DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVIII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI
Campidoglio, 20-21 aprile 2018
Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano
MORFOLOGIA DELLO SPAZIO SINO-RUSSO: 1676-1690.
L’OPERA DI TOMÁS PEREIRA S.J.
Sommario: 1. Le interazioni tra Russia e Cina: complessità dei problemi e lineamenti storiografici. – 2. Il difficile accordo tra due poteri universali: – 2.a. Il pragmatismo di Kangxi nella testimonianza di Tomás Pereira; – 2.b. Le legazioni moscovite in Cina nel Seicento: Nicolae Milescu; – 2.c. Specificità e novità dell’accordo diplomatico sino-russo. – 3. Il contesto dell’accordo: La Cina dei Qing. – 4. La Relação diaria da viagem di Tomás Pereira S.J. (1689-1690) e i negoziati di Nerčinsk. – 5. Verso la delineazione concettuale di una frontiera: Milescu e Pereira.
«Eurasia
comprises the whole of the northern part of the European and
Asiatic
land-mass, from Portugal to the Bering Strait»
(George Orwell, 1984)
Fedele a un paradigma volto a comprendere l’universo politico tout court, l’esame storiografico dell’interazione tra i due imperi, russo e cinese, spesso risulta privo di sfumature o problematiche connesse all’espansione territoriale di queste due macro-unità politiche: la toponimia, la topografia, la misurazione del territorio, la rappresentazione cartografica, la conoscenza geografica, la nascente morfologia di un primo confine fra la Russia e la Cina, le questioni del riconoscimento reciproco e della rispettiva sovranità, e così via. Si può notare, tuttavia, che i contributi contenenti elementi analitici rivolti alla geografia e alla cartografia nord-asiatica si limitano a nomi come John F. Baddeley[1], Ernst George Ravenstein[2], Owen Lattimore[3], in una successiva generazione: Shirin Akiner[4] e Laura Hostetler[5]. Un’analisi che delinei i criteri e il nuovo ordine dei poteri in seguito al trattato di pace di Westfalia (1648), la messa a fuoco del problematico rapporto di due tipi di sovranità, di una nazione europea [Russia] e di una asiatica [Cina], prive di un comune riferimento come quello concordato a Westfalia: il noto jus Gentium, nonché la segnalazione dei nuovi parametri concettuali che derivano dalla delineazione e delimitazione dei confini di due macro-unità politiche nel Seicento risultano spunti storiografici ancora da indagare[6].
La mediazione russo-mancese entra nella storia delle relazioni internazionali, sciogliendo innanzitutto i problemi di una regione periferica (Albazin) rivendicata da entrambi gli imperi e riservando un’attenzione peculiare alla questione dei rapporti – di subordinazione o di uguaglianza – tra le parti, tematica controversa se valutata alla luce della dimensione asintotica dei loro costumi diplomatici.
Perché dunque impegnarsi nell’analisi di un cambio di paradigma nel quadro della storia delle relazioni sino-mancesi alla fine del Seicento?
La prima ragione si potrebbe desumere dalla specificità e dal contenuto delle fonti – le informazioni rinvenibili dalla missione di Nicolae Milescu presso la corte dei Qing[7] e dal diario di Tomás Pereira S.J. – poiché tante sono le notizie ivi reperibili: la diversità nelle usanze diplomatiche dei due imperi, lo statuto di paese tributario che l’Impero del Cielo aveva previsto per gli organismi politici stranieri[8] (ivi compreso per lo carstvo moscovita), i criteri di negoziazione fra due macro-unità politiche prive di una concreta consapevolezza dei loro limiti territoriali, i loro problemi regionali nelle aree di periferia e così via. La seconda ragione è legata alla periodizzazione delle relazioni sino-russe, poiché gli elementi dell’esplorazione – i viaggi, gli itinerari, l’allargamento delle conoscenze geografiche, la topografia del territorio esplorato[9] – inducono un cambiamento non soltanto nella cartografia, ma altresì nella concezione dello spazio di queste unità politiche. E la rilettura di tale vicenda diplomatica nella sua concreta evoluzione cronologica significa sia cogliere più nitidamente i forti contrasti delle loro tradizioni diplomatiche, sia individuare la pace di Nerčinsk come uno tra i maggiori eventi nelle relazioni internazionali fra l’Europa e l’Asia, nel Seicento.
L’incremento della conoscenza geografica, etnografica e cartografica in seguito al rapido svolgimento delle esplorazioni russe nell’Estremo Oriente, induce in effetti una trasformazione epistemica, in primis all’interno delle conoscenze russe riguardo al territorio asiatico, ma altresì nell’approccio dei letterati europei all’Asia Settentrionale. Si tratta di un cambiamento che non solo investe la conoscenza tout court dello spazio esplorato, ma che si traduce in quadri corografici più precisi, rispecchiati ad esempio nei criteri della divisione territoriale amministrativa e nella percezione sia delle differenze e caratteristiche delle componenti etniche e dell’ecosistema (ad es.: fauna, flora, delimitazioni naturali e così via), sia nell’acquisita consapevolezza delle peculiari esigenze insite nelle diversità antropiche e regionali.
La delimitazione e delineazione della prima frontiera sino-russa sancita a Nerčinsk (1689) si fonda prima di tutto sulle conoscenze geografiche acquisite dai russi – sulle mappe o gli schizzi russi чертеж/čertež[10], che caratterizzano la cartografia russa nel Seicento – e sulle conoscenze accumulate dai gesuiti nello svolgimento delle loro attività presso la corte imperiale di Kangxi, a Pechino
Tuttavia, sappiamo che la rappresentazione cartografica europea relativa alle regioni del nord-asiatico è anteriore all’anno 1690 e che spesso essa si presenta con proiezioni cartografiche accompagnate dal calcolo delle coordinate latitudinali[11]. Per quanto riguarda i rudimenti del calcolo della longitudine (spesso non privo di notevoli errori) si potrà vedere l’esempio della mappa eseguita dal letterato olandese Nicholas Witsen, così come appare nella prima edizione del Noord en Oost Tartarye [NOT] (importante anche per la sua dedica allo zar Pietro il Grande)[12], nonché le mappe dei gesuiti a Pechino, edite nel volume di Jean Baptiste Du Halde[13]. Si noti che le fonti cartografiche ora nominate, includono tutte la nuova delimitazione fra Russia e Cina. La prima rappresentazione cartografica della frontiera sino-russa eseguita secondo una proiezione cartografica – un misto fra una rappresentazione seicentesca čertež (d’impronta russa) e una proiezione (di tipo Mercator) fondata sul calcolo dei meridiani – appartiene al gesuita Antoine Thomas S.J., Tabula Geographica Orientis (1690), argomento che riprenderò più avanti. Quindi, in concomitanza e a seguito del trattato di Nerčinsk, anche nella storia della cartografia europea relativa agli spazi eurasiatici e alla prima frontiera sino-russa si registra un periodo di notevoli cambiamenti, degni d’essere opportunamente rilevati[14].
Certamente, gli aspetti analitici da prendere in considerazione non si limitano a quanto fin qui esposto; altri temi, di non poco rilievo per l’interpretazione dell’oggetto della presente ricerca, costituiscono un universo ancora da indagare.
La rielaborazione storiografica relativa al concetto di confine – una nozione che comincia a definirsi dall’Ottocento ed in primis con Friedrich Ratzel (1844-1904) che, nella stessa linea epistemologica svolta da Karl Ritter (1779-1859) e Alexander von Humboldt (1769-1859), può considerarsi il fondatore della geografia politica quale disciplina scientifica[15] – permette una prospettiva che includa nella storia delle relazioni internazionali anche la storia della suddetta frontiera fra la Russia e la Cina[16], aspetto questo affrontato in un’altra sede[17].
Alla domanda perché, in questo contesto, a fianco dei dati cartografici risulti necessario il contributo della storia del sapere matematico[18], si potrà rispondere che le differenze tra la rappresentazione cartografica russa (čertež) e quella dei gesuiti, malgrado evidenti somiglianze, sono notevoli[19]. E per poter effettuare uno studio comparativo di questi due tipi di mappe serve un’immersione nella storia delle proiezioni cartografiche europee del Seicento. Inoltre, la distinzione fra i tipi di proiezione e rappresentazione di questi due generi di mappe o delineationes può essere espressa soltanto alla luce delle nozioni di geometria, di trigonometria e del calcolo dei meridiani, possedute da una parte dei gesuiti insediati a Pechino. Per quanto riguarda la proiezione delle mappe russe (čertež), bisogna precisare che una proiezione di tipo matematico non esiste, e che non vi concorrono neppure calcoli trigonometrici. La loro specificità consiste nell’abbondante numero di toponimi ed etnonimi, nonché nella misurazione topografica fra due unità geografiche determinata in giorni di viaggio.
Riassumendo, penso di aver individuato almeno tre spunti analitici sui quali la storia della prima frontiera sino-russa potrà svilupparsi: (i) coniugare la politica con la storia delle conoscenze derivate dall’esplorazione, cogliendo gli elementi che diventano funzionali ai fini di un trattato di pace e/o di un conflitto fra le due unità politiche, senza stabilire fra politica e esplorazione un rapporto di “subordinazione”, ossia in modo che l’una non perda la propria autonomia rispetto all’altra[20]; (ii) sottoporre il binomio “sovranità-territorio” ad un’analisi attinente la storia delle relazioni internazionali, corredata dal valore emico della sovranità di ciascuna delle unità politica in questione; (iii) considerare il processo di delimitazione e delineazione dei confini attraverso il sapere cartografico e geografico acquisito dai protagonisti di entrambe le unità politiche, nonché dai mediatori quali furono i gesuiti residenti a Pechino. La lettura delle fonti messe a fuoco in questo contributo propone quindi questi spunti analitici, immaginando tuttavia che l’universo metodologico sarà sempre aperto e non certo limitato a queste chiavi interpretative.
