L’eredità perduta del diritto romano. Il pensiero giuridico di Filippo Gallo (1924-2019)
PAOLO GARBARINO – Ordinario Università Piemonte Orientale
Già Rettore della stessa Università (1 novembre 2004 – 31 ottobre 2012)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La concezione romana della proprietà tra schemi giuridici e contesto economico-sociale. – 3. I corsi monografici di diritto romano come dialogo tra l’esperienza antica e il diritto vigente. – 4. ‘Synallagma’ e conventio nel contratto. – 5. Interpretazione e receptio moribus: l’eredità perduta del diritto romano. – 6. Scritti di Filippo Gallo.
Il 5 agosto 2019 si è spento il prof. Filippo Gallo, uno dei protagonisti italiani degli studi di diritto romano nella seconda metà del secolo scorso, e, ancora, all’inizio di quello presente. Allievo di Giuseppe Grosso, si laureò con lui, da studente lavoratore, nel 1952; l’anno dopo entrò in Università come assistente di ruolo; ottenuta la libera docenza, insegnò nell’Università di Urbino per alcuni anni, sino a quando, nel 1961, vinto il concorso, ricoprì la cattedra nell’Università di Trieste. In seguito si trasferì a Pavia, per poi essere chiamato a Torino nell’a.a. 1967/1968, dove insegnò sino alla messa in quiescenza nel 1999. Raccolse l’eredità scientifica e accademica di Giuseppe Grosso alla sua improvvisa e prematura scomparsa nel 1973, continuando per molti anni a guidare la scuola romanistica torinese nel solco della tradizione avviata e portata avanti dal Maestro, a cui lo legò sempre un ricordo partecipe e riconoscente. Era solito dire che l’insegnamento di Grosso che forse lo aveva più colpito si poteva riassumere nella convinzione che ciascun allievo dovesse ‘ragionare con la propria testa’; di qui la libertà scientifica e le grandi diversità di approccio al diritto romano, che hanno avuto gli allievi di Grosso e poi quelli di Filippo Gallo (a cui mi onoro di appartenere), fermo restando il rigore del metodo che tutti dovevano dimostrare di aver pienamente appreso e di saper dominare, fin dalle prime prove scientifiche.
Se si dovesse proporre una definizione dell’uomo e dello studioso in una sola parola, credo che ‘giurista’ sarebbe quella a Lui più gradita. Per Filippo Gallo lo studio del diritto romano non doveva affatto essere separato dallo studio del diritto positivo, anzi, il primo era essenziale per comprendere nella maniera più piena e compiuta il secondo. Dimostrazione concreta di questa sua profonda convinzione sono i non pochi studi che Egli dedicò a temi sia di diritto civile sia di diritto amministrativo (soprattutto quest’ultimo praticato anche come avvocato), così come l’insegnamento del diritto privato, che lo impegnò, sia pure per un breve periodo, nella sua carriera di docente (io stesso ebbi il privilegio di seguire al mio primo anno di Giurisprudenza le sue lezioni di Diritto privato, per averlo poi come professore di Diritto romano al terzo anno). Concretezza e storicità erano gli elementi che riteneva costitutivi ed essenziali del diritto, inteso anche nella sua manifestazione positiva e vigente. E se la concretezza era per Lui la componente caratteristica e imprescindibile dell’esperienza giuridica romana, soprattutto nella sua declinazione giurisprudenziale, la costante attenzione al dato storico era componente altrettanto imprescindibile per la comprensione più piena e feconda del diritto vigente. Frutto maturo di questa sua visione unitaria e inscindibile del diritto come comprensivo dell’ineliminabile esperienza storico-romanistica sono i suoi ultimi studi, in cui la critica serrata all’attuale modalità di concepire il fenomeno giuridico – per Lui modellato pressoché esclusivamente sulla base degli astratti canoni del pensiero di Kelsen – è accompagnata da una pars costruens che ha lo scopo di riproporre l’‘eredità perduta’ del diritto romano come strumento di ‘rifondazione’ sia della scienza giuridica, sia dello stesso modo di produzione del diritto, troppo appiattito, a suo dire, sui canoni di un legislatore erede dell’assolutismo giustinianeo.
In questo ricordo non potrò toccare, neppure per indicem, tutta la vasta produzione scientifica del Maestro torinese, che è proseguita ininterrottamente fin quasi agli ultimi giorni della sua vita. Mi limiterò a illustrare alcuni punti nodali che mi paiono decisivi per meglio comprendere il suo pensiero e la sua concezione del diritto e che testimoniano, a mio giudizio in modo esemplare, il rilevantissimo apporto che Egli ha dato ai nostri studi. La bibliografia riportata qui in calce, consentirà di ripercorrere in maniera puntuale il lavoro di studioso di Filippo Gallo; ci si potrà così rendere meglio conto dell’ampiezza davvero straordinaria dei suoi interessi scientifici e dei tanti campi, non solo strettamente romanistici, in cui ha dato il suo contributo.
La prima pubblicazione di Filippo Gallo esce nel 1952. È un articolo sulla riforma dei comizi centuriati[1], che ha per oggetto l’analisi della Tabula Hebana, scoperta nel 1947 e al centro in quel momento del dibattito scientifico sia dei romanisti sia degli storici c.d. puri. Si tratta, sostanzialmente, del testo della tesi di laurea discussa poco tempo prima, come detto, con Giuseppe Grosso come relatore. I suoi interessi scientifici si volgeranno ben preso al tema della ‘signoria’ del pater familias nell’età arcaica, con un saggio pubblicato, come estratto anticipato, nel 1954 e destinato agli Studi in onore di Pietro de Francisci[2], un tema che lo condurrà ad approfondire aspetti e problemi della concezione romana della proprietà, che saranno oggetto delle sue prime due monografie: la prima, apparsa nel 1955, sul trasferimento della proprietà in diritto romano, la seconda, di tre anni successiva sulla distinzione tra res mancipi e res nec mancipi. Nella prima monografia[3] Filippo Gallo critica la concezione di de Francisci (elaborata sulla scia di Jhering), secondo cui il diritto romano classico non avrebbe conosciuto il concetto di trasferimento della proprietà, rimanendo fermo all’idea del trasferimento della res consistente in due atti successivi e indipendenti: l’abbandono volontario della cosa da parte del proprietario e l’appropriazione della cosa stessa, una sorta di occupatio, da parte del nuovo proprietario che così, con un atto unilaterale, acquisiva il diritto, per così dire, a titolo originario. Gallo dimostrò l’infondatezza di questa tesi, sostenendo che il diritto romano aveva sicuramente conosciuto la nozione di trasferimento ‘bilaterale’ della proprietà, individuabile, con diverse impostazioni anche formali, sia nella traditio, sia nella mancipatio e nella in iure cessio, pur se, rispetto al diritto attuale, la concezione romana era ancora legata al fatto estrinseco e concreto della trasmissione della res e non all’astrazione del trasferimento ‘immateriale’ del diritto. Il caso volle che la Commissione che gli conferì la libera docenza, proprio sulla base di questo libro, fosse presieduta da Pietro de Francisci. Questi apprezzò molto il lavoro del giovane candidato e tra lui e Gallo nacque un’amicizia basata sulla stima che il secondo si era guadagnata criticando nel libro una tesi dell’illustre Maestro.
La seconda monografia tratta, come detto, della distinzione tra res mancipi e res nec mancipi[4], e, rispetto alla prima, presenta un’ancora più marcata attenzione ai dati della storia sociale ed economica di Roma. Per Filippo Gallo la piena comprensione di tale distinzione può essere raggiunta soltanto tenendo ben presente il quadro economico-sociale della Roma arcaica: le res mancipi, come res pretiosiores secondo la nota qualificazione gaiana (Gai. 1.192), erano sostanzialmente le cose di maggiore rilevanza sul piano dei mezzi di produzione dell’economia agricolo-pastorale romana dei primi secoli della civitas, sicché risponde a una ferrea logica funzionale che la loro circolazione sia accompagnata da formalità volte a garantire la pubblicità del trasferimento da un gruppo familiare a un altro. Si tratta di un’esigenza che pare non dissimile da quella che anche nei diritti moderni e contemporanei caratterizza il trasferimento della proprietà di cose che sono considerate di particolare rilievo economico-sociale, sotto molti punti di vista, quali gli immobili. Lo schema giuridico, dunque, già in età arcaica corrisponde a un’esigenza concreta di regolamentazione di quel che si può oggi definire ‘traffico giuridico’, al fine di tutelare il pacifico godimento delle res ritenute fondamentali nell’economia e nella società di riferimento. Con lo sviluppo della società la distinzione perde di significato, ma essa formalmente permane, mentre i giuristi e il pretore approntano gli strumenti che consentono di superarla.
