Si pubblica, col consenso del
Curatore e dell’Editore,
l’articolo Potere
negativo del tribuno della plebe e diritto di sciopero: i limiti. Rileggendo
Giuseppe Grosso dopo 60 anni (57-61)
degli Atti delle Segundas Jornadas
Ítalo-Latinoamericanas Defensores
Cívicos y Defensores del Pueblo. TRIBUNADO – PODER NEGATIVO Y DEFENSA DE LOS
DERECHOS HUMANOS. En homenaje al Profesor Giuseppe Grosso (Torino, 8-9 settembre 2016) – Con la Carta di Torino per una
nuova Difesa civica, a cura di ANDREA TRISCIUOGLIO, Milano,
Ledizioni LediPublishing, 2018, pp. 334. ISBN 9788867058228
Indice del volume
Università di
Torino
Potere
negativo del tribuno della plebe e diritto di sciopero: i limiti. Rileggendo
Giuseppe Grosso dopo 60 anni
In un breve
scritto del 1953 pubblicato sulla Rivista
Italiana per le Scienze Giuridiche[1],
successivamente rimeditato nella romanistica per la prospettazione di un
modello costituzionale ispirato a Rousseau e alternativo a quello fondato sulla
tripartizione dei poteri teorizzata da Montesquieu[2],
Giuseppe Grosso scorgeva con la dovuta cautela[3]
un'analogia tra l'arma negativa a disposizione della plebe, l'intercessio
tribunizia, e il diritto di sciopero, strumento a disposizione di ciascun
lavoratore ma altresì espressione del potere dell'organizzazione
sindacale, rispetto al quale sarebbe stato difficile a suo parere riconoscere
una valenza solo economica (e non politica), malgrado la comprensione dell'art.
40 Cost. It. nel titolo III dedicato ai 'Rapporti economici'. Le similitudini
che il Maestro torinese scorgeva tra intercessio e diritto di sciopero
riguardavano in particolare: 1) la comune origine rivoluzionaria[4]
e la successiva costituzionalizzazione; 2) l'effetto paralizzante del loro
esercizio.
Quanto ai limiti
del potere tribunizio e del diritto di sciopero da poco costituzionalizzato,
oggetto di questa mia breve riflessione, Grosso non poteva invece instaurare
alcun preciso parallelo, dato che, all'epoca non si era ancora provveduto a
dare attuazione alla riserva di legge prevista nell'art. 40, e alla
delimitazione del diritto di sciopero in particolare attraverso un
bilanciamento con gli altri diritti costituzionalmente garantiti; inerzia,
questa, che qualche anno più tardi sarà oggetto di una sua severa
reprimenda rivolta alla società e alla classe dirigente con
contestuale invito ai giuristi a farsi "voce della coscienza"
collettiva[5].
In ordine ai limiti del diritto di sciopero dunque le osservazioni del Maestro
si sviluppavano sul piano delle proposte toccando aspetti procedurali e
sostanziali nei seguenti termini: «Più pratiche e adeguate sono
determinazioni e delimitazioni concrete, quali sono state proposte, specie
quelle che impongono determinate procedure (p. es., referendum, tentativo di
conciliazione); e compatibili sono anche dei limiti, mentre un limite generale
può essere rappresentato da ciò che cesserebbe di essere sciopero
per essere vera e propria rivolta ai poteri e all'ordine dello Stato»[6].
Non è dubbio invero che l'individuazione del detto limite generale
proveniva ancora dalla considerazione dell'esperienza romana altorepubblicana,
come il richiamo all'apologo di Menenio Agrippa (Liv. 2.32.8 ss.), che
immediatamente segue, sta a dimostrare.
Il diritto di
sciopero dunque, secondo Grosso, non dovrebbe mai condurre ad una frattura
irreparabile tra classi sociali, ad uno stato di agitazione permanente fine a
sé stesso, che è negazione stessa della democrazia basata
sull'ordine[7], semmai
a nuove forme di collaborazione strutturate in accordi nella condivisione di
obiettivi fondamentali comuni; alla contrapposizione aspra, che nell'esperienza
romana ha assunto le forme estreme della secessione plebea, deve
necessariamente seguire un accordo, un foedus, in grado di preservare il
valore supremo dell'unità della res publica; in uno
scritto successivo, pubblicato poco meno di vent'anni dopo, Egli chiariva il
punto nel senso che il diritto di veto dei tribuni (in fin dei conti evoluzione
istituzionalizzata del rivoluzionario strumento della secessione[8])
è sì uno strumento negativo, ma "con valore positivo",
mirando al raggiungimento di un risultato specifico negoziato[9].
Fondamento e struttura della res publica - possiamo chiosare - rimane
pur sempre il contratto fondativo di società[10],
eventualmente rinnovato in forza di un'aspra dialettica interna intercorsa tra
le componenti sociali.