L’opera del padre Pereira consente allo storico di osservare come i principi delle nascenti relazioni internazionali fra le grandi nazioni europee (le regole stabilite nel trattato di pace di Westfalia, nel 1648) non trovino riflesso nella trattativa dei Moscoviti con i Mancesi, ma nondimeno costoro abbiano fattivamente negoziato la loro frontiera. Emerge pertanto un forte contrasto fra le sfumature percepibili nella fonte Pereira e gli studi storici fino ai nostri giorni in merito alle missioni russe a Pechino nella seconda parte del XVII secolo.
Sta di fatto, in ogni caso, che le difficoltà di queste trattative furono superate dall’espresso desiderio dell’imperatore Kangxi di concludere il conflitto fra i Mancesi e i Moscoviti nell’Albazin; si trattò di un atteggiamento molto pragmatico di fronte a un conflitto incombente in una regione mista (rivendicata sia dai Mancesi che dai Moscoviti), conflitto superabile solo definendo e legittimando i confini fra la Russia e la Cina. Ai miei occhi, proprio questo appare essere il nucleo e la preziosità della fonte Pereira: la testimonianza estremamente esplicita in materia di strategia e pragmatismo dell’imperatore Kangxi nelle trattative con i Moscoviti.
Per quanto riguarda la questione teoretica delle relazioni fra un potere politico europeo ed uno asiatico, trattarne solo in base alla loro pretesa di sovranità risulterebbe inconcludente. Valutando stricto sensu il concetto di sovranità (sia dell’uno che dell’altro organismo imperiale), la logica non può che suggerire allo storico due considerazioni: (i) qualora non avessero rinunciato ai loro rispettivi cerimoniali, entrambi gli imperi si sarebbero attestati su posizioni di conflittualità e, di conseguenza, mai avrebbero potuto registrare un progresso nelle loro trattative bilaterali; quindi, (ii) accettare a priori il carattere tautologico del loro discorso diplomatico risulterebbe controproducente anche per il discorso storiografico. In effetti, questo tipo di paradigma interpretativo, vale a dire, addentrarsi nella logica delle differenze di cultura e civiltà, non comporta sempre un progresso epistemico o storiografico.
Di fatto, allora, i Qing si resero conto che la Russia, in quanto controparte in un trattato di pace, non poteva essere considerata un potere politico tributario. Di conseguenza le due parti giunsero ad accettarsi mutualmente. Per parte loro i Moscoviti, definito il primo limite alla loro espansione verso il Pacifico, divennero l’organismo politico più esteso sul mappamondo, e poterono successivamente imporre la propria supremazia nelle regioni nord-asiatiche.
Le relazioni diplomatiche sino-russe si erano intensificate durante il Seicento a causa del rapido avanzamento dei Russi verso l’Estremo Oriente ed anche grazie all’accoglienza loro concessa dall’Impero Celeste nella Città Proibita, inserendo quindi la Russia nella rete delle proprie relazioni con i poteri politici tributari o stranieri. La tradizione dei rapporti dell’Impero Celeste con i paesi esteri si era espressa attraverso lo svolgimento di trattative più commerciali che politiche, trattative in ogni caso sempre percepite nel quadro di un rapporto di netta subordinazione. L’immagine universale e protettiva dell’imperatore (il Figlio del Cielo), sviluppatasi sotto le dinastie cinesi, venne adottata anche dai mancesi senza troppe riserve. Tuttavia, nello svolgimento delle trattative con le popolazioni straniere, l’organismo istituzionale a tal compito preposto, il Lifan Yuan, assumeva comportamenti di volta in volta più confacenti alle situazioni e al paese in questione. Il modello di tali rapporti ufficiali non era affatto lineare[21], bensì regolato dagli interessi politici ed economici dei mancesi nell’Asia del Nord. Quello di Pechino era comunque un ferreo controllo, che si manifestava attraverso sofisticati cerimoniali di corte, nonché una complessa burocrazia istituzionale, che era parte integrante dell’esercizio del potere imperiale.
Anche la Russia, prima di aver concluso la pace con i Qing, dovette accettare a priori, negli affari politici, diplomatici e commerciali con la Cina, lo statuto di paese tributario. Con l’andar del tempo, la natura di questi rapporti cambiò; inizialmente, nelle aspettative dell’amministrazione dei Qing e dell’imperatore Kangxi, non rientrava l’idea di una prossimità territoriale con la Russia, tanto meno l’idea di trattare in merito a una regione rivendicata dai mancesi (l’Albazin) e, ancor meno, il progetto di delimitare l’estensione settentrionale dell’impero mancese d’intesa coi Moscoviti.
L’espansione russa giunta oltre il lago Bajkal era stata rilevata negli annali cinesi[22] a causa della presenza dei Cosacchi in prossimità della cittadella di Nerčinsk, nonché per la fondazione della fortezza moscovita di Albazin. In effetti, ciò era avvenuto nello stesso periodo in cui le iniziative russe a Pechino, soprattutto quelle mercantili, stavano conoscendo un leggero incremento.
La missione di Fëdor I. Bajkov, incaricato nel 1656 dallo zar Aleksej Michajlovič di recarsi alla corte dell’imperatore Shunzhi, è stata una delle poche ordinate da uno zar moscovita nel tentativo di stabilire contatti anche diplomatici e non soltanto commerciali. A quel punto prese avvio una corrispondenza diplomatica; tuttavia la mancata conoscenza della lingua cinese a Mosca determinò solo un tiepido effetto nel dialogo bilaterale.
La missione di Milescu a Pechino rappresenta, da questo punto di vista, la fase incipiente di una comunicazione più sicura fra i due imperi, una comunicazione segnata da lungimirante accortezza e mediata congiuntamente al gesuita Ferdinand Verbiest. La comune conoscenza della lingua latina costituì un grande vantaggio e fece sì che il padre missionario venisse incaricato dall’imperatore Kangxi di fungere da mediatore tra l’amministrazione dei Qing ed il diplomatico moscovita, instaurando così in modo formale il dialogo e le trattative fra la Russia e la Cina. L’accortezza dell’imperatore di implicare i gesuiti risulta evidente, considerando i risultati delle trattative di Nerčinsk. Anche il calcolo dei rischi si dimostrò minore, dal momento che le trattative poterono contare su una chiara e sicura comprensione linguistica. La missione di Fëdor Bajkov a Pechino era stata segnata, per l’appunto, da una totale mancanza di comprensione a livello linguistico, cui si associava l’incomprensione dei riti e delle usanze diplomatiche dei Qing. L’utilizzo dei prigionieri russi o cosacchi come interpreti nelle trattative imperiali di largo respiro non era idoneo, sicché introdurre il latino come lingua ufficiale nelle mediazioni russo-mancesi rappresentava un compromesso, che l’imperatore Kangxi aveva accettato anche in considerazione della sua stretta e proficua prossimità con Ferdinand Verbiest, il missionario cattolico, erudito e fedele, che a tutti gli effetti esercitò le funzioni di mediatore fra la corte imperiale di Pechino e i sovrani europei, prima del 1688 [23].
La corrispondenza imperiale, elaborata in lingua cinese e mancese, fu tradotta da Verbiest in latino e comunicata segretamente a Milescu, il quale ne riferì il contenuto alle autorità moscovite. La Russia in tal modo conobbe chiaramente i messaggi diplomatici e politici dell’imperatore mancese, e così iniziò la preparazione della missione successiva coordinata dal principe Fëdor Golovin, il quale ricevette un incarico cruciale per le relazioni russo-mancesi nel XVII secolo. In effetti fu il principe Golovin a realizzare un accordo che portò alla fine delle azioni belliche sull’Amur, all’instaurazione della pace fra i due imperi, e alla definizione delle frontiere nord-orientali della Cina.
Se le relazioni diplomatiche russo-mancesi avessero mantenuto lo stesso tenore instauratosi in occasione delle missioni commerciali (ad es.: Seitkul Abljn, Bajkov, Isbrand Ides e così via), probabilmente la riflessione storiografica al riguardo avrebbe potuto rimanere analoga a quella riservata alle altre missioni. Invece, subito dopo la missione di Milescu a Pechino, le realtà regionali nel bacino dell’Amur diventarono oggetto di analisi sempre più puntuali, determinando una modalità di trattativa completamente diversa, che spinse a negoziare su un territorio – rivendicato sia dai Russi, che dai Qing – dal punto di vista della sua appartenenza amministrativa e politica. Di conseguenza, la natura dei rapporti diplomatici fra la Russia e la Cina diventò una realtà a sé stante, senza precedenti, se valutata alla luce delle trattative dei Qing con i Russi o con le altre realtà politiche estere.
Di certo, l’insediamento delle truppe mancesi nel bacino dell’Amur, là dove i Cosacchi ed i Russi avevano costruito un piccolo ostrog nella seconda parte del XVII secolo, costituisce il preambolo bellico delle trattative di Nerčinsk, sicché non penso sia stato difficile indovinare il desidero dell’imperatore Kangxi di inglobare hic et nunc quella regione e di rafforzare il controllo sulla frontiera lungo fiume Heilongjiang. Anche per questo, più che cercare un modello delle relazioni fra i Russi e i Mancesi nel Seicento, ritengo opportuno focalizzare l’attenzione sulle circostanze che ne hanno determinato la configurazione, spingendo entrambe le parti verso la pacificazione e la definizione di una stabile frontiera fra le rispettive macro-unità politiche.
