SUI “DUE CORPI DEL POPOLO SOVRANO”
Università di Sassari
SOMMARIO: I. Stato della dottrina. – I.1. La “ìpo-tesi” per “sbloccare” la scienza giuridica “odierna”. – I.2. Dalla dialettica del diritto rivoluzionario al pensiero unico del diritto “soprastruttura”: responsabilità e potenzialità della scienza giuridica romanistica. - II. Corpus e popolo. – II.1. Il “corpus” per la natura “concreta” e unitaria del popolo. – II.2. I “due corpi” per il regime democratico-repubblicano del popolo nella dottrina moderna. – II.3. La conferma presso le fonti romane. – III. Prospettive attuali. – Abstract.
In questi ultimi anni, da alcuni romanisti, è stata formulata una tesi innovativa (definita con prudenza “ìpo-tesi mendeleeviana”)[1], con la quale si prova a dare ragione e ad ovviare al “blocco” della dottrina giuridica “odierna”[2], intrappolata tra il radicato atteggiamento fideistico nei confronti dell’istituto della rappresentanza (ossia della “sostituzione”)[3] della volontà collettiva (istituto il quale è, però, in crisi) e la montante domanda di istituti di democrazia ossia di partecipazione volitiva collettiva (domanda per la quale la dottrina giuridica non trova, però, risposte)[4].
Da parte di questi romanisti si afferma che la odierna, dominante dottrina giuridica è (nella sostanza e fatta salva qualche importante eccezione[5]) la ripetizione novecentesca della dottrina romanistica ottocentesca, il cui autore principale e determinante (seppure non ‘esaustivo’) è Friedrich Carl von Savigny, il quale, negli otto volumi del System des heutigen römischen Rechts, affronta e risolve i due essenziali e prioritari “problemi generali del diritto” (natura e volizione unitarie delle collettività, a iniziare dalla collettività Popolo) ricorrendo, rispettivamente agli istituti: della “persona giuridica” e della “rappresentanza/sostituzione”[6]. Da parte di tali romanisti si afferma anzi che i termini storicisti[7] e casuisti[8] delle revisioni novecentesche, ponendo/lasciando fuori di discussione l’impianto dogmatico ottocentesco, lo hanno addirittura blindato. Sempre da questi autori, si individua, inoltre, la prima, necessaria fase del percorso della auspicata “liberazione”[9] dalla dottrina otto-novecentesca nel recupero della “memoria”[10] della dottrina romanistica settecentesca[11]; alla quale sono riconosciuti: α) la interpretazione societaria della natura e partecipativa della volizione unitarie del popolo nel diritto romano e, in forza di quella interpretazione, β) un ruolo decisivo nella preparazione e nello svolgimento della transizione (attraverso la Grande rivoluzione) dall’ancien Règime assolutistico ai costituzionalismi contemporanei.
Secondo la tesi o “ìpo-tesi” da cui siamo partiti, caratteristica del pensiero giuridico (e storico) del settecento è, infatti, la forte dialettica tra due “modelli costituzionali”, tra loro espressamente alternativi, i quali sono universalmente individuati, rispettivamente: α) in quello antico romano, interpretato come democratico/partecipativo, e β) in quello medievale-moderno inglese, interpretato come aristocratico/rappresentativo, e – per ciò – politicamente o criticati e respinti o apprezzati e riproposti[12].
Il pensiero giuridico (e storico) ottocentesco è, invece, caratterizzato in maniera assolutamente opposta. È scomparsa la dialettica e sono state affermate la esistenza storica e la stessa possibilità logica di un unico “sistema” giuridico; il quale è: α) definito per mezzo delle fonti romane ma β) fatto coincidere nei contenuti (aristocratici/rappresentativi) con il diritto moderno inglese, quale interpretato nel settecento.
La uniformità – dunque: ‘aristocratica’ – del pensiero giuridico ottocentesco fa sì che la risposta alla domanda di democratizzazione (forte anche nel secolo della Restaurazione) sia cercata[13] non più nel diritto[14] ma nella economia, con il conseguente abbandono del diritto (ridotto, seppure “non meccanicisticamente”, a “Überbau”) alla “cultura (o “scienza”) borghese”[15]; la quale resta – paradossalmente e soltanto per ragioni epistemologiche – il luogo di conservazione delle tracce del pur antagonista sistema democratico[16].
È, dunque, la scienza giuridica romanistica ad avere la responsabilità della odierna incapacità giuridica di dare risposta alla domanda di democrazia ma è anche la stessa scienza giuridica romanistica ad avere la possibilità di superare tale incapacità, recuperando e riconsegnando alla scienza giuridica in generale, ivi compresa quella positiva e de iure condendo, la interpretazione democratica del diritto romano, nel quale è conservato il tesoro della massima (e, forse, unica) esperienza giuridica democratica-repubblicana[17].
Dal punto di vista rigorosamente dogmatico – e in ultima analisi – il terreno da esplorare, per comprendere la specificità democratica del diritto romano, è individuato nel duplice corpo del popolo nel diritto romano.
I giuristi romani ricorrono alla categoria di “corpus”, per indicare la collettività giuridicamente capace di entrare in relazione – come unità – con altri ‘soggetti di diritto’[18]:
D. 3.4.1.1 (Gaius libro tertio ad edictum provinciale): Quibus autem permissum est corpus habere collegii societatis sive cuiusque alterius eorum nomine, proprium est ad exemplum rei publicae habere res communes, arcam communem et actorem sive syndicum, per quem tamquam in re publica, quod communiter agi fierique oporteat, agatur fiat[19].
È necessario sottolineare che non si tratta – semplicemente – di res, perché le res possono essere sia corporales sia incorporales:
Gaius, Inst.
2.12-14 12: Quaedam praeterea res corporales sunt, quaedam incorporales. 13:
Corporales hae, quae tangi possunt, velut fundus, homo, vestis, aurum, argentum
et denique aliae res innumerabiles. 14: Incorporales sunt, quae tangi non
possunt, qualia sunt ea, quae <in> iure consistunt, sicut hereditas,
ususfructus, obligationes quoquo modo contractae[20].
