Università degli Studi di Sassari
Nota sul rapporto tra iussum procura e mandatum.
Da Christian Friedrich von Glück a Botho von Salpius, Vincenzo Arangio-Ruiz e una recente ‘rivisitazione’
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Tesi ‘pandettistica’: dalla proto-formulazione di Botho von Salpius alla post-formulazione di Vincenzo Arangio-Ruiz. – 3. Tesi pre-pandettistica: la formulazione di Christian Friedrich von Glück. – 4. Rivisitazione recente della tesi pre-pandettistica. – 5. Qualche fonte a sostegno del nuovo orientamento. – 6. Per concludere. – Bibliografia. – Abstract.
“Problema generale del diritto”[1], che ha segnato la storia del diritto medievale e moderno e resta attualissimo[2], è la natura del mandato, che dalla seconda metà del secolo XIX è stato posto nei termini del suo rapporto con la procura[3].
Tale problema ha base romanistica, il cui esame non soltanto aiuta a comprenderne i termini ma anche a cercarne la soluzione, liberi dall’obbligo di adesione alla soluzione dominante.
Dal punto di vista romanistico, è parte del problema (anzi ne è la parte iniziale) il significato di un istituto – per così dire – ‘affine’ al mandato che è lo iussum (cui fa riferimento l’actio quod iussu). Sempre in ambito romanistico, lo iussum, la procura (meglio: il procurator)[4] e il mandatum sono stati oggetto di studi numerosi, tra cui alcuni autorevolissimi, i quali ne hanno ricercato sia la origine e gli sviluppi sia la natura[5].
Qui, si intende fare una breve e schematica riflessione, incentrata sul rapporto tra lo iussum e il mandatum: quali prima moventia di quell’“iter di formazione della volontà”, sulle cui caratteristiche (come vedremo) non c’è (ovvero non c’è più) unanimità di tesi ma che ha, comunque, tre protagonisti: il dominus (che può essere e, anzi, spesso è collettivo), il negoziatore in nome e per conto di questi e il “terzo”[6].
Premettiamo che questa ‘riflessione’ ha, qui, la modesta ampiezza di una semplicità ‘nota’, sollecitata dalla lettura (sul nostro ‘problema’) di un autore non molto citato (Botho von Salpius) e circoscritta al lato privatistico senza, però, dimenticare che esso ha anche il lato pubblicistico, forse persino più importante e certamente determinante. Si pensi, esemplarmente, al rapporto definito nelle fonti sia come iussum (Ateius Capito apud Gellius, Noct. att. 10.20; Gaius, 1.3) sia come mandatum (Tacitus, Ann. 11.24) del popolo con i magistrati, i quali ultimi “amministrano” in nome e per conto di quello[7].
Di questo ‘problema’, la soluzione che possiamo definire ‘assolutamente dominante’ si forma nella seconda metà del secolo XIX, per ‘dominare’ – quindi – tutto il secolo XX nonché gli inizi di questo secolo XXI.
Merita – crediamo – una certa attenzione storiografica e dogmatica il fatto che tale ‘soluzione’ appaia – nella sostanza – già interamente formulata presso un giurista, che può essere considerato ‘minore’, e a proposito di un tema, che può essere considerato ‘di nicchia’.
Il giurista è Botho von Salpius: giudice, non professore universitario, e autore di una unica monografia, Novation und Delegation nach römischem Recht. Ein Civilistischer Versuch, Berlin 1864 [8]. Va, tuttavia, segnalato che i biografi di Salpius ricordano un giudizio molto positivo nei confronti di lui (studente universitario a Berlino) da parte di Friedrich von Savigny: questi lo avrebbe incitato agli studi giuridici, quindi proseguiti a Bonn con un discepolo di Savigny, Moritz August von Bethmann-Hollweg, autore del trattato Der Civilprozess des gemeinen Rechts in geschichtlicher Entwicklung (6 voll., 1864-74) tuttora considerato valido e che illustra gli istituti processuali romani e la loro trasformazione nell’alto Medioevo[9].
La considerazione dell’apporto di Salpius al nostro ‘problema’ comporta il dovere di riesaminare la corrente attribuzione della ‘soluzione assolutamente dominante’ a Bernhard Windscheid e a Paul Laband, sui quali torneremo immediatamente. Anzi, come vedremo, la soluzione di Salpius appare persino più ‘fortunata’. Sembra, inoltre, che neppure Salpius sia stato del tutto innovatore. Egli stesso accenna ad autori che lo avrebbero – seppure parzialmente – preceduto (ad es. Friedrich Kropp [1830] e Franz W.L. von Meyerfeld [1835]) e c’è chi rinvia ad altri precedenti ancora[10]. La verifica di tali ulteriori e interessanti ‘precedenti’ esula, però, dai limiti di questa sintetica riflessione/nota.
Il ‘tema’ studiato da Salpius è la delegazione, considerata specifica forma della novazione a sua volta specifico modo di estinzione delle obbligazioni[11]. Da questa – dunque specifica – specola, Salpius affronta “problemi generali del diritto attraverso il diritto romano”, quali la natura dello iussum e la natura del mandatum, iniziando con l’autonomizzazione (dalla novazione) della delegazione[12], scandita nei suoi tre attori: “Delegant, Delegat, Delegatar”[13].
In questa sede, ci limitiamo a notare alcuni punti ‘di rottura’ dello studio di Salpius rispetto alla a lui precedente “herrschende Lehre”[14]. Secondo questo Autore, la “herrschende Lehre” è errata perché pone la differenza tra iussum (egli scrive, secondo il costume della epoca, “jussus”) e mandato nella appartenenza del destinatario dello iussum alla sfera potestativa dello iubens[15]. Egli propone una nuova ‘Lehre’, totalmente diversa, secondo la quale – innanzi tutto – iussum e mandato sono due istituti profondamente differenti. Secondo Salpius, mentre il mandato è il comando rivolto al mandatario, che lo accetta, creando a quest’ultimo un dovere di adempimento di atti giuridici ma senza trasferirgli il potere necessario ad agire in nome e per conto del mandante, lo iussum, esattamente al contrario, è non un comando ma una “autorizzazione” (“Anweisung”), rivolta non al subalterno ma al terzo, che con questi voglia negoziare, per farne ricadere gli effetti nella sfera giuridica dello iubens[16]. In questo modo, lo iussum (non il mandatum) produce, in capo al filius familias e al servus ma anche al procurator, un “potere di rappresentanza” (“Stellvertretung”) dello iubens[17]. In questa (ri)costruzione, lo iussum è (ancora a differenza del mandatum)[18] non un contratto ma un “atto unilaterale” (“einseitige Willenserklärung”) diretto al terzo.
La nuova ‘Lehre’ di Salpius non appare argomentata in maniera travolgente; appare anzi persino un po’ paradossale la negazione della natura di comando allo iussum e la sua attribuzione al mandatum, con la connessa attribuzione al primo e non al secondo della capacità di legittimare ad obbligare chi li ha posti in essere. Tale ‘Lehre’ sarebbe – forse – restata la curiosa opinione di un giudice se non fosse stata – come, invece, è – rigorosamente funzionale alle dominanti esigenze organizzative della sua e ancora nostra epoca. Questa, subentrando all’“ancien Régime” fondato sulla legittimazione ereditaria del potere, si fonda a sua volta, innovativamente (come è stato scritto nella maniera più chiara da Max Weber) sulla legittimazione “rappresentativa” del medesimo[19]. Nel nuovo contesto di fortissima pressione politica-culturale, il decisivo precedente logico della riflessione di Salpius è la dottrina di Savigny della rappresentanza (“Stellvertretung”) come duplice, simmetrica equazione: del rappresentato all’“incapace” e del rappresentante al “tutore”[20]. Nonostante le riserve espresse da parte rilevante della dottrina odierna[21], è la ‘Lehre’ savignyana dell’“agire per altri”, quella che, inibendo la pensabilità della rappresentanza come esecuzione da parte del rappresentante di ordini del rappresentato (ovvero come “cooperazione”) e postulando invece la sua concezione come trasferimento di potere dal rappresentante al rappresentato (ovvero come “sostituzione”)[22], rende la riflessione di Salpius quasi un atto dovuto[23].
Niente di strano, dunque, se negli anni immediatamente successivi, ritroviamo le tesi di Salpius in materia di volizione del “delegante” (cioè di iussum e mandatum) nei più generali studi di Bernhard Windscheid e Paul Laband.
Nel 1866, la tesi – circa la natura non di comando ma di “autorizzazione” (“Anweisung”) dello iussum (iussus) – il cui destinatario è non il filius/servus ma ogni terzo potenziale contraente – diventa parte del ‘Pandektenrecht’ con Bernhard Windscheid[24], il quale riconosce i “meriti” di Salpius[25].
Contemporaneamente, il giurista positivo Paul Laband porta il fuoco della attenzione su un istituto, la “procura”, non presente nel lessico romano e, quindi, propriamente neppure nel Diritto romano, se non attraverso la figura di chi ne è investito, il procurator[26]. Laband afferma (per il diritto positivo – in particolare commerciale – della propria epoca) la netta alterità tra “procura = trasmissione di potere (“Ermächtigung, Vollmacht”) autorizzante” e “mandato = impartizione di istruzioni (“Auftrag”) vincolanti” e, pertanto, tra mandatario e procuratore[27]. Laband, però, considera la procura un “contratto consensuale” tra chi la conferisce e chi la riceve[28].
L’anno dopo, il pandettista Windscheid scrive (citando Laband) che lo iussum è il nome romano della procura: «Die Vollmacht […] bezeichnen die Römern als iussus»[29]. Ovviamente, secondo Windscheid, lo iussum/procura è, però, rivolto/a al ‘terzo’.
La dottrina ‘assolutamente dominante’ si definisce, così, nelle affermazioni storico-dogmatiche: α) della identità tra iussum e ‘procura’ e β) della loro contrapposizione al mandatum, lasciando come unica questione aperta se lo iussum/procura sia un atto unilaterale (indirizzato al terzo: Salpius e, poi, Windscheid) o un contratto (con il ‘negoziatore’: Laband).