Con il Seicento la storia aveva registrato un nuovo capitolo non solo per l’Impero dei Romanov ma anche per l’Impero di Mezzo, se si pensa alla transizione dalla dinastia cinese dei Ming a quella mancese dei Qing. I Mancesi rappresentavano un potente gruppo multi-etnico insediatosi nelle aree del nord-est della Cina che, in pochi decenni, era riuscito a spostare la capitale da Mukden a Pechino, sede della nuova dinastia. Il principe Dogon (1612-1650), quattordicesimo figlio di Nurhaci (1558-1626), fu infatti il fondatore della dinastia Qing; egli entrò a Pechino con il suo esercito nel giugno 1644, sostenendo la proclamazione di Shunzhi (r. 1643-1661) come imperatore della Cina[24]. La conquista della capitale cinese da parte dei Mancesi testimonia la fase ascendente e decisiva della progressiva estensione del potere sulla popolazione coreana, mongola e cinese. I margini settentrionali della Cina, anche ai tempi della dinastia Ming, rappresentavano una zona strategica, in quanto gran parte dei rapporti con le tribù mongole venivano gestiti attraverso sistemi di difesa e scambi commerciali, essendo la stabilità e l’equilibrio di quelle relazioni sostanzialmente determinate dai privilegi conferiti ai vari clan stanziati in Mongolia Interna ed Esterna o nei dintorni di quest’area marginale. In realtà, le fluttuazioni (periodi di maggior coesione o di scarsa compattezza) delle tribù mongole sono considerate un fattore cruciale della storia seicentesca della suddetta area[25], rappresentando un capitolo della storia nord asiatica in attesa di ulteriori elaborazioni.
L’ascensione del giovane Kangxi al trono avvenne all’interno di tre contesti storici importanti: (i) la rivolta dei “tre feudatari” (cin.: Sanfan), nella parte meridionale della Cina, iniziata il 28 dicembre 1673 e conclusasi nel 1681 [26], che determinò una riduzione della difesa dei Manciù nella regione di Albazin, dove era stata rafforzata a seguito del progressivo insediamento di Cosacchi e Russi; (ii) la presenza dei Russi nelle aree settentrionali della Cina; (iii) la tendenza all’istituzione di un’omogenea confederazione mongola (i Zungari), coordinata da Galdan, difficilmente gestibile solo attraverso un sistema di scambi commerciali, o con espedienti quali l’astuto avvicinamento dell’imperatore al buddhismo lamaista e l’intensificazione dei rapporti politici con il quinto Dalai-Lama, Nag dban (1617-1682)[27]. In questo ambito della politica interna della dinastia Qing, si nota che la suddetta ribellione aumentò l’insicurezza dei margini settentrionali, incidendo ancor di più sulla riorganizzazione delle confederazioni mongole.
Tra i punti più spinosi, e ripetutamente richiamati dai Qing nelle loro trattative con i Russi, svoltesi fra il 1676 ed il 1689, spiccano il tradimento di Gantimur, il principe degli Evenchi – una tribù nomade appartenente alla famiglia linguistica Tungus – ricercato dalle autorità manciù[28], nonché il conflitto tra i Cosacchi residenti nella fortezza di Albazin e le autorità mancesi.
Per un’analisi delle relazioni sino-russe nella seconda parte del XVII secolo (nella loro continuità, fatta di interruzioni e riprese) suggerisco, come fonte complessiva, la lettura del rapporto ufficiale rilasciato da Milescu alla duma. Il perché tale documento debba considerarsi un testo di riferimento per la periodizzazione delle relazioni sino-russe è presto detto. Si tratta di un rapporto ufficiale – Statejnyj spisok [SSPNSK] – dal quale, inoltre, si ricavano significative informazioni sui costumi diplomatici manciù e sul cerimoniale imperiale nella Città Proibita, nonché indicazioni preziose in merito alla strategia diplomatica ed economica russa nell’Estremo Oriente. Tale fonte deve essere peraltro corredata con la documentazione offerta dalle fonti gesuitiche, legate ai nomi di Ferdinand Verbiest, Antoine Thomas, Tomás Pereira, François Gerbillon.
Un’altra ragione per stimolare l’analisi del Statejnyj spisok, quale fonte da cui è possibile ricavare aspetti fondamentali dei rapporti sino-russi alla fine del XVII secolo, consiste nella possibilità di reperire in esso elementi che anticipano gli obiettivi della missione di Golovin a Nerčinsk, ovvero la negoziazione della prima frontiera sino-russa e la ratifica della definitiva stabilità dei rapporti russi con la Cina.
In questo risulta altresì evidente il nesso diretto con la testimonianza offerta dal padre Pereira.
Accanto alle descrizioni sulla storia e la geografia della Tartaria eseguite da Jean-François Gerbillon (1654-1707)[30], nonché alle fonti shih-lu[31] e a quelle russe[32], la Relação diaria da viagem di Tomás Pereira S.J. rappresenta la fonte europea più importante e dettagliata concernente il contesto delle trattative russo-mancesi in seguito al conflitto bellico nella regione di Albazin e al trattato di pace firmato a Nerčinsk[33]. Nella voce “Songgotu” contenuta nell’opera Eminent Chinese of the Ch’ing Period[34], Arthur W. Hummel ricorda l’esistenza di altri due riassunti dedicati agli eventi di Nerčinsk: (i) la relazione del segretario Chang P’eng-ko, Fêng-shih Ê-lo-ss-u hsing-ch’êng lu, inserita nella I-hai chi-ch’en ts’ung-shu e (ii) la relazione del segretario personale di Songgotu (l’ambasciatore inviato da Kangxi a Nerčinsk per trattare con la delegazione russa), Ch’ien Liang-tsê, Ch’u-sai chi-lüeh, riscontrabile nella Chao-tai ts’ung. Queste due fonti cinesi, altrettanto complementari all’esposizione di Pereira, necessitano un contributo ai fini di un quadro completo e aggiornato della storia del primo trattato firmato fra una potenza europea ed una asiatica.
Come considerare la fonte Pereira in rapporto alle versioni ufficiali russe e mancesi, sapendo che la sua esposizione era rivolta in primis alla Compagnia di Gesù? Racchiude questa fonte elementi utili per una ricostruzione concettuale dell’idea di delimitazione connessa a una frontiera e a un confine? Si potrà ricavare una distinzione tra frontiera (area liminare) e confine (linea tracciata), considerando la fonte Pereira? Esistono all’interno di questa fonte degli elementi che ravvisino il bacino dell’Amur quale area “mista”[35]? Come configura la fonte Pereira il conflitto fra i mongoli Qalqa (Mongolia Esterna) ed gli Ölöd (ovest del Monti Altai) all’interno delle trattative russo-mancesi di fine Seicento? Costituisce questo conflitto una variabile importante per la configurazione amministrativa dell’area mista qual è il bacino dell’Amur?
Sono questi i rilevanti interrogativi, che scaturiscono dalla lettura della fonte Pereira, in parte presentati anche all’interno dell’analisi condotta in chiave storico-comparativa da Joseph Sebes. Mi propongo, dunque, di esporre brevemente la struttura e il contenuto del Relação diaria da viagem di Tomás Pereira S.J., seguendo a grandi linee gli interrogativi enunciati qui sopra e riproponendo discretamente quello che lo storico statunitense ha svolto con grande competenza nel suo contributo, ossia la contestualizzazione storica e storiografica della missione di Pereira nel panorama politico internazionale di fine Seicento nell’Estremo Oriente.
Una peculiare benevolenza dell’imperatore Kangxi nei confronti dei gesuiti si potrà notare sin dal principio, riflettendo in merito alla missione dei padri Tomás Pereira e François Gerbillon, e all’opportunità loro accordata di salire sul palcoscenico delle relazioni russo-mancesi accanto a figure politiche di altissimo rango, quali Songgotu e Tong Guogang[36]. Si tratta di un fatto rilevato non solo dal padre portoghese, ma anche dalle fonti shih-lu: «[…] Probably their [i.e. Moscoviti] customs were not much different from those of the Europeans. Therefore, when His Majesty [i.e. Kangxi] sent this embassy, he specially appointed two European officials to accompany this mission» [KH 27 (1688), 27:7:26 (21 agosto 1688)][37]. Questo “tramite”, ossia la mediazione operata dai due religiosi tra i Moscoviti e i Qing, permane per tutto il tempo nella missione di pace ed evidenzia la delicata funzione – a volte ingrata e quasi sempre faticosa – svolta da questi gesuiti.
L’aspetto, che in modo ricorrente viene manifestandosi nella trattativa, è la totale sfiducia fra le due parti coinvolte: la delegazione dei Qing e quella dei Moscoviti. Non fidarsi e arrischiare sono i verbi che definiscono il nodo gordiano che Pereira dovette tagliare, assumendo enormi rischi e assecondando con cura le situazioni favorevoli, che via via si vennero determinando nel corso delle trattative. Attraverso la sua Relação diventa percepibile l’intera prospettiva di queste trattative, offrendone così, quasi senza veli, una storia affascinante e di estremo interesse anche per i minuziosi particolari riferiti. Diversamente dalla retorica ufficiale (della delegazione russa e/o di quella mancese), in cui si rispecchiava il conflitto d’interessi fra i due imperi, il linguaggio di Pereira appare apprezzabilmente lontano da idiosincrasie e contrapposizioni. Proprio questo aspetto diviene fattore determinante per l’attribuzione a lui di un ruolo di particolare rilievo nelle trattative russo-mancesi.
Se considerato solo per l’immagine dei gesuiti a Pechino, che esso offre, il testo di Pereira potrebbe far pensare a una lettura leggermente edulcorata; sono proprio il raggiungimento della pace e la stipulazione del trattato per la frontiera tra Russia e Cina ad avvalorare il discorso del gesuita. La Relação di Pereira rappresenta, quindi, una fonte, non soltanto attendibile, ma imprescindibile per ricostruire, anche in minimi dettagli, l’azione mediatrice che sta al fondo di questo singolare esempio di relazioni internazionali fra un “potere europeo” e uno “asiatico”. Questo compito assegnato ai gesuiti fu loro conferito, con una scelta decisamente pragmatica, dall’imperatore Kangxi, in quanto il monarca mancese valutò i gesuiti stessi come i migliori conoscitori delle usanze e della mentalità di una nazione europea. Del resto, se dovessimo pensare a un precedente della negoziazione condotta da Tomás Pereira, inevitabile diverrebbe il richiamo al nome di un altro gesuita, Ferdinand Verbiest, che fu analogamente mediatore fra Kangxi e non la sola Moscovia, ma pure la Polonia e il Portogallo.
