IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM NELL’ART. 50 DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI UE
E NELLA RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Ricercatrice di Diritto dell’Unione Europea
Università di Sassari
SOMMARIO: 1. Premessa: Ne bis in idem e cross-fertilization tra Corti nello spazio giuridico europeo. – 2. Le condizioni di applicabilità del ne bis in idem nell’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia. – 3. Segue: il controverso concetto di idem. – 4. Il concetto di bis e la problematica questione dell’applicabilità ratione materiae del principio ex art. 50 CDFUE al c.d. doppio binario sanzionatorio. – 5. Considerazioni conclusive: la crescente incisività del ruolo di “guida” della Corte di Giustizia UE in ordine ai parametri di valutazione del ne bis in idem. – Abstract.
Tra le principali
evoluzioni che hanno caratterizzato il processo di integrazione europea
nell’era post-Lisbona[1], con particolare riferimento al
rafforzamento dello “spirito di affidamento” sotteso al reciproco
riconoscimento delle decisioni giudiziarie[2]
ed al perfezionamento di uno Spazio di Libertà, sicurezza e giustizia[3]
(SLSG), certamente degne di nota paiono l’interpretazione e
l’applicazione giurisprudenziale del principio del ne bis in idem[4],
ovverosia del «diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo
stesso reato», fornite dalla Corte di Giustizia UE.
Benché tale
principio fosse stato già da tempo oggetto di attenzione in ambito UE[5],
è con il Trattato di Amsterdam ed il
rilancio, in occasione del Consiglio Europeo di Tampere (15-16 ottobre 1999),
dello strumento del reciproco riconoscimento come cardine per la costruzione
dello SLSG di cui agli artt. 3 par. 2 TUE[6] e 67 par. 1 [7]
del TFUE, che il ne bis in idem torna a costituire un elemento a sua
volta essenziale per tale processo. D’altra parte, dopo il Trattato di
Amsterdam, il citato principio rinviene una base normativa ascrivibile al
diritto dell’UE all’interno del c.d. acquis
di Schengen, negli artt. 54-58 della Convenzione di applicazione
dell’omonimo Accordo (CAAS).
Il principio in esame trova oggi la sua sedes
materiae nel Titolo VI della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)[8],
rubricato «Giustizia», all’art. 50 che dispone che:
«nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il
quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a
seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».
Ne bis in idem, dunque, significa
sostanzialmente preclusione nascente dalla decisione passata in giudicato;
quando questa sia sopraggiunta, sarà vietata ogni iterazione (o
prosecuzione) dell’esercizio dello ius
puniendi che riguardi ancora lo stesso oggetto e
la stessa persona. La ratio che si pone a fondamento del divieto di bis
in idem è chiaramente rappresentata dalla necessità di
garantire il singolo dinanzi ad un abuso dello ius
puniendi dello Stato, ovvero alle concorrenti
pretese punitive di più Stati[9]. Si tratta, dunque, di un principio che
costituisce un evidente baluardo di certezza giuridica e, insieme, garanzia di
un diritto individuale – il diritto a non essere illimitatamente esposti
all’esercizio dello ius puniendi – che assurge al rango di diritto
fondamentale del diritto dell’Unione, estendendone l’ambito di
validità oltre i casi meramente interni[10].
Esso risponde segnatamente all’esigenza di preservare due valori
fondamentali sottesi ad ogni moderno sistema giuridico: la certezza del
diritto[11]
e l’equità del processo[12].
Stante una declinazione di tipo processuale, infatti, il ne bis in
idem sancisce il divieto di sottoporre ad ulteriore giudizio, per i
medesimi fatti-reato, un soggetto che sia stato già giudicato con
decisione definitiva[13]; sotto il profilo esecutivo, tale
principio vieta al giudice di sanzionare più volte la medesima condotta
illecita.
In alcune recenti pronunce (Menci[14],
Garlsson Real Estate[15]
e Di Puma e Consob[16]), la Corte di Giustizia, interpellata in
via pregiudiziale ex art. 267 TFUE da giudici italiani, è stata chiamata
a valutare la compatibilità del c.d. doppio binario sanzionatorio
(penale/amministrativo) con la previsione di cui all’art. 50 CDFUE,
così come interpretato anche alla luce dell’art. 4 [17]
del Protocollo n. 7 [18] della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU)[19]
e della relativa giurisprudenza della Corte EDU[20].
Così, per un verso, in forza della disposizione da ultimo citata, gli
Stati aderenti alla CEDU ed al relativo protocollo assumono l’obbligo di
prevedere e assimilare il principio nei propri sistemi di giustizia penale,
mentre, in forza dell’art. 50 CDFUE, lo stesso principio viene
esplicitamente riconosciuto, a un livello sopranazionale, come diritto
fondamentale dell’Unione europea, assumendovi medesimo significato e
identica portata (salva una protezione più ampia ex art. 52 § 3
CDFUE[21])
di quello sancito dalla CEDU.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione del divieto
ex art. 50 CDFUE, occorre rilevare che ad essere direttamente coinvolti in
questa materia sono soprattutto il settore degli abusi di mercato e, ancor di
più, quello tributario, trattandosi di «campi
dell’ordinamento fortemente presidiati da un sistema repressivo proprio,
che convive con quello penale, senza arretrare, allorché la violazione
amministrativa – nei casi di maggiore gravità dell’illecito
– costituisca anche reato»[22].
Nel settore tributario, infatti, i due procedimenti repressivi
proseguono in maniera autonoma e parallela laddove, tuttavia, la loro
contestualità non genera litispendenza, così come la decisione
definitiva nell’uno non preclude l’inizio (o la prosecuzione)
dell’altro[23]. Né si determina, quindi,
tecnicamente, alcun “conflitto pratico” di giudicati, quando si
pervenga a due decisioni definitive nelle due differenti sedi.
In particolare, nelle citate pronunce Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma e Consob, era
richiesto alla Corte di Lussemburgo di pronunciarsi sulle condizioni di
applicazione del divieto di bis in idem nelle ipotesi in cui
l’ordinamento nazionale consenta di cumulare le sanzioni penali con
quelle amministrative[24]. Come si vedrà nel prosieguo[25],
dall’esame della più recente giurisprudenza della Corte di
Giustizia emergerà il rilievo sempre più multilevel
(internazionale, europeo ed interno)[26] assunto in progresso di tempo dal
divieto de quo[27] trattandosi di un ambito in cui sovente
si assiste all’attività di costante cross-fertilization[28]
tra le differenti autorità giurisdizionali (Corti costituzionali e
giudici nazionali, Corte di Giustizia dell’Unione europea e Corte europea
dei diritti dell’uomo)[29], operanti nello spazio giuridico
europeo[30].
Il principio del ne bis in idem, quindi, inteso come
diritto fondamentale a non essere punito due volte per il medesimo reato
né perseguito nuovamente se già giudicato con sentenza penale
definitiva, non ha più soltanto una dimensione territoriale interna ma
si è esteso al di fuori dei confini nazionali, estendendo i suoi effetti
nell’ambito dell’Unione europea e nei territori degli Stati del
Consiglio d’Europa[31]. Ed invero, il divieto di duplicazione
di giudizi e condanne si caratterizza per le sue molteplici declinazioni: sul
piano interno, con riferimento al rapporto tra giudici appartenenti allo
stesso sistema giuridico; su piano transnazionale, nel caso di relazioni
tra Corti di Stati differenti[32]; e su quello internazionale, in
una dimensione sia verticale che orizzontale, a seconda che esso operi tra
Corti interne ed internazionali o tra Corti sovranazionali-internazionali
(Corte di Giustizia UE – Corte EDU).
In particolare, per un verso, si vedrà come,
nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
dell’UE, l’evoluzione del contenuto, della portata e dei limiti
della regola del ne bis in idem risulti sensibilmente influenzata
dall’interpretazione fornita dalla Corte EDU, da cui la Corte di
Giustizia non riesce pienamente a “smarcarsi” nella sua funzione di
orientamento dei giudici nazionali[33].
Per altro verso, verrà al contempo posta in marcata
evidenza – nel contesto di continua “salvaguardia” e
“rivendicazione” del proprio ruolo di interprete autentico del
diritto UE[34]
– la crescente tendenza della Corte di Lussemburgo ad ancorare
l’art. 50 CDFUE (e, più in generale, l’intera Carta dei
diritti fondamentali) ad un’interpretazione «parzialmente
autonoma» dalla CEDU, fondata esclusivamente sul «tenore e sulla
portata del citato articolo»[35]. Deve, infatti, ricondursi proprio
all’assenza di una totale convergenza tra l’indirizzo
interpretativo della Corte di Giustizia e quello della Corte EDU in materia di ne
bis in idem, l’inevitabile effetto di “disorientamento”
della giurisprudenza interna, incapace di addivenire a soluzioni univoche
nell’accertamento dei criteri di applicazione del principio di cui
all’art. 50 CDFUE.
Si avrà, infine, modo di verificare come, seppur nel
dichiarato intento di facilitare il giudice nazionale in ordine alla corretta
valutazione dell’operatività del ne bis in idem, in
realtà, la Corte di Giustizia UE – avendo individuato con
precisione i criteri interpretativi per il vaglio di compatibilità dei
sistemi nazionali di “doppio binario” col diritto UE – abbia
sovente lasciato al giudice di merito nella subiecta
materia[36]
uno “spazio di manovra” solo “apparente”[37].
Oltre a presupporre una identità soggettiva,
ovverosia che la stessa persona (fisica[38] o giuridica[39])
sia oggetto di un cumulo giudiziario e/o sanzionatorio, il divieto di cui
all’art. 50 CDFUE presuppone, per la sua operatività, la
sussistenza di ulteriori requisiti: l’identità dei fatti su cui
vertono i procedimenti (idem), la ripetizione di procedimenti
sanzionatori (bis), nonché il carattere definitivo[40]
di una delle due decisioni.
