Note-&-Rassegne-2018

 

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image002Le discipline civilistiche e processuali civilistiche nella storia della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Sassari [1]

A proposito del recente libro di Antonello Mattone sulla Facoltà giuridica sassarese[2]

 

ANTONIO  SERRA

già Professore ordinario di Diritto commerciale

e Preside della Facoltà di Giurisprudenza

nell’Università di Sassari

 

 

 

SOMMARIO: 1. Brevi considerazioni introduttive. – 2. Le discipline civilistiche e processuali civilistiche agli inizi del Novecento. – 3. segue: diritto civile, diritto commerciale, diritto processuale civile alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso. – 4. Antonio Segni professore e giurista. – 5. Lorenzo Mossa tra diritto cambiario e diritto dell’impresa. – 6. Una riflessione conclusiva. – 7. Nota bibliografica.

 

 

1. – Brevi considerazioni introduttive

 

storia-giurisprudenza - CopiaLa storia della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari appare, sin dalle sue origini, quale storia di una facoltà «dimensionata sui bisogni di una utenza esclusivamente locale» e «segnata dall’insularità», anche se la Facoltà (ancor più che l’Ateneo) ha sempre avuto un ruolo nella vita sociale e culturale della città (vera e propria “fucina” – come ricorda A. Mattone – delle classi dirigenti locali, in particolare almeno sino alla prima metà del novecento).

La storia della facoltà riflette altresì i momenti di precarietà e di incertezza sulla stessa ragion d’essere dell’istituzione, che hanno riguardato l’Ateneo nella sua interezza, perché periodicamente si è rinnovato il dibattito in ordine alla sua soppressione a vantaggio di un’unica università sarda.

La narrazione di A. Mattone si dispiega «nell’arco di tempo che va dalla Carta reale del 18 ottobre 1632 (…) sino alla metà del Novecento» per concludersi più precisamente con l’anno 1960, data dopo la quale inizia un fecondo periodo di crescita della Facoltà, che ha visto in un breve arco di tempo un radicale rinnovamento e ampliamento del corpo docente in buona parte dovuto alla nascita del corso di laurea in scienze politiche, a sua volta all’origine delle facoltà, successivamente istituite, di Economia e appunto, di Scienze politiche. A tale crescita ha corrisposto un notevole (anche più che fisiologico) incremento dell’attività di ricerca, tradottosi nella costituzione e nella partecipazione – da parte (dei docenti) della Facoltà – a gruppi e dottorati di ricerca ormai inseriti in ambito nazionale e sovranazionale.

Il mio intervento sarà, comunque, rispettoso della periodizzazione scelta da A. Mattone e, nell’ambito della stessa, diretto a dare conto – seppure con estrema approssimazione – dal processo di consolidamento delle discipline riguardanti il settore civilistico in senso ampio con un’ulteriore avvertenza. Non è questa la sede per (ri)disegnare il quadro degli accadimenti relativi all’insegnamento delle discipline civilistiche nell’arco di tempo considerato; si tratterebbe, infatti, di impresa – più che ardua – velleitaria e insufficientemente ripetitiva a fronte dell’esaustiva opera di A. Mattone. Piuttosto, proprio sulla scorta dei dati raccolti ed esposti in questa sua storia, si cercherà di far emergere (analogamente a quanto gli altri relatori hanno fatto o faranno per i rispettivi settori disciplinari) come una piccola comunità di studiosi sia stata capace di offrire – a dispetto delle sui dimensioni e della sue insularità – contributi originali (e duraturi) per lo sviluppo delle scienze giuridiche anche nel settore disciplinare qui considerato.

 

 

2. – Le discipline civilistiche e processuali civilistiche agli inizi del Novecento

 

Nella prospettiva ora tracciata mi sono permesso, pertanto, di procedere ad alcune semplificazioni circa «i tempi e le materie della storia», spero non troppo arbitrarie.