Dalla breve, e certo non completa, sintesi del contenuto di questi primi due libri, emerge un dato che mi sembra meritevole di attenzione. Filippo Gallo affronta temi che appartengono al tradizionale ambito del ‘diritto privato romano’, ma lo fa con un approccio che si distacca, almeno in parte, dalle consuetudini scientifiche che caratterizzavano la produzione romanistica degli anni ’50 del secolo scorso. In primo luogo balza agli occhi lo spazio dato a elementi estrinseci alla materia giuridica in senso stretto, quale, soprattutto, il ruolo che le esigenze presenti nel contesto socio-economico hanno avuto nel configurare gli istituti e, anche, nel modificarli. Per converso, la critica interpolazionistica sta sullo sfondo: diversamente da quanto era ancora almeno in parte abituale nella produzione romanistica di quel periodo essa non è protagonista dell’indagine, pur non essendone esclusa. La materia esplorata in questa primissima fase del suo percorso scientifico darà spunto per varie altre ricerche, che usciranno anche a distanza di molti anni. Così, il tema della signoria del pater familias sarà oggetto di un saggio pubblicato nel 1984 [5] che riprende una relazione tenuta al Convegno di Copanello dedicato a “Poteri Negotia Actiones nella esperienza romana arcaica”, con un denso confronto con la posizione di Luigi Capogrossi Colognesi, anch’egli protagonista di quel Convegno. O, ancora, l’argomento della pubblicità, che Gallo aveva toccato in particolare nella monografia sulle res mancipi e nec mancipi, sarà sviluppato in alcuni saggi[6], attenti anche alla comparazione con il diritto vigente, sino alla redazione nel 1988 della voce “Pubblicità (Diritto romano)” per l’Enciclopedia del Diritto[7].
Una rilevante peculiarità della produzione scientifica di Filippo Gallo è la costante attenzione dedicata alla didattica. Numerose sono le monografie nate nell’insegnamento e per l’insegnamento, come ‘Corsi di diritto romano’. Le motivazioni convinte di questa scelta sono illustrate nelle poche, ma significative, pagine dell’introduzione al primo volume del corso sul contratto, pubblicato nel 1992 [8]. Gallo parte dalla constatazione dell’oggettiva rarefazione – presente allora, ma che è continuata sino ai giorni nostri – dei corsi monografici di diritto romano, a fronte della moltiplicazione dei manuali istituzionali. Le ragioni di questa rarefazione, ragioni che persistono, stanno nel fatto che in Italia gli insegnamenti monografici della materia sono ormai per lo più facoltativi e, dunque, sono in concorrenza con tante materie di diritto vigente, in linea con la tendenza sempre più accentuata in base alla quale gli studi giuridici devono essere sempre più ‘professionalizzanti’ e diretti a una preparazione soprattutto, se non esclusivamente, ‘pratica’. Per Gallo questa tendenza è da respingere con fermezza, sia perché è illusorio impartire al discente la conoscenza di tutto il diritto vigente, sia perché teoria e pratica «vanno ricondotte all’unità del sapere giuridico», per fornire ai giovani «la formazione, la base, le chiavi per andare avanti da soli, per risolvere da soli i problemi giuridici che si troveranno di fronte nelle diverse professioni»[9]. Compito dell’Università, è dunque, formare dei ‘giuristi’, non dei semplici e passivi ‘operatori del diritto’. A chi osserva come il diritto romano sia ormai fuori dalla nostra esperienza giuridica, Egli obietta, tra l’altro, che «il diritto attuale è il frutto dell’accumulo e di rinnovate combinazioni e filtri di elementi risalenti ad epoche anche molto lontane»[10], e di conseguenza, come per il linguaggio, «non è possibile uno studio approfondito del fenomeno giuridico…senza inserirlo nella tradizione da cui è derivato». Il richiamo alla tradizione non esclude, tuttavia, che si debbano rifiutare per principio i cambiamenti. Avere coscienza della tradizione giuridica significa, anzi, conoscere meglio il diritto e, quindi, saper affrontare con maggiore consapevolezza i problemi attuali e giungere, attraverso i cambiamenti, a risultati più duraturi e, insieme, fecondi. Questa prospettiva pone di fronte al dilemma della c.d. attualizzazione del diritto romano[11], che è oggi contrastata da molti romanisti sulla base, ritenuta ‘scientifica’, della necessità di storicizzare in modo totale lo studio dell’esperienza giuridica antica: l’approccio esclusivamente storico al diritto romano escluderebbe, per principio, che si possa praticare la sua attualizzazione. Gallo prende posizione su questo rifiuto, ammonendo sui rischi delle «forzature sul piano storico», che un’attualizzazione male intesa potrebbe comportare, di talché «è compito imprescindibile del romanista l’esatta ricostruzione del dato storico»; tuttavia Egli avverte anche che «il dato storico esattamente ricostruito» può presentare un’utilità attuale: se così è, allora non si comprende «perché non se ne dovrebbe tener conto sia in generale sia nella specifica prospettiva della formazione di uomini del diritto»[12].
Mi sono soffermato su questa impostazione metodologica che il Maestro ha voluto precisare all’inizio del suo corso sul contratto, perché essa, non è semplice testimonianza di un singolo momento del suo percorso didattico e scientifico, ma esprime, a mio giudizio, in modo pieno e compiuto sia la sua visione di come debba essere inteso l’insegnamento del diritto romano nei corsi universitari sia il suo convincimento di quale debba essere, ancora oggi, la funzione del diritto romano nell’esperienza giuridica contemporanea. Sono due tratti della sua personalità di studioso e di professore che lo hanno accompagnato, si può dire, per tutta la lunga vita: anche quando, cessato dal ruolo ufficiale di professore, è stato chiamato da allievi e colleghi a impartire singole lezioni o a presentare i suoi nuovi lavori in varie conferenze, ha sempre dimostrato di essere coerente con gli assunti sopra illustrati, così come lo è stato nella sua produzione scientifica fino agli ultimi lavori pubblicati ancora nello scorcio finale della sua vita. Lungi dall’apparire un semplice, ancorché coltissimo, erudito, Egli ha sempre saputo individuare o, quando il caso, ricongiungere il filo che unisce il diritto contemporaneo con il passato, in particolare – com’è ovvio – con il diritto romano. Si può qui rintracciare anche un’ulteriore, profonda, convinzione che sta alla base del suo lavoro di studioso e di didatta: ritenere, con Gaio, che il principium sia la pars potissima di ogni cosa[13]. Il risalimento all’origine non è però, per Gallo, una nostalgia regressiva[14], ma deriva dall’osservazione dei dati della realtà: «… per l’uomo, a differenza degli animali, gli elementi culturali, acquisiti con l’intelligenza, sono di gran lunga preminenti su quelli istintivi. Con lo strumento del diritto l’uomo da sempre appaga bisogni fondamentali – a quanto sappiamo, in tratti essenziali da millenni invariati – della convivenza umana sulla terra. Il diritto, in quanto storicamente prodotto, interpretato e applicato dall’uomo, è in tutto e per tutto un fenomeno culturale. Si pensi all’apposito vocabolario, ai principi, alle nozioni, alle norme, all’ars per l’emanazione di regole astratte e per la soluzione dei casi. Come fenomeno culturale, il diritto si tramanda di generazione in generazione; ogni generazione lo apprende da quella precedente; ogni generazione approfitta, magari inconsapevolmente, del lascito di quelle precedenti; ogni generazione, movendo da quanto ha appreso, tende ad apportare i propri contributi… Finché un dato istituto (servitù, contratto ecc.) perdura, esso rimane il risultato della sua storia, che è quindi necessaria per la sua comprensione»[15].
Sulla base di questi assunti, si comprende bene come il dialogo, costruttivo, tra il diritto vigente e l’esperienza giuridica romana – anche in una direzione di comparazione diacronica –, sia, per Filippo Gallo, più che un habitus esteriore una componente costitutiva ed essenziale del giurista-romanista, sia quando approfondisce la storia di un antico istituto sia quando svolge il suo ruolo di docente. Anzi, proprio quando insegna il giurista-romanista ha la preziosa opportunità di trasmettere agli studenti il senso profondo della tradizione giuridica e di formarli a una comprensione critica del diritto, volta a superare le gabbie stereotipate entro cui l’idolatria dell’assolutismo legislativo ha voluto, da secoli (almeno da Giustiniano) racchiudere il lavoro dell’interprete. Si tratta di una convinzione in qualche misura ‘eversiva’, che pone profondamente in discussione la concezione comune che oggi si ha del diritto e tenta di scalfire il diffuso conformismo con cui si affrontano problemi come quello dell’interpretazione delle norme giuridiche e della loro formazione extrautoritativa. Il compito, dunque, del giurista-romanista è quello di formare dei giovani che nella loro attività professionale – come giudici, avvocati, funzionari pubblici e privati, anche come docenti universitari – portino una visione diversa e innovativa, basata sull’‘eredità perduta’ del diritto romano[16], la quale, appunto, va riscoperta in modo nuovo e riproposta come modello alternativo e fecondo.