Il popolo, però, è una res corporalis, cioè – appunto – un corpus e – precisamente – un corpus ex distantibus:
D. 41.3.30 (Pomponius libro 30 ad Sabinum) pr.: ‘Rerum mixtura facta an usucapionem cuiusque praecedentem interrumpit, quaeritur. tria autem genera sunt corporum, unum, quod continetur uno spiritu et Graece ἡνωμένον vocatur, ut homo tignum lapis et similia: alterum, quod ex contingentibus, hoc est pluribus inter se cohaerentibus constat, quod συνημμένον vocatur, ut aedificium navis armarium: tertium, quod ex distantibus constat, ut corpora plura non soluta, sed uni nomini subiecta, veluti populus legio grex’.
Il ricorso alla categoria di corpus per indicare il populus esprime la concezione che è stata definita “concreta”[21] della natura unitaria del popolo romano. La concezione “concreta” del populus, così affermata dai giuristi romani, rende concepibile l’esercizio da parte dello stesso populus della propria volizione unitaria attraverso la partecipazione dei propri membri (i cittadini)[22] anziché dover postulare la sua sostituzione attraverso “rappresentanti”.
La dottrina romanistica novecentesca (che segue la opposta affermazione dei romanisti ottocenteschi: “populus uguale Stato”) si è liberata della affermazione antica sostituendola con una affermazione di segno opposto, formulata sulla base di un postulato di ragione, esente – in quanto tale – da dimostrazione; cioè interpretando la affermazione antica come resto linguistico delle fasi più arcaiche dell’ineludibile processo storico di “astrazione” o “smaterializzazione”, il quale soltanto conduce alla conquista della concezione della collettività come “unità”[23].
La risposta corporale/concreta del diritto romano alla questione della natura unitaria delle collettività in generale e del populus in particolare rende, dunque, possibile il regime partecipativo della sua volizione unitaria. Si tratta, però, di una possibilità soltanto teorica. Per rendere possibile nei fatti tale regime, occorre considerare la necessaria co-presenza nel populus di “due corpi”.
È così che nella interpretazione settecentesca del diritto romano (particolarmente in quella operata dalla componente ad esso favorevole e di esso ripropositiva) si trova se non la dottrina dei due corpi del popolo quella – ad essa prodromica – delle due dimensioni del popolo. Rousseau osserva che il popolo per essere tale, cioè per essere “sovrano” (come è il popolo romano) ha bisogno di due dimensioni: la piccola dimensione e la grande dimensione:
«Tout bien examiné, je ne vois pas qu’il
soit désormais possible au Souverain de conserver parmi nous l’exercice de ses
droits si la cité n’est très-petite. Mais si elle est très-petite elle sera
subjuguée? Non. Je ferai voir ci-après* [*C’est ce que je mʼétois
proposé de faire dans la suite de cet ouvrage, lorsqu’en traitant des relations
externes j’en serois venu aux confédérations. Matière toute neuve & où les
principes sont encore à établir] comment on peut réunir la puissance extérieure
d’un grand peuple avec la police aisée & le bon ordre d’un petit Etat»[24].
Si noti che una tesi molto vicina a quella sostenuta da Rousseau – anche se non ‘mirata’ sulla specifica sovranità popolare – era stata già formulata da Montesquieu:
«les hommes auraient été à la fin obligés de vivre toujours sous le gouvernement d'un seul, s'ils n'avaient imaginé une manière de constitution qui a tous les avantages intérieurs du gouvernement républicain, et la force extérieure du monarchique. Je parle de la république fédérative»[25].
Si deve notare inoltre che il pensiero di Rousseau è piuttosto in linea con quello già espresso da Johannes Althusius[26], il quale aveva scritto della città come “consociatio” e della “consociatio” delle città, essendo ogni città la associazione centrale in assoluto e prima pubblica di un sistema concentrico di associazioni private e pubbliche, procedente per gradi successivi dalla famiglia sino all’impero[27].
Il popolo deve, dunque, avere la piccola dimensione per potere essere sovrano, cioè per potere esercitare esso stesso, attraverso la partecipazione dei propri cittadini, la propria volizione unitaria. Questa piccola dimensione corrisponde alla “città” (piccola o, addirittura, piccolissima: “très petite”). Il popolo ha però bisogno della grande dimensione per potere continuare ad essere sovrano, cioè per potere resistere ad aggressioni esterne. Il problema – evidente – è che il conseguimento della grande dimensione non può avvenire a prezzo della piccola dimensione. La soluzione – altrettanto evidente – del problema è, allora, la “consociatio/confederazione di città”[28].
Peraltro, la combinazione delle due dimensioni e – ancora più – la combinazione dei due “corpi” del popolo è, a sua volta, resa possibile dal complesso regime volitivo repubblicano, caratterizzato (a differenza del semplice regime volitivo democratico greco)[29] dalla articolazione (attraverso lo strumento del mandato)[30] in “comando generale del popolo” e comando particolare dei magistrati di governo. Tale articolazione è, infatti, applicata anche alla volizione della consociatio o confederazione di città, ossia alla grande repubblica imperiale (come evidenziato dall’istituto imperiale del concilium provinciale delle città)[31]. La assenza di tale “articolazione” nel regime volitivo democratico greco non consente né l’esercizio del potere e da parte del popolo e da parte del magistrato[32] né l’esercizio del potere da parte di due (o più) corpi del popolo.
Lo schema dei “due corpi” è espressamente utilizzato dal pensiero monarchico moderno, applicato però al “Re”; il quale pure ha “due corpi”, dei quali, però, soltanto uno è “naturale fisico e mortale” mentre l’altro è “politico invisibile e incorruttibile”[33], ciò che appare essere la radice della costruzione seicentesca, del “Leviatano” di Thomas Hobbes, e ottocentesca, dello “Stato” di Friedrich Carl von Savigny. “Leviatano” e “Stato” sono entrambi astratte persone artificiali, la cui volontà è espressa dai rappresentanti[34].
Presso le fonti romane troviamo la conferma che i corpi del popolo sono due: di piccola e di grande dimensione; ossia, precisamente: la Città e l’insieme delle Città.
Già nel passo gaiano (D.