In termini di periodizzazione, le riflessioni qui esposte muovono dall’anno 1902, “anno di svolta” per l’Ateneo Turritano e la sua Facoltà giuridica, perché si tratta dell’anno del “pareggiamento” dell’Ateneo con le altre università italiane e della conseguente abolizione della distinzione fra sedi universitarie di prima e di seconda categoria. Agli effetti del pareggiamento (grazie al quale – giova ricordare – veniva sancita l’equiparazione “stipendiale” per i docenti dell’Ateneo Sassarese rispetto ai docenti delle sedi universitarie della penisola) sono, infatti, riconducibili un apprezzabile ricambio nel corpo accademico e «la relativa fine del localismo», per il fatto che Sassari diviene, altrettanto relativamente, sede  ambita in «campo concorsuale» con i conseguenti pregi e difetti di «università di passaggio».

Per quanto riguarda le materie civilistiche e processuali civilistiche, l’attenzione è stata rivolta essenzialmente, per il settore delle discipline civilistiche, al diritto civile e al diritto commerciale e, per il settore processualistico, alla procedura civile in considerazione della marginalità delle altre  discipline cosiddette complementari, il cui insegnamento era di solito assegnato  ai titolari  delle discipline fondamentarli e svolto a meri fini didattici.

In questo contesto, e ritornando agli effetti del pareggiamento, si assiste a un ricambio all’interno del corpo docente che, in un primo periodo (identificabile, sostanzialmente, con il passaggio dal primo dopoguerra al “totalitarismo”, secondo la terminologia di A. Mattone), risulta caratterizzato – per le materie qui considerate – dall’avvicendarsi nell’insegnamento, per incarico o per chiamata,  di una pluralità di docenti, molti dei quali destinati a lasciare, con le loro opere, una traccia indelebile nella cultura giuridica  nazionale. Esemplare, in questo senso, il caso del diritto commerciale, il cui insegnamento venne coperto nell’arco da poco più di un ventennio, tra gli altri, da studiosi della materia quali Navarrini, Arcangeli, De Gregorio, Valeri e Mossa.

E’ non l’inizio degli anni trenta, che si apre un secondo periodo all’insegna della “stabilizzazione” nella titolarità degli insegnamenti, nel senso che il corpo docente della facoltà si consolida a seguito della chiamata di alcuni docenti, la cui permanenza negli anni successivi si rivela condizione di crescita culturale e di prestigio scientifico per la Facoltà.

 

 

3. – segue: diritto civile, diritto commerciale, diritto processuale civile alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso

 

Concreto impulso al perseguimento di tale obiettivo viene proprio dalla materia del diritto commerciale, perché nell’agosto del 1930  il decano della Facoltà (Flaminio Mancaleoni) – al fine di cogliere «l’opportunità di adeguare il numero dei professori di ruolo alle necessità di funzionamento» della facoltà e di coprire le cattedre vacanti con autorevoli titolari – proponeva la chiamata di Antonio Segni, al tempo titolare di Procedura Civile presso l’Università di Pavia, per coprire la cattedra di diritto commerciale.

La chiamata di A. Segni, motivata «sull’affinità della materia attualmente professata dal prof. Segni specialmente nel campo fallimentare e la sua vasta competenza in tutte le dottrine di diritto sostanziale e formale», era destinata a produrre – al di là, si può ritenere, delle intenzioni degli interessati – effetti positivi in una duplice direzione. Con essa, infatti, non soltanto fu garantita la continuità dell’insegnamento del diritto commerciale sino agli inizi degli anni cinquanta (per l’esattezza sino al 1953, anno del trasferimento di A. Segni all’Università di Roma), ma si contribuì decisamente anche alla stabilizzazione dell’insegnamento del diritto processuale.

Al tempo, infatti, l’insegnamento della procedura civile era affidato ad E. T. Liebman, al quale subentrò nel 1932, anno del conseguimento  della libera docenza, Sergio Costa, giovane allievo dello stesso Segni e anche lui formatosi nella scuola del comune maestro Chiovenda.

Da quell’anno in poi non solo l’insegnamento, quanto e soprattutto l’attività di ricerca e di elaborazione scientifica della materia, furono appannaggio del maestro e dell’allievo, fino al momento in cui la successione di Costa fu piena ed assoluta a seguito del passaggio di Segni all’Università di Roma.

Evoluzione parzialmente diversa ha segnato la stabilizzazione dell’insegnamento del diritto civile, che si realizza compiutamente soltanto alla fine della seconda guerra mondiale. Comunque già al termine degli anni trenta e nel periodo successivo, fino alla attribuzione nell’anno accademico 1945-1946 dell’incarico al prof. Salvatore Piras, l’insegnamento delle materie civilistiche aveva avuto una sua continuità di indirizzo, riconducibile all’insegnamento del prof. Lino Salis, pur titolare a Cagliari della cattedra di diritto civile.

