Tradizione-Romana-2018

 

 

Associazione Balcanica di Diritto romano e di tradizione romanistica

Terza conferenza internazionale “Ius & humanitas”

Skopje, Repubblica di Macedonia, 25-27 ottobre 2018

 

 

Lobrano-1GIOVANNI LOBRANO

già Professore Ordinario di Diritto Romano

nell’Università di Sassari

e Preside della Facoltà di Giurisprudenza

 

Appunti per la lettura delle fonti

L’esempio – da non seguire – della attribuzione della “rappresentanza” al Diritto romano

 

 

Sommario: Premessa. – I. “Stato della dottrina” giuridica: il rapporto – insoddisfacente – con la Pandettistica. – I.1. Affermata alterità nel metodo e oggettivo appiattimento nel merito. – I.2. L’esempio della “rappresentanza”: «principio cardine dell’intero sistema». – I.3. Ragioni di insoddisfazione nel metodo e nel merito. – II. Per conoscere la categoria medievale-moderna “rappresentanza”. – II.1. Corrente percezione del dibattito ottocentesco sulla natura della rappresentanza. – II.2. In realtà: scontro tra rappresentanza e partecipazione. – II.3. Innesto pandettistico della rappresentanza nel Diritto romano: momenti e fasi. – III. Per leggere le fonti romane. – III.1. Conoscenza della- cioè ‘presa di distanza’ dalla categoria generale “rappresentanza”. – III.2. Lo schema istituzionale e linguistico di Cicerone e di Gaio, non di Savigny: “agire per mezzo di altri”, non “agire per altri”. – III.3. Il principium: iussum e mandatum.

 

 

 – Premessa

 

Questo scritto è la registrazione della riflessione interna a un piccolo laboratorio romanistico sassarese; formulata a conclusione della prima fase di una ricerca, avviata alcuni anni or sono, sulla questione della rappresentanza o, meglio, sulla questione della esistenza o meno di alternativa alla rappresentanza, e in vista e in funzione della sua seconda e conclusiva fase, la verifica della ipotesi (o “ipo-tesi”) così formulata[1], che tale alternativa esiste e si trova nel Diritto romano.

 

 

I. – “Stato della dottrina” giuridica: il rapporto – insoddisfacente – con la Pandettistica

I.1. – Affermata alterità nel metodo e oggettivo appiattimento nel merito

 

Oggetto necessario di ogni ricerca romanistica è lo studio delle fonti.

Principio inaggirabile di ogni ricerca scientifica è, però, il ‘punto’ sullo “stato della dottrina”.

Lo “stato della dottrina” giuridica novecentesca (nel cui àmbito noi, oggi, continuiamo a restare) è dato dal rapporto che questa ha stabilito con la dottrina giuridica ottocentesca, in particolare con la Pandettistica[2].

Tale ‘rapporto’ combina:

- la affermata alterità nel metodo della interpretazione delle fonti del Diritto romano

e

- l’obiettivo appiattimento nel merito della medesima interpretazione.

La alterità è affermata nella contrapposizione tra il ricorso alle “categorie generali”, per natura “astratte”, imputato alla Pandettistica, e il ricorso ai “casi”, per natura “concreti”, attribuito al Diritto romano e, oggi, preferito[3].

L’appiattimento è rilevabile nella coincidenza sulla assolutizzazione storica e dogmatica del “diritto odierno”, i cui singoli istituti sono attribuiti, dai romanisti del Novecento come dai romanisti dell’Ottocento, già al Diritto romano, quanto meno in un loro stadio incipiente.

La lettura delle fonti romane si colloca tra i due termini del rapporto.

Secondo un giudizio che proviamo, ora, ad argomentare “per exemplum[4], tale ‘rapporto / stato della dottrina’ appare insoddisfacente: determinato da una opzione di metodo opinabile e giungente a conclusioni di merito tutt’altro che convincenti, precedenti la lettura delle fonti.

Per evidenti ragioni di competenza per materia, nella costruzione di tale – insoddisfacente – ‘rapporto = stato della dottrina’, ha avuto e continua ad avere un ruolo essenziale e una responsabilità conseguente la dottrina romanistica[5].

 

I.2. – L’esempio della “rappresentanza”: «principio cardine dell’intero sistema»

 

Esempio probante, per rilevanza ed evidenza, di tale ‘rapporto’ sono le trattazioni di un istituto definito «principio cardine dell’intero sistema»[6]: l’istituto della rappresentanza.

Citiamo qui, come loro specimen, una monografia italiana, recente e di buona chiarezza espositiva[7].

Nella parte iniziale si afferma: «La considerazione autonoma ed astratta della rappresentanza è dovuta principalmente alla scuola tedesca del XIX sec., ed in particolare a Savigny, System des heutigen römischen Rechts, III, Berlino, 1840, 90-98, il quale, per la prima volta nella storia giuridica, assegna alla rappresentanza una posizione autonoma, soprattutto dal punto di vista sistematico, inserendola nell’ambito delle dottrine generali, e abbandonando decisamente, secondo una tendenza che diventerà sempre più imperante, la configurazione della rappresentanza nel mondo romano, in cui essa era, invece, strettamente connessa al mandato, alla rappresentanza processuale, alle actiones adiecticiae qualitatis»[8].

Nella parte conclusiva si afferma: «… il diritto romano, anche alla fine dell’età classica, non conosce e realizza un concetto generale ed unitario di rappresentanza. Tuttavia […] i giuristi romani procedono alla teorizzazione e alla disciplina della rappresentanza per ‘nuclei problematici’] perché operano in un sistema casistico, e non certo perché sono incapaci di realizzare fenomeni di astrazione giuridica, o di concepire un concetto compiuto di rappresentanza [...] Infatti, sebbene il diritto romano abbia espresso e disciplinato un sistema della sostituzione negoziale per certi versi profondamente diverso da quella odierna, la teoria moderna della rappresentanza è stata costruita certamente sulle fonti romane e sulla tradizione romanistica»[9].

Dobbiamo qui anche osservare – seppure soltanto incidentalmente – che esempio altrettanto rilevante ed evidente del medesimo, insoddisfacente ‘rapporto / stato della dottrina’ è quell’altra ‘meraviglia’ del diritto costituita, insieme alla rappresentanza, dall’istituto della “persona giuridica”[10]. La persona giuridica ha, infatti, una decisiva funzione ancillare nei confronti della rappresentanza, essendone la giustificazione teoretica della prima e decisiva manifestazione: la attribuzione del potere della collettività ai ‘propri’ delegati.

 

I.3. – Ragioni di insoddisfazione nel metodo e nel merito

 

L’esempio fornito dalle trattazioni della “rappresentanza”[11] ci consente di sostanziare e precisare i termini del ‘rapporto con la Pandettistica / stato della dottrina’ e, quindi, di argomentarne il nostro giudizio.

Nel metodo, la critica della interpretazione pandettista è, già di per sé, per varie ragioni, opinabile[12]. In particolare, la prescrittiva contrapposizione della interpretazione per “casi” alla interpretazione per “categorie generali” ci appare addirittura contraria a quella seccamente formulata nel Titolo conclusivo del Digesto (Paulus D. 50.17.1: Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat) la quale ultima è, inoltre, perfettamente in linea con l’incipit giusnaturalista della stessa opera (Ulpianus D. 1.1.1).

Dalla monografia che abbiamo citato a specimen delle trattazioni romanistiche della rappresentanza appare, inoltre, che la – persino puntigliosa – affermazione iniziale della alterità nel metodo della interpretazione della rappresentanza (cioè per mezzo dello studio dei «nuclei problematici in un sistema casistico» anzi che per mezzo dello studio dei «concetti generali») contiene già la conclusione dell’obiettivo appiattimento nel merito della interpretazione della «rappresentanza / sostituzione negoziale», quale istituto già del Diritto romano. Anzi, la tesi della esistenza della rappresentanza nel Diritto romano appare formulata addirittura già nel titolo della monografia, secondo una prassi – appunto – dominante in dottrina[13].

Così, con una risposta positiva iniziale, implicita e a priori, è elusa la domanda che i ricercatori dovrebbero porsi nel merito; ovvero: se, al di là della diversità nel metodo, l’istituto della rappresentanza fosse o meno sostanzialmente presente nella teoria e nella prassi gius-romane.

La ‘elusione / risposta positiva’ di tale domanda ci appare doppiamente discutibile in quanto noi crediamo, invece, che la domanda deve essere posta e che la risposta deve essere negativa.

A nostro giudizio, infatti, l’istituto della rappresentanza è costruito su fonti e tradizione “feudali” medievali-moderne, assolutamente altre rispetto alle fonti e alla tradizione romane antiche.

Pertanto, in attesa di verificare sulle fonti romane la eventuale convergenza tra i due universi istituzionali, la ipotesi da cui partire per la lettura di queste fonti è – esattamente al contrario della dottrina dominante – la estraneità ad esse di quell’istituto, il quale appare innestato, per la prima volta da Savigny, nel “sistema del Diritto romano”, con effetto stravolgente di questo “sistema”

Il nostro giudizio nel merito è fondato su una serie ampia di dati storici-dogmatici, che evochiamo schematicamente.

 

 

II. – Per conoscere la categoria medievale-moderna “rappresentanza”

II.1. – Corrente percezione del dibattito ottocentesco sulla natura della rappresentanza

 

La scienza giuridica odierna conserva diffusamente la memoria di un dibattito, svoltosi nel proprio seno essenzialmente durante la seconda metà dell’Ottocento, sul merito della interpretazione della rappresentanza.

Il dibattito, oggi essenzialmente concluso, ha investito – si afferma – la natura della rappresentanza: la quale è stata, alternativamente, definita “cooperativa” oppure “sostitutiva”[14].

Questo stesso dibattito è stato reso, nella dottrina di lingua tedesca, come tra “Geschäftsherrntheorie” e “Repräsentationstheorie”[15].

I due sistemi linguistici, l’italiano (il quale sottolinea la presenza o assenza della cooperazione del rappresentante con il rappresentato) e il tedesco (il quale sottolinea la presenza o assenza del comando del rappresentato al rappresentante) si illuminano reciprocamente.

La conclusione del ‘dibattito’ è la natura “sostitutiva” della rappresentanza[16] ovvero il prevalere della “Repräsentationstheorie”[17].

 

II.2. – In realtà: scontro tra rappresentanza e partecipazione

 

Abbiamo ragioni per credere di trovarci dinanzi a un equivoco.

Abbiamo, cioè, ragioni per credere che nell’Ottocento si è svolto:

- non un dibattito tra due interpretazioni di un unico istituto, il quale attraversa le epoche (antica e medievale-moderna),

- ma lo scontro tra due istituti affatto diversi, costruiti – in epoche altrettanto diverse – come due, più che diverse, opposte soluzioni di un unico problema.

L’unico problema è quello “di base e complesso”[18] formulabile come “volizione[19] con l’intervento [usiamo, qui, una espressione il più possibile neutrale] di un’altra persona”.