3.4.1.1 [Gaius libro tertio ad edictum provinciale]) sopra riportato, la
res publica, sul cui esempio si configurano collegia e societates,
è sicuramente quella municipalis (data la menzione di figure proprie
alla organizzazione municipale quali l’actor e il syndicus). Scrivono, ad esempio, Daremberg e Saglio: «Les usages
suivis pour la confection de la lex collegii s’expliquent aisément lorsqu’on
se rappelle comment les collèges étaient organisés. Tous les documents sont
d’accord pour attester que l’organisation des collèges est modelée sur celle
des cités (ad exemplum reipublicae). Les membres du collège forment le populus»[35].
Lo
stesso Gaio, in un altro passo, scrive:
D. 39.4.13.1 (Gaius libro 13 ad edictum
provinciale): Praeterea et si quis vectigal conductum a re publica
cuiusdam municipii habet.
Sarebbe, però, paradossale escludere il riferimento della categoria res publica all’intero populus Romanus, salvo smentire il massimo esperto di res publica, Cicerone:
Cicero, Rep. 1.39: Est igitur,
inquit Africanus, res publica res populi
e, ancora, Gaio:
D. 50.16.16 (Gaius libro tertio ad edictum provinciale): Eum qui vectigal populi Romani conductum habet, “publicanum” appellamus. Nam ‘publica’ appellatio in compluribus causis ad populum Romanum respicit: civitates enim privatorum loco habentur.
Del municipium come res publica testimonia, inoltre, il giurista Servio Sulpicio Rufo, contemporaneo e amico di Cicerone. Il passo in questione di Servio Sulpicio ci è conservato dal grammatico Sesto Pompeo Festo insieme a un passo del più tardo giurista Elio Gallo, con una sequenza cronologica, si badi, rovesciata, la quale va letta considerando gli sviluppi dell’esito del bellum sociale, cioè la trasformazione delle citta federate in municipia optimo iure[36]:
Festus, De verb. sign. 126, 16 (Lindsay):
Municeps est, ut ait Aelius Gallus, qui in municipio liber natus est. Item
qui ex alio genere hominum munus functus est. Item qui in municipio ex
servitute se liberavit a municipe. At Servius filius aiebat initio fuisse, qui
ea conditione cives fuissent, ut semper rempublicam separatim a populo Romano
haberent, Cumanos, Acerranos, Atellanos, qui aeque <cives Romani erant et in
legione merebant, sed dignitates non capiebant>[37].
Nel testo di Servio Sulpicio, infatti, la “separazione” delle res publicae dei Municipi dalla res publica del popolo romano indica (come è stato acutamente osservato) la situazione precedente la loro unione, la quale comunque avviene non annichilendo le res publicae municipali ma conservandole come le “parti di un tutto”[38].
Esempio di macro-problema che la attenzione alla dottrina dei “due corpi del popolo sovrano” (con il regime volitivo connesso) può contribuire a risolvere è la attuale questione del ricorso a istituti di federalismo e/o di autonomia per migliorare la organizzazione pubblica/costituzionale da entrambi i punti di vista e della partecipazione democratica e della efficacia socio-economica (così superando la diffusa opinione che li considera antagonisti se non incompatibili).
In Italia, in particolare, tale questione è stata affrontata innanzi tutto, con la riforma (nel 1993) della elezione dei sindaci dei Comuni direttamente da parte dei Cittadini e (si badi) “su programma”[39] (cioè, con un ritorno, oggettivo e ‘rivoluzionario’ in senso proprio, alla concezione romana del mandato)[40]. Tale riforma ha avviato (in maniera però zoppicante sul piano della logica ed esitante su quello della volontà) un percorso il quale ha compreso: α) la riforma (nel 2001) del sistema delle Autonomie (titolo V della Costituzione) e β) il tentativo di riforma (nel 2016) del Senato per farne un Senato delle Autonomie (riforma, questa ultima, particolarmente pasticciata e, infine, bocciata con referendum).
Se i riformatori italiani avessero disposto delle necessarie conoscenze giuridiche (senza le quali la volontà politica è spuntata) si sarebbe potuto costruire (e, invece, si è soltanto in qualche modo prospettato) un disegno costituzionale nel quale – a iniziare dalla rinnovata coscienza del ruolo fondamentale dei Comuni – si prevedesse, assieme al percorso discendente/radiale (cioè decentrativo) della volizione collettiva, anche un suo percorso ascendente/centripeto (cioè partecipativo): α) avviato con la partecipazione dei Cittadini alla determinazione del programma dei rispettivi Comuni, β) da proseguire con la partecipazione dei Comuni alla programmazione delle rispettive Regioni, γ) per giungere alla partecipazione delle Regioni alla programmazione dello Stato.
In realtà, le sole conquiste della riforma del Titolo V (tanto importanti sul piano della teoria quanto – per i limiti ricordati – inconsistenti sul piano della prassi) sono state: α) il passaggio dalla formula “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni.”, del vecchio art. 114, alla formula quasi speculare “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, del nuovo art. 114, e β) la istituzione del Consiglio delle Autonomie Locali (art. 123 ultimo cpv) con la quale si è introdotto il principio della competenza dei Comuni nella formazione della volontà delle rispettive Regioni ma in una misura assolutamente inconsistente (cioè, con la emissione di pareri assolutamente non-vincolanti). Da queste riforme (con le necessarie conoscenze giuridiche) occorre ripartire.
Contre
«l’historicisation» et «l’actualisation» du droit romain, certains romanistes
ont formulé une thèse «novatrice», définie comme «mendélévienne», avec laquelle
ils ont tenté de surmonter le «blocage» actuel de la doctrine juridique
«d’aujourd’hui». Ce dernier apparaît bloqué entre l’attitude fidéiste envers
l’institution de représentation/substitution de la volonté collective
(aujourd’hui en crise) et la demande croissante d’institutions de
démocratie/participation collective volontaire, à laquelle la doctrine
juridique ne trouve pas de réponses.
Au
XIXe siècle, on a tenté de supprimer la mémoire de l’ancien droit démocratique
romain, tel qu’il était connu jusqu’à la fin du XVIIIe siècle, en le remplaçant
par un droit romain aristocratique/élitiste, objectivement une copie du
précédent médiéval-moderne d’origine anglaise.
Cette
ligne interprétative de succès a déterminé le résultat que même la science
juridique du XXe siècle a “oublié” la science romaine pré-pandet, approuvant un
droit romain différent du droit médiéval-moderne et capable, par conséquent, de
le révoquer en question.
