilità del diritto è particolarmente avvertito con riferimento alla compromettibilità dell’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio; in punto cfr. i contrastanti orientamenti giurisprudenziali richiamati alla nt. 206.
[182] Cfr. Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 806, p. 14 e ss.; Id, Riforma del diritto arbitrale, sub art. 806, p. 1153.
[183] Sul punto, Zucconi Galli Fonseca, Riforma del diritto arbitrale, sub art. 806, 1158, che si esprime in senso negativo, in quanto ritiene che non si possa distinguere tra «an-indisponibile e quantum-disponibile perché entrambi i profili sono strettamente connessi fra loro, e la quantificazione delle somme dovute può incidere in modo anche radicale sulla stessa garanzia della funzione assistenziale che caratterizzerebbe l'indisponibilità dell'an»). Si è peraltro ritenuta deferibile agli arbitri la controversia relativa all’accertamento della natura usuraia degli interessi dovuti in base ad un contratto di leasing, in quanto avente ad oggetto un diritto disponibile (Cass., 21 gennaio 2016, n.1119).
[184] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, Riforma del diritto arbitrale, sub art. 806, 1158.
[185] In questo senso, Trib, Milano, 22 giugno 2000, n. 7847, in Guida al dir., 2000, 31, p. 72.
[186] Cass., 21 agosto 1996, n. 7733.
[187] Cass., 23 febbraio 2006, n. 3989, che, con riguardo alla materia fallimentare, afferma che la peculiarità, in queste ipotesi, si ricava «dalla necessità del simultaneus processus, che assicura l’astratta possibilità del contraddittorio e la par condicio, tra i creditori» e che «impone di risolvere in quella sede le relative controversie»; problema differente, nell’ambito della disciplina dell’arbitrato, è il riconoscimento o meno in capo agli arbitri del potere di pronunciare provvedimenti di natura sommaria; in punto sia consentito il rinvio a Serra, Arbitrato e tutela sommaria, in Il giusto proc. civ., 2015, p. 533.
[188] Ci si riferisce agli artt. 34 e ss. del d. lgs, 17 gennaio 2003, n. 5.
[189] All’enunciazione in linea generale di tale principio (cfr. Cass., 19 settembre 2000, n. 12412; Cass., 6 luglio 2000, n. 9022, in Dir. e pratica società, 2000, f. 21, p. 77; Corte d’App. Firenze, 31 gennaio 2001, in Riv. arb. 2002, p. 315; Trib. Napoli, 30 marzo 1988, in Dir. fall., 1989, II, p. 490) fanno da corollario, a titolo di esempio, l’arbitrabilità delle controversie relative all’esclusione del socio (cfr., in questo senso, Trib. Catania Acireale, 13 settembre 1999, in Giur. comm., 2000, II, p. 507, con nota di Mirone, Questioni in tema di arbitrato e controversie societarie, con riferimento particolare al bilancio delle società di persone; Corte d’App. Trento, 20 marzo 1999, in Società, 1999, p. 957; Trib. Roma, 26 marzo 1994, in Riv. arb., 1995, p. 457, con nota di Borio, L’arbitrabilità delle controversie relative all’esclusione del socio; Trib. Palermo, 6 dicembre 1989, in Temi siciliana, 1990, p. 41; anche se, talvolta, è stata affermata la non arbitrabilità della controversia qualora dall’esclusione del socio fosse derivato lo scioglimento della società); la compromettibilità delle controversie relative all’accertamento della titolarità del diritto di intervento e di voto in assemblea (cfr.,Trib. Milano, 3 ottobre 1996, in Società, 1997, p. 305, con nota di Stesuri, Diritto di voto e limiti della giustizia arbitrale societaria); la compromettibilità in linea di massima delle controversie aventi a oggetto la revoca per giusta causa dell’amministratore di società di persone (cfr. Trib. Monza, 14 dicembre 2001, in Società, 2002, p. 1019, con nota di Cupido, Procedimento per la revoca dell’amministratore di società di persone; Trib. Genova, 25 gennaio 1982, in Giur. comm, 1982, II, p. 684; contra, Trib. Biella, 8 gennaio 2001, in Giur. it, 2001, p. 978, con nota di Bertolotti, Revoca di amministratore, tutela cautelare, compromettibilità in arbitri:osservazioni sul tema; Trib. Trieste, 12 dicembre 1990, in Società, 1991, p. 818); e, più di recente, le controversie relative alla responsabilità degli amministratori (Trib. Catania, 20 aprile 1999, in Giur.comm., cit, p. 507; Coll. Arb., 22 luglio 1998, in Corr. Giur., 1999, p. 613, con nota di Salvaneschi, Esclusione del socio amministratore e clausola compromissoria; Corte d’App. Milano, 14 gennaio 1992, in Società, 1992, p. 655); al contrario è stata in linea generale affermata la non arbitrabilità della controversie relative all’impugnabilità delle delibere relative allo scioglimento della società e alla nomina dei liquidatori; alla fusione con altra società; all’autorizzazione agli amministratori ad assumere la veste di soci illimitatamente responsabili in altra società concorrente; all’impugnazione della delibera dell’assemblea di una società cooperativa edilizia a responsabilità limitata che si pretende illegittimamente convocata (cfr. Trib. Trani, 14 ottobre 1999, in Giur. Merito, 2000, p. 299); con riferimento alle società cooperative, in particolare, si è dubitato della validità della clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto che deferisse a un collegio di probiviri il potere di decidere sulle controversie insorte tra l’ente societario e i soci (la giurisprudenza maggioritaria escludeva la validità di tali patti arbitrali, cfr., sul punto, Cass., 1 marzo 1988, n. 2132, in Foro it., 1988, I, 1011; Cass., 7 giugno 1985, n. 3394, in Foro it., 1985, I, c. 1959; Trib. Palermo, 30 novembre 1982, in Giur. merito, 1984, p. 868; contra, Corte d’App. Lecce-Taranto, 29 novembre 1997, in Arch. Civ., 1999, p. 69; Trib. Bologna, 3 novembre 1984, in Dir. fall., 1986, II, p. 101).
[190] Per un’analisi dell’orientamento della dottrina e giurisprudenza in argomento, cfr. Auletta, in La riforma delle società. Il processo a cura di Sassani, Torino, 2003, sub artt. 34-37, p. 327 ss.; prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 5 del 2003, Berlinguer, La compromettibilità per arbitri, II, Torino, 1999, p. 218 e ss. spec. 220; Bove, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit. 475; Carleo, Profili sistematici dell’arbitrato, a cura di Alpa, Torino, 1999, p. 716; Id, Le vicende soggettive della clausola compromissoria, Torino, 1998 p. 106, De Ferra, Clausole arbitrali nel diritto delle società, in Riv. arb., 1995, p. 187; Rubino Sammartano, Il diritto dell’arbitrato6, I, cit., p. 307 e ss.; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 391 ss.
[191] In proposito, si può rammentare, per esempio, il contrasto di opinioni sulla distinzione fra delibere nulle e delibere annullabili per illiceità dell’oggetto, essendo controverso se la norma sull’illiceità dell’oggetto della delibera potesse estendersi all’illiceità del suo contenuto, sul punto, De Ferra, Clausole arbitrali nel diritto della società, cit., p. 187.
[192] Così, De Ferra,Clausole arbitrali nel diritto della società, cit., p. 191.
[193] Secondo il primo di questi orientamenti, la legge delega non avrebbe avuto attuazione e, pertanto, il requisito della disponibilità del diritto sarebbe tuttora condizione imprescindibile, ai fini della compromettibilità in arbitri delle controversie in materia societaria, in questo senso Bove, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., 475 ss.; Cabras, Arbitrato e conciliazione nella riforma del diritto societario, in Vita notarile, 2003, p. 563; Chiarloni, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, cit., p. 130; Criscuolo, L’opzione arbitrale nella delega per la riforma delle società, in Riv. arb., 2002, p. 47; Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, cit., p. 937. Questa conclusione veniva giustificata sia sulla base del dato testuale dell’art. 34, co. 1, del d. lgs. n. 5/2003, per il quale le controversie devono avere ad oggetto diritti disponibili, sia con l’ulteriore assunto che tale limite, anche se non esplicitamente richiamato, è da intendere esteso anche alle altre controversie individuate nello stesso articolo al comma 4, nonché a quelle indicate negli artt. 35 e 36 (controversie tra società, amministratori, liquidatori e sindaci, e le controversie che abbiano per oggetto la validità delle delibere assembleari); sul punto, Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, cit., p. 940, nt. 37; Ruffini, La riforma dell’arbitrato societario, cit., p. 1533, per il quale il riferimento alla non compromettibilità delle controversie, nelle quali è previsto l’intervento del p.m., deve essere interpretato nel senso che, anche in materia societaria, le uniche controversie compromettibili sono quelle aventi ad oggetto diritti disponibili e non possono comunque essere oggetto di clausola compromissoria le controversie societarie per le quali sia previsto l’intervento obbligatorio del p.m., indipendentemente dalla loro eventuale transigibilità, e quindi anche se le stesse abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Secondo l’opposto orientamento, la riforma sarebbe espressione di un generale favore del legislatore nei confronti dell’arbitrato, il quale consentirebbe di identificare l’arbitrato societario come uno strumento particolarmente adeguato a regolamentare la «giustizia del gruppo» (E.F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, cit., p. 523; nel senso della compromettibilità di controversie relative a diritti indisponibili si esprime, seppur rammaricandosene, Fazzalari, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Riv. arb., 2003, p. 444, per il quale l’art. 34, co. 5, limita l’incompromettibilità alle controversie in cui è stabilito l’intervento obbligatorio del pubblico ministero, comprende nella compremittibilità anche le controversie su diritti indisponibili). Secondo questo orientamento, la disciplina conterrebbe una chiara equiparazione degli arbitri rituali ai giudici togati, ravvisabile sopratutto – tra i tanti elementi di somiglianza – nell’attribuzione agli arbitri del potere di disporre la sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari (quando oggetto della controversia sia la validità della stesse: art. 35, co. 5), potere di norma riservato al giudice ordinario. Vi sarebbe, pertanto, un’equiparazione tra giudici ordinari e arbitri, fermo restando il solo limite, per questi ultimi, di non poter decidere delle controversie tra soci ovvero tra i soci e la società relative a diritti indisponibili. Dunque, alla stregua di questa proposta interpretativa, sarebbe sottratto alla compromettibilità in arbitri un numero esiguo di controversie. E invero, il limite delle disponibilità del diritto sarebbe escluso nelle controversie di cui all’art. 34, co. 4, nonché in quelle riguardanti l’impugnazione delle deliberazioni assembleari. Pertanto, in considerazione del fatto che in materia societaria la gran parte delle controversie ha per oggetto l’impugnazione delle delibere assembleari, il limite della disponibilità del diritto controverso, secondo questa interpretazione, porta necessariamente ad escludere la compromettibilità in arbitri delle sole controversie tra soci e tra soci e società che abbiano ad oggetto diritti indisponibili ma che non riguardino l’impugnazione di deliberazioni assembleari, essendo queste ultime arbitrabili qualunque sia il loro contenuto. Inoltre, si osserva, se sussistesse ancor oggi, a seguito della riforma, il limite della disponibilità del diritto, non sarebbe stato necessario escludere dalla compromettibilità le controversie nelle quali è espressamente richiesto l’intervento del pubblico ministero.
Infine, fra gli opposti orientamenti ora riassunti, una posizione intermedia veniva assunta da quegli studiosi i quali, seppure con minore enfasi, osservano che se il legislatore non avesse attribuito agli arbitri il potere di decidere anche su diritti indisponibili, non si giustificherebbe la norma contenuta nell’art. 36, co. 1, laddove si prevede che, qualora gli arbitri si pronuncino su questioni non compromettibili e sulla validità delle delibere assembleari, essi debbano decidere secondo diritto e il lodo sia sempre impugnabile ex art. 829, comma 2, c.p.c. In punto, cfr. Miccolis, Arbitrato e conciliazione nelle riforma del processo societario, cit. p. 7 s.; afferma la compromettibilità delle deliberazioni assembleari senza distinzione alcuna circa il contenuto delle stesse anche Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, cit., p 723, per il quale il legislatore avrebbe voluto «tagliar corto» per quanto riguarda l’arbitrabilità dell’impugnazione delle delibere, come risulta anche dal fatto che la legge richiama ripetutamente e in via generale l’impugnazione delle delibere come possibile oggetto di arbitrato, senza mai fare riserve. Da tale equiparazione tra competenza a decidere su questioni non compromettibili e competenza a giudicare sulla validità delle delibere assembleari, dovrebbe dedursi, infatti, che il legislatore ha previsto e disciplinato anche l’eventualità che l’arbitrato avente ad oggetto delibere assembleari incida su diritti indisponibili non compromettibili (quindi, il limite della disponibilità non sarebbe vincolante per la compromettibilità dell’impugnazione delle delibere assembleari, mentre rimarrebbe valido in tutti le altre ipotesi: controversie tra soci, tra soci e società e tra società e amministratori, liquidatori e sindaci, con la possibilità di decidere solo incidenter tantum questioni non compromettibili). Gli orientamenti qui considerati sembrano avere come unico riferimento la nozione di deliberazione assembleare elaborata – prima della riforma – per le determinazioni assunte dall’assemblea sociale (quale organo delle società). E’appena il caso di notare (in punto, sia consentito il richiamo a Serra, Considerazioni in tema di arbitrato societario, in Riv. giur. sarda, 2004, p. 891) che le opinioni in esame non si danno carico di valutare l’applicabilità delle regole introdotte con la riforma alle società di persone (rispetto alle quali si dubita, quanto meno, che sia estensibile alle decisioni dei soci la disciplina delle deliberazioni, non essendo ipotizzabile in tali società – almeno per la prevalente giurisprudenza e parte della dottrina – un organo «assemblea») ed alla società a responsabilità limitata come rimodellate, appunto, dalla riforma (con il superamento dell’organizzazione corporativa propria del precedente modello, e si veda in particolare la disciplina delle «decisioni dei soci»). Il problema merita attenzione non essendo dato dubitare – per altro verso – del pieno assoggettamento sia delle società personali sia delle società a responsabilità limitata agli artt. 34 e ss. d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
[194] Con riferimento all’individuazione delle controversie relative al rapporto sociale, cfr. Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, cit., p. 724, il quale fa riferimento alla trentennale esperienza maturata nei riguardi dell’art. 409 c.p.c., al fine di determinare cosa debba intendersi per controversie o diritti «relativi» a un rapporto. Con specifico riguardo alla clausola compromissoria, secondo questo studioso, ci si dovrà riferire alle controversie: a) relative all’esistenza/inesistenza, qualificazione, disciplina del rapporto sociale; b) relative a diritti che trovano la loro fattispecie costitutiva nel rapporto sociale, anche se di essi sono titolari non soci (ad es., ma non esclusivamente, in virtù di successione nel diritto o nell’obbligo, di cui originariamente era titolare il socio).
Come si avrà occasione di precisare in seguito, la norma non distingue fra controversie inerenti a società personali o società di capitali, così lasciando impregiudicata la questione se, laddove si fa riferimento all’impugnativa di «deliberazioni assembleari», il termine sia utilizzato in senso squisitamente tecnico ovvero come generico riferimento a decisioni assunte dalla collettività dei soci (a prescindere dal tipo sociale in concreto investito dalla controversia).