I corsi di diritto romano di Filippo Gallo rispondono in pieno a questa sua visione del diritto e dell’insegnamento. Essi sono, anzi, progettati e impartiti agli studenti, proprio per dare concretezza a tale visione e provare, per così dire sul campo, la bontà degli assunti che ne costituiscono la base. Ne sono importante testimonianza i corsi sul contratto[17], o, meglio su ‘synallagma e conventio nel contratto’, dal cui primo volume siamo partiti per cercare di illustrare la sua posizione in merito al rilievo fondamentale che il diritto romano deve continuare ad avere nella formazione del giurista. Lo stesso sottotitolo dato ai corsi (o, meglio, al corso, giacché esso si distribuisce in due volumi, pubblicati in anni diversi, ma che hanno lo stesso titolo) esprime, implicitamente ma con chiarezza la funzione del diritto romano nella preparazione del giurista: ‘Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazione moderne’. Non si tratta, dunque, di una ricerca racchiusa in confini storici predefiniti e non permeabili, ma di una proposta interpretativa, su basi romanistiche, che tende a individuare ‘spunti’ da impiegare ‘per la revisione di impostazioni moderne’. L’obiettivo principale che l’Autore ha voluto perseguire è chiaro; esso è precisato, al temine dell’Introduzione del primo volume, nel seguente modo: «… mostrare, in modo specifico per la materia contrattuale, che l’elaborazione dei giuristi romani è stata alla base della tradizione successiva, che essa aiuta a penetrare lo sbocco che si ha avuto in proposito nel codice civile italiano vigente e consente di percepire talune storture stratificatesi nel passato e in esso ricevute»[18].
Il primo volume del corso è dedicato alla riflessione di Labeone in tema di contratto. Non è possibile in questa sede seguire da vicino l’ampia, articolata e stringente ricostruzione che Filippo Gallo fa del pensiero labeoniano. Proporrò perciò una rapida sintesi, che certo non può cogliere le tante sfaccettature dell’accurata analisi del Maestro. Per Gallo la posizione di Labeone si caratterizza per essere profondamente innovativa e capace di superare gli steccati della tipicità contrattuale. L’originalità del pensiero labeoniano si evince, in primo luogo, dalla famosa definizione di contractus riportata da Ulpiano (Ulp. 11 ad ed. D. 50.16.19 [19]), esaminata sia in riferimento alle categorie precontrattuali elaborate prima di Labeone, in particolare da Quinto Mucio, sia tenendo conto delle tecniche diairetico-definitorie impiegate dal giurista per determinare che cosa sia, per lui, il contratto. Questo secondo piano di analisi, conduce Filippo Gallo a ritenere, tra l’altro, che oggetto della definitio di Labeone fosse gestum o gerere, ripartito nell’agere e nel contrahere, mentre i giustinianei sarebbero intervenuti sul passo ulpianeo, individuando la categoria del gestus come res sine verbis facta, a fianco di quella dell’actus, per porre in evidenza la sfera dell’agire umano in campo giuridico non compresa nella categoria del contractus. L’idea che per contratto si debba intendere l’atto che crea obbligazioni corrispettive a carico di entrambe le parti – con il che si esclude dalla categoria contrattuale gli atti che creano obbligazioni a carico di una sola parte, vale a dire i c.d. contratti unilaterali – comporta che per Labeone le figure modello di contratto siano quelle della compravendita, della locazione-conduzione (anzi, rispettivamente della compera e della vendita, della locazione e della conduzione) e della società, con significativa esclusione del mandato dall’elenco esemplificativo. Labeone costruisce così una categoria contrattuale che tende a superare i confini della tipicità negoziale, per comprendere ogni atto obbligante che sia caratterizzato dalla sinallagmaticità, anche solo potenziale, delle prestazioni e corrisponda ai canoni della buona fede. L’elaborazione di questa precisa categoria giustifica l’attribuzione della tutela giurisdizionale anche a convenzioni sinallagmatiche non previste dall’editto o da esso non adeguatamente protette. Secondo Gallo lo strumento processuale impiegato da Labeone per raggiungere tale obiettivo fu la praescriptio: «Labeone, con la fattiva concretezza del giurista, si servì dello strumento della praescriptio, che era già in uso e non risultava vincolato ad un ambito specifico, proponendone una nuova applicazione relativamente ai negozi produttivi di obbligazioni reciproche, i quali apparivano privi di tutela nel sistema edittale improntato alla tipicità»[20]. Il giurista configurò in tal modo un agere praescriptis verbis, che utilizzava in maniera innovativa strumenti processuali usuali (come, appunto, la praescriptio), al fine di tutelare negozi che corrispondevano ai criteri della sinallagmaticità e della buona fede, ma non trovavano, appunto, tutela tipizzata nell’editto.
Filippo Gallo ricollega, a ragione, i risultati dell’analisi del pensiero di Labeone sul contratto, con quanto le fonti ci tramandano sulla personalità umana e scientifica del giurista. La novità di impostazione e di risoluzione dei problemi posti dalla materia contrattuale costituisce una sostanziale e indiretta conferma del celebre giudizio di Pomponio, secondo cui Labeone plurima innovare instituit[21]. Gallo, però, in una ponderata valutazione sia della testimonianza di Pomponio, sia di quelle, altrettanto preziose, di Aulo Gellio[22] e Tacito[23], tende a ridimensionare l’opinione di chi fa del giurista un fiero oppositore del regime augusteo; per Filippo Gallo: «l’opposizione, alimentata dall’avversione al principato e sicuramente svolta da Labeone sul piano giuridico si [è] mantenuta all’interno del sistema esistente». Come ricorda Pomponio[24] il giurista non accettò, diversamente da Capitone, il consolato suffetto, pur offertogli da Augusto, perché preferì dedicarsi allo studio del diritto: l’attualità di Labeone al tempo di Pomponio riposa, dunque, nel fatto che egli, nel campo giuridico, fu un innovatore – appunto, plurima innovare instituit –, perché volle dedicarsi con passione e dedizione allo studio del diritto: per Gallo, era questa «a ben vedere il tipo di opposizione più efficace, oltre che la sola concretamente praticabile»[25]. Questa opposizione si manifestò, in particolare, nel contrasto che Labeone instaurò, sul piano scientifico nei confronti dell’indirizzo giuridico allineato con l’ideologia del principato: «egli difese la libertà negoziale e la discrezionalità del pretore compresse dalla tendenza alla generale tipicizzazione dell’area negoziale… a tal fine, si avvalse di elementi già esistenti nell’esperienza antecedente, ma componendoli in modo nuovo, dando così’ vita a nuove impostazioni e nuove figure, tra le quali un modello contrattuale che ebbe influenza duratura nella tradizione successiva»[26].
In questa prospettiva Filippo Gallo si riallaccia all’interpretazione del suo Maestro, Giuseppe Grosso, che impiegò le categorie di ‘conformismo’ e di ‘tradizionalismo’ per connotare l’opera rispettivamente di Capitone e di Labeone[27]. Credo di non sbagliare, affermando che Gallo si riteneva come giurista in perfetta sintonia con il ‘tradizionalismo’ labeoniano, inteso come valore in sé che trascende gli aspetti più contingenti e transeunti della contemporaneità. Ne sono dimostrazione precipua i tanti interventi scientifici, infittitisi negli ultimi anni della sua vita (come se lo guidasse un’urgenza particolare), con i quali il Maestro volle proporre quella re-interpretazione/rivisitazione del diritto romano, in particolare del sistema delle sue fonti, per indicare una possibile strada da percorrere per mutare profondamente la concezione attuale del diritto e il suo modo di manifestarsi come ‘assolutismo legislativo’. Da tale punto di vista Filippo Gallo si colloca, a ben vedere, sulla scia di Giuseppe Grosso. La capacità di entrambi di trasmettere con il loro insegnamento, non solo agli allievi accademici, ma anche ai tanti studenti che ne hanno seguito i corsi, i valori e i princìpi del diritto romano, li accomuna come formatori di giuristi sensibili e attenti a una tradizione giuridica che si rivolge al futuro e non al passato[28]. Penso che entrambi avrebbero fatto propria la fase, attribuita a Gustav Mahler, riferita alla musica, ma ben adatta al diritto, secondo cui «tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri».
