«OSTATIVITÀ» E BENEFICI PENITENZIARI:
UNA RIFORMA IN ITINERE
Università di Sassari
SOMMARIO: 1. L’art. 4-bis l. 26 luglio 1975, n. 354: una
norma tormentata. – 2. L’ergastolo «ostativo». – 3. Pena perpetua e
orientamenti della Corte di Strasburgo. – 4. Il caso Viola c. Italia. – 5. La decisione della
Corte di Strasburgo. – 6. La posizione delle Corte costituzionale. – 7. Il d.d.l. A.S. n. 2574. – Abstract.
L’art. 4-bis comma 1 l. 26 luglio 1975, n. 354 (o.p.) fa la sua prima comparsa nell’ordinamento penitenziario italiano nel 1991 quando, con il d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con modif., in l. 12 luglio 1991, n. 203, il legislatore introduce una restrizione nell’accesso alle misure extramurali nei confronti di soggetti condannati per delitti implicanti l’appartenenza alla criminalità organizzata o comunque sintomatici di una spiccata pericolosità sociale[1]. Come si è osservato, gli anni ’90 del secolo scorso segnano il consolidamento di una nuova fase per il diritto penitenziario, nel senso che si inizia «a guardare con molta maggiore attenzione al contemperamento del principio del finalismo rieducativo della pena con le esigenze di difesa sociale»[2] .
L’architrave del nuovo sistema disegnato dal legislatore per i condannati socialmente pericolosi è costituito dall’art. 4-bis o.p., il quale contiene diversi elenchi di delitti, resi via via più corposi nel corso del tempo, da cui discende l’obbligo per i relativi condannati di «fornire alla magistratura di sorveglianza particolari garanzie di affidabilità che agli altri condannati non sono richieste o sono richieste implicitamente, ma non formano oggetto di un formale accertamento da parte del giudice procedente (art. 4-bis commi 2 e 2-bis)»[3].
Se si prendono in considerazione quelli che rappresentano i nodi principali della disposizione in discorso, vale a dire i commi 1 e 1-bis dell’art. 4-bis o.p., è importante sottolineare che, nel momento in cui fu introdotto, l’art. 4-bis o.p. individuava due fasce di reati: per i reati di prima fascia[4], l’accesso all’area penale esterna era subordinato alla prova dell’insussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata o eversiva. Per i reati di seconda fascia[5], sintomatici comunque di una elevata pericolosità sociale, i suddetti benefici potevano essere concessi, salvo che fossero stati acquisiti elementi che dimostrassero l’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.
Nell’originario regime ostativo, la collaborazione con la giustizia veniva in rilievo solo con funzione premiale, in quanto consentiva di accedere ai benefici senza l’osservanza dei più elevati requisiti temporali richiesti per i non collaboranti. Sostanzialmente, come è stato osservato: se si fosse collaborato, si sarebbe potuto accedere prima alle misure extramurali; se non si fosse collaborato, si sarebbero dovuti attendere i tempi stabiliti dal legislatore, aumentati rispetto a quelli base[6].
La situazione cambia radicalmente quando, a seguito della strage di mafia in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e tre componenti della loro scorta[7], il legislatore, tramite il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in l. 7 agosto 1992, n. 356 [8], trasforma la collaborazione con la giustizia in condizione indispensabile per l’accesso ai benefici penitenziari[9].
Per poter usufruire delle misure extramurali diventa necessario, dunque, che gli interessati si siano «adoperati, anche dopo la condanna, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori», o abbiano «aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati» (art. 58-ter o.p.).
In presenza di particolari circostanze attenuanti[10], anche la collaborazione oggettivamente irrilevante, e quindi di livello inferiore a quella richiesta dall’art. 58-ter o.p., consente il superamento dell’ostatività ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione.
Successivamente, dapprima la Corte costituzionale, con le sent. nn. 357 del 1994 e 68 del 1995, e poi il legislatore, con la l. 23 dicembre 2002, n. 279, hanno equiparato al modello della collaborazione in senso proprio, disciplinata dall’art. 58-ter o.p. le ipotesi di collaborazione ininfluente, perché il condannato poco o nulla sa a causa della sua limitata partecipazione al fatto criminoso, e di collaborazione impossibile, perché l’autorità sa già tutto quello che c’è da sapere su un certo delitto in ragione dell’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità ad essi connesse[11].
Nell’ipotesi di collaborazione ininfluente, impossibile od oggettivamente irrilevante, il condannato ostativo deve però produrre elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Occorre infine rilevare, sulla base dell’art. 58-ter comma 1 o.p., che la collaborazione fittizia, a differenza di quella effettiva, consente di superare la preclusione assoluta di accesso ai benefici, ma non i più elevati limiti di pena previsti a carico dei suddetti condannati per la fruizione delle singole misure.
La disciplina sinteticamente illustrata si intreccia drammaticamente con un’altra tematica, quella dell’ergastolo «ostativo».
Il c.d. ergastolo «ostativo» indica, nel lessico penitenziario, «una pena destinata a coincidere nella sua durata con l’intera vita del condannato, e nelle sue modalità, con una detenzione integralmente intramuraria»[12].
Siffatto regime ostativo riguarda soggetti che stanno espiando la pena dell’ergastolo a seguito di una condanna per uno o più dei reati inclusi nell’elenco di cui al comma 1 dell’art. 4-bis o.p. e che, pur potendo collaborare con la giustizia, non tengono una delle condotte previste dall’art. 58-ter o.p. o, a seguito della l. 9 gennaio 2019, n. 3, dall’art. 323-bis comma 2 c.p.[13].
La forma di ergastolo in questione osta alla concessione della maggior parte degli strumenti di progressione trattamentale, finalizzati alla risocializzazione del reo. In particolare, con riferimento ai condannati all’ergastolo, viene in rilievo - in virtù dell’art. 2 comma 1 d.l. n. 152 del 1991, conv., con modif., in l. 12 luglio n. 203 del 1991- l’impossibilità di accedere alla liberazione condizionale in assenza di un’utile collaborazione giudiziaria[14].
Il sistema delineato dal comma 1 dell’art. 4-bis o.p. è stato fin da subito da più parti ritenuto in contrasto con diversi parametri costituzionali, anche se le relative censure di illegittimità costituzionale sono state accolte dalla Corte costituzionale solo in tempi recenti.
La maggior parte delle censure rivolte alla normativa in discorso ha riguardato la vanificazione del principio del finalismo rieducativo della pena contenuto nella seconda parte dell’art. 27 comma 3 Cost.
Nell’ipotesi di condanna ostativa la pena assolve, in assenza di collaborazione, una funzione esclusivamente retributiva e neutralizzatrice, disegnando in particolare, con riferimento agli ergastolani, «la prospettiva concreta di una pena sino alla morte»[15].
Occorre rammentare, al proposito che la liberazione condizionale, che consente all’ergastolano di riacquistare la libertà dopo aver scontato 26 anni di pena annovera, tra i suoi requisiti, tra l’altro, il sicuro ravvedimento del reo.
La corrispondenza biunivoca tra ravvedimento e collaborazione istituita dal legislatore con riferimento ai detenuti per reati di cui all’art. 4-bis comma 1 o.p. ha formato oggetto di diverse sentenze della Corte costituzionale. Ad una cauta apertura contenuta nella sentenza n. 306 del 1993 che dichiarò, peraltro, solo l’illegittimità costituzionale della revoca automatica delle misure alternative alla detenzione in corso per i detenuti non collaboranti c.d. “di prima fascia”, seguì una netta chiusura della giurisprudenza della Corte negli anni successivi.
La Corte affermò, infatti, nella sentenza n. 306 del 1993 che dalla mancata collaborazione non può trarsi una presunzione «di mantenimento dei legami di solidarietà con l’organizzazione criminale: tanto più, quando l’esistenza di collegamenti con quest’ultima sia stata altrimenti esclusa»[16].
Successivamente, nella sentenza n. 273 del 2001 si asserisce però che la collaborazione con la giustizia «assume, non irragionevolmente, la (…) valenza di criterio di rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata»[17], sino ad arrivare alla sentenza n. 135 del 2003 in cui si legge che la preclusione prevista dall’art. 4-bis comma 1 o.p. è una conseguenza che «deriva dalla scelta del condannato di non collaborare, pur essendo nelle condizioni di farlo»[18].