La verifica della presenza della contestuale esistenza delle
citate condizioni di applicazione del divieto di bis in idem compete,
naturalmente, al giudice nazionale. Cionondimeno è fatta salva per
quest’ultimo la possibilità di interpellare in via pregiudiziale
la Corte di Giustizia UE, nell’ipotesi in cui dovesse ritenere opportuno
ottenere dalla stessa delle indicazioni utili ai fini della corretta
interpretazione ed applicazione uniforme del diritto dell’UE
all’interno degli Stati membri[41].
Particolarmente complessa risulta nella materia in esame –
anche in ragione della non uniforme giurisprudenza della Corte di Giustizia[42]
– la corretta individuazione del requisito dell’identità dei
fatti-reato su cui vertono i procedimenti. Essa, infatti, richiede di stabilire
preliminarmente se la ripetizione di giudizi e/o condanne riguardi le medesime
condotte (idem factum) oppure la loro qualificazione giuridica (idem crimen).
Inizialmente la Corte di Giustizia, soprattutto in materia di
diritto europeo della concorrenza[43], aveva adottato un approccio
particolarmente “restrittivo”, vincolando l’applicazione del ne
bis in idem alla triplice condizione dell’identità dei fatti
in senso materiale, di unità del contravventore e di unità
dell’interesse protetto. Di qui il conseguente limite
dell’operatività del principio in esame ad un numero circoscritto
di casi, in ragione dell’identità “giuridica” dei
fatti volta a volta valutate dalle autorità giurisdizionali dei
differenti Stati membri interessati dalle ipotesi di ripetizione di
procedimenti nei riguardi della medesima persona[44].
Differente, invece, si è rivelato l’approccio della
Corte di Giustizia con riguardo al bene giuridico protetto e/o alla
qualificazione giuridica della condotta, nel settore della cooperazione di
polizia e giudiziaria in materia penale. È evidente che in tale ambito,
il ricorso all’idem crimen quale
criterio di applicazione del principio del ne bis in idem,
contrasterebbe con l’obiettivo di garantire che nessuno sia sottoposto a
procedimento penale per gli stessi fatti in diversi Stati membri, unicamente
per aver esercitato il proprio diritto fondamentale di libera circolazione[45].
Al riguardo, con la sentenza Gӧzütok
e Brügge del 2002 [46],
avallando un indirizzo interpretativo più estensivo ed una concezione
“sostanzialista” del concetto di idem crimen[47],
vale a dire della natura della sanzione irrogata, la Corte di Giustizia ha
precisato che la fiducia reciproca tra sistemi di giustizia penale dei vari
Stati membri, implica anche la possibilità di divergenti classificazioni
giuridiche per gli stessi fatti nei differenti ordinamenti. Da ciò
discende, quale diretta conseguenza, che uno Stato sarà comunque tenuto
ad applicare la garanzia di cui all’art. 54 CAAS (e oggi art. 50 CDFUE)
anche qualora il risultato sarebbe stato diverso se avesse trovato applicazione
la propria legge nazionale[48]. La ratio di tale assunto deve
rinvenirsi evidentemente nel fatto che, una volta giudicato in uno Stato
membro, ciascun individuo dovrebbe potersi spostare all’interno del
territorio dell’Unione senza temere di subire ulteriori procedimenti
giudiziari per lo stesso fatto in un altro Stato membro.
Ancor più dettagliatamente, nella successiva pronuncia Van
Esbroeck del 2006 [49],
la Corte di Giustizia ha ritenuto che la valutazione sulla sussistenza del
medesimo fatto debba essere effettuata in concreto e non in relazione agli
elementi costitutivi dei due illeciti. In particolare, la Corte UE ha
individuato il parametro determinante ai fini dell’applicazione del ne
bis in idem nell’identità dei “fatti materiali”,
intesa come: «l’esistenza di un insieme di circostanze concrete
inscindibilmente collegate tra loro […] nel tempo, nello spazio,
nonché nell’oggetto»[50] e ciò, quindi, indipendentemente
dalla qualificazione giuridica dei fatti o dall’interesse giuridico
tutelato.
A parere di chi scrive, la disciplina del ne bis in idem
di cui all’art. 50 CDFUE, nei termini appena ricordati, si integra
perfettamente nel “metodo” dichiaratamente prescelto dall’UE
per il rafforzamento della cooperazione giudiziaria, in vista, appunto, della
creazione di uno Spazio europeo di giustizia che tenga in equilibrio le
esigenze securitarie e, al contempo, le garanzie di tutela dei diritti
fondamentali. È evidente infatti che il principio, in quanto implica di
riconoscere – sebbene non nel senso dell’equipollenza a fini di
esecuzione, bensì in quello della presa in considerazione a fini di
preclusione di un secondo processo per lo stesso fatto – una decisione
definitiva adottata in altro Paese (con “rinuncia” alla propria
giurisdizione), chiama in causa, da un lato, proprio lo strumentario
concettuale ed i meccanismi del reciproco riconoscimento e, dall’altro,
la prioritaria esigenza di compatibilità delle legislazioni, da
perseguire attraverso l’opera di ravvicinamento in materia tanto
sostanziale che processuale[51], che agevola senz’altro il
rispetto della preclusione di un secondo giudizio[52].
Come già evidenziato[53],
il divieto del bis in idem non risponde esclusivamente ad una
finalità sostanziale di tutela dell’imputato/condannato ma mira
altresì, in un’ottica processuale, ad evitare conflitti di
giurisdizione tra le differenti autorità giurisdizionali investite di
ipotesi di reato o di illecito amministrativo[54].
Nonostante nelle Spiegazioni alla CDFUE si chiarisca che la
regola di cui all’art. 50 CDFUE concerne il divieto di cumulo di due
sanzioni della stessa natura (in specie penali), l’esistenza di una
molteplicità di norme di natura repressiva in ambiti non prettamente
penali, quali quello amministrativo e tributario, ha causato non poche
difficoltà interpretative in merito all’applicabilità ratione materiae
del ne bis in idem anche al doppio binario sanzionatorio, ossia al
cumulo di sanzioni penali e sanzioni (formalmente) amministrative[55].
A tal proposito deve rilevarsi che è soprattutto nella materia del market
abuse e frode fiscale[56]
che si è assistito ad una sostanziale convergenza tra le pronunce della
Corte EDU e della Corte di Giustizia, anche in ragione dell’intima
correlazione sussistente tra l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU e
l’art. 50 CDFUE. Seppur per sommi capi, basti in questa sede ricordare
che sin dalla nota causa Engel[57], la Corte EDU aveva identificato i
criteri per qualificare come “sostanzialmente penale” una sanzione
che un ordinamento interno non qualificava invece come penale (c.d. Engel criteria)[58].
Accanto
al criterio formale, concernente la qualificazione giuridica che una
data sanzione riceve nell’ordinamento nazionale, ve ne sono due sostanziali:
la natura stessa della sanzione (e segnatamente lo scopo punitivo, deterrente e
repressivo) ed il grado di severità della medesima (con particolare
riferimento al massimo edittale, ossia alla particolare intensità del malum infliggibile)[59].
Detti criteri, inizialmente elaborati con riferimento a sanzioni qualificate
come amministrative dalle normative nazionali ma caratterizzate per la
previsione di misure in qualche modo incidenti sulla libertà personale e
quindi molto simili ad una sanzione penale, sono stati poi estesi anche alle
misure afflittive di natura patrimoniale, che non incidono in alcun modo sulla
libertà personale, come ad esempio le sanzioni tributarie[60].
Nella sentenza A e B
c. Norvegia del 2016 [61], la Corte EDU – in tal modo
“riallineandosi” con la giurisprudenza della Corte di Giustizia
– ha parzialmente modificato la propria posizione che considerava
pressoché inderogabile il divieto di cumulo sanzionatorio a favore di un
criterio (addizionale) di close connection
secondo cui, pur in presenza di sanzioni formalmente amministrative ma
sostanzialmente penali, sono ammissibili procedimenti “misti” che
presentano un nesso temporale e materiale sufficientemente stretto (§ 132)[62].
Con tale pronuncia,
quindi, la Corte EDU ha inteso “rimodulare” la relazione tra il
binario amministrativo e quello penale, assumendo che non sussiste una
violazione dell’art. 4, prot. 7 CEDU qualora i
due procedimenti siano connessi alla stregua di alcuni indicatori da
riscontrare e valutare nel caso concreto[63].
Tale “riassestamento” in termini più flessibili della
iniziale rigidità della Corte EDU, ha scongiurato la
illegittimità convenzionale dei doppi binari sanzionatori, restituendo
agli Stati un significativo margine di apprezzamento nell’articolazione
dei propri ordinamenti repressivi, che potranno rispondere a diverse possibili
impostazioni[64],
purché siano previste modalità di raccordo in linea con
l’esigenza di una stretta relazione materiale e temporale fra i
procedimenti e fra le sanzioni. Al contempo tale nuovo “equilibrio”
tra gli interessi in gioco, segna il definitivo superamento della prospettiva
di garanzia propria del ne bis in idem. Infatti, per un verso, la
preclusione del secondo procedimento (elemento caratterizzante la regola del ne
bis in idem) cede il passo all’esigenza del coordinamento tra
procedimenti di per sé entrambi legittimi anche dopo che uno si concluda
con decisione definitiva; e, per altro verso, tra gli indici sostanziali
più incisivi individuati per controllare che i due procedimenti si
integrino in uno (così, metaforicamente, non costituendo bis[65]),
figura quello dell’esistenza di meccanismi volti ad evitare il cumulo
sproporzionato di sanzioni, «del tutto estraneo al profilo teleologico
del ne bis in idem processuale»[66].
Può, dunque,
affermarsi che la clausola della «connessione materiale e temporale
sufficientemente stretta» opera in sostanza come limite all’esercizio
del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati: attraverso una verifica
basata su indicatori elastici, infatti, la Corte europea si riserva un vaglio
di ragionevolezza delle scelte nazionali, teso a verificare, di volta in volta,
se i procedimenti in idem siano sufficientemente “integrati”
da evitare che la loro pluralità produca inconvenienti sproporzionati
per l’interessato.