Il ‘problema’ concerne la volizione collettiva e individuale, pubblica e privata ma esso si pone con particolare forza e lo ‘scontro’ tra le due soluzioni/istituti avviene inizialmente a proposito della volizione collettiva (in particolare pubblica) per estendersi, quindi e necessariamente, alla volizione individuale (e privata).

In ordine a questa formulazione del “problema di base e complesso”, dobbiamo effettuare sùbito due precisazioni/avvertenze, prodromiche allo sviluppo di questo nostro ‘discorso’.

La prima ‘precisazione/avvertenza’ è che non fanno parte del nostro ‘problema’ e sono – dunque – ‘problemi’ a sé: la tutela (la quale, per definizione, concerne chi è incapace di [intendere e] volere) e, specularmente, il ricorso al nuncius (il quale, per definizione, non ha funzione volitiva). Hanno, inoltre, rispetto sempre al nostro ‘problema’, caratteristiche di specificità, che ne consigliano una considerazione altrettanto specifica: la negotiorum gestio (cui, per definizione, manca l’‘input’ volitivo del dominus negotii)[20] e, specularmente, l’acquisto del possesso (per definizione res facti)[21].

La seconda ‘precisazione/avvertenza’ è che scrivere di “altra persona” rispetto al dominus negotii collettivo può porre problemi al lettore. Infatti, la applicazione della categoria di persona alle collettività è materia di rilevante dibattito[22]. Limitatamente alle esigenze del nostro ‘discorso’, ci limitiamo, però, a osservare che la collettività, la quale si costituisce in unità e – come tale – vuole mettere in opera relazioni giuridiche, deve “avere [come dice Gaio] un corpus” (D. 3.4.1.1)[23], sulla cui materialità si esprime lo stesso Gaio (inst. 2.12)[24] e per la cui esemplificazione vedi Pomponius D. 41.3.30 pr. (cfr. Paulus D. 6.1.23.5; Inst. Just. 2.18 e anche Ulpianus D. 7.1.70.3). Tale osservazione ci consente di non turbarci per l’uso ciceroniano (off. 1.124) di persona a proposito della civitas, così come non ci turba l’uso corrente di persona (oltre che di corpus [Gaius, inst. 2.13]) a proposito dell’uomo[25]. Gli usi romani di persona non pongono in discussione il corpus né della civitas né dell’uomo.

Ciò precisato, dobbiamo súbito dire che: del nostro “problema di base e complesso”, la “rappresentanza” è soltanto una delle due soluzioni/istituti. Questo è il punto. Sottoposta a esame storico, la rappresentanza si rivela provenire (sulla base della – peraltro arcinota – invenzione gius-canonistica della “persona ficta et/vel repraesentata”)[26]: interamente dalle teorie e prassi giuridiche medievali e moderne; precisamente dalla loro componente “feudale”, la quale è non romana per definizione[27]; essenzialmente dal “Model Parliament” del 1295 e dai suoi sviluppi, teoretico (il Leviathan del 1651) e di regime (il “Federalist/federalism” del 1787-88). Sottoposta a esame dogmatico, la rappresentanza rivela assegnare all’‘altra persona’, da sempre e soltanto, una funzione “sostitutiva” e una posizione signorile. Infatti: della prassi del “Model Parliament” è caratteristica la novità (rispetto alla precedente esperienza parlamentare) della sottrazione, ai “Comuni” deleganti, del potere di indirizzare la volizione dei loro delegati, i quali ne diventano – così – i signori[28]; della dottrina del Leviathan è caratteristico lo sviluppo (rispetto alla pregressa esperienza del “Model Parliament”) della nozione di persona fittizia (anzi “artificiale”)[29] come giustificazione teoretica della “sostituzione” volitiva della collettività da parte dei suoi “rappresentanti”[30]; della costituzione “federale” statunitense è caratteristico lo sviluppo (rispetto alla stessa esperienza) del regime sostitutivo, il quale è reso ‘seriale’[31].

L’altra soluzione/istituto del nostro “problema di base e complesso” è – pertanto – quella nella quale l’‘altra persona’ ha, invece, una funzione “cooperativa” e una posizione subalterna. Per questa altra soluzione/istituto, nella dottrina contemporanea, neppure esiste un nomen. Tuttavia e inoltre, già prima della lettura delle fonti romane e in attesa della verifica su di esse, possiamo formulare la ipotesi che questa altra soluzione/istituto provenga dalla teoria e dalla prassi del Diritto romano[32].

La duplicità di soluzioni/istituti tra loro opposti e la ascendenza antica (romana) della soluzione/istituto nel quale l’‘altra persona’ ha una funzione “cooperativa” e una posizione subalterna, sono affermate da non poche e non poco autorevoli ‘voci’, risuonate a monte e a valle del percorso giuridico (scientifico e normativo) ottocentesco: ‘a monte’ (in maniera addirittura macroscopica) con il secolare scontro settecentesco tra opposti “modelli costituzionali”, rispettivamente: quello antico/romano (democratico) e quello medievale/moderno inglese (rappresentativo); ‘a valle’ con la riflessione costituzionale e sociologica proto-novecentesca sul “potere”.

Lo scontro settecentesco, inizialmente scientifico, tra Montesquieu, teorico e propositore del modello inglese rappresentativo[33], e Rousseau, teorico e propositore del modello romano democratico ovvero – più finemente – “repubblicano”[34], diventa conclusivamente, durante la “Grande Révolution”, normativo: tra costituzioni, quella rappresentativa del 1791 e quella “democratica”[35] del 1793.

La iniziale riflessione socio-giuridica novecentesca si pone ancora tra gli stessi termini. Hans Kelsen (Vom Wesen und Wert der Demokratie, 1920) distingue chiaramente la “moderna finzione della rappresentanza” dal “modo di pensare democratico dei Romani”[36]. Max Weber (Wirtschaft und Gesellschaft, 1921 [postumo]) coglie il fulcro dello ‘scontro tra istituti’ nella opposta titolarità della posizione signorile o dominante e li attribuisce, rispettivamente, alla antichità e alla modernità. In un passaggio molto importante della propria dottrina, Weber osserva il vero e proprio rovesciamento potestativo dall’antico rapporto tra dominus negotii e servus al moderno rapporto tra rappresentato e rappresentante, ove dominus/Herr è il rappresentante[37].

La riflessione storica-dogmatica di Kelsen e Weber è preceduta dal famoso discorso sull’ordinamento costituzionale (noto come Speech to the Electors of Bristol) con il quale il 3 novembre 1774 Edmund Burke sostiene la piena autonomia volitiva, nel Parlamento, dei rappresentanti rispetto ai Cittadini, ed è affiancata dal noto apologo sull’ordinamento economico-giuridico (noto come I battelli del Reno) con il quale il contemporaneo di Weber, Walther Rathenau, sostiene la piena autonomia volitiva, nelle società azionarie, dei rappresentanti rispetto ai soci; autonomia volitiva che, in Germania, sarà formalizzata con la legge del 1937 [38].

La primissima caratteristica dell’istituto ‘altro’ e, in ipotesi, antico è, dunque, la capacità della volontà del dominus negotii di determinare gli elementi quadro del negozio che sarà concluso dal servus o dal mandatarius, lasciando a quest’ultimo la determinazione degli elementi individualizzanti.

Tale primissima caratteristica (specialmente in riferimento alla volizione collettiva e ancor più specialmente in riferimento a quella pubblica) può essere definita “partecipazione”[39].

La conclusione tardo-ottocentesca dello ‘scontro’ tra i due istituti è: la occupazione di tutta la scena giuridica da parte dell’istituto della rappresentanza/sostituzione e – letteralmente – la scomparsa dell’istituto della partecipazione-cooperazione.

 

II.3. – Innesto pandettistico della rappresentanza nel Diritto romano: momenti e fasi

 

La ‘memoria’ novecentesca di una progressiva messa a fuoco scientifica (in un unico percorso logico che va dal Diritto romano a quello odierno) del solo istituto della rappresentanza[40] (dalla “cooperazione” alla “sostituzione” ovverosia dalla “Geschäftsherrntheorie” alla “Repräsentationstheorie”[41]) appare, dunque, un errore e un errore di grande portata sistematica.

Se così è (e noi crediamo che così sia) tale errore è in parte scientemente e in parte involontariamente propiziato dalla Pandettistica con l’innesto – avviato da Savigny – dell’istituto medievale-moderno della rappresentanza/sostituzione sul tronco del Diritto romano. Tale ‘innesto’, infatti:

α) è non dichiarato ma presentato come rinvenimento ovvero è operato non accanto all’originale ‘istituto cooperativo’ ma in luogo di questo, come una cancellazione per sovra-scrittura[42];

β) avviene in due momenti successivi, divisi da un preciso intervallo cronologico.

Secondo la dottrina dominante, nella «storia della rappresentanza» si deve a Savigny la «fondazione della Geschäftsherrntheorie» e a Windscheid quella della “Repräsentationstheorie”[43].

A noi, la rappresentanza innestata da Savigny nel Diritto romano appare immediatamente e chiaramente “Repräsentationstheorie”, cioè immediatamente e chiaramente “sostitutiva”. La operazione savignyana dell’innesto rappresentativo nel tronco del Diritto romano è, infatti, scandita in tre diverse fasi logiche, ciascuna delle quali è una (piccola?) rivoluzione. La prima ‘fase’ è la assunzione della tutela romana (cioè dell’istituto [potestas in capite libero: Paulus/Servius D. 26.1.1] con il quale è data una volontà a chi è incapace di volere) come modello, archetipo o prototipo – che dir si voglia – della rappresentanza medievale-moderna ovvero, potremmo dire, come suo ‘cavallo di Troia’. La seconda ‘fase’ è la trasformazione della collettività (Personenmehrheit) in un incapace di volere mediante la sua trasformazione in “persona giuridica”. La terza – conseguente – ‘fase’ è la trasformazione del delegato della collettività nel suo tutore[44]. Riuscire a vedere in ciò la “Geschäftsherrntheorie” ovverosia la cooperazione (volitiva) di un subalterno ci appare una sfida alla logica.

Piuttosto, interpretare il Populus Romanus Quirites come un minus habens sotto tutela[45] è operazione prometeica ma non sufficiente ad assicurare il buon esito dell’‘innesto rappresentativo’. Per conseguire tale esito, Savigny deve ancora estendere la “Vertretung” dall’àmbito della “volizione collettiva con l’intervento di un’altra persona” all’àmbito della “volizione individuale con l’intervento di un’altra persona”. Per ciò, Savigny deve liberarsi di ulteriori fonti romane, con un ulteriore sforzo, cui, però, egli appare non ancora pronto. Le ‘ulteriori fonti’ gli dicono (forse troppo espressamente) ed egli ripete (correttamente) di «comando a contrarre dato dal signore al servo»[46]: cioè di istituto completamente diverso dalla rappresentanza; cioè di istituto che non annulla la volontà del rappresentato, sostituendola con quella del rappresentante/Herr, ma potenzia la volontà del dominus negotii, integrandola con quella cooperante del servus o del mandatarius. La formazione savignyana della dottrina della rappresentanza tramite sovra-scrittura su questo altro istituto antico è, dunque, incompleta e, in definitiva, internamente contraddittoria.