Il
faut s’affranchir de la construction romaine pandettiste et plus généralement
savignyienne (anti-démocratique) et de ses partisans. Il faut donc retrouver la
mémoire de la dialectique pré-XIXe siècle et reprendre son développement
romanistique, à partir des solutions sociétales et participatives
liées/complémentaires des deux “problèmes généraux” essentiels et prioritaires
de la nature unitaire et de la volition du communauté, en particulier de la
communauté ‘le Peuple’.
La
direction que l’on peut indiquer est l’étude: α) du double « corps » de la communauté/Peuple et β) de la double articulation de l’acte volitif collectif.
Contro la “storicizzazione” e la “attualizzazione” del diritto romano, alcuni romanisti hanno formulato una tesi “innovativa”, definita “mendeleeviana”, con la quale si è tentato di ovviare all’odierno “blocco” della dottrina giuridica “odierna”. Quest’ultima appare bloccata tra l’atteggiamento fideistico nei confronti dell’istituto della rappresentanza/sostituzione della volontà collettiva (oggi in crisi) e la crescente domanda di istituti di democrazia/partecipazione volitiva collettiva, per la quale la dottrina giuridica non trova risposte.
Nell’Ottocento si è tentato di cancellare la memoria dell’antico diritto romano democratico, così come conosciuto fino alla fine del Settecento, sostituendolo con un diritto romano aristocratico/elitario, oggettivamente copia e precedente del diritto medievale-moderno di riconosciuta matrice inglese.
Tale linea interpretativa di successo ha determinato il risultato che anche la scienza giuridica del Novecento ha “dimenticato” la scienza romanistica pre-pandettistica, sostenitrice di un diritto romano diverso da quello medievale-moderno e capace, quindi, di revocarlo in discussione.
La direzione che si può indicare è lo studio: α) del duplice “corpo” della collettività/Popolo e β) della duplice articolazione dell’atto volitivo collettivo.
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P.P. ONIDA, “Specificità della causa del contratto di societas e aspetti essenziali della sua rilevanza esterna”, in Diritto@Storia 10, 2011-2012 (https://www.dirittoestoria.it/10/contributi/Onida-Specificita-causa-contratto-societas-rilevanza-esterna.htm);
P.P. ONIDA, “Fraternitas e societas: i termini di un connubio”, in Diritto@Storia 6, 2007 (https://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Onida-Fraternitas-e-societas.htm);
P.P. ONIDA, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”: appunti romanistici sulla “rappresentanza”, Napoli 2018;
P.P. ONIDA, Societas: causa e corpo, Bari 2021;
R. ORESTANO, Il problema delle fondazioni in diritto romano, Torino 1959;
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R. ORESTANO, Il problema delle persone giuridiche nel diritto romano, Torino 1968;
R. ORESTANO, “Edificazione e conoscenza del giuridico in Savigny. Tre motivi di riflessione”, in Seminario internazionale su Federico Carlo di Savigny, Firenze, Palazzo dei Congressi, 27-28 ottobre 1980 (= Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 9, 1980);
R. ORESTANO, “Idea di progresso, esperienza giuridica romana e ‘paleoromanistica’”, in Sociologia del diritto, 1983;
R. ORESTANO, Edificazione del giuridico, Bologna 1989;
J.-J.
ROUSSEAU, Discours sur l’économie politique, 1755;
J.-J.
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hommes, 1755;
J.-J.
ROUSSEAU, Du contrat social, 1762;
J.-J.
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J.-J.
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J.
ROUVIER, “La République romaine et la Démocratie”,
in Varia. Etudes de Droit romain 4, Paris 1961;
F.C.
SAVIGNY, System de heutigen römischen Rechts, Berlin 1840-1849;
G.C. SEAZZU, Iussum e Mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Cagliari 2018;
G.C. SEAZZU, Iussum e mandatum alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. II. Iussum: autorizzazione o comando. Fonti, Cagliari 2020;
A. TRISCIUOGLIO, “Societas publicanorum e aspetti della responsabilità esterna”, in Diritto@Storia 11, 2013 (https://www.dirittoestoria.it/11/memorie/Trisciuoglio-Societas-publicanorum-responsabilita-esterna.htm);
G. TURELLI, “‘Res incorporales’ e beni immateriali: categorie affini, ma non congruenti”, in TSDP - Teoria e storia del diritto privato 5, 2012;
I.
VIPARELLI, “Althusser. La nécessité du «tournant» ontologique”,
in Cahiers du GRM 8, 2015.
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind. Continuano ad essere valutati i fuori ruolo delle Università italiane; mentre per gli studiosi stranieri valutazione solo se richiesta.]
[1] G. LOBRANO, Dell’homo artificialis - deus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi, in Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio, a cura di A. Loiodice e M. Vari, Roma 2003, 161 ss.; ID., La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana), in Diritto@Storia 10, 2011-2012 (http://www.dirittoestoria.it/10/D&Innovazione/Lobrano-Persona-giuridica-rappresentanza-societa-formazione-volonta.htm); ID. – P.P. ONIDA, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, in Diritto@Storia 14, 2016 (http://www.dirittoestoria.it/14/contributi/Lobrano-Onida-Rappresentanza-o-e-partecipazione.htm), ripubblicato in lingua spagnola in Roma e America. Diritto romano comune 38, 2017 e in lingua portoghese in Revista de Direito Civil Contemporâneo - RDCC 8, 2021, v. 26; ID., Appunti per la lettura delle fonti. L’esempio – da discutere – della attribuzione della “rappresentanza” al Diritto romano, in Ius Romanum 2, 2018 (https://iusromanum.eu/documents/985691/5214385/IusR_2018_2_Humanitas_Entire_PDF.pdf/94974140-f6e5-4a24-95b4-08b83c0a707b); P.P. ONIDA, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”: appunti romanistici sulla “rappresentanza”, Napoli 2018; ID., Societas: causa e corpo, Bari 2021, II p. § 1. La societas tra impresa collettiva e persona giuridica.
[2] L’aggettivo è ripreso dal lessico del suo massimo autore: F. C. VON SAVIGNY, System de heutigen römischen Rechts, Berlin 1840-1849.
[3] Sul significato di “sostituzione” della rappresentanza della volontà, vedi P. D’AMICO, v. Rappresentanza. Diritto civile, in Enciclopedia Giuridica Treccani 25, 1991.
