Monografie-2018

 

 

 

Si pubblica, col consenso del Curatore  e dell’Editore, l’articolo Potere negativo del tribuno della plebe e diritto di sciopero: i limiti. Rileggendo Giuseppe Grosso dopo 60 anni (57-61) degli Atti delle Segundas Jornadas Ítalo-Latinoamericanas Defensores Cívicos y Defensores del Pueblo. TRIBUNADO – PODER NEGATIVO Y DEFENSA DE LOS DERECHOS HUMANOS. En homenaje al Profesor Giuseppe Grosso (Torino, 8-9 settembre 2016) – Con la Carta di Torino per una nuova Difesa civica, a cura di ANDREA TRISCIUOGLIO, Milano, Ledizioni LediPublishing, 2018, pp. 334. ISBN  9788867058228

Indice del volume

 

 

 

Trisciuoglio-fotoxD@S-2018 - CopiaAndrea Trisciuoglio

Università di Torino

 

 

Potere negativo del tribuno della plebe e diritto di sciopero: i limiti. Rileggendo Giuseppe Grosso dopo 60 anni

 

 

In un breve scritto del 1953 pubblicato sulla Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche[1], successivamente rimeditato nella romanistica per la prospettazione di un modello costituzionale ispirato a Rousseau e alternativo a quello fondato sulla tripartizione dei poteri teorizzata da Montesquieu[2], Giuseppe Grosso scorgeva con la dovuta cautela[3] un'analogia tra l'arma negativa a disposizione della plebe, l'intercessio tribunizia, e il diritto di sciopero, strumento a disposizione di ciascun lavoratore ma altresì espressione del potere dell'organizzazione sindacale, rispetto al quale sarebbe stato difficile a suo parere riconoscere una valenza solo economica (e non politica), malgrado la comprensione dell'art. 40 Cost. It. nel titolo III dedicato ai 'Rapporti economici'. Le similitudini che il Maestro torinese scorgeva tra intercessio e diritto di sciopero riguardavano in particolare: 1) la comune origine rivoluzionaria[4] e la successiva costituzionalizzazione; 2) l'effetto paralizzante del loro esercizio.

Quanto ai limiti del potere tribunizio e del diritto di sciopero da poco costituzionalizzato, oggetto di questa mia breve riflessione, Grosso non poteva invece instaurare alcun preciso parallelo, dato che, all'epoca non si era ancora provveduto a dare attuazione alla riserva di legge prevista nell'art. 40, e alla delimitazione del diritto di sciopero in particolare attraverso un bilanciamento con gli altri diritti costituzionalmente garantiti; inerzia, questa, che qualche anno più tardi sarà oggetto di una sua severa reprimenda rivolta alla società e alla classe dirigente con contestuale invito ai giuristi a farsi "voce della coscienza" collettiva[5]. In ordine ai limiti del diritto di sciopero dunque le osservazioni del Maestro si sviluppavano sul piano delle proposte toccando aspetti procedurali e sostanziali nei seguenti termini: «Più pratiche e adeguate sono determinazioni e delimitazioni concrete, quali sono state proposte, specie quelle che impongono determinate procedure (p. es., referendum, tentativo di conciliazione); e compatibili sono anche dei limiti, mentre un limite generale può essere rappresentato da ciò che cesserebbe di essere sciopero per essere vera e propria rivolta ai poteri e all'ordine dello Stato»[6]. Non è dubbio invero che l'individuazione del detto limite generale proveniva ancora dalla considerazione dell'esperienza romana altorepubblicana, come il richiamo all'apologo di Menenio Agrippa (Liv. 2.32.8 ss.), che immediatamente segue, sta a dimostrare.

Il diritto di sciopero dunque, secondo Grosso, non dovrebbe mai condurre ad una frattura irreparabile tra classi sociali, ad uno stato di agitazione permanente fine a sé stesso, che è negazione stessa della democrazia basata sull'ordine[7], semmai a nuove forme di collaborazione strutturate in accordi nella condivisione di obiettivi fondamentali comuni; alla contrapposizione aspra, che nell'esperienza romana ha assunto le forme estreme della secessione plebea, deve necessariamente seguire un accordo, un foedus, in grado di preservare il valore supremo dell'unità della res publica; in uno scritto successivo, pubblicato poco meno di vent'anni dopo, Egli chiariva il punto nel senso che il diritto di veto dei tribuni (in fin dei conti evoluzione istituzionalizzata del rivoluzionario strumento della secessione[8]) è sì uno strumento negativo, ma "con valore positivo", mirando al raggiungimento di un risultato specifico negoziato[9]. Fondamento e struttura della res publica - possiamo chiosare - rimane pur sempre il contratto fondativo di società[10], eventualmente rinnovato in forza di un'aspra dialettica interna intercorsa tra le componenti sociali.