Già nella
pronuncia Spector Photo Group[67]
del 2009 la Corte di Giustizia – utilizzando i criteri Engel per
stabilire la natura penale della sanzione tributaria – aveva ritenuto
legittimo il cumulo delle sanzioni penali con quelle amministrative irrogate
per i medesimi illeciti. In particolare, la Corte aveva in tale occasione
sottolineato che l’art. 50 CDFUE non impedisce ad uno Stato membro di
imporre, per le medesime violazioni, una combinazione di sanzioni tributarie e
sanzioni penali, qualora le prime non abbiano natura (sostanzialmente) penale[68].
Solo qualora la sovrattassa abbia natura penale e sia divenuta definitiva,
opererà il divieto di bis in idem di cui alla disposizione in
commento che, pertanto, impedirà che vengano avviati procedimenti penali
per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona. Da quanto appena
affermato è possibile trarre quale diretto corollario che la
libertà di scelta degli Stati è condizionata dalla efficacia
repressiva della misura adottata[69].
La compatibilità
del doppio binario sanzionatorio con l’art. 50 CDFUE è stata, da
ultimo, ribadita dalla Corte di Giustizia nelle più recenti sentenze del
20 marzo 2018 nelle citate cause Menci[70],
in cui il procedimento penale era stato avviato dopo l’applicazione della
sanzione amministrativa; e Garlsson Real
Estate[71]
e Di Puma e Consob[72] in cui invece il procedimento
amministrativo aveva seguito la conclusione di quello penale. Tali pronunce si
caratterizzano per il fatto che la Corte di Giustizia, pur confermando ed
applicando direttamente a ciascuno dei casi sottoposti al suo esame ognuno dei
c.d. Engel criteria per la
qualificazione penale delle sanzioni, non ne individua espressamente la fonte
nella giurisprudenza della Corte EDU. Sebbene, infatti, grazie
all’applicazione dei citati criteri la Corte di Giustizia giunga nelle
citate sentenze a stabilire che le sanzioni in materia di illeciti tributari e market
abuse, in ragione delle finalità
repressive e per gli scopi afflittivi che le caratterizzano, devono ritenersi
“sostanzialmente” penali, essa anche in riferimento al concetto
dell’idem factum, richiama la “propria” giurisprudenza[73],
senza citare quella di Strasburgo.
Dall’esame di tali
pronunce emerge un aspetto di particolare rilievo rappresentato dal fatto che
la Corte di Giustizia rimette solo apparentemente al giudice nazionale la
verifica della sussistenza del criterio del bis, lasciando allo stesso un
limitatissimo margine di discrezionalità. Si è, infatti, visto
come la Corte UE si sia sostanzialmente spinta sino ad accertare la
legittimità del doppio binario sanzionatorio ex art. 50 CDFUE (e,
quindi, la compatibilità della normativa nazionale con quella UE),
fornendo al giudice interno ulteriori elementi di valutazione per facilitarne
l’applicazione. Ciò posto, nell’esercizio del potere di
verificare pienamente (eventualmente anche con la collaborazione della Corte di
Giustizia UE interpellata in via pregiudiziale) la compatibilità della
normativa nazionale con la disposizione di cui all’art. 50 CDFUE, i
giudici nazionali avranno l’obbligo di disapplicare – previa
accertamento del rispetto dei diritti fondamentali degli interessati[74]
– qualsiasi disposizione interna, anche posteriore, confliggente con le
previsioni della CDFUE, «senza dover chiedere o ottenere la previa
rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale»[75].
Come già statuito
nella sentenza Spasic[76],
la Corte di Giustizia precisa ulteriormente che le limitazioni al principio del
ne bis in idem che potrebbero discendere dal cumulo sanzionatorio,
devono avere una giustificazione fondata sui requisiti di cui all’art. 52
§ 1 CDFUE, ovvero «devono essere previste dalla legge e rispettare
il […] principio di proporzionalità e […] rispond[ere] effettivamente a finalità di interesse
generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i
diritti e le libertà altrui». Con ciò volendo in primo
luogo far discendere dall’enunciazione di tale assunto, che gli obiettivi
di garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nei territori degli
Stati membri, l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione
e la conseguente fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, sono idonei a
giustificare un cumulo di procedimenti e di sanzioni aventi natura penale. In
secondo luogo, la Corte di Giustizia chiarisce al contempo che la normativa
interna che ammette di instaurare (o proseguire) un procedimento amministrativo
(di natura penale) per i medesimi fatti, deve assicurare che il cumulo delle
sanzioni sia proporzionato alla gravità dell’illecito
affinché esso non ecceda quanto strettamente necessario a conseguire
l’integrità dei mercati finanziari[77].
In tal modo arricchendo il test della close
connection (temporale e sostanziale) tra i procedimenti, acquisito dalla
giurisprudenza della Corte EDU, con nuovi parametri di valutazione per
l’individuazione dei limiti di operatività del principio ex art.
50 CDFUE in ipotesi di cumulo di sanzioni e condanne. In tale contesto,
particolare rilievo viene riconosciuto dalla Corte di Giustizia al criterio
della proporzione sanzionatoria in base al quale si assiste ad uno
spostamento del focus dalla natura processuale del divieto di bis
in idem, alla dimensione esecutiva della garanzia di cui
all’art. 50 CDFUE.
Diversamente dalla
giurisprudenza della Corte EDU, per cui nella valutazione della sussistenza del
possibile cumulo di sanzioni rileva la pena prevista in astratto per
l’illecito, la Corte di Giustizia considera determinante la sanzione
comminata in concreto, vale a dire la pena definitiva comminata. Stante tale
impostazione, una limitazione al divieto di bis in idem e, dunque, una
duplicazione di procedimenti e di sanzioni, può trovare giustificazione
solo se essi perseguono scopi complementari[78]
e solo qualora la normativa nazionale preveda regole di coordinamento tra i
procedimenti tali da assicurare che la severità del complesso delle
sanzioni irrogate non si riveli superiore alla gravità
dell’illecito accertato[79]. Ciò al fine di rispettare sia la
clausola di equivalenza di cui al citato art. 52 § 1 CDFUE – che
impone di dare ai diritti contemplati nella Carta e corrispondenti a quelli
previsti dalla CEDU lo stesso significato e la medesima portata di quelli
conferiti dalla suddetta Convenzione – sia all’art. 49 § 3
CDFUE[80],
concernente il principio di proporzionalità delle pene[81],
in forza del quale «l’intensità delle pene non deve
essere sproporzionata rispetto al reato»[82].
Dalle considerazioni fin
qui svolte emerge come, alla luce della più recente giurisprudenza della
Corte di Giustizia, l’esame delle questioni relative alla
legittimità dei sistemi nazionali a c.d. doppio binario sanzionatorio
deve essere condotto nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla CDFUE
e, in particolare, dal suo articolo 50 che riconosce una garanzia individuale
«direttamente applicabile» ai soggetti dell’ordinamento UE[83].
La Corte di Giustizia
– pur nella consapevolezza di intervenire in un settore in cui il
principale problema consiste nel valutare se la citata norma europea osti ad un
fenomeno che attiene ad assetti tutti interni ai sistemi repressivi degli Stati
membri – ha optato per l’adozione di un approccio meno restrittivo
rispetto a quello che aveva caratterizzato le sue precedenti pronunce. I
giudici di Lussemburgo, infatti, hanno inteso privilegiare il criterio
dell’idem factum, rispetto al parametro dell’idem crimen, in tal modo ampliando l’ambito di
applicabilità del principio del ne bis in idem e legittimando, usque ad exitum, la
coesistenza del c.d. doppio binario sanzionatorio. Ciò
all’evidente fine di far fronte – in un’ottica di protezione
di interessi fondamentali dell’UE, quali nello specifico la tutela dei
mercati finanziari e la conseguente fiducia del pubblico negli strumenti
economici e monetari europei – alla necessità di perseguire
crimini di interesse transfrontaliero, come le frodi fiscali.
Si è
altresì visto come, a dispetto della clausola di equivalenza di cui
all’art. 52 CDFUE, la Corte di Giustizia abbia inteso fornire
un’interpretazione dell’art. 50 CDFUE “parzialmente
autonoma” dalla CEDU, caratterizzata dalla preminente importanza
attribuita all’aspetto esecutivo del ne bis in idem,
rispetto alla dimensione meramente processuale dello stesso (vale a dire
al divieto del doppio procedimento a carico dello stesso soggetto) prevista
dall’art. 54 CAAS.
In
tale ottica, a parere di chi scrive, deve leggersi l’individuazione del
“nuovo” criterio della proporzionalità sanzionatoria
quale ulteriore condizione sulla base della quale fondare eventuali limitazioni
all’art. 50 CDFUE. Ed invero, dalle esaminate recenti sentenze Menci,
Garlsson Real Estate e Di Puma e
Consob, è emerso come la Corte di Giustizia è sempre più incisiva nel
suggerire al giudice nazionale i parametri di applicazione – da
determinarsi a priori e con un minimo di certezza e prevedibilità
– in merito alla compatibilità del diritto interno con quello
dell’Unione in materia di divieto di bis in idem; ciò
soprattutto in ragione delle profonde divergenze tra i giudici di uno stesso
Stato a cui talvolta si è assistito in tema di legittimità di
duplicazioni di giudizi e condanne a carico di un medesimo soggetto.
Stante tale recente
indirizzo interpretativo della Corte di Giustizia, dunque, non è
precluso ai sistemi nazionali di disciplinare ed avviare per i medesimi fatti
due procedimenti (uno penale ed uno amministrativo) allorché entrambi
conducano ad una sanzione (sostanzialmente) penale. L’eventuale deroga
all’operatività del divieto ex art. 50 CDFUE resta, tuttavia,
subordinata al carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo delle sanzioni
applicate e risponde ad un obiettivo di interesse generale che giustifichi un
simile cumulo di procedimenti e sanzioni nei limiti di quanto strettamente
necessario rispetto alla gravità del reato commesso.
