Perdere stercus. La minaccia assurda del Philogelos
85*
ANNA TARWACKA
Facoltà di Giurisprudenza e Amministrazione
Università «Cardinale Stefan
Wyszyński» di Varsavia
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Materiale epigrafico non giuridico.
– 3. Testi
giuridici. – 4. Conclusioni.
– Abstract.
Tra i disagi
che angustiavano gli abitanti delle città antiche assai fastidioso era
quello dei rifiuti, spesso marcescenti, causa di insopportabili odori.
Insopportabile anche il chiasso, specie di notte, allorché le
città si aprivano al traffico dei carri. Fenomeni penosi anche per i
Romani. Ne era ben noto il culto dell’igiene (dove c’erano Romani,
c’erano le terme). Ma Roma puzzava. Per colpa delle fulloniche, che per
sbiancare i tessuti usavano soluzioni a base di urina, raccolta in grandi tini
in cui ogni passante era libero di sfogarsi; per colpa delle latrine, sentine
di fetori nonostante l’acqua corrente; e per colpa dell’immondizia
lasciata imputridire per strada.
Si provava a
provvedere con annunci privati e ufficiali, di cui si ha ampia testimonianza
tanto epigrafica quanto indiretta.
In questa sede
se ne cercherà di appurare l’utilità giuridica, prendendo
le mosse da una facezia del Philogelos[1], un almanacco
databile al IV-V sec. d.C.[2], ma non parco
di storielle dell’età repubblicana.
Una
barzelletta sa disvelare timori, debolezze, briciole del quotidiano:
deformando, coglie la realtà. Qui interessa il giorno per giorno
nell’antica Roma. In una storiella del Philogelos un geloso muore perché
preferisce farsi scoppiare la vescica che sfogarsi in una fullonica[3],
in un’altra un centurione vuol punire un cocchiere che, attraversando un
mercato, ha violato il divieto di traffico diurno[4].
Un’altra ancora prende di petto il problema dell’immondizia
lasciata marcire per strada.
Philogelos 85: Scolastiko;" eij" oijkivan kainh;n metoikisqei;" kai; ta; pro; tou' pulw'no" kaqhvra" ejpevgrayen: $O" a]n kovpria bavlh/, ajpovllusin aujtav.
Un dottorello
traslocò, diede un colpo di ramazza al cortile davanti
all’ingresso e vi annunciò per iscritto: “Chi in questo
luogo lascerà l’immondizia, non l’avrà
indietro”.
Protagonista di questa
storiella[5] è uno dei personaggi
principali del Philogelos: il dottorello - scolastikov", ben istruito, ma spesso a
corto di buon senso. Scholastikos le scuole le ha fatte, ma scarseggia
di esperienza e saggezza al punto da sembrare strano. Uno qui non
intellegit quod omnes intellegunt[6]: questo
il giudizio che ne avrebbero dato i giuresperiti romani. D’altro canto,
ha il pallino della ricerca, dunque uno scienziato con la testa tra le nuvole[7]. Giova
notare che scolastikov" poteva significare anche giurista[8] in
un’accezione piuttosto spregiativa.
Il protagonista di questa facezia[9]
aveva appena traslocato. Non è chiaro se fosse proprietario o
affittuario della “nuova casa”, sebbene proprio quest’ultima
dizione indichi piuttosto la prima ipotesi. Sicuramente era sensibile al decoro
della dimora: per prima cosa aveva fatto le pulizie davanti al suo ingresso.
Con la scritta (in forma di targhetta: libellus fixus[10], o di un graffito murale) intendeva
premunirsi dall’immondizia sotto casa.
Graffiti di simile tenore
furono ritrovati a Pompei ed Ercolano[11],
in cui in vari luoghi campeggia la scritta: Cacator cave malum[12],
un deterrente all’indirizzo dei passanti che per sfogarsi lordassero
muri, altrui proprietà, templi[13].
Costoro potevano prendere di
mira anche i sepolcri[14],
come si evince da epigrafi: “Chiunque emetta qui le orine o le feci,
scatenerà l’ira
delle divinità del cielo e ctonie”[15].
Nel Satiricon di Petronio Trimalcione dichiara di aver provveduto a non
subire offese da morto, investendo per testamento un suo liberto
dell’incarico di far da guardiano al suo sepolcro onde evitare che la
gente vi si sfogasse[16]:
una tutela aggiuntiva di un locus religiosus, qual era un sepolcro,
dalla profanazione.