Tale dottrina appare esemplarmente ma non totalmente recepita e insegnata nel corso universitario / monografia di metà Novecento dell’autorevolissimo romanista Vincenzo Arangio-Ruiz, dedicato/a al mandato (Il mandato in diritto romano, 1949). In esso/a, l’Autore mette in fila iussum, procura e mandatum. Dopo aver definito lo iussum come la “autorizzazione” del pater al terzo a trattare con il proprio sottoposto[30], Arangio-Ruiz scrive che «mentre il nome della procura fa convergere l’attenzione sul potere attribuito [il corsivo è nostro] a qualcuno di agire in rappresentanza di un altro […] quello del mandato mette piuttosto in luce il dovere assunto [il corsivo è ancora nostro] dal rappresentante verso il principale» e, premesso apparirgli valida la idea di Laband essere il conferimento della procura un contratto consensuale[31], non esclude «che la si consideri come un atto unilaterale diretto ai terzi per autorizzarli [il corsivo è sempre nostro] a contrarre con il procuratore»[32]. Sarà questa seconda opinione (cioè quella formulata da Salpius) la opinione vincente. Fin qui, Arangio-Ruiz ‘ripete’ la dottrina pandettistica. La complessiva ricostruzione di Arangio-Ruiz è, però, per così dire, più ‘sfumata’ del suo archetipo ottocentesco. Il modo espositivo adottato da Arangio-Ruiz si impone, peraltro, quasi come regola nella romanistica novecentesca, sempre più rivolta [dopo il BGB] a un pubblico più di storici del diritto che di suoi operatori e, quindi, più interessati alla ricostruzione più dei passaggi cronologici che delle nitide strutture dogmatiche[33]. La definizione fornita da Arangio-Ruiz del rapporto tra mandato e procura è, infatti, decisamente meno netta sia della loro alterità, rotondamente affermatane da Laband, sia della identità tra procura e iussum, rotondamente affermata da Windscheid. Anzi, nella formulazione di Arangio-Ruiz, la procura appare (nuovamente?)[34] prossima al mandatum («Il mandato è […] la causa della procura, il rapporto sottostante ad essa, altrimenti detto il rapporto interno di cui la procura è l’esplicazione all’esterno»)[35] e, quindi, elemento più di continuità che di contrapposizione tra i due istituti.
La attenzione per il contributo di Botho von Salpius consente di cogliere la coscienza della portata innovativa (“inaudita”)[36] della dottrina comparsa in Germania nella seconda metà del secolo XIX e il ruolo decisivo giocato in tale comparsa dalla interpretazione dello iussum come trasferimento di potere e del mandatum come comando.
Dalla esposizione di Arangio-Ruiz emerge, invece, l’un po’ ondivago imporsi romanistico della categoria non-romana di procura sulle categorie romane di iussum e mandatum. La procura (staccata dall’istituto del mandato nella interpretazione del giuspositivo Laband ma schiacciata sull’istituto dello iussum nella interpretazione del pandettista Windscheid) assume una ‘certa’ autonomia, riaccostandosi al mandatum nella interpretazione del romanista novecentesco Arangio-Ruiz.
La idea di “rappresentanza” come “potere” (anzi come il potere) in quanto “sostituzione” volitiva del rappresentato, perfezionata già con Laband per il diritto odierno[37] come prodotto della “procura” è così attribuita, con oscillazioni e in definitiva con formulazioni ‘sfumate’, al Diritto romano.
La dottrina (che possiamo, invece, chiamare) ‘pre-pandettistica’ resta espressa, nella sua forma più completa, nel monumentale Commentario delle Pandette di Christian Friedrich von Glück[38].
Ancora non condizionato da Savigny (mi si perdoni la ovvietà) e, quindi, diversamente da come faranno Salpius, Windscheid e Laband, Glück riconduce ancora la differenza tra lo iussum e il mandatum al rapporto di appartenenza o meno tra i loro emittenti e i loro destinatari ad una unica potestas e non li contrappone affatto tra loro. Per quanto concerne lo iussum, Glück scrive: «Senza riguardo al peculio o all’utile impiego il padre è responsabile pel contratto del figlio quando gli abbia dato ordine di conchiudere il negozio in base al quale egli è citato […] L’actio quod iussu presuppone quindi che il paterfamilias abbia dato ordine alla persona soggetta alla sua potestà, al figlio, alla figlia, ovvero, ciò che presso i Romani era ancora più comune, al suo schiavo senza distinzione di sesso, di conchiudere negozio col terzo. L’ordine è qui costituito dalla volontà che il paterfamilias ha dato a conoscere a queste persone soggette alla sua potestà che debbono fare qualcosa. Tale iussus si vuole quindi ben distinguere da un incarico (mandatum), perché il mandato è attribuito a persone non soggette alla nostra potestà. Se del resto l’ordine sia orale o scritto avanti a testimoni (testato) o a quattr’occhi, sia dato in presenza o comunicato in assenza per via di messaggio è cosa indifferente. L’ordine si può riferire anche ad una singola azione ovvero essere dato in generale. Può essere anche tacito se il padre sottoscrive l’obbligazione contratta dal figlio»[39]. Per quanto concerne il mandatum, Glück scrive «I contraenti sono: 1. Quello che dà il mandato di trattare un negozio. Esso è in generale chiamato mandans, talvolta mandator, sebbene con questo nome più specialmente si indichi chi dà mandato di compiere alcun che nell’interesse di un terzo […] Dicesi anche dominus negotii, principale, committente, in base alla distinzione dei negozi affidati: praeponens, exercitor navis, secondoché trattasi di affari del commercio terrestre o marittimo; 2. Quello che assume la trattazione dell’affare. Questi è chiamato mandatarius ed anche procurator; pure questo ultimo nome si applica di preferenza a chi ha assunto mandato di trattare affari giudiziari come già fu notato nel titolo de procuratoribus. Speciali mandatari sono l’institor ed il magister navis […]»[40].
Dunque, nella dottrina ‘pre-pandettistica’ espressa da Glück, lo iussum è l’indefettibile ordine e al contempo la legittimazione a negoziare in proprio nome e conto, diretto dal titolare di potestas a persona posta in essa, e il mandatum è un contratto consensuale (intercorrente – quindi – tra persone invece non poste nella medesima potestas) con il quale il mandatario si obbliga ma è anche legittimato a negoziare in nome e per conto del mandante. Iussum e mandatum coincidono, cioè, nella natura di strumenti a disposizione del dominus negotii per negoziare con un terzo tramite ‘intermediari’[41]; differenziandosi tra loro soltanto in ciò che è reso necessario dalla differenza di rapporto potestativo intercorrente tra il dominus e gli intermediari[42]. Sempre nella ricostruzione di Glück, appare – infine – evidente che la attività negoziale, svolta con il terzo in nome e per conto di un dominus negotii altro dal negoziatore (sia o meno questo nella potestà di quel dominus), è sempre esecuzione: obbediente ai comandi impartiti con lo iussum ovvero obbligata dalle indicazioni contrattuali date con il mandatum. Appare anche evidente che comandi impartiti o indicazioni date dal dominus possono essere più o meno puntuali ma devono comunque lasciare il margine di discrezionalità necessario perché l’intermediario assuma il ruolo non di nuncius ma di negoziatore con il terzo.
Come abbiamo notato nel paragrafo ad essi dedicato, negli scritti di Salpius, Windscheid e Laband, la differenza tra iussum e mandatum è, invece, profonda e tale da produrre effetti altrettanto profondamente differenti. Nella dottrina di questi Autori, infatti, è lo iussum (in quanto non comando ma trasferimento di potere) e non il mandatum (in quanto, invece, comando seppure contrattuale)[43] la fonte della rappresentanza-Herrschaft[44]. Tale posizione è quella definita come oramai “preponderante” dallo stesso traduttore di Glück, Pietro Bonfante, il quale sente oramai la esigenza di prenderne – per così dire – ‘le distanze’ (p. 213, nt. b): «Gravemente disputata è l’essenza ed il significato del iussus da cui dipende la struttura dell’istituto. Vi ha un’opposizione fondamentale di concetti: secondo gli uni, come ritiene il nostro autore [Glück], il iussus significa precisamente un comando, secondo gli altri una dichiarazione ad obbligarsi, un assentimento preventivo al negozio, che al nostro campo si riduce ad un conferimento di potere e si può esprimere come un’attribuzione della facoltà di rappresentare [i corsivi sono nostri]. I primi ritengono pertanto che il comando debba essere diretto alla persona sottoposta, al servus o filiusfamilias, gli altri che l’adesione volontaria al negozio, l’autorizzazione data al filiusfamilias e al servo debba essere comunicato al terzo contraente. La differenza concettuale genera quindi una profonda diversità nell’ordinamento positivo dell’istituto e nella pratica. La controversia è antica. Per lo innanzi poteva ritenersi preponderante la prima opinione, la seconda è certo preponderante ai nostri giorni».
Noi, seguendo studi recenti[45], crediamo necessario recuperare (sia pure rivisitandola profondamente come in tali studi è fatto) precisamente la “non [o non più] preponderante” dottrina pre- e, quindi, anti-pandettistica[46] della omogeneità tra iussum e mandatum.
Secondo tali ‘studi recenti’, le differenze tra questi istituti sono – per così dire – estrinseche, cioè prodotte dalla differenza di contesti nei quali ciascuno di essi si definisce funzionalmente. Entrambi sono volti al medesimo fine: consentire allo iubens o al mandante di negoziare con un terzo “per mezzo di” un intermediario. Entrambi sono ‘comandi’, i quali comportano – sempre con una certa discrezionalità – il “dovere” alla esecuzione anche se lo iussum è espressione di un rigoroso ius civile e il mandatum è (in quanto “contratto consensuale”) espressione dello ius gentium. La differenza tra i due atti resta nelle loro differenti collocazioni: dello iussum nell’ambito dei rapporti intra-potestativi tra pater/dominus e filius/servus e del mandatum nell’ambito dei rapporti inter-potestativi, con la mediazione storica-dogmatica dei rapporti di patronato o amicitia[47].
La procura, assente dal lessico romano[48] ma centrale nella dottrina dominante, appare – nella linea che noi seguiamo – elemento minore, intermedio e (adoperando una espressione della genetica) recessivo. La procura sorge, infatti, come estensione dello iussum e finisce per sciogliersi nel mandatum: dal “libertus procurator”[49] al “verus procurator”[50]. Ciò risalta i due elementi-capi della ‘linea’: lo iussum e il mandatum. L’aspetto comune ai due istituti è che entrambi sono comandi, nei quali si esprime il primo atto di un iter volitivo diretto a concludersi nel perfezionamento del negozio con un terzo. Di questo complesso negozio, i cui effetti ricadono nella ‘sfera’ potestativa/giuridica[51] dello iubens o mandante, la cui prima ‘metà’ è, dunque, a sua volta, articolata in due atti o due semi-atti[52]: lo iussum oppure il mandatum e la sua esecuzione (con margine di discrezionalità).