In
ogni caso la principale preclusione al regime derogatorio della regola del ne
bis in idem europeo, è rappresentata dal divieto di instaurare
procedimenti
consecutivi e dall’obbligo di interruzione di procedimenti paralleli nel
momento in cui uno di essi passi in giudicato.
Al riguardo – in
tal modo riconoscendo la sempre maggiore incidenza della giurisprudenza UE su
quella interna – la Corte di Cassazione nella citata sentenza n.
27564/2018 al § 21.1 ha laconicamente affermato che: «pur
formalmente lasciando al giudice nazionale uno spazio di valutazione rispetto
alla compatibilità del sistema del “doppio binario”
(ravvisabile a fronte delle peculiarità del caso concreto) rispetto ai
principi unionali (così come precisati alla
luce dell’evoluzione tracciata anche dalla Corte EDU) [la Corte di
Giustizia] conclude tracciando dei criteri interpretativi che sembrerebbero
ridurre al minimo la discrezionalità del giudice di merito».
The principle of ne
bis in idem in the Art. 50 of the EU Charter of
Fundamental Rights
and in the most
recent jurisprudence of the Court of Justice
The
article aims to show how, more than twenty years after the Tampere European
Council and more than ten years after recognition of the binding legal force of
the Charter of Fundamental Rights of the European Union, one of the main
achievements of the European integration process is represented by the
discipline of the ne bis
in idem principle of art. 50 UECFR, that is the right not to be tried or
punished twice for the same crime. The contribution highlights how, from the
examination of the most recent jurisprudence of the Court of Justice (judgments
Menci, Garlsson
Real Estate and Di Puma and Consob)
emerged the increasingly multi-level importance (international, European and
domestic) taken over time by the prohibition of bis
in idem. It is, in fact, an area in which we often see the activity of constant
cross-fertilization between the different judicial authorities (Constitutional
Courts and national judges, Court of Justice of the European Union and European
Court of Human Rights), operating in the European legal area.
L’articolo si propone di
evidenziare come a più di vent’anni dal Consiglio europeo di
Tampere ed a più di dieci anni dal riconoscimento della forza giuridica
vincolante alla CDFUE, uno dei principali traguardi del processo di
integrazione europea nell’era post-Lisbona, è rappresentato dalla
disciplina del principio del ne bis in idem di cui all’art. 50
CDFUE, ovverosia del diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo
stesso reato. Il contributo evidenzia come, dall’esame della più
recente giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma e Consob)
è emerso il rilievo sempre più multilevel
(internazionale, europeo ed interno) assunto in progresso di tempo dal divieto
di bis in idem trattandosi di un ambito in cui spesso si assiste all’attività
di costante cross-fertilization tra le
differenti autorità giurisdizionali (Corti costituzionali e giudici
nazionali, Corte di Giustizia dell’Unione europea e Corte europea dei
diritti dell’uomo), operanti nello spazio giuridico europeo.
Per la
pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è
applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer
review. Ogni articolo è stato valutato
positivamente da due referees, che hanno
operato con il sistema del double-blind.
[1] Cfr. G. Caggiano,
I “cerchi” dell’integrazione. Sovranazionalità
e sovraordinazione normativa nell’Unione
europea e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Integrazione
europea e sovranazionalità, a cura di G.
Caggiano, Bari 2018, 25 ss.; B. Nascimbene,
Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia a due anni
dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in Aa.Vv., Il Trattato di Lisbona: due
anni di applicazione. Atti della giornata di studio in ricordo di Francesco
Caruso, Napoli 2013, 239 ss.
[2] Sul tema v. N. Parisi, I diritti fondamentali nell’Unione
europea tra mutuo riconoscimento in materia penale e principio di
legalità, in Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
dell’Unione europea: principi fondamentali e tutela dei diritti, a
cura di U. Draetta, N. Parisi e D. Rinoldi, Napoli 2007, 113 ss. Più di recente v. R. Mastroianni, L’effettività
della tutela giurisdizionale alla prova della Carta dei diritti fondamentali,
in Liber Amicorum Antonio Tizzano. De la Cour CECA à la Cour de l’Union:
le long percours de la Justice européenne, Torino 2018, 586 ss.
[3] Sui più recenti sviluppi in questa
materia cfr. amplius A. Di Stasi e L.S. Rossi, Lo Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia. A vent’anni dal Consiglio europeo
di Tampere, Napoli 2020, 11 ss.; G.
Caggiano, Recenti sviluppi del regime delle frontiere esterne nello
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in Lo Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, cit., 383-413; v. anche D. Rinoldi, Lo Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, in Elementi di diritto
dell’Unione Europea. Parte speciale ‒ Il diritto sostanziale, a cura di U. Draetta e N. Parisi, 3a ed., Milano 2010, spec. §§ 1 e 5; R. Cafari Panico, Lo Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia nel trattato di riforma: le disposizioni
generali, in Sud in Europa, febbraio 2008, 19 ss.; G. Caggiano, L’evoluzione
dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nella prospettiva di
un’Unione basata sul diritto, in Studi sull’integrazione
europea, 2007, n. 2, 335 ss.
[4] T.
Rafaraci, Il principio del ne bis in idem nello Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, in Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia,
cit., 333-352; A. Oriolo, Il
diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato
nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in Tutela
dei diritti fondamentali e spazio europeo di giustizia. L’applicazione
giurisprudenziale del Titolo VI della Carta, a cura di A. Di Stasi, Napoli
2019, 335 ss.; M. Bӧse, The
Transnational Dimension of
the Ne Bis in Idem Principle and the Notion of Res Iudicata in the European
Union, in Justice without
Borders. Essays in Honour of Wolfgang Schomburg,
Leiden-Boston 2018, 49 ss.; M. Luchtman,
The ECJ’s Recent
Case Law on Ne Bis in Idem, in Common Market Law Review,
2018, 1717 ss.; C. Amalfitano, R.
D’Ambrosio, Art. 50, Diritto di non essere giudicato o punito
due volte per lo stesso reato, in Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, a cura di R. Mastroianni, O. Pollicino,
S. Allegrezza, F. Pappalardo e O. Razzolini, Milano 2017, 1026 ss.; B. Van Bockel, Ne Bis in Idem in EU
Law, Cambridge 2016; A. Iermano,
Il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato ex
art. 50 della Carta dei diritti fondamentali, in Spazio europeo e
diritti di giustizia. Il Capo VI della Carta dei diritti fondamentali
nell’applicazione giurisprudenziale, a cura di A. Di Stasi, Padova
2014, 283 ss.
[5] A questo proposito occorre ricordare la
Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità europee relativa
all’applicazione del principio ne bis in idem, adottata a
Bruxelles il 25 maggio 1987, resa esecutiva con L. 16 ottobre 1989, n. 350 ed
entrata in vigore per l’Italia il 15 gennaio 1990. Il contenuto di tale
Convenzione è stato ripreso pressoché alla lettera negli artt.
54-58 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen. Successivamente,
il ne bis in idem è ancora stato previsto – con
disposizioni nella sostanza sempre riconducibili alla Convenzione del 1987
– in due importanti strumenti di cooperazione giudiziaria penale adottati
nell’ambito del c.d. Terzo Pilastro dell’Unione europea: la
Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle
Comunità europee, adottata a Bruxelles il 26 luglio 1995, in GUCE C
316/48 del 27 novembre 1995, art. 7 e la Convenzione europea relativa alla
lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle
Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea,
adottata a Bruxelles il 26 maggio 1997, in GUCE C 195 del 25 giugno 1997.
[6] Ai sensi di tale disposizione: «L'Unione offre ai suoi cittadini uno Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia
assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate
per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione,
la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima».
[7] Come osservato in dottrina, tale
disposizione «àncora il perfezionamento, da parte
dell’Unione europea, di uno Spazio di libertà, sicurezza e
giustizia, a due condizioni legate da un nesso inscindibile di collegamento
laddove si prevede che tale realizzazione debba avvenire, oltre che nel
rispetto dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni
giuridiche degli Stati membri, in quello dei diritti fondamentali».
Così in A. Di Stasi, Tutela
multilevel dei diritti fondamentali e
costruzione dello Spazio europeo di giustizia, in Tutela dei diritti
fondamentali e Spazio europeo di giustizia, cit., 15; Id., Rispetto dei diritti fondamentali
e Spazio europeo di giustizia: a proposito del Titolo VI della Carta dei
diritti fondamentali, in I diritti umani nella giurisprudenza e nella
prassi del diritto internazionale ed europeo, a cura di L. Panella, Torino
2013, 373 ss.
[8] Sul valore giuridico vincolante della
Carta ex art. 6 TUE cfr. L.S. Rossi,
La Carta dei diritti come strumento di costituzionalizzazione
dell’ordinamento comunitario, in Quaderni costituzionali,
2002, 565 ss.; R.A. Garcia, The
General Provisions of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, in European
Law Journal VIII, n. 4, December 2002, 492 ss.; A. Williams, Mapping
Human Rights, Reading the European
Union, in European Law Journal IX,
n. 5, December 2003, 659 ss.; E. Pagano, Il valore giuridico della Carta dei diritti
fondamentali e le competenze dell’Unione europea, in Diritto
pubblico comparato europeo, 2003, 1723 ss.; H. Hoffmann, I diritti dell’uomo, la
sovranità nazionale, la Carta europea dei diritti fondamentali e la
Costituzione europea, in I diritti umani tra politica, filosofia e
storia, a cura di P. Barcellona e A. Carrino,
Napoli 2003, 142 ss.; A. Loiodice,
L’incorporazione della Carta di Nizza nella Convenzione europea:
innovazioni nella tutela multilivello dei diritti, in La tutela
multilivello dei diritti, a cura di P. Bilancia e E.
De Marco, Milano 2004, 81 ss.; A.L. Young, The Charter, Constitution and Human Rights: is this the Beginning
or the End of Human Rights Protections
by Community Law?, in European Public
Law II, 2005, 219 ss. Sulla efficacia “quasi giuridica” della
Carta già prima della sua formale equiparazione ai Trattati cfr. ex multis, A. Celotto
e G. Pistorio, L’efficacia
giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
in Giurisprudenza italiana, 2005, II, 427 ss.; A. Ruggeri, La forza della Carta europea dei diritti,
in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, 184.