Il punto di svolta nella riflessione scientifica di Filippo Gallo[29], che lo porta nella direzione dianzi indicata, è individuabile, a mio giudizio, nel libro sulla formazione consuetudinaria del diritto in rapporto all’interpretazione, pubblicato in prima edizione nel 1971 [30], perché esso apre senza dubbio nuove prospettive di ricerca e di interpretazione dell’esperienza giuridica romana. Si tratta di un libro nato anch’esso per l’insegnamento romanistico, come recita il suo significativo sottotitolo: Lezioni di diritto romano; uscirà poi, nel 1993 – ben venti anni dopo la prima –, una nuova edizione ‘completata con la parte relativa alla fine della codificazione’, come precisa ulteriormente il nuovo sottotitolo[31]: un segno inequivocabile della persistente attualità della tesi in esso sostenuta, un’attualità che permane anche oggi. Gallo, con un’attenta esegesi delle fonti (in particolare delle Istituzioni gaiane) si discosta dalla tesi, tuttora prevalente tra i romanisti, che enfatizza il ruolo dei giuristi nella creazione del diritto e non prende in adeguata considerazione o dimentica del tutto il ruolo altrettanto, se non ancora più decisivo, della recezione consuetudinaria (la recezione moribus delle fonti), e così anche, correlativamente, della desuetudine. Per Gallo nell’esperienza romana a lungo l’interpretazione dei giuristi di per sé sola non era sufficiente a modificare (innovare o, per converso, abrogare) il diritto. Era indispensabile, oltre a essa, che vi fosse la recezione da parte dei consociati delle soluzioni proposte per via interpretativa dai giureconsulti. Il fenomeno interpretatio-recezione è colto in varie esplicazioni concrete: nell’introduzione di nuovi schemi negoziali, nella formazione di nuove figure sostanziali, nei riguardi della lex e del ius honorarium; un esempio, per tutti, che mi pare particolarmente significativo: conosciamo vari adattamenti del rito librale, che partendo da una delle sue applicazioni più antiche, la compravendita delle res mancipi per aes pesato, viene adattato a nuove funzioni, quali la donazione (la mancipatio uncis duabus) o la garanzia (fiducia cum amico e fiducia cum creditore) o, ancora, per disporre per testamento (il testamentum per aes et libram) e così via. I nuovi modelli negoziali rispondono a esigenze sentite nella comunità sociale, ma essi non sono dovuti alla semplice e unilaterale escogitazione di un giurista che li crea (sia egli un pontefice nel periodo più risalente, sia un giurista laico a partire da una certa epoca in poi), ma dipendono altresì dal fatto che i consociati iniziano ad utilizzare tali nuovi modelli e li recepiscono come vincolanti. Senza il necessario intervento dei consociati, senza la recezione moribus, l’interpretatio anche di un autorevolissimo giurista, di per sé sola non potrebbe ‘crearli’, introdurli nel diritto vigente. Esempi simili possono essere rintracciati anche nel campo dei diritti sostanziali o in quello dell’interpretazione della lex o, ancora, del ius honorarium[32]. Cominciamo a intravedere lo schema di formazione del diritto individuato da Gallo: una stretta e necessaria connessione tra interpretazione del giurista e recezione dei consociati. Uno schema, teniamolo presente, la cui operatività, misconosciuta, nascosta, spesso neppure percepita, persiste anche oggi: è il caso dell’introduzione nel nostro sistema giuridico del contratto di leasing, studiata proprio alla luce di questo schema in una delle ultime monografie, uscita nel 2012, Consuetudine e nuovi contratti[33], oltre quarant’anni dopo la pubblicazione del corso di cui stiamo parlando.
Si delinea così la centralità della recezione moribus nello sviluppo del diritto romano per tutta l’età repubblicana e ancora in una prima fase del Principato, fino alla svolta decisiva che si ebbe durante il principato di Adriano, imperatore che dà una piega autoritaria al potere imperiale; egli, in particolare, con un famoso rescritto ricordato da Gaio, detta una disciplina del ius respondendi, intesa a eliminare, almeno sul piano formale, l’interpretatio-recezione: il rescritto precisa infatti che le sententiae dei giuristi muniti di ius respondendi hanno valore di legge (sono equiparate alla lex), se siano concordi; in tal caso il giudice è tenuto a seguirle, mentre se sono discordi può scegliere fra le medesime (Gai. 1.7). Da questo rescritto di Adriano, nella visione di Gallo, discende una conseguenza di lunga durata, che percorre la storia giuridica non solo di Roma e giunge sino ai nostri giorni: la separazione, da allora definitiva, tra interpretazione e formazione consuetudinaria (almeno a livello di rappresentazione del diritto, mentre nei fatti continua ad essere vitale lo stretto rapporto tra l’una e l’altra, anche se esso è scarsamente messo in luce ed esplicitato dagli studiosi). Così, nella tradizione giuridica occidentale prevale l’approccio consapevolmente assolutistico di Giustiniano, il quale proclama che unico interprete e creatore della legge – e dunque del diritto – è l’imperatore, e che pertanto i giudici non devono far altro che applicare il diritto (sono la bocca della legge come dirà Montesquieu nel ‘700), i professori spiegarlo letteralmente, i sudditi farne uso: i sudditi (non più il popolo) non sono altro che ‘utenti’ del diritto, non è riconosciuta loro alcuna facoltà di modificarlo avendo il popolo trasferito una volta per tutte il proprio potere all’imperatore (oggi, diremmo, al ‘legislatore’). Il ruolo essenziale di Giustiniano nel costruire (e tramandare ai posteri) una compiuta ideologia dell’assolutismo legislativo è confermata, per Gallo, nell’affermazione contenuta nel tratto finale della c. Omnem, secondo cui grazie all’imperatore stesso si è verificata una decisiva legum permutatio[34]; la legum permutatio, agli occhi di Filippo Gallo, assume una sorta di valore simbolico: essa denoterebbe la piena attuazione dell’assolutismo legislativo, ereditato poi dalla tradizione giuridica successiva a Giustiniano, in contrapposizione con un altro modo di porre il diritto, basato sulla formazione extrautoritativa: quest’ultima appartiene a quell’‘eredità perduta’ del diritto romano che per il Maestro va riscoperta e proposta oggi come modello.
La ricostruzione del rapporto interpretazione/recezione moribus nell’esperienza romana è senza dubbio una grande novità negli studi romanistici. Va però detto – e il Professore ne era ben consapevole – che una parte, forse maggioritaria, dei romanisti non ha colto questa novità o l’ha trascurata o non ben compresa. Alle radici di questa incomprensione sta, a mio giudizio, l’enfasi che viene data in genere alla giurisprudenza, vista come protagonista assoluta della creazione del diritto a partire dall’età arcaica sin quasi alle soglie dell’assolutismo imperiale. In questo modo, tuttavia, si dimentica un fattore decisivo – e ben presente nelle fonti – qual è la receptio moribus e si rischia di non intendere appieno il modello romano di produzione del diritto più a lungo operante. Si tratta di un modello che si pone, nella visuale di Filippo Gallo, in antitesi con quello che si potrebbe definire l’‘assolutismo legislativo’ che caratterizza non solo l’esperienza politica dell’età tardoantica e, in particolare, di Giustiniano, ma che persiste sino ai nostri giorni pur in un quadro costituzionale assai lontano dalla sua declinazione giustinianea[35]. Questo modello ha anche il vantaggio di chiarire meglio il rapporto tra populus e formazione del diritto, che pure è al centro del sistema delle fonti costruito dalla stessa giurisprudenza romana: il potere del popolo non si limita alla formale esplicazione della lex, ma caratterizza e giustifica tutte le fonti (comprese le costituzioni imperiali) e si integra in maniera necessaria con l’interpretatio giurisprudenziale tramite la receptio moribus: come precisa Giuliano, il popolo può esprimere la propria volontà e creare diritto sia suffragio, sia rebus ipsis et factis[36].
La riscoperta e valorizzazione del rapporto tra interpretazione e formazione extrautoritativa del diritto è la base da cui nascono ulteriori, numerose, ricerche di Gallo, apparse in varie riviste o pubblicate in volume, che sono strettamente connesse e dipendenti dalla riscoperta del valore centrale della receptio moribus per l’esperienza giuridica romana. Credo che in quest’ambito vadano ricondotti anche gli studi sulla definizione celsina del diritto[37], il primo dei quali risale al 1987, e che si diramano – soprattutto nell’ultimo fecondo periodo della vita del Maestro – in confronti serrati con l’attuale concezione del diritto, in particolare con quella di derivazione kelseniana, per esempio contrapponendo icasticamente Celso e Kelsen in una monografia del 2010 [38]. Filippo Gallo interpreta in maniera sostanzialmente innovativa la definizione di ius quale ars boni et aequi, data da Celso e riferita da Ulpiano (Ulp. 1 inst. D. 1.1.1) – dagli stessi giustinianei posta all’inizio del Digesto –, ponendo in luce, da un lato, l’attributo dell’‘artificialità’ del diritto (il diritto in quanto ars) che essa delinea, e, dall’altro lato, il fatto che Celso definisca il ius non come insieme di norme giuridiche, ma, in estrema sintesi, come metodo di produzione di norme giuridiche che abbiano un contenuto corrispondente al bonum et aequum, a razionalità ed eguaglianza proporzionale. Una definizione di diritto che enfatizzi nel definiens, come elemento essenziale del definiendum (ius), la prospettiva della produzione del diritto anziché soltanto il prodotto ottenuto (e cioè la norma giuridica o, al più, l’insieme di norme che costituiscono, come si dice comunemente oggi, l’‘ordinamento’ giuridico), è, per Gallo, in profonda antitesi con le moderne concezioni del fenomeno giuridico, le quali, in larghissima parte costruite sul concetto di normatività del diritto, censurano, di conseguenza, l’elemento essenziale della produzione dello stesso; esse non tengono conto perciò della ‘causa’ del diritto, vedendo solo l’‘effetto’ che esso produce, vale a dire la norma.
In questo modo Filippo Gallo individua un’‘eredità perduta’ del diritto romano, che è riproposta come chiave per una rifondazione della stessa scienza giuridica e, nello stesso tempo, come schema alternativo a una formazione soltanto autoritativa del diritto: per Gallo occorrerebbe muoversi nel senso di ridimensionare la formazione ‘verticale’ delle norme (che vede protagonista assoluto il legislatore che le cala dall’alto) per recuperare una modalità di formazione ‘orizzontale’, che veda il riconoscimento di una partecipazione alla produzione del diritto diffusa nel tessuto sociale. In quest’ottica dovrebbe essere ripensato il ruolo stesso del giurista, che invece di svolgere soltanto una funzione di mera ricognizione esplicativa del diritto vigente, dovrebbe assumere una funzione propositiva e così fare da tramite verso un rinnovato meccanismo di receptio moribus che abbia (di nuovo) la società civile come protagonista della formazione del diritto. Se si vuole ragionare in termini romanistici, si potrebbe parlare di una riappropriazione da parte del populus del contenuto della delega al legislatore (a Roma l’imperatore) del potere di porre nuove norme, delega che è tuttora sottostante ai sistemi parlamentari che caratterizzano tutte le democrazie. Si tratta di una proposta forse utopica, ma che ha l’indubbio merito di valorizzare l’esperienza giuridica romana relativa alla formazione extrautoritativa del diritto, considerandola come uno schema fecondo e attuale, i cui meccanismi – pur a distanza di tanti secoli – potrebbero condurre a ripensare, o, meglio, a rifondare il modo stesso di concepire il diritto e di interpretarlo.