Devono trascorrere 26 anni prima che la scienza giuridica ottocentesca riesca a liquidare pienamente le fonti sull’istituto antico, ancora determinanti per Savigny, e completare – così – la dottrina della rappresentanza. In tale ulteriore operazione, la Pandettistica appare aiutata in modo significativo dalla scienza giuridica positiva. Gli autori di questa operazione sono, in particolare, il pandettista Bernard Windscheid e il giurista positivo Paul Laband, i quali scrivono entrambi nel 1866.

Windscheid non si fa più scrupolo di affermare seccamente che lo iussum (in questione) «è non un comando ma una autorizzazione»[47].

L’intervento correttivo-integrativo di Windscheid sullo iussum, pur essendo una operazione di microchirurgia storico-giuridica[48], completa nella materia della volizione individuale l’‘innesto’ operato da Savigny nella materia della volizione collettiva. Tuttavia, vi è ancora spazio per l’intervento esplicativo-integrativo di Laband.

Laband afferma (questa volta con una certa dovizia di argomentazione) che l’istituto della rappresentanza (a suo avviso, non esistente nel Diritto romano ma presente nel diritto a sé contemporaneo)[49] è potere (non servizio) del rappresentante; potere il quale non può tollerare né tollera comandi e, pertanto, non può essere fondato sul mandato (Auftrag) ma deve essere fondato sulla procura (Vollmacht)[50]. Ovviamente, il giurista positivo tedesco del XIX secolo non si interessa all’istituto dello iussum al servus.

L’anno successivo (1867) Windscheid scrive (citando Laband) che lo iussum è il nome romano della procura/Vollmacht[51].

Il cerchio è chiuso.

 

 

III. – Per leggere le fonti romane

III.1. – Conoscenza della - cioè ‘presa di distanza’ dalla categoria generale “rappresentanza”

 

La costruzione ottocentesca della “rappresentanza / sostituzione negoziale” appare, dunque, non il prodotto dello studio delle fonti romane ma la loro sistematica forzatura a un significato eterogeneo: feudale medievale-moderno[52].

La scelta novecentesca di concentrarsi sui “casi” (perché “concreti”) anziché studiare la “categoria generale” (perché “astratta”) della “rappresentanza / sostituzione negoziale” è, quindi, servita e serve a non revocarne in discussione e, anzi, a consolidarne le – così affermate – assolutizzazione logica e temporale.

È, invece, la scelta di studiare la “categoria generale” della «rappresentanza / sostituzione negoziale” che permette di capire essere questa ultima soltanto una soluzione e non (come, pregiudizialmente, viene dato per scontato) la soluzione del “problema giuridico di base e complesso della volizione collettiva e individuale, pubblica e privata con l’intervento di un’altra persona”. Permette, conseguentemente e inoltre, di capire che, nelle fonti romane, la “rappresentanza / sostituzione negoziale” manca non soltanto nel metodo, come «intuizione organica» o – più semplicemente – come «nome» generale[53], ma manca o, quanto meno, può mancare anche e soprattutto nel merito, come “istituto”[54].

Pertanto, il nostro cómpito è:

- non «trovare innanzi tutto una terminologia volta ad identificarlo [«l’istituto della rappresentanza»] il più possibile in maniera aderente alle testimonianze romane»[55],

- ma «trovare innanzi tutto una terminologia volta ad identificare il più possibile in maniera aderente alle testimonianze romane l’istituto con il quale i Romani risolvono il “problema di base e complesso”».

 

III.2. – Lo schema istituzionale e linguistico di Cicerone e di Gaio, non di Savigny: “agire per mezzo di altri”, non “agire per altri”

 

La ricerca dell’istituto antico deve essere intrapresa con socratica ignoranza.

Come abbiamo detto e schematicamente argomentato, ciò significa – innanzi tutto – farsi carico di comprendere l’istituto della rappresentanza nella sua specificità storica e dogmatica, abbandonando la presunzione della sua sostanziale continuità dal mondo antico a quello odierno. Possiamo così osservare che l’istituto (il quale, nella elaborazione pandettistica, appare sacrificato all’istituto della “rappresentanza / sostituzione volitiva” e per il quale vale la ipotesi – come abbiamo visto, già ampiamente e autorevolmente sostenuta di pregressa romanità)[56] è l’istituto della “partecipazione - cooperazione volitiva”: cooperazione, cioè, tra il comando o il mandato da parte del dominus negotii e la sua esecuzione (sempre con una necessaria dose di discrezionalità) da parte del servo o mandatario.

Ciò premesso e per la ragione più volte richiamata[57], anche noi dobbiamo (come ha fatto Savigny) iniziare il nostro esame dalla “volizione collettiva pubblica e privata con l’intervento di un’altra persona” (ma senza transitare dalla tutela!).

Su questa volizione, ci forniscono immediatamente, a favore dell’‘indizio’, lumi chiarissimi e reciprocamente integrantisi Cicerone e Gaio/Giustiniano: con una continuità che va dal secolo I a.C. ai secoli II e VI d.C.

Di Cicerone è stata già osservata la attestazione della competenza della “assemblea generale” delle societates (in particolare publicanorum) ad assumere le “decisioni più importanti” (le quali faranno, quindi, oggetto della esecuzione in dettaglio da parte degli amministratori):

 

de domo 28.74: publicorum societates decreta fecerunt; in L. Calp. Pis. 18.41: decreta publicanorum; pro Sest. 14.32: societas vectigalium decrevisset; in P. Vat. 3.8: societatum decreta e specialmente sec. in Verr. 2.71.173 s., dove la «assemblea generale» è indicata con la locuzione “multitudo sociorum[58].

 

Non potrebbe essere più rotonda la smentita alla dottrina savignyana, secondo cui «ſind alle juriſtiſche Perſonen ihrer Natur nach, und für immer, handlungsunfähig […], weil jede Handlung die menſchliche Thätigkeit des Denkens und Wollens vorausſetzt, welche in der juriſtiſchen Perſon, als einer bloßen Fiction, nicht gedacht werden kann»[59].

Sulla relazione tra soci e amministratori delle società è, quindi, notissimo il testo gaiano riprodotto in D. 3.4.1.1:

 

Quibus autem permissum est corpus habere collegii societatis sive cuiusque alterius eorum nomine, proprium est ad exemplum rei publicae habere res communes, arcam communem et actorem sive syndicum, per quem tamquam in re publica, quod communiter agi fierique oporteat, agatur fiat.

 

La costruzione giuridica di Gaio è espressa puntualmente nella sua costruzione sintattica. L’actor o il syndicus sono non “complementi d’agente” ma “complementi di mezzo”. Il “mezzo”, a differenza dell’“agente”, non “sostituisce” il soggetto nell’agire ma “coopera” servilmente con esso, integrandone la azione, in particolare nell’impatto di questa con la sua destinazione ovvero con il suo destinatario. La sintassi latina conosce due complementi di mezzo, i quali sono espressi in forme ben diverse: se il mezzo è inanimato o è un animale non umano, la forma è l’ablativo; se il mezzo è un uomo la forma è per con l’accusativo. La differenza tra i due “mezzi” risiede nella capacità intellettiva/volitiva, esclusivamente propria dell’uomo. Ciò significa la capacità del “mezzo umano” di cooperare con l’agire del soggetto precisamente nella attività volitiva, ovvero nella formazione della volizione.

Dunque, Cicerone attesta l’espresso comando da parte dei soci agli amministratori della società e Gaio ci fornisce la «terminologia volta ad identificare il più possibile in maniera aderente alle testimonianze romane l’istituto con il quale i Romani risolvono il “problema di base e complesso”»: il ricorso a un “mezzo”. La “terminologia” gaiana, perfettamente in linea con la attestazione ciceroniana, evoca il soggetto dell’agire giuridico totalmente cancellato dalla dottrina dominante, il dominus negotii. Questa “terminologia” è “concludere negozi per mezzo di altri”; non (come, invece, vuole la “terminologia” dominante) “gestire negozi per conto di altri”: aliena negotia gerere[60], reso correntemente con “agire per altri”[61].

La “terminologia” gaiana non è certamente isolata. Essa è, anzi, diffusa nelle fonti giuridiche romane. La troviamo nel titolo 27 del libro IV del Codice (Per quas personas nobis adquiritur), nel titolo 9 del libro II (Per quas personas nobis adquiritur) e nel titolo 28 del libro III (Per quas personas nobis obligatio adquiritur) delle Istituzioni di Giustiniano, la cui origine è nelle Istituzioni di Gaio. ‘Passi’ dei giuristi e del legislatore, nei quali (escludendo, per le ragioni dette, quelli riferiti alla acquisizione a favore di incapaci e alla acquisizione del solo possesso) ricorre la proposizione per quas personas nobis adquiritur, o una sua stretta variante, sono: Gaius, Inst. 1.52: quodcumque per servum adquiritur, id domino adquiritur; 2.95: per liberos homines nulla ex causa nobis adquiri posse; 3.163: adquiri nobis ... per eas personas, quae in nostra potestate, manu mancipiove sunt; 1.164 s.; cfr. 167: nostri praeceptores proinde ei, qui iusserit, soli adquiri existimant; Paulus, Sent. 5.2.2: Per liberas personas, adquiri nobis nihil potest; I. 2.9.4-5 passim; D. 13.7.11.6: Per liberam autem personam pignoris obligatio nobis non adquiritur; C. 4.27.1 pr.: Excepta possessionis causa per liberam personam, quae alterius iuri non est subdita, nihil adquiri posse indubii iuris est.

Vi sono, inoltre, ‘passi’ nei quali questa proposizione è costruita con il verbo all’attivo e, allora, il soggetto sia grammaticale sia sostanziale ne è – noi diremmo: “ovviamente” – il dominus negotii, sia collettivo sia individuale: Iavolenus D. 31.40: per alterum servum adquiro; Ulpianus D. 38.3 pr.: per alium possunt petita bonorum possessione ipsi adquirere; Paulus D. 41.2.1.18: Idem dicendum est, si servum communem iussero adire hereditatem, quia propter partem meam adquiro; Paulus D. 45.1.126.2: per liberam personam obligationem nullam adquirere possumus; I. 2.9.4: ex omnibus causis per eum sibi adquirere potest.

Troviamo una variante della versione originale latina della proposizione “agire per mezzo di altri” ancora persino nella formula sinibaldiana, la quale, da un lato, costituisce l’incipit della nuova dottrina della “rappresentanza/sostituzione” ma, dall’altro lato, testimonia lo stato della dottrina dalla quale si sta distaccando. Questa altra variante è “per alium iurare”, dove il soggetto giurante è la collettività, la quale opera “per mezzo” dell’‘altra persona’: «hodie licitum est omnibus collegiis per alium iurare»[62].