[195] Tale tesi muove dalla concezione negoziale del fenomeno arbitrale, per la quale la convenzione arbitrale andrebbe intesa come negozio finalizzato al componimento della lite e non come negozio avente lo scopo di sottrarre il potere di decidere la controversia al giudice ordinario. L’erroneità della premessa è però evidente, quando si consideri che ogni qual volta la legge disponga espressamente che sono compromettibili i diritti indisponibili, il potere degli arbitri a decidere su tali controversie, che pur continua a scaturire da un atto negoziale, trova la sua legittimazione nella legge. Il problema, quindi, non si pone con riferimento alla natura negoziale o meno dell’arbitrato, ma richiede di aver riguardo unicamente agli elementi desumibili dal dato normativo e alla loro interpretazione.
[196] In questo senso, cfr. Gabrielli, Clausole compromissorie e statuti sociali, in Riv. dir .civ., 2004, II, p. 93.
[197] Anche se forse tale circostanza non deve escludersi in assoluto e si possono prospettare ipotesi – seppur in numero limitato – in cui gli arbitri possono decidere secondo equità (a questa conclusione, potrebbero, infatti, pervenire gli studiosi che dovessero escludere l’applicabilità della regola alle decisioni dei soci, che tecnicamente non dovessero essere qualificate come «delibere assembleari», quali le decisioni assunte dai soci nelle società di persone; per chi esclude l’applicabilità della regola alle società di persone cfr. nt. 213).
[198] Soprattutto in alcuni casi sarebbe quanto meno azzardato pensare che l’impugnazione della delibera possa essere decisa secondo equità, basti pensare ad es. all’ impugnazione della delibera di approvazione del bilancio (mentre qualche dubbio potrebbe sorgere con riferimento ad esempio all’impugnazione della deliberazione di esclusione del socio).
[199] In relazione alla controversie riguardo alle quali può porsi un problema di disponibilità dei diritti, si può pensare, con riferimento alla società, alle norme che disciplinano le caratteristiche essenziali del tipo sociale. Riguardo ai soci si può pensare alle controversie aventi ad oggetto i diritti c.d. individuali dei soci.
Per diritti individuali dei soci ci si riferisce alla categoria elaborata dalla disciplina commerciale e che ricomprende in tale classificazione tutti i diritti del socio direttamente afferenti al suo status di socio (fra gli altri, diritto di voto; diritto alla quota di liquidazione). Occorre sin d’ora precisare che con riferimento a tali ultime fattispecie, il criterio per stabilire la compromettibilità o meno delle controversie ad esse relative, deve essere individuato tenendo conto della transigibilità della controversia, intendendo per transigibili le controversie in cui le parti abbiano la disponibilità dell’azione ancorché non abbiano la disponibilità negoziale dei diritti sottostanti ( sul punto vedi più avanti nel testo).
[200] E’ sufficiente richiamare le numerose pronunce giurisprudenziali in tema di inarbitrabilità delle controversie relative allo scioglimento della società; all’impugnabilità delle deliberazioni di approvazione del bilancio, all’esclusione dei soci.
[201] Non pare possa ostare a tale soluzione l’osservazione, fatta in dottrina, secondo la quale affermare che – per alcune controversie societarie – non valga più il limite della disponibilità del diritto, finirebbe per togliere valore normativo al requisito delle disponibilità riaffermato dall’art. 34. co. 1; in particolare con riguardo alle controversie concernenti organi sociali ove l’amministratore sia, per esempio, anche socio della società, si porrebbe un evidente conflitto fra i commi 1 e 4 dell’art. 34 (in questo senso si veda Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, cit., p 940). Tale rilievo non pare decisivo, potendosi replicare che, in simili ipotesi, sarà sufficiente verificare se l’oggetto della controversia investa il socio in quanto tale ovvero in quanto amministratore (sull’argomento, cfr. Salvaneschi, Esclusione del socio amministratore e clausola compromissoria, cit., p. 616 ss.).
[202] Cfr., sul punto, Corsini, L’arbitrato nella riforma societaria, cit., p. 1289, il quale richiama l’orientamento concorde della giurisprudenza e della dottrina nell’ammettere la possibilità di un’ordinaria azione contenziosa a seguito di approvazione giudiziale della revoca volta a statuire sul diritto del sindaco al risarcimento danni.
[203] Per quanto riguarda le deliberazioni degli amministratori è appena il caso di ricordare che il novellato testo dell’art. 2388 c.c. disciplina espressamente la materia (al contrario di quanto si verificava prima della riforma) in termini di individuazione sia dei soggetti legittimati ad impugnare le deliberazioni invalide del consiglio di amministrazione sia della cause di invalidità (la non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto). Di qui una prima indicazione, nel senso che le deliberazioni impugnabili sarebbero tutte – in linea di principio – annullabili; conclusione che non può non lasciare margini di perplessità; anche se certamente coerente con l’impostazione per cui tutte le relative controversie (individuate nell’art. 34, co. 4) sono compromettibili in arbitri.
[204] E’ vero che tale soluzione avrebbe il pregio di semplificare la materia e consentirebbe - come si è sostenuto – «di tagliar corto» circa il problema dell’arbitrabilità delle delibere assembleari (Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, cit., p. 709), ma non si può dimenticare che comunque il legislatore delegato non ha voluto eliminare del tutto il limite della disponibilità del diritto, come risulta chiaramente e univocamente dall’art 34 co. 1. E soprattutto occorre considerare che, talvolta (o spesso), l’impugnazione della delibera assembleare può andare ad incidere su quei diritti «indisponibili» dei soci che la legge definisce non compromettibili. Pertanto quando la delibera assembleare vada ad incidere per esempio su alcuni dei c.d. diritti individuali dei soci o diritti indisponibili della società sarà difficile ritenere la delibera sicuramente compromettibile senza esitazione alcuna, in virtù di un invocato criterio di semplificazione della materia delle deliberazioni assembleari. La verità è che il requisito della disponibilità del diritto controverso – come si è cercato di chiarire – deve sussistere tanto per le controversie di cui all’art. 34, co. 1, quanto per l’impugnabilità delle deliberazioni assembleari, che abbiano ad oggetto tali controversie. In punto non può non ribadirsi che l’art. 34, comma 1, ha fatto coincidere l’ambito delle controversie «sociali», per le quali può essere prevista la devoluzione ad arbitri, con quello delle controversie insorte fra i soci e fra i soci e la società aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Il principio vale per tutte le società – dalla società di persone alle società di capitali ed alle cooperative – a nulla rilevando, sotto questo profilo, il titolo (o se si preferisce l’atto o il fatto) dal quale ha origine la controversia nonché i soggetti (tutti o alcuni soci; uno o più soci e la società). In altre parole la compromettibilità è conseguenza della qualità delle parti (soci e/o società) e della specificità dell’oggetto della controversia (diritti disponibili relativi al rapporto sociale). La formalizzazione in un particolare atto (come è il caso della deliberazione) dell’evento che dà luogo all’insorgere della controversia riguarda, più semplicemente, le regole del procedimento arbitrale ed i criteri – secondo diritto ovvero secondo equità – a cui gli arbitri debbono attenersi nel rendere il loro giudizio.
La conclusione qui prospettata merita di essere condivisa per un duplice ordine di ragioni. Da un lato essa è conforme al dato testuale delle norme in esame nonché allo spirito della riforma; dall’altro essa consente di far salva l’unità del sistema, nel senso che, fermo il limite sostanziale (la disponibilità del diritto in capo alle parti) ai fini della devoluzione della controversia agli arbitri, niente impedisce che siano imposte regole procedimentali diverse a seconda che la controversia abbia ad oggetto la validità di una deliberazione assembleare ovvero un mero pronunciamento dei soci (ancorché imputabile alla società) od anche un comportamento di un singolo socio nei confronti di un altro (od altri). In armonia con l’impostazione del testo, può dirsi – in linea di principio – che tutte le decisioni dei soci debbano pertanto ritenersi assoggettate alla disciplina delle «deliberazioni assembleari», ancor quando assunte con forme procedimentali diverse da quelle previste per l’assemblea delle società per azioni. Al contrario per le controversie di cui al comma 4 promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti, deve ritenersi che, con la riforma, si sia dato ingresso alla compromettibilità delle controversie relative anche a diritti indisponibili. In tal caso, peraltro, quando la controversia abbia ad oggetto la validità di una deliberazione assembleare nelle materie che toccano i soggetti individuati nell’art. 34, comma 4, troveranno applicazione anche le norme procedimentali dettate, in via generale, dagli artt. 35 e 36. Non vi è, infatti, ragione per sottrarre tali controversie ai principi della materia, la cui applicazione non incide sulla diversa valutazione data dal legislatore agli interessi in gioco e consistente nel ritenere compromettibili – nell’ipotesi dell’art. 34, co. 4 – le controversie aventi a oggetto anche diritti indisponibili (purché relativi al rapporto sociale).
[205] Cfr., sul punto, Bove, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., p. 475 s., per il quale se la norma è inderogabile perché coinvolge interessi di terzi, si deve imporre agli arbitri di decidere secondo diritto, ma non si può far derivare dall’inderogabilità della norma la non compromettibilità della controversia. Secondo questo studioso non vi sarebbe ragione per distinguere tra delibere annullabili e delibere nulle, nel senso di ritenere compromettibili le prime e non le seconde, in considerazione del fatto che in entrambi i casi sarebbe possibile il giudizio arbitrale, solo che nella seconda ipotesi non è possibile prescindere dall’applicazione delle norme inderogabili e, quindi, dall’eventuale controllo della loro applicazione di fronte al giudice statale. In punto sembra preferibile – come già detto – l’orientamento per il quale la compromettibilità va individuata con la disponibilità dell’azione; appare, quindi, corretto ritenere che non tutte le deliberazioni nulle siano arbitrabili, come nell’ipotesi di nullità contemplata dall’art. 2379, co.1, ult. cpv. (delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, ma sul punto si veda anche la nota successiva).
[206] A favore della compromettibilità si esprime un orientamento minoritario (cfr. Trib. Milano, 10 maggio 2013, in Le Società, 2013, p. 862 s.), secondo il quale «non deve essere confusa la inderogabilità delle norme – quali quelle sul bilancio – con la indisponibilità dei diritti che ne nascono: inderogabilità significa che l’ordinamento esige l’applicazione di determinate discipline, eliminando spazi di autonomie privata; indisponibilità significa invece che il privato non può con il proprio consenso o dissenso determinare l’applicazione del diritto« (nello stesso senso,Trib. Milano, 22 aprile 2011, ivi, 2011, p. 858; Trib. Milano, 3 giugno 2010, in Corr. giur., 2011, p. 1137); in senso contrario si esprime la giurisprudenza prevalente (cfr. Cass., 12 settembre 2011, n. 18600, in Le Società, 2011, p. 1228; Corte d’App. Torino, 16 luglio 2012, ivi, 2012, p. 1363 s., Trib. Torino, 23 novembre 2012, in Giur. it., 2013, p. 3; Trib. Milano, 23 marzo 2012, in Le Società, 2012, p. 713; Trib. Milano, 10 dicembre 2010, ivi, 2011, p. 221; Trib. Roma, 6 dicembre 2010, Il caso.it, 2010). Anche la giurisprudenza più risalente ha in linea generale affermato la non arbitrabilità della controversie relative all’impugnabilità delle delibere assembleari di approvazione del bilancio, (cfr., sul punto, Cass., 30 marzo 1998, n. 3322; Trib. Milano, 7 febbraio 2002, in Giur. it., I, 2, 2002, p. 1014; Trib. Cagliari, 17 novembre 1997, in Riv. giur. sarda, 1998, p. 749, con nota di Pacini, In tema di operatività della clausola compromissoria in materia societaria; contra Trib. Catania, 28 marzo 1998, in Giur. comm., cit., p. 507; Trib. Padova, 18 gennaio 1986, in Società, 1986, p. 1092; Trib. Genova, 25 gennaio 1982, in Giur. comm., 1982, II, p. 684).
[207] In questo senso, Chiarloni, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, cit., p. 131, anche se con riferimento alla «transigibilità» della controversia.
[208] In questo senso, in motivazione, Cass., sez. un., ord., 25 ottobre 2013, n. 24153, in Corr. giur., 2014, p. 84, con nota di Verde, Arbitrato e giurisidizione: le Sezioni Unite tornano all’antico; Consolo, Marinucci, Impugnazione per nullità di delibere assembleari e arbitrato, in Riv. dir. civ., 2013, p. 217 ss.
[209] Così, Consolo, Sul campo dissodato della compromettibilità in arbitri, cit., p. 257.
[210] In questo senso, Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit. sub art. 806, p. 11.
[211] Sempre, Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit. sub art. 806, p. 12, la quale osserva che l’inciso apparentemente innocuo con il quale il legislatore prevede la compromettibilità in arbitri, salvo espresso divieto di legge, «si può rilevare un formidabile strumento per limitare liberamente l’arbitrato con semplice legge ordinaria, anche a prescindere da motivazioni di ragionevolezza, che pure dovrebbero informare ogni limitazione al potere di autonomia negoziale». L’A. ritiene che «il principio di ragionevolezza vada conservato in chiave di coordinamento fra il divieto di legge e il valore costituzionale dell’autonomia dei privati. Solo quando vi siano esigenze di pari dignità costituzionale potrà essere limitata l’autonomia negoziale di cui l’arbitrato rappresenta sicura espressione». Conclusione confortata dal richiamo alla sentenza della Corte Cost., 28 novembre 2001, n. 376 (fra le altre, in Giust. civ., 2001, I, p. 2883 ss., con nota di Vaccarella, Il coraggio della concretezza in una storica decisione della Corte Costituzionale, in Riv. arb., 2001, p. 657 ss., con nota di Briguglio, Merito e metodo nella pronuncia della Consulta che ammette gli arbitri rituali alla rimessione pregiudiziale costituzionale, cit., p. 351 ss., con nota di E.F. Ricci, «La funzione giudicante» degli arbitri e l’efficacia del lodo (un grand arret della Corte Costituzionale) nella parte in cui afferma che «la discrezionalità di cui il legislatore sicuramente gode nell’individuazione delle materie sottratte alla possibilità di compromesso incontra il solo limite della irragionevolezza»; sembra in senso contrario o parzialmente contrario, Motto, Le controversie arbitrali alla luce della riforma dell’arbitrato del 2006 (art. 806 c.p.c.), cit., par. 1.
[212] L’art. 12, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (la c.d. legge delega) disponeva che il Governo potesse «altresì prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli artt. 806 e 808 c.p.c., per tutte o alcune tra le controversie societarie [comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali]. Nel caso che la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità, ed il lodo sarà impugnabile anche per violazione di legge».
[213] Dubbi sorgono sul fatto che la disciplina dell’arbitrato societario possa trovare applicazione anche con riferimento alle società semplici; secondo alcuni il riferimento alle società deve essere inteso come implicitamente limitato alle sole società commerciali (così, Ruffini, La riforma dell’arbitrato societario, cit., p. 1527; Zucconi Galli fonseca, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir.e proc. civ., 2003, p. 935). Per quanto riguarda l’ambito spaziale della nuova normativa, si è rilevato che la disciplina si applicherebbe alle sole società governate dal diritto italiano, escludendo pertanto che la disciplina si applichi a tutti gli arbitrati in materia societaria che si svolgano in Italia (Giardina, L’ambito di applicazione della nuova disciplina dell’arbitrato societario, in Riv. arb., 2003, p. 233).