Le suddette
epigrafi, private ed extragiuridiche, più o meno minatorie, prospettano
conseguenze di ordine sacrale. In alcune il monito è quello di non
sfidare l’ira divina, altre fanno temere una possibile disgrazia – malum.
Solo in via d’eccezione minacciano una pena: poena(m) patiare necese
est cave[17], ma
annunciando piuttosto qualche intervento diretto di cittadini indignati che la
consegna del reo alle autorità.
A proposito di Cacator cave
malum un’ipotesi assai interessante è stata avanzata da ultimo
da Andrea Di Porto[18],
che ha preso le mosse dall’abitudine di lasciare davanti alle follature i
tini da urina: il graffito avrebbe funto dunque da invito a non mescolare
l’urina con altri escrementi. A dire il vero la fisiologia maschile rende
arduo immaginarsi una prassi del genere. Per chi orinasse nel tino, una certa
discrezione era anche possibile; nell’altro caso, non proprio…
Come interpretare, dunque, la
storiella del Philogelos? In latino, l’avvertenza del dottorello
reciterebbe: Quicumque hic stercora iniciat perdit illa, imitando lo
stile giuridico o pseudogiuridico[19],
e declinandosi secondo lo schema: disposizione, sanzione. A far ridere
l’assurda premessa che ci potesse essere qualcuno cui dispiacesse di non
riavere i propri rifiuti.
Particolare
curioso, il dottorello sosteneva in buona sostanza che quanto lasciato in
proprietà altrui dovesse ritenersi perduto. Eppure soltanto in caso di
congiungimento di una cosa mobile con una immobile, il proprietario di
quest’ultima, in virtù del principio superficies solo cedit, acquisiva i fabbricati che vi fossero
stati edificati, gli alberi che vi fossero stati piantati, il frumento che vi
fosse cresciuto. Qualora invece i frutti di un albero fossero caduti sul suolo
del vicino, il proprietario dell’albero aveva il diritto di raccoglierli.
L’aver lasciato una cosa immobile su suolo altrui non provocava dunque la
perdita della proprietà. Nel caso in parola parrebbe tuttavia aversi a
che fare con una derelictio, con l’abbandono, dunque, della cosa
con l’intento di disfarsene. Di conseguenza la cosa diventava res
nullius. Ma quest’argomento non è giuridicamente rilevante.
Poiché tutti potevano
passarci, la strada rasente la dimora del dotterello, che più di tutto
stava a cuore all’autore dell’epigrafe, doveva essere pubblica[20].
La regola superficies solo cedit poteva dunque applicarvisi, e –
a contrario – vi si doveva concludere che una cosa non unita al suolo
rimanesse di proprietà di colui che ve l’avesse lasciata, a meno
che l’avesse fatto di proposito per disfarsene. Ad ogni modo giova
ricordare che in quanto loca publica le strade fossero soggette al
diritto pubblico e tutelate dai magistrati.
A questo punto merita
risaltare ancora un altro particolare dell’epigrafe in argomento. Il
greco kovpria ejkbavllein e il latino stercus
inicere fanno capolino, relativamente ai doveri dei magistrati, in numerose
fonti giuridiche, sia negli scritti di giuristi, sia nelle iscrizioni
epigrafiche[21].
CIL VI 31614
(=ILS 8208):
L.
Sentius C. f. pr(aetor) de sen(atus) sent(entia) loca terminanda coer(avit). B(onum) f(actum). Nei quis
intra terminos propius urbem ustrinam fecisse velit neive stercus cadaver
iniecisse velit.
Lucio
Senzio, figlio di Gaio, pretore, autorizzato da un’opinione del senato,
vigilò sul tracciato delle frontiere. Ben fatto. Che a ridosso dei
confini della città nessuno si azzardi a predisporre ustrini o a
lasciare rifiuti o cadaveri.
Rinvenuta su un cippo,
l’iscrizione riporta un editto del pretore L. Senzio dell’80 a.C.
circa[22].
Assolvendo al compito di tracciare confini affidatogli dal senato, il
magistrato dispose che in città fosse vietato predisporre ustrini e
gettare cadaveri e stercus.
V’è
dell’insolito in quest’intervento del pretore in un ambito
riservato di regola agli edili[23]
e ai quattuorviri
viis in Urbe purgandis[24] posti al loro servizio. Preposto alla nettezza urbana
era inoltre un corpo speciale: gli stercorarii[25].