[9] In tal senso v. Corte costituzionale,
sentenza del 14 febbraio 1997, n. 58.
[10] Diversamente che in ambito internazionale,
ove il riconoscimento di una norma generale che sancisca tale divieto ha sempre
incontrato una certa resistenza da parte della dottrina maggioritaria, in ambito
europeo il ne bis in idem è oggi riconosciuto quale principio
generale di diritto dalla costante giurisprudenza UE. In tal senso cfr. le
Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane
Kokott, presentate l’8 settembre 2011, nella causa C-17/10, Toshiba,
ECLI:EU:C:2017:299, punto 99, nonché la giurisprudenza ivi citata. In
ambito internazionale, invece, la dottrina maggioritaria preferisce ancorare il
ne bis in idem (processuale) alle disposizioni contenute negli accordi
fra Stati, piuttosto che ad un principio generale di diritto o ad una
consuetudine internazionale. V. in tal senso G.
Conway, Ne bis in idem in International Law, in International Criminal Law Review, 2003,
217 ss.; C. Amalfitano, Dal ne
bis in idem internazionale al ne bis in idem europeo, in Rivista
di diritto internazionale privato e processuale, 2002, 929 ss.; D. Oehler, The european
system, in International Criminal
Law, ed. M.C. Bassiouni, vol. II, Procedural and Enforcement Mechanisms,
New York 1999, 607 ss. Anche la giurisprudenza italiana accoglie tale indirizzo
interpretativo. In tal senso v. la recentissima Cassazione penale, sez. I,
sentenza del 13 maggio 2020, n. 14868/2020; v. anche Cassazione penale, sez.
VI, sentenza del 15 novembre 2016, n. 54467 con commento di A. Spinelli, Richiesta di estradizione
e giudicato transnazionale: la Cassazione esalta il ne bis in idem in
ambito europeo, in Diritto penale contemporaneo, 2017, n. 2, 99 ss.
[11] In un’ottica soggettiva di tutela
del singolo, ciò significa che gli imputati, a seguito di sentenza
divenuta irrevocabile, se assolti, devono essere certi di non essere sottoposti
ad un nuovo giudizio per il medesimo fatto; se colpevoli, devono poter essere
certi di non dover subire una nuova sanzione una volta espiata la pena.
[12] Il divieto del bis in idem mira ad
evitare, in caso di condanna, l’eventuale cumulo di sanzioni che
renderebbe la pena irrazionalmente sproporzionata ed iniqua rispetto alla
condotta da punire. In un’ottica oggettiva, dunque, il principio
in esame risponde marcatamente a ragioni di economia processuale, fiducia nella
giustizia e pace sociale. In tal senso cfr. Risoluzione del Parlamento europeo,
del 16 marzo 1984, sull’applicazione nella Comunità europea del
principio «non bis in idem» in materia penale, in GUUE C
104 del 16 aprile 1984. In dottrina v. B.
Nascimbene, Ne bis in idem, diritto internazionale e diritto europeo,
in Diritto Penale contemporaneo, 2 maggio 2018, 3; C. Amalfitano, Conflitti di
giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali nell’Unione
europea, Milano 2006, 71 ss.
[13] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato
Generale Ruiz-Jarabo Colomer, presentate
il 19 settembre 2002, nelle cause riunite C-187/01 e C-385/01, Gӧzütok
e Brügge, ECLI:EU:C:2002:516, punti 48-49.
Si tratta della prima sentenza emessa dalla Corte di Lussemburgo in materia
ricadente nel c.d. Terzo Pilastro dell’UE. Sul tema v. J. Vervaele, Case Law, in Common
Market Law Review, 2004, 795 ss.; E. Selvaggi, Il principio del ne
bis in idem in ambito europeo (Unione europea), in Cassazione penale,
2003, 1692 ss. Fra le sentenze di poco successive più rilevanti v. Corte
di giustizia, sentenza del 10 marzo 2005, Miraglia, causa C-469/03,
ECLI:EU:C:2005:156; Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo 2006, Van Esbroeck, causa C-436/04, ECLI:EU:C:2006:165; Corte di
giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Van Straaten,
causa C-150/05, ECLI:EU:C:2006:614; Corte di giustizia, sentenza del 28
settembre 2006, Gasparini, causa C-467/04,
ECLI:EU:C:2006:610.
[14] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Menci, causa C-524/2015, ECLI:EU:C:2018:197.
La domanda pregiudiziale era stata posta dal Tribunale di Bergamo con ordinanza
del 16 settembre 2015. La vicenda ha ad
oggetto, più precisamente, un procedimento penale per il delitto di cui
all’art. 10-bis, d.lgs. 74/2000, procedimento a carico di
un imputato cui era stata già inflitta, in via
definitiva, una sanzione pecuniaria qualificata come amministrativa (ma,
in tesi, sostanzialmente penale), all’esito del procedimento
tributario, ex art. 13 d.lgs.
471/1997, relativa al medesimo
importo IVA non pagato. In dottrina v. F. Viganò, Ne bis in idem e omesso versamento dell’IVA: la parola alla Corte
di giustizia, in Diritto
Penale contemporaneo, 28 settembre 2015, 1 ss.
[15] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, causa C-537/16,
ECLI:EU:C:2018:193. La domanda pregiudiziale era stata posta dalla Corte di
Cassazione civile, sez. II, con ordinanza del 20 settembre 2016. In dottrina v.
F. Viganò, A Never-Ending Story? Alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea la questione della compatibilità tra ne bis in
idem e doppio binario sanzionatorio in materia, questa volta, di abusi di
mercato, in Diritto Penale contemporaneo,
17 ottobre 2016, 1 ss. Basti in questa sede ricordare per sommi capi che la
vicenda riguardava la difficile compatibilità fra l’illecito
qualificato come amministrativo (ma ritenuto sostanzialmente penale) di cui
all’art. 187-ter d.lgs. 58/1998 ed il delitto di
manipolazione di mercato di cui all’art. 185 del medesimo decreto legislativo;
ciò, in una concreta vicenda che vedeva i ricorrenti opporsi ad un
provvedimento sanzionatorio emesso nei loro confronti dalla CONSOB, in un momento successivo a quello in cui il procedimento
penale a loro carico si era concluso, in via definitiva, a seguito di sentenza
di patteggiamento.
[16] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Di Puma e Consob, cause riunite C-596/16 e
C-597/16, ECLI:EU:C:192. La domanda pregiudiziale era stata posta sempre dalla
Corte di Cassazione civile, sez. II, con ordinanze del 27 maggio 2016 ed aveva
ad oggetto dei procedimenti di opposizione a
sanzioni inflitte dalla CONSOB ai sensi del già ricordato art. 187-ter d.lgs. 58/1998; le sanzioni, formalmente
qualificate come amministrative (ma, ancora una volta, ritenute di natura
sostanzialmente penale), venivano inflitte ai ricorrenti nonostante una sentenza penale definitiva li avesse
assolti, in relazione ai medesimi fatti storici, dall’imputazione
per il delitto di abuso di informazioni privilegiate (art. 184 d.lgs. 58/1998). In dottrina v. F. Viganò, Ne bis in idem e
doppio binario sanzionatorio: nuovo rinvio pregiudiziale della Cassazione in
materia di abuso di informazioni privilegiate, in Diritto
Penale contemporaneo, 28 novembre 2016, 1 ss.
[17] Tale disposizione, rubricata
«Diritto di non essere giudicato o punito due volte», nei primi due
commi prevede che: «1. Nessuno può essere perseguito o condannato
penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale
è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza
definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. 2.
Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del
processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato
interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale
nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza
intervenuta». In dottrina v. S.
Allegrezza, Sub Art. 4, Prot. 7, in
Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a
cura di S. Bartole, P. De Sena e V. Zagrebelsky, Padova 2012, 897 ss.
[18] Sebbene l’art. 50 CDFUE sia
chiaramente modellato sull’art. 4 Prot. 7 CEDU,
occorre precisare che le due disposizioni differiscono in ordine all’ambito
di applicazione territoriale del principio del ne bis in idem che, nel
caso della Carta opera all’interno dell’Unione, ovvero tra le
giurisdizioni degli Stati membri, mentre nel caso del Protocollo n. 7 si limita
rigorosamente alle situazioni interne di uno Stato. V. le Spiegazioni
relative alla Carta dei diritti fondamentali (art. 52), in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32007X1214(01)&from=IT.
In dottrina v. A. Di
Stasi, Brevi osservazioni intorno alle “spiegazioni” alla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Il Trattato
di Lisbona tra conferme e novità, a cura di C. Zanghì
e L. Panella, Torino 2010, 425 ss. In tal senso v. Corte europea dei diritti
umani, sentenza del 20 febbraio 2018, ricorso n. 67521/14, Krombach
c. Francia; Corte europea dei diritti umani, sentenza del 4 settembre 2014,
ricorso n. 140/10, Trabelsi c. Belgio.
[19] Il protocollo 7, contenente l’art. 4
è stato concluso a Strasburgo il 22 novembre 1984 ed è entrato in
vigore il 1 novembre 1988.
[20] Cfr. S.
Negri, La realizzazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza
e giustizia tra Carta dei diritti fondamentali e CEDU: dalla convergenza alla
integrazione tra sistemi?,
in Spazio europeo e diritti di giustizia, cit., 119 ss.
[21] Ai sensi di tale disposizione:
«laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la
portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione.
La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda
una protezione più estesa» V. infra § 4.
[22] Così in T. Rafaraci, Il principio del ne bis in idem nello Spazio
di libertà, sicurezza e giustizia,
cit., 339.
[23] Nell’ambito di un’approfondita
indagine volta a discernere le relazioni “asimmetriche” fra
litispendenza e ne bis in idem processuale, cfr. M. Bontempelli, La litispendenza penale, Milano 2017,
25 ss.