[214] Norma criticata in dottrina (Chizzini, Il nuovo processo civile in materia societaria: promesse, autonomie, altre regole e nuove inquisizioni, testo provvisorio, p. 13; Corsini, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, cit., p. 1290) in considerazione del fatto che il ricorso al mercato del capitale di rischio non è un elemento statico bensì dinamico con evidenti implicazioni sul piano dell’efficacia della clausola arbitrale e dell’eventuale arbitrato già pendente. Sul punto, cfr. Ruffini, La riforma dell’arbitrato societario, cit., p. 1528, per il quale occorre distinguere: nel caso in cui la società aperta abbia approvato la clausola compromissoria, la stessa è invalida e non può acquistare efficacia a seguito del sopravvenuto passaggio a società chiusa, mentre la clausola approvata in data nella quale la società non fa ricorso al mercato di capitale di rischio a norma dell’art. 2325 bis c.c. è comunque valida, ma avrebbe un’efficacia instabile, essendo esposta nel tempo alle conseguenze del mutamento di status (aperta o meno) della società; sull’argomento si veda anche Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale nella società dopo la riforma, cit., p. 945, per la quale, in caso di passaggio da società chiusa a società aperta in pendenza di giudizio arbitrale, eventuali processi in corso non potranno perciò solo estinguersi, dovendosi invocare, anche per la domanda arbitrale, un principio analogo a quello della perpetuatio iurisdictionis. Occorre inoltre chiarire, con riferimento a tale tipo di società, che l’esclusione delle società individuate dall’art. 2325 bis c.c.va intesa nel senso che nei relativi statuti e atti costitutivi non può efficacemente essere inserita una clausola compromissoria, pur rimanendo la possibilità di far ricorso all’arbitrato in forza di compromesso a lite già insorta (cfr., sul punto, Ruffini, op. cit., p. 1528; Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, cit., p. 726; Zucconi Galli Fonseca, op.cit., p. 945). Per alcuni la ratio dell’esclusione delle società di cui all’art. 2325 bis c.c.trova il suo fondamento «nella tipologia dei soci in quel tipo di società», in quanto si tratta prevalentemente di soci investitori che presumibilmente neppure conoscono l’atto costitutivo o lo statuto della società (così, Luiso, Appunti sul diritto societario, cit., p. 722 ss.).
[215] In argometo, Polinari, Arbitrato nelle controversie amministrative, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato riforme di procedura civile, cit., p. 511 ss.; Giovannucci Orlandi, in Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre ADR, a cura di Bonfante e Giovannucci Orlandi, Torino, 2006, p. 829 e ss.; Picozza, Il concetto di pubblica amministrazione tra arbitrato e giudizio di ottemperanza, cit., p. 449 ss.
[216] In punto, cfr. A. Schumacher,
Unbestimmte Schiedsvereinbarungen und Dissens: Anknüpfungsfragen bei
internationalen Sachverhalten in der Judikatur des OGH, in SchiedsVZ,
2005, p. 76; Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den
Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 141 ss.; Riegler, in Riegler et al., Arbitration
Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 45 ss.
[217] La disposizione corrisponde al testo previgente del § 595 Abs. 1 Z. 5 öZPO che più semplicemente individuava come causa di annullamento del lodo il fatto che il collegio arbitrale avesse oltrepassato il limite del proprio ufficio (Aufgabe); in punto, cfr. Kloiber, Haller,in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 58; Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 45.
[218] In argomento è stato osservato (Reiner, Das neue österreichische Schiedsrecht. SchiedsRÄG 2006, cit., p. 50, nt. 198) che la disposizione in esame, relativa alla possibilità di un annullamento parziale del lodo, abbia portata generale, trovando applicazione anche riguardo agli altri motivi di annullamento del lodo ogniqualvolta il vizio riguardi una parte separabile del lodo; nello stesso senso Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 49; Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 148.
[219] Così, Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 6; Hausmaninger, in Fasching,
Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub §
611, Rz. 144.
[220] La disposizione da ultimo citata impone alla parte che voglia eccepire l’incompetenza degli arbitri di sollevare l’eccezione al più tardi nella prima allegazione di merito. Inoltre, nel caso in cui sia sottoposta agli arbitri una domanda che eccede il loro potere, deve essere eccepito «subito» (nella prima difesa utile).
[221] In questo senso, Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 6.
[222] Il § 603 öZPO
recita: (1) Das Schiedsgericht hat die Streitigkeit in Übereinstimmung mit
den Rechtsvorschriften oder Rechtsregeln zu entscheiden, die von den Parteien
vereinbart worden sind. Die Vereinbarung des Rechts oder der Rechtsordnung
eines bestimmten Staates ist, sofern die Parteien nicht ausdrücklich etwas
anderes vereinbart haben, als unmittelbare Verweisung auf das materielle Recht
dieses Staates und nicht auf sein Kollisionsrecht zu verstehen.
(2) Haben
die Parteien die anzuwendenden Rechtsvorschriften oder Rechtsregeln nicht
bestimmt, so hat das Schiedsgericht jene Rechtsvorschriften anzuwenden, die es
für angemessen erachtet.
(3) Das
Schiedsgericht hat nur dann nach Billigkeit zu entscheiden, wenn die Parteien
es ausdrücklich dazu ermächtigt haben.
[223] Si fa l’esempio dell’ipotesi di più domande cumulate, di litisconsorzio e della domanda di arbitrato e della domanda riconvenzionale, in punto, Reichold, in Thomas, Putzo, Zivilprozessordnung cit., sub § 1059, Rn. 11.
[224] E’stato osservato in dottrina (Lachmann, Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2247), che nell’ipotesi in cui la parte sia stata citata davanti al giudice ordinario ed abbia eccepito l’incompetenza di quest’ultimo, a favore della competenza degli arbitri, non potrà poi ottenere l’annullamento del lodo affermando che gli arbitri fossero incompetenti a decidere.
[225] In questo senso, cfr. Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit.,
Rn. 1089; Voit, in Musielak, Kommentar zur
Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 14; Münch, in Münchener Kommentar zur ZPO, cit., sub § 1059
ZPO, Rn.18 ss.
[226] In questo senso, Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1089; Lachmann, Handbuch für die
Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2248; Münch,
in Münchener Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 1059 ZPO, Rn.19.
[227] Il profilo è stato già trattato supra, par. 2 ss.
[228] Cfr., Odorisio, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 270.
[229] Per un’analisi del tema con riferimento alla sentenza, cfr. Barletta, Extra e ultra petizione, Milano, 2012, p. 8, il quale, nel precisare la distinzione fra extra e ultra petizione, definisce l’extrapetizione «come il vizio che ricorrerebbe quando il giudice si pronunci su una “causa” diversa rispetto a quella introdotta dall’attore, dando luogo ad una sostituzione dell’oggetto del giudizio da parte del giudice» e l’ultrapetizione, come la pronuncia del giudice «su effetti ulteriori rispetto al richiesto o quantitativamente eccedenti il petitum».
[230] In punto, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato8, cit., sub art. 829, p. 724; Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 150 ss.
[231] E’ stato osservato che è stato recepito nella norma l’antico brocardo: tantum compromissum tantum judicatum (così, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 724); già Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 545, il quale osserva che «più che di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, come nell’art. 112 c.p.c. per il giudizio innanzi al giudice ordinario, si tratta di corrispondenza tra controversie compromesse tra le parti (per usare la terminologia del codice di rito del 1865) e quindi tra il contenuto o l’ambito oggettivo del patto compromissorio e il giudizio, il decisum degli arbitri».
[232] In argomento, cfr. Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1870 ss.; Boccagna, in Riforma del diritto arbitrale nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, 1415 ss.
[233] In questo caso, infatti, le parti verranno a conoscenza del vizio solo dopo la pronuncia del lodo; per tutti, La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 159; Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., p. 229; Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 153.
[234] Così, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 545, nt. 124, il quale richiama la pronuncia di Cass., 12 maggio 1981, n. 3125, ove si precisa che tale interpretazione può essere sindacata innanzi alla Corte di Cassazione solo sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica e del vizio di motivazione; in senso contrario Corte d’App. Milano, 1 luglio 2014, cit.
[235] In punto, si richiama quanto osservato supra alla nt. 104 e testo corrispondente, Parte seconda, Cap. II, con riferimento all’interpretazione della clausola e alla validità della stessa anche nelle ipotesi di contratti collegati fra loro, dei quali solo uno contenga la convenzione di arbitrato, e della necessarietà – ai fini della efficacia della convenzione di arbitrato – della c.d. relatio perfecta.
[236] Così, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 725.
[237] Così, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 555.
[238] In argomento, si fa rinvio a quanto osservato in questo Cap., Sez. I, par. 8.
[239] In punto è stato osservato (Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato8, cit., sub art. 829, p. 725, nt. 59) che non è condivisibile l’opinione (Marengo, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 134; Briguglio, in Codice di procedura civile commentato, IV, I p rocedimenti speciali, a cura di Vaccarella, Verde, Torino, 1997, sub art. 817, p. 892) per cui il mancato rilievo dell’eccezione di esorbitanza delle conclusioni della controparte e, quindi, l’ampliamento dell’ambito della convenzione di arbitrato, avrebbero effetti soltanto con riferimento al processo arbitrale in corso mentre non produrrebbero effetti riguardo a un’eventuale reviviscenza del patto compromissorio (ad es. in caso di devoluzione agli arbitri del giudizio rescissorio a seguito di annullamento del lodo). Le ragioni del dissenso sono da individuare – tenuto conto del fatto che il iudicium rescissorium di fronte agli arbitri si inserisce nel meccanismo avviato dal giudizio iniziato con l’originario processo poi annullato – nella «diversa valenza dell’impugnazione per nullità, rispetto alle altre impugnazioni, sugli effetti che la pendenza del giudizio arbitrale determina sul diritto fatto valere: in altri termini, l’ambito del iudicium rescissorium non si può non misurare in base all’ambito del giudizio arbitrale originario, ivi compresa la domanda nuova».
[240] Con riferimento a questa profilo, è stato osservato (Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 726), che in realtà non ci si dovrebbe limitare a qualificare la fattispecie come mera sanatoria del vizio, evidenziando così il connotato negativo (del mancato rilievo del vizio come fattispecie sanante del medesimo, oppure come limite alla sua impugnabilità), ma si dovrebbe invece porre in risalto il profilo positivo, consistente nell’introduzione «di una diversa via di attribuzione agli arbitri, già investiti della controversia, del potere di decidere altra materia del contendere sorta fra le parti». In realtà, la disquisizione rischia di diventare irrilevante ai fini pratici, quando si riconduca alla fattispecie in esame una mera efficacia endoprocessuale, seppur con le precisazioni individuate alla nota precedente. Il risultato è, comunque si qualifichi la fattispecie in esame, che a seguito del comportamento omissivo delle parte il vizio del lodo non può più essere fatto valere: sia che si definisca la fattispecie come ipotesi di sanatoria del vizio sia che la si qualifichi in termini di sopravvenuta attribuzione del potestas decidendi agli arbitri. Effetti che potrebbero definirsi l’uno la specificazione dell’altro. Infatti, se al mancato rilievo del vizio consegue la sanatoria del vizio del procedimento arbitrale, ossia viene sanato il difetto di potestas iudicandi in capo agli arbitri, ciò vuol dire che il meccanismo congegnato dagli artt. 829, co.1, n. 4 e 817, co. 3, c.p.c., configura un’ipotesi di sopravvenuta attribuzione del potestas decidendi agli arbitri. Il lodo, pertanto, non può essere impugnato per il motivo di cui all’art. 829, c.p.c., co. 1, n. 4, prima parte (extrapetizione), perchè pronunciato nell’ambito dei limiti della convenzione arbitrale successivamente ampliati nel corso del procedimento arbitrale.
[241] In argomento, cfr. Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1870 ss.; Boccagna, in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 829, 1415 ss.
[242] Così, Boccagna, in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 829, p. 1416 ss.; Luiso, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., p. 778 ss.; Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 152 ss.; in senso contrario, Consolo, Autonomia diretta delle parti VS discrezionalità dei difensori – e residualmente degli arbitri come mandataria – negli snodi dell’arbitrato qualegiudizio isonomico, cit., p. 1373.
[243] Come osservato in dottrina, (Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 351), il secondo comma dell’art. 829 c.p.c. subordina l’impugnabilità del lodo per violazione di regole procedimentali alla duplice condizione a) che la violazione venga eccepita dalla parte interessata e b) che l’eccezione sia sollevata nella prima istanza o difesa successiva; nello stesso senso, Menchini, Impugnazioni del lodo «rituale», cit., p. 190 s.
[244] Come in precedenza osservato, le ipotesi sono accomunate dalla natura del vizio («vale a dire il capo di pronuncia riguarda una controversia che non ha formato oggetto di patto compromissorio») ma si differenziano per il regime del vizio che, nel caso di pronuncia arbitrale oltre i limiti delle stesse domande sottoposte agli arbitri ricorre sempre, «mentre nel caso in cui una delle parti abbia espressamente richiesto agli arbitri di pronunciarsi su controversia non ricompresa nel patto compromissorio, il vizio non può più essere censurato a seguito del comportamento processuale della controparte, che si astenga dal sollevare l’eccezione nel corso del procedimento arbitrale», cfr. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit. sub art. 829, p. 728 ss.).
[245] Così, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p., 548 che richiama, con riguardo al lodo emesso in un giudizio instaurato tardivamente, Cass., 15 novembre 1984, n. 5771.
[246] In questo senso, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 155 ss.; Menchini, Le impugnazioni del lodo «rituale», cit., p. 186; Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 345; Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 612; in giurisprudenza, Corte d’App. Milano, 1 luglio 2014, cit.
[247] Così, Menchini, Impugnazioni del lodo «rituale», cit., p. 186; nello stesso senso Boccagna, in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 829, 1416 ss.; Corte d’App. Milano, 1 luglio 2014, cit.
[248] V., Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1871.
[249] Rubricato, appunto, «costituzione del collegio arbitrale» (Bildung des Schiedsgerichts).
[250] La norma ora citata è la prima disposizione del capo
in esame, rubricata proprio Zusammensetzung des Schiedsgerichts e
dispone: (1) Die Parteien können die Anzahl der Schiedsrichter frei
vereinbaren. Haben die Parteien jedoch eine
gerade Zahl von Schiedsrichtern vereinbart, so haben diese eine weitere Person
als Vorsitzenden zu bestellen. (2) Haben
die Parteien nichts anderes vereinbart, so sind drei Schiedsrichter zu
bestellen. In punto, cfr., Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 154.
[251] In punto, cfr. infra nel testo sub par. 2.
[252] In argomento, Kloiber,
Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit.,
p. 58; Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den
Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 157; Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 611, Rz. 7.
[253] Cfr., Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7, i quali nell’affermare
che da die Parteien ein Recht auf ein gesetzmäßig bzw ihrer Vereinbarung
gemäß gebildetes oder zusammengesetztes Schiedsgericht haben, kann es auf eine
«Erheblichkeit» des Mangels nicht ankommen, richiamano l’ErlRV 27 e Oberhammer, Entwurf eines neuen
Schiedsverfahrensrechts, Wien, 2002, p. 132 ss.; nello stesso senso Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen,
cit., sub § 611 Rz. 157.
[254] In punto, cfr. Kloiber, Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 58 ss. e nt. 142, e Zeiler, Schiedsverfahren, cit., p. 263, i quali osservano che sarebbe difficile provare fino a che punto un collegio arbitrale costituito conformemente alle norme di legge o stabilite dalle parti avrebbe deciso diversamente. Un caso del genere potrebbe verificarsi nell’ipotesi in cui avesse preso parte alla decisione un arbitro ricusato.
[255] Cfr. § 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. d dZPO a norma del
quale il lodo è annullabile quando die Bildung des Schiedsgerichts oder das
schiedsrichterliche Verfahren einer Bestimmung dieses Buches oder einer
zulässigen Vereinbarung der Parteien nicht entsprochen hat und anzunehmen ist,
dass sich dies auf den Schiedsspruch ausgewirkt hat; in punto cfr.
paragrafo seguente.
[256] La norma assorbe quindi l’ipotesi contemplata al § 595 Abs. 1 Z. 4 öZPO della disciplina previgente, in virtù della quale poteva essere fatto valere come motivo di annullamento del lodo il rigetto dell’istanza di ricusazione ingiustamente pronunciato dagli arbitri; il profilo è richiamato da Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 160; Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7; e da Kloiber, Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 59.