Degno di nota anche un brano
dei Digesti.
D. 43.10.1.5 (!Ek
tou'
ajstunomikou' monobivblou tou'
Papinianou'): Mh; ejavtwsan de; mhde; mavcesqai ejn tai'" oJdoi'" mhde; kovpron ejkbavllein
mhde; nekra;
mh; devrmata
rJivptein[26].
Il brano è tratto dal
decimo titolo del 43 libro dei Digesti: De via publica et si quid in ea
factum esse dicatur. Come si evince dall’inscriptio, i
compilatori vi fecero confluire un frammento di un’opera di Papiniano
sulla cura urbis. Ma la dottrina rimane perplessa riguardo sia al titolo
che all’autore del brano[27].
Non le è chiaro, tra altro, di quale magistratura si discorra nel brano:
romana o piuttosto locale?[28]
Il dibattito ha risaltato le affinità tra il brano, le norme della Tabula
Heracleensis[29],
e l’epigrafe di Pergamo (databile al II sec. d.C.) su ajstunovmoi[30].
I magistrati in parola erano
chiamati a prevenire tafferugli e vigilare che nessuno lasciasse per strada
l’immondizia – kovpron, cadaveri
né pelli.
Sembra che
l’igiene costituisse un grande problema logistico per le autorità
delle città del Mar Mediterraneo. In città ben lontane si
varavano, talvolta senza saperlo, regolazioni simili a quelle già prese
da altre. Le norme di cui si è finora discusso vigevano tanto a Roma,
quanto nelle città di provincia.
L’obbligo
di mantenere pulite le strade, ovvero della nettezza urbana, gravava sui
magistrati (centrali o locali): al riguardo, le nostri fonti sono concordi.
Quanto però ai tratti di strada adiacenti agli immobili, spettava agli
abitanti ripararli e provvedere alla loro pulizia. La negligenza era passibile
di multa ovvero indurre il magistrato a stipulare con terzi contratti per
l’esecuzione dei suddetti lavori a spese degli abitanti[31].
La procedura
descritta nella Tabula Heracleensis è molto dettagliata[32].
Chi abitava in una casa adiacente ad una strada pubblica, veniva obbligato con
il reficere et tueri oportere alla manutenzione della porzione di strada
su cui prospettava l’edificio. La decisione veniva emanata
dall’edile responsabile per quella parte di città. Nella legge si
menziona infatti l’arbitratus del magistrato. Per precisare la
natura di quest’obbligo occorre far riferimento al seguente brano del
Digesto:
D. 43.11.1.1 (Ulp. 68 ad ed.): sed et purgare refectionis
portio est.
Il verbo reficere
denota anche la pulizia (purgare). Si può quindi dire che gli
abitanti erano responsabili anche per la pulizia della strada davanti alle loro
case. Il mancato adempimento di questo dovere poteva comportare azioni da parte
del magistrato responsabile. L’edile doveva iniziare la procedura della
locazione pubblica attraverso un’informazione scritta da pubblicarsi al
foro davanti al suo tribunale con dieci giorni di anticipo, precisando la
strada, l’edificio in questione e la data dell’asta. Anche il
proprietario dell’edificio e il suo procuratore dovevano ricevere queste
informazioni. Lo stesso contratto di locazione veniva concluso nel foro, sotto
la guida del questore urbano e a pagare la quota del contratto veniva obbligato
il proprietario dell’edificio. Nel caso in cui nell’edificio ci
fossero stati più proprietari di appartamenti, questi pagavano pro
portioni. Le quote erano registrate nelle tabulae publicae e
dovevano essere pagate al redemptor entro trenta giorni. Il mancato
pagamento comportava un aumento del 50% della quota dovuta.
A questo punto
par lecito avanzare un’ipotesi riguardo alla scritta del dottorello. I
rifiuti lasciati vicino a casa gli davano noia, togliergli lo infastidiva,
temeva i magistrati preposti alla cura urbis. Sapeva di essere tenuto a
togliere i rifiuti o a pagare chi venisse incaricato di farlo: altrimenti
correva il rischio di essere punito. I magistrati locali, ad esempio gli edili
nei municipi, erano autorizzati a imporre multe o la pignoris capio[33].
Stando alle fonti, i provvedimenti romani ed ellenistici in merito
coincidevano. Ai lettori del Philogelos il problema
dell’immondizia lasciata marcire per strada dovevo essere familiare da
ogni punto di vista, incluso quello del dottorello.