La – ovvia – subordinazione del “mezzo” (sia pure umano) alla volontà di chi lo adopera è puntualmente espressa nelle fonti. In attesa di approfondimenti e verifiche sistematici, già nelle fonti citate troviamo la frequente negazione – ribadita nel CJC e oltre[63] – della possibilità di acquisire diritti e obblighi per mezzo di persona libera o estranea. Resta a noi da capire che tale negazione non è il residuo cicatriziale di «un divieto in linea di principio [...] poi messo in crisi e rovesciato nel suo contrario, o nello sviluppo che conduce a Giustiniano, o nella stessa epoca classica»[64], ma è la formulazione del criterio fulcro, che caratterizza in maniera persino straordinariamente costante l’istituto romano soluzione del “problema di base e complesso della volizione collettiva e individuale pubblica e privata con l’intervento di un’altra persona”. Questo criterio sarà sì “rovesciato” ma non nel corso dello sviluppo del Diritto romano sebbene in quella applicazione del diritto feudale che è l’ordinamento parlamentare inglese del 1295, fondato – per la prima volta nella storia – sul “divieto del mandato imperativo”, cioè sulla “rappresentanza/sostituzione”[65].

Alcuni anni or sono questo ‘criterio’ è stato evocato e insieme oscurato con il ricorso allo schema interpretativo del “modo di produzione schiavistico”.

Più recentemente, è stato proposto, per rendere il pensiero dei giuristi romani, di abbandonare la corrente espressione italiana “agire per altri” per ricorrere a un’altra espressione italiana “agire per mezzo di altri”[66]. Ci sembra questa la strada giusta.

 

III.3. – Il principium: iussum e mandatum

 

In ultima analisi, la nostra ipotesi è che lo scontro ottocentesco tra le due soluzioni (culturali, politiche ed economiche oltre che giuridiche) storicamente trovate al “problema di base e complesso della volizione collettiva e individuale pubblica e privata con l’intervento di altra persona” (la soluzione antica partecipativa-cooperativa e la soluzione medievale-moderna rappresentativa/sostitutiva) si concentra nello- può essere ridotto allo scontro sulla rilevanza o meno del comando iniziale, cioè sulla rilevanza o meno dello iussum o del mandatum.

La soluzione rappresentativa/sostitutiva, di genesi medievale-moderna, scelta e fatta trionfare dalla Pandettistica, è – come abbiamo visto – quella della eliminazione dello iussum e del mandatum dell’antico dominus. Dello iussum (già negato al popolo in quanto questo sarebbe una persona giuridica incapace di volere)[67] si nega (quindi) sia un comando (Befehl) e si afferma sia un incarico/autorizzazione (Anweisung/Verweisung) quando impartito da un individuo[68]. Il mandatum (Auftrag) è sostituito con la procura (Vollmacht)[69]. Lo iussum diventa esso stesso una procura ante litteram[70].

La sequenza volitiva partecipativa e cooperativa, fatta di comando + esecuzione (con quota di discrezionalità) deve essere ri-costruita nell’interesse non soltanto della verità storica antica ma anche della domanda giuridica attuale, le quali, su questo tema, sono persino straordinariamente convergenti. Pensiamo alle denunzie, da un lato, della crisi odierna della rappresentanza[71] (e della sua ancella, la persona giuridica)[72] e, da altro lato, della dimenticanza “moderna” della democrazia[73], con il conseguente «blocco teorico del pensiero politico»[74].

Il potissimus punto di partenza della sequenza è, evidentemente, il comando del dominus negotii (collettivo o individuale, pubblico e privato), nelle due forme (diversamente ma entrambe potestative) dello iussum e del mandatum.

Per questa ri-costruzione dobbiamo studiare le fonti, veramente[75].

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Al fine della pubblicazione, questo scritto è stato valutato “in chiaro” dai promotori della Terza conferenza internazionale “Ius & humanitas e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

[1] Vedi G. Lobrano, La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: «persona giuridica e rappresentanza» e «società e articolazione dell’iter di formazione della volontà». Una ìpo-tesi (mendeleeviana), in Diritto@Storia 10, 2011-2012, http://www.dirittoestoria.it/10/D&Innovazione/Lobrano-Persona-giuridica-rappresentanza-societa-formazione-volonta.htm ; P.P. Onida, In tema di natura del mandatum, in Diritto@Storia 13, 2015, http://www.dirittoestoria.it/13/tradizione-romana/Onida-Natura-del-mandatum.htm ; G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, in Diritto@Storia 14, 2016, http://www.dirittoestoria.it/14/contributi/Lobrano-Onida-Rappresentanza-o-e-partecipazione.htm (quindi, tradotta in spagnolo: Representación o participación. Formación de la voluntad «por» o por medio de» otros en relaciones individuales y colectivas, de derecho privado y público, romano y positivo, in Roma e America 38, 2017, 149-190); P.P. Onida, Concretezza giuridica del mandato. Il problema della formazione e articolazione della volontà, in D. D’Orsogna - G. Lobrano - P.P. Onida (a cura), Città e diritto. Studi per la partecipazione civica. Un «Codice» per Curitiba, Napoli 2017, 139-206; G.C. Seazzu, A proposito della formazione complessa della volontà: appunti in tema di iussum e negozi con il terzo, ibidem, 287-322; V. Piras, Sui processi di formazione della volontà collettiva: appunti in tema di ‘decodificazione’ e ‘giudice re’, ibidem, 323-374; P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”. Appunti romanistici sulla “rappresentanza”, I, Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Napoli 2018; G.C. Seazzu, Iussum e mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis, I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Cagliari 2018.

[2] Per una sorta di “storia esterna” della Pandettistica, comprensiva della “Scuola storica”, vedi l’ampio saggio di G. Pugliese, I pandettisti fra tradizione romanistica e moderna scienza del diritto, in Rivista italiana di scienze giuridiche serie III, anno XXVII, volume XVII, 1973, 89-132. Ivi le sottolineature: della convergenza tra Scuola storica e pandettisti (94) e della complessiva funzionalità «all’emergere della borghesia produttiva, all’espandersi dell’industria, al formarsi del capitalismo nei Paesi tedeschi durante la seconda metà dell’Ottocento» (124).

[3] Nella relazione di apertura del XX Congreso Latinoamericano de Derecho romano (Sassari, 21-22 e Roma, 24-25 settembre 2018) il romanista della UNAM di Città del Messico, Jorge Adame Goddard, ha puntualmente osservato la coincidenza di tre autori (Max Kaser, Álvaro d’Ors, Franz Wieacker) sulla tesi che il Diritto romano «no fue organizado como un sistema conceptual dialéctico, o sistema “cerrado”, sino como un conjunto de conocimientos, o un saber, para decidir lo que es “ecuo y bueno”, o lo que es justo, en casos concretos» (J. Adame Goddard, El derecho es arte y ciencia, ove sono esaminati M. Kaser, En torno al método de los juristas romanos, Valladolid 1964; Á. d’Ors, Roma ante Grecia: educación helenística y jurisprudencia romana, in Cuadernos de la Fundación Pastor 2, 1961, 83 ss., Id., Singularidad intelectual del jurista y ‘cosmos casuístico’ en el estudio actual del Derecho Romano, in Id., Parerga Histórica, Pamplona 1997, 85 ss.; F. Wieacker, Fundamentos de la formación del sistema en la jurisprudencia Romana, in Seminarios Complutenses de Derecho Romano 3, 1991, 11 ss.).

Ricordiamo nella stessa linea dottrinale M.J. García Garrido, Casuismo y Jurisprudencia romana, Madrid 1973; Letizia Vacca, Contributo allo studio del metodo casistico nel diritto romano, Milano 1976.

[4] Sul ricorso all’exemplum come strumento di argomentazione vedi: N. Zorzetti, Dimostrare e convincere: l'exemplum nel ragionamento induttivo e nella comunicazione, in Mélanges de l'École Française de Rome 92.1, 1980, 33 ss.; cfr. C. Delcorno, La predicazione nell'età comunale, Firenze 1974, § 8. “L’«exemplum»”.

[5] Di cui la italiana è divenuta, particolarmente nella seconda metà del 900, parte specialmente consistente.

[6] Maria Miceli, Studi sulla «rappresentanza» nel diritto romano, I, Milano 2008, 11.

Ernst Rabel, nel 1934, ha definito la rappresentanza un «miracolo giuridico» (Die Stellvertretung in den hellenistischen Rechten und in Rom, in Atti del Congresso Internazionale di diritto romano, Bologna-Roma, aprile 1933, I, Pavia 1934, 238: «juridisches Wunder») e Karl Löwenstein, nel 1957, la ha definita (insieme alla divisione dei poteri) «una invenzione o scoperta decisiva per l’evoluzione politica dell’Occidente e, attraverso di essa, del mondo, come la invenzione meccanica – vapore, elettricità, motore a combustione, potenza atomica – lo sono stati per l’evoluzione tecnologica dell’uomo» (Political Power and the Governmental Process, Chicago 1957, 40: «the invention or discovery of the representative technique was as decisive for the political evolution of the West and, trought it of the world as the mecanical inventions – steam, electricity, the combustion engine, atomic power – have been for man’s technological evolution»).

Da ultimo, con un interesse – però circoscritto alla sola ‘logica giuridica’, si può vedere T. Gazzolo, Il caso giuridico. Una ricostruzione giusfilosofica, Torino 2018, in part. il § III.6 “Regola e precedente”.

[7] Maria Miceli, Studi sulla «rappresentanza» nel diritto romano, cit.

[8] Maria Miceli, op. cit., 13, nt. 24. La espressione “nuclei problematici” è, dichiaratamente, tolta da «CAPPELLINI, voce Rappresentanza (Diritto intermedio), in Enciclopedia del dir., 38, Milano 1987, 442».

[9] Maria Miceli, op. cit., 274.

[10] La “persona giuridica” è stata definita «immenso fenomeno» e «stupenda creazione umana» da Salvatore Satta (Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova 1969; citato in F. Galgano, Tutto il rovescio del diritto, Milano 2007, 25) nonché «password di accesso alla dimensione del giuridico» da Gianni Ferrara (Il diritto come storia, in Diritto pubblico 1, 2005, 1 ss.) Cfr., supra, nt. 6, gli elogi della rappresentanza.

Anche per la nozione di persona giuridica troviamo, presso la dottrina novecentesca, la critica nel metodo e la dipendenza nel merito rispetto alla dottrina ottocentesca.