Dal punto di vista della efficacia, la differenza tra lo iussum e il mandatum si manifesta nel fatto che il comando espresso con lo iussum (negoziare in nome e per conto dello iubens) può essere eseguito proprio in quanto diretto a persona nella potestas [= nello ius] dello iubens mentre il comando espresso con il mandatum (negoziare in nome e per conto del mandante) in quanto diretto a persona non in quella potestas/ius, per poter essere eseguito deve essere integrato dal trasferimento della (quota di) potestas/ius necessaria a consentire al mandatario di operare nella sfera potestativa/giuridica del mandante. Il mandante conferisce, infatti, al mandatario un incarico fatto di un comando (posto in essere contrattualmente) e della trasmissione del potere (il “manum dare”) necessario per eseguirlo[53].
Il potenziale/futuro mandatario può accettare o meno tale incarico[54] ma accettarlo significa porsi, sia pure parzialmente e funzionalmente, nella manus del mandante. In altri termini, la conseguenza per il mandatario è l’entrare, limitatamente al negozio da compiere, nel potere del mandante così come – quodam modo – il filius e il servus sono generalmente e strutturalmente nel potere del pater e del dominus[55]. Il senso di tale operazione si intende se si vede – come crediamo debba farsi – l’essere o l’entrare all’interno di una potestà in una accezione non negativa, bensì positiva perché soltanto all’interno di una potestas si ‘esiste’ giuridicamente e si può compiere attività giuridica (nella fattispecie la negoziazione con terzi). La prima e determinante potestas è su sé stessi[56].
Secondo questi ‘studi’, sia con lo iussum sia con il mandatum, ci troviamo di fronte ad un iter di formazione della volontà negoziale, caratterizzato: non da una “sostituzione” volitiva del dominus ad opera della persona nella di lui potestas o del suo mandatario ma da una “articolazione”[57] volitiva, che, al comando generale del dominus al proprio filius/servus o al proprio mandatario di negoziare con il terzo, allinea – integrandolo – la sua esecuzione (con un necessario margine di discrezionalità) da parte del filius/servus o del mandatario, così complessivamente disegnando (e questo ne è il punto saliente, specialmente ma non soltanto dal punto di vista del diritto pubblico) una partecipazione sia dello iubens sia del mandante (soggetti capaci di volizione!) alla formazione della volontà la quale “per mezzo” del filius/servus o del mandatario, dovrà incontrarsi negozialmente con la volontà del terzo.
La vicenda scientifica contemporanea, del rovesciamento interpretativo intercorso tra pre-pandettisti e pandettisti, sembra dimostrare la possibilità di leggere le fonti (nel caso, antiche) come desiderato dal lettore ‘di turno’: in modi tra loro anche antitetici[59]. Così (se non siamo [come non siamo] certi del procedere sempre “magnifico e progressivo” anche del pensiero scientifico) può apparire insuperabile il dubbio su quale sia la lettura autentica, pur credendo nella sua esistenza. Tuttavia, una volta individuato il desideratum da cui scaturisce la lettura ‘rappresentativa’ (cioè “sostitutiva” della volontà dei rappresentati) delle fonti, oggi dominante[60], e avendo presente la opposta domanda attuale di una strumentazione volitiva, invece ‘democratica’ (cioè “cooperativa” = partecipativa + esecutiva)[61], vale la pena cercare le fonti che possono offrirci tale strumentazione.
Nei limiti di una “nota”, quale è – ripeto – il presente scritto, mi limito qui a due citazioni, che mi paiono rispondere a questa esigenza. Una è la citazione di un gruppo di fonti non tecniche; la seconda è, invece, la citazione di una fonte unica assolutamente tecnica e ben nota ma sostanzialmente disattesa.
Come prima citazione mi riferisco a quel ‘gruppo’ di fonti su cui la attenzione è stata richiamata recentemente da una studiosa italiana e che attestano «l’uso sinonimico dei lemmi iussum-mandatum»[62]. L’autrice scrive che gli esempi di tale uso “potrebbero moltiplicarsi” e ne menziona tre, presi da altrettante commedie plautine: Curculio, Mercator ed Epidicus:
Curc. 3.1.411-413: [Curc.]
Mandatumst mihi, ut has tabellas ad eum ferrem. [Lyco] Quis tu homo es? [Curc.]
Libertus illius, quem omnes summanum vocant; 420-422: [Curc.] Multam me tibi / salutem
iussit Therapontigonus dicere, / et ha tabella dare me iussit; 425-426: [Curc.]
Quod istic scriptum est, id te orare iusserat / profecto ut faceres, suas si
velles gratiam; 549-550: [Lyco] Quod mandasti feci, tui honoris gratia, / tuom
qui signum ad me attulisset, nuntium ne spernerem.
Merc. 2.3.424-427: [Char.] Dum quidem hercle ne minoris vendas quam ego
emi pater. / [Dem.] Tace modo: senex est quidem, qui illam mandavit mihi / ut
emerem <aut> ad istanc faciem; 429: Viginti minis opinor posse me illam
vendere; 434-435: Eccillum video; iuvet quinque me addere etiam nunc minas.
Ep. 1.1.46-48: [Ep.] Nam certo prius hinc ad legionem abiit domo / ipse mandavit mihi ab lenone ut fidicina / quam amabat emeretur sibi; id ei impetratum reddidi; 90: fidicinam emit, quam ipse amat, quam abiens mandavit mihi. 2.3.314-316: [Ep.] mane me iussit senex / conducere aliquam fidicinam sibi huc domum, / dum rem divinam faceret, cantaret sibi.
Certamente, coloro i quali, in questi testi plautini, sinonimicamente parlano di iussa e/o di mandata (il liberto Curculione, il figlio di famiglia Carino e il servo Epidico) non sono fini giuristi; mi appare tuttavia chiaro: che essi concepiscono gli iussa/mandata non come “autorizzazioni/Vollmächte” indirizzati a terzi ma come “comandi” vincolanti indirizzati ad essi stessi, che la natura delle conseguenti attività negoziali ne è la esecuzione e che a tale natura esecutiva si connette la validità dei negozi così compiuti[63].
Con la seconda citazione mi riferisco a una fonte che ha una storia oramai consolidata di menzioni[64]. Si tratta di un passo dello ‘scolio’ 7 a Basilici, 23.3.24, ove si riproduce (D. 22.1.24 [Paulus libro 37 ad edictum])[65]:
Ὅταν γὰρ ἀκούεις, ὅτι δι’ ἐλευϑέρου προςώπου ἀγωγή τινι οὐ προςπορίζεται, ἐλεύϑερον νόει τὸν πάντη ἐλεύϑερον, καὶ μὴ τάξιν τινὰ ἐπέχον τοῦ πρωτοτύπου, ἢ διὰ τὸ εἶναι ὑπεξούσιον, ἢ ἐντολέα, ἢ νεγοτιογέστωρα, ἢ ἐπίτροπον, ἢ κουράτωρα, ἢ ἄλλο τι τοιοῦτον. ὅσα γάρ εἰσι τοιαῦτα ἐλεῦϑερα οὐ λέγονται ταῦτα, ὤστε μὴ δύνασϑαι προσπορίζειν· ταῦτα γὰρ πάντα, ὄσα εἴπομεν, ὑμῖν προσπορίζουσιν [Sch. e. III. 435]
Cum enim audis, per liberam personam actionem alicui non acquiri, liberum accipe eum, qui omnino liber est, nec vicem principalis sustinet, vel quod in eius potestate sit, vel mandatarius aut negotiorum gestor, aut tutor, aut curator, aut aliud quid eiusmodi. Eiusmodi enim personae liberae non sic dicuntur, ut acquirere non possint: nam hi omnes, quos diximus, nobis acquirunt. Lege et lib. 9. tit. 10. cap. 3. them. 2. et ibi tertiam novam adnotationem[66].
Lo scoliasta, autore della ‘glossa’ o ‘commento’ 7 a Basilici, 23.3.24, afferma, connettendole, le capacità del mandato sia a legittimare il mandatario ad acquisire al mandante sia a subordinare il mandatario al mandante, così salvaguardando il rispetto del principio che vieta l’acquisto “per liberam personam” (menzionato, in particolare, in Paulus, Sent. 5.2.2.)
Notevolissima, mi pare, la continuità tra il gruppo di fonti del III-II secolo a.C. e la fonte, circa un millennio e mezzo dopo, dell’XI-XII secolo d.C. Al centro delle une e dell’altra è l’agire giuridicamente complesso, che comporta, cioè, non due ma tre ‘attori’: il dominus negotii, il negoziatore con un terzo in nome e per conto del dominus negotii ed il terzo. Di tale agire, che è anche centrale problema giuridico[67], la soluzione che oggi chiamiamo “rappresentanza” appare costantemente contraria a queste fonti, cui appare invece compatibile la soluzione proposta dalla dottrina ancora alla fine del secolo XVIII e gli inizi del secolo XIX, in particolare secondo la loro recente ‘rivisitazione’.
Questa breve e schematica riflessione ci conduce a distaccarci dalla dottrina gius-romanistica dominante:
a) sulla attribuzione allo iussum/procura, inteso come (mera) trasmissione di potere (autorizzazione), della natura di fondamento della “rappresentanza = sostituzione” volitiva del dominus e
b) sulla contrapposizione dello iussum/procura, così inteso, al mandatum, inteso come (mera) impartizione di istruzioni (comando).
Ci conduce, invece, a seguire il nuovo orientamento:
a) sulla natura sostanzialmente omologa di iussum e mandatum, come “comandi” del dominus al negoziatore con il terzo, per attivarne-indirizzarne la volizione esecutiva/conclusiva, resa possibile dalla condizione (a vario titolo ma comunque) subordinata di quest’ultima (come dice lo scoliasta)[68] e, quindi,
b) sulla specifica natura del mandatum, come comando più una, funzionalmente limitata, trasmissione di potere.
Dal punto di vista operativo, questo nuovo orientamento consente di riaprire il ragionamento de iure condendo sulla possibilità giuridica – prima ancora che sulla opportunità politica – della partecipazione delle collettività “concretamente” intese alla formazione della propria volontà[69].
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Résumé
Dans cette étude, nous
examinons un “problème général du droit” d’importance fondamentale, qui marque
l’histoire du droit médiéval et moderne et reste tout à fait actuel, à savoir
la nature de l’institution (romaine) du mandat. La solution aujourd’hui plus
que dominante, car elle a été imposée dans la seconde moitié du XIXe siècle et
acceptée jusqu’à aujourd’hui comme étant la seule solution possible, est
attribuée au juriste romaniste Bernhard Windscheid et au juriste positif Paul
Laband. En réalité, elle a déjà été formulée par un juriste ‘pratique’, le juge
Botho von Salpius. Celui-ci aborde le problème de la nature du mandat avec une
approche fortement romaniste (contrairement à Laband par exemple): c’est-à-dire conjointement au problème de la nature du iussum.