La fonte Pereira, corredata dalla fonte Gerbillon, edita nel quarto volume ottocentesco di J.-B. Du Halde, rappresenta un contributo storiografico quasi unico, in quanto un evento vi viene narrato da un soggetto terzo – i gesuiti – rispetto alle due entità politiche, direttamente implicate nel conflitto per l’Albazin. I gesuiti, peraltro, sono parte integrante dello scenario politico dell’impero mancese, ma il loro racconto – come già è stato segnalato – ha un destinatario diverso dalle parti direttamente implicate: ossia, gli esponenti di vertice della Compagnia di Gesù a Roma. Se l’esposizione dei padri gesuiti fosse da considerare una sorta di comunicazione da intelligence – vale a dire, con un contenuto narrativo volto a offrire una conoscenza pratica finalizzata alla formazione di una strategia politica imperiale – allora, potrei affermare che le informazioni concernenti la biodiversità, l’uso delle terre, il sistema idrografico, le popolazioni indigene, le strutture amministrative delle regioni del nord asiatico e la loro storia rappresentano dati di prima mano, di interesse per gli intellettuali e utili per le autorità politiche di qualsiasi corte europea dell’epoca.
Ritornando alla struttura, al contenuto, all’atteggiamento interiore da cui la narrazione è caratterizzata, la fonte Pereira riflette efficacemente l’atmosfera determinata dalle tensioni e dai timori degli ambasciatori mancesi e lo stemperarsi delle tensioni quando i capi delle delegazioni – nel progredire, talvolta contraddittorio, della trattativa – assumevano toni più concilianti. L’itinerario narrativo può ritenersi scandito da un succedersi di momenti: (i) l’imponente immagine di un enorme numero di soldati e cavalli in cammino fra Pechino e Nerčinsk; (ii) lo scenario di un viaggio dall’imprevedibile conflitto fra i Qalqa (Mongolia Esterna) e gli Ölöd; (iii) la sopportazione esercitata nel reyno dos mosquitos mentre si raggiungevano le aree del fiume Kerülen e poi Argun (fino al punto dove l’Argun confluisce con la Šilka, formando il Fiume Nero o Sagalien Ula, Amur o Heilongjiang)[38]; (iv) le foreste dense nei dintorni del fiume Amur, che nascondono una biodiversità dal Pereira mai vista, ad es.: «[…] caminhando entre estes alagadissos em que já não sentiamos a penuria de agoa mas abundancia, achamos muita cantidade de ruibarbo naquelles desertos» (Relação, op. cit., 194); (v) le bizzarre storie delle precedenti relazioni sino-moscovite, come quelle di Bajkov e di Spathar; (vi) il preoccupante desiderio, manifestato sia dai Russi che dai Mancesi, di occupare la sede di Albazin; (vii) i tentativi di Pereira nel convincere ambedue le delegazioni – moscovita e mancese – a mettersi d’accordo per avviare la discussione delle rispettive proposte sulla definizione dei confini fra i due imperi; infine (viii) il gratificante accordo ottenuto grazie alla mediazione giudiziosa e realistica di Tomás Pereira, accordo tradottosi in un trattato di pace, senza precedenti, fra Moscovia e Cina.
Il risultato fu di fatto quello auspicato dalle delegazioni ufficiali ed anche dalla parte terza, i padri gesuiti: trattare direttamente sui luoghi che avrebbero segnato il confine tra i due imperi. L’artefice primo di questo risultato è senz’altro Tomás Pereira, il gesuita musicista che, in questo caso, anziché presentare il solito entertainment alla corte imperiale dei Qing, suonando il clavicembalo, riuscì a trovare una mirabile “eufonia”, armonizzando attraverso la sua mediazione i “suoni” dissonanti di un’insensata dialettica retorica tra i due imperi. In questo senso, la caratura del mediatore sembra superare quella dello stesso musicista Pereira, e rimane ancora materia da indagare con riferimento in particolare al suo operato presso l’imperatore Kangxi. Certamente il cruciale contributo di Tomás Pereira nelle relazioni tra la delegazione ufficiale moscovita e quella dei Mancesi, scaturisce dall’accorta politica dell’imperatore che, reclutando i due gesuiti, attraverso la pluralità dei protagonisti, creò le premesse per un fruttuoso confronto tra i rappresentanti dei due imperi.
Per questo, nonostante le qualità incontestabili dei vari protagonisti coinvolti nella mediazione sulle frontiere, proprio il pragmatismo dell’imperatore Kangxi fu il fattore decisivo che rafforzò le trattative e le orientò verso il loro felice compimento; sicché un’area che da più decenni assorbiva tutte le energie delle due entità politiche, fu trasformata in un’area funzionale alle rispettive esigenze. A tale riguardo, è significativo il fatto che, dallo scritto del Pereira risulti come, nel corso della trattativa, sia per i Qing che per i Moscoviti la preoccupazione maggiore fosse divenuta, non la supremazia degli uni o degli altri sul territorio conteso, ma la definizione del limes amministrativo (ufficialmente e reciprocamente riconosciuto) fra Russia e Cina; il controllo del territorio, lo scambio dei prigionieri, i rapporti con e fra i Mongoli (sia a est che a ovest dei monti Altai), la riattivazione dei rapporti economici, l’accesso in Cina delle carovane dei mercanti provenienti dalla Russia, e così via, vennero configurandosi sempre più chiaramente come problemi consequenziali.
Ma in merito alla relazione di Tomás Pereira, penso sia importante notare pure il nesso, che in essa viene stabilito fra le coordinate geografiche di una città nord-asiatica e la sua posizione strategica, mostrandone così un’aurorale inquadratura di natura geopolitica:
«O rio Nip chu [i.e.
Nerčinsk] corre pera o sul e entra no Rio Nero da parte do norte. Fica a
provação em lugar plaino, em altura de polo do norte 51 grados e quasi meyo[39],
unida de hum lado aquelle rio que lhe fica ao oeste ou poente (como disem) e a
provação ao nacente ou leste distante algumas carrieiras de cavallo do Rio
Nero. [...] Da outra banda do rio de Nip chu ao poente ficão altos montes[40]
que facilmente dominão a dita povoação, a qual se não pode sustentar contra
nação europea sem fortificar os ditos monetes que a dominão. [...] Pello
discurso dos annos sobreditos fabricarão os Moscovitas huma povoação murada de
grossas traves, a que chamarão Albazim [i.e. Albazin o Yagza], dirivando
este nome do senhor ou mayor pastor daquella terra sogeito a este omperiod por
nome Albajù Os Tartaros [i.e. i Mancesi] porem lhe chamão Yagzá. Pello
que este Imperador [i.e. Kangxi] se resolveo haverá 4 ou sinco annos a
mandar exercito e citiando os Oruses os obrigou a largar o que violentamente
conservarão»[41].
Nella biografia di Pereira non risulta una peculiare competenza per la geografia, tanto meno una propensione a rilevare scenari strategici e politici internazionali. Penso sia abbastanza ovvio che la comprovata capacità di far proprio e comprendere il contesto storico della trattativa russo-mancese rifletta una messa a frutto delle doti di tutti i membri della Compagnia di Gesù a Pechino. Tutti quanti i gesuiti sono stati coinvolti, in un modo o in un altro, nelle attività espressamente sollecitate dall’imperatore Kangxi e dalla famiglia imperiale in materia di astronomia, cartografia, matematica, musica ecc. I casi di Verbiest, di Pereira e di Gerbillon possono considerarsi le voci emblematiche di tale impegno collettivo.
Come si è segnalato, la fonte Pereira comprende anche indicazioni di coordinate spaziali: la città di Nerčinsk, la fortezza di Albazin, le unità geografiche ad esse limitrofe, i fiumi e le montagne che circoscrivono queste aree ecc. Si fa così intendere al lettore che il valore dell’esposizione, oltre che nel ruolo di mediazione efficacemente svolto dall’autore e nella sua diretta conoscenza del territorio, trova conferma in un qualificato complesso di conoscenze. I dettagli di tipo storico, come l’inserimento di dati concernenti le precedenti missioni moscovite a Pechino (Bajkov e Spathar) o le incursioni delle truppe mancesi nell’Albazin anteriormente all’anno 1689, rappresentano certamente informazioni acquisite dal Pereira sia tramite i propri confratelli della comunità pechinese, sia nell’ambito della corte imperiale.
Quanto alla dinamica e allo svolgimento dei negoziati, nella fonte Pereira si individuano tre fasi importanti. La prima, che va dal 14 marzo 1688 al giugno del 1689, comprende la proposta dell’imperatore Kangxi in merito alle cittadelle (ostrog) di Selenginsk e di Nerčinsk quali luoghi più idonei per lo svolgimento della conferenza di pace, con la successiva opzione a favore della seconda per evitare l’attacco degli Ölöd contro i Qalqa; seguono le notizie riguardanti le missioni di Stephan Korovin e di Ivan Loginov, inviati dell’ambasciatore Golovin a Pechino; viene infine descritto lo scenario delle trattative: il numero dei soldati presenti, i luoghi di accampamento delle due delegazioni, i provvedimenti per garantire la sicurezza durante la conferenza e così via. La seconda fase prende avvio il 22-23 luglio e prosegue fino al 4 settembre 1689; essa è caratterizzata dai pronunciamenti dei plenipotenziari russi e, successivamente, di quelli mancesi in merito ai luoghi, che avrebbero dovuto essere assunti come punti di riferimento per delineare il confine fra Cina e Russia. La terza fase, 5-7 settembre 1689, corrisponde alla redazione del testo del trattato, seguita dall’approvazione ad opera dei membri di entrambe le delegazioni.