Alla formazione della communis opinio novecentesca nella specifica materia della “persona giuridica” nel Diritto romano ha autorevolmente contribuito Riccardo Orestano, il quale (come abbiamo visto supra, nt. 3) considera segno dell’essere «sulla buona strada» della liberazione dalla «pesante ipoteca del dommatismo tedesco» la rinuncia alla ricerca della «visione unitaria dei problemi della personalità giuridica, perseguita sino a Kelsen». Dopo mezzo secolo continua a regnare la medesima communis opinio. Vedi M. Brutti, Il diritto privato nell'antica Roma, 2a ed., Torino 2011, cap. VII “Il problema delle persone giuridiche”, 235-256, in part. 237 s.: «Dobbiamo verificare […] se – e in quali termini – l’esperienza romana, nel concettualizzare centri di riferimento di relazioni, diversi dalle persone fisiche, consideri qualcuno di essi come un quid astratto e separato dagli elementi che lo compongono. Senza alcun dubbio, il lavoro dei giuristi romani, così legato alla casistica e riluttante alle definizioni generali – è ben lontano dalle immagini attuali; tuttavia, a tratti essi giungono non soltanto a costruire entità unitarie titolari di relazioni, ma anche ad applicare ad alcune di queste la nozione (cara ai moderni) di una perfetta autonomia patrimoniale, con aspettative ed obblighi separati da quelli degli individui che le costituiscono». Si noti che Brutti già aveva espressamente elogiato la critica metodologica di Orestano alla Pandettistica in Storiografia e critica del sistema pandettistico, in Quaderni Fiorentini 8, 1979, 328-332.

[11] E quello assolutamente omologo della “persona giuridica” (vedi la nt. precedente).

[12] La tesi metodologica della astrazione ottocentesca opposta al “casuismo” antico, oltre che non necessariamente condivisibile, è, comunque, decisamente meno nitida di come può apparire; per almeno tre ragioni.

La prima ‘ragione’ è che “astrazione” e “caso” convivono nella romanistica contemporanea sia ottocentesca sia novecentesca e vengono fatti risalire entrambi al Diritto romano. Infatti, come ricorda lo stesso García Garrido, Friedrich von Savigny (Von Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, Heidelberg 1814) scrive, nel § 4 "Römisches Recht", 30, «Es ist nun, als ob dieser Fall der Ausgangspunkt der ganzen Wissenschaft wäre» e Fritz Schulz (Prinzipien des Römischen Rechts, Berlin 1934) inizia il § "Abstraktion", 27, scrivendo «Am Anfang war der ‚Fall‘». Non è da meno Riccardo Orestano, il quale: ne Il problema delle fondazioni in diritto romano, Torino 1959, 166, scrive del «lento e faticoso processo di astrazione e di unificazione che porta all’idea di una personalità corporativa» già presso il Diritto romano e, ne Il “problema delle persone giuridiche” in diritto romano, I, Torino 1968, 69 ss., considera segno dell’essere «sulla buona strada» della liberazione dalla «pesante ipoteca del dommatismo tedesco» la rinuncia alla ricerca della «visione unitaria dei problemi della personalità giuridica, perseguita sino a Kelsen», per descrivere, quindi, la «progressiva smaterializzazione» del “corpus” operata dai giuristi romani (174) in un processo che va «Dal concreto all’astratto» in quattro successive tappe «- concezione materiale; - concezione totalistica; - concezione corporalistica; - concezione astratta» (§ 25, 178). Cfr. ancora R. Orestano, Rappresentanza. Diritto romano, in Novissimo Digesto Italiano, XIV, Torino 1967, 796 a proposito «della progressiva attuazione [sempre nel Diritto romano] del principio della rappresentanza diretta». Si deve qui, infine, osservare la diversità della “concretezza” attribuita da Pierangelo Catalano al Popolo romano dei Quiriti contro la “astrazione” dello “Staat” mommseniano (Populus Romanus Quirites, Torino 1974, in part. 42, citazione di Mommsen «Populus ist der Staat»). Catalano, infatti, coniuga la “concretezza” non con la “casistica” ma proprio con il “sistema” (Linee del sistema sovrannazionale romano, I, Torino 1965) in ciò, infatti, differenziandosi se non contrapponendosi (37 nt. 75) proprio (tra gli altri) a Orestano (I fatti di produzione normativa nell’esperienza giuridica romana, Torino 1962, 24; cfr. Id., Concetto di ordinamento giuridico e studio storico del diritto romano, in Jus 13, 1962, 35 ss.; Id., Le nozioni di ordinamento giuridico e di esperienza giuridica nella scienza del diritto, in Rivista trimestrale di Diritto Pubblico 4, 1985, 964 ss.).

La seconda ragione è che la contrapposizione del metodo casistico a quello sistematico è (anche?) la contrapposizione della “common law” alla “civil law” (K. Zweigert - H. Kotz, Introduzione al diritto comparato, I. Principi fondamentali, ed. it. a cura di A. Di Majo e A. Gambero, tr. di B. Pozzo, Milano 1998, 221; M. García Pelayo, Derecho constitucional comparado, Madrid 1999, 353; M.J. Falcón y Tella, La jurisprudencia en los Derechos romano, anglosajón y continental, Madrid 2010, 37; etc.).

La terza ragione è che tra i giuristi del Novecento non manca chi saluta «il superamento del metodo casistico, seguito per molti secoli nella riflessione giuridica privatistica, a favore di quell’approccio concettuale il cui precipitato più maturo, in termini di approdo decisivo, è da rinvenirsi proprio nella moderne codificazioni civili, ha conosciuto il suo avvio dal momento in cui i giuristi, superata la stagione della glossa e dell’analisi casistica, hanno avvertito sempre di più l’esigenza di organizzare il sapere giuridico sulla base di regole generali e di principî» (A. Jannarelli, I princìpi nell’elaborazione del diritto privato moderno: un approccio storico, in Rivista italiana di scienze giuridiche 2014, 33 ss.).

[13] Limitatamente agli scritti citati in questo contributo, troviamo la attribuzione della “rappresentanza” al Diritto romano già nel titolo dei lavori per i quali tale attribuzione dovrebbe essere il ‘problema’: in Ernst Rabel, Die Stellvertretung in den hellenistischen Rechten und in Rom, cit., 1933, in Hans Hofmann, Repräsentation: Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19. Jahrhundert, Berlin 1974; in Andreas Wacke, Alle origini della rappresentanza diretta, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto: dall'età romana alle esperienze moderne. Ricerche Dedicate a F. Gallo, II, Napoli 1997; in Giovanna Coppola Bisazza, Lo iussum domini e la sostituzione negoziale nella esperienza romana, I, Milano 2003 e Ead., Dallo iussum domini alla contemplatio domini. Contributo allo studio della storia della Rappresentanza, Corso di diritto romano, Milano 2008. Tale impostazione è presente anche nella trattazione romanistica della “persona giuridica”: vedi, supra, ntt. 6 e 10.

[14] P. D’Amico, Rappresentanza, I. Diritto civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXIX, Roma 1991, § 1. “Nozione, struttura, funzione”, rileva che, in dottrina, alla “rappresentanza” è riconosciuta in maniera «prevalente» natura di «sostituzione», in contrapposizione con la natura di «cooperazione» o «collaborazione»: «Il rappresentante piuttosto che come collaboratore, viene […] qualificato come un “sostituto” del rappresentato». Tale contrapposizione dipende, secondo D’Amico, dal valore attribuito al «rapporto di gestione», cioè al mandato, il quale risulta particolarmente svalutato dalla dottrina che interpreta la “rappresentanza” come “sostituzione”. Cfr., nello stesso senso, M. Campobasso, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società di capitali nella prospettiva dell’unità concettuale delle forme di rappresentanza negoziale e organica, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino 2010, 452 ss., il quale descrive così il «processo evolutivo comune alle varie forme di rappresentanza di cui la rappresentanza delle società costituisce il punto più avanzato. Si tratta della progressiva affermazione dell’autonomia del potere di rappresentanza dal contenuto di potere gestorio che lega il rappresentante al rappresentato. Uno sviluppo di cui si possono rintracciare le lontane origini fin dal XIX secolo, nell’insegnamento del LABAND secondo cui la procura è negozio autonomo dal mandato».

[15] Vedi, per tutti, Werner Flume, il quale nella più significativa delle sue opere (la parte generale del trattato di diritto civile) articola la vicenda della dottrina sulla rappresentanza in una contrapposizione dottrinaria tra “Geschäftsherrntheorie” e “Repräsentationstheorie” sulla base delle opposte valutazioni del rapporto gestorio: importante per la prima “Theorie” e svalutato dalla seconda (Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, Bd. II. Das Rechtsgeschäft [1. Aufl. 1965 - 4. Aufl. 1992] 2. Auf. Berlin - Heidelberg - New York 1975, Kap. X. “Stellvertretung und Vollmacht”, 1. Absch. “Die Stellvertretung”, § 43 “Grundsätzliches zur Rechtsfigur der Stellvertretung”, § 2 "Zur Geschichte der Stellvertretung", in part. 752, nt. 7; seguito, per ultimo, da D. Leenen, BGB Allgemeiner Teil: Rechtsgeschäftslehre, 2. Auf., Berlin - Boston 2015, § “Die Repräsentationstheorie als Grundlage der Gesetzlichen Regelung des Handelns in fremden Namen”). In proposito, vedi ora, G.C. Seazzu, Iussum e mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis, I, cit., 62 nt. 77.

[16] Vedi, supra nt. 14.

[17] Vedi, supra nt. 15.

[18] Vedi G. Lobrano, La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: «persona giuridica e rappresentanza» e «società e articolazione dell’iter di formazione della volontà». Una ìpo-tesi (mendeleeviana), cit., § 3. “Un’altra prospettiva: due soluzioni opposte, medievale-moderna (binomio ‘persona giuridica e rappresentanza’) e romana (binomio ‘società e articolazione dell’iter di formazione della volontà’), per la soluzione del problema della concezione e del regime unitari dell’agire volontario di una pluralità di uomini”.

[19] Sul negozio / nec otium, come manifestazione di volontà vedi H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, 1a ed. 1934 - 2a ed. 1960, trad. it. di M.G. Losano, 3ª ed., Torino 1975, 287, oppure – più semplicemente – P. Voci, Istituzioni di diritto romano, 3ª ed., Milano 1954, 138 «Negozio giuridico è una manifestazione di volontà».

[20] Per le fonti: A. Cenderelli, La negotiorum gestio. Corso esegetico di diritto romano. I. Struttura, origini, azioni, Torino 1997.

[21] Per le fonti: F. Briguglio, Studi sul procurator, I, L’acquisto del possesso e della proprietà, Milano 2007, in part. 443, nt. 405.

[22] Vedi P.P. Onida, La responsabilità penale degli enti collettivi fra diritto romano e diritto moderno, in Laura Solidoro, a cura di, Regole e garanzie nel processo criminale romano, Torino 2016, § 3 “Superamento del filtro della persona giuridica e impostazione del problema della responsabilità degli enti collettivi 68 ss. Onida (nt. 21) ricorda il contributo di P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano, cit., passim; Id., Populus Romanus Quirites, cit., 1. ss.; Id., Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, 169 ss.

Cfr., supra, nt. 10.

[23] Citato, infra, § III.2.