Questa proposta mostra, infine, anche l’atteggiamento concreto e costruttivo del Maestro, sia nella vita, sia negli studi prediletti, in sostanziale opposizione a un mondo che a me sembra, invece, abbandonare sempre più in fretta il diritto come modo di regolamentazione degli interessi, dei bisogni e dei conflitti, per approdare ad altri strumenti che diritto non sono, quali, di volta in volta, l’economia, la sociologia, la psicologia. Egli, come giurista, non ha mai voluto rinchiudersi nella turris eburnea dello studioso, ma ha sempre pensato il diritto romano come base ineludibile per tentare di migliorare il presente. L’eredità perduta del diritto romano, che ha tenacemente riproposto come possibile soluzione a tanti problemi della contemporaneità, è l’espressione più alta della sua consapevolezza che la storia giuridica non è fine a se stessa, ma dialoga costantemente con il presente, perché si può conoscere in modo compiuto l’oggi solo se si conosce a fondo il passato e solo conoscendo il passato si possono ri-scoprire princìpi e valori, talora dimenticati, con cui tentare di affrontare meglio il domani.
· La riforma dei comizi centuriati, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 18, 1952, 127-157.
· Osservazioni sulla signoria del pater familias in epoca arcaica, in Studi in onore di Pietro de Francisci, II, Milano 1956, 195-236 [pubbl. come estratto anticipato nel 1954].
· Studi sul trasferimento della proprietà in diritto romano, Torino 1955.
· La pretesa pubblicità dei trasferimenti nel diritto romano arcaico e classico, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 23, 1957, 174-264.
· Un capitolo di storia della pubblicità (Lettura di V. Colorni, Per la storia della pubblicità immobiliare e mobiliare [Studi e testi pubblicati dall’Istituto di storia del diritto italiano dell’Università di Roma, 3, Milano 1954]), in Labeo 3, 1957, 105-128.
· Voce «Actio Publiciana (in rem)», in Novissimo Digesto Italiano, II, Torino 1957, 267-270.
· Studi sulla distinzione tra res mancipi e res nec mancipi, Torino 1958.
· La pubblicità nell’esperienza giuridica romana e contemporanea, in Labeo 4, 1958, 89-99.
· Voce «Centuria», in Novissimo Digesto Italiano, III, Torino 1959, 115-116.
· Voce «Classi», in Novissimo Digesto Italiano, III, Torino 1959, 349-350.
· Il principio ‘emptione dominium transfertur’ nel diritto pregiustinianeo, Milano 1960.
· Sulla asserita sopravvivenza del ‘pactum de non petendo’ nel diritto civile italiano, in Il Foro Italiano 83, 1960, coll. 129-145.
· Disposizioni di Giustiniano sulla forma delle vendite (Appendice al corso di diritto romano), Torino 1961.
· Per la interpretazione di Vat. Fragm. 35, in Studi in onore di Emilio Betti, II, Milano 1961, 447-479.
· Rec. a J. Reinach, Ebauche d’une mancipation, [Paris, Les Belles Lettres 1960], in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 64, 1961, 376-380.
· Rec. a L. Bove, Ricerche sugli ‘agri vectigales’ [Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università di Napoli, 39, Napoli 1960], in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 66, 1963, 217-232.
· Rec. a M. Bretone, La nozione romana di usufrutto. I: Dalle origini a Diocleziano [Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università di Napoli, 58, Napoli 1962], in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 66, 1963, 196-216 [= Ususfructus e pars domini, in Jus 14, 1963, 567-571].
· Ususfructus e pars domini, in Jus 14, 1963, 567-571.
· Disciplina giuridica e costruzione dogmatica nella locatio degli agri vectigales, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 30, 1964, 1-49.
· In tema di origine della compravendita consensuale (a proposito del volume di Filippo Cancelli: L’origine del contratto consensuale di compravendita nel diritto romano), in Studia et Documenta Historiae et Iuris 30, 1964, 299-318.
· Sulla presunta estinzione del rapporto di locazione per iniziativa unilaterale, in Synteleia Vincenzo Arangio-Ruiz, II, Napoli 1964, 1198-1211.
· Rec. a A. Dell’Oro, Le cose collettive nel diritto romano [Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza della Università di Milano, serie II n. l, Milano 1963], in IVRA 15, 1964, 305-314.
· Riflessioni sulla funzione della scriptura in C. 4, 21, 17, in Studi in onore di Biondo Biondi, II, Milano 1965, 411-443.
· Rec. a F. Grelle, Stipendium vel tributum (L’imposizione fondiaria nelle dottrine giuridiche del II e III secolo), [Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università di Napoli, 66, Napoli 1963], in Studia et Documenta Historiae et Iuris 31, 1965, 456-461.
· Giusto corrispettivo e corrispettivo presunto nella vendita e nella locazione, in Pubblicazioni della Università di Pavia - Studi nelle scienze giuridiche e sociali 142, Pavia 1966, 3-76.
· Studio e insegnamento del diritto romano, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 32, 1966, 318-325.
· Rec. a G. Franciosi, Usucapio pro herede (Contributo allo studio della antica hereditas), [Pubblicazioni della Facoltà giuridica dell’Università di Napoli, 74, Napoli 1965], in Studia et Documenta Historiae et Iuris 32, 1966, 416-427.
· Appunti su storia del diritto e diritto dell’economia, in Il diritto dell’economia 14 1968, 667-677.
· La dottrina di Proculo e quella di Paolo in materia di arbitraggio, in Studi in onore di Giuseppe Grosso, III, Torino 1969, 479-542.
· Nuovi spunti nell’interpretazione di C. 5.11.1, in Studi in onore di Edoardo Volterra, IV, Milano 1969, 573-599.
· ‘Potestas’ e ‘dominium’ nell’esperienza giuridica romana, in Labeo 16, 1970, 17-58.
· Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino 1971.
· L’arbitrato ex art. 24 T.U. 15-10-1925 n. 2578 sulla municipalizzazione e la sua pretesa abrogazione ad opera del C.P.C., in Rassegna dell’arbitrato 13, 1973, 153-170.
· Per la ricostruzione e l’utilizzazione della dottrina di Gaio sulle obligationes ex variis causarum figuris, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 76, 1973, 171-224.
· L’ultima produzione scientifica di Giuseppe Grosso, in Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI, Torino 1974, 705-714.
· Giuseppe Grosso (1906-1973), in Studia et Documenta Historiae et Iuris 40, 1974, 1-20.
· La concretezza nell’esperienza giuridica romana, in Index 5, 1974-1975, 1-12.
· Appunti minimi sui ‘criteri’ della sistematica, in AA.VV., Prospettive sistematiche nel diritto romano, Torino 1976, 497-514.
· Quali condizioni di lavoro?, in U.S.P.U.R. Convegno di Santena 21-22 febbraio 1977, Torino 1977, 124-144.
· Rec. a G. Crifò, Studi sul quasi-usufrutto romano. I. Problemi di datazione, [Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, 15, Padova 1977], in IVRA 28, 1977, 234-237.
· Inadeguatezza e disapplicazione delle leggi, in Amministrazione e Società 4, 1978, 379-386.
· La consuetudine in diritto romano, in Atti del colloquio romanistico-canonistico (febbraio 1978), Roma 1979, 98-112.
· Prefazione, in Il modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del Convegno torinese 4-5 Maggio 1978 in onore del Prof. Silvio Romano, Milano 1981, III-IV.
· La storia in Gaio, in Il modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del Convegno torinese 4-5 Maggio 1978 in onore del Prof. Silvio Romano, Milano 1981, 89-108.
· Onerosità sopravvenuta nei contratti di concessione di pubblici servizi dei comuni e delle province, in Il Foro Italiano 106, 1981, coll. 202-224 [= Studi in onore di Cesare Sanfilippo, III, Milano 1983, 247-296].
· Sull’inserzione automatica nei contratti dei prezzi autoritativi più favorevoli a consumatori ed utenti, in I Tribunali amministrativi regionali 12, 1981, 383-393 [= Studi in onore di Arnaldo Biscardi, III, Milano 1982, 557-573].
· Rec. a A. Corbino, Ricerche sulla configurazione originaria delle servitù. I [Pubblicazioni dell’Istituto di Scienze giuridiche, economiche, politiche e sociali dell’Università di Messina, 125, Milano 1981], in IVRA 32, 1981, 218-229.
· I ‘subsellia’ in Vat. Fr. 35: seggiole o porzioni di terreno?, in IVRA 33, 1982, 104-115.