Si tratta di una sentenza importante, in quanto riguardante proprio la tematica dell’ammissione alla liberazione condizionale del condannato all’ergastolo «ostativo».
Gli automatismi sanciti dall’art. 4-bis comma 1 o.p. cominciano però successivamente, e progressivamente, a vacillare sotto la scure sia della Corte europea dei diritti dell’uomo[19], sia della stessa Corte costituzionale[20].
La Corte EDU ha più volte affermato, con riferimento alla pena perpetua, che l’art. 3 CEDU, che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, richiede agli Stati di dotarsi di un meccanismo di revisione, dopo un determinato numero di anni, della effettiva necessità del protrarsi dell’esecuzione della pena detentiva.
Tale meccanismo deve consentire alle autorità statali di valutare gli eventuali cambiamenti verificatisi nella vita del condannato e i progressi da quest’ultimo compiuti verso la riabilitazione, allo scopo di stabilire se la detenzione possa ritenersi non più giustificata in rapporto ai fini della pena.
Parallelamente, il detenuto deve poter conoscere fin dall’inizio dell’esecuzione della pena i presupposti e il meccanismo di revisione che consente la liberazione.
Il leading case in materia è costituito dalla sentenza della Grande Camera del 9 luglio 2013, nel caso Vinter e altri c. Regno Unito, che ha ribaltato il precedente indirizzo della stessa Corte secondo cui sarebbe stato sufficiente per affermare la compatibilità con l’art. 3 CEDU una qualunque possibilità che il condannato potesse riacquistare la libertà, eventualmente come conseguenza di un provvedimento di clemenza[21].
Può essere interessante notare come la Corte EDU, nel caso Vinter, nel raccomandare che ogni Stato contraente preveda un meccanismo che garantisca la possibilità di valutare, non più tardi di 25 anni dopo l’irrogazione dell’ergastolo, se vi siano stati significativi cambiamenti nella vita del detenuto e se sia stato compiuto un progresso verso la riabilitazione, ha citato proprio l’Italia e la giurisprudenza costituzionale italiana secondo la quale l’istituto della liberazione condizionale rende la pena dell’ergastolo compatibile con l’art. 27 comma 3 Cost.[22].
L’orientamento inaugurato con il caso Vinter e al. c. Regno Unito si è poi consolidato, sia pure con qualche oscillazione[23].
Nel 2019, la I Sezione della Corte di Strasburgo si è pronunciata sulla normativa italiana nel caso Viola c. Italia n. 2, condannando l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU e, in particolare, ritenendo violata la dignità umana del ricorrente, condannato all’ergastolo «ostativo»[24].
Marcello Viola è un detenuto in carcere ininterrottamente dal 1992. Condannato a seguito di un primo processo a 12 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, aggravata dalla qualità di promotore e organizzatore, in un secondo processo il ricorrente è stato condannato alla pena dell’ergastolo, in quanto è stato riconosciuto colpevole di reati di omicidio, con l’applicazione delle aggravanti mafiose. La condanna all’ergastolo è divenuta definitiva nel 2004. Viola si è sempre dichiarato innocente. Nel 2011 e nel 2013 ha chiesto di poter fruire di un permesso premio, richiesta in entrambi i casi rigettata, mentre gli è stata applicata, nel 2013, la liberazione anticipata, pari a circa 5 anni.
Nel marzo 2015 Viola presenta domanda di liberazione condizionale al Tribunale di sorveglianza, chiedendo una pronuncia incidentale di inesigibilità della collaborazione perché la sua proclamazione di innocenza impedirebbe un’utile collaborazione con la giustizia. Nell’istanza, il condannato chiede anche al tribunale di sorveglianza di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis comma 1 o.p. per contrasto con la funzione rieducativa della pena e con l’art. 3 CEDU, assunto quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost.
Il Tribunale dichiara inammissibile e infondata la questione di legittimità costituzionale, e rigetta l’istanza di concessione della liberazione condizionale, ritenendo che la proclamazione di innocenza non rilevi nella fase esecutiva e, dunque, che nel caso di specie non sussistano le condizioni previste dall’art. 4-bis comma 1 o.p.
Il ricorso per cassazione successivamente presentato viene pure esso rigettato nel 2016 e anche la Corte di cassazione si rifiuta di sollevare questione di legittimità costituzionale[25].
A questo punto, esperiti inutilmente i ricorsi interni, Viola si rivolge alla Corte EDU, denunciando la violazione di quattro articoli della Convenzione: l’art. 3, perché non aver collaborato con la giustizia ha comportato il mancato riesame della detenzione; l’art. 5 par. 4, in quanto la detenzione non è mai stata considerata legittima sulla base di una valutazione nel merito; l’art. 6 par. 2, essendo il diritto al silenzio un corollario della presunzione di innocenza; infine l’art. 8, in quanto «l’obbligo di collaborare con la giustizia viola l’integrità morale della persona e la pone in perenne conflitto con la propria coscienza»[26]. La Corte di Strasburgo ha ritenuto preliminarmente ammissibili le doglianze in riferimento agli artt. 3 e 8 CEDU, inammissibili quelle relative agli artt. 5 par. 4 e 6 par. 2 CEDU.
A sostanziale sostegno del ricorso sono stati ammessi, in qualità di amici curiae, tre interventi, uno presentato da accademici ed esperti coordinati dall’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di studi internazionali, giuridici e storico-politici)[27], il secondo dal centro di documentazione L’altro diritto onlus (Università degli Studi di Firenze)[28], il terzo dalla rete europea di ricerca e d’azione in contenzioso penitenziario (RCP).
La Corte, nel comunicare il caso al Governo, ha posto alle parti quattro quesiti:
1) l’ergastolo «ostativo» è una pena riducibile de jure e de facto ai sensi dell’art. 3?
2) La legislazione italiana offre al detenuto una prospettiva di rilascio e una possibilità di riesame della detenzione? Il detenuto dispone di una procedura grazie alla quale è possibile considerare gli eventuali progressi nel corso della detenzione, al fine di valutare l’esistenza di motivi per il proseguimento della detenzione?
3) La possibilità di ridurre la pena perpetua solo grazie alla collaborazione con la giustizia soddisfa i criteri stabiliti dalla Corte per giudicare riducibile una pena perpetua, anche in considerazione del caso Trabelsi c. Belgio del 4 settembre 2014? Il caso Trabelsi è interessante perché la Corte Edu ha ravvisato la violazione dell’art. 3 CEDU nei riguardi dell’estradizione del ricorrente verso gli Stati Uniti, in cui rischiava di essere condannato all’ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale (Life Imprisonment Without Parole)[29]. In tale evenienza, se il condannato non collabora con la giustizia, le uniche possibilità che residuano sono la grazia presidenziale e la scarcerazione anticipata per motivi di salute.
4) Il regime esecutivo correlato all’ergastolo «ostativo» è compatibile con l’obiettivo della riabilitazione e del reinserimento dei detenuti? In altre parole, lo Stato rispetta l’obbligo positivo di garantire agli ergastolani la possibilità di risocializzazione ai sensi degli artt. 3 e 8?
Per quanto riguarda il primo quesito, se cioè l’ergastolo «ostativo» sia una pena riducibile de jure e de facto si è asserito che la Corte avrebbe potuto sostenere che, essendo l’ostatività assoluta alla concessione dei benefici penitenziari già stata superata, nella prassi, anche nella fase esecutiva, tramite l’accertamento di cui all’art. 58-ter o.p., l’ergastolo «ostativo» avrebbe potuto non ritenersi in contrasto con l’art. 3, essendo una pena de facto riducibile[30], così come avrebbe potuto essere ritenuto riducibile de jure, a fronte della contemplata previsione della collaborazione con la giustizia. Tuttavia, la Corte ha ribadito, nella sua più recente giurisprudenza[31], come a partire dal caso Vinter essa abbia riconsiderato il problema di quando una pena possa essere ritenuta riducibile alla luce delle finalità di prevenzione e risocializzazione della pena. La sentenza nel caso Vinter ha, invero, puntualizzato che perché una condanna a vita possa essere considerata riducibile, occorre che essa sia soggetta a una revisione idonea a consentire alle autorità di valutare se i cambiamenti nella vita del condannato e i suoi progressi verso la riabilitazione siano tali da dimostrare che la detenzione non è più giustificabile sul piano dei fini della pena[32].