Dall’anno dell’incarico sino alla cessazione dal servizio, il prof. Piras ha conservato la titolarità dell’insegnamento del diritto civile e, dall’a.a. 1949-1950 anche dell’insegnamento di istituzioni di diritto privato, nel segno di una continuità che ha reso il docente protagonista  non solo nella vita della Facoltà, ma anche nella vita politica e culturale della città visto il suo impegno di eletto nei consigli degli enti pubblici territoriali (comune e provincia).

 

 

4. – Antonio Segni professore e giurista

 

Il “pareggiamento” – come sottolinea Mattone – pur avendo decisivamente contribuito ad inserire l’Ateneo e la sua Facoltà giuridica nel circuito nazionale, non ha inciso, almeno in termini avvertibili, sulla sua dimensione di “piccola” università. L’Università e la Facoltà hanno finito così per costituire e per essere ricordate – non diversamente da quanto verificatosi per tante altre “piccole università” – precipuamente quali tappe del percorso accademico di giovani promettenti studiosi, poi chiamati a coprire  le cattedre dei più prestigiosi atenei del paese.

Lo status di piccolezza, peraltro, non ha impedito che la Facoltà giuridica sia stata anche la sede in cui hanno operato e sono maturati studiosi, i cui contributi scientifici hanno significativamente concorso allo sviluppo della ricerca lasciando un’eredità di idee e di stimoli culturali destinati a durare nel tempo.

Nell’ambito delle materie civilistiche (come prima circoscritte),  fra gli studiosi che hanno portato maggiore lustro all’Ateneo e alla Facoltà non possono non essere ricordati, per il diritto processuale civile, Antonio Segni e, per il diritto commerciale, Lorenzo Mossa.

Antonio Segni è stato processualista di chiara fama nazionale anche se – come ebbe a scrivere T. Carnacini commemorando A. Segni “giurista” – i suoi meriti di “uomo di studio” furono spesso offuscati dal “clamore della politica”, alla quale lo studioso si era dedicato “quasi costretto dalla sua fede e dalle sue più intime convinzioni”.

Allievo di Chiovenda e vincitore del concorso a cattedra di diritto processuale nel 1925, Antonio Segni – come ricordato – arriva all’Ateneo di Sassari nel 1930, già professore ordinario, chiamato a coprire la cattedra di diritto commerciale. Si tratta di un vero e proprio ritorno all’Ateneo e alla Facoltà in cui lo studioso  aveva iniziato gli studi di giurisprudenza, ateneo e facoltà cui egli fu sempre legato e nei quali ebbe a rivestire le cariche rappresentative più alte (preside della Facoltà negli anni 1931-1933; commissario straordinario nel 1943; rettore dal 1945 al 1948 e riconfermato nella carica, lasciata nell’anno 1951 in quanto nominato ministro della pubblica istruzione).

E’, oggi, giudizio condiviso che la vocazione di Segni fosse per uno studio del diritto processuale non tanto rivolto alla soluzione delle questioni di mera tecnica giuridica, quanto e soprattutto alla funzione del processo «quale massima garanzia di giustizia sostanziale»(Carnacini).

Questa vocazione è del resto già presente fin nei primi suoi studi in materia di intervento (intervento adesivo e intervento in causa, ma soprattutto il primo di essi), che avevano messo in luce il metodo di indagine, caratterizzato da capacità di approfondimento dell’istituto sia nella sua ricostruzione storica alla luce delle fonti risalenti al diritto romano sia attraverso la conoscenza critica della dottrina contemporanea, soprattutto tedesca.