· Sul potere normativo imperiale, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 48, 1982, 413-454.
· Idee vecchie e nuove sui poteri del pater familias, in Poteri Negotia Actiones nella esperienza romana arcaica. Atti del convegno di diritto romano (Copanello 12-15 maggio 1982), Napoli 1984, 29-51.
· Per il recupero istituzionale della funzione del dirigente, in Incontrodibattito sul tema: La crisi della P.A. e dell’università e la condizione giuridica ed economica dei dirigenti e dei professori (Roma, 5 dicembre 1984), Roma 1984, 5-26 [= Università-Rassegna. Università degli Studi di Camerino. Centro Internazionale di Ricerca e Documentazione sui problemi dell’Università e della cooperazione universitaria, 3, 1985, 175-186].
· Per il riesame di una tesi fortunata sulla ‘solutio legibus’, in Sodalitas - Scritti in onore di Antonio Guarino, 2, Napoli 1984, 651-682.
· L’uomo e il diritto (a proposito di una ‘rivisitazione di Augusto’, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 51, 1985, 215-256.
· Produzione del diritto e sovranità popolare nel pensiero di Giuliano (a proposito di D. 1.3.32), in IVRA 36, 1985, 70-96.
· Rec. a B. Albanese, Le situazioni possessorie nel diritto privato romano, [Pubblicazioni del Seminario giuridico dell’Università di Palermo, Palermo 1985], in Studia et Documenta Historiae et Iuris 51, 1985, 572-578.
· La codificazione giustinianea, in Index 14, 1986, 33-46.
· Voce «Arbitrio del terzo (disposizioni rimesse all’)», in Digesto- Discipline privatistiche, I, Torino 1987, 414-419.
· Aspetti inquietanti della disciplina del cosiddetto condono edilizio: violazioni dello ‘status’ di cittadino, in Giurisprudenza Italiana, 1987 (Disp. 8a-9a, Parte IV), coll. 321-373.
· L’ars boni et aequi e il c.d. condono edilizio, in Rivista di diritto civile 33, 1987, 399-403.
· Ristrutturazione del corso di laurea in giurisprudenza e formazione del giurista, in Giurisprudenza italiana, 1987 (Disp. 1a, Parte IV), coll. 1-16.
· Sulla definizione celsina del diritto, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 53, 1987, 7-52.
· Rec. a G. Aricò Anselmo, Partes iuris, [Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 39, Palermo 1987], in IVRA 38, 1987, 184-202.
· Contributo alla delimitazione tra attività interpretativa e illegittimità costituzionale. (In tema di razionalizzazione dell’art. 4 sub art. 1 della legge n. 158 del 1987), in Giurisprudenza Italiana, 1988 (Disp. 5a, Parte IV), coll. 97-113.
· Diritto e giustizia nel titolo primo del Digesto, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 54, 1988, 1-36.
· Eredità di Labeone in materia contrattuale, in Atti del Seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano (Milano, 7-9 aprile 1987), Milano 1988, 41-59.
· Voce «Pubblicità (diritto romano)», in Enciclopedia del Diritto, 37, Milano 1988, 966-974.
· Eredità di giuristi romani in materia contrattuale, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 55, 1989, 123-190.
· La irretroattività della legge (riflessioni attuali sul Código Civil di D. Vélez Sarsfield), in Quadrimestre-Rivista di diritto privato 3, 1989, 449-462.
· Sulla definizione del diritto, in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 123, 1989, 15-34 [= Rivista di diritto civile 36, 1990, 23-43].
· Appagamento di istanze corporative in provvedimenti legislativi e disegni di legge sull’Università, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 45-3, 1991, 815-878.
· Giuseppe Provera: l’uomo e lo studioso (1919-1990), in Studia et Documenta Historiae et Iuris 57, 1991, 549-570.
· Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne - Corso di Diritto romano, I, Torino 1992.
· La sovranità popolare quale fondamento della produzione del diritto in D. 1,3,32: teoria giulianea o manipolazione postclassica?, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 104-105, 1991-1992, 1-40.
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· Patrimonio e cose nella famiglia romana arcaica, in AA.VV., Gaetano Scherillo. Atti del convegno, Milano, 22-23 ottobre 1992, Milano 1992, 91-103.
· Per lo studio e l’insegnamento della scienza e della tecnica della produzione, interpretazione e applicazione del diritto nelle Facoltà giuridiche italiane, in Panorami 4, 1992, 1-28.
· Rec. a V. Giuffrè, L’emersione dei ‘iura in re aliena’ e il dogma del numero chiuso, [Napoli 1992], in IVRA 43, 1992, 201-209.
· Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano. Edizione completata con la parte relativa alla fase della codificazione, Torino 1993.
· Rec. a A. Guarino, Diritto privato romano, [9a ed. Napoli 1992], in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 47, 1993, 287-290.
· Giuseppe Provera (a cura di I. Buti) [in collaborazione con F. Casavola e G. Pugliese], Camerino 1993.
· Alle origini dell’analogia, in Diritto e processo nella esperienza romana. Atti del Seminario torinese (4-5 dicembre 1991) in memoria di Giuseppe Provera, Napoli 1994, 39-86.
· Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne - Corso di Diritto romano, II, Torino 1995.
· Rec. a A. Bottiglieri, La nozione romana di enfiteusi, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61, 1995, 891-893.
· Indagine comparatistica e ricerca storica, in Index 24, 1996, 93-105.
· Sulle tracce di indirizzi sabiniani e proculiani nella materia contrattuale, in Per la storia del pensiero giuridico romano. Da Augusto agli Antonini. Atti del seminario di S. Marino, 12-14 gennaio 1995, a cura di D. Mantovani, Torino 1996, 15-38.
· Un nuovo approccio per lo studio del ius honorarium, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 62, 1996, 1-68.
· L’officium del pretore nella produzione e applicazione del diritto, Torino 1997.
· Ai primordi del passaggio della sinallagmaticità dal piano delle obbligazioni a quello delle prestazioni, in Causa e contratto nella prospettiva storicocomparatistica, Torino 1997, 63-83.
· Introduzione al Congresso, in Società italiana di storia del diritto. Congresso internazionale sul tema: I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica, Torino, 17-19 ottobre 1994, Napoli 1997, 29-31.
· Piani regolatori e rapporti di vicinato (per il ritorno all’esegesi e all’ars iuris), in Rivista di diritto civile 43, 1997, 831-897.
· Per un rinnovamento della cultura giuridica, in I giuristi e l’Europa, a cura di L. Macera, Roma-Bari 1997, 120-128.
· ‘Agere praescriptis verbis’ e editto alla luce di testimonianze celsine, in Labeo 44, 1998, 7-25.
· I principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e l’interpretazione della legge alla luce della Carta costituzionale, in Studi in onore di Pietro Rescigno, l, Milano 1998, 435-446.
· Tra la recezione ‘moribus’ e la ‘consuetudo’: la fase della assenza della formazione consuetudinaria dagli elenchi delle fonti del diritto, in La codificazione del diritto dall’antico al moderno. Incontri di studio. Napoli, gennaionovembre 1996. Atti, Napoli 1998, 245-261.
· Rec. a M. Bretone, I fondamenti del diritto romano. Le cose e la natura [Bari 1998], in IVRA 49, 1998, ma pubbl. 2002, 129-149.
· Contratto e atto secondo Labeone: una dottrina da riconsiderare, in Roma e
America. Diritto romano comune 7, 1999, 17-60.
· La riflessione di Papiniano sul ‘ius honorarium’, in Règle et pratique du droit dans les réalités juridiques de l'Antiquité. Atti della 51a Sessione della SIHDA (CrotoneMessina, 16-20 settembre 1997), a cura di I. Piro, Soveria Mannelli 1999, 31-53.
· A proposito di ‘aeque’ in D. 19.1.50: un giudizio con comparazione sottesa, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 66, 2000, 1-27.
· Precisazioni su ‘ius moribus receptum’, ‘responsa prudentium’, ‘consuetudo’, in Labeo 46, 2000, 95-97.
· Un modelo de romanista, in Roma e America. Diritto romano comune 10, 2000, 237-260 [trad. it.: Un modello di romanista, in Labeo 47, 2001, 7-27].
· Le consuetudini locali nell’esperienza romana prima e dopo la concessione della ‘civitas romana’ ai peregrini, in Diritto generale e diritti particolari nell'esperienza storica. Atti del Congresso internazionale della Società italiana di Storia del diritto (Torino, 19-21 novembre 1998), Roma 2001, 303-333.
· Norme penali e norme eccezionali nell'art. 14 delle ‘disposizioni sulla legge in generale’, in Rivista di diritto civile 47, 2001, 1-28 [= Incompatibilità con precetti costituzionali dell’equiparazione delle norme penali e di quelle eccezionali nell'art. 14 delle ‘Disposizioni sulla legge in generale’, in ‘Iuris vincula’. Studi in onore di Mario Talamanca, III, Napoli 2001, 507-543].
· Nota di lettura a Giuseppe Grosso, Corso di diritto romano. Le cose, ripubblicato in Rivista di Diritto Romano 1, 2001, 88-89.