Rimanendo sulla dimensione "contrattuale" delle relazioni sociali, un Grosso veramente precursore di positive tendenze affermatesi in tempi più recenti può essere visto, a mio giudizio, in un diverso contributo dedicato alla misura umana individuale del diritto, nel quale Egli si soffermava su di uno sciopero bianco organizzato agli inizi degli anni '60 del secolo scorso[11]. In quella occasione la società titolare dell'azienda aveva fatto ricorso ad un'azione possessoria ritenendosi dunque possessore unico dei locali di produzione; la critica del Grosso evidenziava una ben maggiore complessità dell'organizzazione giuridica dell'impresa e la non estraneità dei lavoratori al possesso dei mezzi di produzione. V'era, in fin dei conti, l'idea che l'impresa dovesse prosperare sulla base di riconosciute forme di condivisione dei mezzi e degli scopi, anziché su di una rigida e sterile contrapposizione tra le parti sociali connotata da logiche vetero-dominicali; idea che lo studioso aveva già espresso nell'immediato dopo-guerra (1946), in vista del confezionamento del testo costituzionale[12]. E ben conosciamo i buoni risultati conseguiti in Germania negli ultimi tempi grazie a questo modo "societario" di impostare le relazioni industriali, non solo negli aspetti gestionali ma anche in quelli economici (condivisione degli utili), modalità partecipativa che si enuclea da più parti come un tratto distintivo dell'esperienza sociale-giuridica di quello stato[13].

Nello scritto del 1953 che abbiamo all'inizio ricordato Grosso richiamava inoltre, quali limiti posti all'esercizio dell'intercessio tribunizia consentanei alla sua funzione, l'ambito territoriale cittadino e la riferibilità dell'attività al dictator[14], a cui possiamo aggiungere quella del censor[15]. Si trattava a ben guardare di limitazioni all'uso riconducibili ai valori supremi della sicurezza e della tenuta istituzionale-militare della res publica, se solo si considera che l'impossibilità di esercitare il ius intercessionis al di fuori del pomerium e nei confronti del dictator nominato si traduceva in fin dei conti nell'esclusione, tra i possibili bersagli, di quegli atti rientranti nell'imperium militiae, e se si valuta inoltre il fondamentale ruolo che aveva la censura per il normale funzionamento dell'ordinamento serviano[16]. Penso dunque di non tradire il pensiero di Grosso lasciato tra le righe dicendo che a suo avviso il parallelo tra intercessio tribunizia e diritto di sciopero avrebbe dovuto presentare un terzo aspetto comune (oltre alla origine rivoluzionaria e successiva costituzionalizzazione, e all'effetto paralizzante): il limite del mantenimento dell'ordine unitario costituito.

La critica rivolta da Grosso agli inizi degli anni '70 ad un sindacato, uscito dal proprio ruolo per svolgere una funzione politica spettante invece unicamente ai partiti, e che usa lo sciopero come mero strumento di pressione permanente sul governo senza alcun specifico obiettivo[17], può essere in verità interpretata come una sua amara constatazione del fatto che la Repubblica italiana dell'epoca si stava allontanando dal virtuoso modello romano alto-medio repubblicano, correndo il rischio che si affermassero nuove forme di corporativismo dissociante.

 

 



[1] Cfr. G. Grosso, Il diritto di sciopero e l'"intercessio" dei tribuni della plebe, in RISG. 6-7, 1952-1953, 397 ss.; ora in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, Torino 2000, 303 ss. (da cui si cita); articolo già commentato da G. Pugliese, in G. Grosso, Tradizione e misura umana del diritto, Milano 1976, 14 s. (Introduzione), e da M. Vari, Alcuni principi costituzionali secondo Giuseppe Grosso. Antologia, in Tradizione romanistica e Costituzione (dir. L. Labruna, curr. M.P. Baccari e C. Cascione), Napoli 2006, 266 ss.