Attenzione e impegno Segni dedicò anche al procedimento  monitorio nonché all’esecuzione e al fallimento. In particolare gli studi sul fallimento – giudicati da Satta «un modello di indagine scientifica» – anche se spesso elaborati nella forma della nota a sentenza, denotano una notevole sensibilità per i problemi di diritto sostanziale, ancorchè filtrati nell’ottica del processualista. Particolarmente significativi sono – in questa prospettiva – gli studi sulla sentenza dichiarativa di fallimento, concepita come provvedimento esecutivo che fissa le condizioni dell’esecuzione collettiva che, proprio per essere tale, « ha da essere diversa dalla somma delle azioni esecutive individuali» (Segni, Scritti giuridici, II, 1139). Provvedimento, al quale si deve attribuire natura giurisdizionale (e non amministrativa) perché – estendendo  al procedimento fallimentare i principi generali del processo – «il giudice opera, attuando la legge, su rapporti  giuridici, dai quali sorgono  diritti di una parte verso l’altra diversa dal giudice stesso». Pertanto, «non può negarsi che anche il procedimento fallimentare abbia come suo scopo finale la soddisfazione di diritti di credito insoddisfatti, mediante la surrogazione dell’attività di organi giurisdizionali a quella dell’obbligato e dell’avente diritto, così come ogni altro procedimento esecutivo del c.p.c.» (ivi, 1143).

Al di là peraltro, dalla rilevanza scientifica dei singoli contributi, si deve condividere il giudizio positivo di chi ha sottolineato il ruolo rilevante che assume, nella produzione scientifica di Segni, il tema del processo, riguardato nell’ottica della riforma del codice di procedura e nella sua difesa dopo la caduta del regime fascista.

Nel campo del processo Segni fu altresì fedele interprete della “posizione” assunta dal suo maestro Chiovenda nei confronti della riforma del codice di procedura del 1865, imperniata sulla radicale trasformazione del processo civile da essenzialmente scritto a processo orale «con tutti i benefici» inerenti la concentrazione delle attività processuali in una  o poche udienze ravvicinate, l’immediatezza dei rapporti tra il giudice e le parti e con le prove al fine di far si che «il giudice, come organo dello stato» non debba «assistere passivamente alla lite», ma parteciparvi come «forza viva e attiva».

Come sinteticamente, ma con documentata puntualità afferma S. Satta, «Segni è uno studioso del processo», e tale propensione scientifica trova conferma negli scritti da lui dedicati alla riforma del processo che porta alla promulgazione del codice di procedura entrato in vigore nel 1942. In tale occasione l’attenzione, scientifica e anche politica di Segni per lo studio del processo, si presenta – se così può dirsi –acuita da un lato per quanto riguarda l’asserita infiltrazione di «principi politici del fascismo» nel nuovo codice (infiltrazione ritenuta sostanzialmente irrilevante e comunque tradotta in mere strutture formali, facili da eliminare) e, dall’altro, nella difesa dell’ordinamento ispirato alla dottrina di Chiovenda.

 

 

5. – Lorenzo Mossa tra diritto cambiario e diritto dell’impresa

 

Personalità completamente diversa da Segni è Lorenzo Mossa, che irrompe – è il caso di dire – nella letteratura giuridica del suo tempo con novità di idee e appassionato vigore espositivo.

Mossa appare, innanzi tutto, convinto assertore della propulsione del diritto commerciale sul diritto civile e, quindi, della possibilità di arricchire il corpus juris dato di figure e di regole ispirate alla natura delle cose al fine di alimentare dalla realtà la regolamentazione dei rapporti commerciali nella vita economica. Lo studioso si professa, infatti, fedele ad una concezione, dai più condivisa, dell’autonomia del diritto commerciale imperniata – al di là delle posizioni dei singoli – sulla teoria delle fonti; sul metodo di ricerca; sulla natura di diritto speciale ma non eccezionale del diritto commerciale rispetto al diritto civile.

Da questo punto di vista lo studio del diritto commerciale., è congeniale perché «il diritto commerciale ha bisogno di conoscere a fondo una realtà socio economica in cui esistono asimmetrie e diseguaglianze e di elaborare costruzioni giuridiche che tengono conto della disparità di interessi e di poteri cui si accompagna – tendenzialmente – un impegno sociale riformistico».

La pratica di tale metodo ha consentito di attribuire al diritto commerciale di volta in volta il titolo di “pioniere” e di «vero bersagliere del diritto privato» (Grossi)

Due temi risultano fondamentali nell’esperienza scientifica  di Mossa: i titoli di credito e l’impresa intesa quale «persona economica che si proietta nel campo giuridico per la sua attività e le sue esigenze collegate fortemente con le esigenze della società» e quindi l’impresa come struttura comunitaria non  più «proiezione del soggetto proprietario ma unità di capitale, lavoro e proprietà intellettuale».

