Accademia delle
Scienze di Russia, Mosca
Direttore
della rivista Ius Antiquum-Drevnee Pravo
‘Contio advocata’ e le forme collettive di difesa giudiziaria in età
repubblicana a Roma[1]
SOMMARIO: 1. La
definizione dei tipi di protezione giudiziaria di Asconio in Cic. Divin. 11. – 2. I
cosiddetti ‘patroni causarum’
nel diritto civile e internazionale romano. – 3. Il
significato del termine advocatus a
Roma nei secoli V-I a.C. – 4. Il ruolo della corona di giustizia. – 5. Le
leggi sulla protezione dei diritti dei tribuni della plebe di agire di fronte
al popolo. – 6. Il ruolo della provocatio ad populum
nell’organizzazione della protezione giudiziaria. – 7. Conclusione. – Abstract.
Per indagare, almeno brevemente, alcune tra le caratteristiche
più tipiche della professione forense romana è necessario
esaminare la storia delle sue origini e poi del suo sviluppo durante le fasi
storiche secolari della Roma monarchica e poi di quella repubblicana dal V al I
sec. a.C.
Sull’avvocatura romana in letteratura scientifica, sia in
Russia[2] che in Occidente[3], è stato scritto
molto. In questa piccola relazione, tuttavia, mi concentrerò soprattutto
sui dati degli autori antichi.
I romani dell’epoca della Repubblica hanno conosciuto
diversi tipi di tutela giudiziaria. Di queste, la migliore definizione (sia pur
breve) è data dal grammatico Asconio Pediano (vissuto nel I secolo d.C.[4]) che ha commentato le
orazioni ciceroniane:
Ascon. in Cic. Divin. 11 (Cognitorem iuris sui): «Qui defendit alterum
in iudicio aut patronus dicitur, si orator est; aut advocatus, si aut ius
suggerit, aut presentiam suam commodat amico; aut procurator, si [absentis]
negotium suscipit, aut cognitor, si praesentis causam novit et sic tuetur ut
suam. Ergo cognitorem dixit modo familiarissimum defensorem».
Nell’elenco riportato da Asconio troviamo quattro tipi di
difensori giudiziari: 1) il patronus
causae, chiamato anche orator; 2)
l’advocatus che, secondo il
commentatore, è invitato in giudizio quale amico del ricorrente o del
convenuto. Qui presta un aiuto gratuito con le sue consulenze legali o con la
sua semplice presenza in tribunale; 3) poi è menzionato il procurator, abilitato a rappresentare la
parte nel caso in cui mancasse la presenza di questa in tribunal; 4) e, finalmente, il cognitor,
latore delle pretese giudiziarie del querelante, per cui questi agiva come
sostituto. Una particolare attenzione merita nel passo in questione, la
menzione dei primi due termini: patronus
e advocatus.
Fermiamoci prima di tutto sull’istituto del patrocinio
giudiziario e quindi sui cosiddetti patroni
causarum. Lo studioso francese J.-M. David ha giustamente definito questo
tipo di difesa giudiziaria come un istituto aristocratico basato
sull’antica fides[5]. Secondo lo storico di Roma
d’origine greca Dionigi di Alicarnasso, vissuto nella seconda metà
del I sec. a.C., l’istituto della tutela giudiziaria sarebbe nato a Roma
verso la metà dell’VIII secolo a.C. grazie alle leggi stabilite
dal quasi leggendario Romolo. Questo re, come noto, divise la società
romana in patrizi e plebei. Nelle mani dei primi, concentrò la gestione
dello stato (senato), della guerra e della giustizia. I secondi si occupavano
di agricoltura e artigianato. Il rapporto tra questi due ceti si regolava
tramite il cosiddetto patrocinio. Era dovere dei patrizi (patroni), tra l’altro, anche proteggere in tribunale gli
interessi dei plebei loro dipendenti (clientes).
Ecco cosa scrive lo stesso Dionigi:
«E poi (da Romolo) furono definiti
i costumi (osservati dai romani per secoli) relativamente al patrocinio: i
patrizi dovevano spiegare ai clienti i loro diritti, di cui erano ignari, ...
dovevano presentare una querela a nome dei clienti offesi, ... fornire supporto
a coloro che venivano citati in tribunale e, in breve, fornire loro ogni bene
negli affari privati e pubblici... 4. ... Per non gravare i loro clienti i
patrizi non accettavano la loro offerta in contanti»[6].
Nel suo racconto Dionigi richiama l’attenzione sul fatto
che i patroni non solo agivano in tribunale come difensori dei loro clienti, ma
svolgevano per questi, sempre gratuitamente, anche un’attività che
si potrebbe dire assimilabile a quella dei giureconsulti. Livio, parlando di
una legge di Cincio del 204 a.C., spiega la circostanza della gratuità
con il fatto che i plebei pagavano già abbastanza tasse e tributi al
senato[7], sottolineando in tal modo
che il patrocinio, quasi come la magistratura, fosse sotto il controllo del
ceto senatorio ancora alla fine del III sec. a.C.
Come molti studiosi giustamente pensano[8], l’istituto del
patrocinio ha origini molto antiche e appare essersi affermato come peculiare
in tutte quelle società società primitive basate sul sistema dei
tributi; e questo non solo nel Lazio, ma in molte altre società gestite
secondo analogo sistema. Per un patrono, secondo le leggi delle XII tavole, era
un reato gravissimo offendere o ingannare un cliente. Per tali comportamenti
con la sanzione del sacer esto era
prevista addirittura la pena di morte[9]. Ed era anche impensabile che
il patrono potesse pretendere dai loro clienti di essere pagato. Sarebbe stato
come se oggi un genitore chiedesse a un figlio minore di pagare una tassa per
l’affetto ricevuto; ovvero, come se oggi un padrone di casa pretendesse
di farsi pagare dagli amici invitati alla sua festa di compleanno per la loro
partecipazione[10].
Tuttavia, già dall’inizio del V secolo a.C., l’istituto del
patrocinio giudiziario venne utilizzato anche dalla plebe indipendentemente
dall’appartenenza a un clan gentilizio. Così, patrono di tutti i
debitori nexi è stato, per
esempio, il dittatore del 494 a.C. Valerio, che è intervenuto in senato
in loro difesa[11].
Il famoso Manlio Capitolino divenne patrono giudiziario dei plebei nel 384 a.C.[12], liberando in questo modo
quasi 400 debitori[13]. Ovviamente, nella
qualità di patroni giudiziari della plebe spesso troviamo anche gli
stessi tribuni della plebe la cui carica fu come noto secondo la tradizione
istituita nel 494 a.C. proprio per proteggere i debitori, sebbene un tribuno
della plebe appaia per la prima volta in tale qualità solo nel 169 a.C.[14]
Secondo lo stesso Dionigi di Alicarnasso l’applicazione
dell’istituto del patrocinio giudiziario si estese abbastanza presto
anche al rapporto dei romani con i popoli vicini[15]. Qui un ruolo significativo
fu giocato dall’istituto della fides,
in particolare, con la cosiddetta deditio
in fidem di quel popolo che cadeva sotto il dominio dei romani[16]. Esempi emblematici di
questo tipo di patrocinio giudiziario non mancano. Si può menzionare, ad
esempio, l’incidente che ebbe luogo nel 171 a.C. quando gli spagnoli,
alleati dei romani, si rivolsero al senato romano sporgendo querela contro
abusi perpetrati da magistrati romani. Accogliendo la loro richiesta il senato
nominò tra i più importanti cittadini romani quattro avvocati (patronos)[17]. Un altro episodio che si
può ricordare è quello che vide alla barra Catone il Censore in
difesa della repubblica di Rodi nel 167 a.C.[18] Questi avvocati
all’epoca di Catone il Censore e di Cicerone venivano chiamati patroni causarum. Lo stesso Cicerone,
come possiamo ricordare, fu infatti patronus
causae nel celebre processo dei siciliani contro Verre.
Secondo Livio, il patrocinio giudiziario internazionale raggiunse
la sua fase di maggiore sviluppo solo dopo 316 a.C., quando il senato romano
nominò dei patroni agli anziati a seguito della loro richiesta di
riorganizzazione della giustizia secondo il modello romano[19]. Molti altri alleati romani
fecero lo stesso e secondo Appiano, entro il 63 a.C, ogni città-stato
del Mediterraneo ebbe a Roma il suo patrono[20]. La qual cosa è stata
confermata dal ricco materiale esaminato nelle opere di F. Canali De Rossi[21].
Tuttavia, il sistema di protezione giudiziario romano non si
limitò solo al patrocinio in giudizio. La legislazione repubblicana
previde infatti anche un istituto particolare di tutela degli interessi, sia
del popolo romano nel suo complesso, che di un singolo cittadino romano, che
chiamò col termine vindex[22]. Questo tipo di difensore
è menzionato nelle leggi delle XII tavole ed è indicato in questo
assetto normativo anche con il termine più ampio di vas[23].
In particolare, la tutela dal parte del vindex
è stata ampiamente applicata contro gli abusi dei creditori in relazione
ai debitori insolventi[24]. A ben vedere,
l’essenza della protezione del vindex
non era tanto nel pronunciare in tribunale dei discorsi in difesa di una parte,
ma nell’assumere un caso giudiziario su di sé. Da questo punto di
vista, il termine vindex delle leggi
delle XII tavole potrebbe pertanto dirsi anche un sinonimo arcaico del termine
classico cognitor, usato da Asconio.
Virginio, il padre che difese la libertà di sua figlia nel 449 a.C.,
agì proprio da vindex; e poi,
per il 384 a.C., Livio usa il termine vindex
in relazione alla vicenda che vide il già sopra menzionato Manlio
Capitolino che, per suo conto, riscattava i debitori insolventi[25]. Secondo Livio fu
‘difensore della libertà’ del popolo romano anche il console
del 509 a.C. Bruto[26]. È molto verosimile
pertanto che il termine arcaico vindex
sia stato usato come sinonimo del termine più specifico patronus causae.