Sa solution est que, alors que le mandat est le commandement adressé au
mandataire, qui l’accepte, sans que le pouvoir nécessaire pour agir au nom et
pour le compte du mandant soit transféré, le iussum, au contraire, n’est
pas un commandement mais une “autorisation” (“Anweisung”), adressée à un tiers
et qui produit, pour le filius familias et le servus mais aussi
pour le procurator, un “pouvoir de représentation” (“Stellvertretung”)
du iubens. La thèse de la nature non pas de commandement mais de
d’“autorisation” du iussum devient, avec Bernhard Windscheid, une partie
du ‘Pandektenrecht’ et dans Laband on trouve une nette altérité entre “mandat =
donner des instructions (‘Auftrag’)” et “procuration = transmission de pouvoir
(“Ermächtigung, Vollmacht”)” et, par conséquent, entre mandataire et procureur.
Dans cette étude, on
observe en outre que ce n’est que dans certaines contributions récentes que
l’homologie substantielle du iussum et du mandatum a été
réaffirmée, en précisant qu’à travers les deux institutions un processus de
formation de la volonté de négocier est mis en œuvre, processus caractérisé non
pas par un “remplacement” de la volonté du dominus par la personne
soumise à sa potestas ou par le mandataire, mais par une “articulation”
de la volonté, dans laquelle, au commandement général du dominus à son
propre filius/servus ou (contractuellement) à son mandataire pour
négocier avec un tiers, suit en l’intégrant son exécution par le filius/servus
ou le mandataire.
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] Ci riferiamo alla impostazione di Giuseppe Grosso, nel proprio corso torinese di diritto romano, intitolato Problemi generali del diritto attraverso il diritto romano, Torino 1948.
[2] Si pensi alla riforma italiana del 2003 della disciplina delle società per azioni (su cui G. Lobrano, Libertas, qui in legibus consistit (Cicero, De agr. 2.100) Pour se libérer de l’«Heutiges Römisches Recht», in Hommages à Marie-Luce Pavia. L’homme méditerranéen face à son destin, sous la direction de J. Bouineau, textes réunis par B. Kasparian, Paris 2016, 256-304; ripubblicato in lingua italiana, con integrazioni e con il titolo La libertas che in legibus consistit, in Diritto@Storia 15, 2017 ( http://www.dirittoestoria.it/15/tradizione/Lobrano-Libertas-in-legibus-consistit.htm ), in part. § 4.b “La esecuzione normativa sul piano del regime operativo e dal punto di vista del diritto privato: in particolare del diritto commerciale. Il «ripudio della sovranità assembleare dei soci» nella Aktiengesetz [tra ‘managerial Revolution’ e ‘Führerprinzip’]”) (su cui anche P.P. Onida, «Agire per altri» o «Agire per mezzo di altri». Appunti romanistici sulla «rappresentanza». I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Napoli 2018, 96 ss.).
[3] Problema posto al centro di un ormai famoso saggio di Paul Laband (su cui, si veda, infra, nt. 27).
[4] Si veda, infra, ntt. 5 e 26.
[5] Per la dottrina sullo iussum e sul mandatum, ci permettiamo di rinviare al nostro Iussum e mandatum. Alle origini delle actiones adiecticiae qualitatis. I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Cagliari 2018.
Per quanto riguarda in particolare il mandato, si può osservare che la dottrina si è soffermata sulla questione della sua natura di contratto bilaterale. La dottrina maggioritaria argomenta circa una bilateralità imperfetta (tra tutti si veda V. Arangio-Ruiz, Il mandato in diritto romano. Corso di lezioni svolto nell’Università di Roma. Anno 1948-1949, Napoli 1949, rist. anast., 1965), mentre una dottrina minoritaria argomenta circa una bilateralità perfetta (tra tutti si veda G. Grosso, Il sistema romano dei contratti, Torino 1945, 144 ss.; 201 ss.; G. Provera, v. Mandato (negozio giuridico). a) Storia, in Enciclopedia del Diritto, XXV, 1975, 310 ss. In linea a quest’ultima dottrina, da ultimo, segnaliamo il lavoro di S. Viaro, Il mandato romano tra bilateralità perfetta e imperfetta, in Scambio e gratuità. Confini e contenuti dell’area contrattuale, a cura di L. Garofalo, Padova 2011, 407 ss., la quale cita, quanto alla bilateralità perfetta, Gaius, Inst. 3.155: Mandatum consistit, sive nostra gratia mandemus sive aliena; itaque sive ut mea negotia geras sive ut alterius, mandaverim, contrahitur mandati obligatio, et invicem alter alteri tenebimur in id, quod vel me tibi vel te mihi bona fide praestare oportet).
Per quanto riguarda in particolare la procura, rinviamo – tra gli scritti recenti – all’ampio scritto di F. Briguglio, Studi sul procurator. I. L’acquisto del possesso e della proprietà, Milano 2007, in particolare il capitolo I “Considerazioni introduttive”; adde A. Milazzo, Falsus procurator. Ricerche sull’evoluzione del concetto di falso rappresentante, Bari 2012.
[6] Tralasciamo qui la praepositio, la quale in quanto fondabile sia sulla potestas sia sul contratto può ricadere sia nella tipologia dello iussum, sia in quella del mandatum, differenziandosi dall’uno e dall’altro in maniera essenzialmente quantitativa. La praepositio, infatti, a differenza sia dello iussum, sia del mandatum, si intende, di regola, concernere non un singolo negozio ma una serie di negozi (administratio).
[7] Sull’uso e il significato della parola e
del concetto di iussum dal punto di vista del diritto pubblico, si veda G. Lobrano,
Res publica res populi, La legge e la limitazione del potere,
Torino 1996, 111 ss. Per quanto concerne il mandatum, si veda, invece,
L. Winkel, Mandatum im
römischen öffentlichen Recht?, in Mandatum und Verwandtes. Beiträge zum
römischen und modernen Recht, hrsg. D. Nörr
- S. Nishimura, Berlin-Heidelberg 1993, 53 ss., in part. § 3.1 “Mandatum
und römisches Staatsrecht”, 57-59.
[8] Forse anche perché muore a soli cinquanta anni: si veda Nekrolog
des Oberappellationsgerichtsraths von Salpius, in Verhandlungen des
Zwölften deutschen Juristentages, Berlin 1874, 334-337.
7 Si veda E. Landsberg,
Salpius, Botho Ludwig Wilhelm v., in Allgenmeine Deutsche Biographie
30, Leipzig 1890, 282 s.
[10] B. von Salpius, Novation und Delegation nach römischen Recht. Ein Civilistischer Versuch, Berlin 1864, 20-23, ricorda che la ‘autonomizzazione’ della delegazione (si veda nt. seguente) è stata già avviata da Friedrich Cropp («Cropp’s Abhandlungen Bd. II. S. 350 (1830)») e Franz W.L. von Meyerfeld («Die Lehre von den Schenkungen nach Römiſchem Recht. Von Dr. Fr. W. L. v. Meyerfeld. Bd. I. S. 241 folg. (1835)»).
Ad es., N. De Crescenzio, Sistema del diritto civile romano, I, 2a ed., Napoli 1869, 344 s. dopo aver scritto che «È controverso se il comando o l’assenso del padre di famiglia debba essere indirizzato al figlio o al terzo contraente» attribuisce agli “antichi” la prima “opinione”, ad Anton F.J. Thibaut («Thibaut, Archivio per la procedura civile, XII. N. 10») una opinione ambivalente e a Paul L. Kritz nonché a Schmid («Kritz, Diritto delle Pandette I. pag. 465. – Schmid. Archivio civile, XXIX. pag. 111») la opinione della esperibilità della azione soltanto «quando il padre, dando l’assenso, si sia diretto in special modo a chi contrae col figlio», concludendo di «accettare pienamente l’opinione di Thibaut». Va tuttavia subito precisato che, per De Crescenzio, concordare con Thibaut significa: α) giudicare senza esitazioni lo “iussus” un “comando”, dato − in quanto tale − necessariamente «allo schiavo o al figlio» anche se deve essere portato a conoscenza del terzo e β) ritenere che, anche quando la comunicazione del dominus/pater ha per destinatario direttamente il terzo, essa debba intendersi un «indiretto iussus» al subordinato. Per quanto concerne Paul L. Kritz (Das Pandectenrecht aus den Rechtsbüchern Justinians nach den Erfordernissen einer zweckmässigen Gesetzgebung dargestellt und mit vergleichenden Hinweisungen auf das Französische, Oesterreichische und Preussische Recht begleitet, Ersten Theiles erster Band, Meissen 1835, 465 s.) si può già notare che neppure egli sembra andare oltre la affermazione del dovere lo stesso dominus comunicare al terzo che il proprio figlio o servo agisce in ottemperanza della di lui − dominus − volontà. Appare indicativa in questo senso la citazione da parte di Kritz (a sostegno delle proprie affermazioni) dell’incipit del titolo 15.4 del Digesto: D. 15.4.1 pr. (Ulpianus libro 29 ad edictum): Merito ex jussu domini vel patris in solidum adversus eum iudicium datur; nam quodammodo cum eo contrahitur, qui iubet; passo, questo, tra i più evidentemente significativi proprio non della “sostituzione” del dominus nel negozio con il terzo da parte del filius o servus ma della sua “partecipazione” “per mezzo” del filius o servus.
[11] Si veda, esemplarmente, la menzione di Salpius in R. Rolli, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, in Commentario del codice Civile, diretto da E. Gabrielli, Delle obbligazioni - artt. 1218-1276, a cura di V. Cuffaro, Torino 2013, 817 s., la quale menziona la diversa opzione di W. Bigiavi, La delegazione, Padova 1940, 145: «proposta di mandato che viene accettata mediante l’esecuzione dell’incarico». Cfr. la menzione in L. Arndts, Trattato delle Pandette, trad. it. F. Serafini, II, 2a ed., Bologna 1875, 174 nt. 1, che rinvia ai commenti di «Windscheid e Witte in Riv. Trim. di Pözl VI, p. 643. VIII. p. 169. 321».
Si veda anche M. Talamanca, v. Delegazione. Diritto romano, in Enciclopedia del Diritto XI, 1962, 918 ss.; L. Zandrino, La delegatio nel diritto romano. Profili semantici ed elementi di fattispecie, Napoli 2010, § 1.3.5.b. “Salpius e la cessione processuale di credito quale «keine echte Delegation»”, 32 s.; cfr. Ead., La delegatio in diritto romano. Effetti giuridici e profili di invalidità, Napoli 2014, 39 nt. 70.