[24] Nella causa Garlsson
Real Estate SA, cit., veniva disposto dalla Corte di Cassazione rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia affinché questa valutasse
segnatamente: «se la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretato
alla luce dell’art. 4 del Prot. n. 7 CEDU,
della relativa giurisprudenza della Corte EDU e della normativa nazionale, osti
alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad
oggetto un fatto condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il
medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile; se il giudice
nazionale possa applicare direttamente i principi unionali
in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base
all’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 del prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte
EDU e della normativa nazionale».
[25] V. infra § 2.
[26] In dottrina il metodo di protezione
“multilivello” risultante dalla “stratificazione” di un
patrimonio costituzionale europeo è stato descritto come il risultato
della dinamica di “interferenza” e rinvio tra le Corti
costituzionali e le Corti europee, incentrato sulla prevalenza del sistema più
garantista. Così in Benvenuti,
Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Roma, 2008, 122;
v. anche F. Medico, I rapporti
tra ordinamento costituzionale ed europeo dopo la sentenza n. 20 del 2019:
verso un doppio custode del patrimonio costituzionale europeo?, in www.dirittounioneeuropea.eu,
I/2019; R. Tarchi, Il
patrimonio costituzionale europeo e tutela dei diritti fondamentali,
Torino, 2012, 27 ss.; A. Somma, Diritto
comunitario e patrimonio costituzionale europeo: cronaca di un conflitto
insanabile, in Diritti
sociali e Servizio sociale. Dalla dimensione nazionale a quella comunitaria, a cura di P. Costanzo, e S. Mordeglia, Milano 2005, 79-118; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo,
Bologna 2002, 30 ss. e 176 ss.
[27] Cfr. B.
Nascimbene, Ne bis in idem, diritto internazionale e diritto europeo,
cit., 1 ss.
[28] G. Ziccardi Capaldo, Editor’s Introduction – Jurisprudential
Cross-Fertilization Forum: A Pilot Experiment in Legal Harmonization on the
Tenth Anniversary of the Global Community YILJ, in The Global Community
Yearbook of International Law and Jurisprudence, 2010, 207-211.
[29] Un caso emblematico in cui tale rapporto
osmotico tra Carta dei Diritti fondamentali UE, CEDU e principi costituzionali
appare piuttosto problematico per “assenza di dialogo” è
rappresentato, da ultimo, dal noto caso Taricco
(Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e altri,
causa C-105/14, ECLI:EU:C:2015:555 e Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 5 dicembre 2017, Taricco II,
causa C-42/17,
ECLI:EU:C:2017:936), conclusosi con la sentenza della Corte cost., 10 aprile 2018 (del
31 maggio 2018) n. 115, in https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2018&numero=115.
Su tale vicenda vi è una bibliografia vastissima, della quale non
è possibile dare conto in questa sede. V. ex multis
P. Mengozzi, Corte di
giustizia, Corte costituzionale, principio di cooperazione e la saga Taricco, in Studi sull’integrazione europea,
2020, 9 ss.; C. Amalfitano, Rapporti
di forza tra Corti, sconfinamento di competenze e complessivo indebolimento del
sistema UE?, in www.lalegislazionepenale.eu
4.2.2019, 1-36; P. Mori, Taricco II o del primato della Carta dei diritti
fondamentali e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in
Osservatorio europeo, dicembre 2017, www.dirittounioneeuropea.eu, in
cui l’Autrice, in riferimento all’importanza che riveste il
principio di legalità dei reati e delle pene tanto
nell’ordinamento giuridico dell’Unione, quanto in quello degli
Stati membri, pone in evidenza come, con tale pronuncia, la Corte di Giustizia
abbia affermato «senza alcuna condizione che l’applicazione delle
norme dei Trattati istitutivi cessa là dove ne possano derivare effetti
incompatibili con i principi sanciti dalla Carta [dei diritti fondamentali
UE]»; Ead., La Corte
costituzionale chiede alla Corte di giustizia di rivedere la sentenza Taricco: difesa dei controlimiti
o rifiuto delle limitazioni di sovranità in materia penale?,
in Rivista di Diritto internazionale, 2017, 407 ss. Nella
pronuncia Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza del 3 maggio 2005, Berlusconi
e altri, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, in ECLI:EU:C:2005:270,
era stato evidenziato che tale fenomeno di permeabilità tra ordinamenti
si estende anche a principi statali non formalmente costituzionali. O. Porchia, Common Constitutional Values and Rule of Law: An
Overview from the EU Perspectives, in Rivista
trimestrale di Diritto pubblico, 2017, n. 4, 981 ss.
[30] Nel presente contributo, questa formula
verrà utilizzata in un’accezione ampia, volendo con essa fare
riferimento allo Spazio giuridico complessivo dell’area europea (non
della sola UE), definito dalla dottrina come “para-costituzionale”
o “intercostituzionale” o
“multilivello”, con il precipuo scopo di evocare efficacemente
l’idea di situazioni giuridiche soggettive che ricevono tutela in diversi
ordinamenti attraverso giurisdizioni non riconducibili ad unità o
gerarchia. Sul punto v. R. Pisillo
Mazzeschi, Diritto internazionale dei diritti umani. Teoria e prassi,
Torino 2020, 160 ss.; U. Villani, I
diritti fondamentali nel dialogo tra la Corte costituzionale e la Corte di
Giustizia, in Lo Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, cit., 39 ss.; M.C. Carta, Dignità
umana e tutela dei detenuti nello “Spazio di Giustizia”
dell’Unione europea, in Freedom,
Security & Justice. European
Legal Studies n. 2/2020; Ead., I “livelli” di tutela dei diritti
fondamentali nello Spazio giuridico europeo: i limiti del
“dialogo” tra Corti, in Studi sull’integrazione
europea, I, 2019, 161 ss.; C.
Amalfitano, General Principles of EU Law
and the Protection of Fundamental
Rights, Cheltenham
2018; E. Malfatti, I
“livelli” di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione
europea, Torino 2018, 6 ss.; v. anche F.
Ferraro, Lo Spazio giuridico europeo tra sovranità e diritti
fondamentali. Democrazia, valori e rule of law
nell’Unione al tempo della crisi, Napoli 2014, 188 ss.; R.C. Van Caenegem,
I sistemi giuridici europei, Bologna 2003, 147 ss.; A.M. Salinas de Frías, La Protección de los Derechos Fundamentales en la Unión Europea, Granada 2000. Con riferimento al
concetto di tutela “integrata” dei diritti fondamentali nello
Spazio giuridico europeo v. A. Di Stasi,
Introduzione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, Milano 2018, 38 ss.; A. Ruggeri, “Itinerari” di una ricerca sul
sistema delle fonti, Torino 2015; B.
Nascimbene, La centralità della persona e la tutela dei suoi
diritti, in Studi sull’integrazione europea, n. 1, 2013, 9
ss.; G. Strozzi, Il sistema
integrato di tutela dei diritti fondamentali dopo Lisbona: attualità e
prospettive, in Il diritto dell’Unione europea, 2011,
n. 4, 837 ss.
[31] Così I. Gittardi, La miccia è accesa: la Corte di
cassazione fa diretta applicazione dei principi della Carta di Nizza in materia
di ne bis in idem, in Diritto penale contemporaneo n. 4/2017, 1 ss.
[32] Nella sua dimensione transnazionale
l’art. 50 CDFUE ricalca l’art. 54 della Convenzione di applicazione
dell’Accordo di Schengen (CAAS), conclusa il 19 giugno 1990 ed entrata in
vigore il 26 marzo 1995. Tale Convenzione, sebbene non operante per tutti gli
Stati delle Comunità europee, è stata integrata nel quadro
dell’Unione europea nel 1999 (il c.d. acquis
di Schengen), a seguito, come detto, del Trattato di Amsterdam, attraverso un
apposito protocollo. L’art. 54 CAAS, diversamente dall’art. 4 Prot. n. 7 CEDU, prende in considerazione unicamente il
profilo processuale (e non anche quello esecutivo) del principio
in esame, vale a dire il divieto del doppio procedimento a carico dello stesso
soggetto, in quanto sancisce che: «una persona che sia stata giudicata
con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere
sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra
parte contraente, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata
eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la
legge della parte contraente di condanna, non possa più essere
eseguita». In tal modo, la citata disposizione attribuisce al giudice
nazionale «un’efficacia preclusiva in ordine all’esercizio
dell’azione penale per lo stesso fatto in qualunque altro Stato membro».
Così in Cassazione penale, sentenza 54467 del 2016, cit., § 2.2.
[33] Cfr. Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e
Commissione, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, ECLI:EU:C:2008:461,
punto 283: «I diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi
generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine,
la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e
alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei
diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. La CEDU
riveste, a questo proposito, un particolare significato». In dottrina v.,
ex multis, U.
Villani, La cooperazione tra giudici nazionali, la Corte di giustizia
dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo,
in La cooperazione fra Corti in Europa nella tutela dei diritti
dell’uomo, a cura di M.
Fragola, Napoli 2012, 1-23.
[34] A. Di Stasi, Tutela
multilevel dei diritti fondamentali e
costruzione dello Spazio europeo di giustizia, in Tutela dei diritti
fondamentali e Spazio europeo di giustizia,
cit., 25 che, a tal
proposito, parla di “spazio di (solo) tendenziale convergenza tra i due
principali sistemi giuridici di tutela dei diritti umani”; V. Grevi, Linee di cooperazione
giudiziaria in materia penale nella Costituzione europea, in Studi in
onore di Giorgio Marinucci, a cura di
E. Dolcini e C.E. Paliero, vol. III, Milano 2006, 2783 ss.; A.M. Salinas de Frías, La cooperación penal
internacional y la Unión Europea: ¿hacia un derecho penal
comunitario?, en Revista de Derecho de la Pontificia Universidad
Católica de Valparaíso XXV, Chile 2004, 405- 415.
[35] In tal senso
cfr. L.