Il secondo termine usato dal commentatore di Cicerone è
ancora più interessante. Nella letteratura scientifica moderna sul
significato di advocatus durante
l’epoca repubblicana si trova in effetti una grande varietà di
opinioni. Alcuni credono che lo sviluppo della professione forense sia iniziata
solo negli ultimi due secoli della repubblica e solo in forma di patronato
giudiziario[27];
altri trattano la tutela giudiziaria arcaica come una sorta di
«avvocatura parentale», profondamente diversa dalla successiva[28]; altri ancora, negano
l’affidabilità delle fonti sulle forme antiche di tutela
giudiziaria[29]
e solo pochi si concentrano sull’analisi specifica del concetto advocatus in epoca repubblicana[30]. Tra questi ultimi, il
francese J.-M. David, si distingue a mio avviso per aver proposto la
ricostruzione più interessante ed equilibrata. Lo studioso, in
particolare, osserva giustamente che in età repubblicana l’advocatus era un consulente legale e che
questi, a differenza di un giurista, partecipava al processo. Lo stesso
sottolinea anche che il termine stesso advocatus
letteralmente significasse «invitato». Più precisamente con
la parola advocati furono chiamati o
i membri del consiglio del magistrato (consilium),
o gli amici, invitati dall’imputato a partecipare al processo[31]. Inoltre, sempre J.-M.
David, osserva che il termine advocati
si usava per indicare anche il numeroso gruppo dei testimoni e dei difensori
(parenti, vicini e amici, tra cui anche famosi giuristi)[32], presentati sia dall’accusa
che dalla difesa[33].
Infatti, se guardiamo ai vari casi d’applicazione del
termine advocatus nel contesto del
processo giudiziario romano da parte di autori dell’età
repubblicana, si può scoprire una gamma molto ampia di rappresentanti
nel processo chiamati con tale parola. Così, il commediografo del II
sec. a.C. Plauto, spesso usa il termine advocatus
in relazione agli stessi patroni di causa[34], ai testimoni
dell’accusa per la qualificazione del reato[35] e ai garanti della
transazione che facevano la sponsio[36]. Anche Livio in relazione al
caso di Virginia del 449 a. C. usa il termine advocati per denominare i garanti, che mediante una sponsio pagarono per la ragazza il
deposito giudiziario[37]. Infine, Cicerone usa la
parola advocati per dire di coloro che
svolsero un ruolo di garanti circa il pagamento di un deposito giudiziario[38].
E non è tutto perché il coinvolgimento del popolo
romano a favore di una delle parti processuali che ebbe luogo, ad esempio, in
occasione della riunione popolare (contio)
durante le procedure preliminari del processo contro Scipione Africano nel 187
a.C., è inteso da J.-M. David come un’espressione
dell’ideale aristocratico di successo nell’esercizio della funzione
di protezione giudiziaria[39]. Sulla numerosità dei
gruppi di difesa e di accusa, J.-M. David porta quindi l’esempio del
giudizio intentato contro M. Emilio Scauro che, accusato nel 54 a.C. di
corruzione, si presentò in giudizio supportato da circa cinquanta
avvocati[40]. Tra questi, solo sei agirono in
qualità di patroni, mentre gli avvocati laudatores col grado di consulari furono nove[41]. Dalla parte del suo
accusatore, Valerio Triario, ci furono invece centoventi testimoni[42]. Un numero ancora maggiore
di avvocati ebbe Cicerone nel suo processo contro Verre nel 71 a. C. e J.-M. David scrive che l’accusa in questo
procedimento citò in giudizio centocinquanta testimoni a carico[43]. Nel processo del 69 a.C.
contro Fonteio Cicerone menziona come avvocati difensori (i cosiddetti laudatores) tutti gli ambasciatori, i
cavalieri e i mercanti romani che si trovavano in Gallia e anche tutti gli
altri alleati di Roma di tale regione[44]. In fine nel 110 a. C.
Masinissa nel processo contro Bomilcare si avvalse di cinquanta avvocati che
prestarono garanzia giudiziaria in suo favore[45].
Sempre guardando le fonti, il dato della numerosità degli
avvocati che accompagnavano ciascuna delle parti della controversia, trova una
ricca conferma anche per le epoche precedenti.
Così, secondo il racconto di Livio, nel 473 a.C. Publilio
Volerone, accusato dai consoli di evasione militare, con l’aiuto dei suoi
avvocati respinse l’attacco di ventiquattro littori e poi fece ricorso
anche all’aiuto del popolo riunito nel forum[46]. Nel 449 a. C. Virginio
venne circondato in tribunale da una folla di avvocati e tutti i cittadini si
mostrarono disposti a difendere sua figlia[47]. Nel 385 a. C. Marco Manlio
Capitolino si presentò alla corte del dittatore con una folla enorme di
plebei e solo grazie all’astuzia dei magistrati patrizi si riuscì
a trasformare i plebei da avvocati a giudici[48]. Nel 212 a. C. non meno
temibile è stata anche la folla di difensori di cui si avvalsero dei
pubblicani accusati di frode. Temendo che la situazione potesse degenerare, il
senato rimise il giudizio all’esame del popolo, ma anche in tale contio i pubblicani, esposti alla
possibilità di pagare una multa, con i loro sostenitori si mostrarono
pronti a resistere innanzi a tutto il popolo riunito che, a sua volta, si
presentava nel foro in qualità di difensore (vindex)[49] dell’accusa[50]. In questo caso è particolarmente
importante il fatto che la gente in generale parlasse di sé come di un
unico difensore d’accusa. Infine, nel 187 a. C., è noto come il
famoso Scipione Africano si presentò in giudizio per ascoltare
l’accusa con tutta una folla numerosa di avvocati, parenti, clienti e
amici[51].
A questo proposito è molto interessante soffermarsi
sull’uso ricorrente di alcune forme lessicali come ad esempio populus in contionem, advocatus, concilium populi advocatum o contio
advocata in fonti come Livio o Cicerone. Naturalmente è possibile
tradurre queste locuzioni semplicemente come «il popolo, convocato alla
riunione» e «convocata la riunione». Tuttavia, traduzioni
come queste forse non riflettono pienamente il senso delle frasi latine, come
nel caso della traduzione dell’espressione consilium advocatum con il significato di «consiglio
convocato». In tal caso si tratta proprio della circolazione del
magistrato per un consiglio o un aiuto ai giureconsulti o di una persona
privata che interviene per dare un aiuto forense agli amici. Infatti, come
è noto, uno dei principali significati del verbo advocare usato in contesti legali è di «chiedere
aiuto»[52].
Così, ad esempio, il re di Roma Tullio Ostilio
«convocò il popolo a contio»,
per chiedergli di aiutarlo a discutere e risolvere il caso giudiziario contro
gli Orazi[53].
Con lo stesso scopo di ‘chiedere lumi’ anche Manlio Capitolino
convocò la plebe a un consiglio segreto[54]. Per ben impostare la
discussione e trovare il consenso generale anche il console Volumnio
convocò il popolo a una contio
nel 296 a.C.[55]
Infine, proprio per discutere con la plebe un caso giudiziario, i tribuni della
plebe convocarono una contio popolare
nel 171 a. C.[56]
Per meglio comprendere il senso di ciò che si sta dicendo occorre
ricordare che nelle contiones del
popolo, a differenza di quanto accadeva nei comitia
popolari, non era prevista una votazione formale e quindi il popolo, in questi
casi, agiva non come giudice, ma come consigliere; esprimeva cioè solo
un’opinione a favore o contro l’imputato. Ecco quindi
perché, con la locuzione «corona»
della giustizia, si era soliti indicare proprio il popolo che circondava la
riunione dei giudici; e quindi, per metonimia, il parere preliminare di questa
moltitudine[57].
Questo parere, come dicono le fonti, in età repubblicana fu tanto
determinante che spesso gli imputati, ancora prima del processo,
volontariamente preferivano ripiegare in esilio in caso di mancanza di questo
supporto da parte del popolo. Si può dire pertanto che in questo modo,
la contio popolare dei tribuni della
plebe, giocò nel procedimento giudiziario della plebe, un ruolo analogo
a quello svolto dal consiglio generale e a quello che il consilium del magistrato romano ebbe nell’amministrazione
della giustizia del patriziato e nei iudicia
privata.
Secondo Cicerone, in assenza di questa corona del popolo ‘circostante’ il processo, un oratore
giudiziario non sarebbe stato in grado di intervenire né in un processo
privato, né pubblico[58]. L’eventualità
più vergognosa che poteva verificarsi per un patronus causae o per un oratore giudiziario durante il suo il
discorso era infatti proprio la ritirata del popolo dalla contio[59].
Qui è necessario ricordare il già citato pre-procedimento
del 187 a. C. capitato in occasione della messa in stato di accusa di Scipione
l’Africano, quando quest’ultimo portò innanzi alla contio popolare non solo tutto il popolo
presente, ma anche tutti gli avvocati dell’accusa così
compromettendo, sul nascere, la strategia accusatoria del tribuno della plebe[60]. È ben conosciuta
anche la vicenda accaduta nel 90 a. C., quando il tribuno della plebe Gaio
Curione fu abbandonato da tutta la contio
del popolo, compreso i suoi avvocati[61]. Quando nel 50 a.C.
Cicerone, per la prima volta, dovette agire in tribunale in assenza del popolo,
non riuscì a nascondere il suo sgomento[62].
Se qualche magistrato, di potere uguale o minore, con la sua
attività ostacolava in qualche modo l’espressione di opinione del
popolo riunito per discutere l’uno o l’altro problema, questa
attività si considerava un reato[63]. Se un magistrato ostacolava
lo svolgimento di una contio di un
tribuno della plebe, questo si considerava un crimine di stato fondamentale (perduellio) e il trasgressore rischiava
la pena di morte e la confisca dei beni. Significativa è la seguente
testimonianza di Dionigi di Alicarnasso relativa alla legge del 492 a.C. del
tribuno della plebe Sicinio (o Icilio):
«Quando il tribuno della plebe
esprime la sua opinione davanti al popolo, nessuno può contestarlo o
interrompere il suo discorso. Chi lo facesse dovrà, in caso di
necessità, fornire ai tribuni della plebe dei garanti per pagare la
multa, che sarà stabilita. Se questi non fornisce fideiussione per
questa sarà punito con la pena di morte e i suoi beni dichiarati sacri.