Riassumendo,
possiamo giungere alla seguente conclusione: le iscrizioni che vietavano di
defecare o urinare vicino alle case non rappresentano soltanto una
testimonianza della battaglia degli antichi per l’igiene, ma, in
un’ottica giuridica, possono interpretarsi come uno sforzo di evitare le
conseguenze del mancato adempimento dell’obbligo di mantenere la strada
pulita.
The aim of the
paper is to analyse the legal meaning of different inscriptions concerning
impurities. The starting point is the joke Philogelos 85. A hypothesis is being put
forward that this text as well as many preserved inscriptions, including the
famous ‘Cacator cave malum’,
may indicate the house inhabitants’ fear of possible sanctions imposed by
officials responsible for keeping the streets clean, for example the aediles,
or their local counterparts. The magistrates could charge an inhabitant for
cleaning an adjoining road, or impose a fine.
[1] Cfr. A.
Thierfelder, ‘Philogelos’
der Lachfreund. Von Hierokles und
Philagrios, München 1968, 5 ss.; Id.,
‘Philogelos’, in Paulys Realencyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft, Suppl. 11,
Stuttgart 1968, coll. 1062-1068; B.
Baldwin, The
‘Philogelos’ or Laughter-lover. Translated with an introduction and
commentary, Amsterdam 1983, I-XII; Id.,
The ‘Philogelos’: an Ancient
Jokebook, in Roman and Byzantine Papers,
Amsterdam 1989, 624 ss.; M. Andreassi,
Le facezie del ‘Philogelos’. Barzellette antiche e
umorismo moderno, Lecce 2004, 27 ss.; M. Beard, Laughter in
Ancient Rome. On Joking, Tickling and Cracking Up, Berkeley-Los Angeles-London 2014, 185
ss.; A. Tarwacka, Obrócić prawo w
żart. Instytucje prawne w zbiorze dowcipów ‘Philogelos’, Warszawa 2016, 13 ss.; Ead., European Legal Culture through
the Prism of Jokes. The
Example of ‘Philogelos’, Wrocław 2018, 11 ss.
[2] Cfr. C. Wessely,
Ein Altersindizium im ‘Philogelos’,
in Sitz. Akad. der. Wiss. in Wien.
Phil.-hist. Klasse 149.5, 1905, 1-47; M.
Andreassi, Le facecie del
‘Philogelos’, cit., 33 ss.
[3] Philogelos 214: Fqonero;" eij" gnafei'on eijselqw;n kai; mh; qevlwn oujrh'sai ajpevqanen. (Il geloso entrò in fullonica e non volendo beneficiare
della sua urina i follatori, morì).
[4] Philogelos 138: Sidovnio" kentourivwn ijdw;n zeughlavthn dia; th'" ajgora'" a{maxan fevronta ejkevleusen aujto;n tufqh'nai. tou; de; eijpovnto" o{ti @Rwmai'ov" eijmi, kai; ouj crh; tuvptesqaiv me dia; to;n novmon - tou;" bova" ekjevleusen oJ kentourivwn mastigwqh'nai. (Visto un
cocchiere attraversare l’agora, il centurione di Sidone comandò di
fustigarlo. E quando questi dichiarò: “Sono cittadino romano e per
legge non posso essere fustigato!” – il centurione fece frustare i
muli). Cfr. A. Tarwacka, Obrócić prawo w
żart, cit., 59 ss.; Ead., European Legal Culture, cit., 53 ss.
[5] Cfr. A. Tarwacka, Obrócić prawo w żart, cit., 91 ss.; Ead., European Legal Culture, cit., 81 ss.
[6] Cfr. D. 50.16.213.2 (Ulp. 1 reg.); D. 50.16.223 pr. (Paul. 2 sent.).
[7] Cfr. A.
Rapp, A Greek ‘Joe Miller’, in Classical Journal 46, 1951, 286-290; R.D. Griffith, R.B. Marks, A Funny Thing Happened on the Way to the Agora. Ancient Greek and Roman
Humour, 2a ed., Kingston 2011, 126-127.
[8] Cfr.
OGI 693.
[9] Cfr. il commento di A. Thierfelder, ‘Philogelos’ der Lachfreund, cit., 228; B. Baldwin, The ‘Philogelos’ or Laughter-lover, cit., 76. Cfr.
inoltre J. Meggitt, Paul, Poverty and Survival, Bodmin 1998,
71 nt. 173.