Rimanendo sulla
dimensione "contrattuale" delle relazioni sociali, un Grosso
veramente precursore di positive tendenze affermatesi in tempi più
recenti può essere visto, a mio giudizio, in un diverso contributo
dedicato alla misura umana individuale del diritto, nel quale Egli si
soffermava su di uno sciopero bianco organizzato agli inizi degli anni '60 del
secolo scorso[11]. In
quella occasione la società titolare dell'azienda aveva fatto ricorso ad
un'azione possessoria ritenendosi dunque possessore unico dei locali di
produzione; la critica del Grosso evidenziava una ben maggiore
complessità dell'organizzazione giuridica dell'impresa e la non
estraneità dei lavoratori al possesso dei mezzi di produzione. V'era, in
fin dei conti, l'idea che l'impresa dovesse prosperare sulla base di
riconosciute forme di condivisione dei mezzi e degli scopi, anziché su
di una rigida e sterile contrapposizione tra le parti sociali connotata da
logiche vetero-dominicali; idea che lo studioso aveva già espresso
nell'immediato dopo-guerra (1946), in vista del confezionamento del testo
costituzionale[12]. E ben
conosciamo i buoni risultati conseguiti in Germania negli ultimi tempi grazie a
questo modo "societario" di impostare le relazioni industriali, non
solo negli aspetti gestionali ma anche in quelli economici (condivisione degli
utili), modalità partecipativa che si enuclea da più parti come
un tratto distintivo dell'esperienza sociale-giuridica di quello stato[13].
Nello scritto
del 1953 che abbiamo all'inizio ricordato Grosso richiamava inoltre, quali
limiti posti all'esercizio dell'intercessio tribunizia consentanei alla
sua funzione, l'ambito territoriale cittadino e la riferibilità
dell'attività al dictator[14],
a cui possiamo aggiungere quella del censor[15].
Si trattava a ben guardare di limitazioni all'uso riconducibili ai valori
supremi della sicurezza e della tenuta istituzionale-militare della res
publica, se solo si considera che l'impossibilità di esercitare il ius
intercessionis al di fuori del pomerium e nei confronti del
dictator nominato si traduceva in fin dei conti
nell'esclusione, tra i possibili bersagli, di quegli atti rientranti nell'imperium
militiae, e se si valuta inoltre il fondamentale ruolo che aveva la censura
per il normale funzionamento dell'ordinamento serviano[16].
Penso dunque di non tradire il pensiero di Grosso lasciato tra le righe dicendo
che a suo avviso il parallelo tra intercessio tribunizia e diritto di
sciopero avrebbe dovuto presentare un terzo aspetto comune (oltre alla origine
rivoluzionaria e successiva costituzionalizzazione, e all'effetto
paralizzante): il limite del mantenimento dell'ordine unitario costituito.
La critica
rivolta da Grosso agli inizi degli anni '70 ad un sindacato, uscito dal proprio
ruolo per svolgere una funzione politica spettante invece unicamente ai
partiti, e che usa lo sciopero come mero strumento di pressione permanente sul
governo senza alcun specifico obiettivo[17],
può essere in verità interpretata come una sua amara
constatazione del fatto che la Repubblica italiana dell'epoca si stava
allontanando dal virtuoso modello romano alto-medio repubblicano, correndo il
rischio che si affermassero nuove forme di corporativismo dissociante.
[1] Cfr. G. Grosso,
Il diritto di sciopero e l'"intercessio" dei tribuni della plebe,
in RISG. 6-7, 1952-1953, 397 ss.; ora in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, Torino 2000,
303 ss. (da cui si cita); articolo già commentato da G. Pugliese, in G. Grosso, Tradizione e misura umana del diritto, Milano
1976, 14 s. (Introduzione), e da M. Vari,
Alcuni principi costituzionali secondo Giuseppe Grosso. Antologia, in Tradizione
romanistica e Costituzione (dir. L. Labruna, curr. M.P. Baccari e C.
Cascione), Napoli 2006, 266 ss.
[2] Tale modello è caratterizzato dal potere
negativo, rispetto al quale lo sciopero sarebbe una 'diretta' manifestazione,
in quanto attuato, senza mediazioni istituzionali, dai cittadini: cfr. spec. P.
Catalano, Sovranità
della multitudo e potere negativo: un aggiornamento, in Studi in onore di G. Ferrara, vol. I, Torino
2005, 643 ss. (con citazione dell'articolo di Grosso qui considerato a 644 s. e
a 650 nt. 40); si veda inoltre G. Lobrano,
Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1982, 105 ss.; nonché
S. Tafaro, Continuidad de la
función tribunicia, in Estudios en homenaje a M. Gayosso y
Navarrete (comp. J.L. Cuevas), Univ. Veracruzana - Mexico, 2009, 361 ss.