Burgorgue-Larsen, Les interactions normatives en matière de
droits fondamentaux, in L.
Burgorgue-Larsen et al. (dir.), Les
interactions normatives. Droit de l’Union Européenne et Droit
International, Paris 2012, 372-373. V. anche le Conclusioni
dell’Avvocato Generale Cruz
Villalón, presentate il 12 giugno 2012, nella causa C-617/10, Åkerberg Fransson,
ECLI:EU:C:2012:340, punto 87 e la giurisprudenza ivi citata.
[36] V. infra § 5.
[37] Cassazione civile, sez. V, sentenza del 30
ottobre 2018, n. 27564, § 21.2.
[38] Per quanto concerne le persone fisiche, la
consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia ha chiarito che il
principio del ne bis in idem opera solo per le persone che sono state
giudicate con sentenza definitiva, una prima volta, in uno Stato membro. In tal
senso cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Gasparini, causa C-467/04, cit., punti 34-37; Corte
di Giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Van Straaten,
causa C-150/05, ECLI:EU:C:2006:614, punti 20-21, relativa al traffico di
stupefacenti, in cui i giudici di Lussemburgo hanno ritenuto soddisfatto il
requisito dell’identità soggettiva anche nell’ipotesi di un
concorso di persone in cui i coimputati di uno stesso soggetto mutano nei
procedimenti instaurati in differenti Stati membri.
[39] A tal riguardo, la Corte di Giustizia,
pronunciatasi in materia di omesso versamento dell’IVA, ha escluso che la
regola del ne bis in idem di cui all’art. 50 CDFUE, possa trovare
applicazione nelle ipotesi in cui un procedimento penale sia avviato a carico
di una persona fisica (l’amministratore di una società), mentre la
sanzione amministrativa abbia riguardato la persona giuridica (ossia la
società rappresentata). In tal senso v. Corte di Giustizia, sentenza del
5 aprile 2017, Orsi e Baldetti, cause riunite
C-217/15 e C-350/15, ECLI:EU:C:2017:264, punto 27. In senso conforme cfr.
Cassazione civile, sentenza n. 27564/2018, cit., § 18.
[40] Merita sottolineare che il concetto di
“definitività”, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia
UE, deve riferirsi a qualsiasi atto che risolva in modo vincolante una
determinata questione, ivi compresa la sentenza di patteggiamento divenuta
definitiva. In tal senso v. Corte di Giustizia, sentenza del 5 giugno 2014, M,
causa C-398/12, ECLI:EU:C:2014:1057, punto 41; Cassazione penale, sez. V,
sentenza del 5 febbraio 2019, n. 5679. Per un approfondimento su tali aspetti
processualistici v. A. Oriolo, Il
diritto di non essere giudicato o punito due volte, cit., 355-356.
[41] In tal senso cfr. Corte di Giustizia,
Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit., punto 27; Corte
di Giustizia, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi,
causa C-146/14 PPU, ECLI:EU:C:2014:1320, punto 79.
[42] In più occasione sono stati gli
stessi Avvocati Generali ad esortare la Corte di Giustizia ad adottare una
nozione unica di idem valevole per tutto il diritto UE e non
differenziata ratione materiae.
V. Conclusioni dell’Avvocato Generale J. Kokott, presentate il 15 dicembre 2011, nella causa C-489/10,
Bonda, ECLI:EU:C:2011:845, punto 33,
nonché la giurisprudenza ivi citata.
[43] V. Corte di Giustizia, sentenza del 7
gennaio 2004, Aalborg Portland e a. c. Commissione, cause riunite
C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P, C-219/00 P,
ECLI:EU:C:2004:6, punto 388; Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del
14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., causa C-17/10, ECLI:EU:C:2012:72,
punto 97. In dottrina v. R. Cafari Panico, Concorrenza,
benessere del consumatore e programmi di compliance,
in Scritti in onore di Giuseppe Tesauro, Napoli 2014, 1473 ss.; E. Cannizzaro, L.F. Pace, Le
politiche di concorrenza, in Aa. Vv.,
Diritto dell’Unione europea – Parte speciale, Torino 2010,
293 ss.; S. Bastianon, Il
diritto comunitario della concorrenza e l’integrazione dei mercati,
Milano 2005, 14 ss.; M. Condinanzi, A.
Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza
dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano 2003.
[44] Sul punto v. C. Amalfitano, R. D’Ambrosio, Art. 50, Diritto di
non essere giudicato o punito due volte, cit., 1019.
[45] Sul nesso tra diritti di cittadinanza, con
particolare riferimento alla libertà di circolazione nel diritto
comunitario, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella nota sentenza
Corte di giustizia, 15 novembre 2011, causa C-256/11, Dereci, ECLI:EU:C:2011:734. Cfr.
D.G. Rinoldi, N. Parisi, Mobilità
globale? Migrazioni e altri movimenti incidenti sull'integrazione europea al
tempo delle libertà e dei conflitti, in Le sfide dell'Unione
europea a 60 anni dalla Conferenza di Messina, a cura di L. Panella, Napoli 2016, 201-236. Cfr. M.C. Carta, Dalla libertà di
circolazione alla coesione territoriale nell’Unione europea, Napoli
2018, 6 ss.; R. Mastroianni, Stato
di diritto o ragion di Stato? La difficile rotta verso un controllo europeo del
rispetto dei valori dell’Unione negli Stati membri, in Dialoghi
con Ugo Villani, a cura di E.
Triggiani, F. Cherubini, I. Ingravallo,
E. Nalin e R. Virzo, Bari
2017, 605-612; C. Morviducci, I
diritti dei cittadini europei, Torino 2017, 61 ss.
[46] Corte di Giustizia, sentenza del 19
settembre 2002, nelle cause riunite C-187/01 e C-385/01, cit., punto 38.
[47] A tal proposito, appare opportuno
ricordare che anche la giurisprudenza della Corte EDU, influenzata proprio
dalle pronunce della Corte di Giustizia in materia di cooperazione penale, ha
“reinterpretato” la garanzia di cui all’art. 4 del Protocollo
n. 7 CEDU, in una prospettiva meno “formale” rispetto a quella che
aveva caratterizzato la sua precedente giurisprudenza. In tal senso v. Corte
europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 15 novembre
2016, ricorsi n. 24130/11 e 29758/11, A e B c. Norvegia; Corte europea
dei diritti dell’uomo, sentenza del 18 maggio 2017, Jóhannesson
e a. c. Islanda; Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera,
sentenza del 10 febbraio 2009, ricorso n. 14939/03, Zolutukhin
c. Russia, § 32.
[48] Corte di Giustizia, sentenza del 19
settembre 2002, nelle cause riunite C-187/01 e C-385/01, cit., punto 33.
[49] Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo
2006, Van Esbroeck, causa C-436/04, cit.,
punti 21-24. Tale pronuncia rileva anche in riferimento all’ambito di
applicazione temporale del principio del ne bis in idem. Al riguardo la
Corte di Giustizia ha considerato determinante il momento dell’avvio del
relativo procedimento penale o di inflizione della sanzione e non il momento
della commissione del fatto perseguito. Il diritto a non essere sottoposto a
processo o a pena più volte per gli stessi fatti costituisce, infatti,
una «garanzia materiale che si perfeziona allorché sorge
l’obbligo del pubblico potere di astenersi da qualsivoglia
repressione». Una precedente decisione passata in giudicato crea evidentemente
questo obbligo e fa «scattare l’applicazione del principio».
Così in A. Oriolo, Il
diritto di non essere giudicato o punito due volte, cit., 354.
[50] Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo
2006, Van Esbroeck, causa C-436/04, cit., punti
36-38. In riferimento alle ipotesi di reato continuato, la Corte di Giustizia
ha in più pronunce evidenziato che l’esistenza di un unico disegno
criminoso relativo a più infrazioni commesse in Stati membri differenti,
non è sufficiente per affermare la sussistenza anche di
quell’insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro
– nel tempo, nello spazio e nell’oggetto – rientranti nella
nozione di «medesimi fatti» ex art. 54 CAAS. Cfr. Corte di Giustizia,
sentenza del 18 luglio 2007, Kraaijenbrink,
causa C-367/05, ECLI:EU:C:2007:444, punto 30.
[51] S. Negri,
La realizzazione dello Spazio europeo di libertà, sicurezza e
giustizia tra carta dei diritti fondamentali e CEDU: dalla convergenza alla
integrazione tra sistemi?,
cit., 111 ss.
[52] Sulle differenze tra autorità
positiva del giudicato straniero e ne bis in idem v., per tutti,
già N. Galantini, Il
principio del «ne bis in idem» internazionale nel processo
penale, Milano 1984, 98 ss.
[53] V. supra
§ 1.
[54] Cfr. Libro Verde della Commissione, del 23
dicembre 2005, sui conflitti di giurisdizione e il principio del
ne bis in idem nei procedimenti penali, COM(2005)696
def.
[55] E.
Bindi, Divieto di bis in idem e doppio binario sanzionatorio
nel dialogo tra giudici nazionali e sovranazionali, in Federalismi
n. 17/2018, 2 ss.
[56] Cfr. A.
Oriolo, The European Public Prosecutor’s Office (EPPO): A Revolutionary
Step in Fighting Serious Transnational Crimes, in American Society of International Law Insight n. 2/2018, consultabile online in www.asil.org/insights;
E. Fusco, La tutela del
mercato finanziario tra normativa comunitaria, ne bis in idem e
legislazione interna, in Diritto penale contemporaneo, dicembre
2016, 1 ss.
[57] Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 23
novembre 1976, ricorsi n. 5100/71, 5101/71,5102/71,5354/72, 5370/72, Engel
c. Paesi Bassi, § 82. In tale pronuncia, come in altre più recenti, la Corte europea ha precisato che trattasi
di parametri alternativi e non cumulativi. È quindi sufficiente che ve
ne sia uno dei tre perché la sanzione possa essere qualificata come
penale. Nondimeno, un approccio cumulativo è sempre possibile
quando l’analisi separata di ciascun criterio non permetta di raggiungere
conclusioni chiare circa l’esistenza di una «accusa in materia
penale». In tal senso v. anche Corte europea dei diritti dell’uomo,
Grande Camera, sentenza del 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/01, Jussilia c. Finlandia, punti 30-31; Corte
europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 4 marzo 2014, ricorsi n.