Ecco, dunque, che il primo quesito si intreccia con gli altri tre, il cui comun denominatore sembra essere il seguente: la mancata collaborazione con la giustizia consente al giudice di valutare i progressi del condannato nel corso della detenzione?
Partendo «dalla elementare constatazione secondo cui il percorso collaborativo e quello rieducativo, se talora possono di fatto coincidere, non si implicano però vicendevolmente»[33], ne discende che il giudice, in assenza di un’utile collaborazione, non potrà effettuare la suddetta valutazione, essendo la pericolosità del condannato presunta per legge.
L’arbitrarietà dell’equazione mancata collaborazione = pericolosità appare facilmente verificabile nell’esperienza comune.
Si pensi al condannato che asserisce di non poter collaborare perché innocente.
Non si tratta di una ipotesi meramente teorica. Può essere utile ricordare come esempio, al riguardo, il caso di 7 imputati nel processo Borsellino-bis, condannati con sentenza irrevocabile all’ergastolo «ostativo», sottoposti per 17 anni al regime previsto dall’art. 41-bis comma 2 o.p., e riabilitati a seguito delle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia[34].
Su un altro piano si può pensare al timore del soggetto di esporre a grave pericolo, oltre che sé stesso, i propri familiari, che dovrebbero cambiare identità, luogo di vita e vivere nella paura anche a distanza di lungo tempo.
In realtà, il pretendere la collaborazione con la giustizia per la fruizione dei benefici penitenziari sembra risolversi in una violenza morale sul detenuto, violenza morale vietata sia dagli artt. 3 e 8 CEDU, sia dall’art. 13 comma 4 Cost.[35], e attualmente anche dall’art. 1 o.p.[36]
Vi è anche un altro profilo da tener presente. Come osservato, a partire dal caso Vinter, per la Corte Edu il detenuto deve poter conoscere fin dall’inizio dell’esecuzione della pena i presupposti e i meccanismi di revisione che consentono la liberazione[37]. Si è asserito a questo proposito che l’ergastolo «ostativo» italiano si sarebbe potuto ritenere in linea con l’art. 3 CEDU in quanto «il condannato è perfettamente posto in grado di conoscere – fin dall’inizio della propria condanna – quali siano le condizioni per rendere riducibile la pena perpetua (appunto: collaborare con la giustizia»[38].
In realtà questa affermazione non è necessariamente corretta.
Occorre, a questo proposito, osservare che l’art. 4-bis comma 1 o.p. presenta un ambito di operatività a geometria variabile, il cui confine può presentarsi «rimesso all’analisi ex post delle motivazioni della condanna da parte della magistratura di sorveglianza»[39], chiamata a verificare la riconducibilità del delitto commesso nel novero dei reati assolutamente ostativi.
Ciò accade perché, per identificare la natura del reato, spesso non è sufficiente far riferimento «al criterio formale del nomen iuris del delitto che ha determinato la condanna», ma può essere necessario ricorrere «a un criterio sostanzialistico, come le intrinseche connotazioni mafiose o terroristiche o eversive della fattispecie giudiziale»[40].
A tal riguardo, è da rammentare che l’art. 4-bis comma 1 o.p. include, tra i reati di prima fascia assolutamente ostativi, anche i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso contemplate.
Pertanto, l’interessato può scoprire di essere un condannato «ostativo» anche a distanza di anni, quando chiede l’ammissione a un beneficio ritenendo di aver raggiunto la possibilità di accedervi.
All’esito di una articolata motivazione, i giudici europei hanno ritenuto che la pena perpetua prevista dall’art. 4-bis comma 1 o.p., ossia il c.d. ergastolo «ostativo», limiti eccessivamente la prospettiva di rilascio dell’interessato e la possibilità di riesame della pena che, dunque, non può essere qualificata come comprimibile ai sensi dell’art 3 CEDU[41].
I giudici europei partono dalla considerazione che la legislazione italiana non vieta, in modo assoluto e con effetto automatico, l’accesso del ricorrente alla liberazione condizionale e agli altri benefici penitenziari, ma li subordina alla «collaborazione con la giustizia», ove possibile[42].
Il Governo italiano aveva, al proposito, sostenuto che l’ostacolo rappresentato dall’assenza di «collaborazione con la giustizia» non è frutto di un automatismo legislativo, preclusivo in assoluto di qualsiasi prospettiva di liberazione, ma piuttosto la conseguenza di una scelta individuale dell’interessato. Tuttavia - è questo il cuore della motivazione della sentenza - «se è vero che il regime interno offre al condannato la scelta di collaborare o meno con la giustizia, la Corte dubita della libertà di tale scelta, così come dell’opportunità di stabilire un’equivalenza tra la mancata collaborazione e la pericolosità sociale del condannato»[43].
In argomento, la sentenza accoglie innanzitutto il rilievo del terzo interveniente “L’altro diritto onlus”, secondo cui il motivo principale del rifiuto di collaborare con la giustizia consisterebbe nel timore dei condannati per delitti di tipo mafioso di mettere in pericolo la loro vita e quella dei loro famigliari. Da ciò deriva, da un lato, che l’assenza di collaborazione non è necessariamente il risultato di una scelta libera e volontaria[44]. D’altro canto, se la decisione di non collaborare può dipendere da considerazioni differenti «dalla persistenza dell’adesione ai “valori criminali” e dal mantenimento di legami con il gruppo di appartenenza», così come, al contrario, se la collaborazione con l’autorità può essere determinata da ragioni meramente opportunistiche, che non implicano una presa di distanza effettiva dall’ambiente criminale, ne consegue che la collaborazione con le autorità non può essere ritenuta l’unico indice di avvenuta dissociazione del condannato[45].
Da un diverso punto di vista, i giudici alsaziani, in armonia con quanto affermato dalla Corte costituzionale italiana[46], sottolineano come la personalità del condannato non resti congelata al momento del commesso reato, potendo l’interessato compiere un percorso di risocializzazione che gli consenta «di rivedere in maniera critica il suo percorso criminale e di ricostruire la sua personalità»[47]. Viceversa, l’equazione assenza di collaborazione = presunzione assoluta di pericolosità sociale àncora la pericolosità del condannato al momento in cui il delitto è stato commesso, non consentendo di tener conto del cammino individuale verso la risocializzazione intrapreso a partire dalla condanna ed impedendo, al contempo, al condannato stesso, «di sapere quello che deve fare perché la sua liberazione possa essere considerata e a quali condizioni»[48].
Da qui la declaratoria di violazione dell’art. 3 CEDU da parte del sistema italiano, posto che «la dignità umana, situata al centro del sistema creato dalla Convenzione, impedisce di privare una persona della sua libertà, senza operare al tempo stesso per il suo reinserimento e senza fornirgli una possibilità di riguadagnare un giorno questa libertà»[49].
La decisione non ha determinato, come precisato dalla Corte, l’immediata liberazione del ricorrente[50]. Al riguardo, ai sensi dell’art. 46 CEDU, lo Stato italiano è tenuto a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure idonee a porre termine ai problemi che hanno dato luogo alla violazione. Sul punto la decisione, pur non essendo una sentenza pilota[51], evidenzia che si è in presenza di un problema strutturale, posto che, sulla base dei dati forniti dal Ministero della Giustizia nel 2016, su 1.678 persone condannate all’ergastolo, 1216 erano detenute per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis comma 1 o.p. e ciò potrebbe comportare la presentazione alla Corte EDU di un elevato numero di ricorsi in argomento, oltre a quelli attualmente pendenti[52].
I giudici europei hanno indicato allo Stato italiano la necessità di attuare, «di preferenza per iniziativa legislativa», una riforma del c.d. ergastolo «ostativo», che garantisca la possibilità di riesame della pena[53]. Sul punto la Corte è stata chiara: «pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della “dissociazione” dall’ambiente mafioso», essa «considera che questa rottura possa esprimersi con strumenti diversi dalla collaborazione con la giustizia e dall’automatismo attualmente in vigore»[54] .