In caso di dissenso il processo sarà celebrato davanti al popolo»[64].
Secondo le concordanti testimonianze di Livio[65] e di Aurelio Vittore[66] questa legge, anche se con
alcune modifiche, sarebbe stata applicata ancora nei secoli II e I a.C.
Concetti come quelli di contio
advocata e di populus advocatus
sono strettamente collegati con uno dei più importanti istituti della
giustizia repubblicana romana, ossia il diritto del convenuto di chiedere, nel
corso di un processo, direttamente la protezione del popolo romano. Si tratta
del famoso istituto della provocatio ad
populum[67]. Terminologicamente questa tipologia di
appello al popolo si esprimeva non solo con il verbo provocare, ma anche con l’espressione tecnica implorare fidem Quiritium[68] o implorare
fidem plebis[69] nel significato di «implorare
protezione ai cittadini romani»[70]. Un’altra forma era
con il verbo adessere nel significato
di «difendere» come in Livio (II. 55. 7)[71].
Lo storico patavino nella descrizione della lotta bicentenaria
della plebe contro la schiavitù dei debitori insolventi, durante il V e
IV secolo a.C., offre molti esempi di tale rimedio per la difesa giudiziaria
del popolo a favore dell’uno o dell’altro imputato e non di rado si
vede come si tratti di una difesa non solo verbale, ma anche fisica.
Così, sui disordini dei debitori soggetti a nexum nel 495 a.C., Livio scrive quanto segue (II. 23. 8): «nexi, uincti solutique, se undique in publicum proripiunt, implorant Quiritium
fidem. Nullo loco deest seditionis uoluntarius comes; multis passim agminibus
per omnes uias cum clamore in forum curritur». È importante notare come lo
storico sottolinei che il popolo fosse pronto a prendere il potere giudiziario
nelle sue mani[72].
Infatti, dopo l’ennesimo inganno da parte dei patrizi, i plebei assunsero
a sé la tutela giurisdizionale dei debitori, agendo nei tribunali contro
i creditori anche con la forza[73]. Quando il console Appio
Claudio cercò di arrestare uno dei capoccia del collegio di difesa di
alcuni debitori, quest’ultimo si appellò alla provocatio ad populum che immediatamente venne sostenuta da tutto
il popolo[74].
A tale forma di tutela giurisdizionale collettiva la plebe fece spesso ricorso
anche in seguito utilizzando tale strumento come una sorta di appello o
d’impugnazione straordinaria a favore dell’imputato[75].
Un’attenzione particolare merita il più antico a noi
noto processo popolare avviato dal popolo e dai tribuni della plebe nel 491 a.
C. contro il patrizio Marcio Coriolano per l’accusa di alto tradimento[76]. Come scrive Dionigi di
Alicarnasso, «(il popolo) ha fissato il giorno della comparizione di
Marcio davanti a un tribunale, dove egli stesso deve diventare accusatore e
testimone dell’accusa...»[77]. Come ho già indicato
sopra, gli accusatori e i testimoni dell’accusa possono farsi rientrare
in un concetto più ampio di avvocati dell’accusa. D’altra
parte, come raccontano Dionigi di Alicarnasso[78] e Livio[79], tutto l’ordine dei
patrizi insieme con i loro clienti e amici assunse la difesa collettiva
dell’imputato Marcio. Dalle parole di Livio è chiaro che sia
«le riunioni e i consigli della plebe», sia le riunioni dei
senatori, avevano il luogo prima dell’inizio del processo. Erano queste,
rispettivamente, sia la contio advocata
della plebe e del popolo, che il consilium
advocatum del magistrato e del senato dei patrizi. Va notato che lo storico
greco confronta il diritto dei tribuni della plebe, che parlavano a nome del
popolo[80], di rivolgersi a un
tribunale popolare, con il ben noto istituto della provocatio ad populum, cioè il diritto di qualsiasi
cittadino romano di appellarsi al popolo contro gli atti illeciti dei
magistrati del patriziato[81].
Va detto, però, che nella letteratura scientifica
l’istituto della provocatio ad populum,
nonostante il suo esercizio fosse regolato da forme procedurali molto
dettagliate previste nell’assetto normativo di Roma repubblicana, di
solito è considerato come uno strumento puro di lotta politica tra i
patrizi e i plebei[82]. In realtà Livio definisce
questo istituto come «l’unico presidio di difesa della
libertà»[83] e come «fondamento
della difesa della libertà»[84]; mentre Cicerone afferma, in
maniera ancora più categorica, che «la provocatio è il patrono dello stato e il difensore della
libertà»[85].
Una descrizione abbastanza affidante della provocatio ad populum, come strumento legittimo processuale di
protezione, è in Livio nel racconto del processo celebrato nel 449 a.C.
dal tribuno della plebe Virginio contro il capo dei decemviri Appio Claudio (Livius 3. 56. 1-3). Quando Virginio, innanzi
alla contio del popolo (Livius 3. 56. 8) presentò l’accusa
contro di lui, Appio chiese aiuto al resto dei tribuni che però si
rifiutarono; quindi ricorse in ultima istanza proprio alla provocatio ad populum[86]. Dal discorso che Appio pronunciò
in sua difesa si comprende abbastanza chiaramente che l’essenza di questo
istituto, consistesse nel diritto dell’accusato non solo di difendersi
innnanzi al tribunale del popolo[87], ma anche di evitare
l’arresto prima dell’inizio del processo e della eventuale condanna[88]. Di analogo tenore è
il testo della legge Valeria sulla provocatio
ad populum del 508 a. C., citato da Dionigi di Alicarnasso:
«Se
un magistrato vuole che un romano sia messo a morte, frustato o multato, i privati
cittadini possono convocare in giudizio il magistrato davanti al popolo, e nel
frattempo il suddetto cittadino non sarà passibile di pena da parte di
quel magistrato, fino a quando il popolo non abbia espresso il suo voto su di
lui»[89].
Come si svolse
la vicenda è noto. Il popolo riunito in concione non sostenne il ricorso
di Appio e prima di comparire innanzi al tribunale questi fu trattenuto in
carcere[90]. Curiosamente, insieme con
Appio, erano presenti nel forum anche
molti suoi aristocratici amici di gioventù[91]. Nessuno di loro però
osò sostenere l’appello di Appio producendo la prova di un
deposito cauzionale versato da un difensore (vindex) o da un collegio di difensori (i cosiddetti sponsores). Da ciò si deduce che,
in caso di provocatio ad populum, si
richiedesse il sostegno dell’advocatus
populus, cioè del popolo convocato a quella riunione. E tale
«azione collettiva» il David la chiama provocatio ad populum[92].
Una seconda
modalità di realizzazione della «difesa del popolo», prima
dell’inizio del processo, poteva verificarsi con la manifestazione del
sostegno popolare all’accusato durante la fase delle due contiones pregiudiziali del popolo che
dovevano svolgersi obbligatoriamente entro 60 giorni prima dell’inizio
del processo[93].
In tal caso, gli avvocati della difesa e dell’accusa discutevano con il
popolo il caso giudiziario e il popolo esprimeva così il suo parere
sulla questione. Secondo Livio, questo dibattimento innanzi alle contiones del popolo ebbe luogo anche
nel caso di Appio Claudio. Per l’accusato, come difensore, parlò
lo zio di Appio, che implorò il popolo di liberare la tribù
Claudia dalla vergogna e di liberare quindi l’accusato, consentendogli di
optare per l’esilio volontario (Livius 3. 58. 1-3). Per l’accusa
parlarono invece Virginio e la sua famiglia, che allo stesso modo cercarono
protezione e aiuto contro Appio. L’esito della vicenda è noto.
Dato che la plebe in questa fase pre-processuale si mostrò impietosa
verso Appio, ritenendo più equa la posizione dell’accusa, lo
stesso imputato, non avendo ottenuto la fides
atque auxilium della contio
plebea, si suicidò prima che comonciasse il processo[94].
Dionigi di
Alicarnasso spiega in che cosa consistesse questa fides atque auxilium delle contiones
popolari. Appio, chiamato alla riunione convocata per procedere
nell’accusa contro di lui, non si vide riconoscere il diritto di
conferire un deposito giudiziario da parte dei suoi garanti giudiziari,
perciò dovette accettare di restare in prigione fino al giudizio[95]. Dionigi utilizza il termine
διεγγύησις il cui significato non
è diverso da quello di «deposito» o «garanzia»,
cioè del mezzo puramente giudiziario,
ben noto alle leggi XII tavole.
Un altro
esempio importante di utilizzo della provocatio
ad populum quale mezzo processuale di protezione collettiva da parte della
plebe romana è il già accennato sopra caso del 473 a.C.
concernente l’accusa contro Publilio Volerone. Quando il console
inviò il littore per arrestare l’accusato, Publilio in
conformità con la procedura delle leggi sacre, chiese aiuto ai tribuni
della plebe, ma questi ebbero paura di esercitare il loro diritto di veto sulla
decisione dei consoli. Così, accusando Publilio di insubordinazione, i
consoli ordinarono che si procedesse contro di lui mediante la fustigazione con
i fasci. Publilio invece si appellò alla provocatio ad populum e la plebe, malmenando i littori, rompendo la
fascia ed espellendo i consoli dal forum
nella curia, lo sostenne attivamente,
bloccando così ogni ulteriore tentativo di arrestare o percuotere
Publilio[96].
Livio sottolinea, che in questo modo la plebe protesse sé stessa dai patres, cioè dai senatori e dai
magistrati dei patrizi[97]. A proposito della provocatio di Publilio è
importante notare che Livio, per i plebei che gli diedero aiuto, usi il termine
advocati.