[4] La bibliografia sulla “crisi della rappresentanza” è ormai molto vasta, se ne può vedere un ampio saggio nel numero speciale (1, 2017) di Federalismi. Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, ad essa dedicato: AA.VV., Democrazia diretta vs Democrazia rappresentativa. Profili problematici nel costituzionalismo contemporaneo (https://www.federalismi.it/focus/index_focus.cfm?FOCUS_ID=75).
Resta tuttavia particolarmente centrata la osservazione di J. LENOBLE - M. MAESSCHALCK, L’action des normes. Éléments pour une théorie de la gouvernance, Sherbrooke 2009, in part. “Introduction. Démocratie, droit et gouvernance”, i quali affermano il “blocage” della dottrina giuridica contemporanea per la «irrisolta tensione tra: α) una “fede religiosa nell’istituto della rappresentanza” («croyance représentative») la quale, però, è in crisi di risultati e di fiducia, e β) una forte “domanda di partecipazione” («revendications, exigences participatives») la quale, però, non si sa (più) come soddisfare perché neppure si sa (più) cosa essa sia: “partecipazione termine vago, scatola nera, in difetto di costruzione teorica” (“participation terme vague [...] boîte noire [... en] défaut de construction théorique”)», così nella sintesi di G. LOBRANO, Due essenziali e prioritari «problemi generali del Diritto attraverso il Diritto romano», contributo ancora inedito tenuto al Seminario “Agire per altri e per mezzo di altri” dell’11 maggio 2022 tra la Facoltà giuridica di Sarajevo est e il Dipartimento di Giurisprudenza di Sassari; cfr. ID., Dottrine della ‘inesistenza’ della costituzione e “modello” del diritto pubblico romano, in Tradizione romanistica e Costituzione 1, diretto da L. Labruna, a cura di M.P. Baccari e C. Cascione (Collana: «Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana») Napoli 2006, 321-363 (pubblicato anche ‘on-line’ in Diritto@Storia 5, 2006 [https://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Lobrano-Inesistenza-costituzione-modello-diritto-pubblico-romano.htm] § 2. “Dottrine della inesistenza della costituzione”, ivi menzione della dottrina della inconsistenza concettuale dell’istituto della rappresentanza/sostituzione della volontà).
Inverte i termini della questione M. LUCIANI, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, a cura di N. Zanon e F. Biondi, Milano 2001; cfr. ID., Democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, in AA.VV., Esposito, Crisafulli, Paladin. Tre costituzionalisti nella cattedra padovana, Convegno Padova 19-20-21 giugno 2003, atti ‘on-line’ in AIC - Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Atti di Convegni (https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/old_sites/sito_AIC_2003-2010/materiali/convegni/20030619_padova/luciani.html).
[5] Esemplari i saggi di Pierangelo Catalano (Tribunato e resistenza, Torino 1971 e Populus Romanus Quirites, Torino 1974) con i quali l’Autore rimette in discussione i retaggi romanistici ottocenteschi della “dimenticanza” del potere tribunizio e della interpretazione “statuale/astratta” del populus romanus.
[6] G.C. SEAZZU, Iussum e Mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Cagliari 2018; ID., Iussum e mandatum alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. II. Iussum: autorizzazione o comando. Fonti, Cagliari 2020.
Sulla Pandettistica, la sua continuità con la “Scuola storica” e la loro funzionalità alle esigenze della “borghesia produttiva” e al “formarsi del capitalismo”, vedi G. PUGLIESE, I pandettisti fra tradizione romanistica e moderna scienza del diritto, in RISG - Rivista italiana di scienze giuridiche 17, 1973, 89-132 (in part. 94 e 124).
[7] Nel novecento (a conclusione di un dibattito svoltosi durante la prima metà di quel secolo, in particolare tra romanisti italiani) si è affermata ed è divenuta (come vedremo: disastrosamente) dominante la tesi che il diritto romano, per essere studiato correttamente, deve essere studiato esclusivamente nel suo contesto storico: senza riferimenti al presente.
Chi ha studiato tale tesi (M. BRUTTI, Costruzione giuridica e storiografia. Il diritto romano, in RISG - Rivista italiana per le scienze giuridiche 6, 2015, 55-126 [in part. 124 ss.]) «ha descritto il dibattito svoltosi durante la prima metà di quel secolo, in particolare tra romanisti italiani, come tra sostenitori della “attualizzazione” e sostenitori della “storicizzazione” del diritto romano e ha concluso che la sua “attualizzazione” (ossia la ricerca della sua continuità con le istituzioni giuridiche presenti) appare universalmente “irrealistica già negli anni 60” a favore della sua “integrale storicizzazione”, la quale “mette a nudo senza infingimenti la distanza tra il presente e il passato”» (così sintetizza G. LOBRANO, Due essenziali e prioritari «problemi generali del Diritto attraverso il diritto romano» [Comunicazione presentata allo Convegno annuale della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Sarajevo Est il 30 ottobre del 2021]).
[8] Nella relazione di apertura del XX
Congreso Latinoamericano de Derecho romano (Sassari, 21-22 e Roma, 24-25
settembre 2018) il romanista della UNAM di Città del Messico, Jorge Adame
Goddard, ha puntualmente osservato la coincidenza di tre autori (Max Kaser, Álvaro d’Ors, Franz Wieacker) sulla tesi che il diritto romano «no
fue organizado como un sistema conceptual dialéctico, o sistema “cerrado”, sino
como un conjunto de conocimientos, o un saber, para decidir lo que es “ecuo y
bueno”, o lo que es justo, en casos concretos» (J. ADAME GODDARD, El derecho
es arte y ciencia, ove sono esaminati Á. D’ORS, Roma ante Grecia: educación helenística y
jurisprudencia romana, in Cuadernos de la Fundación Pastor 2,
1961, 83 ss., ID., Singularidad
intelectual del jurista y ‘cosmos casuístico’ en el estudio actual del Derecho
Romano, in ID., Parerga Histórica, Pamplona
1997, 85 ss.; M.
KASER, En torno al método de los juristas romanos, Valladolid 1964; F. WIEACKER, Fundamentos de la formación del
sistema en la jurisprudencia Romana, in Seminarios Complutenses de
Derecho Romano 3, 1991, 11 ss.).