18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10,18698/10, Grande Stevens and Others
c. Italia, §§ 94-96. Per un approfondimento sulla sentenza da
ultimo citata v., ex multis, M. Manetti, Il paradosso della Corte
EDU, che promuove la Consob (benché non sia imparziale) e blocca il
giudice penale nel perseguimento dei reati di “market-abuse”,
in Giurisprudenza costituzionale, 2014, 2942 ss.; A. Lanzafame, Il ne bis in idem vale
anche per le sanzioni amministrative di natura afflittiva: la Corte di
Strasburgo conferma l’approccio sostanzialistico e traccia la strada per
il superamento del “doppio binario”, in Federalismi, 20
giugno 2014, n. 2/2014; G.M. Flick, V.
Napoleoni, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio
binario o binario morto? («Materia penale», giusto processo e
ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse), in Rivista delle società, 2014, 953
ss.; G. Abbadess, Il caso
Fiat-Ifil alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nozione di
«pena» e contenuti del principio “ne bis in idem”,
in Giurisprudenza commerciale, 2014, II, 546 ss.; M. Allena, Il caso Grande Stevens c.
Italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu,
in Giornale di diritto amministrativo, 2014, 1053 ss.; M. Dova, Ne bis in idem in materia
tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e giudici nazionali e
sovranazionali, in Diritto penale contemporaneo, 5 giugno 2014, 1
ss.
[58] I criteri Engel di qualificazione
della “natura penale” di una sanzione, a tutt’oggi sovente
richiamati dalla giurisprudenza nazionale degli Stati parte del Consiglio
d’Europa, erano i seguenti: la qualificazione giuridica
dell’illecito nel diritto nazionale; la natura dell’illecito: il
grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di
incorrere.
[59] F. Goisis, Verso
una nuova sanzione amministrativa in senso stretto: il contributo della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Rivista italiana di
diritto pubblico comunitario, 2014, 337 ss.
[60] Corte europea dei diritti dell’uomo,
sentenza del 12 luglio 2001, Ferrazini v.
Italia, ric. n. 44759/98; nonché Corte europea dei diritti
dell’uomo, sentenza del 4 marzo 2004, ric. n. 47650/09, Silverster’s Horeca
Service v. Belgio, § 36.
[61] Corte europea dei diritti dell’uomo,
Grande Camera, sentenza del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia del
2016, cit. P. Fimiani, Market abuse e doppio binario sanzionatorio dopo la sentenza
della Corte E.D.U., Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, in Diritto
penale contemporaneo, 8 febbraio 2017, 13.
[62] In tal senso v. anche Corte
costituzionale, sentenza del 24 gennaio 2018, n. 43.
[63] In particolare la Corte EDU ha precisato
che il nesso temporale, che non esige contestualità di svolgimento e di
decisioni, deve concorrere con quello materiale. Quali elementi pertinenti per
valutare l’esistenza di un nesso materiale sufficientemente stretto, la
Corte europea indica: a) se le distinte procedure perseguono obiettivi
complementari e riguardanti, non solo in abstracto
ma anche in concreto, aspetti diversi dall’atto pregiudizievole alla
società in causa; b) se il dualismo dei procedimenti risulti essere una
conseguenza prevedibile, sia dal punto di vista del diritto che nella pratica,
degli stessi comportamenti repressi (idem); c) se i procedimenti si sono
svolti in una maniera che eviti, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione
nella raccolta e valutazione degli elementi di prova, principalmente attraverso
un’interazione adeguata tra le diverse autorità competenti,
facendo sembrare che la statuizione dei fatti effettuata in uno dei
procedimenti è stata ripresa nell’altro; d) soprattutto –
sottolinea la Corte europea – se la sanzione imposta al termine del
processo è stata prima presa in considerazione nell’ultimo
processo, in modo da non gravare in modo eccessivo sull’interessato,
essendo quest’ultimo rischio meno suscettibile di presentarsi esistendo
un meccanismo di compensazione che possa assicurare che l’insieme globale
di tutte le sanzioni irrogate sia proporzionato (§§ 126-132).
[64] La Corte europea dei diritti
dell’uomo (§§ 117 e 118 della sentenza A e B c. Norvegia
del 2016) prende atto dell’effettiva diversità dei sistemi
sanzionatori statuali e ricorda – anche alla stregua delle Conclusioni
dell’Avvocato generale Cruz
Villálon presentate il 12 giugno 2012, nella citata causa
C-617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson
– che alcuni Stati contraenti non hanno ratificato il prot.
7 mentre altri, in sede di ratifica hanno formulato riserve e dichiarazioni
interpretative volte a limitare il vincolo ad applicare l’art. 4 alla
sola materia qualificata come penale dal diritto interno.
[65] Al riguardo la Corte europea dei diritti
dell’uomo si esprime nei termini di: «una combinazione di
procedimenti che costituisce un insieme integrato».
[66] Così in T. Rafaraci, Il principio del ne bis in idem nello Spazio
di libertà, sicurezza e giustizia, cit.,
343.
[67] Corte di Giustizia, sentenza del 23 dicembre
2009, Spector Photo Group e Van Raemdonk, causa C-45/08, ECLI:EU:C:2009:534, punto 70,
in materia di abuso di informazioni privilegiate. Al riguardo la Corte aveva
precisato che gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure
sanzionatorie siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». Anche
nella successiva pronuncia Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 26
febbraio 2013, Åkerberg Fransson, i giudici di Lussemburgo si erano pronunciati
favorevolmente sulla compatibilità del doppio binario sanzionatorio dei
sistemi nazionali con l’art. 50 CDFUE. In dottrina v. J.A.E. Vervaele,
Ne bis in idem: ¿un principio transnacional de rango constitucional
en la Unión Europea?, in Indret: Revista para el Análisis
del Derecho, 2014, 28.
[68] Cfr. P.
Corvi, I rapporti tra accertamento tributario e accertamento penale,
in La nuova giustizia penale tributaria. I reati. Il processo, a cura di
A. Giarda, A. Perini e G. Varraso,
Padova 2016, 461 ss.; G. Piziali,
Il processo penale per l’accertamento dei reati tributari, in Profili
critici del diritto penale tributario, a cura di R. Borsari, Padova 2013, 332 ss.
[69] Cfr. Corte di giustizia, Grande Sezione,
sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco
e altri, causa C-105/14, ECLI:EU:C:2015:555, punto 39. In dottrina v. ex
multis C. Amalfitano,
Rapporti di forza tra Corti, sconfinamento di competenze e complessivo
indebolimento del sistema UE?,
cit., 1-36; P. Mori, Taricco II o del primato della Carta dei diritti
fondamentali, cit.; G. Ziccardi
Capaldo, Lotta globale all’impunità e Corte di giustizia
dell’Unione europea: un nuovo approccio alla frode grave come crimine
contro i diritti umani, in Aa.Vv.,
Liber Amicorum Antonio Tizzano. De la Cour CECA à la Cour de l’Union:
le long percours de la Justice européenne, cit., 1035 ss.
[70] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit.
[71] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real
Estate SA, cit.
[72] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Di Puma e Consob, cit.
[73] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit., punto 53.
[74] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco
e altri, cit., punto 53.
[75] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real
Estate SA, cit., punto 67. In senso opposto cfr. Corte costituzionale,
sentenza del 7 novembre 2017, n. 269, § 5.2.
[76] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 27 maggio 2014, Spasic, causa
C-129/14 PPU, ECLI:EU:C:2014:586.
[77] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit., punto 46.
[78] In tal senso Corte di Giustizia, Grande
Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson
Real Estate SA, cit., punto 46.
[79] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real
Estate SA, cit., punto 56.
[80] Un espresso riferimento alla citata
disposizione è invece contenuto nelle Conclusioni dell’Avvocato
Generale J. Kokott, presentate il
12 gennaio 2012, nelle cause riunite C-628/10 P e C-14/11, P Alliance One International Inc. e altri c. Commissione europea e altri, §
175, in materia di concorrenza.
[81] Tale principio è stato, da ultimo,
richiamato nella pronuncia Corte costituzionale, sentenza del 21 marzo 2019, n.
63, § 2.3 in cui la Consulta ha avuto modo di precisare che:
«l’apparato sanzionatorio amministrativo per gli abusi di mercato
dovrebbe pur sempre essere caratterizzato da adeguatezza, dissuasività,
effettività e proporzionalità».
[82] Cfr. M.C.
Carta, Dignità umana e
tutela dei detenuti nello “Spazio di Giustizia” dell’Unione
europea, cit., ove in merito all’applicazione del principio europeo
di proporzionalità nella giurisprudenza interna, viene evidenziata la
difficoltà di attribuire autonomo rilievo all’art. 49 § 3
CDFUE alla luce del suo sostanziale “assorbimento” nelle previsioni
costituzionali (artt. 3 e 27 Cost.), così
assurgendo semmai ad “importante conferma” del principio di
proporzionalità nell’ordinamento interno o a “strumento complementare
rispetto al parametro costituzionale”. Sul principio di
proporzionalità nell’UE v. anche M. Panzavolta, Legalità e proporzionalità nel
diritto penale processuale, in Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, cit., 972-1001 e 1001-1014; R. Palladino, I principi della
legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene
nell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in Tutela
dei diritti fondamentali e Spazio europeo di giustizia, cit., 320 ss.
[83] Corte di Giustizia, Grande Sezione,
sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real
Estate SA, cit., punto 66. In tale occasione la Corte ha statuito che il
principio ex art. 50 CDFUE deve essere interpretato nel senso che «osta
ad una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento
riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei
confronti di una persona per condotte illecite […] per le quali è
già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti
in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal
reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace,
proporzionata e dissuasiva» (punto 63).