Massimo
Pallottino
Capo Ufficio Asia e Oceania
Caritas Italiana
Roma
DEBITO E DISUGUAGLIANZE*
Sommario: 1. Disuguaglianze e debito: un contesto in cambiamento. – 2. Una relazione a diversi livelli. – 3. Debito e
disuguaglianze: una relazione ‘di sistema’. – 4. Conclusioni. – 5. Bibliografia. – Abstract.
Il debito e l’instabilità finanziaria globale sono
tra i fenomeni che condizionano in maniera più significativa la vita
delle donne e degli uomini che abitano il nostro pianeta, e in particolare quelli
delle comunità più povere e vulnerabili. Allo stesso tempo le
crescenti diseguaglianze pongono un forte interrogativo sulle capacità
dell’attuale modello di sviluppo nel rispondere in modo sostenibile alle
necessità delle fasce più fragili della popolazione
dell’intero pianeta. Esiste infatti una consapevolezza sempre più
diffusa[1]
che la presenza e soprattutto l’aumento di queste rappresentino un
ostacolo alla rimozione dei fattori di deprivazione sofferenza e malessere
presenti nella società umana.
E’ dunque importante interrogarsi sul legame tra le
diseguaglianze e i fenomeni di carattere finanziario che hanno caratterizzato
gli ultimi quaranta o cinquanta anni[2]
ed in particolare quelli legati al debito. Se però la situazione che
portò alla nota crisi del debito sovrano degli anni ottanta e novanta si
era abbattuta principalmente sui paesi del sud globale, la storia degli ultimi
dieci anni ha reso evidente come in un mondo profondamente segnato dai fenomeni
di globalizzazione finanziaria non esistano zone franche. Non solo i paesi
impoveriti del sud del mondo, ma anche i paesi ricchi e industrializzati del
nord del mondo si trovano a fronteggiare fenomeni di indebitamento, sui quali
è necessario riflettere a fondo, sia in merito al modo in cui questi
fenomeni sono emersi, sia per quanto riguarda le loro conseguenze
sull’economia, la politica, la società. L’aumento del debito
pubblico nei paesi dell’OCSE è in realtà un fenomeno
riscontrabile sin dall’inizio degli anni settanta. Tale fenomeno ha avuto
profonde ripercussioni di tipo sociale e politico, trasformando il modello di
stato nato nel dopoguerra in un vero e proprio ‘stato basato sul
debito’[3]. Ma
anche le tendenze nell’indebitamento nel sud globale sembrano
tutt’altro che superate dopo la crisi degli anni ottanta e novanta,
superata anche grazie all’iniziativa HIPC (Highly Indebted and Poor Countries)[4].
La situazione del debito che sperimentiamo negli ultimi quindici
anni ha però caratteristiche diverse, e per certi aspetti ancora
più preoccupanti rispetto a quella che scosse le economie di tutto il
pianeta a partire dagli anni ottanta. Dopo una prima fase in cui il debito era
andato calando come conseguenza della lunga stagione delle politiche di
riduzione del debito, a partire dal 2008 (più o meno in coincidenza con
lo scoppio della crisi finanziaria internazionale), esso ricominciò a
salire, sia in termini di proporzione con il PIL che nella proporzione tra
servizio del debito e esportazioni. Nella fase attuale si osserva anche un
cambiamento nella sua composizione: mentre ai tempi della crisi degli anni
’90 il debito internazionale era largamente costituito da debito sovrano
nei riguardi di altre istituzioni pubbliche, adesso non è più
così. Il debito pubblico nei riguardi di creditori privati era il 41%
del totale nel 2000, ed è salito al 62% nel 2015 [5].
Il debito verso privati, al contrario di quello nei riguardi di istituzioni
pubbliche è più difficilmente ‘contrattabile’, dato
che un creditore privato avrà ogni interesse a trarre il massimo vantaggio
dai titoli di credito in proprio possesso. E’ lo stesso meccanismo che si
verifica, in maniera estrema, nel caso dei ‘fondi avvoltoio’ che,
quando riescono ad entrare in possesso di quote di debito in sofferenza dei
paesi poveri (spesso acquistandoli sul mercato secondario a prezzi irrisori)
cercano di garantirsi il massimo profitto possibile, intentando ai paesi
debitori interminabili azioni giudiziarie. Ma, in termini meno estremi,
è sufficiente osservare quello che è avvenuto negli ultimi anni con
il crescente ricorso dei paesi più poveri al mercato internazionale dei
capitali con l’emissione di titoli sovran[6],
soggetto a fortissime oscillazioni dei tassi di interesse all’emissione,
passati dal 5,63% del 2012 al 10,59% del 2015 (con tutte le conseguenze che
tale oscillazione comporta per l’equilibrio dei conti pubblici)[7].