Ricordiamo nella stessa linea dottrinale M.J. GARCÍA GARRIDO, Casuismo y Jurisprudencia romana, Madrid 1973 e L. VACCA, Contributo allo studio del metodo casistico nel diritto romano, Milano 1976.
[9] G. LOBRANO, Libertas, qui in legibus consistit (Cic. agr. 2.100). Pour se libérer de l’«Heutiges Römisches Recht», in Hommages à Marie-Luce Pavia. L’homme méditerranéen face à son destin, sous la direction de J. Bouineau, textes réunis par B. Kasparian, Paris 2016, 256-304; ripubblicato in lingua italiana, con integrazioni e con il titolo La libertas che in legibus Consistit, in Diritto@Storia 15, 2017 (pubbl. 2018) (https://www.dirittoestoria.it/15/tradizione/Lobrano-Libertas-in-legibus-consistit.htm).
[10] Seguendo e sviluppando la indicazione fornita per primo da Catalano (cfr., supra, nt. 1 e, ID., Un concepto olvidado. «Poder negativo», in Revista General de Legislación y Jurisprudencia (segunda época) 80.3, 1980, 233 e in AA.VV., Costituzionalismo latino 1, [= Progetto Italia-America Latina. Ricerche giuridiche e politiche, Materiali, IX/1], Sassari s.d., 40 ss.).
[11] Il principio della democrazia. Jean-Jacques Rousseau, Du Contrat social (1762). Nel 300° della nascita di Jean-Jacques Rousseau e nel 250° della pubblicazione del Contrat social, in Atti del seminario di Studi, Sassari, 20-21 settembre 2010, a cura di G. Lobrano e P.P. Onida, Napoli 2012.
Esemplare del rigetto della interpretazione
rousseauiana del diritto romano perché
difforme da quella ottocentesca: J.
COUSIN, Jean-Jacques Rousseau interprète et juge des institutions romaines
dans le Contrat social, in AA.VV., Études sur le Contrat social
de Jean-Jacques Rousseau, actes des journées d’étude tenues à Dijon les 3,
4, 5, et 6 mai 1962, Paris 1964, 13-34.
[12] CH.-L. MONTESQUIEU, Considerations sur les
causes de la grandeur des Roamins et de leur dècadence (1734), XV: «Les Romains
accoutumés à se jouer de la nature humaine, dans la personne de leurs enfants
& de leurs esclaves, ne pouvoient guère con noître cette vertu que nous
appellons humanité»; ID., De l’esprit des lois (1748), XI, 6: «la
puissance des tribuns de Rome étoit vicieuse ...».
J.-J. ROUSSEAU, Discours sur l’origine
et les fondemens de l’inegalité parmi les hommes (1755), “Dedicace”: «Le
peuple romain [...] ce modèle de tous les peuples libres»; nt. xix: «Il n’y a
que des moeurs aussi pures que celles des anciens Romains qui puissent
supporter des censeurs»; ID., Discours sur l’économie politique (1755):
«les Romains se distinguerent au-dessus de tous les peuples de la terre par les
égards du gouvernement pour les particuliers, et par son attention scrupuleuse à
respecter les droits inviolables de l’état»; ID., Lettres écrites de la
montagne (1764), Lettre VI: «j’examine, par voie de comparaison avec
le meilleur gouvernement qui ait existé, savoir celui de Rome, la police la
plus favorable à la bonne constitution de l’état»; ID., Contrat social,
1, 4 (nota della edizione del 1782): «moi je cite des lois, des usages. Les
Romains sont ceux qui ont le moins souvent trasgressé leurs lois; et il sont
les seuls qui en aient eu d’aussi belles».
[13] Da parte del nuovo pensiero, denominato “socialista” ma in assenza di ogni nesso con lo straordinario istituto giuridico della società (su cui: P.P. ONIDA, La causa della societas fra diritto romano e diritto europeo, Relazione presentata al IV Convegno internazionale del diritto romano “Diritto romano pubblico e privato: l’esperienza plurisecolare dello sviluppo del diritto europeo, 24 giugno-1 luglio Mosca-Ivanovo-Suzdal, in Diritto@Storia 5, 2006 (http://www.dirittoestoria.it/5/Diritto-romano-pubblico-e-privato.htm); ID., Fraternitas e societas: i termini di un connubio, in Diritto@Storia 6, 2007 (https://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Onida-Fraternitas-e-societas.htm); ID., Specificità della causa del contratto di societas e aspetti essenziali della sua rilevanza esterna, in Diritto@Storia 10, 2011-2012 (https://www.dirittoestoria.it/10/contributi/Onida-Specificita-causa-contratto-societas-rilevanza-esterna.htm); ID., Societas: causa e corpo, cit.; G. LOBRANO, Società. Parte giuridica. Concetti e principi, in Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica 11, Napoli 2017.
[14] Sull’abbandono del terreno giuridico da parte del pensiero “socialista” ottocentesco, vedi N. BOBBIO, Quale socialismo?, Torino 1976, che «lamentava la mancanza nel pensiero marxiano di una teoria dello Stato e della democrazia socialista, e certo non bastavano a colmare tale lacuna le poche righe che Marx dedicava all’esperienza della Comune di Parigi in uno dei suoi scritti politici della maturità» (come ricorda G. DI DONATO, La democrazia come questione centrale nel pensiero di Karl Marx, in Alternative per il socialismo 45, 2017; cfr. A. MAYO, Marx, critico della democrazia, in Assalto al cielo, 27 febbraio 2020 [https://www.assaltoalcielo.it/2020/02/27/marx-critico-della-democrazia/]).