[10] Cfr. Petr., Sat. 28.7.
[11] Cfr. J.
Hartnett, The Roman Street: Urban Life and Society in
Pompeii, Herculaneum, and Rome, Cambridge 2017, 71.
[12] CIL IV, 7716; CIL IV, 3782; CIL IV, 5438; CIL IV, 4586;
CIL IV, 3832. Cfr. Inoltre i più articolati: AE 1949, 48; CIL IV, 7038; CIL IV, 6641; CIL VI, 29848b. Cfr. T. Petznek,
Der Umgang mit Fäkalien in der
römischen Antike, in Aborte im
Mittelalter und der Frühen Neuzeit, a cura di O Wegener, Petersberg 2014, 38-46; P. Keegan, Graffiti in
Antiquity, New York 2014, 136-137.
[13] Cfr. l‘epigrafe I. Kition 2012 che minaccia l’imbrattatore di ira della dea (a]n ti" kovpria bavlh).
[14] Cfr. R.A.
Lattimore, Themes in Greek and
Latin Epitaphs, Illinois 1962, 120.
[15] CIL IV, 13740: Qui
hic mixerit aut cacarit, habeat deos superos et inferos iratos. Vedi CIL III,
1966; AE 1939, 162b. Vedi inoltre CIL VI, 2357 con la parodia pompeiana
CIL IV, 8899; cfr. K. Milnor, Graffiti
& the Literary Landscape in Roman Pompeii, Oxford 2014, 64 ss. Cfr.
inoltre M. Kuryłowicz, Horacy, Sermones 1,8. Poeta na cmentarnych
ścieżkach, między prawem i obyczajami [Orazio, Sermones 1,8. Un poeta
sui sentieri del cimitero tra diritto e costume], in Studia Prawnicze KUL 4, 2013, 25-35.
[16] Petr., Sat.
71.8.
[17] CIL IV, 7038.
[18] A. Di Porto, ‘Salubritas’
e forme di tutela in età romana. Il ruolo del ‘civis’,
Torino 2014, 107-108.
[19] Cfr. E.A.
Meyer, Legitimacy and Law in the Roman World. ‘Tabulae’ in Roman
Belief and Practice, Cambridge 2004, 66-67.
[20] Cfr. D. 43.8.2.22 (Ulp. 68 ad ed.); R. Kamińska,
Ochrona dróg i rzek publicznych w
prawie rzymskim w okresie republiki i pryncypatu [Tutela di strade e fiumi
pubblici nel diritto dell’età repubblicana e del principato],
Warszawa 2010, 29-42.
[21] Cfr. lex Lucerina 1; J. Bodel, Graveyards and Groves. A Study of the ‘lex Lucerina’, Cambridge 1994, 2 e 30-32.
[22] Cfr. CIL VI
31615, dove in più v’è pure una minaccia: Stercus longe aufer ne malum habeas.
(“Togli da qui i rifiuti e portali lontano, se non vuoi che ti capiti una
disgrazia”).
[23] Cfr. Tab. Her. 24-28; O.F. Robinson, op. cit., 69-73; W. Kunkel, R. Wittmann, Staatsordnung
und Staatspraxis der römischen Republik. Zweiter Abschnitt. Die Magistratur,
München 1995, 205; R. Kamińska,
W
trosce o Miasto. ‘Cura urbis’ w
okresie republiki i pryncypatu [Per il bene dell’Urbe. ‘Cura
urbis’ in età repubblicana e del Prinicipato], Warszawa 2016, 124 ss. Cfr. inoltre l’iscrizione con un editto di un
edile di Ercolano CIL IV 10488.
[24] Cfr. Tab.
Her. 50-52; Dio Cass. 54.26.6; D. 1.2.2.30 (Pap. l. s. enchir.); W. Kunkel, R. Wittmann, Staatsordnung, cit., 205; R. Kamińska, W trosce o Miasto, cit., 140-143.
[25] Cfr. CIL IV 7038; A. Scobie, Slums,
Sanitation and Mortality in the Roman World, in Klio 68, 1986, 413-414.
[26] Nella traduzione di Mommsen: (Ex Papiniani de cura urbium libro): Ne sinunto autem neque pugnari in viis nec
stercus proici nec cadavera nec pelles eo conici. Cfr. V.