[12] “Einleitung. §. 4 .
[…] ſelbſtſtändige […] Betrachtung
der Delegation”.
[13] B. von Salpius,
Novation und Delegation nach römischen Recht. Ein Civilistischer Versuch,
cit., 20: «Die Delegation […] beſteht ihrem Weſen nach darin, daß man
einem Andern den Auftrag ertheilt ſich ſtatt unſerer gegen einen
Dritten zu verpflichten. Es iſt hierbei weder weſentlich
erforderlich, daß der Beauftragte, der delegatus, unſer Schuldner ſei,
noch daß wir Schuldner des Delegatars, des Dritten, dem der Beauftragte ſich
verpflichten ſoll, ſeien».
[14] A iniziare dal primo paragrafo delle “Einleitung” (“Allgemeine Charakteriſtik der herrſchenden Lehre”) Salpius ripete frequentemente la affermazione del proprio distacco dalla dottrina “herrschend”, che egli indica per lo più come “Lehre” ma anche come “Vorstellung”, “Auffassung”, “Doctrin”, “Theorie” e “Meinung”.
[15] B. von Salpius,
Novation und Delegation nach römischen Recht. Ein Civilistischer Versuch,
cit., 50, scrive di «Missverständnis […] als ob die Eigentümlichkeit des jussus
im Gegensatz zum mandatum darin bestehe, dass die Erklärung an eine der
Gewalt des jubens unterworfene Person gerichtet wird».
[16] B. von Salpius,
Novation und Delegation nach römischen Recht. Ein Civilistischer Versuch,
cit., 50 s.: «Dies [sc.: il considerare lo iussum un comando
diretto al subordinato] iſt für die actio [51] quod jussu
geradezu unrichtig, denn hier wird der jussus zum Mindeſten in der
Regel nicht an den Sklaven oder filiusfamilias, ſondern an die
dritte Person gerichtet, welche mit ihm contrahiren will […] Der jussus
iſt alſo eine Anweiſung vermöge deren die Verpflichtungen aus
dem in Folge der Anweiſung vor - genommenen Geſchäft den jubens
unmittelbar treffen, ohne Dazwiſchenkunft eines obligatoriſchen
Contracts zwiſchen ihm und dem Angewieſenen. Der jussus
erzeugt demnach zwiſchen [52] demjenigen, der ihn ertheilt, und
demjenigen, der ihn empfängt, kein obligatoriſches Verhältniß. Er iſt
kein obligatoriſcher Vertrag, nicht einmal ein Vertrag überhaupt, ſondern
eine einſeitige Willens erklärung».
A livello, in questo contesto, di ‘curiosità’, segnaliamo che in un − peraltro modesto − manuale italiano di diritto romano si scrive dell’actio quod iussu come «azione […] promossa contro un padre per un contratto conchiuso dal figlio di famiglia intorno a cose del padre, in base ad un comando dato dal padre stesso o al figlio o al terzo contraente» (P. Barinetti, Diritto romano. Parte generale, Milano 1864, 232). Appare, infatti, notevole il riferimento alla possibilità della destinazione al terzo dello iussum (sia pure nella approssimazione concettuale: “comando al terzo”).
[17] B. von Salpius,
Novation und Delegation nach römischen Recht. Ein Civilistischer Versuch,
cit., 378 s.: «Es iſt […] völlig unrichtig,
wenn das Rechtsgeschäft zwiſchen der alten und neuen Parthei auch bei der
Novation als ein Mandat aufgefaßt wird, etwa als ein mandatum stipulandi
bei der Activ- und ein mandatum promittendi bei der Paſſivucceſſion.
Auch hier liegt nur in den beſonderen Fällen ein Mandat vor, wo die causa
der Succeſſion in einem Vollmachtsvertrage beſteht, der die actio
mandati erzeugt. Im Allgemeinen kann das Verhältniſ nur als ein jussus
bezeichnet werden, und dieſer Unterſchied iſt denn hier auch im
Sprach gebrauche der Quellen auf das Schärſſte aufrecht
erhalten worden. Man vergleiche in dieser Beziehung folgende Stellen:
Paul. rec. sent. V. 8. § 1. Non solum per nosmet ipsos novamus, quod nobis
debetur, sed per eos etiam, per quos stipulari possumus, veluti per
filiumfamilias vel servum jubendo vel ratum habendo. Procurator
quoque noster ex jussu nostro receptum est, ut novare possit. Gaj. II. § 38. Opus est, ut jubente me tu ab eo stipuleris; – quae dicitur novatio obligationis. und beſonders 1. 34. pr. h. t. Dubitari non debet, quin
filius servusve, cui administratio peculii permissa est, novandi quoque
peculiaria debita jus habeat; utique si ipsi
stipulentur, maxime si etiam meliorem suam conditionem eo modo faciant; nam si
alium jubeant stipulari, interest utrum donandi animo alium jubeant
stipulari, an ut ipsi filio servove negotium gerat, quo nomine etiam mandati
actio peculio acquiritur».
[18] Si veda D.
17.1.1 (Paulus libro 32 ad edictum): Obligatio mandati consensu
contrahentium consistit. 1. Ideo per nuntium
quoque vel per epistulam mandatum suscipi potest. 2.
Item sive “rogo” sive “volo” sive “mando” sive alio quocumque verbo scripserit,
mandati actio est. 3. Item mandatum et in
diem differri et sub condicione contrahi potest. 4.
Mandatum nisi gratuitum nullum est: nam originem ex officio atque amicitia
trahit, contrarium ergo est officio merces: interveniente enim pecunia res ad
locationem et conductionem potius respicit.) e Gaius, Inst. 3.135: Consensu
fiunt obligationes in emptionibus et venditionibus, locationibus
conductionibus, societatibus, mandatis. Cfr. Inst. 3.22 pr. (De
consensu obligatione): Consensu
fiunt obligationes in emptionibus venditionibus, locationibus conductionibus,
societatibus, mandatis.
[19] M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss der verstehenden Soziologie, 5a ed., hrsg. v. J. Winckelmann, Tübingen 1976, lib. I cap. III § 21: «Diese “Repräsentanten” sind in Wahrheit: Beamte der von ihnen Repräsentierten» e che «sie Surrogat der in Massenverbänden unmöglichen unmittelbaren Demokratie ist». A proposito della seconda, egli scrive, invece, che «Der Repräsentant, in aller Regel gewählt (eventuell formell oder faktisch durch Turnus bestimmt), ist an keine Instruktion gebunden, sondern Eigenherr über sein Verhalten. Er ist pflichtmäßig nur an sachliche eigene Ueberzeugungen, nicht an die Wahrnehmung von Interessen seiner Deleganten gewiesen […] der von den Wählern gekorene Herr derselben, nicht: ihr “Diener”, ist. Diesen Charakter haben insbesondere die modernen parlamentarischen Repräsentationen angenommen» e che «Repräsentativ-Körperschaften sind nicht etwa notwendig “demokratisch” […]. Im geraden Gegenteil wird sich zeigen, daß der klassische Boden für den Bestand der parlamentarischen Herrschaft eine Aristokratie oder Plutokratie zu sein pflegte (so in England)». Weber precisa, inoltre, che «Nicht die Repräsentation an sich, sondern die freie Repräsentation und ihre Vereinigung in parlamentarischen Körperschaften ist dem Okzident eigentümlich», mentre ciò che si trova «in der Antike» sono «Delegiertenversammlungen bei Stadtbünden, grundsätzlich jedoch mit gebundenen Mandaten». Dell’uso della categoria di rappresentanza come equivalente della categoria di dominio nel lessico e nel pensiero contemporaneo si è interessato in numerosi scritti il politologo Giuseppe Duso, del quale si veda – ad es. – la “Introduzione” alla edizione italiana di H. Hofmann, Rappresentanza - rappresentazione. Parola e concetto dall’antichità all’Ottocento, trad. it. C. Tommasi, Milano 2007, in part. 1 s. (In proposito, G. Lobrano, La libertas che in legibus consistit, cit., § 4.d; Id., La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana), in Diritto@Storia 10, 2011-12 (http://www.dirittoestoria.it/10/D&Innovazione/Lobrano-Persona-giuridica-rappresentanza-societa-formazione-volonta.htm), § 6; G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, in Diritto@Storia 14, 2016 (http://www.dirittoestoria.it/14/contributi/Lobrano-Onida-Rappresentanza-o-e-partecipazione.htm), § I.1.c.
[20] Nel terzo degli otto volumi del suo System des
heutigen römischen Rechts, Zweytes Buch “Die Rechtsverhältniſſe”,
Berlin 1840, Drittes Kapitel “Von der Entſtehung und dem Untergang der
Rechtsverhältniſſe”, § 112, 89: «Endlich ſind alle juriſtiſche
Perſonen ihrer Natur nach, und für immer, handlungsunfähig (§ 90. 96),
weil jede Handlung die menſchliche Thätigkeit des Denkens und Wollens
vorausſetzt, welche in der juriſtiſchen Perſon, als einer
bloßen Fiction, nicht gedacht werden kann»; § 113, 90 ss.: «Dieſe
Stellvertretung, welche jetzt genauer zu betrachten iſt, greift auf
zweyerley Weiſe, als wichtige Förderung, in den geſammten
Rechtsverkehr ein. Zunächſt als bloße Erleichterung, indem dadurch die
juriſtiſchen Organe eines Jeden dergeſtalt gleichſam
vervielfältigt werden, daß auf dieſem Wege Rechtsgeſchäfte zu Stande
kommen, welche außerdem aus faktiſchen Gründen vielleicht gar nicht,
vielleicht nur mit größerer Schwierigkeit entſtehen könnten. Außerdem aber
dient die Stellvertretung auch als Erſatz für die nach den aufgeſtellten
Regeln fehlende eigene Handlungsfähigkeit, und in dieſer Anwendung zeigt ſie
ſich noch weit wichtiger als in der erſten. Denn durch ſie wird
es möglich, die Rechtsverhältniſſe des Unmündigen, des Wahnſinnigen,
des Interdicirten, ſo wie die der juriſtiſchen Perſonen,
durch freye Handlungen neu zu geſtalten, welches ohne Stellvertretung meiſt
ganz unmöglich ſeyn würde».