In materia, può dunque ipotizzarsi un sistema che configuri la mancata collaborazione come presunzione relativa di pericolosità sociale preclusiva dell’accesso ai benefici previsti dal sistema penitenziario, superabile ove risulti, in presenza dei requisiti temporali normativamente richiesti, che il detenuto ha raggiunto un grado di rieducazione adeguato e sempre che, in caso di reati associativi «siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva»[55]. Il legislatore potrebbe, peraltro, anche intendere il requisito della «collaborazione con la giustizia» in senso ampio, non limitato alla collaborazione processuale, surrogabile, come suggerito dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, da «concrete condotte riparative in favore delle vittime del reato, dei loro familiari o della comunità civile, generando significativi risultati in termini di ricomposizione dei conflitti, di mediazione sociale e di positivi cambiamenti di vita»[56].
Nel solco della giurisprudenza della Corte di Strasburgo si colloca la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 che, sostanzialmente, ha trasformato la presunzione di pericolosità alla base dell’art. 4-bis comma 1 l. n. 354 del 1975 da assoluta in relativa, consentendo la concessione del permesso premio, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ai condannati per i reati inclusi nella suddetta norma, pur in assenza di collaborazione con la giustizia (ex art. 58-ter l. n. 354 del 1975) «allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti»[57]. Nella medesima ottica si pone anche la recente ordinanza della Corte n. 97 del 2021 che, con riferimento all’ergastolo ostativo alla concessione della liberazione condizionale, ha sostenuto l’incompatibilità con la funzione rieducativa della pena, di cui all’art. 27 comma 3 Cost., delle norme che individuano nella collaborazione con la giustizia «l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale»[58]. La Corte, con l’ord. n. 97 del 2021, pur avendo accertato l’illegittimità costituzionale del sistema, non l’ha però dichiarata, rinviando la trattazione definitiva della questione per concedere al Parlamento la possibilità di legiferare in materia[59]. Si tratta infatti, secondo la Consulta, di scelte di politica criminale appartenenti alla discrezionalità legislativa, non vincolate nei contenuti, e come tali eccedenti i poteri della Corte stessa[60]. Tuttavia, la Corte si è riservata il compito di verificare ex post la compatibilità con la Costituzione delle nuove norme[61].
Il revirement della giurisprudenza costituzionale sul tema dell’ostatività alla concessione dei benefici penitenziari induce ad alcune riflessioni. Se infatti, da un lato, le più recenti decisioni della Corte in materia si pongono in armonia con l’orientamento della Corte stessa in tema di presunzioni legislative assolute, considerate dalla Corte costituzionalmente illegittime, là dove esse siano arbitrarie e irrazionali, e non rispondano a dati di esperienza generalizzati, vale a dire all’id quod plerumque accidit[62], d’altro canto la Corte ha mutato completamente rotta rispetto a un passato in cui, come rilevato, riteneva che la preclusione prevista dall’art. 4-bis comma 1 o.p. fosse una conseguenza derivante dalla scelta del condannato di non collaborare, pur essendo nelle condizioni di farlo.
Sembrerebbe un atteggiamento contraddittorio, dunque. In realtà, ciò dimostra, al contrario, la vitalità della Costituzione italiana che, analogamente a quanto affermato dalla Corte di Strasburgo con riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo[63], si conferma essere un living instrument, la cui interpretazione deve confrontarsi con l’evoluzione statale ed europea. I tempi sono diventati dunque maturi per una riforma volta a trovare un adeguato punto di equilibrio tra il finalismo rieducativo della pena e le esigenze di difesa sociale.
Si arriva così al disegno di legge A.S. n. 2574, approvato dalla Camera dei deputati il 31 marzo 2022 e, successivamente, passato all'esame della Commissione giustizia Senato, che interviene sull'art. 4-bis o.p. e sull’art. 2 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991 [64].
Sostanzialmente si può affermare che, in virtù del proposto intervento legislativo, sostanzialmente l’accesso ai benefici penitenziari, possibile per il collaborante, diviene del pari possibile, pur se improbabile, anche per il non collaborante, restando tuttavia impossibile per il detenuto sottoposto al regime previsto dall’art. 41-bis comma 2 o.p., sino alla revoca o alla mancata proroga del provvedimento ministeriale[65].
In particolare, il disegno di legge in discorso subordina l’accesso alle misure extramurarie dei condannati per un reato ex art. 4-bis comma 1 o.p. che non abbiano collaborato con la giustizia ad una serie di condizioni che debbono sussistere cumulativamente. Occorre, specificamente, che gli interessati: 1) dimostrino di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità dei suddetti adempimenti[66]; 2) alleghino, in caso di reati associativi, elementi specifici che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi[67]; in caso di reati non associativi è sufficiente l’allegazione di elementi che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con il contesto nel quale il reato è stato commesso[68]. In caso di detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis comma 2 o.p., si subordina la concessione dei benefici penitenziari indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis o.p. alla previa revoca o alla mancata proroga del provvedimento ministeriale applicativo di tale regime speciale[69].
Un ulteriore presupposto per la fruizione dei benefici parrebbe essere l’accertamento da parte del giudice di sorveglianza «di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa»[70]. Il carattere inderogabile anche di tale condizione si desume dall’uso, nel testo del d.d.l. A.S. n. 2574, del verbo «accerta»: l’indicativo presente sembra imporre alla magistratura di sorveglianza una verifica positiva della sussistenza di percorsi risarcitori e/o di giustizia riparativa.
Dal punto di vista procedimentale, si richiede il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e, in caso di condanna per i delitti indicati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado, nonché del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo[71].
La competenza a decidere in materia di concessione di permessi premio e di ammissione al lavoro all’esterno viene attribuita al tribunale di sorveglianza, ove si tratti di condannati per reati commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, eversione dell’ordine democratico, associazione di tipo mafioso, reati aggravati dal metodo mafioso e agevolanti l’associazione.
Per quanto concerne i condannati all’ergastolo per un reato «ostativo» non collaboranti, l’ammissione alla liberazione condizionale, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 4-bis comma 1 o.p., è subordinata alla previa espiazione di 30 anni di pena, in luogo dei 26 anni ordinariamente previsti; in caso di concessione della misura, si prevedono diverse restrizioni con riferimento alla disciplina della libertà vigilata[72]; la pena si estingue e le misure di sicurezza personali sono revocate nel termine di 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, ove non sia intervenuta alcuna causa di revoca della misura (il termine ordinario è di 5 anni)[73].
Accanto al d.d.l. A.S. n. 2574, all’esame del Senato risultava anche il d.d.l. A.S. n. 2465 che, pur presentando diverse similitudini con il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, se ne discosta soprattutto con riferimento all’individuazione dei delitti c.d. di prima fascia: il relativo elenco viene invero circoscritto ai delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione, associazione di tipo mafioso, reati aggravati dal metodo mafioso e agevolanti l’associazione; sequestro di persona a scopo di estorsione; associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti[74].
Entrambi i disegni di legge hanno il merito di tentare di rispondere alle citate censure di illegittimità costituzionale restituendo coerenza al sistema. Tuttavia, diversi sono i punti critici che investono in particolar modo il d.d.l. A. S. n. 2574.
In primo luogo, come osservato, in caso di condannati per reati diversi da quelli di tipo associativo, il suddetto disegno di legge richiede l’allegazione di elementi che escludano l’attualità dei collegamenti con il contesto nel quale il reato è stato commesso. Tuttavia, come è stato osservato, trattandosi di reati monosoggettivi, non è chiaro che cosa si intenda con l’espressione «contesto nel quale il reato è stato commesso», mancando «un’associazione criminale di appartenenza»[75].
Da questo punto di vista, sembra condivisibile l’orientamento di chi ritiene preferibile che nella suddetta ipotesi l’onere di allegazione debba vertere sull’assenza di attuale pericolosità sociale del condannato e dei rischi connessi a un suo reinserimento nella società[76].
Suscettibile di porsi in contrasto con l’art. 3 Cost. appare, inoltre, l’eliminazione delle ipotesi di collaborazione irrilevante, impossibile o inesigibile. Il disegno di legge in questione unifica la posizione di chi non ha collaborato per sua scelta con quella di chi non ha potuto collaborare, individuando uno standard probatorio unitario per tutte le categorie di non collaboranti, indipendentemente dalle ragioni della mancata collaborazione: su esse grava l’onere di allegare elementi che escludano non solo la permanenza di legami con la criminalità organizzata, ma pure il pericolo di un loro ripristino, anche indirettamente o tramite terzi.