· ‘Princeps’ e ‘ius praetorium’, in Rivista di Diritto Romano 1, 2001, 305-323 [= ‘Ius controversum’ e ‘auctoritas principis’. Giuristi principe e diritto nel primo Impero. Atti del Convegno internazionale di diritto romano e del IV Premio romanistico «G. Boulvert» (Copanello 11-13 giugno 1998), a cura di F. Milazzo, Napoli 2003, 263-298].
· Aspetti peculiari e qualificanti della produzione del diritto nell'esperienza romana, in IVRA 54, 2003, 1-20 [= Rivista di Diritto Romano 4, 2004, 1-12].
· ‘Bona fides’ e ‘ius gentium’, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (Padova, Venezia, Treviso, 14-15-16 giugno 2001), II, a cura di L. Garofalo, Padova 2003, 115-155.
· L’interpretazione del diritto è ‘affabulazione’?, in Rivista di Diritto Romano 3, 2003, 125-175 [ripubbl. come F. Gallo, L’interpretazione del diritto è ‘affabulazione’?, con Spunti per la riflessione di Mario Cicala, Milano 2005].
· Fondamenti romanistici del diritto europeo: a proposito del ruolo della scienza giuridica, in Diritto @ Storia 4, 2005, http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Gallo-Fondamenti-romanistici-diritto-europeo.htm, ora in Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana. Tradizione romanistica e Costituzione, II, diretto da L. Labruna, a cura di M.P. Baccari e C. Cascione, Napoli 2006, 1949-1987.
· La recezione ‘moribus’ nell’esperienza romana: una prospettiva perduta da recuperare, in IVRA 45, 2004-2005, 1-28 [anche in Prassi e diritto. Valore e ruolo della consuetudine, a cura e con prefazione di L. Bove, Napoli 2008, 105-138].
· Rifondazione della scienza giuridica premessa primaria per la formazione del diritto europeo, in Fondamenti del diritto europeo. Atti del Convegno Ferrara, 27 febbraio 2004, a cura di P. Zamorani, A. Manfredini, P. Ferretti, Torino 2005, 11-34.
· Una critica del nichilismo giuridico, in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. Cl. Scienze Morali, Storiche e Filologiche 139/140, 2005-2006, 3-35 [= Rivista di diritto civile 53, 2007, 19-47, nonché in Studi per Giovanni Nicosia, III, Milano 2007, 469-510].
· Dottrina ed evoluzione del diritto, in I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale. La Corte costituzionale nella costruzione dell’ordinamento attuale. Princípi fondamentali. Atti del II Convegno nazionale SISDiC, Capri 18-19-20 aprile 2006, I, Napoli-Roma 2007, 333-365 [= Rivista di diritto civile 54, 2008, 683-711].
· L’eredità perduta del diritto romano: a proposito della produzione del diritto, in Europa e diritto privato, 2007, 1005-1056.
· L’eredità perduta del diritto romano. Introduzione al tema, in Diritto @ Storia 6, 2007, http://www.dirittoestoria.it/6/D-&-Innovazione/Gallo-Eredit-perduta-diritto-romano.htm [= Studi in onore di Remo Martini, II, Milano 2009, 139-158].
· Travisamento del lascito del diritto romano, in Fides humanitas ius. Studi in onore di Luigi Labruna, III, Napoli 2007, 2007-2036.
· La ‘verità’: valore sotteso alla definizione celsina del diritto, in Diritto @ Storia 7, 2008, http://www.dirittoestoria.it/7/Tradizione-Romana/Gallo-Verit-valore-definizione-celsina-diritto.htm [= Valori e principii del diritto romano. Atti della Giornata di studi per i 100 anni di Silvio Romano Maestro di Istituzioni (Torino, 12 ottobre 2007), a cura di A. Trisciuoglio, Napoli 2009, 83-112].
· ‘Ars boni et aequi’ e ‘ius naturale’, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 75, 2009, 15-42.
· La ridefinizione celsina del diritto nel sistema giustinianeo e la sua successiva rimozione dalla scienza giuridica: conseguenze persistenti in concezioni e dottrine del presente, in Europa e diritto privato, 2009, 631-677 [= Teoria e Storia del Diritto Privato 3, 2010, 1-85].
· Celso e Kelsen. Per la
rifondazione della scienza giuridica,
Torino 2010 [trad. cinese: Fa Lu Ke Xue de Chong
Xing Jiang Gou. Chong fie Er
Shu Dao Ka Er Seng, a cura di L. Zhang, Beijing
2012; trad. spagnola: Celso y Kelsen.
Para la
refundación de la ciencia jurídica, a cura di M. Grasso,
Buenos Aires-Roma 2015].
· Che cos’è la costituzione? Una disputa sulla rifondazione della scienza giuridica, in Rivista AIC 1, 2011, 1-40 [= Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 105, 2011, 325-383].
· Consuetudine e nuovi contratti, in Roma e America. Diritto romano comune 21-22, 2011, 5-75 [pubbl. anche come libro a sé stante: F. Gallo, Consuetudine e nuovi contratti. Contributo al recupero dell'artificialità del diritto, Torino 2012].
· Definizione celsina e dottrina pura del diritto, in Teoria e Storia del Diritto Privato 4, 2011, 1-178.
· La legum permutatio giustinianea rivoluzione giuridica ignorata dalla nostra tradizione. Introduzione al tema, in Estudios Jurídicos en Homenaje al Profesor Alejandro Guzmán Brito, II, a cura di P.-I. Carvajal e M. Miglietta, Alessandria 2011, 527-543.
· L’eredità perduta del diritto romano, in Index 40, 2012, 533-536.
· La consuetudine grande sconosciuta, in Seminarios complutenses 26, 2013, 15-41 [= Rivista di Diritto Romano 13, 2013, 1-16].
· Carattere ideologico della soggezione del giudice alla legge, Torino 2014.
· Valore perdurante dei criteri del ‘bonum et aequum’, in Teoria e Storia del Diritto Privato 8, 2015, 1-45 [= AA.VV., Celso teorico del diritto, a cura di L. Garofalo, Napoli 2016, 249-272].
· Obiettivi del convegno, in AA.VV., Celso teorico del diritto, a cura di L. Garofalo, Napoli 2016, 1-2.
· Ius, quo utimur, Torino 2018.
· A proposito delle interpolazioni nel Digesto, in A Pierluigi Zannini. Scritti di diritto romano e giusantichistici, a cura di F. Zuccotti e M.A. Fenocchio, Milano 2018, 9-11.
[1] F.
Gallo, La riforma dei comizi centuriati, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris
18, 1952, 127-157 (ora in F. Gallo,
Opuscula selecta,
a cura di F. Bona e M. Miglietta, Padova 1999, 1-33).
[2] F. Gallo, Osservazioni sulla signoria del pater familias in epoca arcaica, in Studi in onore di Pietro de Francisci, II, Milano 1956, 195-236.
[3] F. Gallo, Studi sul trasferimento della proprietà in diritto romano, Torino 1955.
[4] F. Gallo, Studi sulla distinzione tra res mancipi e res nec mancipi, Torino 1958.
[5] F. Gallo, Idee vecchie e nuove sui poteri del pater familias, in Poteri Negotia Actiones nell’esperienza romana arcaica. Atti del Convegno di diritto romano (Copanello 12-15 maggio 1982), Napoli 1984, 29-51.
[6] F. Gallo, La pretesa pubblicità dei trasferimenti nel diritto romano arcaico e classico, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 23, 1957, 174-264; Un capitolo di storia della pubblicità [Lettura di V. Colorni, Per la storia della pubblicità mobiliare e immobiliare, Milano 1954], in Labeo 3/1, 1957, 105-128; La pubblicità nell’esperienza giuridica romana e contemporanea, in Labeo 4/1, 1958, 89-99; Per la interpretazione di Vat. Fragm. 35, in Studi in onore di Emilio Betti, II, Milano 1961, 447-479.
[7] F. Gallo, v. Pubblicità (Diritto romano), in Enciclopedia del diritto, 37, Milano 1988, 966-974.
[8] F. Gallo, Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso di diritto romano, I, Torino 1992, 1-19.
[9] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 3.
[10] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 11.
[11] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 15 ss.
[12] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 18.
[13] Così Gai. 1 ad leg. duod. tab. D. 1.21, espressamente richiamato anche in F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 13.
[14] Cfr., i dubbi avanzati da L. Lantella, L’isolamento dell’origine: pretese teoriche e sostanza pragmatica, in Studi in onore di Arnaldo Biscardi, IV, Milano 1983, 27.
[15] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 13.
[16] L’espressione compare nel titolo di vari suoi articoli: v., per es., F. Gallo, L’eredità perduta del diritto romano: a proposito della produzione del diritto, in Europa e diritto privato, 2007, 1005-1056; Id., L’eredità perduta del diritto romano, in Index 40, 2012, 533-536, e, ancora, in questa stessa rivista, Id., L’eredità perduta del diritto romano. Introduzione al tema, in Diritto @ Storia 6, 2007, http://www.dirittoestoria.it/6/D-&-Innovazione/Gallo-Eredit-perduta-diritto-romano.htm [= Studi in onore di Remo Martini, II, Milano 2009, 139-158].
[17] Sulla concezione del contratto nel pensiero di Filippo Gallo, v. F. Goria, La tematica contrattuale nell’opera scientifica di Filippo Gallo, in Due maestri del diritto. Filippo Gallo e Gastone Cottino, a cura di F. Goria e R. Weigmann, Torino 2016, 29-36.