Il primo grande tema di ricerca di Mossa è costituito dai titoli di credito.

Si dice che gli studi sui titoli di credito siano stati ispirati dai personaggi le cui opere e vicissitudini L. Mossa ricorda e illustra nel saggio , in onore di Flaminio Mancaleoni, intitolato Giuristi di Sardegna. Secondo la versione di A. Piras, ripercorrendo la storia di questi personaggi, custodi e interpreti di quello spirito universale di libertà e giustizia tramandato in Sardegna di generazione in generazione, Mossa spiega a se stesso e agli “altri” il perché della sua vocazione per il diritto commerciale e, in particolare, per il diritto cambiario. Riferendosi a Esperson, autore di un trattato di diritto internazionale cambiario (1870), Mossa lo definisce «guida al diritto cambiario uniforme dei nostri giorni» per riaffermare «quella vocazione del diritto cambiario, che Sassari sente fino dai tempi di Azuni».

Questa vocazione, già presente in Mossa negli anni venti (le due monografie del diritto cambiario dello cheque risalgono agli anni  1919-21), ritorna “impetuosa” nel 1930 con la “dichiarazione cambiaria” e si chiede con le due opere “monumentali” (1936 e 1939) sulla cambiale e lo cheque secondo la nuova legge

La teoria cambiaria di Mossa si riassume in tre concetti fondamentali: apparenza nel senso che il sottoscrittore del titolo “crea l’apparenza di un valore”; dichiarazione alla pluralità nei cui confronti il creatore del titolo assume l’obbligo di corrispondere il valore del titolo; la responsabilità per il pagamento in forza dell’affidamento creato (con chiaro riferimento ad Einert e alla teoria della carta moneta); per Mossa, infatti, i titoli cambiari e in particolare lo cheque sono un delicato congegno di obbligazioni e autorizzazioni che salda mirabilmente l’energia del traffico e la libertà della vita giuridica.

L’altro tema, in cui Mossa trasfonde anche i suoi ideali civili e la sua aspirazione per una società migliore, si identifica nell’impresa.

Il diritto commerciale è per Mossa diritto dell’impresa e dell’economia, nel segno di «una convivenza armoniosa di capitale e di lavoro» per essere l’impresa un fatto sociale e solidaristico, regolato dal diritto come «organizzazione funzionante secondo criteri di economicità», ma economicità consapevole (o partecipe, potrebbe dirsi) del sociale. In questa concezione sono stati ravvisati in nuce i connotati dell’impresa moderna (o contemporanea) che – con il linguaggio di oggi – corrispondono al profilo della responsabilità sociale dell’impresa e alla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.

Profili di estrema attualità, quando si pensi all’attuale dibattito del rapporto fra disciplina dell’impresa e la nozione di utilità sociale dell’art. 41 Cost e a quello, non meno attuale, sulla cogestione, anticipato da Mossa nell’avvertimento che «il diritto operaio alla partecipazione alla gestione dell’impresa non è che la conseguenza ineluttabile dell’esistenza giuridica dell’impresa».

Questa impostazione spiega altresì perché Mossa, “socialista utopista”, abbia dato un parere positivo sulla Carta del lavoro e si sia invece schierato per l’abrogazione del codice civile del 1942 in nome di una esigenza di “defascistizzazione” della disciplina dell’impresa e di superamento del modello capitalistico di impresa disegnato in quel codice una volta venuta meno la concezione corporativistica dell’ordinamento.

La sua passione per il diritto dell’impresa e del lavoro sta nella sete di giustizia e nella certezza che il diritto deve comporre i conflitti di interessi e delle classi in modo da garantire a tutti l’etica della vita comune.

Si farebbe altresì torto alla figura dello studioso se non si ricordasse il costante impegno profuso da Mossa nelle iniziative destinate a dare via e sostegno a quelli da lui ritenuti “strumenti idonei per la diffusione e la circolazione” della produzione giuridica a livello sia locale sia nazionale. A tale impegno si deve, nell’anno 1921, la ripresa delle pubblicazioni di “Studi Sassaresi” rivista destinata ad ospitare contributi degli studiosi non soltanto della Facoltà Sassarese e, nella seconda metà degli anni quaranta, la fondazione della Nuova rivista del diritto commerciale.