[257] Il termine è di quattro settimane dalla composizione del collegio o dalla circostanza individuata al § 588 Abs. 2 öZPO, ossia indicazione da parte dell’arbitro che intende assumere l’incarico delle circostanze che potrebbero far dubitare della sua indipendenza e imparzialità (§ 589 Abs. 2 öZPO).
[258] Vedi, Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7; Kloiber, Haller, in Kloiber
et al., Das neue
Schiedsrecht, cit., p. 59.
[259] Cfr., Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 611, Rz. 7; in senso contrario, Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den
Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 160, al quale si fa rinvio
anche per l’analisi delle differenti opinioni dottrinali sul punto.
[260] La disciplina vigente (§ 611 Abs. 2 Z. 4) conserva
del vecchio § 595 Abs. 1 Z. 3 soltanto il motivo di annullamento del lodo per
violazione delle disposizioni relative alla formazione del collegio arbitrale
(che faceva riferimento alla Besetzung des Schiedsgerichtes) mentre
vengono meno, come ricordato nel testo, gli altri due motivi di annullamento
previsti dalla norma (la violazione delle norme per la deliberazione del lodo e
per la sua sottoscrizione). La norma disponeva
che il lodo fosse annullabile wenn gesetzliche oder vertragliche
Bestimmungen über die Besetzung des Schiedsgerichtes oder die Beschlußfassung
verletz worden sind oder wenn die Urschrift des Schiedsspruches nicht
entsprechend dem § 592 Abs. 2 unterschrieben worden ist.
[261] Cfr. Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7.
[262]Si potrebbe per esempio pensare all’ipotesi in cui manchi l’attestazione dell’autorità di giudicato e dell’efficacia esecutiva del lodo.
[263] Sul punto, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 156.
[264] Sempre, Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7; Hausmaninger, in Fasching,
Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub §
611, Rz. 156.
[265] In punto, cfr. Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7. Con riferimento alla disciplina previgente muovendo dal presupposto che il lodo deve essere sottoscritto a norma del § 593 öZPO (in ragione del differente requisito della forma previsto dal § 593 öZPO rispetto a quanto previsto oggi dal § 606), si riteneva possibile promuovere un’azione nei confronti dell’arbitro per ottenerne la firma (in questo senso, Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 59, cui si fa rinvio anche per l’individuazione della casistica che potrebbe essere ricompresa sotto questo motivo di impugnazione del lodo; in giurisprudenza riguardo all’ammissibilità dell’azione contro l’arbitro al fine di ottenere la sottoscrizione cfr. OGH, 10.07.2001, 4 Ob 156/01x, in ecolex 2002, p. 39); soluzione questa accolta dalla giurisprudenza prevalente con riferimento alla vecchia disciplina, ma che è priva di fondamento
[266] In questo senso, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 158.
[267] Naturalmente ciò non esclude la possibilità di proporre in alternativa la domanda di accertamento dell’inesistenza del lodo di cui al § 612 öZPO.
[268] In questo senso, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 164.
[269] In punto, Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 164.
[270] Cfr., Rechberger,
Melis, in Rechberger, Kommentar
zur ZPO, cit., sub § 611, Rz. 7; Hausmaninger, in Fasching,
Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub §
611, Rz. 165.
[271] Cfr. Münch,
in Münchener Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 1059 ZPO, Rn. 29.
[272] In punto, cfr. Lachmann,
Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2252 ss.
[273] A norma del § 1034 Abs. 2 dZPO la parte che ritiene di aver subito un pregiudizio nel procedimento per la composizione del collegio arbitrale, dovuto al maggior peso riconosciuto alla controparte dalla convenzione di arbitrato, deve rivolgersi al giudice ordinario al fine di ottenere la nomina di un altro (o più arbitri) diverso da quello designato o divergente dalle regole di nomina fissate dalle parti. La domanda è da proporre entro due settimane dall’avvenuta conoscenza della composizione del collegio arbitrale. La norma recita: «Gibt die Schiedsvereinbarung einer Partei bei Zusammensetzung des Schiedsgerichts ein Übergewicht, das die andere Partei benachteiligt, so kann diese Partei bei Gericht beantragen, den oder die Schiedsrichter abweichend von der erfolgten Ernennung oder der vereinbarten Ernennungsregelung zu bestellen. Der Antrag ist spätestens bis zum Ablauf von zwei Wochen, nachdem der Partei die Zusammensetzung des Schiedsgerichts bekannt geworden ist, zu stellen. § 1032 Abs. 3 gilt entsprechend».
[274] Anche nell’ipotesi disciplinata dal § 1038 dZPO ossia qualora si verifichi una causa di cessazione dell’ufficio dell’arbitro e nonostante ciò l’arbitro non si dimetta, la parte deve rivolgersi al giudice ordinario, al fine di ottenere una decisione sul motivo di cessazione dall’ufficio di arbitro.
[275] Così, Lachmann,
Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2253.
Il § 1027 dispone: «Ist einer Bestimmung dieses Buches,
von der die Parteien abweichen können, oder einem vereinbarten Erfordernis des
schiedsrichterlichen Verfahrens nicht entsprochen worden, so kann eine Partei,
die den Mangel nicht unverzüglich oder innerhalb einer dafür vorgesehenen Frist
rügt, diesen später nicht mehr geltend machen. Dies gilt nicht, wenn der Partei
der Mangel nicht bekannt war».
[276] Nel caso in cui fossero stati ravvisabili motivi di
ricusazione dell’arbitro (§ 1036 dZPO), la parte avrebbe dovuto attivare il
procedimento disciplinato dal § 1037 dZPO. In punto, cfr. Lachmann, Handbuch
für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2256.
[277] In punto, Münch, in Münchener Kommentar zur ZPO, cit., sub § 1059 ZPO, Rn. 36, al quale si rinvia per un’analisi esaustiva dei singoli casi giurisprudenziali.
[278] In questo senso, Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn.
1092; Schlosser, in Stein, Jonas, Kommentar
zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 21; Schwab, Walter, Schiedsgerichtsbarkeit,
cit., Kap. 24, Rn. 18; Voit,
in Musielak, Kommentar zur
Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 16.
[279] Il caso del segretario dell’arbitrato è molto
discusso in Germania; in particolare, la dottrina maggioritaria, ritiene
ammissibile che un terzo possa partecipare alla deliberazione del lodo, sia
esso un esperto del diritto straniero applicabile, come anche il segretario
(sul punto, cfr. Kreindler, Schäfer,
Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 981, il quale
richiama, con riferimento al segretario, Redfern,
Hunter, Rn. 4-108; Partasides,
The Fourth Arbitrator? The Role of
Secretaries to Tribunals in International Arbitration, in Arb. Int´l, vol. 18 No. 2 (2002), 147, e,
con riferimento all’ICC, Id, Note
concerning the appointment of administrative secretaries by arbitral tribunals,
a cura di Bühler, Webster, p. 451
(«The duties of the Administrative Secretary must be strictly limited to
administrative tasks»); e, con riferimento ad un praticante, BGH ZZP 71
(1958), 427, fintanto che non sia completamente affidata al terzo la decisione.
Sul punto cfr. anche Münch,
in Münchener Kommentar
zur ZPO, cit, sub 1052 ZPO, Rn. 6.
[280] In questo senso, Münch,
in Münchener Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 1059 ZPO, Rn. 36.
[281] Sempre, Münch,
in Münchener Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 1059 ZPO, Rn. 37.
[282] Cfr., OLG Saarland, in SchiedsVZ 2003, 92, 93
s., citata da Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn.
1097, nt. 45.
[283] Cfr., Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1097 ss., cui si fa rinvio per un esame della casistica
di vizi ricompresi in questo motivo di impugnazione (BGHZ 96, 40,44 f.; OLG München, in SchiedsVZ 2005, 308, 309); Geimer, in Zöller, Zivilprozessordnung, cit., sub §
1051, Rn. 7; Schlosser, in Stein, Jonas, Kommentar
zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 18; Hausmann,
in FS Stoll, 2001, p. 593, 601.
[284] In punto, Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1098, il
quale richiama alla nt. 49: BGHZ 151, 79, 82; BGH in ZIP 1999, 1575;
cfr. anche Geimer, in Zöller, Zivilprozessordnung, cit.,
sub § 1059, Rn. 74 s.; Voit,
in Musielak, Kommentar zur
Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 18.
[285] Cfr., Voit, in Musielak, Kommentar
zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 19; Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1099.
[286] Cfr., Voit, in Musielak, Kommentar zur
Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 16; Schlosser, in Stein, Jonas, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit.,
sub § 1059, Rn. 21; Kröll,
Das neue deutsche Schiedsrecht vor staatlichen Gerichten:
Entwicklungslinien und Tendenzen 1998-2000, cit., p. 1182.
[287] La disciplina previgente faceva riferimento ai capi I e II.
[288] A seguito della riforma 2006, essendo stato espunto dal capo I, e inserito nel capo II, il (testo del) vecchio art. 809 c.p.c., rubricato «numero e modi di nomina degli arbitri», il capo I è oggi destinato unicamente a disciplinare la convenzione di arbitrato, a differenza, quindi, di quanto previsto dalla disciplina previgente.
[289] Differenti sono le fattispecie di intervento del giudice statale con riguardo alla nomina e sostituzione dell’arbitro [inerzia della parte o del terzo preposto alla nomina (art. 810, c.p.c.), venir meno per qualsiasi motivo (art. 811, c.p.c.) e decadenza (art. 813, c.p.c.) dell’arbitro; ricusazione (art. 815 c.p.c.)]. In punto, infra nel testo.
[290] In punto, Cecchella, L’arbitrato, cit. p. 243.
[291] Si pensi, ad esempio, in materia di arbitrato societario a una clausola che attribuisca il potere di nomina degli arbitri alle parti, in violazione dell’art. 34, co. 2, d. lgs. n. 5/2003, per il quale «la clausola arbitrale deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove tale soggetto non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha sede legale». Sotto questo profilo, si deve tenere presente che non costituiscono più (a seguito della riforma del 1994) causa di nullità del lodo le clausole della convenzione di arbitrato (quali quelle relative alla nomina di un numero pari di arbitri ovvero la mancata previsione tout court del numero degli arbitri) per le quali opera la sostituzione automatica del patto nullo con la previsione di legge ai sensi degli artt. 809, co. 3 e 810 c. p. c.
[292] Così, Cass., 20 dicembre 1982, n. 7049, la quale precisa invece che l’esistenza in concreto di situazioni che comportino un difetto di imparzialità degli arbitri comporta solo il ricorso al rimedio della ricusazione degli stessi; Cass., 26 ottobre 1981, n. 5599 e Cass., 26 febbraio 1981, n. 1190.
[293] Cfr., Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 548.
[294] Cfr., Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 340, nonché Cass., 7 ottobre 2004, n. 19994, in Mass. Giust. civ., 2004, 10.
[295] Il punto è stato già approfondito al par. 1.
[296] Sul punto, cfr. Rubino, Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, II, cit., p. 1108 e ss., il quale richiama le ipotesi di nomina degli arbitri da parte di un giudice diverso da quello cui tale nomina compete; la nomina di un numero di arbitri diverso da quello previsto nel compromesso; la mancata nomina dell’arbitro per iscritto; la mancata accettazione scritta da parte degli arbitri; nello stesso senso, Califano, Le vicende del lodo: impugnazione e correzione, cit., p. 430 ss.; La China, L’arbitrato, cit., p. 175 ss. , cit., p. 430 ss.
[297] In questo senso, Rubino, Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 987.
[298] Per alcuni vi rientrerebbero anche talune ipotesi di vizi conseguenti alla ricusazione (il profilo sarà analizzato più avanti nel testo).
[299] Con riferimento alle norme relative alla regolare costituzione degli arbitri, ci si riferisce «all’osservanza delle forme stabilite nel patto compromissorio per la nomina degli arbitri, alla sussistenza negli stessi delle qualità richieste dalle parti, all’osservanza della disciplina legale dettata in tema di nomina e sostituzione degli arbitri da parte dell’autorità giudiziaria e, per l’arbitrato amministrato, all’osservanza dell’art. 832 c.p.c.» (così, Boccagna, in Commentario breve al diritto di arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 817, p. 256; per un’analisi in termini empirici, delle regole di costituzione e funzionamento del collegio, cfr. Marselli, Scano, Vannini, L’arbitrato alla prova dei dati: un’analisi empirica sui procedimenti amministrati dalla Camera arbitrale di Milano, in Riv. trim. dir e proc., 2015, p. 1011 ss.).
[300] Cfr., Boccagna, Commentario breve al diritto di arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 817, p. 258, il quale osserva che la sussistenza dell’onere di tempestiva eccezione appare autonomamente desumibile dal co. 1, n. 2 dell’art. 829 e dall’art. 829, co. 2 che subordinano l’ammissibilità del motivo di impugnazione del lodo, rispettivamente, per vizio relativo alla violazione delle forme e modi di nomina dell’arbitro, al rilievo della relativa eccezione «nel giudizio arbitrale» e per violazione della disciplina del procedimento arbitrale, all’avvenuta deduzione del vizio con la prima istanza o difesa successiva al suo verificarsi.
[301] La norma più volte ricordata prevede che «la parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile».
[302] Attribuiscono alla disposizione di cui all’art. 829, co. 2, c.p.c. l’individuazione del limite temporale entro il quale devono essere dedotte le eccezioni che devono essere previamente sollevate nel giudizio arbitrale per poter costituire motivo di impugnazione per nullità del lodo, Boccagna, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art., 829, p. 341 e Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 714.
[303] Si pensi al caso in cui le parti siano state escluse dalla nomina degli arbitri, nel qual caso si dovrà tenere conto del fatto che probabilmente le parti sono venute a conoscenza della pendenza arbitrale in un secondo tempo, pertanto sarà opportuno – per non violare il principio del contraddittorio – far scattare la preclusione avendo riguardo al momento in cui le parti hanno effettiva conoscenza del vizio; in punto, Ruffini, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 817, p. 1312.
[304] La formulazione della norma è rimasta immutata con riferimento al profilo dell’incapacità dell’arbitro, non essendo previsto un specifico onere di rilievo dell’eccezione (a differenza dell’ipotesi disciplinata al n. 2).
[305] L’art. 812, co. 2, c.p.c., ante riforma, disponeva che non potessero essere arbitri i minori, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e coloro che sono sottoposti a interdizione dai pubblici uffici.
[306] Così, Cecchella, La riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 812, p. 1221, il quale motiva l’enunciato del testo, richiamando l’art. 397, co. 3, c.c., in tema di minore emancipato abilitato all’esercizio di impresa; in punto, anche, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 503.
[307] Sempre, Cecchella, La riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 812, p. 1221.
[308] Così Cecchella, La riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 812, p. 1221.
[309] Cfr., Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 554.
[310] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 723; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 544; in giurisprudenza, Cass., 8 agosto 1989, n. 3637; Cass. 10 aprile 1984, n. 2300; Cass., 24 marzo 1979, n. 1703.
[311] Così, Cecchella, La riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 812, p. 1221; Punzi, Disegno sistematico2, I, cit., p. 508 ss.; Giovannucci Orlandi, Arbitrato, cit., sub art. 812, p. 243.
[312] Si fa riferimento agli impiegati dello Stato, ai magistrati e ai docenti universitari.
[313] Così, Cecchella, La riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 812, p. 1222.
[314] In questo senso, cfr. Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 1078; Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 723.