La
consuetudine di chiedere direttamente il parere dei plebei o del popolo,
invitando costoro alla contio
pregiudiziaria chiedendo un parere a favore o contro un imputato, fu un costume
molto diffuso in Roma repubblicana. L’approvazione del popolo veniva
manifestata con un l’applauso, altrimenti si usava fischiare[98]. Va notato che lo stesso
Cicerone qualifichi questa usanza come uno fortunato imprestito del mondo
greco. Avendo l’Arpinate espresso questo pensiero in una causa da lui
patrocinata contro Claudio è difficile pensare che questo sia stato un
giudizio obiettivo[99]. È anche vero
però che tutto il popolo, in genere, era solito riunirsi solo in
occasione di grandi eventi, ossia durante gli spettacoli teatrali o i combattimenti
dei gladiatori[100]. Dato che nelle contiones spesso l’ultima parola
restava nelle mani dei rappresentanti dell’accusa o della difesa, non
capitava di rado che questi avevano potuto avere buon gioco nel comprare la
maggioranza delle voci della plebe della città, blandendo quindi questa
moltitudine e i suoi capipopolo con mezzi eticamente scorretti[101]. L’affermazione
maliziosa di Cicerone potrebbe pertanto spiegarsi anche in questo modo.
Ad ogni buon
conto, innanzi alle contiones
giudiziarie del I secolo a.C. di solito si riunivano principalmente gli
avvocati delle parti e gli esponenti più eminenti della libera
città. Non è un caso che Livio scriva (per vero in relazione a
una contio militare) che
un’opinione in un consiglio militare poteva essere espressa solo da
persone invitate, cioè da advocati[102]. Ma, a differenza del consilium del magistrato, alla contio era invece invitato tutto il
popolo (advocatus). Il parere del
popolo alla riunione perdeva vigore solo se uno dei tribuni della plebe
imponesse il veto su qualsiasi atto
giudiziario. Accadde questo, ad esempio, nel processo del 110 a.C. per
l’accusa di corruzione a Scauro, dove il re Masinissa «sotto la
protezione e con la condiscendenza del popolo romano»[103] dovette parlare come
testimone dell’accusa[104].
Riassumendo,
vorrei sottolineare che le espressioni advocata
contio e advocatus populus, per
come furono utilizzate nei procedimenti dell’epoca repubblicana a Roma, evidenziano
un contenuto giuridico abbastanza certo che testimonia il grande valore che
queste forme collettive di tutela giudiziaria ebbero durante il lungo periodo
che va dal V al I sec. a.C. Queste furono di estrema importanza per la
partecipazione attiva del popolo già alla fase pregiudiziaria del
processo in qualità, come abbiamo visto, di una «corona» di giustizia, la cui
opinione e supporto, di solito, erano decisivi. Cicerone osserva che proprio il
potere del popolo di difendere coloro che si rivolgevano a lui con una provocatio costituiva un necessario
contrappeso per il potere giurisdizionale dei magistrati[105].
[L.L. Kofanov,
‘Contio
advocata’ and Collective Forms of Judicial Protection in Rome
of Republican era]
The article
discusses the history and development of the notion of “advocatus”
in the Roman Republic from V to I centuries BC. In particular, the focus is on
the collective character of the ancient advocacy as reflected in the well-known
old cases, when the Roman plebs, or even all the people, acted as a collective
defender at the popular proceedings (contiones). The article also paid
attention to a direct relationship of the ancient collective advocacy with one
of its legal forms – provocatio ad populum.
[Un evento culturale, in quanto
ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione
veramente anonima dei contributi ivi presentati. Al fine della pubblicazione,
questo scritto è stato valutato “in chiaro” dagli organizzatori del XIII Seminario
scientifico internazionale “Diritto romano e attualità” e
dalla direzione di Diritto @ Storia]
[1] L'articolo si basa su una relazione letta al XIII
Seminario scientifico internazionale ‘Diritto romano e
attualità’ in tema di ‘Assemblee popolari’, 28 aprile
- 3 maggio 2017 in Sucha Beskidzka (regione di Cracovia, Polonia). Vorrei ringraziare di cuore l’amico e collega prof. Osvaldo
Sacchi che ha revisionato il testo italiano.
[2] Ved.: A.N.
STOYANOV, Istoriya advokatury. Vypusk pervyj: Drevnij mir, Egipet, Indiya,
evrei, greki, rimlyane. Charkov 1869, 46-139; E.V. VAS’KOVSKIY, Organizatziya advokatury. Chast I.
Ocherk vseobscey istorii advokatury. 1893, 24-43; O.VISCHNEVSKAYA, Institut oplaty advokata v Drevnem Rime,
in Yuridicheskij bisnes.
№10-11, 2009, 66-69; S.Yu. MAKAROV, Vechnost’ problem advokatskoy etiki na primere deyatel’nosti advokatov Drevnego Rima, in Advokatskaya praktika №5, 2010, 23-25; S.A. SOLOVIOV, Institut oplaty truda advokata v Drevnem Rime perioda respubliki, in Kazanskaya nauka.
№11 Kazan’ 2011, 301-304;
IDEM. Institut advokatury v Drevnem Rime: istoriko-pravovoy aspect, in Molodoy uchionyj.
№6. 2013, 582-587; IDEM. Vozniknovenie
instituta advokatury iz patronata Drevnego Rima, in Nauchnaya set’ Sovremennoe pravo. № 1, 2015, 139-143.
[3] La storiografia occidentale sul
tema è enorme, mi limito a citare pertanto solo i lavori più
noti: J.W. Kubitschek,
Advocatus, in RE. Bd. 1. Stuttgart 1894, 436-438; Idem, Advocatus fisci, in: RE. Bd. 1. Stuttgart 1894, 438-439; Idem, Causidicus, in: RE, Bd. III/2, Stuttgart 1899, 1812-1813; P. Augusto,
Gli avvocati di Roma antica.
Nicola Zanichelli 1900; A. Pierantoni, Gli
avvocati di Roma antica, Bologna
1900; E. W. Timberlake, Origin and Development of Advocacy as a
Profession, in: Virginia Law Review. Vol.
9, No. 1, 1922, 25-29; V. Arangio-Ruiz, Avvocatura, in: Enciclopedia italiana di
scienze, lettere ed arti, Roma 1949, 678-679; P. Fiorelli, Avvocato e procuratore, in: Enciclopedia del diritto, IV, Milano
1959, 646-47; A.-H. Chroust, Legal Profession in Ancient Republican Rome,
in: Notre Dame Law Review.
30, 1954, 97-148; F. Wieacker, Cicero als Advokat, Berlin 1965; R. Rossi, Observaciones sobre la figura del abogado en derecho romano, in: Studi in onore di Giuseppe Grosso, III,
Torino 1970, 269 ss.; K.Z. Mehesz, Advocatus
Romanus, Buenos Aires
1971; A.
Carcaterra, Le operazioni
dell’‘avvocato’. Euristica e logica a fronte della
‘narratio’ dell’interessato, in: Studia et Documenta Historiae et
Iuris. 52, 1986,
73 ss.; G. Broggini, Cicerone
avvocato,
in: Jus 37, 1990, 143
ss.; J.-M. David, Le
patronat judiciaire au dernier siècle de la République Romaine, Roma 1992, 51 ss.; J. Crook, Legal Advocacy in the Roman World. London 1995; A.A. Dimopoulou, La rèmunèration de l’assistance
en justice. Étude sur la relation avocat-plaideur
à Rome. Atene 1999; G. Sposito, Il luogo
dell’oratore. Argomentazione topica e retorica forense in Cicerone, Napoli 2001; C. Corbo, La figura
dell’advocatus nella
cultura giuridica romana, in: Rivista della Scuola superiore
dell’economia e delle finanze. n.5. 2005, 1-16; O.TELLEGEN COUPERUS, Roman Law and Rhetoric, in: Revue belge de Philologie et d'Histoire 1(84),
2006, 59-75; R.L. Enos, The advocates of pre‐ciceronian Rome: Cicero's standard for forensic oratory. 2009, 54-62; O. Bucci, La professione
forense, “odiosa alle persone oneste” (Ammiano Marcellino),
“ombra di una parte della politica” (Platone) e “mala
arte” (Epicuro), in: Studi in
onore di A.Metro, vol. I, Milano 2009, 181-221; Powell, Paterson (Ed.), Cicero the Advocate. Oxford 2010; L. DE GIOVANNI, L'avvocato
nella Roma antica. Alcune testimonianze. Napoli 2014; L. De Maddalena, Litis causa malo more
pecuniam promittere. Sulla
contrarietà ai boni mores del
“patto di quota lite”. Milano 2015, 51-66.
[4] Alcuni studiosi pensano che questo testo
è di Pseudo Asconio vissuto nel IV sec. d.C. Anche se è
così, è molto verosimile che il frammento si fondi sul testo di
Asconio stesso del I sec. d.C. Il contenuto del frammento citato (che ci
dà l’interpretazione propriamente repubblicana dell’istituto
di protezione giudiziaria, dato che non tiene conto della fusione in età
imperiale dei concetti di patronus causae
e di advocatus) in ogni caso ci
permette di parlare della sua origine repubblicana. Ved.: J.W. Kubitschek,
Advocatus, cit., 436; Th. Mayer-Maly, Advocatus, in Der Kleine Pauly Lexikon der Antike, Stuttgart 1964, 80-81.
[5] J.-M. David, Le patronat judiciaire, cit., 67.