[15] Il Sistema di Friedrich Carl von Savigny è del 1840-49, la riduzione del diritto a “sovra-struttura” (“Überbau”) è teorizzata da C. MARX, Critica dell’economia politica, Berlin 1859 (Il Capitale è del 1867). Scrive Marx: «Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolare relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale […] I cambiamenti nella base economica portano prima o dopo alla trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura. Nello studio di tali trasformazioni è sempre necessario distinguere tra la trasformazione materiale delle condizioni economiche di produzione, che può essere determinata con la precisione propria delle scienze naturali, e le forme legali, politiche, religiose, artistiche o filosofiche – in una parola: ideologiche – in cui l’uomo diviene conscio di questo conflitto e lo combatte» (“Prefazione” a Per la critica dell’economia politica, su cui: M. GUILLAUME, Requiem pour la superstructure, in Dialectiques 15-16, Paris 1976, 99 ss.; ma anche C. HARMAN, Basis und Überbau, in International Socialism 2.32, London 1986; L. ALTHUSSER, Le marxisme comme théorie «finie», in ID., Solitude de Machiavel, Paris 1998, 286 e ID., Marx dans ses limites, in ID., Écrits philosophiques et politiques 1, Paris 1994, 409; cfr. I. VIPARELLI, Althusser. La nécessité du «tournant» ontologique, in Cahiers du GRM 8, 2015).
Si deve qui ricordare in rispettoso dissenso il noto saggio di G. DELLA VOLPE, Rousseau e Marx, Roma 1957, con il quale il filosofo italiano (ma non giurista) ritiene doversi interpretare la dottrina di Rousseau alla luce della dottrina di Marx.
[16] Esemplare il tema della libertà, dalla lezione di Benjamin Constant nel 1818 all’Athénée Royal di Parigi, su La libertà degli antichi comparata a quella dei moderni, alla lezione di Isahia Berlin alla Università di Oxford nel 1958, sui Due concetti di libertà.
[17] Su continuità e innovazione repubblicana romana rispetto alla esperienza democratica greca, vedi G. LOBRANO, Res publica. Sui libri 21-45 di Tito Livio, in Roma e America. Diritto romano comune 36, 2015, 37-78 (trad. it. della introduzione, in lingua cinese a cura di G. Lobrano, Tito Livio. Ab urbe condita. Antologia [in lingua cinese] Pechino 2015, 1-42).
[18] Per una
raccolta delle fonti (seppure con una loro lettura conservativa) vedi,
recentemente, A. GROTEN, Corpus und universitas. Römisches Körperschafts- und Gesellschftsrecht: zwischen
griechischer Philosophie und römischer Politik, Tübingen 2015.
[19] Nella traduzione italiana del Digesto, a cura di Sandro Schipani, la espressione “res publica” è tradotta con “comunità pubblica” (http://dbtvm1.ilc.cnr.it/digesto/).
[20] Per la interpretazione di questo testo gaiano, ricordo i saggi relativamente recenti (entrambi del 2012) di G. FALCONE, Osservazioni su Gai 2.14 e le res incorporales, in AUPA - Annali del Seminario giuridico della Università di Palermo 55, 2012, 125-170, e di G. TURELLI, ‘Res incorporales’ e beni immateriali: categorie affini, ma non congruenti, in TSDP - Teoria e storia del diritto privato 5, 2012. Ivi riferimenti alla molta dottrina precedente e alle fonti giuridiche e letterarie sul medesimo tema.
[21] P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, cit., passim e, in particolare, Cap. I. § IV.A «‘Magistrat’ e ‘Volk’ nel pensiero del Mommsen, e gli sviluppi della visione dello “Stato astratto”» e “Considerazioni conclusive” § A «Populus. Dalla concretezza delle lotte all’astrazione imperiale».
[22] C. 5.59.5: quod omnes similiter tanqit ab omnibus comprobetur; cfr. D. 39.3.8 (Ulpianus libro 53 ad edictum) e, nel diritto processuale, D. 3.3.31.1 (Ulpianus libro nono ad edictum); D. 3.5.30.7 (Papinianus libro secundo responsorum); C. 3.40.
[23] È sopra tutti Orestano, ad attribuire ai giuristi romani «il lento e faticoso processo di astrazione e di unificazione che porta all’idea di una personalità corporativa» (R. ORESTANO, Il problema delle fondazioni in diritto romano, Torino 1959, 166; cfr. ID., Rappresentanza. Diritto romano, in Novissimo Digesto Italiano 14, Torino 1967, p. 796 dove scrive della: «progressiva attuazione [sempre nel Diritto romano] del principio della rappresentanza diretta»; ID., Il problema delle persone giuridiche nel diritto romano, 1, Torino 1968, 174 ss., dove scrive della: «progressiva smaterializzazione» del “corpus” operata dai giuristi romani; ID., Edificazione e conoscenza del giuridico in Savigny. Tre motivi di riflessione, in Seminario internazionale su Federico Carlo di Savigny, Firenze, Palazzo dei Congressi, 27-28 ottobre 1980 (= Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 9, 1980), Su Federico Carlo di Savigny, 21-68 (il titolo dell’intervento annunziato al Seminario era “Sullo storicismo di Savigny: tre motivi di riflessione”); ID., Idea di progresso, esperienza giuridica romana e ‘paleoromanistica’, in Sociologia del diritto, 1983, e Alle origini della sociologia del diritto, a cura di R. Treves, Milano 1983; Id., Edificazione del giuridico, Bologna 1989.
Su una linea omologa, vedi già E. ALBERTARIO, Corpus e universitas nella designazione della persona giuridica, in Studi di diritto romano 1, Milano 1933, 9 ss.; E. BETTI, Diritto romano, 1, Padova 1935, 74; e più di recente F. GALGANO, Trattato di diritto civile, 1, Padova 2010, 183 e nt. 20.
[24] J.-J. ROUSSEAU, Du contrat social, 1762, livre
III, “Où il est traité des Loix politiques, cʼest-à-dire, de la forme du Gouvernement”,
chap. XV, “Des Députés ou Représentans”.
[25] CH.-L. MONTESQUIEU, De l’esprit des lois (1748),
IX, “Des lois dans le rapport qu’elles ont avec la force défensive”, chap. I,
“Comment les républiques pourvoient à leur sûreté”.
[26] P. CATALANO,
Tribunato e resistenza, cit., 59 e nt. 1: «Il pensiero del Rousseau dipende da quello
dell’Althusius».
[27] Althusius scrive che: «i diritti di sovranità […] spettano <non al re ma> alla molteplicità consociata, e al popolo delle singole province» (La politica. Elaborata organicamente con metodo, e illustrata con esempi sacri e profani [1614], trad. it. a cura di C. Malandrino, Torino 2009, 37 s.; cfr. G. LOBRANO, Due essenziali e prioritari «problemi generali del Diritto attraverso il diritto romano», cit., nt. 5).