[24] Vedi G. Falcone, Osservazioni su Gai 2.14 e le res incorporales, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 4, 2012, 136 s. Cfr., supra, nt. 3, il richiamo alla dottrina di Orestano sulla «progressiva smaterializzazione» del “corpus” operata dai giuristi romani (Il “problema delle persone giuridiche” in diritto romano, cit., 174).

[25] Su questo ultimo punto, vedi, per una prima colletta di fonti, Miriam Padovan, Lo statuto giuridico del corpo tra 'res' e 'persona'. Nascita e forma umana, in www.academia.edu 16 giugno 2015; cfr. Ead., Medicina e corpo tra privato e pubblico, in L. Garofalo, a cura di, Il corpo in Roma antica, Ricerche giuridiche, I, Pisa 2015, 129-168.

[26] Ci riferiamo alla nota apparizione della categoria della persona ficta et/vel repraesentata a partire dalla dottrina del canonista genovese Sinibaldo dei Fieschi, alla epoca già Papa Innocenzo IV. Per la espressione “persona ficta et repraesentata” vedi H. Hofmann, Rappresentanza-rappresentazione, cit., 152-169. Per la variante “persona ficta vel repraesentata”, vedi H.G. Walther, Die Gegner Ockhams: zur Korpotationslehre der mittelalterlichen Legisten, in G. Göhler et alii, Hrsg., Politische Institutionen im gesellschaftlichen Umbruch: Ideengeschichtliche Beiträge zur Theorie politischer Institutionen, Opladen 1990, 129 (che rinvia a J. Canning, The political thought of Baldus de Ubaldis, Cambridge 1987); per la variante “persona ficta seu repraesentata” vedi S. Bueno Salinas, La noción de persona jurídica en el derecho canónico: su evolución desde Inocencio IV hasta el C.I.C. de 1983, Barcelona 1985, 22; 59 e 126.

In proposito, da ultimo: P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”. Appunti romanistici sulla “rappresentanza”, cit., cap. II “Contesti storici e contenuti dogmatici della categoria-istituto “rappresentanza”: formulazione, applicazione e teorizzazione”, § 1 “Formulazione in uno con la categoria “persona ficta” per le esigenze teocratiche della scienza giuridica canonistica ma in parallelo con la formulazione del “principio [democratico] di sussidiarietà””, 69 ss. Come nota puntualmente Onida, nel pensiero cristiano/cattolico la sostituzione volitiva vale per l’ordinamento ecclesiale (il cui fine è fare non la volontà dei propri membri ma quella di Dio) ma non per quello laico (il cui fine di fare la volontà dei propri membri è perseguito mediante la coeva teorizzazione [S. Tommaso, Summa Theologiae IIa-Iae, q. 58, a.5, 1265-1274)] dell’opposto “principio di sussidiarietà”).

[27] Come non ricordare la ben nota e fulminante osservazione di Jean-Jacques Rousseau, CS, 1764, 3.15 “Des Députés ou Représentans”: «L’idée des représentans est moderne: elle nous vient du Gouvernement féodal, de cet inique & absurde Gouvernement dans lequel l’espèce humaine est dégradée, & où le nom d’homme est en déshonneur. Dans les anciennes républiques & même dans les monarchies, jamais le peuple n’eut des représentants». Cfr., infra, ntt. 34 s.

Su origini e natura del ‘feudalesimo’ vedi, ora, la sintesi di L. Gatto, Il feudalesimo, Roma 2012.

[28] Vedi ancora P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”, cit., cap. II, § 2 “Applicazione laica: istituzione del ‘Model Parliament’ “cum plena potestas”, 74 ss.

[29] Già nella “Introduction”: «that great LEVIATHAN called a COMMON-WEALTH, or STATE, (in latine CIVITAS) which is but an Artificiall Man»; vedi anche i capp. XVI: «Persons Artificiall», XIX: «Artificiall Man», XXI: «Artificiall Man», XXVI: «Artificiall Man» etc.

[30] «Chez Hobbes […] la représentation est bel et bien une substitution» (J-M. FerryHistoire de la pensée politique. Syllabus de complément [testo del corso omonimo presso l’UFR de Droit della Université de Nantes, senza data ma non prima del 2003, consultabile ‘on line’, 28]). Cfr., ancora P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”, cit., cap. II, § 3 “Teorizzazione post-westphaliana: origine nella astrazione statale anti-societaria, paradigma nella tutela dell’incapace e funzione di “sostituzione” del “rappresentato” con il rappresentante””, 77 ss.

[31] «Il Federalist […] appare una nota a piè di pagina alla teoria della sovranità di Hobbes […] Il Federalist è centralista» (P. King, Federalism and federation, London 1982, Part One § 3 “Centralist Federalism” 24 e 26; citato da M. Bassani, Gli avversari della Costituzione americana: “antifederalisti” o federalisti autentici?, in Id. e A. Giordano, a cura di, Gli Antifederalisti. I nemici della centralizzazione in America (1787-1788), Torino 2011, 42). Ancora Bassani, op. cit., scrive, (31 e 45, citando Robert Nagel e Christopher Duncan) che con la trasformazione degli Stati federati in «unità amministrative del governo centrale», «Private dell’elemento autenticamente partecipativo, la politica locale [il corsivo è mio], “le persone, gradualmente, ma inesorabilmente, furono spinte nella privacy delle loro case perché erano state svuotate di un ruolo pubblico in una vita collettiva condivisa”. La creazione dell’individuo deraciné, privo di legami comunitari, soggetto solo alla legge, ossia la costruzione del materiale umano più adatto allo Stato moderno, va anche in America di pari passo con il tentativo di creare un unico centro di potere» (R.F. Nagel, The Implosion of American Federalism, New York 2002, 51; Ch.M. Duncan, The Antifederalists and Early American Political Thought, DeKalb 1995, 177 s.).

[32] Seppure, eventualmente, “postclassico”. In un ampio e – relativamente – recente lavoro che si colloca in quella communis opinio cui stiamo cercando di prendere le misure (F. Briguglio, Studi sul procurator, cit., 530-535) la tesi contraria a quella di Paul Laband (‘rappresentativista’ e quindi, per dichiarazione di quest’ultimo, non-romanista: vedi il § seguente) è definita (531) «elaborazione postclassica dell’istituto» del mandato.

[33] Esprit des lois XI 8, «Les anciens ne connoissoient point le gouvernement fondé sur un corps de noblesse, & encore moins le gouvernement fondé sur un corps législatif formé par les représentants d'une nation».

[34] Discours sur l’inégalité parmi les hommes, 1755, “Dédicace” «Le peuple romain […] ce modèle de tous les peuples libres»; cfr., supra, nt. 27. In proposito: G. Lobrano, Contratto sociale contro rappresentanza: lo straordinario schema giusromanistico di J.-J. Rousseau, in Aa.Vv., Rousseau, le droit et l’histoire des institutions. Actes du Colloque international pour le tricentenaire de la naissance de Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) organisé à Genève le 12, 13 et 14 septembre 2012, Aix-Marseille 2013, 81-116; Id., Introduzione, a Id. e P.P. Onida, a cura di, Il principio della democrazia. Jean-Jacques Rousseau, Du Contrat social (1762), Napoli 2012, VII ss. e Id., Per la comprensione del pensiero costituzionale di Jean-Jacques Rousseau e del Diritto romano [testo presentato anche, con il titolo “Du contrat social, 1762: il ‘principio’ della democrazia e la invenzione della repubblica”, al Seminario La sovversione dei soggetti. Jean-Jacques Rousseau 300 anni dopo, Roma - Biblioteca nazionale centrale 7 ottobre 2011], in Id. e P.P. Onida, a cura di, Il principio della democrazia, cit., 39 ss.

Sul passaggio dalla democrazia alla repubblica come perfezionamento, vedi, in J.-J. Rousseau, CS, 2.6 “De la Loi” la definizione di “repubblica” e 3.3 “Division des Gouvernemens”; cfr. G. Lobrano, Res publica. Sui libri 21-45 di Tito Livio, in Roma e America 36, 2015, 37-78 (versione italiana della introduzione, in lingua cinese, a Id., a cura di, Tito Livio. Ab urbe condita. Antologia [in lingua cinese], Pechino 2015, 1-42).

La opposizione di Rousseau a Montesquieu è preceduto da quella, diversa ma omologa, dell’abate Jean-Baptiste Dubos (Histoire critique de l’établissement de la monarchie française dans les Gaules, 1a ed. 1734) al marchese Anne Gabriel Henri Bernard di Boulainvilliers (Histoire de l'ancien gouvernement de la France, Etat de la France, avec des mémoires sur l'ancien gouvernement, Histoire de la pairie de France, tutti stampati dopo la morte dell’autore [1722] ma noti già prima di essa).

[35] Sulla contrapposizione (scientifica e normativa, oltre fisica/militare) vedi P. Catalano: Tribunato e resistenza, Torino 1971, e Populus Romanus Quirites, cit.; adde G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, Parte B. “Alle origini del diritto pubblico contemporaneo. Sistemi giuridici”, cap. I. “Il sistema giuspubblicistico romano della «sovranità» del popolo e sue deformazioni medievali e moderne, cap. 2 “La via inglese del «sistema rappresentativo» e i suoi sviluppi continentali”.

Sulla assoluta specificità «democratica» della costituzione del ’93, vedi R. Carré De Malberg, La Loi, expression de la volonté générale. Étude sur le concept de la loi dans la constitution de 1875, Paris 1931, rist. Paris 1984, 215.

[36] H. Kelsen, Vom Wesen und Wert der Demokratie, Tübingen 1920, 37 s.: «Pilatus […] – als Römer – gewohnt ist demokratisch zu denken».

CAPOVERSONon appare affatto un caso che l’Orestano della “persona giuridica” senta il bisogno di polemizzare, nel metodo, proprio con Kelsen (vedi, supra, ntt. 3 e 10).

[37] M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft: Grundriß der Verstehenden Soziologie, 5, Tübingen 1980, 172 ss.: cap. 3.4: «Der Repräsentant, in aller Regel gewählt (eventuell formell oder faktisch durch Turnus bestimmt), ist an keine Instruktion gebunden, sondern Eigenherr über sein Verhalten. Er ist pflichtmäßig nur an sachliche eigene Ueberzeugungen, nicht an die Wahrnehmung von Interessen seiner Deleganten gewiesen […] der von den Wählern gekorene Herr derselben, nicht: ihr „Diener“, ist. Diesen Charakter haben insbesondere die modernen parlamentarischen Repräsentationen angenommen […] Repräsentativ-Körperschaften sind nicht etwa notwendig „demokratisch“ […]. Im geraden Gegenteil wird sich zeigen, daß der klassische Boden für den Bestand der parlamentarischen Herrschaft eine Aristokratie oder Plutokratie zu sein pflegte (so in England)».