[315] In merito occorre rilevare che il legislatore, con la riforma del 2006, ha colto l’occasione per rivisitare più a fondo la relativa disciplina, e riparare così alla «pigrizia mentale» che traspariva dalla disciplina della ricusazione degli arbitri in vigore fino alla riforma. La stessa, infatti, si sostanziava in una mera ripetizione – sia riguardo ai motivi, sia con riferimento al procedimento – di quanto previsto dalle norme per la ricusazione dei giudici togati e non teneva conto delle notevoli diversità che caratterizzano i due procedimenti, soprattutto se si ha riguardo alla diversa fonte del dovere di imparzialità, che per i giudici ordinari deriva dalla natura pubblica della funzione esercitata, mentre per gli arbitri è collegato alla violazione di un ordine privatistico fondato sulla fiducia; in questo senso, Verde, Gli arbitri, in Diritto dell’arbitrato rituale, cit., p. 154.
[316] Un problema sicuramente peculiare nel procedimento arbitrale, che prima della riforma del 2006 non era espressamente disciplinato dal legislatore, era quello relativo all’ammissibilità della ricusazione proposta dalla parte nei confronti dell’arbitro dalla stessa nominato. A seguito della riforma è espressamente previsto che la parte possa ricusare l’arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare per motivi sopravvenuti dopo la nomina (art. 815, co. 2, c.p.c.). In questo senso, a favore dell’ammissibilità della ricusazione dell’arbitro per motivi sopravvenuti ad opera della parte che l’ha nominato, già prima della riforma, Dittrich, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, Legge 5 gennaio 1994, n. 25, cit., sub art. 7, [art. 815 c.p.c.], p. 76 s. Per gli stessi motivi, ignoti e sopravvenuti, non essendo riconosciuta agli arbitri la facoltà di astenersi, vi è chi ritiene che debba essere riconosciuto all’arbitro il diritto di rinunciare all’incarico; sul punto, cfr. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., p. 496.
[317] In realtà, i motivi di ricusazione dell’arbitro secondo la disciplina dell’art. 815 c.p.c. a seguito della riforma del 2006, non coincidono più con quelli previsti per la ricusazione del giudice ordinario, anche se sono in parte formulati sulla falsariga di quelli previsti dall’art. 51 c.p.c.
[318] Sul ricorso per ricusazione a norma dell’art 810 c.p.c., secondo la disciplina italiana decide il presidente del Tribunale con ordinanza non impugnabile sentito l’arbitro ricusato e assunte, quando occorre, sommarie informazioni (in giurisprudenza, cfr. Cass., 4 giugno 2014, n. 12531, in Guida al dir., 2014, 36, p. 68). Nell’ordinamento austriaco sull’istanza di ricusazione decide lo stesso collegio e nel caso di rigetto della domanda è possibile adire il Tribunale; in punto, cfr. Rechberger/Melis, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 586, pp. 1462 e 2463 e Rechberger/Rami, Die Ablehnung von Schiedsrichtern durch die Parteien, Zugleich ein Beitrag zur Problematick «paralleler» Schiedsverfahren, in Wbl, 1999, 103 ss.
[319] Cfr., Habscheid, Il nuovo diritto dell’arbitrato in Germania, cit., p. 183 e Schütze, Schiedsgericht und Schiedsverfahren, cit., p. 30; per un approfondimento delle fattispecie di ricusazione di dubbia applicazione, cfr. Herbrer, Das neue deutsche Recht des Schiedsgerichtsbarkeit, cit. p. 182.
[320] In difetto di accordo la parte che intende ottenere la ricusazione dell’arbitro deve illustrare per iscritto al collegio arbitrale, nel rispetto dei presupposti di legge, il motivo sul quale si basa l’istanza di ricusazione. Nel caso in cui l’arbitro non rinunci all’incarico o che l’altra parte non sia d’accordo, il collegio arbitrale deciderà dell’istanza di ricusazione; nel caso in cui l’istanza di ricusazione non venga accolta, alla parte è consentito proporre la domanda davanti al giudice ordinario (§ 1037 dZPO). In punto si è osservato (Walter, La nuova disciplina dell’arbitrato in Germania, cit., p. 677), che il legislatore ha accolto una soluzione intermedia, da un lato attribuendo la relativa competenza al collegio e, dall’altro, riservando al giudice ordinario la competenza a decidere del rigetto dell’istanza di imparzialità dell’arbitro.
[321] In punto, la S. C. ha affermato che «la nullità in discorso resta nella specie regolata dall’articolo 829 c.p.c., comma 1, n. 2, che fa obbligo di dedurre le nullità afferenti la nomina degli arbitri nel giudizio arbitrale, con la conseguenza per la quale, anche la nullità di cui agli articoli 815 e 51 c.p.c., che è nullità del lodo in quanto inficiato da un difetto di requisito fondamentale della potestas judicandi (la terzietà), una volta dedotta viene conosciuta dal giudice dell’impugnazione qualsiasi sia stata la sorte del diverso, autonomo, procedimento di ricusazione, qualsiasi sia stata la sorte del diverso, autonomo, procedimento di ricusazione»; in questo senso, Cass., 15 novembre 2010, n. 23056; Cass., 28 agosto 2004, n. 17121; Cass., sez. un., 20 novembre 2003, n. 17636; al contrario secondo Cass., 13 ottobre 2015, n. 20558, qualora le situazioni di incompatibilità di cui la parte sia venuta a conoscenza dopo la decisione non si traducono in un’incapacità assoluta all’esercizio della funzione arbitrale e, in generale della funzione giudiziaria, non possono essere fatte valere mediante impugnazione per nullità, attesa l’ormai acquisita efficacia vincolante del lodo e la lettera dell’art. 829, co. 1, n. 2 c.p.c., che circoscrive l’incapacità di essere arbitro alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 812 c.p.c. In dottrina, a a favore della spendibilità dei motivi di incompatibilità dell’arbitro quali cause di invalidità del lodo riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 929, co. 1, n. 2, c.p.c. (vizi di nomina dell’arbitro), previo esperimento della ricusazione, cfr. Tizi, L’imparzialità dell’arbitro e del tribunale arbitrale, Santarcangelo di Romagna, 2015, p. 144 ss., spec. 159 s.; in senso contrario, Spaccapelo, L’imparzialità dell’arbitro, Milano, 2009, p. 380, che esclude che possano farsi valere in sede di impugnazione per nullità del lodo i motivi dedotti e respinti dal giudice della ricusazione.
[322] In questo senso, Auletta, Arbitri e responsabilità civile, in Riv. arb. 2005, p. 745 ss., spec. p. 755 s., per il quale i diversi termini per la proponibilità dell’azione di responsabilità previsti dall’art. 813 c.p.c. – «in pendenza del giudizio arbitrale» (soltanto nelle ipotesi in cui l’arbitro sia stato dichiarato decaduto o abbia rinunciato all’incarico senza giustificato motivo, ex art. 813, co. 3) e «se è stato pronunciato il lodo» (per tutte le altre ipotesi in cui sia proposta azione di responsabilità, ex art. 813, co. 4) – «non sono indifferenti alla specifica causa di responsabilità, né, tramite la suddetta scansione normativa, si è introdotto un generale discrimine costituito dell’esistenza o meno di un lodo». Ciò significa, secondo l’A., che la norma deve essere interpretata nel senso che «qualsivoglia responsabilità diversa da un motivo di decadenza rimane azionabile solo all’esito dell’arbitrato, ivi inclusa l’ipotesi che la ragione della responsabilità prescinda dai motivi di impugnazione del lodo (responsabilità che perciò potrà farsi valere indipendentemente dall’esito dell’impugnazione)».
[323] In questo senso, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 561 s.
[324] Sul punto, cfr. Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1873.
[325] Non essendo possibile in questo caso imporre agli arbitri – a differenza di quanto avviene nel giudizio ordinario – l’obbligo di decidere la controversia possibile.
[326] In punto, si rinvia a quanto osservato nella Parte terza, Cap. I, Sez. II, par. 8.
[327] In punto, cfr. Ruffini, Boccagna, Commentario Breve al diritto dell’arbitrato, cit., sub art. 830, p. 357 ss.
[328] Sul ricorso di ricusazione a norma dell’art 810 c.p.c., secondo la disciplina italiana decide il presidente del Tribunale con ordinanza non impugnabile sentito l’arbitro ricusato e assunte, quando occorre, sommarie informazioni. Nell’ordinamento austriaco sull’istanza di ricusazione decide lo stesso collegio e nel caso di rigetto della domanda è possibile adire il Tribunale; in punto, cfr. Rechberger/Melis, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 586, pp. 1462 e 2463 e Rechberger/Rami, Die Ablehnung von Schiedsrichtern durch die Parteien, Zugleich ein Beitrag zur Problematick “paralleler” Schiedsverfahren, cit., 103 ss.
[329] Così, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 562.
[330] Come osservato (Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 563), la preclusione dell’impugnazione del lodo per violazione delle norme di diritto con riguardo alla convenzioni di arbitrato stipulate prima della riforma del 2006 si pone in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 3 e 24 della Cost., «da un lato, infatti, risulterebbe evidente la disparità di trattamento tra quanti abbiano stipulato la clausola compromissoria dopo la riforma (consapevoli del significato del loro silenzio sul punto) e quanti l’abbiano invece stipulata prima, ma l’azionino dopo (vedendosi privati della facoltà di impugnare il lodo sotto il profilo in esame, pur senza aver a ciò acconsentito, anzi). Parimenti chiara sarebbe, dall’altro, la violazione nel caso del diritto d’azione delle parti (art. 24 Cost.), cui sarebbe sottratto un mezzo di impugnazione del lodo che invece le stesse avevano espressamente (pur con il loro silenzio) voluto riconoscersi».
[331] In questo senso, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodo3, cit., p. 563; Salvaneschi, I motivi di impugnazione del lodo: una razionalizazzione?, in Riv. arb., 2015, p. 233; Nela, Contro l’applicazione dell’art. 329, co. 3, c. p.c. alle convenzioni arbitrali concluse prima della riforma, in Riv. dir. proc., 2009, p. 919 ss.
[332] Cfr., dapprima Cass., 19 aprile 2012, n. 6148 e poi Cass., 3 giugno 2014, n. 12379, ma in senso contrario xass., 20 febbraio 2012, n. 2400; la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza Cass., 21 dicembre 2015, n. 25662, in Guida al dir., 2016, n. 25, con nota di Buffone.
[333] Ci si riferisce all’art. 48 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, a norma del quale: 1) nei giudizi arbitrali per la risoluzione di controversie inerenti o comunque connesse ai lavori pubblici, forniture e servizi il lodo è impugnabile davanti alla Corte d’Appello, oltre che per motivi di nullità, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.
2) La disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai giudizi arbitrali per i quali non sia scaduto il termine per l'impugnazione davanti alla Corte d’Appello alla data di entrata in vigore del presente decreto.
[334] Ci si riferisce all’art. 5 del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53 che ha modificato l'articolo 241 del decreto legislativo n. 163 del 2006, introducendo una serie di modifiche alla disciplina dell’arbitrato in materia di opere pubbliche, fra le quali, quella contenuta nel comma 15 bis relativa all’impugnazione del lodo.
[335] Per un approfondimento del tema, si veda Odorisio, Arbitrato rituale e «lavori pubblici», Milano, 2011 passim e, con riferimento al profilo specifico dell’impugnazione, cfr. Id, op. cit., p. 639 ss.; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 700 ss., spec. p. 706; Zucconi Galli Fonseca, L’arbitrato nei lavori pubblici (a proposito di una recente monografia), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, p. 587 ss., spec. p. 601.
[336] Sarebbe stato più corretto prevedere una norma transitoria che avesse fatto decorrere l’operatività della disciplina riformata dal momento della proposizione della domanda di arbitrato (proposta dopo l’entrata in vigore del decreto), conformemente a quanto statuito dalla S.C. con riferimento all’operatività della disciplina transitoria contenuta nell’art. 27 d. lgs., n. 40/2006 (in punto, cfr. la nt. 330 e testo corrispondente), evitando così di modificare «in corsa» le regole del gioco.
[337] In questo senso, Cass., 16 giugno 1997, n. 5370; Corte d’App. Roma, 22 marzo 2013, n. 7282; Corte d’App. Napoli, 20gennaio 2010, n. 210; Corte d’App. Firenze, 10 novembre 2009, n. 1478; Corte d’App. Roma, 15 gennaio 2008.
[338] In punto, cfr. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit. sub art. 829, p. 730 ss.
[339] Vedi, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 165 ss.
[340] Sul tema, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit. sub art. 829, p. 727 ss.; Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 161 ss.
[341] In quanto quella stessa controversia decisa dagli arbitri «entrerebbe successivamente» nell’alveo della giurisdizione ordinaria in sede di impugnazione del lodo; cfr. Borghesi, Arbitrato, cit., sub art. 26 l. 5 gennaio 1994, n. 25, p. 306; nello stesso senso, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 163.
[342] Il tema è stato approfondito in precedenza alla nt. 68 e testo corrispondente, Parte prima, Cap. II.
[343] Così, Boccagna, L’impugnazione per nullità del lodo, cit., p. 512; Cass., 14 giugno 2014, n. 13899; Cass., 12 marzo 2014, n. 5706.
[344] In questo senso, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 168.
[345] Analogamente a quanto avviene con riferimento alla scelta della prevalenza della forma sulla sostanza con riguardo ai provvedimenti giurisdizionali pronunciati con una forma differente da quella prevista dalla legge, la soluzione prescelta soddisfa esigenze di certezza, offrendo alla parte soccombente un criterio sicuro per individuare il mezzo di impugnazione esperibile
[346] In punto, cfr. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 632, il quale ritiene che rentrino nella fattispecie in esame, ossia siano da considerarsi «regole imposte dalle parti ai fini della validità del lodo», sia le regole che riguardano il procedimento sia quelle che individuando il «metro di giudizio» affidato agli arbitri (secondo diritto o secondo equità). A maggior ragione, ritengo, debba essere ricompresa in tale ipotesi, «la regola» attraverso la quale le parti determinano il tipo di arbitrato prescelto; il che rende impugnabile, a norma della previsione in esame, il lodo erroneamente qualificato come rituale dagli arbitri a dispetto della scelta compiuta dalle parti a favore dell’arbitrato libero.
[347] Nel caso prospettato, ritiene sempre ammissibile l’impugnazione del lodo attraverso il motivo di cui all’art. 829, co. 1, n. 4, c.p.c., Cass., 24 giugno 2011, n. 13968; mentre ne escludono l’ammissibilità, nel caso in cui gli arbitri ritengano che nella fattispecie al loro esame diritto ed equità coincidono, senza dovere affermare e dimostrare tale coincidenza, desumibile anche implicitamente dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione, Cass., 8 settembre 2011, n. 18452; Cass., 20 aprile 2011, n. 1778; Cass., 25 maggio 2007, n. 12319. In tal caso, precisa la S.C. (Cass., 8 settembre 2011, n. 18452; Cass., 25 maggio 2007, n. 12319), sussiste un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso quando gli arbitri neghino a priori la possibilità di avvalersi dei poteri equitativi loro conferiti, ovvero quando, pur ravvisando una difformità tra il giudizio di equità e quello secondo diritto, emettano una pronuncia secondo diritto; in dottrina, nel senso della necessarietà della dichiarazione espressa da parte degli arbitri della coincidenza fra diritto ed equità al fine diriconoscere la validità del lodo di equità nel quale gli arbitri abbiano deciso secondo diritto, cfr. Luiso, L’impugnazione del lodo di equità, in Riv. arb., 2002, p. 456.
[348] In punto, cfr. Criscuolo, La regolamentazione negoziale del procedimento arbitrale, in Riv. arb., 2015, p. 499 ss.; Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 822, p. 296, ai quali si fa rinvio anche per l’analisi delle differenti opinioni dottrinali e orientamenti giurisprudenziali precedenti alla riforma del 2006.