Nella Relação di Pereira si può individuare anche una struttura narrativa di tipo tripartito, così configurabile: (i) ragguagli di tipo storico, più precisamente una breve cronaca delle relazioni russo-mancesi, nel cui ambito si colloca anche la missione di Milescu del 1676; (ii) ragguagli di tipo geografico, in cui viene descritta l’area a nord-ovest del fiume Amur, ad es.: il lago Dal, il monte Pecha, i fiumi Kerülen, Suctei, Tuihen, Pori, Umdu, Amur, Nerča e così via (si tratta di compiute informazioni inerenti esattamente l’ambito territoriale raggiunto dalle due delegazioni e oggetto della loro negoziazione politica); (iii) ragguagli che riassumano le trattative russo-mancesi, con i loro parziali fallimenti e i malintesi, e con la loro felice e benefica conclusione: il trattato di Nerčinsk.
In siffatta esposizione, caratterizzata da aspetti di tipo storico, geografico e politico, possiamo cogliere l’avvio di una definizione concettuale della prima frontiera tra Russia e Cina:
«[…] Aos 26 mandou o lingua latino com suas duvidas, trasendo o mapa das terras[42] e inteirando-se do intendo de nossos embaixadores[43]. [...] Aod 31 os levamos, e no 1° de Septembro puserão os Moscovitas suas dificuldades. Entre as quaes foi o principal sobre o monte Noz, que está ao norte 75 grados (que tanto se estendem estas terras ao polo). Aos 2 de Septembro resolverão os Moscovitas em como não podião vir na condição de conceder athé o monte Noz, escrevendo a nossos embaixadores hum protesto sincero, prudente, não humilde nem soberbo [...]»[44].
In che senso queste annotazioni ricavate dalla fonte Pereira possono offrire un contributo alla delineazione concettuale di una frontiera? Innanzitutto veniamo a sapere dell’esistenza di una mappa della regione nord-occidentale della Mongolia Interna e della Cina, mappa finalizzata a rappresentare i confini proposti dalla delegazione russa: a nord la catena dei monti Khingan, che si costituisce come un importante spartiacque tra i fiumi della pianura del nord-est (Liao, Sungari [Songhua] e Nen [Nonni]) a est e, a ovest, i rami sorgentizi dell’Amur e dei suoi affluenti. Il confine concordato fu il fiume Argun[45] a nord fino alla sua confluenza con il fiume Šilka, poi il medesimo corso d’acqua, con il nome di Amur, lungo la direttrice ovest-est, avendo a nord le montagne Stanovoj, e verso sud fino a Khabarovsk; il confine proseguiva poi risalendo il corso del fiume Ussuri nel territorio di Khabarovsk (Khabarovsk Krai) fino al mare di Okhotsk all’angolo sud-ovest. Il confine a ovest dell’Argun non era definito (all’epoca questa zona era controllata dagli Oirats), e nessuna delle due parti aveva una conoscenza molto precisa del bacino del Selenga.
La fonte Gerbillon indica quasi le stesse coordinate aggiungendo informazioni ancor più accurate[46]:
«Le 26 un Député des Plénipotentiaires Moscovites vient trouver nos Ambassadeurs pour savoir leur dernier résolution: on lui montra sur une grande carte qu’avait un des nos Taigin, les bornes qu’on prétendait mettre entre les deux Empires: ces bornes étaient d’une coté un ruisseau ou un petite rivière nommée Kerbechi [i.e. Gorbica], qui prend sa source proche d’une grand chaîne de montagnes qui s’étend depuis là jusque à la mer Orientale, et qui est au nord de Saghalien oula [i.e. Amur[47]], dans le quelle cette petit rivière vient se décharger à 30 ou 40 lieuës [i.e. li] de Nipchou [i.e. Nerčinsk], et on assigna le sommet de ces montagnes pour bornes des deux Empire en sorte que tout le pays qui s’étendait vers le Nord de l’autre coté des mêmes montagnes, demeurait aux Moscovites, aussi-bien que celui qui s’étendait vers l’ouest, au-delà de cette même rivière de Kerbechi. De l’autre coté, c’est-à-dire, au midi de fleuve Saghalien oula, on assigna pour bornes la rivière d’Ergone, qui prenant sa source d’un grand lac qui est au Sud-Est de Niptchou, a soixante-dix ou quatre vingt lieuës, vient aussi se dégorger dans le fleuve Saghalien oula: nos Ambassadeurs vouloient donc que tout le pays qui est à l’Est & au Sud de cette rivière d’Ergoné leur appartînt tellement aux Moscovites, qu’ils n’habitassent cependant que le pays qui est entre le fleuve Saghalien oula, & une chaîne de montagnes qui se trouve au Sud de ce fleuve…»[48].
Sul fatto che una mappa russa (чертеж/čertež) fosse stata disponibile nelle trattative di Nerčinsk, non credo ci possano essere dubbi in quanto questo fatto viene confermato anche dalle fonti cinesi: «Essi ci mostrarono le loro carte geografiche e si consultarono con noi per la definizione della frontiera. Da ambedue le parti giurammo di vivere in amicizia, concordia e pace per sempre» (Songgotu, Ta Ch’ing Sheng-tsu jen-hunag-ti shih-lu, chüan 143, 14b-15b)[49].
Vi è un nesso evidente tra le informazioni di tipo cartografico e geografico presentate a Nerčinsk dalla delegazione moscovita tramite l’interprete di lingua latina (i.e. Andreij Belobotskij) – informazioni di cui danno conto le narrazioni dei due gesuiti – e le minuziose descrizioni dell’area di frontiera tra Russia e Cina reperibili negli scritti e nelle mappe di Nicolae Milescu, il diplomatico di origini moldave, che in nome di Mosca aveva operato a Pechino nella seconda metà degli anni Settanta. Al riguardo, una fonte ancora poco indagata risulta essere la corrispondenza fra Milescu e Golovin, l’ambasciatore incaricato per le trattative di Nerčinsk. La formulazione delle istruzioni per le missioni diplomatiche russe (e non solo russe) richiedeva necessariamente l’utilizzo delle informazioni precedentemente acquisite; in questo caso fondamentale risultava l’immenso corpus prodotto da Milescu (oltre 500 fogli manoscritti) trasmesso, forse assieme alla sua mappa (The Spatharios Map), alla duma moscovita nel 1678 [50].
Il contributo delle descrizioni geografiche e della cartografia nel definire un’area di frontiera e nel definire concretamente il tracciato di un confine risulta essere essenziale. Se i fattori geografici possono incidere sull’ubicazione e sull’andamento di un confine, la rappresentazione cartografica costituisce un supporto fondamentale nella definizione concreta del tracciato, fornendo un quadro puntuale del contesto (ad es.: le vie di accesso, la presenza di corsi d’acqua e dei relativi bacini, rilievi montuosi e così via). Inoltre è attraverso i dati cartografici che si evidenzia l’evoluzione di un confine nel corso del tempo[51].
L’accuratezza documentale richiesta al lavoro di fissazione di un confine è ovviamente strettamente legata al fatto che tale operazione significa anzitutto stabilire limiti alla sovranità delle entità politiche confinanti[52], e nel caso del trattato di Nerčinsk tali entità erano due imperi, che si concepivano – per usare le parole di Virgilio (Aeneis I.278-279) – sine fine.
Quindi, all’interrogativo se la fonte Pereira e la fonte Milescu offrano sufficienti elementi per elaborare un’idea di frontiera e di confine, ritengo che entrambe le cronache siano ricche di informazioni utili al riguardo.
Con più precisa focalizzazione sul caso considerato in questa sede, penso si possa affermare: (i) che la genesi della frontiera russo-mancese consista anzitutto in un problema di natura regionale, che investì tuttavia una valutazione più generale in merito ai limiti di due istituzioni imperiali; (ii) che la frontiera fissata a Nerčinsk tra Russia e Cina tese a configurarsi in termini di confine naturale, dal momento che la linea di demarcazione collimò di fatto con la configurazione dei territori del bacino dell’Amur e con la loro rappresentazione cartografica; (iii) che nei dibattiti sviluppatisi nell’ambito delle trattative le delegazioni fecero ricorso a un tipo di retorica, in cui si faceva abbondantemente appello alla storia e all’estensione dei due imperi.
Dal punto di vista della storia delle relazioni internazionali, credo sia possibile affermare: (i) che Milescu rappresenti nella storia delle relazioni sino-mancesi un mediatore importante in quanto riuscì a trasmettere alla corte moscovita informazioni strategiche, facilitando la conoscenza del territorio nord-asiatico e l’individuazione geografica e cartografica di quello che sarebbe stato il primo confine fra la Russia e la Cina; (ii) che a Pereira debba riconoscersi un ruolo fondamentale nell’ambito dei negoziati svoltisi a Nerčinsk, in quanto mediatore di successo che, nonostante la reciproca sfiducia fra le due delegazioni, riuscì a sostenere e ad alimentare il loro fragile dialogo, portandole a un accordo bilaterale destinato a sfidare i secoli[53].