Ponte, Régimen
jurídico de las vías públicas en derecho romano,
Madrid 2007, 240; R. Kamińska,
W trosce o Miasto, cit., 131-132.
[27] Vedi Th. Mommsen,
Römisches Staatsrecht, II.1, 3a
ed., Graz 1952 (ristampa), 603 nt. 4; R.
Martini, D. 43.10.1:
Ex astunomikou monobiblou
tou Papinianou, in Atti
dell’Accademia Romanistica Costantiniana 15, 2005, 243 ss.; L. Migliardi Zingale, Ancora sugli ‘Astynomoi’
in D. 43.10.1,
in Studi in onore di R.
Martini, II, Milano, 2009, 809 ss.; F. Vallocchia, Fulloniche
e uso delle strade urbane: sul concetto di ‘incommodum publicum’ (a proposito di D. 43,10,1), in Teoria e Storia del Diritto Privato 6,
2013, 1-28.
[28] Vedi M. Amelotti,
L'epigrafe di Pergamo
sugli Astynomoi e il problema della recezione di leggi straniere
nell'ordinamento giuridico romano, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 24, 1958, 90 nt. 33; M. Talamanca, Gli ordinamenti provinciali nella
prospettiva dei giuristi tardoclassici, in
Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo impero,
Milano 1976, 142 nt. 138; F. Vallocchia,
Fulloniche, cit., 7-9.
[29] Vedi R. Martini,
op. cit., 250;
F. Vallocchia, Fulloniche, cit., 20-25; C. López-Rendo Rodriguez, Servicios publicos en la ‘Tabula
Heracleensis’, in Homenaje
al Profesor Armando Torrent, Madrid 2016, 518-520.
[30] SEG XIII, 521 = OGIS 483, col. I-II. Vedi L. Migliardi Zingale, Ancora sugli ‘Astynomoi’,
cit., 814 ss.; F. Vallocchia, Fulloniche, cit., 18.
[31] Cfr. OGIS 483 Col. I,29; Tab. Her.
32-48. Cfr. V.
Ponte, Régimen
jurídico, cit., 243-244.
[32]Tab. Her. 32-48
(ed. Crawford): quemquomque ante suum aedificium uiam publicam
h(ac) l(ege) tueri oportebit, quei eorum eam uiam arbitratu eius
aed(ilis),/ quoius oportuerit, non tuebitur, eam uiam aed(ilis), quoius
arbitratu eam tuerei oportuerit, tuemdam locato;/ isque aed(ilis) diebus ne
minus decem antequam locet aput forum ante tribunale suom propositum habeto,
quam/ uiam tuendam et quo die locaturus sit e<t> quorum ante aedificium
ea uia sit; eisque quorum ante aedificium/ ea uia erit procuratoribusue eorum
domum denuntietur facito, se eam uiam locaturum et quo die locaturus/ sit;
eamque locationem palam in foro per q(uaestorem) urb(anum) eumue quei aerario
praerit facito. quamta pecunia eam/ uiam locauerit, tamtae pecuniae eum eos{q}ue,
quorum ante aedificium ea uia erit, pro portioni quamtum/ quoiusque ante
aedificium uiae in longitudine et in latitudine erit, q(uaestor) urb(anus)
queiue aerario praerit in tabula<s>/ publicas pecuniae factae referundum
cu<r>ato. ei <q>u<e>i eam tuemdam redemerit, tamtae pecuniae
eum eos-/ue adtribuito sine d(olo) m(alo). sei is quei adtributus erit eam
pecuniam diebus triginta proxum<e>is, quibus ipse aut pro-/curator eius
sciet adtributionem factam esse ei, <q>uoi adtributus erit, non soluerit
neque satis fecerit, is,/ quamtae pecuniae adtributus erit, tamtam pecuniam et
eius dimidium ei, quoi adtributus erit, da<r>e debeto,/ inque eam
r<e>m is, quoquomque de ea re aditum erit, iudicem iudiciumue ita dato,
utei de pecunia credita/ <iudicem> iudicium {q}ue dari oporte<re>t.
[33] Cfr. Lex Irnitana
19. Cfr. B. Sitek, ‘Lex Coloniae Genetivae Iuliae seu
Ursonensis’ i ‘lex Irnitana’. Ustawy municypalne antycznego Rzymu.
Tekst, tłumaczenie, komentarz [La legislazione municipale di Roma antica.
Testo, traduzione, commento],
Poznań 2008, 93-95.