[6] Dionys. 2. 10. 1-4: Ἦν δέ τὰ ὑπ’ἐκείνου τότε ὁριςθέντα καὶ μέχρι πολλοῦ παραμείναντα χρόνου Ῥωμαίοις ἔθη περὶ τὰς πατρωνείας τοιάδε· τοὺς μέν πατρικίους ἔδει τοῖς ἑαυτῶν πελάταις ἐξηγεῖσθαι τὰ δίκαια, ὧν οὐκ εἰχον ἐκεῖνοι τὴν ἐπιστήμιαν, ... δίκας τε ὑπέρ τῶν πελατῶν ἀδικουμένων λαγχάνειν, ... ὡς δέ ὀλίγα περὶ πολλῶν ἄν τις εἴποι πᾶσαν αὐτοῖς εἰρήνην τῶν τε ἰδὶων καὶ τῶν κοινῶν πραγμάτων, ἧς μάλιστα ἐδέοντο, παρέχειν … 4. … τῶν δέ πατρικίων ἧκιστα βουλομένων τοῖς πελάταις ἐνοχλεῖν χρηματικήν τε οὐδεμίαν δωρεὰν προσιεμένων … Cfr.: Plut. Romul. 13. 8: ἑτέροις δέ τοὺς δυνατοὺς ἀπὸ τῶν πολλῶν διῄρει, πάτρωνας ὀνομάζων, ὅπερ ἐστὶ προστάτας, ἐκείνους δέ κλίεντας,
ὅπερ ἐστὶ πελάτας·
... οὗτοι μέν γὰρ ἐξηγητάς τε τῶν νομίμων καὶ προστάτας δικαζομένοις συμβούλους τε πάντων καὶ κηδεμόνας ἑαυτοὺς παρεῖχον ...
[7] Livius 34. 4. 9: quid legem Cinciam de donis et
muneribus nisi quia uectigalis iam et stipendiaria plebs esse senatui coeperat?
[8] A.
v. Premerstein, Clientes in: RE. Hbd. 7. Stuttgart, 1990, 24 ff.; F.Canali De Rossi, Il
ruolo dei patroni nelle relazioni politiche fra il mondo greco e Roma in
età repubblicana ed augustea. Leipzig: Walter de Gruyter. 2001, 3 s.; L. Fascione, Storia del diritto privato romano.
Torino 2008, 78.
[9] Leges XII tab. VIII. 21: 21. Patronvs
si clienti fravdem faxit, sacer esto. Cfr.: Plut. Rom.
13; Gell. 20. 1. 40.
[10] Sulla santità del rapporto di
ospitalità ved.: R.Leonhard Hospitium in: RE. Hbd. XVI. Stuttgart 1913,
2493–2498.
[11] Livius 2. 31. 8-9: namque Ualerius … omnium actionum in senatu primam habuit pro
uictore populo, rettulitque quid de nexis fieri placeret. quae cum reiecta
relatio esset, 'non placeo' inquit, 'concordiae auctor. optabitis,
mediusfidius, propediem, ut mei similes Romana plebis patronos habeat.
[12] Livius 6. 18. 14: proinde adeste;
prohibete ius de pecuniis dici. ego me
patronum profiteor plebis, quod mihi cura mea et fides nomen induit. Cfr: Livius
6. 14. 5: parenti plebis Romanae.
[13] Livius 6.
20. 6: homines prope quadringentos
produxisse dicitur, quibus sine fenore expensas pecunias tulisset, quorum bona uenire,
quos duci addictos prohibuisset.
[14] Livius 43. 16. 3: ueteres publicani … tribunum plebis P.
Rutilium, ex rei priuatae contentione iratum censoribus, patronum causae nancti
sunt.
[15] Dionys. 2.
11. 1: Οὐ μόνον δʹ ἐν αὐτῇ τῇ πόλει τὸ δημοτικὸν ὑπὸ τὴν προστασίαν τῶν πατρικίων ἦν, ἀλλὰ καὶ τῶν ἀποίκων αὐτῆς πόλεων καὶ τῶν ἐπὶ συμμαχίᾳ καὶ φιλίᾳ προσελθουσῶν καὶ τῶν ἐκ πολέμου κεκρατημένων ἑκάστη φυλακας εἴχε καὶ προστάτας οὓς ἐβούλετο Ῥωμαίων. καὶ πολλάκις ἡ βουλὴ
τὰ ἐκ τούτων ἀμφισβητὴματα τῶν πόλεων καὶ ἐθνῶν ἐπὶ τοὺς προσταμένους αὐτῶν ἀποστέλλουσα, τὰ ὑπ’ ἐκείνων δικασθέντα κύρια ἡγεῖτο. Più dettaglitamente sul patronato nei rapporti
internazionali ved.: A. Calore, Hostis e primato del diritto, in Ius antiquum. No. 1 (31). Mosca 2015, 99-129.
[16] J.-M. David, Le patronat judiciaire, cit., 74.
[17] Livius 43. 2. 1-5: Hispaniae
deinde utriusque legati aliquot populorum in senatum introducti. (2) ii de
magistratuum Romanorum auaritia superbiaque conquesti, nixi genibus ab senatu petierunt,
ne se socios foedius spoliari uexarique quam hostis patiantur. L. Canuleio
praetori, qui Hispaniam sortitus erat, negotium datum est, ut in singulos, a
quibus Hispani pecunias repeterent, quinos recuperatores ex ordine senatorio
daret patronosque, quos uellent, sumendi potestatem faceret. 4. uocatis in
curiam legatis recitatum est senatus consultum, iussique nominare patronos. 5.
quattuor nominauerunt…
[18] Ved. su questo caso: Gell. 6. 3; App. Pun. 65; Kofanov L., Sacchi O. Il sistema
“esterno” del diritto romano. Ius naturae ius
gentium e diritto commerciale nel pensiero giuridico antico. Napoli:
Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, 225.
[19] Livius 9. 20. 10: Antiatibus quoque, qui se sine legibus certis, sine magistratibus agere querebantur, dati ab
senatu ad iura statuenda ipsius coloniae patroni; nec arma modo sed iura etiam
Romana late pollebant.
[20] App. BC. II. 1. 4: ἁπάσαις πόλεσιν ἔστι τις ἐν Ῥώμῃ προστάτης.
[21] F. Canali De Rossi, Il
ruolo dei patroni, cit., 3-32; Idem. Ambascerie
dal mondo greco a Roma: omissioni, errori, novità e studi recenti, in: Veleia.
26, 2009, 13-46.
[22] См.: G. Wesener, Vindex,
in: RE. Suppl. XIV. München,
1974, 885-895; G. Nicosia,
Il processo privato romano. II: La
regolamentazione decemvirale. Torino 1986, 53-63; B. Albanese, Il processo privato romano delle legis
actiones, Palermo 1993, 32-34, 38-41; G. Nicosia,
Vindex e manus iniectio nelle XII
tavole, in: G. Nicosia, Silloge. Catania 1998, 473-478; B. Albanese,
Osservazioni su XII tab. 1.4: il
vindex per adsidui e proletarii, in: Index,
26, 1998, 19-38; L. Franchini, La desuetudine delle XII Tavole
nell’età arcaica. Milano 2005, 54-62.
[23] Sulla comparazione dei termini vindex
e vas
ved.: L.Franchini, La desuetudine delle XII Tavole, cit.,
54-62.
[24] Lex. XII t. III. 3: Ni ivdicatvm facit avt qvis endo eo in ivre vindicit,
secvm dvcito…;
III. 5: Erat autem ius interea paciscendi ac, nisi pacti forent, habebantur in uinculis dies sexaginta. Inter eos dies trinis nundinis continuis ad praetorem in comitium producebantur, quantaeque pecuniae iudicati essent,
praedicabatur. Cfr.: Gai. Inst. IV.
21; 25.
[25] Livius 6. 14. 9-10: 'ne quem uestrum' inquit, 'Quirites, donec quicquam in re mea
supererit, iudicatum addictumue duci patiar.' id uero ita accendit animos, ut
per omne fas ac nefas secuturi uindicem libertatis uiderentur; Livius 6. 18. 8: ipse uindex uester, ubi uisum inimicis est, nullus repente fui, et
uidistis in uincula duci uniuersi eum qui a singulis uobis uincula depuleram.
[26] Livius 2. 1. 8: Brutus … non acrior uindex libertatis
fuerat quam deinde custos fuit.
[27] Timberlake, op. cit., 25-29; Chroust, op. cit., 97-148; CORBO 2005,
4; M.C. Alexander, Law in the
Roman Republic, in A companion to the
Roman Republic. Ed. by N. Rosenstein and R. Morstein-Marx. Malden, Oxford,
Carlton 2006, 236-255; E. Deniaux, Patronage, in A companion to
the Roman Republic. Ed. by N. Rosenstein and R. Morstein-Marx. Malden,
Oxford, Carlton, 2006, 401-420; 2006, 401-420; S.A. SOLOVIOV, Vozniknovenie instituta advokatury, cit., 139-143.
[28] E.V. Vas’kovskiy, Organizatziya advokatury, cit., 25.
[29] S.A. SOLOVIOV, Institut
advokatury, cit., 582-587.
[30] Per esempio, L. De Maddalena, Litis causa malo more
pecuniam promittere, cit., 53 s., giustamente focalizza la sua attenzione
sul periodo di sviluppo della professione forense romana prima della lex Cincia del 204 a.C., lasciando
aperta la questione del tempo della sua nascita.
[31] J.-M. David, Le patronat judiciaire, cit., 51; Idem. Rhetoric
and Public Life in: A companion
to the Roman Republic / ed. by N. Rosenstein and R. Morstein-Marx. Malden,
Oxford, Carlton 2006,
421-438.
[32] Idem, Le patronat judiciaire,
cit., 422-431.
[33] Idem, 475.
[34] Plaut. Vidul. 56-62: (Cac.) ibo et quaeram, si quem possim sociorum nanciscier / seu quem norim, qui advocatus adsit... / Gorg... huc adducito... / ... tu si quem vis invenire tibi patronum, quaerita; / perfidiose numquam quicquam hic agere
decretu<m>st mihi. / Cac. Qur, malum, patronum quaeram, postquam litem perdidi? Cfr.: Plaut. Menaech.
798-800; Teren. Ad. 676-677, dove avvocato fa l’accusa (causam dicit).
[35] Plaut. Poen. 506: sicut ego hos duco advocatos, homines
spissigradissimos... 531-532: nunc
vos quia mihi advocatos dixi et testis ducere... 545-546: Advocati. Si quid
tu placide otioseque agere vis, operam damus; / si properas, cursores meliust
te advocatos ducere. Ved.
anche: Plaut. Poen.