[Un evento culturale, in
quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi
valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa
ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati
valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVIII Seminario
internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del
CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle
Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di
Roma, sul tema: «IMPERO UNIVERSALE, CITTÀ, COMMERCI: DA ROMA A MOSCA, A
NERČINSK») e dalla direzione di Diritto @ Storia]
[1] J.F. BADDELEY, Russia, Mongolia,
China. Being some Record of the Relations between them from
the beginning of the XVIIth Century to the Death of Tsar Alexei Mikhailovich
A.D. 1602-1676. Rendered mainly in the form of Narratives dictated or written
by the Envoys sent by the Russian Tsars, or their Voevodas in Siberia to the
Kalmuk and Mongol Khans & Princes; and to the Emperors of China. With
Introductions, Historical and Geographical also a Series of Maps showing the
progress of Geographical Knowledge in regard to Northern Asia, during the
XVIth, XVIIth, & early XVIIIth Centuries. The Texts taken more especially
from Manuscripts in the Moskow Foreign Office Archive. The Whole by John F.
Baddeley, Author of The Russian Conquest of the Caucasus, Macmillan and Company,
London 1919, Vol. I-II, 15-ccclxv + 1 f. er. + tab. geneal. A-I, mappe, etc.,
xii-466, New York 1972.
[2] E.G.
RAVENSTEIN, The Russians on the Amur. Its Discovery
Conquest and Colonisation, 2005 (ristampa digitale dell’edizione
Londra 1861).
[3] O.
LATTIMORE, Caravan Routes of Inner Asia: The Third Asia Lecture, in Geographical
Journal 72, 1928, no. 6, 497 ss.; Id., Chinese
Colonization in Manchuria, in Geographical Review [= GR]
22/2, 1932, 177 ss.; Id.,
Origins of the Great Wall of China: A Frontier Concept in Theory and Practice, in GR
27, 1937, 529 ss.; Id., Inner
Asian Frontiers of China, Nyack, New York 1940.
[4] S.
AKINER, Conceptual Geographies of Central Asia, in Sustainable
Development in Central Asia, New York 1998, 3 ss.
[5] L. HOSTETLER, Qing
Connections to the Early Modern World. Ethnography and Cartography in
Eighteenth-Century China, in Modern Asian Studies 34, 2000, no. 3,
623 ss.; Ead., Qing colonial
Enterprise. Ethnography and Cartography in Early Modern China, Chicago
2001; Ead., Contending
cartographic claims? The Qing empire in Manchu, Chinese and European maps,
in The Imperial Map: Cartography and the Mastery of Empire [Series:
The Kenneth Nebenzahl Jr., Lectures in the History of Cartography], a
cura di J.R. Akerman, Chicago 2009, 93 ss.
[6] Fra i pochi contributi analitici concernenti le
differenze dei costumi diplomatici tra una nazione europea (Gran Bretagna) e
una asiatica (Cina), nonché il peculiare comportamento degli ufficiali
dell’amministrazione mancese rispetto alle delegazioni di provenienza estera,
spiccano quelli dello studioso statunitense JAMES
L. HEVIA, Cherishing Men from Afar: Qing Guest Ritual and the Macarteny Embassy of 1793, Durham 1995 (vedasi anche la recensione di P.K.
CROSSLEY, in Harvard Journal of Asiatic Studies 57/2, 1997, 597 ss.); Id., Lamas, Emperors and Rituals: Political
Implications in Qing Imperial Ceremonies, in Journal of the International Association
of Buddhist Studies 16/2, 1993, 243 ss.; Id., A Multitude Lords: Qing Court Ritual and the Macartney Embassy of 1793, in Late Imperial China 10/2, 1989, 72 ss.; Id.,
Sovereignty and Subject: Constituting Relations of
Power in Qing Guest Ritual, in Body, Subject, and Power in China, a cura di A. Zito e T.E. Barlow, Chicago 1994.
[7] Статейный список посольства Николая Спафария в Китай (1675-1678 гг.), 1906. (Statejnyj spisok posol’stva Nikolaij Spafarija v Kitae, 1675-1678 vv.) [Rapporto ufficiale della missione in Cina di N. Spafarii, 1675-1678], a cura di Ju.V. ARSEN’EV, in Вестник археологической комиссией Рос. Археологического общества 17/1, 1906, 6 ss.; Id., ibidem 17/2, 1906, 162 ss., San Pietroburgo, 1906 [SSPSNK]; Русско-китайские отношения в XVII в.: Материалы и Документы. (Russo-kitaiskie otnosheniia v XVII veke: Materially i Dokumenty (1609-1691) [Relazioni sino-russe nel Seicento: Documenti e fonti (1609-1691)], a cura di N.F. Demidova, P. Miasnikov, Mosca 1969/1972, vol. I.
[8] Ritengo necessario rimandare agli studi classici di J.K. FAIRBANK, S.Y. TÊNG, On The Transmission of Ch’ing Documents, in Harvard Journal of Asiatic Studies [=HJAS] 4/1, 1939, 12 ss.; Id., On The Ch’ing Tributary Sistem, in HJAS 6/2, 1941, 135 ss.; J.K. FAIRBANK, Tributary Trade and China’s Relations with the West, in Far Eastern Quarterly 1/2, 1942, 129 ss.; studio eccessivamente tributario nei confronti delle tesi di J.F. Fairbank, e pertanto da utilizzarsi con qualche cautela, appare il volume di M. MANCALL, Russia and China: Their Diplomatic Relations to 1728, Cambridge Massachusetts 1971.
[9] Fra gli studiosi che hanno introdotto
l’esplorazione quale fattore importante per la periodizzazione della storia
pre-moderna delle aree del Sud-Est asiatico, va annoverato lo storico di
origini indiane Sanjay Subrahmanyam. Si consultino i suoi illuminanti
saggi storiografici: S. SUBRAHMANYAM, Connected Histories:
Notes towards a Reconfiguration of Early Modern Eurasia, in Modern
Asian Studies 31, 1997, no. 3 [Special Issue: The Eurasian Context of
the Early Modern History of Mainland South East Asia, 1400-1800], 735 ss.;
utile e illuminante anche il saggio di S. SEN, The New Frontiers of Manchu
China and the Historiography of Asian Empires: A Review Essay, in Journal
of Asian Studies 61/1, 2002, no. 1, 165 ss.
[10] Чертеж/ čertež corrisponde al lat. delineatio e all’inglese draught, sketch.
[11] Il calcolo della latitudine inizia
molto prima rispetto a quello della longitudine. A mo’ di esemplificazione, si
possono ricordare i calcoli dei meridiani effettuati da Martino Martini S.J.,
molto spesso condivisi con il suo Maestro per la matematica, Athanasius
Kircher; per le fonti e la bibliografia attinenti questo argomento, rimando a
M. MARTINI, Novus Atlas Sinensis [Atlas Sinicus, Sive Magni Sinarum
Imperii Geographica descriptio o Atlas Extremæ Asiæ sive Sinarvm Imperii
Geographica Descriptio], Amsterdam 1655, in M. MARTINI, Opera Omnia
(vol. I: Lettere e documenti; vol. II: Opere minori; vol. III,
1-2: Novus Atlas Sinensis), a cura di G. Bertuccioli, edizione diretta
da F. Demarchi, Trento 1998-2002. Inoltre, per una storia generale
dell’approccio scientifico al calcolo della latitudine si potrà consultare S.
PUMFEREY, Latitude and Magnetic Earth. Revolutions in
science, Duxford-Cambridge 2002; J.W. WITEK, The role of Antoine Thomas, S. J.
(1644-1709) in determining the terrestrial meridian line in eighteenth-century
China, in The History of the relations between the Low Countries and China
in the Qing era (1644-1911), a cura di W.F. Vande Walle e N. Golvers,
Leuven 2003, 89 ss.
[12] N. WITSEN, Noord
en Oost Tartarye, ofte Bondigh Ontwerp van Eenige dier landen, en volken, zo
als voormaels bekent zyn geweest Benessens Verscheide tot noch toe onbekende,
en meest noit voorheen beschreve Tarterche en nabuerige gewesten, lantstreken,
steden, rivieren, en plaetzen, in de Noorder en Oosterlykste Gedeelten van Asia
en Europa, Zo buiten en binnen de rivieren Tanais en Oby, als omtrent de
Kaspische, Indische-Ooster, en Swarte Zee gelegen i gelyk de lantschappen
Niuche, Dauria, Jesso, Moegalia, Kalmakkia, Tangut, Usbek, Noorder Persie,
Georgia, Circassia, Crim, Altin, enz. Mitsgarders Tingoesia, Siberia,
Samojedia, en andere aen Hare Zaerze Majesteiten Kroon gehoorende
heerschappyen: Met der zelver Lant-Kaerten: Zedett nauwkeurigh onderzoek van
veele jaren, en eigen ondervindinge bescreven, getekent, en in’t licht gegeven,
Door Nicolaes Witsen, Amsterdam MDCXCII.
[13] J.-B. DU HALDE, Description
géographique, historique, chronologique, politique et physique de l’Empire de
la Chine et de la Tartarie Chinoise, enrichie des Cartes Générales et
particulières de ces Pays, de la Carte Générale et de la Carte particulière du
Tibet et de la Corée et ornée d’un grand nombre de Figures et des Vignettes
gravées en Taille-douce, Paris 1735 (I-ère edition), vol. I-IV, in-f°, La Haye 1736 (II-ème
edition), vol. I-IV, in-f°.
[14] D. DUMBRAVA, The Spatharios Map, 1682 (?) in the Leo Bagrow Collection at the Houghton Library, Research Colloquium: Religion and Manchu society, 1600-2009, relazione presentata presso la School of Oriental and African Studies, University of London, 15-17 February 2010; Ead., La Tabula Geographica Orientis di Antoine Thomas. Note sulla sua genesi storica ed epistemica, in “Sulla via del Catai”. La generazione dei giganti, II, a cura di L.M. Paternicò, vol. X, Centro Studi Martino Martini, 97 ss. [con mappe ed illustrazioni].
[15] F. RATZEL, Politische Geographie oder
die Geographie der Staaten, des Verkehrs und des Krieges, München &
Leipzig 1897. La
prospettiva metodologica e la elaborazione concettuale concernente la definizione
di frontiera e di confine si lega alla tradizione storiografica rappresentata
da F. Ratzel (1897), Vidal de la Blanche (1898), Jaques Ancel (1938), Y.-M.