Nella "Introduzione" alla traduzione italiana della 4a ed. tedesca (2003) del saggio di Hasso Hofmann sulla Repräsentation, cit. (Rappresentanza-rappresentazione: parola e concetto dall'antichità all'Ottocento, tr. it. di C. Tommasi, Milano 2007, 1 s.) Giuseppe Duso individua tra le caratteristiche salienti della rappresentanza il fenomeno per cui «“rappresentare” diviene quasi sinonimo di “dominare”» e, in nota (5), precisa che «Il primo ad aver definito come relazioni di potere tutte le relazioni di rappresentanza (almeno a proposito del potere di un gruppo) è stato Max Weber, allorché […] ha definito la situazione “nella quale l’agire di alcuni rappresentanti appartenenti al gruppo viene imputato a tutti i rimanenti, o deve da questi essere considerato – e di fatto lo è – come ‘legittimo’ e ‘vincolante’ nei loro riguardi” (cfr. M. Weber, Economia e società, a cura di P. Rossi, Milano 1980, I, p. 290)». Duso rinvia anche a «Kimminich in VVDStRL, XXV, 1967, p. 255» (= O. Kimminich, P. Pernthaler, H. Peter, H.F. Zacher, Das Staatsoberhaupt in der parlamentarischen Demokratie in Veröffentlichungen der Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer, Heft 25, Berlin 1967).

[38] Ci riferiamo all’‘Aktiengesetz’ su cui vedi G. Lobrano - P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, cit., n. 14, 2016, nt. 22.

[39] Per alcuni approcci (romanistico, costituzionale, filosofico) alla questione, si possono vedere F. AMARELLI, a cura di, Política e partecipazione nelle città dell'impero romano, Roma 2005; M. DELLA MORTE, Rappresentanza vs. partecipazione? L'equilibrio costituzionale e la sua crisi, Milano 2012; Maria Antonietta FODDAI, Dalla decisione alla partecipazione. Giustizia, conflitti, diritti, Napoli 2017.

[40] Esemplare – anche egli già nel titolo, vedi, supra, nt. 13 – H. Hofmann, Repräsentation. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19. Jahrhundert, cit.

[41] Vedi, supra, ntt. 14 s.

[42] Dalla scrittura su pergamene a quella elettronica, la sovra-scrittura è la cancellazione più efficace; tuttavia – fortunatamente – neppure essa è definitiva.

[43] W. Flume, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, Bd. II. Das Rechtsgeschäft, loc. cit., supra, nt. 15.

[44] F.C. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, III, Berlin 1840, 89-90.

Sulla "Fiktionstheorie” in Savigny, vedi M. Lehmann, Der Begriff der Rechtsfähigkeit, in Archiv für die civilistische Praxis 207. Bd. 2007, 1. Teilband, § 1.2 § 1.a "Notwendigkeit der Zuerkennung der Rechtsfähigkeit - Bei Personenmehrheiten" 229 s. che rinvia a «Savigny, System des heutigen Römischen Rechts, Band 2, 1840, S. 278». Cfr., supra, nt. 27.

[45] Sulla concezione del “popolo” in Savigny, vedi Claudia Bocchini, La teoria schmittiana della democrazia. Il pensiero politico e la teoria costituzionale di Carl Schmitt nel contesto dell’interpretazione delle costituzioni moderne dall’età della Rivoluzione francese alla Repubblica di Weimar, Padova 2008, 94-103.

Mommsen, applicando puntualmente la novità savignyana, mette direttamente il popolo sotto tutela (Th. Mommsen, Abriss des römischen Staatsrechts, Leipzig 1893, 82: «Der Gesammtwille ist an sich, wenn es gestattet ist einen Ausdruck des römischen Privatrechts darauf anzuwenden, eine staatsrechtliche Fiction. Thatsächlich wird dafür Vertretung erfordert, ähnlich wie im Privatrecht für den nicht handlungsfähigen Mündel. Wie für diesen der Vormund eintritt, so gilt staatsrechtlich als Willenshandlung der Gesammtheit diejenige eines in dem bestimmten Fall für sie eintretenden Mannes. Indess geht die Gemeindevertretung in- sofern weiter als die vormundschaftliche, als der Vormund die physisch vorhandene, aber unvollkommene Handlungsfähigkeit ergänzt, der Gemeindevertreter eine physisch nicht vorhandene ausübt»).

Sulla “formazione pandettistica” di Mommsen, vedi A. Ormanni, Il “regolamento interno” del Senato romano nel pensiero degli storici moderni sino a Theodor Mommsen: contributo ad una storia della storiografia sul diritto pubblico romano, Napoli 1990, 113, nt. 291.

La affermazione di Giustiniano (I. 4.1 pr.: cum olim in usu fuisset alterius nomine agere non posse nisi pro populo, pro libertate, pro tutela) non comporta la equiparazione volitiva del popolo alla condizione del sottoposto a tutela. Che il popolo sia capacissimo di volizione, attestano, a tacere d’altro, fonti celeberrime, le quali vanno dal precetto delle XII Tabulae (XII tab. 12.5: quodcumque postremum populus iussisset ius ratum esto [V sec. a.C.]) alle definizioni capitoniana e gaiana della legge (Gellius, n. A. 10.20.2: generale iussum populi; Gaius, Inst. 1.3: quod populus iubet atque consistit) al passo giulianeo/giustinianeo sulla consuetudine (D. 1.3.32.1: ... quid interest suffragio populus voluntatem suam declaret an rebus ipsis et factis? ... ). Così come va letto cum grano salis l’accostamento del popolo al gregge in Pomponius D. 41.3.30.

[46] F.C. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, Band 3, cit., 93: «Wenn also der Herr dem Sklaven befahl, für ihn eine Schuld zu contrahiren, so wurde dennoch der Herr altem Recht nicht Schuldner; deswegen führte hier der Prätor eine eigene Klage ein, quod jussu. Eben so verhalt es sich mit den anderen, allmählig eingeführten, indirecten Verpflichtungen durch Kinder und Sklaven: actio de peculio, tributoria, de in rem verso» (cfr. G.C. Seazzu, Iussum e mandatum, cit., 68).

[47] B. Windswcheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, 2.2, Berlin 1866, § 482, 391, nt. 6: «Das Wort iussus hat hier den technischen Sinn, welcher in § 412 Note 8a bezeichnet worden ist; es bedeutet nicht Befehl, sondern Verweisung, Anweisung. Indem man diese technische Bedeutung von iussus verkannte und zu gleicher Zeit in’s Auge faβte, daβ die actio quod iussu auf den Fall berechnet ist, wo Jemand durch gewaltunterworfene Personen verpflichtet werden will (Note 10), hat man die Behauptung aufgestellt, daβ der iussus an den Gewaltunterworfenen gerichtet werden müsse, oder doch, daβ dieβ der Normalfall der actio quod iussu sei. Die Quelle sprechen fast allein von einem iussus an der Dritten [...] und die einzige Stelle [...] in welcher der iussus unzweifelhaft auf den Gewaltunterworfen bezogen wird [...] hat nicht die Absicht, die Voraussetzungen gerade der actio quod iussu anzugeben».

[48] Tale intervento è racchiuso dentro una nota a piè di pagina ma anche tutta la “dottrina generale” di Savigny sulla rappresentanza è racchiusa in 9 pagine.

[49] P. Laband, Die Stellvertretung bei dem Abschluss von Rechtsgeschäften nach dem allgemeinen deutschen Handelsgesetzbuch, in Zeitschrift für das gesammte Handelsrecht Zehnter Band, 1866, 209: «Daß […] das Rom. Recht keine besonderen Bevollmächtigungs-Vertrag kannte, ist eine nothwendige Consequenz der Unzulässigkeit der echten Stellvertretung. Das moderne Recht dagegen, welches die echte Stellvertretung kennt [etc.]»; vedi anche 183 s. e cfr. 174 s., 203 s.

[50] P. Laband, Die Stellvertretung bei dem Abschluss von Rechtsgeschäften nach dem allgemeinen deutschen Handelsgesetzbuch, cit., 203 ss. «Nichts ist für den wahren Begriff der Stellvertretung und die juristische Durchbildung dieses Instituts nachtheiliger gewesen, als die Zufammenwerfung der Stellvertretung mit dem Mandat, zu welcher das Rom. Recht den Anlaß gab. [etc.]».

Flume scriverà direttamente di “Vertretungsmacht” (op. cit., § 45 “Die Vertretungsmacht” 780 ss.; cfr. § 47 “Vertretung ohne Vertretungsmacht”).

[51] B. Windswcheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, Erster Band, zweite Auflage, Düsseldorf 1867, § 74, 174 s., nt. 1.

Sulla sequenza Savigny, Winndscheid, Laband, vedi G.C. Seazzu, Iussum e mandatum, cit., parte B. “Percorso di formazione della dottrina nell’Ottocento”, capp. I. “Persona giuridica, iussum e mandatum secondo Friedrick von Savigny” e II. “Persona giuridica, iussum e mandatum secondo Bernhard Windscheid e Paul Laband”.

[52] Su questi presupposti si è alimentata la inerziale discussione romanistica sul destinatario dello iussum e cui corrisponde la discussione gius-positiva sul destinatario della procura. È, infatti, evidente che il problema è la natura (di comando o di autorizzazione) non il destinatario (filius/servus o terzo) dello iussum. La discussione sul destinatario dello iussum è giustamente abbandonata da alcuni romanisti. Ad esempio, nel saggio Alle origini della rappresentanza diretta, cit., il quale, come già indica il titolo (vedi, supra, nt. 14) è una sintesi (ottima) della dottrina dominante, Andreas Wacke, scrive (588): «L’actio quod iussu (azione di “incarico” o, meglio, di “autorizzazione”) realizza in via più generale l’esigenza della rappresentanza diretta: colui che, consapevole che vi è autorizzazione dell’avente potestà contrae con un sottoposto, contrae, contemporaneamente, con l’avente potestà». Il problema si apre e si chiude con la definizione di iussum come autorizzazione in funzione della sua riduzione allo schema rappresentativo. La questione del destinatario non è neppure evocata. Il testo italiano di Wacke è la sintesi del suo saggio Die adjektizischen Klagen im Überblick. Erster Teil: Von der Reeder- und der Betriebsleiterklage zur direkten Stellvertretung, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Rom. Abt. 111, 1994, 280-362.

Per quanto concerne il destinatario della procura, nella, voceRappresentanza (Diritto Civile)” del Novissimo digesto italiano (1980) Walter D’Avanzo scrive: «occorre […] individuare se il destinatario della procura sia da ritenersi il rappresentante o il terzo con il quale questi contratta [… il rappresentante …] non va considerato quale destinatario della procura. Non si può negare che la dottrina, la quale ritiene destinatario il rappresentante, abbia, dalla propria parte, un rilievo a prima vista decisivo: quello, cioè, dell’impossibilità di configurarsi come destinatario della procura un soggetto che non è determinato. È vero, però, che l’indeterminatezza del destinatario non si rileva in senso assoluto, perché il terzo, cui è rivolta la procura risulterà individuato appena il rappresentante avrà incominciato a trattare con lui».