 

 

6. – Una riflessione conclusiva

 

A questo punto è però necessario sottolineare che la storia della facoltà di giurisprudenza è stata e resta la storia dei suoi docenti, meno celebrati di quelli qui ricordati ma non per ciò meno operosi e dotati, il cui impegno scientifico e didattico ha garantito quattro secoli di diffusione della scienza giuridica, ed è altresì e non meno storia dei suoi studenti, giudici naturali della qualità dell’insegnamento e ragione della sua esistenza.

Un merito precipuo della fatica di A. Mattone, fra i molti ad essa ascrivibili, è avere saputo ricostruire la storia della nostra Facoltà anche come storia di una comunità di studiosi e di studenti inserita e partecipe, dalle sue origini ad oggi, del dibattito culturale del proprio tempo, degli eventi politici in cui si è svolta la sua quotidianità, “fucina” delle classi dirigenti della citta e non soltanto di essa, ma soprattutto indispensabile istituzione per la formazione professionale e la crescita culturale di tante generazioni di giovani e della società civile sarda, che ha sempre sentito la Facoltà giuridica parte di sé.

 

 

7. – Nota Bibliografica

 

I richiami seguenti si riferiscono a parti dell’opera di A. MATTONE nonché al pensiero degli autori, cui si è ritenuto di dover fare espresso rinvio per consentire al lettore di avere una migliore informazione circa l’attività e le opere dei giuristi qui considerati.

Con riguardo alla figura di A. Segni e alle discipline processuali civilistiche, si rinvia, soprattutto, al cap. V, n. 5 (La giovinezza accademica di Antonio Segni); al cap. VII, n. 7 (“Antonio Segni fra diritto commerciale e procedura civile”); cap. VIII, n. 5 (Il ruolo della Facoltà nella riforma del codice di procedura civile); cap. IX, n. 2 (Sergio Costa e la procedura civile). Sulla figura di A. Segni giurista si vedano anche T. CARNACINI, Antonio Segni giurista, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1983, 1; S. SATTA, Presentazione, in Antonio Segni, Scritti guridici, I, Torino, 1965.

Per il diritto civile, ferma la completezza della prospettazione offerta da A. Mattone in ordine alla “storia” di tale disciplina (per la cui conclusione si veda cap. IX, n. 6, Il diritto civile) merita di essere richiamate all’attenzione del lettore la ricostruzione del percorso scientifico di due giovani studiosi, affermatosi successivamente fra i più stimati della materia (cfr. cap. IV, n. 11; Diritto civile: due occasioni perse, Antonio Cicu e Giuseppe Messina).

Sulla figura di Lorenzo Mossa e la sua influenza culturale nella comunità scientifica degli studiosi del diritto commerciale, si rinvia in particolare al Cap. V, n. 3 (Un geniale commercialista sassarese, Lorenzo Mossa) e al cap. VII, n. 5 (Lorenzo Mossa a Pisa: l’impresa negli ordinamenti corporativi).

A proposito della “vocazione” di Mossa per gli studi in materia cambiaria si veda A. PIRAS, La vocazione cambiaria di Lorenzo Mossa, in I titoli di credito, Atti del convegno di studi organizzato dal Banco di Sardegna e dal CIDIS, Sassari 1981, 19; i richiami, nel testo, alla concezione di Mossa dell’impresa come “fatto sociale e solidaristico”, sono per A. MAZZONI, L’impresa tra diritto ed economia, in Riv. Società, 2008, 650 e P. GROSSI, Scienza Giuridica Italiana, Un profilo storico 1860-1950, Milano 2000, 196.

 



 

[1] Relazione presentata al convegno scientifico tenutosi il 4 maggio 2018 nell'Aula Magna dell'Università degli studi di Sassari.

[2] ANTONELLO MATTONE, Storia della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari (secoli XVI-XX), [Studi e ricerche sull’università – Collana del Centro interuniversitario per la storia delle università italiane, diretta da Gian Paolo Brizzi], Bologna, Società Editrice il Mulino, 2016, pp. 1037. ISBN 978-88-15-26674-3.