Tuttavia, con riferimento alla mancata collaborazione, è indubbia la differenza ontologica tra «la posizione di chi “oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole” (silente per sua scelta)» e «quella di chi “soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può” (silente suo malgrado)»[77].
Sembra auspicabile, dunque, che anche il percorso che conduce alla fruizione dei benefici penitenziari sia diversificato, prevedendo «tre diversi regimi, con disposizioni gradualmente di maggior rigore, conseguenti alla differente posizione di chi collabora, di chi non potrebbe utilmente collaborare (collaborazione impossibile o inesigibile) e di chi, invece, non collabora per scelta»[78], in linea con quanto affermato anche recentemente dalla Corte costituzionale, secondo cui non appare irragionevole l’orientamento volto a «distinguere, con disposizioni di minor rigore, la posizione del detenuto cui la mancata collaborazione non fosse oggettivamente imputabile»[79].
Alcune «sviste» riguardano il procedimento per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati «ostativi». In primo luogo, si fa riferimento, per il prescritto parere, al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado. Al riguardo sembra, tuttavia, preferibile individuare l’autorità a cui chiedere il parere nel pubblico mistero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, essendo possibile un’assoluzione in primo grado e una condanna in fase di appello o di giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione[80]. Ancora, si prevede che alle udienze del tribunale di sorveglianza, aventi ad oggetto la concessione dei benefici indicati dal comma 1 dell’art. 4-bis o.p. ai condannati per i reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., le funzioni di pubblico ministero siano svolte dal pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado. Orbene, come osservato, fra i suddetti benefici rientrano anche il permesso premio e l’ammissione al lavoro all’esterno che, però, vengono decisi senza contraddittorio, con procedura de plano. In tali ipotesi, la partecipazione del pubblico ministero risulta impossibile, salvo che si preveda espressamente l’instaurazione del contraddittorio. Si potrebbe, al proposito, prevedere l’adozione della procedura semplificata di cui all’art. 667 comma 4 c.p.p. in base alla quale il tribunale di sorveglianza provvede in prima battuta senza formalità, con successiva instaurazione del contraddittorio a seguito di eventuale opposizione da parte del pubblico ministero, dell’interessato e del difensore.
L’intervento legislativo in discorso può essere l’occasione anche per porre ordine agli elenchi dei delitti indicati nei vari commi dell’art. 4-bis o.p. al fine di consentire l’identificazione certa del percorso di accesso ai benefici penitenziari per i relativi condannati. A fronte delle diverse stratificazioni normative, numerose sono le incertezze al proposito, acuite dal d.d.l. A. S. n. 2574.
Ad esempio, attualmente, l’associazione per delinquere ex art. 416 c.p. per commettere, tra gli altri, il delitto di violenza sessuale di gruppo è menzionata nell’art. 4-bis comma 1-ter o.p., per cui l’accesso ai benefici penitenziari è consentito anche in assenza di collaborazione, salvo che vi siano elementi tali da far ritenere che sussistano collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Nel d.d.l. in discorso si prevede, tuttavia, che per il delitto di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione dei delitti indicati nel nuovo comma 1-bis.1, tra cui rientra, nell’esempio preso in considerazione, la violenza sessuale di gruppo, si applichi il più rigoroso regime ivi previsto. Senonché, il comma 1-ter della norma non è stato modificato, per cui risulta incomprensibile il regime da applicare. Analoghe considerazioni possono farsi per i delitti di cui agli artt. 600 (riduzione in schiavitù), 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi) c.p.
Un’ultima notazione. Dall’interpolazione del comma 1 dell’art. 4-bis o.p. discende che non è più consentito lo scioglimento del cumulo in caso di esecuzione di pene concorrenti per reati ostativi e reati non ostativi, ove il giudice della cognizione abbia accertato sussistere tra essi un vincolo di connessione teleologica: ne deriva che il regime restrittivo disegnato dal legislatore diviene suscettibile di applicazione anche in ordine a reati diversi da quelli indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis o.p., pur quando i condannati abbiano già scontato la parte di pena relativa ai reati indicati in tale norma. La disciplina predisposta sul punto è suscettibile di porsi in contrasto con quanto affermato sia dalla Corte costituzionale[81], sia dalla Corte di cassazione[82], favorevoli alla concessione delle misure extramurarie secondo le regole ordinarie là dove il condannato abbia espiato la parte di pena relativa dei delitti ostativi.
Sul punto, sembra auspicabile una correzione di rotta che consenta lo scioglimento del suddetto cumulo, quantomeno in relazione ai risultati raggiunti dal condannato nel suo percorso riabilitativo[83].
In conclusione, stanti i numerosi punti del d.d.l. A. S. n. 2574 da sottoporre a una meditata riflessione, condivisibile appare la decisione della Corte costituzionale di rinviare all’8 novembre 2022 la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale oggetto dell’ordinanza n. 97 del 2021.
La fine anticipata dalla legislatura non ha consentito al Parlamento di portare a termine la riforma della materia.
L’auspicio
è che il nuovo legislatore, o eventualmente la Corte costituzionale, nel
tratteggiare i contorni della nuova disciplina in tema di ostatività
penitenziaria procedano senza pregiudizi, avendo come faro la necessità di
contemperare l’esigenza di tutela della collettività con il principio della
finalità rieducativa della pena. Compito
indubbiamente non facile, ma non impossibile.
The prohibition of access to penitentiary benefits for
convicts of specific crimes, unless they usefully cooperate with judicial
authorities, has been the subject of tormented events. The author analyzes the
salient features of this system, focusing on the Italian Constitutional Court
and the European Court of Human Rights case-law, as well as on a recent
legislative proposal on the matter.
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind. Continuano ad essere valutati i fuori ruolo delle Università italiane; mentre per gli studiosi stranieri valutazione solo se richiesta.]
[1] Cfr., in argomento, V. Manca, Regime ostativo ai benefici penitenziari. Evoluzione del “doppio binario” e prassi applicative, Milano 2020, 13. In origine le preclusioni riguardavano l’ammissione al lavoro all’esterno, i permessi premio, le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della l. n. 354 del 1975, nonché la liberazione condizionale.
[2] V. F. Della Casa, Misure alternative alla detenzione, in Enciclopedia del diritto, Annali, III, Milano 2010, 826.
[3] Così, ancora, F. Della Casa, Misure alternative alla detenzione, cit., 826.
[4] Originariamente i delitti presi in considerazione erano i seguenti: delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale; delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; delitti di cui agli artt. 416-bis e 630 c.p. ; delitti previsti dall’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (t.u. in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
[5] A venire in rilievo erano i delitti ex artt. 575, 628 comma 3, 629 comma 2 c.p., nonché i delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 80 comma 2 d.P.R. n. 309 del 1990.
[6] V., in tal senso, D. Galliani, Ponti, non muri. In attesa di Strasburgo, qualche ulteriore riflessione sull’ergastolo ostativo, in Aa. Vv., Il diritto alla speranza davanti alle corti. Ergastolo ostativo e articolo 41-bis, a cura di E, Dolcini, F. Fiorentin, D. Galliani, R. Magi, A. Pugiotto, Torino 2020, 192.
[7] Il fatto era avvenuto il 23 maggio 1992.
[8] Nelle more della conversione in legge del d.l. n. 152 del 1991, il 19 luglio 1992 vi fu una ulteriore strage sfociata nell’uccisione del magistrato Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta.
[9] Contestualmente, viene esclusa espressamente dal novero delle preclusioni la liberazione anticipata.
[10] Ai sensi dell’art. 4-bis comma 1-bis o.p. occorre che siano state applicate le circostanze di cui agli artt. 62 n. 6 c.p. («l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato»), anche ove il risarcimento sia stato posto in essere dopo la sentenza di condanna; 114 o 116 comma 2 c.p. (in caso di concorso di più persone nel reato, minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, ovvero reato voluto meno grave rispetto a quello commesso).
[11] V., al proposito, A. Pugiotto, Criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, in C. Musumeci – A. Pugiotto, Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, Napoli 2016, 150.
[12] In questi termini A. Pugiotto, Criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, cit., 65.