545-546; 563-568; 767; 805-816.
[36] Plaut. Trinum. 1161-1163: Call. Ius hic orat. Lys. Impetrabit te advocato atque arbitro. / istac lege filiam tuam spónden mi uxorem dari? / Ch.
Spondeo. C. Et ego spondeo
ídem hoc. L. Oh salvete, adfines mei.
[37] Livius 3. 46. 5-8: cum dilatum tempus iniuriae esset secessissentque aduocati puellae... 7. cum instaret adsertor
puellae ut uindicaret sponsoresque daret, atque id ipsum agi diceret Icilius,
sedulo tempus terrens dum praeciperent iter nuntii missi in castra, manus
tollere undique multitudo et se quisque paratum ad spondendum Icilio ostendere.
8. atque ille lacrimabundus
'gratum est' inquit; 'crastina die uestra opera utar; sponsorum nunc satis
est.' ita uindicatur Uerginia spondentibus propinquis.
[38]
Cicero Pro Quint. 31: modum solent homines nobiles; seu recte seu perperam facere coeperunt, ita in utroque excellunt ut nemo nostro loco natus adsequi possit–iniuriam facere fortissime perseverat; aut satis dare aut sponsionem iubet facere, et interea recusantis nostros advocatos acerrime submoveri.
[39] J.-M. David,
Le patronat judiciaire, cit., 479
con riferimento a Livio 38. 50. 10 – 51. 12.
[40] Idem, 483.
[41] Asconius pp. 20;
28 C: Defenderunt Scaurum sex patroni,
cum ad id tempus raro quisquam pluribus quam quattuor uteretur: at post bella
civilia ante legem Iuliam ad duodenos patronos est perventum… Laudaverunt
Scaurum consulares novem...
[42] Ibid. con riferimento a Val.
Max. VIII. 1 (abs). 10: M.
quoque Aemilius Scaurus repetundarum reus adeo perditam et conploratam defensionem in iudicium attulit, ut, cum accusator diceret lege sibi centum atque xx hominibus denuntiare testimonium licere seque non recusare quominus absolueretur,
si totidem nominasset, quibus in prouincia nihil abstulisset,
tam bona condicione uti non potuerit.
tamen propter uetustissimam nobilitatem et recentem memoriam patris absolutus est.
[43] J.-M. David, Le patronat judiciaire, cit., 483.
[44] Cicero Font. 32: …omnes legati nostri qui illo triennio in Galliam venerunt, omnes equites Romani qui in illa provincia fuerunt, omnes negotiatores eius provinciae, denique omnes in Gallia qui sunt socii populi Romani atque amici, M. Fonteium incolumem esse cupiant, iurati privatim et publice laudent…
[45] Sallustius Iugurt. 35.
9: igitur, quamquam in priore actione ex amicis quinquaginta vades dederat...
[46] Livius 2. 55. 6: tum Uolero et praeualens ipse et adiuuantibus aduocatis repulso lictore...
[47] Livius 3. 47. 1: at in urbe prima luce cum ciuitas in foro exspectatione erecta staret, Uerginius sordidatus filiam secum obsoleta ueste comitantibus aliquot matronis cum ingenti aduocatione in forum deducit. circumire ibi et prensare homines coepit et non orare solum precariam opem, sed pro debita petere; Livius 3. 47. 8: cum repelleretur adsertor uirginis a globo mulierum circumstantiumque aduocatorum, silentium factum per praeconem.
[48] Livius 6.
15. 2-3: dictatoris iussu uocatus, … agmine ingenti ad tribunal uenit. hinc senatus, hinc plebs, suum quisque intuentes ducem, uelut in acie constiterant. Livius 6. 19.
7: simul multitudo illa non secum certari
uiderint et ex aduocatis iudices facti erunt.
[49] Sul ruolo del vindex in qualità di fideiussore e di difensore nel processo
dell’epoca delle XII tavole ved.: G.Wesener
Vindex, cit., 885-895; G.
Nicosia, Vindex e manus iniectio,
cit., 473-478; B.Albanese, Osservazioni su XII tab. 1.4, cit., 19-38; L. Franchini, La
desuetudine delle XII Tavole, cit., 54-62.
[50] Livius 25. 3. 13: ea fraus indicata M. Aemilio praetori priore anno fuerat ac per eum ad senatum
delata nec tamen ullo senatus consulto notata, quia patres ordinem publicanorum
in tali tempore offensum nolebant. populus
seuerior uindex fraudis erat; excitatique tandem duo tribuni plebis, Sp. et L. Caruilii,
cum rem inuisam infamemque cernerent, ducentum milium aeris multam M. Postumio
dixerunt… 18.
turbandae rei causa publicani per uacuum submoto locum cuneo inruperunt
iurgantes simul cum populo tribunisque. nec procul dimicatione res erat…
[51] Livius 38. 50. 10: haec agitata sermonibus,
donec dies causae dicendae uenit. nec alius antea quisquam nec ille ipse Scipio consul censorue maiore omnis generis hominum frequentia quam reus illo die in forum est deductus… 51. 6.
citatus reus magno agmine amicorum clientiumque per mediam contionem ad Rostra
subiit …
[52] Ved. ad esempio: L. De Maddalena, Litis
causa malo more pecuniam promittere, cit., 52, n. 69.
[53] Livius 1. 26. 5: rex ne ipse tam tristis ingratique ad uolgus
iudicii ac secundum iudicium supplicii auctor esset, concilio populi aduocato…
Sull’autenticità della tradizione antica del processo contro
Orazio nella quarta finale del VII
sec. a.C. ved.: G.
Grosso, ‘Provocatio’
per la ‘perduellio’, ‘provocatio sacramento’ e ordalia, in: BIDR 63,
1960, 213 ss.; G. Crifò, Alcune osservazioni in tema di ‘provocatio ad
populum’,
in: Studia et documenta historiae et
iuris, 29. 1963, 290; B. Liou-Gille, La ‘perduellio’: les
procès d’Horace et de Rabirius, in:
Latomus 53.1.
1994, 6; С. Pelloso, Provocatio ad populum e poteri
magistratuali dal processo all’Orazio superstite alla morte di Appio
Claudio decemviro, in: Studia et documenta historiae et iuris. 82, 2016,
219-264.
[54] Livius 6. 18. 3: et Manlius aduocata domum plebe cum principibus
nouandarum rerum interdiu noctuque consilia agitat.
[55] Livius
10. 21. 14: haec et – iam appetebat
tempus – comitiorum causa L. Uolumnius consul Romam reuocatus; qui
priusquam ad suffragium centurias uocaret, in contionem aduocato populo multa
de magnitudine belli Etrusci disseruit.
[56] Livius 42. 33. 1: ad subsellia tribunorum res agebatur; eo M. Popilius consularis, aduocatus <centurionum, et> centuriones et consul uenerunt. consule inde postulante, ut in contione ea res ageretur, populus in contionem aduocatus.
[57] Lact. Inst. 4. 26. 21: Corona dicitur circumstans in orbem populus.
[58] Cicero Brut. 191-192: poema enim reconditum paucorum adprobationem,
oratio popularis adsensum volgi debet movere. at si eundem hunc Platonem unum auditorem haberet Demosthenes, cum esset relictus a ceteris, verbum facere non posset. quid tu, Brute? possesne, si te ut Curionem quondam contio reliquisset? Ego vero, inquit ille, ut me tibi indicem, in eis etiam causis, in quibus omnis res nobis cum iudicibus est, non cum populo, tamen si a corona relictus sim, non queam dicere. Ita se, inquam, res habet. ut, si tibiae inflatae non referant sonum, abiciendas eas sibi tibicen putet, sic oratori populi aures tamquam tibiae sunt; eae si inflatum non recipiunt aut si auditor omnino tamquam equus non facit, agitandi finis faciendus est.
[59] Cicero Brut. 289-290: at cum isti
Attici dicunt, non modo a corona, quod est ipsum miserabile, sed etiam ab
advocatis relinquuntur… 290. volo hoc oratori contingat, ut cum auditum sit
eum esse dicturum, locus in subselliis occupetur, compleatur tribunal, gratiosi
scribae sint in dando et cedendo loco, corona multiplex, iudex erectus; cum surgat is qui
dicturus sit, significetur a corona silentium, deinde crebrae adsensiones,
multae admirationes; risus, cum velit, cum velit, fletus.
[60] Livius 38. 51. 12. ab Rostris in Capitolium ascendit. simul se uniuersa contio auertit et
secuta Scipionem est, adeo ut postremo scribae uiatoresque tribunos
relinquerent, nec cum iis praeter seruilem comitatum et praeconem qui reum ex
Rostris citabat, quisquam esset. 13. Scipio non in Capitolio modo, sed per
totam urbem omnia templa deum cum populo Romano circumiit. 14. celebratior is
prope dies fauore hominum et aestimatione uera magnitudinis eius fuit, quam quo
triumphans de Syphace rege et Carthaginiensibus urbem est inuectus.
[61] Cicero Brut. 305: Reliqui qui tum principes numerabantur in magistratibus erant cotidieque fere a nobis in contionibus audiebantur. erat enim tribunus plebis tum C. Curio, quamquam is quidem silebat, ut erat semel a contione universa relictus. Cfr.: Cicero Brut. 192; 289.
[62] Cicero Pro Mil.
1-2: tamen haec novi iudici nova forma terret oculos qui, quocumque inciderunt, veterem consuetudinem fori et pristinum morem iudiciorum requirunt. Non enim corona consessus vester cinctus est, ut solebat; non usitata frequentia stipati sumus; non illa praesidia quae pro templis omnibus cernitis, etsi contra vim conlocata sunt, non adferunt tamen oratori terroris aliquid, ut in foro et in iudicio, quamquam praesidiis salutaribus et necessariis saepti sumus, tamen ne non timere quidem sine aliquo timore possimus.