[21] Werner Flüme (1908-2009: influente romanista, civilista, tributarista e storico del diritto) nella più significativa delle sue opere (il trattato di diritto civile, parte generale) articola la materia della rappresentanza in una contrapposizione dottrinaria tra “Geschäftsherrntheorie” e “Repräsentationstheorie” sulla base delle opposte valutazioni del rapporto gestorio: importante per la prima “Theorie” e svalutato dalla seconda. Flüme attribuisce la “Geschäftsherrntheorie” a Savigny e la “Repräsentationstheorie” a Windscheid, collocando, dunque, la ‘contrapposizione’ all’interno del percorso pandettistico: W. Flüme, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, Bd. II. Das Rechtsgeschäft (1. Aufl. 1965 - 4. Aufl. 1992) 2. Auf. Berlin - Heidelberg - New York 1975, Kap. X. “Stellvertretung und Vollmacht”, 1. Absch. “Die Stellvertretung”, § 43 “Grundsätzliches zur Rechtsfigur der Stellvertretung”, 751 ss. «Die sogenannte Geschäftsherrentheorie (begründet von Savigny). Danach ist bei der Stellvertretung der rechtgeschäftlich Handelnde allein der Vertretene. Der Vertreter ist nur der Träger des Willens des Vertretenen und somit der Vertretene selbst der Wollende der Stellvertretergeschäfts. […] Die sogenannte Repräsentationstheorie [la cui paternità è attribuita a Windscheid]. Sie geht davon aus, daß der Stellvertreter den Vertretenen vorstelle, repräsentiere. Der Vertreter sei zwar der Handelnde der Rechtsgeschäfts, die Rechtswirgungen träfen aber den Vertretenen». Per la precisione dobbiamo aggiungere che anche Flüme menziona altre “teorie”: una sostanzialmente non influente («Die Stellvertretung sei als allgemeines Institut nicht anzuerkennen» [Puchta]) e una sostanzialmente di mediazione (la «Vermittlungstheorie» [Mitteis, Lenel]).
La contrapposizione proposta da Flüme è ripresa da H. Wieling, Drittwirkungen des Mandats
und ähnlicher Rechtsverhältnisse, in Mandatum und Verwandtes. Beiträge
zum römischen und modernen Recht, Berlin 1993, 244 ss.: «Die direkte
Stellvertretung begegnete im gemeinen Recht folgendem Bedenken: Wie war es nach
dem Willensdogma möglich, daβ eine Willenserklärung einen Vertrag nicht mit
dem Erklärenden, sondern mit dem Vertretenen zustande brachte? Wie konnte man
bewirken, daβ jemand durch eine fremde Willenserklärung eine eigene
abgibt? Nach der insbesondere von Savigny vertretenen GESCHÄFTSHERRNTHEORIE
handelt und erklärt nicht der Vertretenen. Dagegen wird nach der
REPRÄSENTATIONSTHEORIE der Vertretene durch den Vertreter repräsentiert, der
Vertreter ist der Handelnde, der eine eigene Willenserklärung abgibt. Wie wird
sie zur Willenserklärung des Vertreten, so daβ der Vertrag mit ihm
zustande kommt? Man fingiert, auch der Vertretene habe eine Willenserklärung
abgegeben, eine Willenserklärung wie die des Vertreters, nur nicht bloβ
eine Willenserklärung gleichen Inhalts, sondern eine Willenserklärung mit allen
den Besonderheiten, welche dieselbe aus dem Zustand des Innern des Vertreters
empfängt, ein Stück Seelenleben von gleicher Beschaffenheit, wie dasjenige,
welches sich in dem Vertreter vollzog, als er die Willenserklärung abgab».
Anche Hasso Hofmann (di cui si dice che «zum Thema Repräsentation das wichtigste Werk verfasst hat» [G. Duso, Die moderne politische Repräsentation: Entstehung und Krise des Begriffs, Berlin 2006, “Vorbemerkung”]) registra la medesima contrapposizione. Ancora secondo Giuseppe Duso (“Introduzione” alla ed. it. 2007 del saggio hofmanniano) ne è anzi tesi di fondo che «nel dibattito giuridico-costituzionale tedesco degli anni Venti [sc.: del secolo XX] è venuta alla luce la distinzione tra la rappresentanza di tipo privatistico, indicata con il termine di Vertretung e la rappresentanza politica espressa per l’appunto dal termine Repräsentation. Mentre la prima è strettamente legata al mandato, la seconda è da questo svincolata, o, in ogni caso, appare eccedere la volontà determinata che si esprimerebbe nel mandato». È scritto in H. Hofmann, Repräsentation. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19. Jahrhundert 4, Berlin 2003, 19: «Bei aller Vielfalt im einzelnen fällt innerhalb der jüngeren deutschen staatstheoretischen Behandlung des Repräsentationsbegriffs im Gegensatz dazu die negative Übereinstimmung in dem Bestreben auf, den Mandatsgedanken beiseite zu schieben oder ganz zu eliminieren. […] Rechtlich ist der Wille des Parlaments allein dem Staat (und nur politisch-ideologisch dem Volke) zuzurechnen» [= ed. it., 6 ss.: «Ciò che caratterizza, e nel contempo accomuna tutte le trattazioni dedicate al concetto della rappresentanza dalla più recente dottrina dello Stato tedesca è il ripudio dell’idea di mandato e lo sforzo che ogni autore conduce al fine di accantonarla o persino di eliminarla. […] Dal punto di vista giuridico la volontà del parlamento va riferita unicamente allo Stato, mentre concerne il popolo solo nella prospettiva politico-ideologica»]. Cfr. con 118: «Die Frage […] ist, in welchem Kontext und Kraft welcher Momente dem Wort repraesentatio der Sinn rechtlicher Stellvertretung zugewachsen ist […] Stellvertretung im weitesten und ursprünglichen Verstände Ersetzung ist» [= ed. it., 136: «Occorre […] stabilire in che contesto e attraverso quali passaggi al termine “repraesentatio” sia divenuto congeniale il significato della “vicarietà” […] “vicarietà”, nella concezione più ampia e originaria, equivale a “sostituzione”»]. Occorre qui osservare – seppure soltanto incidentalmente – che il saggio di Hofmann (già di suo più filologico che giuridico) non è premiato dalla ondivaga traduzione italiana. Ad es., titoli del capitolo 4 e del paragrafo 12 della ed. ted. sono perfettamente uguali nell’originale tedesco: “Repräsentation und Stellvertretung”; essi, però, sono tradotti in italiano il primo come “Repraesentatio e luogotenenza”, il secondo come “Rappresentazione e vicarietà” e il tutto ha qualche difficoltà a conciliarsi con la osservazione di Duso riportata, supra, in questa stessa nota.
Si veda, come esempi
recenti di applicazione della ‘contrapposizione’, G. Priori Posada, La representación negocial. Del derecho romano a la codificación latinoamericana, in Ius et Veritas, 20, 2000, 364 nt. 113 e
D. Leenen, BGB Allgemeiner
Teil: Rechtsgeschäftslehre, 2. Auf., Berlin-Boston 2015, § “Die
Repräsentationstheorie als Grundlage der Gesetzlichen Regelung des Handelns in
fremden Namen” (1: “Geschäftsherrntheorie und Repräsentationstheorie”).
Su questa materia, si veda G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit., ntt. 13 ss.
[22] Sulla contrapposizione tra “cooperazione” (ovvero “comando più esecuzione” ovvero “partecipazione”) e “sostituzione” nel formarsi della dottrina sulla “rappresentanza” ha insistito Giovanni Lobrano, tornandovi in vari scritti: La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana), cit.; cfr. Id., La libertas che in legibus consistit, cit.; G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit., §§ I.1.c. “«Essenza sostitutiva» della «rappresentanza»: una questione di «potere» …” e d. “… espressa nel «divieto di mandato imperativo»” (il saggio è leggibile in lingua spagnola in Roma e America. Diritto romano comune 38, 2017 [pubbl. 2018], 149-190). Gli stessi Lobrano e Onida (cit., nt. 12) ne menzionano, come esposizione istituzionale chiara, P. D’Amico, v. Rappresentanza. I. Diritto civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXV, 1991, § 1. “Nozione, struttura, funzione”, 1 ss.
[23] Il ‘limite’ di Savigny può essere stato piuttosto quello di non avere egli stesso tirato le conclusioni della propria innovazione. Savigny, infatti, continua a considerare lo iussum un comando al sottoposto (F.C. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, Berlin 1840-49 [= Sistema del diritto romano attuale, III, trad. it. V. Scialoja, Torino 1900, 116 ss.]); G. Lobrano, La libertas che in legibus consistit, cit., § 3.d scrive di «una grave falla della dottrina di questo stesso giurista».
[24] B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, Düsseldorf
1865-66, Zweiter Band, 4. Buch. “Das Recht der
Forderungen”, Kap. 2 “Die
einzelnen Forderungsrechte. Uebersicht”, V
“Haftung für Verbindlichkeiten Anderer”, B “Die s.g. actiones adiecticiae qualitatis”
391 nt. 6, scrive che lo iussum è non un
“Befehl” al sottoposto, ma una “Verweisung-Anweisung” al terzo contraente: «Das
Wort iussus hat hier den techniſchen Sinn, welcher in § 412 Note 8a
bezeichnet worden iſt; es bedeutet nicht Befehl, ſondern Verweiſung,
Anweiſung. Indem man dieſe techniſche Bedeutung von iussus verkannte,
und zu gleicher Zeit in’s Auge faβte, daβ die actio quod iussu auf
den Fall berechnet iſt, wo Jemand durch gewaltunterworfene Perſonen
verpflichtet werden will (Note 10), hat man die Behauptung aufgestellt,
daβ der iussus an den Gewaltunterworfenen gerichtet werden müſſe,
oder doch, daβ dieβ der Normalfall der actio quod iussu ſei
[…] Die Quellen sprechen faſt allein von einem iussus an der
Dritten [...] und die einzige Stelle [...] in welcher der iussus
unzweifelhaft auf den Gewaltunterworfenen bezogen wird [...] hat nicht die Abſicht,
die Vorausſetzungen gerade der actio quod iussu anzugeben».
L’impostazione
di Windscheid è fatta subito propria da G. Mandry,
Das gemeine Familienguterrecht, Tübingen 1876, 104 ss. e 565 ss.; F. Drechsler, Die actio quod iussu,
Würzburg 1877, 60 ss.; A. Pernice,
Labeo. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhunderte
der Kaiserzeit, Halle 1895, 504 ss.; E. Rabel, Ein Ruhmesblatt Papinians, die
sogenannte actio quasi institoria, in Festschrift für Ernst Zitelmann,
München-Leipzig 1913, 24 ss.