[13] Risultano attualmente inclusi nel catalogo di cui all’art. 4-bis comma 1 o.p. i seguenti reati: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; associazione di tipo mafioso anche straniera (art. 416-bis c.p.); scambio elettorale politico-mafioso (416-ter c.p.); delitti commessi avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; delitti commessi al fine di agevolare l'attività dell’associazione mafiosa; riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.); induzione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis comma 1 c.p.); produzione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter commi 1 e 2 c.p.); tratta di persone (art. 601 c.p.); acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.); delitti relativi all’immigrazione clandestina (art. 12 commi 1 e 3 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286); associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43); associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990); tramite la l. n. 3 del 2019, all’elenco sono stati aggiunti diversi delitti contro la pubblica amministrazione: peculato (art. 314 c.p.); concussione (art. 317 c.p.); corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.); corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.); induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.); corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.); istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.); delitti di cui all’art. 322-bis c.p. (vale a dire delitti di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri).
[14] Sulla tematica v. Aa. Vv., Il fine e la fine della pena. Sull’ergastolo ostativo alla liberazione condizionale, Atti del Seminario di Ferrara, 25 settembre 2020, a cura di G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi, in Forum di Quaderni Costituzionali, Rassegna 2020, 4, passim; Aa. Vv., Il diritto alla speranza davanti alle corti. Ergastolo ostativo e articolo 41-bis, a cura di E, Dolcini, F. Fiorentin, D. Galliani, R. Magi, A. Pugiotto, Torino 2020, passim; E. Dolcini, E. Fassone, D. Galliani, P. Pinto de Albuquerque, A. Pugiotto, Il diritto alla speranza. L’ergastolo ostativo nel diritto penale costituzionale, Torino 2019, passim; Ergastolo “ostativo”: profili di incostituzionalità e di incompatibilità convenzionale. Un dibattito, con presentazione di G. L. Gatta e interventi di E. Dolcini, G. M. Flick, G. Neppi Modona, M. Chiavario, L. Eusebi, A. Pugiotto, D. Galliani, M. Bontempelli, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale 2017, pp. 1495-1530; C. Musumeci – A. Pugiotto, Gli ergastolani senza scampo, cit., passim.
[15] V., in tal senso, A. Pugiotto, Una quaestio sulla pena dell’ergastolo, in E. Dolcini, E. Fassone, D. Galliani, P. Pinto de Albuquerque, A. Pugiotto, Il diritto alla speranza, cit., 104.
[16] V. Corte cost., sent. n. 306 del 1993, cons.in dir., punto 13.
[17] Cfr. Corte cost., sent. n. 273 del 2001, cons.in dir., punto 5.
[18] V. Corte cost., sent. n. 135 del 2003, cons.in dir., punto 4.
[19] Cfr. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia (N.2), su cui v. infra, par. 4-5.
[20] Cfr. Corte cost., sent. nn. 239 del 2014; 76 del 2017; 174 del 2018; 253 del 2019; 263 del 2019; ord. n. 97 del 2021.
[21] V. Corte EDU, Grande Camera, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro.
[22] Cfr. Corte cost., sent. nn. 204 del 1974; 264 del 1974; 192 del 1976; 274 del 1983;161 del 1997: v., al proposito, Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter e al. c. Regno Unito, par. 72 e 117. Con riferimento agli strumenti di diritto internazionale ed europeo, nella decisione sono state prese in considerazione: a) le Regole minime standard della Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti (1957), che impongono alle autorità carcerarie di utilizzare tutte le risorse disponibili per garantire il ritorno degli autori di reati nella società; b) il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il cui art. 10 par. 3 prevede che il sistema penitenziario debba comportare un trattamento dei detenuti che abbia come scopo essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale; c) la Risoluzione 1976 (2) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, la quale raccomanda di concedere la liberazione anticipata non appena vi siano le condizioni per una prognosi favorevole e di garantire il riesame di tutti i casi, compresi quelli dei condannati all’ergastolo; d) l’art. 5 par. 2 della decisione quadro 2002/584/GAI; e) la Raccomandazione 2003 (22) sulla liberazione condizionale, secondo cui i condannati all’ergastolo non dovrebbero essere privati in assoluto della speranza di rilascio; f) la Raccomandazione 2003 (23) sulla gestione dei condannati all’ergastolo da parte delle amministrazioni penitenziarie, ove si afferma che essi dovrebbero godere della possibilità di liberazione condizionale e dovrebbero beneficiare di una preparazione adeguata al rilascio; g) le Regole penitenziarie europee nn. 6, 102, 103 e 107 del 2006 secondo cui, rispettivamente, la detenzione deve essere gestita in modo da facilitare il reinserimento nella società; la vita in carcere deve consentire ai detenuti di condurre una vita responsabile ed esente dal reato; devono essere previsti programmi individuali di esecuzione della pena, applicabili anche ai condannati all’ergastolo, che includano la preparazione per il rilascio; le autorità penitenziarie devono lavorare in stretta collaborazione con i servizi sociali e gli organismi che accompagnano ed aiutano i detenuti liberati a ritrovare un posto nella società; h) il Rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti [CPT (2007) 55], il quale raccomanda che nessun detenuto dovrebbe essere privato della possibilità di tornare in libertà. Quanto al diritto penale internazionale, vengono menzionati lo Statuto della Corte penale internazionale, il cui art. 110 prevede la revisione delle condanne all’ergastolo dopo 25 anni ed esami periodici successivi, nonché le pertinenti disposizioni degli Statuti del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, del Tribunale speciale per la Sierra Leone e del Tribunale speciale per il Libano.
[23] A seguito di Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter e al. C. Regno Unito, cit., è stata riscontrata la violazione dell’art. 3 CEDU in Corte EDU, 18 marzo 2014, Öcalan c. Turchia (N. 2); Corte EDU, 20 maggio 2014, Magyar c. Ungheria; Corte EDU, 8 luglio 2014, Harakchiev e Tolumov c. Bulgaria; Corte EDU, 4 settembre 2014, Trabelsi c. Belgio; Corte EDU, 15 settembre 2015, Kaytan c. Turchia; Corte EDU, Grande Camera, 26 aprile 2016, Murray c. Paesi Bassi; Corte EDU, 4 ottobre 2016, T.P. e A.T. c. Ungheria; Corte EDU, 23 maggio 2017, Matiošaitis e al. c. Lituania; Corte EDU, 12 febbraio 2019, Boltan c. Turchia; Corte EDU, 12 marzo 2019, Petukhov c. Ucraina (N. 2). La Corte ha escluso la violazione dell’art. 3 CEDU in Corte EDU, 22 luglio 2014, Čačko c. Slavacchia; Corte EDU, 13 novembre 2014, Bodein c. Francia; Corte EDU, Grande Camera, 17 gennaio 2017, Hutchinson c. Regno Unito.
[24] Cfr. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia (N. 2). Sulla decisione v., senza pretesa di esaustività, E. Dolcini, Dalla Corte Edu una nuova condanna per l’Italia: l’ergastolo ostativo contraddice il principio di umanità della pena, in Aa. Vv., Il diritto alla speranza davanti alle corti, cit., 87; F. Fiorentin, Il caso Viola n. 2. L’ergastolo ostativo e la tutela della libertà umana, ivi, 67; D. Galliani, A. Pugiotto, L’ergastolo ostativo non supera l’esame a Strasburgo (a proposito della sentenza Viola v. Italia n. 2), ivi, 97; S. Lonati e A. Nascimbeni, La pena e il divieto di tortura, in Aa.Vv., Profili di procedura penale europea, a cura di M. Ceresa Gastaldo – S. Lonati, Milano 2021, 288; V. Manca, Regime ostativo ai benefici penitenziari, cit., 118; V. Manes, La “proibizione della tortura” e di trattamenti inumani e degradanti, in V. Manes – M. Caianiello, Introduzione al diritto penale europeo, Torino 2020, 200; M.S. Mori – V. Alberta, Prime osservazioni sulla sentenza Marcello Viola c. Italia (n. 2) in materia di ergastolo ostativo, in Giurisprudenza Penale Web 2019, 6; M. Pelissero, Verso il superamento dell’ergastolo ostativo: gli effetti della sentenza Viola c. Italia sulla disciplina delle preclusioni in materia di benefici penitenziari, in SIDIBlog 21 giugno 2019; G. Picaro, La Corte E.D.U. dichiara l’ergastolo ostativo incompatibile con l’art. 3 della Convenzione. Brevi riflessioni a margine della sentenza “Viola”, in Archivio Penale Web 2019; A. Santangelo, La rivoluzione dolce del principio rieducativo tra Roma e Strasburgo, in Cassazione Penale 2019, 3769; S. Santini, Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla Corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Diritto Penale Contemporaneo 1° luglio 2019.