Goblet (1956), per citare alcuni tra i nomi più importanti. La definizione e
rappresentazione di un’unità politica (tribù, regione, khanato, confederazione,
nazione, stato, impero) nell’ambito della disciplina geografica attraverso una
delle sue più importanti ramificazioni – la geopolitica – avviene molto più
tardi (fine dell’Ottocento, inizio del Novecento). Sicché la storia seicentesca
delle frontiere eurasiatiche rimane una materia ancora da indagare, così come
la natura e la definizione della corografia in riferimento a nazioni che si
rappresentano su una mappa seicentesca. L’idea di includere questa materia nel
campo della storia delle relazioni internazionali appartiene allo studioso
francese J. Ancel (1936): un’idea preziosa e utile per lo storico che si
proponga di connettere il trattato di pace di Nerčinsk con il principio
d’uguaglianza fra le nazioni enunciato a Westfalia nel 1648. In merito alla
bibliografia concernente la tradizione storiografica segnalata, si può
consultare l’ottima sintesi offerta da R. HARTSHORNE, The Nature of
Geography. A Critical Survey of Current Thought in the Light of
the Past, 3a ed., Jaipur-New Delhi 2005; F. FARINELLI, Friedrich
Ratzel and the nature of (political) geography, in Political Geography
19/8, 2000, 943 ss.; G. PARKER, Ratzel, the French school and the birth of
Alternative Geopolitics, in Political Geography 19/8, 2000, 957 ss.
[16] Cfr. J.V.R.
PRESCOTT, Boundaries and frontiers, London 1978.
[17] D. DUMBRAVA, La missione di Nicolae Milescu in Asia Settentrionale, tesi di dottorato presso l’Università di Firenze, 358 e passim.
[18] Nella residenza imperiale Yangxin-dian,
si era notata la presenza di Antoine Thomas (1644-1709) in veste di precettore
del giovane imperatore mancese Kangxi per le scienze matematiche (algebra,
aritmetica e geometria euclidea) nonché come cartografo (Tabula Geographica
Orientis e la Mappa dell’Asia), accanto ai suoi compagni della
Compagnia di Gesù presenti in Cina, il francese Joachim Bouvet (1656-1709) e
l’italiano Claudio Filippo Grimaldi (1638-1712). Fatto abbastanza noto, Antoine
Thomas arriva a Pechino il 7 novembre del 1685 e grazie alla sua preparazione
nelle scienze del quadrivium, viene nominato come successore di
Ferdinand Verbiest (1623-1688) al coordinamento dell’ufficio imperiale
astronomico di Pechino, dall’anno 1688 in poi. Per i dettagli concernenti la
formazione e la preparazione di Antoine Thomas, si consulti l’ottima monografia
di Thomaz de Boissierre, Mme Yves, Un Belge mandarin à la cour de Chine aux
XVIIe et XVIIIe siècles: Antoine Thomas 1644-1709 Ngan To P’in-che, Paris
1977. Si deve al padre Antoine Thomas la diffusione degli Elements de
Geometrie (Paris 1671) di Ignace Gaston Pardies (1636-1673), essendo lui
stesso autore di una compilazione effettuata mentre si trovava a Coimbra, in
Portogallo, ossia del manuale Synopsis mathematica nonché della Jiegenfang
suanfa jieyao [trad.: Sintesi dei metodi di calcolo del radicamento e
delle potenze], compilazione che ebbe una certa circolazione in Cina e, per
certi lati, sembra aver influenzato la matematica dei Qing, più precisamente,
la misurazione del li. I migliori contributi concernenti l’attività di
A. Thomas come matematico alla corte dell’imperatore Kangxi sono offerti dalla
studiosa C. JAMI, A discreet mathematician: Antoine Thomas (1644-1709) and
his textbooks, in A life long dedication to the China mission. Essays
Presented in Honour of Father Jerome Heyndrickx, CICM, on the occasion of his
75th Birthday and the 25th anniversary of the Ferdinand Verbiest Institute, a
cura di S. Lievens, N. Golvers, K.U. Leuven 2007, 447 ss.; EAD. - HAN QI, The
Reconstruction of Imperial Mathematics in China during the Kangxi Reign
(1662-1722), in Early Science and Medicine 8/2, 2003, 88 ss.; EAD., From
Clavius to Pardies: The geometry transmitted to China by Jesuits (1607-1723),
in Western Humanistic Culture Presented to China by Jesuit
Missionaries (XVII-XVIII centuries), a cura di F. Masini, Rome 1996, 175
ss.; EAD., Western Influence and Chinese Tradition in an Eighteenth Century
Chinese Mathematical Work, in Historia Mathematica [= HM] 15,
1988, 311 ss. e anche J.-C. MARTZLOFF, Note on the Recent Chinese and
Mongolian Translations of Euclid’s Elements, in HM 24, 1997, 200
ss.; Id., Note sur les
traductions chinoises et mandchoues des Eléments d’Euclide effectuées
entre 1690 et 1723, in Actes du Ve colloque international de sinologie
de Chantilly, 15–18 septembre 1986, Taipei–Paris 1993, 201 ss.; per
una breve presentazione lessicografica della terminologia matematica sinica
(ivi compresa la terminologia relativa alla geometria) si consulti F. HOMINAL, Traits
généraux de la terminologie mathématique chinoise, in Cahiers de
linguistique – Asie Orientale 4/1, 1978, 81 ss.
[19] Un primo status quaestionis dedicato appunto alle differenze (e somiglianze) fra la cartografia russa e quella dei gesuiti, in D. DUMBRAVA, La Tabula Geographica Orientis di Antoine Thomas. Note sulla sua genesi storica ed epistemica, cit., 97 ss. Inoltre, per una prospettiva generale della cartografia russa – čertež – si consulti A.V. POSTNIKOV, Outline of History of Russian Cartography, in Regions: A Prism to view the Slavic Eurasian Word. Proceedings of the July 1988 international Symposium of the Slavic Research Center, a cura di K. Matsuzato, Sapporo 2000, 1 ss.; ed anche B.P. POLEVOY, Geograficheskie chertyozhi posolstva N. G. Spafariya [Schizzi geografici provenienti dall’Ambasciata di N. G. Spafary], in Izvestiya Akademii nauk SSSR: seria geograficheskaya 1, 1969, 115 ss.; Id., Commemorating the three hundredth anniversary of the Godunov Map of Siberia, in The Canadian Cartographer [= CC] 8, 1971, no. 1, 19 ss.; Id., Siberian Cartography of the 17th century and the problem of the Great Draught, in CC 14, 1977, no. 2, 85 ss. Aggiungo che gli attuali e migliori studi sulla frontiera sino-russa dal periodo pre-moderno in poi, si compiano presso lo Slavic Research Center, Sapporo, Hokkaido University, Giappone.
[20] Per non citare gli studi classici di
Edward Said, molto spesso criticati, ricordo che, in questo caso, l’approccio
dello studioso statunitense Yuri Slezkine è emblematico. Vedasi
Y. SLEZKINE, Naturalists Versus Nations: Eighteenth-Century Russian Scholars
Confront Ethnic Diversity, in Representations 47, 1994, Special
Issue: National Cultures before Nationalism, 170 ss.
[21] Per una visione
analitica dell’istituzione amministrativa dei Qing, Lifan Yuan, si consulti N.
CHIA, The Lifan Yuan and the Inner Asia Rituals in the Early Ching
(1644-1795), in Late Imperial China 14/1, 1993, 60 ss.; N. DI COSMO,
Kirghiz nomads on the Qing frontier. Tribute, trade, or gift exchange?, in Political
Frontiers, Ethnic Boundaries, and Human Geographies in Chinese History, a
cura di N. Di Cosmo, D.J. Wyatt, 452 ss.
[22] LO SHU-FU, A
Documentary Chronicle of Sino-Western Relations (1644-1820), Tucson 1966, 9,
vol. I [Abbrev. DCSWR].
[23] Il 15 agosto del 1678, F. Verbiest scriveva a papa Innocenzo XI: «Des ambassadeurs hollandais [i.e. Vincent Paats], portugaise [i.e. Manoel de Saldanha] et russes [i.e. Nicolae Milescu] sont jadis venus ici (à Pékin) en diverses années, offrir des présents à l’empereur [i.e. Kangxi]. Après m’avoir nommé interprète, tantôt chinois, tantôt ta[r]tare, l’empereur m’interrogea sur la religion professée par les membres de chacune de ces ambassades» (H. BOSMANS, Le problème des relations de Verbiest avec la Cour de Russie, in Annales de la Société d’Émulation de Bruges - Revue trimestrielle pour l’étude de l’histoire et des antiquités de la Flandre 63, 1913, 204). Verbiest era stato il segretario di Kangxi quando l’imperatore mancese sviluppò uno scambio epistolare con il monarca polacco Jan Sobieskj. Per dettagli, si consulti B. SZCZEŚNIAK, Diplomatic Relations between Emperor K’ang-hsi and King John III of Poland, in Journal of the American Oriental Society 89/1, 1969, 158 ss., H. JOSSON s.j., L. WILLAERT s.j., Correspondance de Ferdinand Verbiest de la Compagnie de Jésus (1632-1688), Directeur de l’Observatoire de Pékin, Palais des Academies, Bruxelles 1938.
[24] Shunzhi/Shenzhu/Shun-chih o Fulin, il nono figlio di Abahai (1592-1643) principe del clan Aisin Gioro, nella stessa linea materna del principe Dogon, divenne il capo dei Manciù un anno prima della proclamazione ad imperatore della Cina, avvenuta nell’ottobre 1644.