[63] Gelliuis 13. 16. 1: Idem Messala in eodem libro de minoribus magistratibus ita scripsit: 'Consul ab omnibus magistratibus et comitiatum et contionem auocare potest. Praetor et comitiatum et contionem usquequaque auocare potest nisi a
consule. Minores magistratus nusquam nec comitiatum nec contionem auocare
possunt.
[64] Dionys. 7.
17. 5: ὁ νόμος · Δημάρχου γνώμην ἀγορεύοντος ἐν δήμῳ μηδεὶς λεγέτω μηδέν ἐναντίον μηδέ μεσολαβείτω τὸν λόγον. ἐὰν δέ τις παρὰ ταῦτα ποιήσῃ, διδότω τοῖς δημάρχοις ἐγγυητας αἰτηθεὶς εἰς ἔκτισιν ἦς ἂν ἐπιθῶσιν αὐτῷ ζημίας. ὁ δέ μὴ διδοὺς ἐγγθητὴν θανάτῳ ζημιούσθω, καὶ τὰ χρὴματ’ αὐτοῦ ἱερα ἔστω. τῶν δ’ ἀμφισβητούντων πρὸς ταύτας τὰς ζημίας αἱ κρίσεις ἔστωσαν ἐπὶ τοῦ δήμου.
[65] Livius 43. 16. (169
a.C.): 8. diem ad rogationem concilio
tribunus plebis dixit. qui post<quam> uenit, ut censores ad dissuadendum
processerunt, Graccho dicente silentium fuit; <cum> Claudio
obstreperetur, audientiam facere praeconem iussit. 9. eo facto auocatam a se
contionem tribunus questus et in ordinem se coactum ex Capitolio, ubi erat
concilium, abit. postero die ingentis tumultus ciere... (11) C. Claudio diem
dixit, quod contionem ab se auocasset; et utrique censori perduellionem se
iudicare pronuntiauit diemque comitiis a C. Sulpicio praetore urbano petit.
[66] De vir. ill. 65.
5: Gracchus imprudens contionem a tribuno plebis avocavit; qua re arcessitus cum in senatum non venisset, armata familia Aventinum occupavit. Cfr.: De vir. ill. 73. 2: quod is eo die, quo ipse contionem habebat, ius dicendo partem populi avocasset, sellam concidit, ut magis popularis videretur.
[67] La bibliografia
sull’origine e sullo sviluppo della provocatio ad populum è molto
ampia, ved. ad esempio: G. Grosso, Monarchia, ‘provocatio’ e processo popolare, in: Studi in onore di P.
De Francisci, 2,
Milano 1956, 3 ss.; Idem. ‘Provocatio’,
cit., 213 ss.; E S. Stavely,
Provocatio during the Fifth and Forth Centuries B.C., in Historia.
55. Bd. 3. 1954, 416-417; J. Bleicken, Ursprung und Bedeutung der Provocatio,
in: ZSS 76
1957 (1959), 356 ss.; W. Kunkel, Untersuchungenzur
Entwicklung des römischen Kriminalverfahren in vorsullanischer Zeit,
München, 1962, 28 ss., 36 ss., 48 ss.; L.
Amirante, Sulla ‘provocatio ad populum’
fino al 300, in: Iura 34,
1983, 1 ss.; M. Humbert, Le tribunat de la plèbe et le
tribunal du peuple. Remarques sur l’histoire de la ‘provocatio ad
populum’, in: MEFRA 100,
1988, 468 ss.; J. J. De Los Mozos Touya,
La ‘provocatio
ad populum’ como garantia jurídica del ciudadano romano y
manifestación de cohesión social,
in: Helmantica 45,
1994, 177 ss.; B. Santalucia, Studi di diritto penale romano,
Roma 1994, 8 ss., 146 ss., 234 ss.; V.V.
Dementieva, Sudebnaya vlast’ vysscych magistratov Rimskoy respubliki, in:
V.V.Dementieva, M.E. Erin (red.), Obscestvo,
vlast’, politika: problemy vsemirnoy istorii. Sb. Nauc. Tr. Yaroslavl’
2005, 9-24; R. Pesaresi, Improbe
factum. Riflessioni sulla provocatio ad populum, in: Studi
in onore de L. Labruna. A cura di C. Cascione e C. Masi Doria. VI. Napoli
2009, 4179-4206; A.Lintott, Provocatio
e iudicium populi dopo Kunkel, in:
La repressione criminale nella Roma repubblicana fra norma e persuasione.
Ed. B. Santalucia. Pavia, 2009,
15-24; N. De Luca,
Praesidium libertatis: le leges
Valeriae de provocatione,
in: Index 38. 2010, 89 ss.; M. Ravizza, Su
alcuni casi di collisione tra pontefice massimo e sacerdoti-magistrati, in:
Rivista di diritto romano 13. 2013,
1-14; L.Rodriguez-Ennes, ‘Verberatio’ y ‘provocatio ad populum’,
in: Direito romano: poder
e direito, Coimbra 2013, 811-827; E.Tassi Scandone, ‘Leges Valeriae de provocatione’. Repressione criminale e
garanzie costituzionali nella Roma repubblicana, Napoli 2008; C. Pelloso,
Provocatio ad populum, cit., 219-264; Idem. Ai primordi del
giudizio popolare: poena capitis e
garanzie del civis nella prima
etа repubblicana, in: Regole e
garanzie nel processo criminale romano. A cura di L. Solidoro.
Torino, 2016. 83-120. L’elenco
bibliografico più pieno ved.: F. E. Garzón, Derecho
criminal romano. Aportes
a problemas actuales en relación con los “delitos contra la
administración pública” in: Revista digital de Derecho Administrativo,
n.º 16, 2016, 51-102.
[68] Livius 2. 23. 8;
3. 56. 7.
[69] Livius 2. 55.
6-7; 3. 58. 5. Ср.:
Livius 3. 45. 9; Plaut. Rud. 615.
[70] Sul significato di «implorare protezione» della frase implorare fidem e di
«difesa» per la parola fides
nei frammenti citati di Livio ved.: A.
Souter, J.M. Wyllie (Ed.),
Oxford Latin Dictionary, Oxford 1968,
848 imploro; C.T. Lewis, C. Short (Ed.),
A Latin Dictionary. Oxford
1958 (=1879), 747 fides; 905 imploro.
[71] A. Souter, J.M. Wyllie (Ed.), 54 adsum (11).
[72] Livius 2. 23. 11: postulare multo minaciter magis quam suppliciter ut senatum uocarent;
curiamque ipsi futuri arbitri moderatoresque publici consilii circumsistunt.
[73] Livius 2. 27. 8-9: desperato enim consulum senatusque auxilio, cum in ius duci debitorem uidissent, undique conuolabant. neque decretum exaudiri consulis prae strepitu et clamore poterat,
neque cum decresset quisquam obtemperabat. 9. ui agebatur, metusque omnis et periculum, cum in conspectu consulis singuli a pluribus uiolarentur, in creditores a debitoribus uerterant.
[74] Livius 2. 27. 12: insignem ducem seditionum iussit. ille cum a lictoribus iam traheretur prouocauit;
nec cessisset prouocationi consul, quia non dubium erat populi iudicium, nisi aegre uicta pertinacia foret consilio magis et auctoritate principum quam populi clamore.
[75] Ved. il processo del 473 a.C.
(Livius 2. 55. 3) e anche caso del
326 a.C. che causò l’abolizione della schiavutù dei
debitori insolventi: Livius 8. 28.
5: quibus laceratus iuuenis cum se in publicum proripuisset, libidinem crudelitatemque conquerens feneratoris, ingens uis hominum cum aetatis miseratione atque indignitate iniuriae accensa, tum suae condicionis liberumque suorum respectu, in forum atque inde agmine facto ad curiam concurrit.
[76] Dionys. 7. 56. 3; 58. 1; Plut. Marc. 20. 1.
[77] Dionys. 7. 51. 2: (ὁ δῆμος) · προειπὼν ἡμέραν ῥητὴν εἰς αὐτὴν ἐκάλει τὸν ἄνδρα ὡς δίκην ὑφέξοντα, ἧς αὐτὸς ἔμελλεν ἔσεσθαι κατήγορός τε καὶ μάρτυς ...
[78] Dionys. 7. 54. 3: παρεῖναι μέντοι τῇ δίκῃ συνεβούλευε καὶ σθναπολογεῖσθαι τῷ ἀνδρὶ καὶ τὸν δῆμον ἀξιοῦν μηθέν διαγνῶναι περὶ αὐτοῦ χαλεπὸν τούς θ’ ὑπατους καὶ τοὺς ἐκ τοῦ συνεδρίου πάντας καὶ τοὺς ἄλλους πατρικίους κατὰ πλῆθος ἀφικομένους συνοί ... καὶ πελάτας ἕκαστον τοὺς αὑτοῦ παρακαλεῖν καὶ φίλους συνάγειν, καὶ εἴ τινας οἰκείως ἔχειν σφίσι τῶν δημοτικῶν δι’ εὐεργεσίας ὑπολαμβάνουσι, καὶ τοὺτους νυνὶ τὴν πρότερον ὀφειλομένην χάριν ἐπὶ τῆς ψηφοφορίας ἀπαιτεῖν.
[79] Livius 2. 35. 4-5: restiterunt tamen aduersa inuidia, usique sunt
qua suis quisque, qua totius ordinis uiribus. ac primo temptata res est si dispositis clientibus absterrendo singulos a
coitionibus conciliisque disicere rem possent. uniuersi deinde processere (quidquid erat patrum, reos diceres) precibus
plebem exposcentes, unum sibi ciuem, unum senatorem, si innocentem absoluere nollent, pro nocente donarent.
[80] Sulla storia delle cosiddette
«accuse popolari» Ved.: D.Mantovani, Il problema d’origine dell’accusa popolare. Dalla
“quaestio” unilaterale alla “quaestio” bilaterale. Padova
1989, passim.