Da ultimo, vedi ancora G.C. Seazzu, Iussum e mandatum, cit., §§ A.I.2 “Interpretazione dello iussum: non comando alla persona in potestate ma autorizzazione al terzo” e “Osservazioni conclusive”, 2. “Una questione ancora aperta: a chi è indirizzata la procura?”.

[53] Giovanna Coppola Bisazza, Dallo iussum domini alla contemplatio domini. Contributo allo studio della storia della Rappresentanza, Corso di diritto romano, cit., 10 ss., la quale cita, come autore della espressione “organica intuizione”, A. Guarino, Diritto privato romano, 12a ed., Napoli 2001, 403 ss.

[54] Già nella riflessione socratico-platonica «conoscere è distinguere e, inoltre, il distinguere non è mai soltanto conoscere un solo termine. È necessario anche conoscere l’altro termine, che il primo termine non è. L’essere è anche non essere» (Hans Gadamer, Mathematik und Dialektih bei Plato, 1982, in Id., Gesammelte Werke, 7, Tübingen 1991, 311; tr. it. Matematica e dialettica in Platone, in Id., L'anima alle soglie del pensiero nella filosofia greca, Napoli 1988, 60).

[55] Giovanna Coppola Bisazza, Dallo iussum domini alla contemplatio domini. Contributo allo studio della storia della Rappresentanza, cit., “Introduzione” § 2 “Da una concettualizzazione anti-romanistica alla regolazione romana del fenomeno rappresentativo”, in part. 12; cfr. Ead., Lo iussum domini e la sostituzione negoziale nell’esperienza romana, cit., e Ead., Aspetti della sostituzione negoziale nell’esperienza giuridica romana, in Rivista di Diritto romano 3, 2003, in part. l’incipit «Il fenomeno al quale si vuole qui alludere con l’espressione “sostituzione negoziale” corrisponde all’odierna figura della rappresentanza etc.

[56] Vedi, supra, ntt. 32-38.

[57] Che, cioè, l’istituto della rappresentanza nasce in funzione della volizione collettiva (vedi, supra, § II.2).

[58] Premesso che colpisce l’uso di questa ultima espressione proprio da parte dell’autore della più famosa definizione di res publica e, quindi, di populus come coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus (rep. 1.39) l’autore contemporaneo cui si deve la osservazione è Claude Nicolet, Réflexions sur les sociétés de publicains: Deux remarques sur l’organisation des sociétés des publicains à la fin de la république romaine, in H. v. Effenterre, éd., Points de vue sur la fiscalité antique, Paris 1979, 76 s.; ripreso testualmente da Ulrike Malmendier, Societas publicanorum. Staatliche Wirtschaftsaktivitäten in den Händen privater Unternehmer, Köln - Weimar - Wien 2002, 267: «Jedenfalls gab es eine „Generalversammlung“ der Gesellschafter, die sich mit den wichtigen Entscheidungen für die Gesellschaft befaβte und die so groβ sein konnte, daβ Cicero sie als multitudo bezeichnet».

Per una visione più ampia, vedi G. Lobrano, Libertas, qui in legibus consistit (Cic. agr. 2. 100) Pour se libérer de l’«heutiges römisches Recht» [trad. della relazione al XVII Convegno Internazionale Libertà ed abuso nel diritto privato romano, Copanello, 1-4 giugno 2014], in J. Bouineau (sous la dir. de) B. Kasparian (tex. réunis par), Hommages à Marie-Luce Pavia. L’homme méditerranéen face à son destin, Paris 2016, 256 ss. e, in lingua orig., La libertas che in legibus consistit, in Diritto@Storia 15, 2017, http://www.dirittoestoria.it/15/tradizione/Lobrano-Libertas-in-legibus-consistit.htm .

[59] F.C. Von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, Band 3, cit., 89-90; cfr. P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”, cit., 84.

[60] Ancora Giovanna Coppola Bisazza, luoghi ultimi citati.

A fronte del supporto presso le fonti della “terminologia” che abbiamo definito gaiana e che riteniamo di dovere adottare, per cercare l’istituto romano mediante il quale è risolto il problema della “volizione collettiva e individuale pubblica e privata con l’intervento di un’altra persona”, appare tutt’altro che monopolistico il ricorso presso le fonti della “terminologia” del «negotia aliena gerere» e tradotta nell’“agire per altri”, con la quale si cerca nel Diritto romano la «“sostituzione negoziale” [che] corrisponde all’odierna figura della rappresentanza». Inoltre, in un importante testo romano in cui appare una espressione equivalente, Ulpianus D. 3.3.1 pr.: Procurator est qui aliena negotia mandatu domini administrat, la attività del procurator così evocata è contestualmente espressamente subordinata al mandatum domini.

[61] Vedi A. Padoa Schioppa, a cura di, Agire per altri. La rappresentanza negoziale processuale amministrativa nella prospettiva storica, Napoli 2010, dove la tesi della continuità rappresentativistica tra antichi e medievali-moderni è sintetizzata, già nel titolo, con la formula “agire per altri”, la quale esprime perfettamente il ruolo dominante del “rappresentante” a fronte del quale l’inoperoso rappresentato è relegato nel generico pronome “altri”.

[62] Vedi F. Ruffini, La classificazione delle persone giuridiche in Sinibaldo dei Fieschi (Innocenzo IV) ed in Federico Carlo di Savigny, in Scritti in onore di F. Schupfer, II, Torino 1898, 313 ss. (= Id., Scritti giuridici minori, II, Milano 1936, 5 ss.); per ulteriori riferimenti vedi P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”, cit., nt. 139.

[63] Ancora secondo il commento dello scoliasta “bizantino”, che (come osserva Siro Solazzi) «racchiude in sintesi tutta la storia della rappresentanza nel diritto romano», colui il quale opera in nome altrui mai si intende “totalmente libero” (“πάντη ελεύθερος”). S. Solazzi, Errore e rappresentanza, in Rivista italiana per le scienze giuridiche 50, 1911, 229 ss. (ora in Id., Scritti di diritto romano, I, Napoli 1955, 294, da cui si cita), ripreso da R. Quadrato, Rappresentanza. Diritto romano, in Enciclopedia del diritto, XXXVIII, Milano 1987, 417 ss.

[64] Giovanna Coppola Bisazza, Dallo iussum domini alla contemplatio domini, cit., 10 s., la quale cita, per la tesi dello sviluppo giustinianeo, P. Bonfante, Corso di diritto romano, 4, Roma 1918-19; 1919-20, rist. Milano 1979, 373 «questo ordinamento è così confuso e contraddittorio che, tenuto conto delle interpolazioni operate da Giustiniano, si può ben ritenere che egli abbia sancito in ogni caso la rappresentanza attiva e passiva, attribuendo unicamente valore storico alle testimonianze contrarie e al sistema classico» [sic!] e, per la tesi dello sviluppo già ‘classico’, un decisamente più misurato A. Corbino, La legittimazione a ‘mancipare’ per incarico del proprietario, in Iura 27, 1876, 70.

[65] Vedi, supra, § II.1, ntt. 15-18 e § II.2, ntt. 28-33.

[66] P.P. Onida, “Agire per altri” o “agire per mezzo di altri”, cit.

[67] Vedi, supra, nt. 44.

[68] Vedi, supra, nt. 47.

[69] Vedi, supra, nt. 50.

[70] Vedi, supra, nt. 51.

[71] Vedi G. Lobrano, Dottrine della ‘inesistenza’ della costituzione e “modello” del diritto pubblico romano, in L. Labruna (diretto da) e Maria Pia Baccari - C. Cascione (a cura di), Tradizione romanistica e Costituzione, tomo primo [Collana: «Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana»], Napoli 2006, § 2.b Constatazione della inesistenza dell’istituto costituzionale ‘inglese’ della rappresentanza politica per la formazione della volontà pubblica; leggibile ‘on-line’ in Diritto@Storia 5, 2006, http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Lobrano-Inesistenza-costituzione-modello-diritto-pubblico-romano.htm .

[72] Vedi, J.L. Corrêa de Oliveira, A Dupla Crise da Pessoa Jurídica, São Paulo 1979 (cfr. Id., Conceito de pessoa jurídica, Curitiba 1962); più recentemente: Natalie Baruchel, La personnalité morale en droit privé, Paris 2004, Première partie “La crise de la notion de personnalité morale”, e A. Serra, Regressione evolutiva degli istituti giuridici: brevi riflessioni sulla nozione di persona giuridica, in Diritto@Storia 4, 2005, http://www.dirittoestoria.it/4/Contributi/Serra-Regressione-evolutiva-degli-istituti-giuridici.htm .

[73] Moses Finley (Democracy ancient and modern, London 1973) osserva che all’odierno consenso generale sulla parola ‘democrazia’ corrisponde una tale inconsistenza del concetto da renderne inutile qualsiasi tentativo di analisi (la citazione è presa dalla edizione italiana, La democrazia degli antichi e dei moderni, Bari 1982, 11).

[74] J. Lenoble - M. Maesschalck, L’Action des normes, Eléments pour une théorie de la gouvernance, Sherbrooke 2009 [version française, enrichie d’une nouvelle introduction et d’une préface, de l’ouvrage Towards a Theory of governance, The Action of Norms, The Hague-London-New York 2003], XXVII: «La philosophie politique récente n’est pas restée prisonnière de cette approche ‘représentative’ de la démocratie. [...] L’idée émerge, tant dans les transformations qui affectent la réalité de nos sociétés que dans la pensée politique de la démocratie, d’un nécessaire renforcement des formes de participation des citoyens à l’exercice du pouvoir. Mais le terme reste souvent vague. De plus, même là où l’analyse se fait plus fine, l’exigence que ce terme dénote reste plus de l’ordre de la boîte noire que d’une opération théoriquement construite. Ce défaut de construction théorique explique ce que nous identifions comme un blocage»; cfr. ibidem, XVIII e Id., Democracy, Law and Governance, Padstow 2010.

Per un esempio di applicazione della riflessione gius-romanistica al problema attuale evocato da Lenoble e Maesschlck, vedi G. LOBRANO, «Federalismo» o «confederazione»? ripensare e riformare federalismo e autonomia, rileggendo Emilio Lussu, in corso di pubblicazione, ora leggibile in www.sinistra-autonomista-federalista-euromediterranea.it 11.05.2018.

[75] La ipotesi di lavoro è che lo iussum è il comando a persona strutturalmente e generalmente nel potere dello iubente e il mandatum è il comando a persona per ciò funzionalmente e parzialmente posta nel potere del mandante.

Per essa rinviamo a G. Lobrano, Esiste un “pensiero politico-giuridico latino-americano”? Caratteristiche e attualità del pensiero democratico: federalismo vero contro federalismo falso tra Europa e America, in V. Giménez Chornet, A. Colomer Viadel, Eds., I Congreso Internacional América-Europa, Europa-América (27-29 de julio de 2015). Libro de Actas, Valencia 2015, § 2.b.β.β “Il mandato: contratto e comando”; P.P. Onida, In tema di natura del mandatum, cit.; G.C. Seazzu, Iussum e mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis, I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, cit., passim.