[25] Vedasi la sintesi delle trattative fra manciù e tribù mongole della prima parte del Seicento effettuata in N. DI COSMO, D. BAO, Manchi-Mongol Relations on the Eve of the Qing Conquest. A Documentary History, Leiden 2003, 6 ss. e passim.
[26] DCSWR I, KH 20 (1681), 56.
[27] Nella
lingua mongola Nag-dBan
Blo-bZan rGya-mTsho, cfr. A.
ZAHIRUDDIN, Sino-Tibetan relations in the Seventeenth Century [Serie
Orientale Roma vol. XL], Roma 1970, 73.
[28] L.D. KESSLER, K’ang-hsi
and The Consolidation of the Ch’ing Rule 1661-1684, Chicago and London 1976, 97
ss.
[29] L’annotazione riportata sull’originale latino del manoscritto sarebbe: «Ab anno 1689 ad annum 1690. De pace initia inter Imperium Sinicum et Moscoviticum descripta a P. Thomas Pereyra», apud J. SEBES, op. cit., 1961, 143. L’autografo latino è stato inviato al padre Thyrs Gonzalez, di origine spagnola (Tirso González de Santalla [1624-1705], eletto Superiore Generale della Compagnia di Gesù nel 1687), a mio avviso, una figura ecclesiastica molto meno studiata rispetto a quella di altri padri gesuiti che svolsero le loro missioni nell’Estremo-Oriente, e che meriterebbe più attenzione in quanto caratterizzato da un vivissimo interesse per le medesime missioni, nonché per le scienze della terra: topografia, geografia, cartografia e così via.
[30] J.-B. DU HALDE, op. cit., 2a ed., 1736, 87 ss.
[31] DCSWR I, KH 27 (1688-1689), 94 ss. Ta-Ch’ing Li-ch’ao shih-lu (abbrev. Ch’ing shih-lu o shih-lu) è la fonte più importante per i rapporti politici con i russi, cfr. L. FU 1966, xi ss.; abbiamo deciso di adoperare le fonti shih-lu tradotte da Lo-shu Fu (vedi supra nt. 22), in quanto l’opera in oggetto costituisce l’unica selezione rappresentativa delle fonti cinesi accessibile in lingua inglese, riguardante le relazioni con i russi nel Seicento. Sono fonti relative al regno di Shunzhi [SC] e di Kangxi [KH].
[32] Krestomatiia po istorii SSSR,
XVI-XVII vv., a cura di A.A. Zimin, Moscow, vol. II, 534 e passim.
[33] Rimando
all’interrogativo di J. SEBES: Why has such a significant important historic
event as the Treaty of Nerchinsk never before received full monograph treatment?, in J.
SEBES, op. cit., 119 e passim.
[34] A. HUMMEL 1943, op. cit., 663 ss., vol. II. In merito al personaggio citato è da ritenere il fatto ch’egli fu uno dei segnatari del trattato di Nerčinsk, accanto ad altri alti ufficiali mancesi (T’ung Kuo-kang, Langtan, Bandarša, Sabsu, Mala e Unda).
[35] In questo caso, per area “mista” s’intende una regione di periferia rivendicata da due imperi privi di una delimitazione territoriale alla fine del Seicento. Secondo Lapardelle, estremamente tributario nei confronti del pensiero di Ratzel, il concetto di frontiera presente nel diritto internazionale si definisce in riferimento a un centro politico, all’interno di un sistema di territori limitrofi, quando collima con le zone estreme periferiche di due stati vicini (P. DE LAPARDELLE, La frontière: étude de droit international, Paris 1928).
[36] T’ung kuo-kang, lo zio materno dell’imperatore Kangxi. Per dettagli si consulti A. HUMMEL, op. cit., 327, vol. II.
[37] DCSWR I, 97.
[38] [Tomás Pereira S.J.], Relação diaria da viagem, a cura di J. Sebes, 192.
[39] Una semplice verifica delle coordinate geografiche della città di Nerčinsk basta a segnalare l’accuratezza dell’informazione fornita da Pereira: 51.98°N 116.58°E. Senza dubbio, Pereira era al corrente dell’attività cartografica svolta dal suo collega belga Antoine Thomas in quanto, guardando la Tabula Geographica Orientis di quest’ultimo, troviamo una perfetta concordanza di dati e informazioni.
[40] Ibidem, 204. Si tratta della catena dei monti Stanovoj 55° 30′ 0″ N, 127° 30′ 0″ E (Станово́й хребе́т) della Siberia Sud-Orientale, che si espandono per più di 700 km nella direzione est-ovest della valle del fiume Olëkma alle sorgenti del fiume Učur nei territori dell’attuale regione amministrativa di Chabarovsk, nella Federazione Russa. Assieme al fiume Gorbica e al fiume Argun, i monti Stanovoj formano una prima delimitazione della frontiera sino-russa, così come la intendevano i Mancesi. Nei tempi della redazione della fonte Pereira, tutta la zona sud dei monti Stanovoj, cioè l’area di ambedue le rive dell’Amur, erano territori dei Chalcha, all’epoca non ancora assoggettati a nessuna macro-entità politica amministrativa, né dei Qing, né dei Romanov. Un punto cardine nelle trattative sulla frontiera sino-russa di Nerčinsk era proprio l’orientamento di questa tribù mongola: qualora fossero diventati sudditi dell’impero dei Qing, anche i loro territori sarebbero stati inglobati nella loro area amministrativa; Golovin, rappresentate della delegazione dei Romanov, mirava ad una frontiera lungo l’Amur e conseguentemente non poteva che respingere la proposta relativa ai Chalcha avanzata della delegazione mancese. Vedi anche il punto di vista di G. STARY, in I primi rapporti tra Russia e Cina. Documenti e testimonianze, 238 s.
[41] Ibidem, 210.
[42] Non credo sia facile determinare con precisione la paternità della mappa presentata dalla delegazione russa, sebbene il metodo della compilazione delle čertež (le mappe seicentesche di produzione russa) sia stato ormai rilevato dagli studiosi russi.
[43] [Tomás Pereira S.J.], Relação diaria da viagem, a cura di J. Sebes, 244.
[44] Ibidem, 264.
[45] Ergone o E-er-ku-no (Ergine/Ergun) corrispondono al fiume Argun. Il fiume Argun resiste come confine tra la Russia e la Cina da più di tre secoli ed è ancora un valido punto di stabilità e di cooperazione regionale e transfrontaliera.
[46] Bisogna notare che una gran parte dei toponimi asiatici presenti nella fonte Pereira non collima con quelli utilizzati nelle mappe moderne. La loro corrispondenza con le attuali denominazioni costituisce l’oggetto di una specifica ricerca; nelle note infra ho indicato vari versioni di una toponimia presente nelle mappe odierne senza soffermarmi a lungo, in quanto tratto in esteso questo tipo di problematiche, in altra sede. Vedi D. DUMBRAVA, La missione di Nicolae Milescu in Asia Settentrionale, tesi di dottorato presso l’Università di Firenze, 2007.
[47] Hei-lung-chiang, il fiume Amur nominato dai russi anche Sogalin-ulja o Sahaliyan-ula.
[48] J.-B. DU HALDE, Description
géographique, 193, vol. IV; le fonti shih-lu
offrono analogamente la descrizione della frontiera fra la Russia e la Cina, ed
essa è identica a quella presente in Pereira e Gerbillon: «Let the Kerbechi
river near the Shorna river (Cho-er-na), i.e., the Urwin River (Wu-lung-mu)
which flows northward into the Hei-lung-chiang, serve as the natural
demarcation line. Along the upper tributary of this said river in the
desert region, let the Hsing-an mountains (Shih-ta
Hsing-an), which extend toward the sea, also serve as natural boundaries. South
of the Hsing-an Mountains, the rivers and brooks
flowing into the Hei-lung-chiang belong to China; north of the mountains the
rivers and brooks belong to Russia. […] Let the Ergone river (E-er-ku-na),
which flows into the Hei-lung-chiang, serve as another natural demarcation
line. The south bank of this river belongs to China and the north bank belongs
to Russia. At the mouth of the Meriken river (Mei-le-er-k’o) all Russians
houses must be removed to the north bank», in DCSWR I, KH 28 (1689),
28:12:14 (il 23 gennaio 1690), 102.
[49] DCSWR, KH 28 (1689), 28:12:14 (il 23 gennaio 1690), 101; Il rapporto di Songgotu sulle trattative di Nerčinsk ed il commento della corte, apud G. STARY 1974, op. cit., 327.
[50] In altra sede ho iniziato ad esporre gli argomenti di questa ipotesi di lavoro. Vedi anche i riferimenti bibliografici precedentemente segnalati.
[51] Ibidem, 124.
[52] J.R.V. PRESCOTT 1978, Boundaries and frontiers, 29.
[53] Il presente contributo, prevalentemente focalizzato sulla figura di padre Tomás Pereira S.J., esprime un consolidato interesse dell’autrice per il tema complessivo delle relazioni sviluppatesi nel Seicento, sotto la dinastia mancese dei Qing, tra Mosca e Pechino. Tra i precedenti lavori al riguardo basti qui segnalare: D. DUMBRAVA, The first political borders of the Eurasian continent at the northern “entrance” to the Son of Heaven? Two European chronicles on the Manchu-Russian negotiations in the 17th century: Seicento Statejnyj spisok & Relaçao diaria da viagem, in Tomás Pereira S.J. (1645-1708). Life, Work and Time, a cura di L.F. Barreto, Centro Científico e Cultural de Macau: Fundação para a Ciência e a Tecnologia, Lisboa 2010, 317 ss.; I primi confini politici del continente eurasiatico alle porte settentrionali del Figlio del Cielo? Due cronache europee attinenti le trattative russo-mancesi nel Seicento: Statejnyj spisok & Relação diaria da viagem, in Anuarul Institutului Italo-Roman de Studii Istorice 12, 2015, 11 ss.