[81] Dionys. 7. 41. 3: οὐ γὰρ δὴ τοῦτο γ’ ἂν εἴποι τις, ὅτι τῶν μέν ἰδιωτῶν [ὄντων] οἷς τὸ μειονεκτεῖν συμβαίνει περὶ τὰς κρίσεις κυρίαν εἰναι δεῖ τὴν ἐπὶ τὸν δῆμον πρόκλησιν, ἡμῖν δέ τοῖς δημάρχοις ἄκυρον.
[82] Ved.: J.J. De
Los Mozos Touya, La ‘provocatio ad populum’, cit., 177 ss.
[83] Livius 3. 56. 6: una uindex libertatis...
[84] Livius 3. 45. 8: tribunicium auxilium et provocationem plebi
Romanae, duas arces libertatis tuendae…
[85] Cicero De orat. 2. 199: provocationem,
patronam illam civitatis ac vindicem libertatis... Per un commento a questi
testi di Livio e Cicerone ved.: J.J.
De Los Mozos Touya, La ‘provocatio ad populum’, cit., 179; С.
Pelloso, Provocatio ad populum, cit., 220.
[86] Livius 3. 56. 5: tamen et tribunos appellauit et, nullo
morante arreptus a uiatore, 'prouoco' inquit.
[87] Carlo Pelloso (Provocatio ad populum, cit., 261 ss.) erroneamente pensa che popolo
voleva giudicare Appio nei concilia
tributa plebis, in base alla considerazione che questi non trovò
l’accordo del popolo per un iudicium
populi. Tuttavia, questa ipotesi non sembra poggiare su solide motivazioni,
siccome l’udienza preliminare per Appio si svolse già in contiones popolari e non innnanzi alla
plebe. Livio, descrivendo la contio
in cui Appio si appellò alla provocatio
ad populum, ha chiaramente in mente una contio
popolare (Livius 3. 56. 8). Descrivendo tali udienze come simili alle contiones con l’accusa del collega
di Appio, il decemviro Oppio, lo storico romano indica pertanto che quelle erano
«in conspectu populi»
(Livius 2. 58. 8).
[88] Livius 3. 56. 13: quem enim prouocaturum, si hoc indemnato
indicta causa non liceat?
[89] Dionys. 5. 19. 4: Ἐάν τις ἄρχων Ῥωμαίων τινὰ ἀποκτείνειν ἢ μαστιγοῦν ἢ ζημιοῦν εἰς χρήματα θέλῃ, ἐξεῖναι τῷ ἰδιώτῃ προκαλεῖσθαι τὴν ἀρχὴν ἐπὶ τὴν τοῦ δήμου κρίσιν, πάσχειν δ’ἐν τῷ μεταξὺ ὑπὸ τῆς ἀρχῆς, ἕως ἂν ὁ δῆμος ὑπέρ αὐτοῦ ψηφίσηται. La
trad. nel testo è di F. Cantarelli, Dionisio di Alicarnasso, Storia di Roma arcaica (le antichità
romane), Rusconi, Milano 1984, 420. Cfr.: Dionys. 5. 70. 2: ἐπιτρέψας τοῖς ἀγομένοις ἐπὶ τὰς κολάσεις ὑπ’αὐτῶν προκαλεῖσθαι τὴν διάγνωσιν ἐπὶ τὸν δῆμον, καὶ τέως ἃν ἡ πληθὺς ἐνέγκῃ ψῆφον ὑπέρ αὐτῶν σώμασίτε καὶ βίοις τὸ ἀσφαλές ἔχειν· τὸν δέ παρὰ ταῦτά τι ποιεῖν ἐπιχειροῦντα νηποινὶ τεθνάναι κελεύων. Ved. anche: Dionys. 7. 52.1; Livius
2. 8. 2; Cicero De rep. 2. 53-54; Val. Max. IV. 1. 1; Plut. Popl. 11, 3.
[90] Livius 3. 57. 6: ut haud quoquam improbante, sic magno motu animorum, cum tanti uiri supplicio suamet plebi iam nimia libertas uideretur, in carcerem est coniectus; tribunus ei diem prodixit.
[91] Livius 3. 56. 2: cum diem Appio Uerginius dixisset et Appius stipatus patriciis iuuenibus in forum descendisset...
[92] J.-M. David, Le patronat judiciaire, cit., 24: les comportements
collectifs...
[93] Ved.: B.
Santalucia, Diritto
e processo penale nell’antica Roma. Milano 1998,
85–87. L.L. Kofanov, Rol’ responsa rimskich yuristov v disputatio forensis v
rimskoy grazdanskoy obscine V–I
vv. do n.e., in Vestnik drevney istorii, 4 (291). Moskva
2014, 98.
[94] Livius 3. 58. 5-6: trium tribunorum preces audirent, qui ad auxilium plebis creati ipsi plebis fidem atque auxilium implorarent. iustiores hae lacrimae uidebantur. itaque spe incisa, priusquam prodicta dies adesset, Appius mortem sibi consciuit.
[95] Dionys. 11. 46. 3: εἰσαγγέλλεται δὴ μετὰ τοῦτο εἰς τὸν δῆμον Ἄππιος ὑπὸ τοῦ Οὐεργινίου κατηγορηθεὶς ἐπὶ τῆς ἐκκλεσίας καὶ αἰτεῖται χρόνον εἰς ἀπολογίαν. ἀπαχθεὶς δ’ εἰς τὸ δεσμωτήριον, ἵνα φυλάττηται μέχρι δίκης (οὐ γὰρ ἐδόθη διεγγύησις αὐτῷ) πρὶν ἐπιστῆναι τὴν ἀποδειχθεῖσαν ἡμέραν τῆς κρίσεως ἐν τοῖς δεσμοῖς ἀποθνήσκει ...
[96] Livius 2. 55. 5-9: 6. lictor missus est a consulibus. Uolero appellat tribunos. cum auxilio nemo esset, consules spoliari hominem et uirgas expediri iubent. 'prouoco' inquit, 'ad populum' Uolero... 7. tum Uolero et praeualens ipse et adiuuantibus aduocatis repulso lictore, ubi indignantium pro se acerrimus erat clamor, eo se in turbam confertissimam recipit clamitans: 'prouoco et fidem plebis imploro. adeste, ciues; adeste, commilitones; nihil est quod expectetis tribunos quibus ipsis uestro auxilio opus est.' concitati homines ueluti ad proelium se expediunt, apparebatque omne discrimen adesse; nihil cuiquam sanctum, non publici fore, non priuati iuris. 9. ... consules ... uiolatis lictoribus, fascibus fractis, e foro in curiam compelluntur.
[97] Livius
2. 55. 3: id autem unum consilium esse ut
se ipsa plebs, quando aliud nihil auxilii habeat, defendat.
[98] Cicero Pro Sest. 115 (56 a.C.): Comitiorum et contionum significationes sunt interdum verae, sunt non numquam vitiatae atque corruptae… qui rumore et, ut ipsi loquuntur, favore populi tenetur et ducitur, plausum immortalitatem, sibilum mortem videri necesse est.
[99] Cicero Pro Sest. 126: At vero ille praetor, qui de me non patris, avi, proavi, maiorum denique suorum omnium, sed Graeculorum instituto contionem interrogare solebat, 'velletne me redire,' et, cum erat reclamatum semivivis mercennariorum vocibus, populum Romanum negare dicebat… qui tamen quoquo tempore conspectus erat, non modo gladiatores sed equi ipsi gladiatorum repentinis sibilis extimescebant.
[100] Cicero Pro Sest. 124-127 (56 a.C.): Maximum
vero populi Romani iudicium universi consessu gladiatorio declaratum est…
127. Videtisne igitur quantum <intersit> inter populum Romanum et
contionem? dominos contionum omni odio populi notari, quibus autem consistere
in operarum contionibus non liceat, eos omni populi Romani significatione
decorari?
[101] Ved., per esempio, le accuse e gli
insulti reciproci tra entrambe le parti nel processo penale contro Milone del
56 a.C.: Cicero Q. fr. 2. 3. 1-2: a. d. IIII Non. Febr. Milo adfuit. ei
Pompeius advocatus venit… 2. A. d. VII Id. Febr. Milo adfuit. dixit Pompeius,
sive voluit. nam ut surrexit, operae Clodianae clamorem sustulerunt, idque ei
perpetua oratione contigit, non modo ut acclamatione sed ut convicio et
maledictis impediretur… surrexit Clodius. ei tantus clamor a nostris
(placuerat enim referre gratiam) ut neque mente nec lingua neque ore
consisteret… ille furens et exsanguis interrogabat suos
in clamore ipso quis esset qui plebem fame necaret: respondebant operae
'Pompeius'. Cfr.: Dio Cass. 39. 19. 1-2; Cicero Fam. I. 5b. 1: Postea quam Pompeius et apud populum a. d.
VII Id. Febr., cum pro Milone
diceret, clamore convicioque iact<at>us est…
[102] Livius 44. 34. 1-2: haec cum ita fieri placere contione aduocata
pronuntiasset, adiecit urbanae contioni conuenientem orationem: unum imperatorem in exercitu prouidere et
consulere, quid agendum sit, debere, nunc per se, nunc cum iis, quos
aduocauerit in consilium; qui non sint aduocati, eos nec palam nec secreto
iactare consilia sua.
[103] Sallustius Iugurt.
33. 4: ...in fide et clementia populi Romani...
[104] Sallustius Iugurt. 34. 1-2: deinde
ubi Memmius dicundi finem fecit et Iugurtha respondere iussus est, C. Baebius
tribunus plebis, quem pecunia conruptum
supra diximus, regem tacere iubet, ac tametsi multitudo, quae
in contione aderat, vehementer adcensa
terrebat eum clamore, voltu, saepe impetu atque aliis omnibus, quae ira fieri amat, vicit
tamen inpudentia. ita populus ludibrio habitus ex contione discedit.
[105] Cicero De leg. 3. 27: Marcus
Deinceps i<dc>ir<co> omnibus magistratibus auspicia et iudicia
da<ta sunt>; iudicia, ut esset populi potestas ad quam prouocaretur…