[25] B. Windscheid, Lehrbuch
des Pandektenrechts, Zweiter Band, 6. Aufl., Frankfurt a. M. 1887, 4. Buch. “Das
Recht der Forderungen”, 1. Kap. “Von den Forderungsrechten überhaupt”, I.
“Forderungsrechte aus Verträgen”, F. “Der Auftrag”, 4. “Besondere Anwendungen”,
§ 412, 577 nt. 8a: «v. Salpius Novation und Delegation § 9. 10. 11. 58, deſſen
Verdienſte um die Hervorhebung des Gegenſatzes zwiſchen mandatum
und iussus im Uebrigen anzuerkennen ſind».
[26] Ovvero come procuratio; si veda – ad es. – E. Georges - F. Calonghi, Dizionario della lingua latina, I, Torino 1930, s.v.
[27] P. Laband,
Die Stellvertretung bei dem Abschluß von Rechtsgeschäften nach dem allgem.
Deutsch. Handelsgesetzbuch, in Zeitschrift für das gesamte Handelsrecht,
Zehnter Band, Erlangen 1866, 203-205, evidenzia che mandato e procura sono non
due lati della stessa medaglia, bensì due distinti negozi giuridici, i quali
possono convergere o meno, ma è la procura non il mandato in grado di fondare
la possibilità di qualcuno ad obbligare qualcun altro: «Nichts iſt für den
wahren Begriff der Stellvertretung und die juriſtiſche Durchbildung
dieſes Instituts nachtheiliger geweſen, als die Zufammenwerfung der
Stellvertretung mit dem Mandat, zu welcher das Rom. Recht den Anlaß gab […]
Diejenigen, welche genauer unterſcheiden, bezichen das Wort Auftrag auf
das Verhältniß zwiſchen Mandanten und Mandatar, Vollmacht auf das
Verhältniß des Mandanten zum Dritten; Auftrag bezeichne die innere, Vollmacht
die äußere Seite des Verhältniſſes. [204] Zunächſt iſt es
klar, daß ein Mandat ohne Vollmacht ertheilt werden kann [… 205 …] Es kann aber
auch nicht die Vollmacht als eine Qualification des Mandats angeſehen
werden, so daß man unter den Mandaten als eine beſondere Art die Mandate
mit Stellvertretungsbefugniß auszuſcheiden hätte».
[28] P. Laband,
Die Stellvertretung bei dem Abschluß von Rechtsgeschäften nach dem allgem.
Deutsch. Handelsgesetzbuch, cit., 208: «Der Bevollmächtigungsvertrag iſt
ein (vom Mandat verſchiedener) Konsensual-Vertrag, durch welchen die
Kontrahenten ſich gegenſeitig verpflichten, das Rechtsgeſchäfte,
welche der eine Kontrahent (der Bevollmächtigte) Namens des Andern (des
Vollmachtgebers) abſchließen wird, ihrer Wirkung nach ſo angeſehen
werben ſollen, als hatte ſie der letztere ſelbst abgeſchloſſen.
Dieser Vertrag hat nicht nur Wirkungen unter den Kontrahenten, ſondern
auch für die Dritte».
[29] «Die Römern bezeichnen die
Vollmacht mit dem nämlichen Ausdruck, mit welchem ſie auch der Auftrag
bezeichnen (mandatum), s. z. B. l. 42 § 2 D. de proc. 3.3. Unsere
Rechtſprache iſt reicher; Auftrag bezeichnet, dass Einer für einen
Andern etwas thun muß, ‘Vollmacht’, daß Einer für einen Andern etwas thun darf.
Allerdings kann in dem Auftrage zum Vollzuge eines Rechtsgeſchäftes auch
eine Vollmacht liegen; aber es iſt dies nicht nothwendig der Fall: der
Auftrag kann auch darauf gerichtet ſein, daß der Beauftragte bloß für ſich
handeln ſolle. Ebenso kann es eine Vollmacht geben ohne Auftrag. Vgl.
hierzu Laband (§ 73*) S. 203 fg. – Die Vollmacht in ihrer Richtung auf den
dritten Contrahenten, inſofern nämlich der Vollmachtgeber in der Vollmacht
dem dritten Contrahenten gegenüber erklärt, das von dieſem mit dem
Vevollmächtigten abgeſchloſſene Rechtsgeſchäft als mit ſich
abgeſchloſſen anerkennen zu wellen, bezeichnen die Römer als iussus.
Vgl. II § 412 Note 8, § 482 Note 6» (B. Windscheid, Lehrbuch
des Pandektenrechts, Erster Band,
zweite Auflage, Düsseldorf 1867, § 74, 174 ss. nt. 1).
[30] V. Arangio-Ruiz, Il mandato in diritto romano, cit., 7.
[31] Anche V. Arangio-Ruiz, Il mandato in diritto romano, cit., 53 nt. 3, rinvia all’art. di P. Laband, 208 ss., da noi citato supra (nt. 27) ma con un curioso errore di datazione: “1875” anziché “1866”.
[32] V. Arangio-Ruiz, Il mandato in diritto romano, cit., 53.
[33] Anzi guardate sovente con sospetto, così G. Lobrano, Appunti per la lettura delle fonti. L’esempio – da discutere – della attribuzione della “rappresentanza” al Diritto romano, in Ius Romanum 2, 2018, 45-72, in part. § I. “‘Stato della dottrina’ giuridica: il rapporto – insoddisfacente – con la Pandettistica”; 1. “Affermata alterità nel metodo e oggettivo appiattimento nel merito”.
[34] Si veda, infra, § 2.
[35] V. Arangio-Ruiz, Il mandato in diritto romano, cit., 53.
[36] La espressione è di G. Lobrano, La constitutio Antoniniana de civitate peregrinis danda del 212 a.C.: il problema giuridico attuale di ri-comprendere scientificamente la cittadinanza per ri-costituirla istituzionalmente, in La cittadinanza tra impero, stati nazionali ed Europa [Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana], a cura di M. Barbulescu - E. Silverio - M. Felici, Roma 2017, § III. “L’“intento politico” reazionario ottocentesco della ri-trans-formazione dei cittadini in ‘Unterthanen’ e la sua esecuzione scientifica mediante la puntuale trans-formazione del Diritto romano in rassicurante precedente del diritto feudale-parlamentare”, 1 “La obliterazione-sostituzione della ‘soluzione giuridica romana’”, a “La novità giuridica dichiarata: un ‘Diritto romano’ inaudito”, con riferimento precipuo ma non esclusivo alle dichiarate novità mommseniana in materia di diritto pubblico (anzi “statuale”) romano.
[37] Perfezionata teoricamente, perché la traduzione normativa sarà ancora lunga. Si veda, supra, nt. 2 riferimenti alla separazione tra mandato e rappresentanza/procura in legislazioni sulle società per azioni.
[38] C.F. von Glück, Ausführliche Erläuterung der Pandekten, 34 volumi, Erlangen 1790-1830, qui citato nella versione italiana di circa un secolo dopo (= Commentario alle Pandette; tradotto ed arricchito di copiose note e confronti col Codice civile del Regno d’Italia; direttori F. Serafini - P. Cogliolo; [poi] P. Cogliolo - C. Fadda, Milano 1888-1909).
[39] C.F. von Glück, Commentario alle Pandette, Libri XIV-XV, Tradotti ed annotati da P. Bonfante, Milano 1907, Titolo IV “Quod iussu”, § 919 “Concetto e natura dell’actio quod iussu”, 213 s.
[40] C.F. von Glück, Commentario alle Pandette, Libro XVII, cit., Titolo I “Mandati vel contra”, § 950 “Concetti del contratto di mandato - L’assegno, storia del mandato”, 2 s.
[41] Si veda in proposito, P.P. Onida, «Agire per altri» o «Agire per mezzo di altri». Appunti romanistici sulla «rappresentanza». I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, cit., 32 ss.
[42] C.F. von Glück, Commentario alle Pandette, Libri XIV-XV, 213 ss.
[43] Si veda per tale connotazione del mandato S. Randazzo, Mandare. Radici della doverosità e percorsi consensualistici nell’evoluzione del mandato romano, Milano 2005, 102 ss., con ampi riferimenti alla letteratura.
[44] Si veda, supra, nt. 19, la citazione di Weber.
[45] G. Lobrano, La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: ‘persona giuridica e rappresentanza’ e ‘società e articolazione dell’iter di formazione della volontà’. Una ìpo-tesi (mendeleeviana), cit.; Id., La libertas che in legibus consistit, cit.; Id., Res publica. Sui libri 21-45 di Tito Livio, introduzione, in lingua cinese, a Tito Livio. Ab urbe condita. Antologia [in lingua cinese], a cura di G. Lobrano, Pechino 2015, 1-42; Res publica. Sui libri 21-45 di Tito Livio, in Roma e America, 36, 2015, 37-78, ripubblicato con il titolo I ‘modi di formazione della volontà collettiva’, omologhi ma non uguali, dei Popoli greci e del Popolo romano. Elementi attuali di storia e sistema della «Repubblica»: democratica e imperiale, in Scritti per Alessandro Corbino 4, a cura di Isabella Piro, Tricase 2016, 342-372; Id., «Mezzi per la difesa della libertà» e «forme di governo», in Tribunado - Poder negativo y defensa de los derechos humanos. Segundas Jornadas Ítalo-Latinoamericanas de Defensores Cívicos y Defensores del Pueblo. En homenaje al Profesor Giuseppe Grosso (Torino,8-9 settembre 2016), a cura di A. Trisciuoglio, Milano 2018, 185-236; Id., Appunti per la lettura delle fonti. L’esempio – da discutere – della attribuzione della “rappresentanza” al Diritto romano, cit.; G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit.; P.P. Onida, «Agire per altri» o «Agire per mezzo di altri». Appunti romanistici sulla «rappresentanza». I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, cit.
[46] Si pensi, per questa seconda, al contributo di R. von Jhering: Mitwirkung für fremde Rechtsgeschäfte, in Jahrbücher für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts, Bd. 1, 1857, 313 (su cui G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit., in part. § II.2.c. “Partecipazione e «cooperazione»”).
[47] In proposito, si veda G. Coppola Bisazza, Dallo iussum domini alla contemplatio domini: contributo allo studio della rappresentanza, Milano 2008, 316, ivi (nt. 474) i rinvii bibliografici.
[48] Si veda, supra, nt. 26, ma anche indicato in dottrina come istituto meta-giuridico, almeno fin tanto che separato dagli altri due: così, ad esempio, P. Angelini, Il «procurator», Milano 1971, 62 ss.; cfr. 7: «Tutti gli autori che hanno studiato la figura del procurator parlano di esso come di una figura sociale» e 193: «I compilatori, che stavano davanti ai testi della giurisprudenza classica […] hanno ridotto definitivamente il procuratore a concetto giuridico».