[349] Come affermato dalla gurisprudenza richiamata alla nt. 347.
[350] Secondo alcuni (Auletta, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 822, p. 1384), nell’ipotesi in esame, quando ciòè le parti abbiano attribuito agli arbitri il potere di decidere secondo equità, la violazione delle norme dell’ordine pubblico costituisce l’unico motivo di impugnazione del lodo (si veda anche infra par. 397 e testo corrispondente); in questo senso, Cass., 4 luglio 2013, n. 16755.
[351] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 746; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 563; Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 212 ss.
[352] In questo senso, Cass., 22 marzo 2013, n. 7282.
[353] In questo senso, Cass, 5 luglio 2012, n. 11271 (la questione concerneva l'eccezione del convenuto di pagamento del corrispettivo dell’appalto ad una società di cui il creditore era socio).
[354] In punto, cfr. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 565.
[355] In tal senso, Cass., 8 aprile 2004, n. 6950, secondo la quale «nell’arbitrato rituale, ove le parti non abbiano vincolato gli arbitri all'osservanza della procedura ordinaria, è consentito ai compromettenti, nell'ambito dei termini della clausola compromissoria, di modificare ed ampliare gli iniziali quesiti, senza possibilità di evocare il disposto degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., purché sia osservato il principio del contraddittorio, che attiene all’ordine pubblico. Ad un tal riguardo, detto principio non può ritenersi violato allorché gli arbitri abbiano concesso alle parti di modificare le domande iniziali entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, tuttavia garantendo ad esse il dialettico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni (anche dopo la chiusura dell'istruttoria) sulle domande stesse»; nello stesso senso De Santis, Prove di elasticità del motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4 c p.c.: l’impugnabilità ultra vires, cit. p. 935; in senso contrario Corte d’App. Milano, 1 luglio 2014, cit., per la quale è censurabile ex art. 829, co. 1, n. 4, il vizio di ultrapetizione degli arbitri che abbiano pronunciato su domande nuove.
[356] Nella disposizione previgente si prevedeva l’ammissibilità dell’impugnazione per nullità «se il lodo non contiene i requisiti indicati ai nn. 3, 4, 5 e 6 del secondo comma dell’art. 823», salvo il disposto del terzo comma di detto articolo.
[357] Ci si riferisce al d.l. 22 giugno 2012, n 83 convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134.
[358] In questo senso, Cass., 11 maggio 2009, n. 11301; Cass., 5 giugno 2007, n. 13161; Corte d’App., 20 febbraio 2013, n. 1040.
[359] Così, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 549.
[360] In questo senso, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 740.
[361] In argomento, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 739.
[362] Così, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 740; in giurisprudenza, cfr. Cass., 21 giugno 1985, n. 3725.
[363] Intesa come impossibilità di ricostruire la ratio decidendi, in punto, in senso critico, Consolo L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 559; nello stesso senso, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 741 ss.
[364] Così, Taruffo, Sui vizi di motivazione del lodo arbitrale, in Riv. arb., p. 507 ss.
[365] In punto, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 558.
[366] Così, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 558.
[367] Sempre, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 559.
[368] In questo senso Fusillo, L’impugnazione del lodo per mancanza di motivazione e per contraddittorietà delle disposizioni, in Riv. arb., 2001, p. 315. Vi è chi osserva, (Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 566) che l’errore di fatto revocatorio potrebbe farsi rientrare, «con una piccola forzatura legislativa», nell’ipotesi di prevista dall’art. 829, n. 9 riguardante l’impugnazione del lodo per violazione del principio del contraddittorio, «nel senso che la falsa percezione degli arbitri in relazione a ciò che emergeva in modo incontrovertibile dagli atti (e non poteva quindi essere oggetto di apprezzamento da parte dell’organo giudicante) ha provocato una decisione “a sorpresa”, fondata su di una questione che non è stata, per forza di cose, investita del contraddittorio tra le parti».
[369] In punto, cfr. Bove, Giudizio di fatto e sindacato in cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., in judicium.it (2 luglio 2012); Trisorio Liuzzi, Il ricorso in cassazione. Le novità introdotte dal d.l. 83/2012, in Judicium.it.(5 arzo 2013); Caponi, Norme processuali elastiche e sindacato in Cassazione (dopo la riforma dell’art. 360, co. 1, n. 5), in Foro it., 2013, V, 149 ss.
[370] In questo senso, Corte d’App. Roma, 20 febbraio 2013, 1040.
[371] In questo senso, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 559.
[372] In punto, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 742.
[373] Sul punto, cfr. quanto osservato sub a.
[374] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art.829, p. 753, la quale, con riferimento al primo profilo (contraddittorietà del dispositivo) richiama l’opinione di Carnacini, Voce Arbitrato rituale, cit., p. 917; La China, L’arbitrato, cit., p. 264; con riguardo alla seconda fattispecie prospettata (vizio logico), Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, cit., p. 916. In giurisprudenza, conformemente a quanto osservato nel testo, cfr. Cass., 21 febbraio 2006, n. 3768.
[375] In questo senso, Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato6, cit., p 982; nello stesso senso, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 733.
[376] In questo senso, Cass., 8 gennaio 2014, n. 131, secondo la quale «in materia di arbitrato rituale, la previsione di cui all’art. 829, comma 1, n. 8 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 21 della legge 5 gennaio 1994, n. 25, (“ratione temporis” applicabile), si riferisce all’ipotesi in cui il lodo è contrario ad altro lodo non più impugnabile o ad una sentenza passata in giudicato emessi in altro procedimento arbitrale o giurisdizionale. Ne consegue che nel caso in cui il lodo definitivo sia contrario ad un lodo non definitivo, emesso nello stesso procedimento arbitrale, non ricorre la detta ipotesi, né quella di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., di contraddittorietà di disposizioni, poiché ciò comporterebbe il venir meno dell'autonomia del lodo non definitivo, configurandosi, invece, una nullità per essere stata la pronuncia resa al di fuori dei limiti funzionali della convenzione di arbitrato».
[377]Con più stretto riguardo al procedimento di deliberazione, vi è da precisare, che la conferenza personale per la deliberazione del lodo o di una sua parte è solo eventuale essendo subordinata alla richiesta di uno degli arbitri (art. 823, co. 1, c.p.c.).
[378] L’art. 829, n. 5, non prescrive l’indicazione della data della sottoscrizione del lodo fra i requisiti formali previsti a pena di nullità. Nel senso che la mancata indicazione della data di sottoscrizione dovesse farsi valere, prima della riforma del 2006, secondo le regole dell’impugnazione per nullità, cfr. Cass., 15 gennaio 1998, n. 313, in Giur. it, 1998, p.1333, in Riv. arb., 1998, p. 245, con nota di Grossi.
[379] A favore di tale soluzione si esprime, invece, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 178 ss.
[380] In questo senso, cfr. Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 557; Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 159; Ruffini, Boccagna, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 823, p. 302.
[381] In questo senso, Ruffini, Boccagna, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 346, per i quali nel caso in cui vi sia assoluta incertezza circa la data in cui il lodo è stato sottoscritto questo sia destinato a rimanere del tutto inefficace nonostante il decorso dei termini per l’impugnazione; nello stesso senso, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 159; Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 746.
[382] Così, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 159.
[383] In questo senso, Picozza, in Briguglio, Capponi, Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, Padova, 2009, p. 944 ss.
[384] In questo senso, Cass. 22 ottobre 2015, n. 21709 in lex24; Cass., 7 febbraio 2014, n. 2807, ivi; in punto cfr. quanto osservato alla nt. 192, Parte prima, Cap. II.
[385] La norma trova corrispondenza nel § 595 öZPO (cfr. più avanti nel testo), anche se a differenza del diritto italiano, non dispone espressamente che gli arbitri, salva diversa volontà delle parti, «possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare ed apporre le loro sottoscrizioni al lodo anche in luoghi diversi dalla sede dell’arbitrato ed anche all’estero» (art. 816 c.p.c.). La disciplina tedesca fa riferimento al luogo dove si svolge il procedimento arbitrale (il § 1043 della ZPO tedesca non utilizza il termine sede); al riguardo la dottrina è concorde nell’affermare che tale espressione non debba essere intesa nel senso di indicare la reale sede di riunione del collegio ovvero il luogo dove deve si tiene una considerevole parte di assunzione delle prove o dove è situato l’oggettivo baricentro del procedimento arbitrale, ma al contrario la legge indica nella sede il domicilio legale formale; in punto, cfr. Berger, Das neue deutsche Schiedsverfahrensrecht, cit. p. 76.
[386] Il § 1025 dZPO prevede che debbano essere applicate le norme del 10° libro del ZPO qualora il luogo del procedimento arbitrale, nel senso fissato dal § 1043 dZPO, si trovi in Germania.
[387] Il § 577, Abs. 1, öZPO (sotto il titolo delle disposizioni generali, così come avviene all’art. 1 della L.M. e al § 1025 dZPO) determina l’ambito di applicazione delle norme del procedimento arbitrale.
[388] Cfr., Rechberger,
Bemerkungen zum neuen österreichischen Schiedsverfahrensrecht, cit., p. 76.
[389] In punto, cfr. Cass., 23 gennaio 2012, n. 889, per la quale «il decorso del termine non può essere fatto valere come causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione del lodo stesso, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri l'intenzione di far valere la loro decadenza, con ciò disponendo in merito alla nullità; tale notificazione, pertanto, non costituisce una mera eccezione da proporsi nell’ambito del procedimento arbitrale, ma un atto, imprescindibile, in difetto del quale la nullità del lodo non può essere fatta valere».
[390] Cfr., Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 559; Menchini, Impugnazioni del lodo «rituale», cit., p. 85; Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1871; Ruffini, Boccagna, in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, cit., sub art. 829, p. 347.
[391] In argomento, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, II, cit., p. 223 ss.; Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit. sub art. 829, p. 747.
[392] Cfr., Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 559.
[393] In particolare si osservava (Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., p. 553) che solo le parti avrebbero potuto imporre l’applicazione di forme a pena di nullità e che le parti avrebbero potuto esercitare tale facoltà unicamente stabilendo, a norma dell’art. 816 c.p.c., l’osservanza di forme che nel processo civile sono prescritte a pena di nullità.
[394] In questo senso, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, II, cit., p. 224, il quale evidenziava che la disposizione in esame individuava chiaramente «le condizioni per far valere le violazioni di forma quali cause di nullità del lodo: a) che le parti abbiano previsto l’osservanza di determinate forme prescritte nel giudizio civile ordinario sotto pena di nullità; b) che la nullità non sia stata sanata»; in punto, cfr. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 749; La China, Le nullità nei procedimenti arbitrali, in Riv. dir. proc., 1986, p. 326; in senso parzialmente difforme, Grasso, Arbitrato e formalismi del processo, in Riv. arb., 1993, p. 10, per il quale, invece, la disposizione doveva essere interpretata nel senso che le parti, «usando della libertà di pattuire sul procedimento (ma in realtà rinunciandovi)» avrebbero potuto rinviare alle norme del codice di rito, «accettandono totalmente il dettato ivi compresa la previsione delle nullità ivi sancite per la loro violazione». Pertanto, secondo l’A., «il patto riguardava l’osservanza delle forme del giudizio ordinario non le nullità che conseguono automaticamente all’inosservanza, salvo le sanatorie».
[395] Si richiamava in punto la previsione normativa relativa alla prescrizione della collegialità arbitrale che, in particolare, se non rispettata nella fase di deliberazione del lodo poteva essere fatta valere come motivo di nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, co. 1, n. 5, c.p.c. (il quale sanzionava di nullità il lodo che non avesse contenuto i requisiti di cui all’art. 823, n. 5 ossia «l’indicazione della sede dell’arbitrato o del luogo o del modo inj cui è stato deliberato»). Al contrario, si osservava che, poiché non vi era «l’esistenza di una sanzione ad hoc» con riguardo ai provvedimenti ordinatori o istruttori (per i quali il rispetto della collegialità non richiedeva la conferenza personale degli arbitri), era da escludere in tali circostanze la configurabilità di un’ipotesi di nullità del lodo (Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, II, cit., p. 223 s.).
[396] Così, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit. sub art. 829, p. 749; nello stesso senso, Cass., 4 giugno 1992, n. 6866.
[397] In punto si può richiamare l’orientamento della dottrina per il quale «sono sempre sindacabili, anche in caso di rinuncia delle parti o di lodo equitativo, le norme facenti parte dell’ordine pubblico, in virtù di un limite inderogabile che la legge pone all’autonomia contrattuale delle parti, anche in tema di procedimento» (così, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 749; La China, Le nullità nei procedimenti arbitrali, cit., p. 314 ss.; sulla contrarietà del lodo all’ordine pubblico, oggi espressamente prevista dal comma 3 dell’art. 829, si rinvia a quanto si dirà più avanti).
[398] Si esprime in senso favorevole, Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 560, il quale osserva che il legislatore nel riformare il motivo di nullità ha rimosso – ritenendolo giustamente eccessivo – l’appiattimento delle ipotesi di nullità delle regole processuali del procedimento arbitrale su analoghe norme dettate per il processo statale, prevedendo appunto un più ampio potere regolamentare delle parti che si sostanzia nella facoltà ad esse riconosciuta di configurare nuove ipotesi di nullità del lodo per violazione delle regole procedimentali; nello stesso senso, Bove, in Bove, Cecchella, Il nuovo processo civile, cit., 94, che definisce positiva la novità. Si è obiettato però che la norma rischia, se utilizzata da parti inesperte, di comportare un appesantimento e mal funzionamento del procedimento arbitrale, in questo senso, Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1872 ss. L’A. ora citato pone in evidenza il rischio di eccessivo formalismo che potrebbe causare l’applicazione della norma, atteso che la pratica mostra che «spesso le parti non hanno la competenza e la consapevolezza tali da dettare clausole tecnicamente impeccabili, e quindi sanzioni di nullità ragionevoli». A ciò si aggiunga che – prosegue l’A – non può essere considerato un valido deterrente all’uso indiscriminato della previsione di nullità, il limite dell’ordine pubblico processuale anziché solo sostanziale, atteso che non sempre una previsione inadeguata («mal congeniata») comporta una violazione dell’ordine pubblico.
[399] In questo senso, Laudisa, L’arbitro e il principio del contraddittorio, in Il giusto proc. civ., 2007, p. 379, ritengono, invece, inopportuna la scelta di tali forme, Fazzalari, Ancora in tema di svolgimento del processo arbitrale, in Riv. arb., 2004, p. 665; G.F. Ricci, in Arbitrato, cit., sub art. 816 bis, p. 359 s.
[400] In punto, cfr. Della Pietra, Il procedimento, in Diritto dell’arbitrato rituale, cit., p. 208, per il quale «parti e arbitri utilizzano con scarsa fantasia il potere creativo loro assegnato dalla legge, traslando nella procedura arbitrale non solo metodi e schemi, ma anche mentalità ed abitudini assunte nel processo ordinario, delle quali non riescono a liberarsi pur quando agiscono nelle più libere vesti di soggetti del giudizio privato».
[401] Così, Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1871.
[402] In punto, Nela, in Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1871.
[403] Con riguardo all’individuazione del momento in cui il lodo e la sentenza sono da considerarsi precedenti, giova osservare che mentre per la sentenza tale momento coincide con la pubblicazione della stessa, analoga certezza non sussiste con riguardo al lodo. Rispetto a tale profilo si potrebbe far riferimento a due momenti: la sottoscrizione del lodo ovvero la sua comunicazione. La soluzione preferibile appare la prima, atteso che il termine per impugnare decorre da tale momento e, quindi, come da altri osservato, «si potrebbe ragionevolemente ritenere che il medesimo momento segni il termine oltre il quale il lodo o la sentenza non può dirsi precedente» (così, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 752 ss. e alla nt. 170).