[18] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 19; mi piace ricordare, che tra gli ‘obiettivi collaterali’ del corso, ivi elencati, di natura più squisitamente didattica, vi è anche quello consistente nell’aiutare gli studenti «a ragionare in proprio, senza accettare passivamente l’insegnamento ad essi impartito»; chi ha conosciuto bene il Maestro, sa quanto Egli considerasse di grandissimo rilievo questo compito del docente.
[19] Labeo libro primo praetoris urbani definit, quod quaedam ‘agantur’, quaedam ‘gerantur’, quaedam ‘contrahantur’: et actum quidem generale verbum esse, sive verbis sive re quid agatur, ut in stipulatione vel numeratione: contractum autem ultro citroque obligationem, quod Graeci συνάλλαγμα vocant, veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem: gestum rem significare sine verbis factam.
[20] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 224.
[21] Pomp. l. sing. ench. D. 1.2.47: … Labeo ingenii qualitate et fiducia doctrinae, qui et ceteris operis sapientiae operam dederat, plurima innovare instituit.
[22] Noct. Att. 13.10: Labeo Antistius iuris quidem civilis disciplinam principali studio exercuit et consulentibus de iure publice responsitavit; ceterarum quoque bonarum artium non expers fuit et in grammaticam sese atque dialecticam litterasque antiquiores altioresque penetraverat Latinarumque vocum origines rationesque percalluerat, eaque praecipue scientia ad enodandos plerosque iuris laqueos utebatur; Noct. Att. 13.12: In quadam epistula Atei Capitonis scriptum legimus, Labeonem Antistium legum atque morum populi Romani iurisque civilis doctum adprime fuisse. “Sed agitabat,” inquit, “hominem libertas quaedam nimia atque vecors usque eo ut, divo Augusto iam principe et rempublicam obtinente, ratum tamen pensumque nihil haberet, nisi quod iussum sanctumque esse in Romanis antiquitatibus legisset”…
[23] Ann. 3.75: Obiere eo anno viri inlustres Asinius Saloninus, Marco Agrippa et Pollione Asinio avis, fratre Druso insignis Caesarique progener destinatus, et Capito Ateius, de quo memoravi, principem in civitate locum studiis civilibus adsecutus, sed avo centurione Sullano, patre praetorio. consulatum ei adceleraverat Augustus ut Labeonem Antistium isdem artibus praecellentem dignatione eius magistratus antiret. namque illa aetas duo pacis decora simul tulit: sed Labeo incorrupta libertate et ob id fama celebratior, Capitonis obsequium dominantibus magis probabatur. illi quod praeturam intra stetit commendatio ex iniuria, huic quod consulatum adeptus est odium ex invidia oriebatur.
[24] Pomp. l. sing. ench. D. 1.2.47: … Ex his Ateius consul fuit: Labeo noluit, cum offerretur ei ab Augusto consulatus, quo suffectus fieret, honorem suscipere, sed plurimum studiis operam dedit: et totum annum ita diviserat, ut Romae sex mensibus cum studiosis esset, sex mensibus secederet et conscribendis libris operam daret. Itaque reliquit quadringenta volumina, ex quibus plurima inter manus versantur.
[25] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 81.
[26] F. Gallo, Synallagma e conventio, I, cit., 82.
[27] Cfr. G. Grosso, Lezioni di storia del diritto romano, 5a ed., Torino 1965, 393 s.
[28] Un piccolo, ma significativo esempio, di questa eredità spirituale, può esser dato da un articolo di Angelo Benessia, un illustre avvocato civilista di Torino, apparso su ‘La Stampa’ del 13 aprile 2003, intitolato ‘Veri e falsi progressisti, una risposta a [Giuliano] Ferrara. Imparate da Labeone’, che menziona proprio le categorie di ‘tradizionalista’ e ‘conservatore’, così come apprese sui banchi della facoltà di Giurisprudenza di Torino dalle lezioni di Storia del diritto romano di Giuseppe Grosso.
[29] Riprendo qui, in maniera sintetica, le più ampie considerazioni che ho svolto presso l’Accademia delle Scienze di Torino, in occasione dei festeggiamenti per i novant’anni del Maestro: v. P. Garbarino, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto, in Due maestri del diritto, cit., 37-45.
[30] F. Gallo, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino 1971.
[31] F. Gallo, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano. Edizione completata con la parte relativa alla fase della codificazione, Torino 1993.
[32] Al contributo del pretore alla formazione del diritto Gallo dedica una specifica monografia – anch’essa un corso di diritto romano – in cui il tema della formazione del diritto viene ripreso da varie prospettive nell’ottica di proporre un nuovo approccio allo studio del ius honorarium: F. Gallo, L’officium del pretore nella produzione e applicazione del diritto. Corso di diritto romano, Torino 1997.
[33] F. Gallo, Consuetudine e nuovi contratti. Contributo al recupero dell’artificialità del diritto, Torino 2012.
[34] C. Omnem 11: … quis vestris temporibus talis legum inventa est permutatio, qualem et apud Homerum patrem omnis virtutis Glaucus et Diomedes inter se faciunt dissimilia permutantes: χρύσεα χαλκείων, ἑκατόμβοια ἐννεαβοίων; v. F. Gallo, La legum permutatio giustinianea rivoluzione giuridica ignorata dalla nostra tradizione. Introduzione al tema, in Estudios Jurídicos en Homenaje al Profesor Alejandro Guzmán Brito, a cura di P.-I. Carvajal e M. Miglietta, Alessandria 2011, 527-543.
[35] Secondo Gallo, il modello giustinianeo perdura nel lungo periodo ed è trasmesso anche al mondo moderno tramite la riscoperta e la ricezione del Corpus Iuris: all’assolutezza dell’imperatore si sostituisce, con la rivoluzione francese, l’assolutezza della legge, che contraddistingue i sistemi giuridici moderni e contemporanei; ne è conseguenza lo spazio vicario e marginale che è dato alla consuetudine nelle moderne codificazioni, compresa quella italiana (con la parziale eccezione di quella tedesca). La stessa nostra costituzione è pienamente immersa in questa tradizione, tanto che in essa non v’è traccia alcuna della formazione extrautoritativa del diritto, non si richiama mai la consuetudine, ma solo la legge, la quale è prerogativa del parlamento (votato dai cittadini), ancorché l’art. 1 affermi solennemente che la sovranità appartiene al popolo.
[36] Iul. 84 dig. D. 1.3.32.1: Inveterata consuetudo pro lege non immerito custoditur, et hoc est ius quod dicitur moribus constitutum. Nam cum ipsae leges nulla alia ex causa nos teneant, quam quod iudicio populi receptae sunt, merito et ea, quae sine ullo scripto populus probavit, tenebunt omnes: nam quid interest suffragio populus voluntatem suam declaret an rebus ipsis et factis? Quare rectissime etiam illud receptum est, ut leges non solum suffragio legis latoris, sed etiam tacito consensu omnium per desuetudinem abrogentur. Cfr. F. Gallo, Produzione del diritto e sovranità popolare nel pensiero di Giuliano (a proposito di D. 1.3.32), in IVRA 51, 1985, 215-256.
[37] Cfr. L. Lantella, Per una sintesi del pensiero del Professor Gallo in tema di definizione celsina del diritto, in Due maestri del diritto, cit., 47-56; v. per una recentissima critica all’interpretazione che Gallo dà della definizione celsina, P. Cerami, ‘Ius est ars boni et aequi’. Un riesame della definizione celsina, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 62, 2019, 37-81.
[38] F. Gallo, Celso e Kelsen. Per la rifondazione della scienza giuridica, Torino 2010; segno dell’interesse destato dal libro sono, tra l’altro, la traduzione cinese, pubblicata nel 2012 (Fa Lu Ke Xue de Chong Xing Jiang Gou. Chong fie Er Shu Dao Ka Er Seng, a cura di L. Zhang, Beijing 2012) e quella spagnola, pubblicata nel 2015: F. Gallo, Celso y Kelsen. Para la refundación de la ciencia jurídica, Buenos Aires 2015). Tuttavia mi sembra che a questa impostazione di Filippo Gallo si possa, sommessamente, rimproverare che il pensiero di Kelsen è criticato in modo, per così dire, astratto, senza tenere in debito conto del contesto storico-giuridico in cui il giurista austriaco ebbe a elaborarlo e a formularlo e della funzione, che forse in quel contesto esso ebbe, di contrapposizione al modo di intendere il diritto da parte degli assolutismi politici che travagliarono l’Europa; il che è, in certa misura, paradossale proprio rispetto alla concezione che Gallo ha del diritto.
· La presente bibliografia è stata redatta sulla scorta di quelle contenute in F. Gallo, Opuscula selecta, a cura di F. Bona e M. Miglietta, Padova 1999 (bibliografia curata da M. Miglietta) e in F. Gallo, Opuscula selecta II, a cura di M. Miglietta, M.A. Fenocchio, E. Sciandrello, Alessandria 2018 (bibliografia curata da M.A. Fenocchio ed E. Sciandrello), alle quali ho apportato un paio di correzioni e una integrazione.