[28] Non menziono qui la nozione montesquieuiana di “federazione” perché (a differenza della “consociatio” althusiana e della “confederazione” rousseauiana) non è riferita né alla sovranità popolare né alle città.
[29] Per la cui descrizione rinvio a M.H. HANSEN, The Athenian Democracy in the Age of Demosthenes. Structures, Principles and Ideology, Bristol 1991 (trad. it. a cura di A. Maffi, Milano 2003); vedi anche il più recente G. CAMASSA, Clistene e la democrazia ateniese (518-411 a.C.), in L’indagine e la rima. Scritti per Lorenzo Braccesi, a cura di F. Raviolo, M. Bassani, A. Debiasi, E. Pastorio, Roma 2013, 317-328.
Per un confronto tra la “scoperta politica greca della democrazia” e la “invenzione giuridica romana della repubblica”, vedi G. LOBRANO, Res publica. Sui libri 21-45 di Tito Livio, cit.
[30] G.C. SEAZZU, Iussum e Mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Cagliari 2018; ID., Iussum e mandatum alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. II. Iussum: autorizzazione o comando. Fonti, Cagliari 2020.
[31] G. LOBRANO, Per ri-pensare giuridicamente le «città»
e, quindi, l’«impero»: I «concili provinciali» (Comunicazione al XXXVII Seminario internazionale di
studi storici “Da Roma alla terza Roma - Le Città dell’Impero da Roma a
Costantinopoli a Mosca. Fondazione e organizzazione. Capitale e province”,
Campidoglio, 21-22 aprile 2017 e, quindi, al seminario “Universalità del diritto romano”, Università di Niš - Facoltà di Giurisprudenza, Niš,
12-14 Ottobre 2017), in Ius Romanum 2,
2017, 15 ss.
(https://iusromanum.eu/documents/985691/5214385/IusR_2018_2_Humanitas_Entire_PDF.pdf/94974140-f6e5-4a24-95b4-08b83c0a707b). Cfr. F. GUIZOT, Histoire générale de la civilisation en
Europe depuis la chute de l’empire romain jusqu’à la Révolution française,
2e leçon, 1828, 13: «Ce qu’on appelait alors des peuples n’était que des
confédérations de villes. Le peuple latin est une confédération des villes
latines. Les Étrusques, les Samnites, les Sabins, les peuples de la grande
Grèce, sont tous dans le même état».
[32] J. ROUVIER, La République romaine et la Démocratie, in Varia. Etudes de Droit romain 4, Paris 1961, 160-164, osserva la mancanza, presso i Greci, della nozione romana di ‘magistrato’.
J.-J. CHEVALLIER, Histoire de la pensée
politique, I. De la Cité-État à l’apogée de l’État-nation monarchique,
Paris 1983, 129, scrive: «Ce qui frappe dans ces définitions (que Cicéron
attribue à Scipion Émilien) c’est l’insistance sur le lien de droit, vinculum
juris, dont procéderait essentiellement la société politique. La tournure
foncièrement juridique de l’esprit romain, s’y décèle, greffée sur une
philosophie générale d’inspiration grecque. Au lieu d’une collection d’hommes
simplement unis politiquement par des buts communs et des idéaux communs, on a
le populus, un ensemble humain soudé par un lien de droit en un
véritable corps, doté de l’autorité juridique souveraine. Et ceci qu’il
s’agisse d’une monarchie, d’une aristocratie ou oligarchie comme d’une
démocratie: autant de formes différentes de gouvernement, d’organisation du
pouvoir, mais toujours même souveraineté, celle du peuple (“toute
trois sont des variétés de res publica, et une res publica est
une res populi”)».
Su entrambi questi autori, vedi G. LOBRANO, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1994-1996, rispettivamente: 123 nt. 34 e 119 nt. 20.
[33] E.H. KANTOROWICZ, The King’s Two Bodies. A study in Medieval political Theology, Princeton (N.J) 1957, trad. it. di G. Rizzoni, I due corpi del Re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale, Torino 1989.
[34] M. LUCIANI, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giurisprudenza costituzionale 2, 2006, 1643-68 (consultabile nel ‘sito web’ de L’Associazione italiana dei Costituzionalisti): «La svolta […] arriva […] con Thomas Hobbes. È solo allora che la specifica dimensione giuridica della statualità è definitivamente posta al centro della speculazione filosofico-politica».
[35] CH. DAREMBERG - E. SAGLIO - E. POTTIER, Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines d’après les textes et les monuments, III.2, 1904. Vedi ora A. TRISCIUOGLIO, Societas publicanorum e aspetti della responsabilità esterna, in Diritto@Storia 11, 2013 (https://www.dirittoestoria.it/11/memorie/Trisciuoglio-Societas-publicanorum-responsabilita-esterna.htm), ivi riferimenti alle fonti e (in part. nt 52) alla dottrina precedente.
[36] Conclusa grazie alle leggi Iulia de civitate Latinis et sociis danda (90 a.C.) e Plautia Papiria di iniziativa tribunizia (89 a.C.)
[37] Festus, De verb. sign. 126, 16; la integrazione posta tra ‘caporali’ è «ex Pauli excerpta, Lindsay, 117».
[38] Del testo di Festo, con le citazioni dei due giuristi romani, è illuminante la esegesi di R. CARDILLI, ‘Autonomia’ e ‘libertas’ delle civitates peregrinae e dei municipia nell’imperium populi Romani, in Città e diritto. Studi per la partecipazione civica. Un «Codice» per Curitiba, a cura di D. D’Orsogna e G. Lobrano e P.P. Onida, Napoli 2016, in part. § 4 “La costruzione di Servio Sulpicio filius: la ‘separazione’ dei municipi - ‘res publicae’ come ‘parti’ del ‘populus Romanus’ come ‘tutto’”. Cardilli applica ai municipi la dottrina di P. CATALANO, Populus Romanuus Quirites, cit. (supra), cap. II “Il popolo romano e le sue parti: i cittadini” e delle “Considerazioni conclusive”, § C. “Lotte tra le collettività (partes) e libertà dei plures”.
[39] Legge 25 marzo 1993, n. 81, art. 3.5.
[40] G.C. SEAZZU, Iussum e Mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, cit.; ID., Iussum e mandatum alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis. II. Iussum: autorizzazione o comando. Fonti, cit.