[404] L’art. 829 n. 8 ammetteva l’impugnazione per nullità del lodo «se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, purchè la relativa eccezione sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; cfr., sul punto Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato5, cit., p. 981, il quale osserva come la formulazione della disciplina previgente, che subordinava la denunciabilità del vizio al rilievo dell’eccezione nel corso del procedimento arbitrale, suscitasse qualche perplessità. Più precisamente si osservava che il giudicato dovrebbe essere sempre motivo di nullità della decisione successiva oppure non esserlo mai, non potendosi lasciare alle parti il potere di rinunciare ad esso o di avvalersene.
Con riferimento al rapporto fra giudizio di revocazione e di cassazione, cfr. quanto osservato nella Parte terza, Cap. II, sub par. 5.
[405] Rilevabilità del precedente giudicato solo su eccezione di parte secondo l’orientamento prevalente (Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 751 ss.) non senza autorevoli dissensi in favore della rilevabilità d’ufficio: in questo senso, cfr. Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi3, cit., p. 560, il quale osserva che «la nuova disposizione deve ritenersi in realtà meramente ricognitiva di quanto già ricavabile da una corretta interpretazione del testo previgente: discriminante risulta oggi, come già prima, la produzione del documento e così l’acquisizione agli atti del giudicato, mentre l’eccezione di parte – nonostante l’ambiguo tenore letterale dell’originaria formula, analoga a quella dell’art. 395 n. 5 – non è mai stata necessaria».
[406] Così, Boccagna, Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 829, p. 1417; Cass., sez. un., 25 maggio 2001, n. 2226, in Foro it., 2001, I, c. 2810, con nota di Iozzo, e in Corr. Giur., 2001, p. 1462, con nota di Fittipaldi. Successivamente, tra le altre, Cass., 5 marzo 2004, n. 4522, in Guida al dir., 2004, 23, p. 66; Cass. 1 luglio 2004, n. 12092; Cass., 8 luglio 2004, n. 12550, in Guida al dir., 2005, 15, p. 86.
[407] Vi sia quindi identità degli elementi di identificazione della domanda; sul punto, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 751.
[408] Così, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 751, nt. 185.
[409] Sempre, Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 751, la quale osserva che «la giurisprudenza appare restrittiva, esigendo che il fatto accertato contrario al successivo sia il medesimo ovvero un fatto incompatibile perché non antitetico e non un mero antecedente logico contrastante; si escluderebbero pertanto i casi di pregiudizialità», in punto, cfr. Cass., 7 ottobre 1996, n. 8761, in Foro amm., 1996, p. 1182; Cass., 23 giugno 1992, n. 7697; Cass., 3 luglio 1987, n. 5813 e Cass., 26 novembre 1987, n. 8787.
[410] Ritengono che si possa sanzionare con il motivo in esame il contrasto con una situazione giuridica soggettiva pregiudiziale: Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984, p. 374; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 534; Attardi, La revocazione, cit., p. 207; Cerino Canova, Tombari Fabbrini, Voce Revocazione, cit., p. 1991, p. 5; Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 751.
[411] Con riguardo all’ammissibilità dell’omissione di pronuncia su eccezioni nel processo ordinario cfr. Calvosa, Omissione di pronuncia e cosa giudicata, in Riv. dir. proc., 1950, I, p. 254; Grasso, Dei poteri del giudice, in Allorio, Commentario al codice di procedura civile, I, Torino, 1971, p. 1276; Salvaneschi, L’interesse a impugnare, Milano, 1990, p. 192 ss; in senso contrario, Cerino Canova, La domanda giudiziale e il suo contenuto, in Commentario al c.p.c., Allorio, II, 1,Torino 1980, p. 3 ss.
[412] Nel senso che il motivo individuato al n. 4 dell’art. 829 c.p.c. riguardasse solo il caso di mancata pronuncia su domande, cfr. Fazzalari, Voce «Arbitrato (teoria generale e diritto processuale civile)», cit., p. 403; Cecchella, L’arbitrato, cit., p. 221; Ruffini, La divisibilità del lodo arbitrale, cit., p. 147; Nela, Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1874.
[413] In punto, Nela, Le recenti riforma del processo civile, cit., sub art. 829, p. 1875, il quale osserva che la norma ha il pregio di cogliere una specificità del rito arbitrale rispetto al rito ordinario, consistente nel «particolare formalismo che presiede alle richieste di parte, formulate sotto le sembianze di quesiti e non di domande ed eccezioni».
[414] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 756; in senso contrario, De Stefano, La revocazione, Milano, 1957, p. 208.
[415] Cfr., Cass., 26 febbraio 1998, n. 2082, in Foro it., 1999, I, c., 2348; Cass., 25 gennaio 1993, n. 833; Cass., 27 gennaio 1993, n. 997.
[416] Cfr., sul punto, Tarzia, Legge 5 gennaio1994, n. 25, cit., sub art. 21, [Art. 829 c.p.c.], p. 172, il quale osserva che – in virtù dell’art. 829, n. 9, che specificamente sanziona il lodo emesso a conclusione di un procedimento arbitrale in cui sia stato violato il principio del contraddittorio – l’arbitrato della «terza via» non sia più ammissibile e che la decisione di una questione rilevabile d’ufficio, rilevata dagli arbitri in camera di consiglio, non discussa dalle parti precedentemente e non sottoposta alla loro discussione (nelle forme più semplici, mediante riconvocazione delle parti) possa viziare di nullità il lodo. In altri termini, secondo l’A., tale norma costituisce un monito per gli arbitri, nel senso che questi «non possono ridursi all’ultimo momento» perché devono tenere conto della possibilità – nell’arco di tempo, o meglio, «nello spatium deliberandi» che va dall’ultima udienza di discussione e il termine per la pronuncia del lodo – di dover riconvocare i difensori delle parti e sottoporre la questione nuova alla loro discussione. Per un approfondimento sui giudizi civili della «terza via», cfr. Montesano, La garanzia costituzionale del contraddittorio e i giudizi civili della «terza via» in Riv. dir. proc., 2000, p. 929 ss., per il quale gli unici casi in cui non opera il principio contenuto nell’art. 111, co. 2, Cost. riguardano il processi, «i cui provvedimenti finali sacrificanti gli interessi delle parti possano essere rimossi o prevenuti instaurando un processo di cognizione normale (...) atto a produrre la cosa giudicata descritta nell’art. 2909 c.c. o comunque un’efficacia ugualmente irremovibile in ordine all’assetto dei rapporti tra le parti: processo nel quale non può non valere a pieno (..) la garanzia del contraddittorio». Con riferimento al rapporto fra principio contenuto nell’art. 101, co. 2, c.p.c. e il procedimento arbitrale, cfr. quanto osservato alle nt. 426 e 427.
[417] In punto, Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato5, cit., p. 976; Carpi, Profili del contraddittorio nell’arbitrato, in Riv. arb., 2002, p. 1; Picardi, Il principio del contraddittorio, in Riv. dir proc., 1998, p. 671; in realtà vale anche per l’arbitrato irrituale: cfr. Parte prima, Cap. I, par. 7.
[418] In questo senso, Marinucci, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., p. 231 s.; Salvaneschi, Arbitrato, Commentario del codice di procedura civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 2014, sub art. 829, p. 903.
[419] In punto, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 190, il quale osserva che restano perciò fuori dall’ambito applicativo della fattispecie in esame le ipotesi in cui non vi è stata valida instaurazione del procedimento, ipotesi non suscettibili di sanatoria per mancata impugnazione e che assomigliano, ma non si indentificano, con la contumacia involontaria; in questo senso, cfr. Cass., 14 settembre 2012, n. 15445, per la quale «l’inosservanza del principio del contraddittorio nell’instaurazione del procedimento arbitrale è motivo di nullità e non di inesistenza del lodo, ma la Corte d’Appello, dopo aver dichiarato il vizio di nullità, non può procedere al giudizio rescissorio, dovendosi limitare – come nelle ipotesi di inesistenza del lodo – ad accogliere l'impugnazione senza decidere nel merito la controversia ed arrestandosi alla fase rescindente».
[420] Come è stato osservato in dottrina, Laudisa, L’arbitro e il principio del contraddittorio, cit., p. 373, «le parti e gli arbitri possono regolare la procedura arbitrale, ma col limite del rispetto delle garanzie processuali minime dell’uguaglianza delle parti e del loro diritto di essere sentite».
[421] Sul punto, Laudisa, L’arbitro e il principio del contraddittorio, cit., p. 380, la quale osserva che gli arbitri possono stabilire in limine litis le norme procedimentali che regolamenteranno il procedimento dandone comunicazione ala parti (con ordinanza o lettera raccomandata) ovvero provvedere nel procedimento quando se ne presenti la necessità. Inoltre, con particolare riferimento all’arbitrato internazionale, l’A. osserva che «al fine di garantire alle parti identiche chances nell’utilizzo di strumenti processuali, ognuna deve essere informata dell’esistenza di limiti legali alla produzione di documenti, riconosciuti dall’ordinamento della parte avversa»; il riferimento è al «legal privilege» che è disciplinato in modo difforme negli ordinamenti di civil law e di common law (a titolo esemplificativo viene richiamata la differente protezione offerta dal principio in esame ai documenti americani che può non sussistere per documenti europei similari); più in generale, si fa rinvio all’A., per un’analisi del contenuto che assume il principio del contraddittorio nel procedimento di arbitrato internazionale.
[422] Si riconducono al primo caso le ipotesi di nullità del lodo per: mancata concessione del diritto di replica (Cass., 1 aprile 1996, n. 3006); mancata comunicazione ad una parte dell’avvenuto deposito di memorie ad opera dell’altra parte e mancata concessione alla stessa del termine per osservazioni (Cass., 13 luglio 1994, n. 6579); mancata dichiarazione di inammissibilità di una domanda qualora non sia consentita la replica alla controparte (Cass., 13 dicembre 1993, n. 12517); al secondo caso: la mancata concessione del termine per la replica in seguito al deposito di documenti a opera della controparte (Cass., 29 agosto 1997, n. 8177; Cass., 13 luglio 1994, n. 6579; Corte d’App. Napoli, 11 febbraio 1991, in Giust. civ., 1992, p. 532; l’indicazione (Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit. sub art. 829, p. 759), per la quale «l’arbitro nominato dalla parte può utilizzare un documento ricevuto da quest’ultima durante la discussione senza avere previamente informato la controparte»; La china, Le nullità nei procedimenti arbitrali, cit., p. 316); la mancata indicazione del giorno e del luogo nel quale l’arbitro delegato assumerà una prova o il consulente tecnico espleterà le proprie indagini (la giurisprudenza ritiene sufficiente talvolta la sola comunicazione dell’inizio delle operazioni peritali, così Cass. 5 dicembre 1985, n. 6099; in senso critico, E.F. Ricci, Su alcuni aspetti problematici del «diritto alla prova», in Riv. dir. proc., 1984, p. 162; Denti, Perizie, nullità processuali e contraddittorio, in Dall’azione al giudicato, Padova, 1983, p. 299; E.F. Ricci, La prova nell’arbitrato rituale, Milano, 1974, p. 124). Con riguardo a questo motivo è dubbio se la chiusura anticipata dell’istruzione, non sostenuta da un giudizio di superfluità della prova, rientri quale violazione del diritto di difesa nel motivo in esame ovvero configuri un vizio di motivazione, cfr. Zucconi Galli Fonseca, op. cit.
[423] Sulla configurabilità di un diritto all’imparzialità dell’arbitro, cfr. Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato6, II, cit., p 979.
[424] Così, Laudisa, L’arbitro e il principio del contraddittorio, cit., p. 383, che fa riferimento in particolare all’arbitrato internazionale, nel quale il problema assume un particolare rilievo, qualora le parti non abbiano scelto la legge applicabile al merito della lite e, conseguentemente, spetti all’arbitro individuarla.
[425] In senso favorevole si esprime Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., in Studi offerti a Giovanni Verde, cit., p. 207, spec. p. 218, il quale ritiene che rientrino nella portata applicativa dell’art. 101, co. 2, c.p.c., le ipotesi in cui il giudice fondi la propria decisione su un fatto desunto dagli atti di causa, senza che alcuna delle parti l’avesse espressamente allegato, come anche l’ipotesi, che sembrerebbe destare maggiori dubbi, in cui le parti abbiano già dibattuto della questione e il giudice si limiti «ad attribuire a quest’ultima (in forza del principio iura novit curia) una soluzione differente e originale».
[426] In punto, Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., cit., p. 216, il quale osserva che la strutturale autonomina che caratterizza il procedimento arbitrale non esclude l’adeguamento delle norme procedimentali al principio contenuto nell’art. 101, co. 2 c.p.c. Ciò in quanto è incontestabile che l’ordinamento possa regolare ab externo i profili essenziali dell’autonomia privata arricchendo il catalogo delle tutele «di una dimensione che appare d’indubbia rilevanza costituzionale e rispettosa delle più avanzate evoluzioni del sistema». Di qui, secondo l’A., l’affermazione che «quella elementare» tutela, che si esprime nella necessità di impedire decisioni che si fondino su questioni rilevate d’ufficio e sulle quali non è stato sollevato il contraddittorio delle parti, rappresenti «momento essenziale di quella struttura a contraddittorio accentuato che è per sua natura stessa l’arbitrato».
[427] Così, Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato6, II, cit., p 980; più precisamente, come evidenziato in dottrina (Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., cit., p. 217), il contenuto delle difese delle parti sarà diverso a seconda che la questione segnalata dagli arbitri sia di puro diritto ovvero comporti anche la rilevanza di fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli in precedenza allegati. Da ciò consegue che nel primo caso sarà sufficiente la discussone della questione di diritto; nel secondo caso, osserva l’A., gli arbitri dovranno presumibilmente rimettere in istruttoria per assumere le prove relative ai fatti, resi rilevanti dalla questione rilevata d’ufficio.
[428] Così, Laudisa, L’arbitro e il principio del contraddittorio, cit., p. 384.
[429] In particolare, ci si riferisce all’ipotesi di nullità formale rilevabile ad istanza di parte e non d’ufficio; in tal caso il mancato rilievo tempestivo dell’eccezione impedirebbe di far valere il vizio quale causa di nullità del lodo (cfr., Cass., 18 marzo 1988, n. 2598, per la quale la violazione del contraddittorio durante l’espletamento delle indagini peritali configura un’ipotesi di nullità relativa, sanabile se non rilevata nell’udienza successiva al deposito della perizia); in punto, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 760 e Auletta, L’istruzione probatorial procedimento, in Arbitrato, cit., p. 314 s.
[430] Sul punto, La China, L’arbitrato, cit., p. 164 e Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit. sub art. 829, p. 762, la quale osserva, a titolo esemplificativo, che nel caso di nullità della notificazione della domanda di arbitrato, la parte che compare e si difende nel merito senza eccepire alcunché riguardo al vizio della notifica non può per ciò considerarsi lesa nel suo diritto di difesa (in coerenza, prosegue l’A., con il principio di strumentalità dell’atto allo scopo, che consente di evitare la stessa declaratoria di nullità); in argomento, cfr. Tarzia, Problemi di contraddittorio nell’istruzione probatoria, in Riv. dir. proc., 1984, p. 656.
[431] Così, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato, cit., sub art. 829, p. 645; G.F. Ricci, Le prove atipiche, Milano, 1999, p. 501.