[25] Per la ricostruzione del caso v., ad esempio, F. Fiorentin, L’ergastolo “ostativo” ancora davanti al giudice di Strasburgo, in Diritto Penale Contemporaneo 3, 2018, 6; D. Galliani – A. Pugiotto, Eppur qualcosa si muove: verso il superamento dell’ostatività ai benefici penitenziari? in Rivista Associazione Italiana dei Costituzionalisti 4, 2017, 26.
[26] Cfr. D. Galliani – A. Pugiotto, Eppur qualcosa si muove, cit., 27.
[27] V. Amicus Curiae, Ricorso n. 77633 – Viola v. Italy – Prima Sezione, in D. Galliani – A. Pugiotto, Eppur qualcosa si muove, cit., 41, e in Diritto Penale Contemporaneo, 14 marzo 2018.
[28] Il documento è pubblicato in Diritto Penale Contemporaneo, 14 marzo 2018.
[29] V. Corte EDU, 4 settembre 2014, Trabelsi c. Belgio.
[30] Cfr., sul punto, F. Fiorentin, L’ergastolo “ostativo” ancora davanti al giudice di Strasburgo, cit., 18.
[31] V. Corte EDU, 12 dicembre 2017, Lopez Elorza c. Spagna, par. 100.
[32] Cfr. Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter e al. C. Regno Unito, cit., par. 119.
[33] V., in questi termini, F. Della Casa, Misure alternative alla detenzione, cit., 828.
[34] V., al riguardo, A. Pugiotto, Criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, cit., 72, nt. 20.
[35] V., sul punto, E. Dolcini, L’ergastolo ostativo non tende alla rieducazione del condannato, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale 2017, 1502, secondo cui «sembra profilarsi un paradosso: l’ordinamento esercita sul detenuto una forma di violenza che è oggetto di un obbligo costituzionale di incriminazione»; F. Fiorentin, L’ergastolo “ostativo” ancora davanti al giudice di Strasburgo, cit., 19.
[36] Cfr. art. 1 comma 3 o.p., come sostituito dall’art. 11 d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 123.
[37] V. Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter e al. C. Regno Unito, cit., par. 122.
[38] Così F. Fiorentin, L’ergastolo “ostativo” ancora davanti al giudice di Strasburgo, cit., 18.
[39] In questi termini A. Pugiotto, Criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, cit., 119. In giurisprudenza cfr. Cass. 21 febbraio 2017, Ventura, n. 6065; Id. 13 giugno 2016, De Lucia, n. 44168; Id. 7 gennaio 2010, Dragone, n. 4091; Id. 9 aprile 2008 Sanfilippo, n. 17816.
[40] V. ancora A. Pugiotto, Criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, cit., 119.
[41] V. Cfr. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 137. La sentenza è divenuta definitiva il 7 ottobre 2019, a seguito del rigetto dell’istanza di rinvio alla Grande Camera presentata dall’Italia.
[42] Cfr. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 101.
[43] Così Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 116.
[44] V. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 117 e par. 118.
[45] Cfr. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 118. La Corte richiama quanto affermato da Corte cost., sent. n. 306 del 1993, su cui v. supra, par. 2.
[46] V. Corte cost., sent. n. 149 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater o.p., nella parte in cui prevede che i condannati all’ergastolo per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, nonché a scopo di terrorismo o di eversione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis o.p. se non abbiano espiato effettivamente almeno 26 anni di pena. Nella motivazione della sentenza si legge che «la personalità del condannato non resta segnata in modo irrimediabile dal reato commesso in passato, foss’anche il più orribile; ma continua ad essere aperta alla prospettiva di un possibile cambiamento» (cons.in dir., punto 7).
[47] V. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 125.
[48] Cfr. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 126.
[49] V. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 136.
[50] In questi termini Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 138. Al condannato è stato riconosciuto il diritto, a partire dal momento in cui la sentenza sarebbe divenuta definitiva, di ottenere dallo Stato italiano una somma di 6.000 euro per le spese sostenute (par. 151).
[51] V., sul punto, S. Lonati e A. Nascimbeni, La pena e il divieto di tortura, cit., 290, i quali evidenziano che, «a differenza delle sentenze pilota, (…), in questa pronuncia i giudici europei hanno omesso di inserire all’interno del dispositivo della sentenza le valutazioni relative alla sussistenza di un problema strutturale e alle connesse misure generali da adottare, non hanno sospeso i casi simili a quello del ricorrente ancora pendenti davanti alla Corte e non hanno espressamente utilizzato la dicitura “pilota”».
[52] Sul punto v. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 141.
[53] Definisce la decisione in discorso una sentenza “quasi pilota” D. Mauri, La prevista censura dell’ergastolo ostativo non andrà in onda: al suo posto, «un invito al legislatore», in SIDIBlog 27 maggio 2021, secondo cui «manca sì l’indicazione di misure generali nel dispositivo, ma nella parte motiva il difetto strutturale e l’opportunità di una riforma legislativa sono indicati expressis verbis».
[54] V. Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 143.
[55] V., in quest’ottica, la proposta di modifica dell’art. 4-bis, comma 1-bis, l. n. 354 del 1975 e dell’art. 2 comma 1, d.l. n. 152 del 1991, conv., con modif., in l. n. 203 del 1991, avanzata dalla Commissione ministeriale deputata a elaborare proposte di interventi in tema sanzionatorio penale, in Diritto Penale Contemporaneo 19 febbraio 2014. La proposta si pone in linea con quanto affermato dai giudici europei, secondo i quali «la presunzione legale di pericolosità può giustificarsi in particolare quando non è assoluta, ma si presta ad essere contraddetta dalla prova contraria» (Corte EDU, 6 novembre 2003, par. 69). Tale principio, ad avviso di Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., par. 131, vale ancora di più in relazione all’art. 3 CEDU, «considerando il carattere assoluto di questa disposizione, che non ammette alcuna eccezione».
[56] Cfr. Stati Generali dell’Esecuzione Penale, Tavolo 16, in www.giustizia.it. Tale soluzione consentirebbe, tra l’altro, di superare i rilievi contenuti nell’opinione dissenziente (allegata a Corte Edu, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit.) del Giudice Wojtyczek, ad avviso del quale il ricorrente è ristretto in carcere «perché la sua detenzione è necessaria per dare un senso di giustizia alle famiglie delle vittime e alla società italiana in generale, nonché per dissuadere altri potenziali criminali dal commettere reati simili» (par. 8).