[49] O. Milella, Il libertus procurator. Le origini della procura in diritto romano, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza della Università di Bari, Serie 3a, II, 1966-1967, 377 ss.
[50] Tra le fonti si veda D. 3.3.1 pr. (Ulpianus libro nono ad edictum): Procurator est qui aliena negotia mandatu domini administrat. Sulla introduzione del concetto di “verus procurator” nel Corpus iuris civilis, oltre ai ‘classici’ contributi di S. Solazzi, Procuratori senza mandato, in Rendiconti del Regio Istituto lombardo, 56, 1923, 735 ss. (ora in Id., Scritti di diritto romano II, Napoli 1957, 569 ss.), e di V. Arangio-Ruiz, Il mandato del diritto romano, cit., 78, si veda ora, fra i tanti contributi, F. Briguglio, Studi sul procurator. I. L’acquisto del possesso e della proprietà, cit., 25 ss.; M. Miceli, Studi sulla “rappresentanza” nel diritto romano, I, Milano 2008, 191 ss.; A. Milazzo, Falsus procurator. Ricerche sull’evoluzione del concetto di falso rappresentante, cit., 57 ss.
[51] Si veda G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1982, Parte terza “Potestas”, Capitolo II “Il contenuto di «potestas»” §§ 4, 5 e 6 “Potestas e ius”, “In potestate esse” e “Privatus an cum potestate”.
[52] Di “semi-atti” scrivono G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, loc. cit., per indicare lo iussum ovvero il mandatum e le rispettive esecuzioni, il cui complesso forma l’atto volitivo il quale, incontrandosi con l’atto volitivo del terzo, forma infine il ‘negozio in nome e per conto’.
[53] Ci appare superficiale la spiegazione offertane da Sant’Isidoro di Siviglia (Isidoro, Etym., 5.24.20: mandatum dictum quod olim in commisso negotio alter alteri manum dabat) almeno nella traduzione corrente di “dare la mano”. Sul significato della espressione manum dare, intesa come dazione del potere, si veda P.P. Onida, Concretezza giuridica del mandato. Il problema della formazione e articolazione della volontà, in Aa.Vv., Città e diritto. Studi per la partecipazione civica. Un «Codice» per Curitiba, a cura di D. D’Orsogna - G. Lobrano - P.P. Onida, Napoli 2017, 148 ss.
Occorre tuttavia dire che a tale spiegazione è fatto frequente riferimento. Ricordo, ad es., F. Serrao, Il procurator, Milano 1947, in part. cap. VII “Il «procurator» e la «rappresentanza» dal diritto classico a Giustiniano”, 93 ss. e cap. IX “Indipendenza della procura dal mandato”, 173 ss.; G. Di Rosa, Il mandato, Tomo primo, Artt. 1703-1709, Il Codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano 2012, 27 ss.]; cfr. Id., Il mandato. I. La nozione, in I contratti di collaborazione, a cura di P. Sirena, Torino 2011, 27. In questa sequenza di autori si distaccano le posizioni di E. Betti, Diritto romano, 1, Parte generale, Padova 1935, 571 ss., secondo il quale l’espressione in esame significherebbe: “promessa di aiuto”; “affidamento di un uomo ad un altro” e, ora, di S. Randazzo, Mandare. Radici della doverosità e percorsi consensualistici nell’evoluzione del mandato romano, cit., 8 ss., il quale sostiene che essa evochi “l’esercizio di un potere giuridicamente fondato”.
[54] Si veda D. 17.1.1.2 (Paulus libro 32 ad edictum): supra, nt. 18.
[55] D. 1.6.4 (Ulpianus libro primo Institutionum).
[56] G. Lobrano, Il potere dei tribuni della
plebe, cit., 276 ss.; cfr. M. De
Simone, Studi sulla patria potestas. Il filius familias ‘designatus
rei publicae civis’, Torino 2017, 351-364, in part. 356 ss. e la Nota
di lettura di tale monografia fatta da Lobrano in Legal Roots. The international Journal of Roman Law, Legal History
and Comparative Law 7,
2018, 351-364.
[57] La espressione “articolazione” è usata da G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit., § II.2.c “Partecipazione e «cooperazione». Essa appare sottolineare la unità complessivo della negoziazione per mezzo di intermediari. Infatti, Lobrano e Onida usano – corrispondentemente – la espressione “partecipazione” per indicare l’azione dello iubens o mandante. Da parte della dottrina precedente (Rudolph von Jhering, v., supra, nt. 46) si usa invece la espressione “cooperazione” (“Mitwirkung”) la quale ha un significato omologo ma esprime meno il senso della unità d’azione.
[58] O “ìpo-tesi”, come titolava Giovanni Lobrano nel 2012 (si veda, supra, nt. 19).
[59] In proposito, G. Lobrano, Appunti per la lettura delle fonti. L’esempio – da discutere – della attribuzione della “rappresentanza” al Diritto romano, cit.
[60] Si veda, supra, nt. 19, la citazione di Weber.
[61] G. Lobrano,
Appunti per la lettura delle fonti. L’esempio – da discutere – della attribuzione della
“rappresentanza” al Diritto romano,
cit.; si veda, in part., la menzione di J. Lenoble - M. Maesschalck, L’Action
des normes, Eléments pour une théorie de la gouvernance, Sherbrooke 2009
[version française, enrichie d’une nouvelle introduction et d’une préface, de
l’ouvrage Towards a Theory of governance, The Action of Norms, The
Hague-London-New York 2003], XXVII: «La philosophie politique récente n’est pas
restée prisonnière de cette approche ‘représentative’ de la démocratie. [...]
L’idée émerge, tant dans les transformations qui affectent la réalité de nos
sociétés que dans la pensée politique de la démocratie, d’un nécessaire
renforcement des formes de participation des citoyens à l’exercice du
pouvoir. Mais le terme reste souvent vague. De plus, même là où l’analyse se
fait plus fine, l’exigence que ce terme dénote reste plus de l’ordre de la
boîte noire que d’une opération théoriquement construite. Ce défaut de
construction théorique explique ce que nous identifions comme un blocage»; cfr. ibidem,
XVIII e Id., Democracy,
Law and Governance, Padstow 2010.
[62] Il merito della cui menzione spetta, crediamo, a G. Coppola Bisazza, Lo iussum domini e la sostituzione negoziale nell’esperienza romana, Milano 2003, 22 ss.; ripresa da M. Miceli, Studi sulla “rappresentanza” nel diritto romano, cit., 87 ss.
[63] Nelle considerazioni svolte su tali testi, Coppola Bisazza, recupera, almeno parzialmente, la omologia tra iussum e mandatum, propria alla dottrina pre-pandettistica e categoricamente negata da quella pandettistica. Tuttavia questa Autrice lo fa accogliendo l’elemento determinante della dottrina più recente, cioè la natura ‘signorile’ di colui che ‘negozia in nome per conto’; così che il punto di contatto o di transizione tra iussum e mandatum sarebbe la natura di “autorizzazione” (e non di “comando) dello iussum. Ritroviamo, dunque, la sequenza vista in Arangio-Ruiz (supra, § 1, ntt. 30-35): iussum, procura e mandatum. Cfr. M. Miceli, Studi sulla “rappresentanza” nel diritto romano, cit., 87 ss.: «profonda evoluzione semantica del termine iussum, per cui all’originario significato di comando e di ordine indefettibile, si ha sempre più affiancato quello di ‘autorizzazione a compiere un atto o un affare, in un’accezione molto simile a quella assunta dal mandatum. Si spiegherebbe, in tal modo, l’uso sinonimico che spesso ricorre nelle fonti letterarie e giuridiche tra i lemmi ‘iussum’ e ‘mandatum’».
[64] G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit., nt. 105, e P.P. Onida, «Agire per altri» o «Agire per mezzo di altri». Appunti romanistici sulla «rappresentanza». I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, cit., 41 ss., ne ricordano le citazioni operatene da S. Solazzi, Errore e rappresentanza, in Rivista italiana per le scienze giuridiche 50, 1911, 229 ss. (ora in Id., Scritti di diritto romano I, Napoli 1955, 293 ss.) e da R. Quadrato, v. Rappresentanza. Diritto romano, in Enciclopedia del Diritto, XXXVIII, Milano 1987, 434.
[65] Che riprendiamo da Basilicorum Libri LX, Tomus II (lib. XIII-XXIII continens), Edidit C.G.E. Heimbach, Lipsiae 1840, rist. digit. a cura di M.A. Fino [= Collana della Rivista di Diritto Romano, Testi], Milano 2003, 704. Sulla produzione degli scholia all’opera giustinianea, si veda da ultimo M.L. Biccari, Prima traccia per una ricerca su «Dopo il Tardoantico: la voce dei giuristi nella costruzione dei codici e nella formazione dei giovani». Giovanni Nomofilace, in Studi urbinati di Scienze giuridiche, politiche ed economiche, nuova serie A, 68, 3-4, 2017, § 2. “Gli scholia”, 259 ss., ivi i riferimenti di dottrina.
[66] Contro la tesi suffragata dall’anonimo scoliasta, cioè che il mandatario non può considerarsi totalmente libero nello stipulare negozi giuridici impiegando il nome del mandante, si è espresso R. Martini, v. Mandato nel diritto romano, in Digesto. Discipline privatistiche. Sezione civile, XI, Torino 1994, 199 (= Il mandato, in Derecho Romano de obligaciones. Homenaje J.-L. Murga, coordinación y presentación J. Paricio, Madrid 1994, 639), il quale osserva che «Mentre infatti per la sua stessa genesi […] il procurator, un tempo schiavo, restò sempre anche in seguito, almeno sul piano sociale, un subordinato […] non c’è dubbio […] che […] il mandato sorse o per lo meno trovò applicazione nell’ambiente romano come un rapporto che si poneva in essere fra eguali, meglio anzi fra amici».
[67] Si veda G. Lobrano, La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana), cit.: «problema di base e complesso del diritto che è la concezione e il regime (cioè la “struttura” e la “dinamica”) unitari dell’agire volontario di una pluralità di uomini».
[68] Citato, supra, § precedente.
[69] Questione posta negli anni ’70 da P. Catalano, Populus Romanus Quirites, Torino 1974, e per la quale rinvio ora a P.P. Onida, Concretezza e unità della societas romana, in Estudios Latinoamericanos de Derecho romano, a cura di J. Adame Goddard - H. Heredia Vázquez, Ciudad de México, Instituto de Investigaciones Jurídicas, UNAM, 2017, 389 ss.