[432] Con riferimento ai differenti orientamenti sul punto, si può ricordare che per Tarzia, Problemi di contraddittorio nell’istruzione probatoria, in Riv. dir. proc., 1984, p. 656, si tratta di un’ipotesi di nullità relativa del procedimento in quanto l’inefficacia della prova non impedisce al giudice di risentire degli effetti psicologici che l’assunzione, benché illegittima, inevitabilmente provoca sul suo convincimento; vi è chi (Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, p. 421, nt. 78 e p. 423) parla di irrilevanza, in ogni caso, del materiale probatorio acquisito e chi (Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, in Riv. dir. proc., 1978, p. 733, nt. 146) di inefficacia della prova irritualmente ammessa; infine, chi (G.F. Ricci., Le prove atipiche, cit., p. 502 s.) ritiene che alla violazione consegua la nullità del provvedimento decisorio soltanto nel caso in cui il materiale probatorio – così come, del resto, per le questioni rilevabili d’ufficio – abbia acquistato un ruolo determinante nel convincimento del giudice.
[433] In punto, Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., cit., p. 217.
[434] Ci si riferisce al dibattito relativo alla sanzione da imputare alle c.d. decisioni della «terza via»; parte della dottrina ritiene che dalla violazione del contraddittorio scaturusca senz’altro la nullità della sentenza (in questo senso, nel quadro di una prospettazione generale della questione, Fazzalari, Il principio del contraddittorio e la nullità delle decisioni della «terza via», in Riv. dir. proc., 2010, p. 826 ss.; Montesano, La garanzia cosituzionale del contraddittorio e i giudizi civili di «terza via», cit. p. 929 ss.; Ferri, Sull’effettività del contraddittorio, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1988, p. 780); altra parte, al contrario, ravvisa nella tesi della nullità della sentenza e nella sua indiscriminata applicazione, un caso di «formalismo delle garanzie» (così, Chiarloni, Questioni rilevabili d’ufficio, diritto di difesa e «formalismo delle garanzie», in Riv. trim. dir e proc. civ., 1987, p. 569 ss.; E.F. Ricci, La sentenza della «terza via» e il contraddittorio, in Riv. dir. proc., 2006, p. 750 ss.).
[435] Cfr., Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ, cit., p. 218.
[436] Il punto, Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ, cit., p. 219, il quale richiama l’orientamento della Cassazione che «vorrebbe onerare il soccombente della prova (diabolica) dell’idoneità nel concreto di quel vizio a produrre un effettivo nocumento, a dedurre la causalità del vizio processuale, come se la violazione del contraddittorio non fosse un danno in sé».
[437]Cfr., Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ, cit., p. 220, il quale osserva che la violazione di cui all’art. 101, co. 2, c.p.c., non costituendo un’ipotesi di nullità formale, è al di fuori del campo di applicazione del principio di cui all’art. 829, co. 2, c.p.c. che non si applica alle nullità extraformali (a favore della natura formale si esprime Auletta, Nullità o «inesistenza» degli atti processuali, Padova, 1999, p. 146 s.; sul profilo relativo all’ambito applicativo dell’art. 829, co., 2, v. infra nel testo).
[438] In questo senso, Cass., 27 dicembre 2013, n. 28660.
[439] Cfr. Cass., 31 gennaio 2007, n. 2201; Corte d’App. Firenze, 22 novembre 2007, n. 1383.
[440] Cass., 28 febbraio 2014, n. 4808;
[441] Cass., 8 gennaio 2014, n. 131; per un’analisi dell’orientamento giurisprudenziale formatosi circa all’applicazione del principio del contraddittorio nel procedimento arbitrale, cfr. Ruffini, Tripaldi, Commentario breve al diritto dell’arbitrato, a cura di Benedettelli, Consolo, Radicati di Brozolo, cit., sub art. 816 bis, p. 193 ss.
[442] Così, Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 763; G.F. Ricci., Le prove atipiche, cit., p. 501.
[443] In punto, Cass., 10 luglio, 2013, n. 17099, secondo la quale «il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all’osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo nel conferimento dell'’incarico arbitrale; esso deve, comunque essere condotto nel rispetto delle norme di ordine pubblico, che fissano i principi cardine del processo, di rango costituzionale, come il principio del contraddittorio, rafforzato dalla specifica previsione della lesione di tale principio come motivo di nullità del lodo, ai sensi dell’art. 829, n. 9 c.p.c.». Sembra dunque definitivamente superato il risalente orientamento della giurisprudenza per il quale la violazione dell’art. 816, co. 3, nella formulazione precedente alla riforma del 2006, non era causa di nullità del lodo in quanto quella disposizione avrebbe dettato solo una modalità di svolgimento del contraddittorio non una condizione di validità (in punto, anche per un’analisi della giurisprudenza, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato1, I, cit., p. 480; Chizzini, Arbitrato rituale, principio del contraddittorio e art. 101, secondo comma, cod. proc. civ, cit., p. 221).
[444] In questo senso, Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 194.
[445] In punto, Reiner, Das neue österreichische Schiedsrecht. SchiedsRÄG 2006, cit., p. 49, nt. 196; Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec 611, mn. 34. Vi è chi, al contrario, (Zeiler, Schiedsverfahren, cit., p. 262), osserva che questo motivo di impugnazione del lodo corrisponde, con riferimento al contenuto, al previgente § 595 Abs. 1 Z. 2 öZPO, il quale non si riferiva al fatto che la parte non avesse potuto far valere i suoi mezzi di attacco o di difesa, ma si limitava a contemplare la violazione del principio del contraddittorio. Pertanto la norma dovrebbe essere interpretata nel senso che non ogni violazione del contraddittorio può essere fatta rientrare nell’ambito della violazione in esame, quali per esempio le deficienze nell’assunzione dei mezzi di prova; nello stesso senso, cfr. Koller, Das neue österreichische Schiedsrecht, cit., p. 246.
[446] Secondo il § 611 Abs. 2 Z. 5 öZPO, l’ipotesi si verifica quando lo svolgimento del procedimento arbitrale si pone in qualche modo in contrasto con le norme dell’ordine pubblico austriaco [wenn das Schiedsverfahren in einer Weise durchgeführt wurde, die Grundwertungen der österreichischen Rechtsordnung (ordre public) wiederspricht].
[447] Cfr., Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeβgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 106.
[448] In questo senso Kloiber,
Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit.,
p. 58.
[449] In questo senso, Reichold,
in Thomas, Putzo, Zivilprozessordnung,
cit., sub §1059, Rn. 9.
[450] In questo senso, Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn.1087; Voit, in Musielak, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 12; in punto, anche Lachmann, Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2194, il quale osserva che per quanto non frequente nella pratica, questa ipotesi si può verificare quando la parte non reagisca alla domanda arbitrale proposta dalla controparte e non prende neanche successivamente parte al procedimento arbitrale, allo scopo di riservare le eccezioni nel procedimento per la dichiarazione di esecutorietà.
[451] Cfr., Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1088.
[452] In questo senso, cfr. Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1088; Voit,
in Musielak, Kommentar
zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 13; in punto, approfonditamente, Lachmann, Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2194; Schwab, Walter, Schiedsgerichtsbarkeit,
cit., Kap. 24, Rn. 11.
[453] La norma (non conteneva quindi una distinzione fra i due motivi di ordine pubblico) vi rientravano oltre alla previsione della contrarietà del lodo ai principi fondamentali dell’ordinamento austriaco anche l’ipotesi che il lodo avesse violato norme imperative/cogenti, la cui applicazione alle controversie con risvolti internazionali (c. d. transfrontaliere), non poteva essere esclusa dalla scelta del diritto delle parti, neanche secondo il § 35 IPR-Gesetz (gegen zwingende Rechtsvorschriften verstößt, deren Anwendung auch bei einem Sachverhalt mit Auslandsberührung nach § 35 IPR-Gesetz durch eine Rechtswahl der Parteien nicht abbedungen werden kann).
[454] In questo senso, Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 167; Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO, cit. sub § 611, Rz. 8. In giurisprudenza, nel senso che la violazione dell’ordine pubblico sia da intendersi unicamente come violazione dell’ordine pubblico sostanziale cfr. OGH 27.10.1960, 5 Ob 341/60; nel senso che vi rientrino, sotto il profilo processuale le violazioni dell’ordine pubblico processuale cfr. OGH 08.06.2000, 2 Ob 158/00z, in RdW 2000, 472; OGH 26.1.2005, 3 Ob 221/04b, in SZ 2005/9. Ma già prima della riforma, in favore di un’apertura alle violazioni del lodo a taluni principi fondamentali dell’ordinamento, Fasching, Lehrbuch des österreichischen Zivilprozessrechts, 2a ed., Wien, 1990, Rz. 2231.
[455] Questo spiega perché non è stata ripresa la formulazione dell’art. 34, co. 2, lett. a (iv), Legge Modello, presente invece nell’art. 1059 Abs. 2 Nr. 1 lit. d dZPO, che prevede quale motivo di annullamento del lodo, fra gli altri, la violazione delle regole del procedimento arbitrale previste dalla legge o concordate dalle parti; in punto, aproffonditamente, Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 168 ss., spec. Rz. 169.
[456] In argomento, Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 172 ss; Rechberger, Bemerkungen zum neuen österreichischen Schiedsverfahrensrecht, cit., p. 77; e per un’analisi dettagliata delle diverse ipotesi, cfr. Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 64 ss.
[457] Il caso richimato riguarda l’ipotesi in cui la conferenza telefonica si sia svolta soltanto tra il presidente e uno solo dei due arbitri (OGH 26.04.2006, 3 Ob 211/05h, richiamata da Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 184, e Rechberger, Melis, in Rechberger, Kommentar zur ZPO, cit., sub § 611, Rz 8).
[458] Per un elenco della casistica giurisprudenziale, cfr. Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 182 ss.
[459] Sul punto, Fasching, Lehrbuch des österreichischen Zivilprozessrechts, cit., Rz. 2231; Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 86. Anche le decisioni di equità sarebbero impugnabili per questo motivo, cfr. Riegler, op. ult. cit., sub sec. 611, mn. 91, e Zeiler, Schiedsverfahren, cit., sub § 613, Rz. 35.
[460] A titolo di esempio si osserva che la decisione sugli alimenti alla seconda moglie non è contrario all’ordine pubblico, lo è invece il secondo matrimonio contratto in assenza dei presupposti di legge (cfr., Hausmaninger, in Fasching, Konecny, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 205 ss).
[461] Sul punto Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 206 ss.
[462] La formulazione della norma tedesca vigente, dalla quale è stato eliminato il richiamo alle norme dell’ordinamento pubblico della repubblica federale tedesca, sottolinea l’estensione dei confini del motivo in esame alle violazioni delle norme dell’ ordine pubblico internazionale; cfr. Lachmann, Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2300.
[463] Vedi, Lachmann,
Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2304.
[464] Cfr., Kreindler,
Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1108.
[465] In punto, Lachmann, Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2319 ss.; Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1109 che richiamano come ulteriori ipotesi: la condanna del lodo ad una prestazione che integri un reato (Straftatbestand); oppure il lodo contrario alle norme sul commercio estero (Export- oder Importbestimmungen) o, infine ai diritti fondamentali (Grundrechte) dell’uomo.
[466] Cfr., Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1105 s.; Voit,
in Musielak, Kommentar zur ZPO,
cit., sub § 1059, Rn.
26 s.; Lachmann, Handbuch für
die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2307 ss.
[467] Sempre, Lachmann,
Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2307 ss.
[468] Kreindler, Schäfer, Wolff, Schiedsgerichtsbarkeit, Rn. 1106, anche per un’individuazione delle differenti ipotesi ricomprese nel motivo di impugnazione in esame e richiama BGHZ 3, 215, 218 s.; BGHZ 31, 43, 46 s.
[469] Il § 530 Abs. 1 recita
Ein Verfahren, das durch eine die Sache erledigende Entscheidung abgeschlossen
worden ist, kann auf Antrag einer Partei wieder aufgenommen werden,
1. wenn eine
Urkunde, auf welche die Entscheidung gegründet ist, fälschlich angefertigt oder
verfälscht ist;
2. wenn
sich ein Zeuge, ein Sachverständiger oder der Gegner bei seiner Vernehmung
einer falschen Beweisaussage (§ 288 StGB) schuldig gemacht hat und die Entscheidung
auf diese Aussage gegründet ist;
3. wenn
die Entscheidung durch eine als Täuschung (§ 108 StGB), als Unterschlagung (§
134 StGB), als Betrug (§ 146 StGB), als Urkundenfälschung (§ 223 StGB), als
Fälschung besonders geschützter Urkunden (§ 224 StGB) oder öffentlicher
Beglaubigungszeichen (§ 225 StGB), als mittelbare unrichtige Beurkundung oder
Beglaubigung (§ 228 StGB), als Urkundenunterdrückung (§ 229 StGB), oder als
Versetzung von Grenzzeichen (§ 230 StGB) gerichtlich strafbare Handlung des Vertreters
der Partei, ihres Gegners oder dessen Vertreters erwirkt wurde;
4. wenn
sich der Richter bei der Erlassung der Entscheidung oder einer der Entscheidung
zugrunde liegenden früheren Entscheidung in Beziehung auf den Rechtsstreit zum
Nachteil der Partei einer nach dem Strafgesetzbuch zu ahndenden Verletzung
seiner Amtspflicht schuldig gemacht hat;
5. wenn
ein strafgerichtliches Erkenntnis, auf welches die Entscheidung gegründet ist,
durch ein anderes rechtskräftig gewordenes Urteil aufgehoben ist.
[470] Cfr., Kloiber, Haller, in Kloiber et al., Das neue Schiedsrecht, cit., p. 59; Riegler, in Riegler et al., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 73. L’A. osserva che, a rigor di legge, il motivo in esame sarebbe coperto dal motivo di impugnazione del lodo per violazione dell’ordine pubblico processuale; la distinzione rileva ai fini del termine per proporre impugnazione (Riegler, op. cit., mn. 74).
[471] Cfr., Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 189.
[472] Cfr., Hausmaninger,
in Fasching, Konecny, Kommentar
zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 611, Rz. 191; Riegler, in Riegler et al., Arbitration
Law of Austria, cit., sub sec. 611, mn. 74.
[473] In questo senso, Bajons, in Krilyszyn, Bajons, Zur Internationalisierung des
österreichischen Schiedsrechts, cit., p. 243
[474] In punto, cfr. Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 774.
[475] Cfr., Zucconi Galli Fonseca, op. ult. cit., nel senso che in tale concetto rientrano i principi costituzionali, in particolare quelli sanciti a tutela «degli ideali di libertà e democrazia» nonché dei diritti inviolabili dell’uomo.
[476] Cfr., in questo senso, Cass., 8 aprile 2004, n. 6950; Cass., 23 giugno 2000, n. 8540; Cass., 29 agosto 1997, n. 8177.
[477] In punto, cfr. Cass., 20 gennaio 2006, n. 1183, secondo la quale «gli arbitri autorizzati a pronunciare secondo equità sono svincolati, nella formazione del loro giudizio, dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto oggettivo, avendo facoltà di far ricorso a criteri, principi e valutazioni di prudenza e opportunità, che appaiano i più adatti e i più equi, secondo la loro coscienza, per la risoluzione del caso concreto, con la necessaria conseguenza che resta preclusa, ai sensi dell'art. 829, comma secondo, ultima parte, cod. proc. civ., l'impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme di diritto sostanziale, o in generale per “errores in iudicando” che non si traducano nell'inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti né suscettibili di formare oggetto di compromesso»; nello stesso senso, Cass., 16 giugno 2000, n. 8231. Analoga ratio porta ad affermare l’impugnabilità del lodo di diritto attraverso il motivo in esame qualora le parti abbiano rinunciato alla possibilità di impugnare il lodo per violazione dell’art. 829, co. 2, c.p.c.
[478] In punto, è stato osservato in dottrina (Menchini, L’impugnazione del lodo rituale, cit., p. 775; Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato2, cit., sub art. 829, p. 775) che occorre distinguere a seconda che la legge regolatrice sia quella italiana o meno.