[2] Tale modello è caratterizzato dal potere negativo, rispetto al quale lo sciopero sarebbe una 'diretta' manifestazione, in quanto attuato, senza mediazioni istituzionali, dai cittadini: cfr. spec. P. Catalano, Sovranità della multitudo e potere negativo: un aggiornamento, in Studi in onore di G. Ferrara, vol. I, Torino 2005, 643 ss. (con citazione dell'articolo di Grosso qui considerato a 644 s. e a 650 nt. 40); si veda inoltre G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1982, 105 ss.; nonché S. Tafaro, Continuidad de la función tribunicia, in Estudios en homenaje a M. Gayosso y Navarrete (comp. J.L. Cuevas), Univ. Veracruzana - Mexico, 2009, 361 ss. Deve molto alle riflessioni di Catalano e ne ha consentito una più ampia diffusione anche in ambienti extra-accademici italiani lo scritto di A. Caputo, Un difensore civico per la Repubblica. Difesa dei diritti dell'uomo e del cittadino nell'Unione Europea, Soveria Mannelli 2012, 29 ss.; v. anche, dell'Autore, Spunti per una teoria generale della difesa civica, in Relazione annuale 2013 del Difensore civico della Regione Piemonte, Torino 2013, 39 ss.; per l'America Latina cfr. praecipue C.R. Constenla, No quedó en el olvido: el poder negativo, in Revista General de Legislación y Jurisprudencia 3, 2014, 11 ss. Sul potere negativo nel pensiero costituzionalista (parimenti ispirato all'esperienza romana repubblicana) del serbo Svetozar Markovic (1846-1875), cfr. S. Aličić, El derecho romano y la defensa de los derechos civiles en Serbia, in Éforos (Publicación Semestral del ILO) 4, 2014, 59.

[3] Tratto della sua personalità scientifica già evidenziato più in generale da L. Capogrossi Colognesi, Commemorazione di Giuseppe Grosso, in RDR. 1, 2001, 249.

[4] Su di essa acute osservazioni in R. Lambertini, Sull'origine e la natura dell'intercessio tribunizia, in Tradizione romanistica e Costituzione, cit., 613 ss.

[5] Cfr. a proposito del Titolo III della Costituzione, G. Grosso, I cinque anni di una rivista dell'economia, in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 466 s.: «C'è un imperativo della legalità che dovrebbe avvertire che i dettami costituzionali non debbono restare troppo a lungo inevasi. A un certo punto si pone il dilemma: la Costituzione si attua o la si modifica. La inattività, le soluzioni provvisorie, peggio ancora il perpetuarsi di prassi anticostituzionali [...] significano crisi profonda, che certo non ha il suo epicentro nel diritto ma nella stessa società e nella sua classe dirigente. Il giurista non può riformare o rinnovare egli stesso la società, ma deve rappresentare la voce della coscienza che richiama le forze politiche e sociali all'imperativo di esprimersi in termini di legalità e di rispettarla».

[6] Cfr. G. Grosso, Il diritto, cit., 309.

[7] Cfr. G. Grosso, Principii di una costituzione cristiana dello Stato, in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 186 s.

[8] In tal senso v. L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere, Bologna 2009, 85.

[9] Cfr. G. Grosso, Intervento (al convegno sassarese) su "Autonomia e diritto di resistenza", in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 957.

[10] Cfr. in proposito G. Lobrano, Guerra, pace e "forme di stato" con un riferimento alla prospettiva di Giorgio La Pira, professore di diritto romano, in Estudios en homenaje a M. Gayosso y Navarrete (comp. J.L. Cuevas), cit., 346 s. e lett. ivi citata; da ultimo P.P. Onida, «Trouver une forme d'association...par laquelle chacun s'unissant a tous n'obéisse pourtant qu'a lui lui-même et reste aussi libre qu'auparavant»: la soluzione romana, in Il principio della democrazia. Jean Jacques Rousseau. Du Contrat social (1762), a cura di G. Lobrano e P.P. Onida, Napoli 2012, 11.

[11] Cfr. G. Grosso, La misura umana individuale nel diritto, ora in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 708 s.

[12] Cfr. G. Grosso, I diritti della persona nella Costituzione, ora in Id., Scritti storico giuridici, vol. I, cit., 142: «Occorre superare l'antitesi in una sintesi, in un sistema che ponga a sua base la proprietà e l'iniziativa privata come espressione della personalità, e d'altra parte attui una organizzazione della vita economica, una trasformazione del regime delle imprese, in modo da immettere il lavoro nella partecipazione al capitale e da avviare la generalizzazione della proprietà...».

[13] Cfr. tra gli altri M. Corti, La partecipazione dei lavoratori. La cornice europea e l'esperienza comparata, Milano 2012, 127 ss.

[14] Cfr. G. Grosso, Il diritto, cit., 307.

[15] Cfr. spec. G. Nicosia, Lineamenti di storia della costituzione e del diritto di Roma, vol. I, rist. Catania 1989, 204 s.

[16] V. anche M. Talamanca (dir.), Lineamenti di storia del diritto romano, 2a ed., Milano 1989, 180.

[17] Cfr. G. Grosso, Intervento, cit., 957 s.