[57] V. Corte cost., sent. n. 253 del 2019, in Giurisprudenza costituzionale 2019, 3103, con osservazione di M. Michetti, L’accesso ai permessi premio tra finalità rieducativa della pena ed esigenze di politica criminale, 3124, e commento di A. Pugiotto, Due decisioni radicali della Corte costituzionale cit.; in Cassazione penale 2020, 1005, con nota di F. Fiorentin, Preclusioni penitenziarie e permessi premio, 1019; in Sistema penale 28 gennaio 2020, con nota di S. Bernardi, Per la Consulta la presunzione di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia è legittima solo se relativa: cade la preclusione assoluta all’accesso ai permessi premio ex art. 4-bis comma 1 ord. pen.; in Processo penale e giustizia 3, 2020, con nota di C. Fiorio, Ergastolo ostativo e diritto alla speranza? Sì, però…, 649. Sulla decisione cfr. B. Ballini, La Consulta e la rieducazione negata. L’incostituzionalità del sistema “ostativo” previsto dall’art. 4-bis ord. pen. (sent. n. 253/2019), in discrimen.it 9 dicembre 2019; S. Bernardi, Sull’incompatibilità̀ con la Costituzione della presunzione assoluta di pericolosità̀ dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia: in margine a Corte cost., sentenza del 23 ottobre 2019 (dep. 4 dicembre 2019), n. 253, in Osservatorio Associazione italiana costituzionalisti 1, 2020, 324; G. Cirioli, Bertoldo e la presunzione assoluta di pericolosità̀ sociale: entrambi impiccati a una pianta di fragole? Un breve commento alla sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale, ivi 4, 2020, 227; M. Chiavario, La sentenza sui permessi-premio: una pronuncia che non merita inquadramenti unilaterali, ivi 1, 2020, 211; Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario e sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, approvata dalla Commissione il 20 maggio 2020, XVIII Legislatura, Doc. XXIII n. 3, 20; R. De Vito, Mancata collaborazione e permessi premio: cade il muro della presunzione assoluta, in Rivista italiana di diritto e procedura penale 2019, 348; G. Dodaro, L’onere di collaborazione con la giustizia per l’accesso ai permessi premio ex art. 4-bis comma 1, ord. penit. di fronte alla Costituzione, ivi, 259; A. Menghini, La Consulta apre una breccia nell’art. 4 bis o.p. Nota a Corte cost. n. 253/2019, in Osservatorio Associazione italiana costituzionalisti 2, 2020, 307; M. Mengozzi, Il meccanismo dell’ostatività alla sbarra. Un primo passo da Roma verso Strasburgo, con qualche inciampo e altra strada da percorrere (nota a Corte Cost., sent. n. 253 del 2019), ivi, 354; M. Pelissero, Permessi premio e reati ostativi. Condizioni, limiti e potenzialità di sviluppo della sent. 253/2019 della Corte costituzionale, in lalegislazionepenale.eu 30 marzo 2020; M. Ruotolo, Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019, in Sistema penale 12 dicembre 2019.
[58] V. Corte cost., ord. n. 97 del 2021, cons. in dir., punto 6. A commento della decisione cfr. A. De Lia, Ergastolo ostativo alla liberazione condizionale: inesigibilità della collaborazione e destino di uno dei baluardi del “Feindstrafrecht”, in federalismi.it 28, 2021, 49; E. Dolcini, L’ordinanza delle Corte costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti, in Sistema penale 25 maggio 2021; D. Galliani, Il chiaro e lo scuro. Primo commento all’ordinanza 97/2021 della Corte costituzionale sull’ergastolo ostativo, in Giustizia insieme 20 maggio 2021; F. Gianfilippi, Ergastolo ostativo: incostituzionalità esibita e ritardi del legislatore. Prime note all’ordinanza 97/2021, in Questione giustizia 27 maggio 2021; M. Massa, La terza incostituzionalità «prospettata» e la questione dell’ergastolo ostativo, in Nomos 2, 2021; D. Mauri, La prevista censura dell’ergastolo ostativo non andrà in onda, cit.; M. Mengozzi, Un passo avanti e uno indietro: la Consulta sull’ergastolo ostativo opta per il rinvio con monito, in Diritti comparati 20 maggio 2021; F. Perchinunno, Prime riflessioni sull’ordinanza n. 97/2021 della Corte costituzionale, in federalismi.it 22, 2021, 198; M. Pelissero, Il percorso sospeso: la posta in gioco “radicale” dell’ergastolo ostativo, in Diritto penale e processo 2021, 1001; A. Pugiotto, Leggere altrimenti l’ord. n. 97 del 2021 in tema di ergastolo ostativo alla liberazione condizionale, in Giurisprudenza costituzionale 2021, 1182; L. Risicato, L’incostituzionalità riluttante dell’ergastolo ostativo: alcune note a margine di Corte cost., ordinanza n. 97/2021, in Rivista italiana di diritto e procedura penale 2021, 653; M. Ruotolo, Riflessioni sul possibile “seguito” dell’ord. n. 97 del 2021 della Corte costituzionale, in Sistema penale 28 febbraio 2022; H. J. Woodcock, Un giudizio sull’ordinanza 97/2021 della Corte costituzionale che mette in luce, oltre ai profili positivi, alcuni rischi. Uno più di tutti: quello di far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta, in Questione giustizia 26 maggio 2021.
[59] La Corte, nell’ord. n. 97 del 2021, aveva originariamente rinviato la data di trattazione della questione il 10 maggio 2022. A seguito di richiesta da parte del Presidente della Commissione Giustizia del Senato, la Consulta ha ulteriormente rinviato l’udienza all’8 novembre 2022.
[60] Cfr. Corte cost., ord. n. 97 del 2021, cit., cons. in dir., punto 9.
[61] V., in tal senso, Corte cost., ord. n. 97 del 2021, cit., cons. in dir., punto 11.
[62] V. Corte cost. , sent. nn 57 del 2013; 189 del 2010; 255 del 2006; 436 del 1999.
[63] Cfr. Corte Edu, 25 aprile 1978, Tyrer c. Regno Unito, par. 31.
[64] Il d.d.l. A.S. n. 2574 si ispira a quanto proposto da Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario e sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, cit., 31 ss.
[65] V., in tal senso, con riferimento a Corte cost., ord. n. 97 del 2021, cit., M. Ruotolo, Riflessioni sul possibile “seguito” dell’ord. n. 97 del 2021 della Corte costituzionale, cit., 5.
[66] V. art. 4-bis, commi 1-bis e 1-bis.1
o.p. (art. 1 d.d.l. A.S. n. 2574).
[67] Art. 4-bis comma 1-bis o.p. (art. 1 d.d.l.
A.S. n. 2574).
[68] Art. 4-bis comma 1-bis.1 o.p. (art. 1
d.d.l. A.S. n. 2574).
[69] Art. 4-bis comma 2 o.p. (art. 1 d.d.l. A.S. n.
2574).
[70] Art. 4-bis, commi 1-bis e 1-bis.1
o.p. (art. 1 d.d.l. A.S. n. 2574).
[71] Art. 4-bis comma 2 o.p. (art. 1 d.d.l. A.S. n. 2574). I pareri, le eventuali istanze istruttorie, le informazioni e gli esiti degli accertamenti debbono essere resi entro 60 giorni dalla richiesta, salva una eventuale proroga di ulteriori 30 giorni in virtù della complessità degli accertamenti. Decorsi i suddetti termini, il giudice è tenuto a decidere anche in assenza dei pareri, delle informazioni e degli esiti degli accertamenti richiesti.
[72] La libertà vigilata, disposta ai sensi dell’art. 230 comma 1 n. 2 c.p., comporta necessariamente il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti: con i soggetti condannati per i reati di cui all’art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p.; con i soggetti sottoposti a misura di prevenzione ex art. 4 lett. a), b), d), f) e g) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159; con i soggetti condannati per reati previsti dalle suddette lettere.
[73] Art. 2 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991 (art. 2 d.d.l. n. 2574).
[74] Cfr. d.d.l. A.S. n. 2645, d’iniziativa del sen. P. Grasso.
[75] V. Intervento del sen. P. Grasso, in XVIII Leg., Atto Senato n. 2574, 2ͣ Commissione permanente (Giustizia), 284ͣ seduta, 21 aprile 2022.
[76] V., in tal senso, Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario e sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, cit., 33. Nella medesima ottica cfr. Intervento del sen. P. Grasso, cit.; Parere della dott.ssa L. Leone, in XVIII Leg., Atto Senato n. 2574, Documenti acquisiti, 18 maggio 2022.
[77] Così Cass. 22 ottobre 2020, Costarelli, n. 36887, cons. in dir., punto 2.2. Negli stessi termini cfr. Corte cost., sent. n. 20 del 2022, cons. in diritto, punto 6, in Giurisprudenza costituzionale 2022, 268, con osservazioni di A. Pugiotto, C’è silenzio e silenzio. La “non collaborazione” nel regime ostativo penitenziario in trasformazione; e di M. Ruaro, La “sopravvivenza” della collaborazione impossibile nel quadro dei sistemi di superamento dell’ostatività: una statuizione valida anche pro futuro.
[78] Cfr. Parere della dott.ssa L. Leone, cit.
[79] V., Corte cost., sent. n. 20 del 2022, cit., cons. in dir., punto 6.
[80] Cfr., sul punto, Intervento del sen. P. Grasso, cit.; Parere della dott.ssa L. Leone, cit.
[81] Cfr. Corte cost., sent. n. 361 del 1994.
[82] V., ad es., Cass. 11 dicembre 2020, n. 13041.
[83] V. Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario e sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, cit., 36.