Deve molto alle riflessioni di Catalano e ne ha consentito una più ampia
diffusione anche in ambienti extra-accademici italiani lo scritto di A. Caputo, Un difensore civico per la
Repubblica. Difesa dei diritti dell'uomo e del cittadino nell'Unione Europea,
Soveria Mannelli 2012, 29 ss.; v. anche, dell'Autore, Spunti per una teoria
generale della difesa civica, in Relazione annuale 2013 del Difensore
civico della Regione Piemonte, Torino 2013, 39 ss.; per l'America Latina
cfr. praecipue C.R. Constenla,
No quedó en el olvido: el poder negativo, in Revista General
de Legislación y Jurisprudencia 3, 2014, 11 ss. Sul potere negativo
nel pensiero costituzionalista (parimenti ispirato all'esperienza romana
repubblicana) del serbo Svetozar Markovic (1846-1875), cfr. S. Aličić, El derecho romano
y la defensa de los derechos civiles en Serbia, in Éforos (Publicación Semestral del ILO)
4, 2014, 59.
[3] Tratto della sua personalità scientifica
già evidenziato più in generale da L. Capogrossi Colognesi, Commemorazione di Giuseppe Grosso,
in RDR. 1, 2001, 249.
[4] Su di essa acute osservazioni in R. Lambertini, Sull'origine e la natura
dell'intercessio tribunizia, in Tradizione romanistica e Costituzione,
cit., 613 ss.
[5] Cfr. a proposito del Titolo III della
Costituzione, G. Grosso, I
cinque anni di una rivista dell'economia, in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 466 s.:
«C'è un imperativo della legalità che dovrebbe avvertire
che i dettami costituzionali non debbono restare troppo a lungo inevasi. A un
certo punto si pone il dilemma: la Costituzione si attua o la si modifica. La
inattività, le soluzioni provvisorie, peggio ancora il perpetuarsi di
prassi anticostituzionali [...] significano crisi profonda, che certo non ha il
suo epicentro nel diritto ma nella stessa società e nella sua classe
dirigente. Il giurista non può riformare o rinnovare egli stesso la
società, ma deve rappresentare la voce della coscienza che richiama le
forze politiche e sociali all'imperativo di esprimersi in termini di
legalità e di rispettarla».
[6] Cfr. G. Grosso,
Il diritto, cit.,
309.
[7] Cfr. G. Grosso,
Principii di una costituzione cristiana dello Stato, in Id., Scritti storico giuridici,
vol. I, cit., 186 s.
[8] In tal senso v. L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere,
Bologna 2009, 85.
[9] Cfr. G. Grosso,
Intervento (al convegno sassarese) su "Autonomia e diritto di
resistenza", in Id., Scritti
storico giuridici, vol. I, cit., 957.
[10] Cfr. in proposito G. Lobrano, Guerra, pace e "forme di stato" con un
riferimento alla prospettiva di Giorgio La Pira, professore di diritto romano,
in Estudios en homenaje a M. Gayosso y Navarrete (comp. J.L. Cuevas), cit., 346 s. e lett. ivi
citata; da ultimo P.P. Onida, «Trouver
une forme d'association...par laquelle chacun s'unissant a tous
n'obéisse pourtant qu'a lui lui-même et reste aussi libre
qu'auparavant»: la soluzione romana, in Il principio della
democrazia. Jean Jacques Rousseau. Du Contrat social (1762), a cura di G.
Lobrano e P.P. Onida, Napoli 2012, 11.
[11] Cfr. G. Grosso,
La misura umana individuale nel diritto, ora in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 708 s.
[12] Cfr. G. Grosso,
I diritti della persona nella Costituzione, ora in Id., Scritti storico giuridici,
vol. I, cit., 142: «Occorre superare l'antitesi in una sintesi, in un
sistema che ponga a sua base la proprietà e l'iniziativa privata come
espressione della personalità, e d'altra parte attui una organizzazione
della vita economica, una trasformazione del regime delle imprese, in modo da
immettere il lavoro nella partecipazione al capitale e da avviare la
generalizzazione della proprietà...».
[13] Cfr. tra gli altri M. Corti, La partecipazione dei lavoratori. La cornice
europea e l'esperienza comparata, Milano 2012, 127 ss.
[14] Cfr. G. Grosso,
Il diritto, cit.,
307.
[15] Cfr. spec. G. Nicosia,
Lineamenti di storia della costituzione e del diritto di Roma, vol. I,
rist. Catania 1989, 204 s.
[16] V. anche M. Talamanca
(dir.), Lineamenti di storia del diritto romano, 2a ed., Milano 1989,
180.
[17] Cfr. G. Grosso,
Intervento, cit.,
957 s.