La crescita e la composizione destano preoccupazioni, ma
altrettanto avviene per il debito dei privati. Esso è infatti in
aumento, e lo è anche per quanto riguarda i paesi più poveri: in
Africa Sub Sahariana, il debito privato è aumentato circa sette volte
dal 2000, raggiungendo i 70 miliardi di dollari del 2015 [8].
Si tratta di una tendenza che nasconde un certo numero di pericoli, dal momento
che l’aumento del debito privato è stato riconosciuto come un
efficace predittore rispetto al verificarsi di episodi di crisi finanziaria, in
misura anche maggiore di quanto non lo sia l’aumento del debito pubblico[9].
Avviene inoltre che i confini tra debito privato e debito pubblico siano in qualche
misura porosi, soprattutto in occasione dei processi di consolidamento del
debito che hanno luogo in corrispondenza con le crisi debitorie, spesso
attraverso piani pubblici di salvataggio delle banche, che hanno
l’effetto di trasformare il debito privato in debito pubblico. Tali
considerazioni gettano forti dubbi su una posizione piuttosto diffusa tra gli
economisti (e diffusa presso le grandi istituzioni finanziarie internazionali),
in relazione a un indubitabile pregiudizio positivo a favore del debito
privato, considerato come l’unica realistica possibilità di
finanziare lo sviluppo in modo finanziariamente sostenibile, e seguendo le
regole di mercato.
Non è dunque soltanto il livello assoluto di debito (pur
in costante crescita) a preoccupare, ma anche la sua composizione, anche nei
paesi che avevano beneficiato dell’iniziativa HIPC o di altre iniziative
di riduzione del debito. La riflessione attuale deve dunque tenere conto di
questi elementi, in una situazione nella quale sia le istituzioni finanziarie
internazionali[10], sia
gli osservatori più informati[11]
rilevano un deteriorarsi della situazione complessiva e mettono in guardia dal
crescente pericolo di una nuova possibile crisi del debito internazionale. Come
già avvenne nei decenni passati si tratta di processi che hanno
conseguenze estremamente concrete e dirette sulla vita delle persone, e che
richiamano molto più del discorso sulla ‘povertà’
(che ha caratterizzato le politiche per lo sviluppo a partire dagli anni novanta),
una dimensione ‘sistemica’.
E’ dunque per certi aspetti sorprendente che
un’analisi della relazione tra dinamiche finanziarie/indebitamento e
tendenze di disuguaglianza non sia stata oggetto di analisi centrale e
specifica negli ultimi decenni. La letteratura sembra essersi concentrata sulla
relazione tra debito e altre grandezze macroeconomiche come ad esempio la
relazione tra alti livelli di debito e crescita economica[12].
Si potrebbe argomentare che la relazione tra due grandezze di tipo economico
finanziario (oppure che vengono riduzionisticamente considerate soltanto nelle
loro dimensioni puramente economico finanziarie) appare più facilmente
indagabile di una connessione che evoca uno spettro di fenomeni e relazioni ben
più ampio. Ma anche laddove si sia cercato di prendere in considerazione
un certo numero di variabili di carattere sociopolitico, la questione della
disuguaglianza sembra emergere con difficoltà all’interno delle
analisi volte a spiegare cause e ragioni dei processi di indebitamento e dell’instabilità
finanziaria[13].
Tale difficoltà va di pari passo con il faticoso
affermarsi dell’agenda della diseguaglianza nell’attenzione
dell’accademia così come dei policy
makers a livello globale[14].
Non c’è dubbio che tale questione abbia recuperato
centralità nel dibattito pubblico negli ultimi anni; si rischia tuttavia
che la sua importanza possa essere colta solo in maniera parziale, come una
sorta di ‘discorso sulla povertà’ più raffinato ed
argomentato, ma che tuttavia non pone la questione nei termini di una comprensione
profonda dell’esistente. E’ un rischio che si corre soprattutto
laddove predomini la tendenza a considerare la ‘diseguaglianza
orizzontale’, e un orientamento a una risposta di
‘inclusione’; essa appare necessaria ma non sufficiente rispetto a
una domanda di cambiamento, se non completata da una giusta considerazione
della considerazione della diseguaglianza ‘verticale’ e dalla
conseguente preoccupazione di equità che ne deriva[15].
Indagare sulla relazione tra dinamiche finanziarie/di indebitamento e le tendenze
della diseguaglianza significa dunque anche permettere un più pieno
recepimento della tematica della diseguaglianza nelle sue implicazioni
‘di sistema’.
L’interesse per una riflessione della disuguaglianza va in
primo luogo radicato nel collegamento tra disuguaglianze e diritti umani, ed in
particolare nel riconoscimento dei diritti economici e sociali, i quali
impongono agli stati di affrontare e/o prevenire la diseguaglianza, nella
misura in cui essa costituisce un ostacolo al godimento dei diritti umani[16].
Non si può naturalmente assumere che la legge internazionale dei diritti
umani possa imporre delle azioni specifiche o dettare particolari condizioni
nella distribuzione del reddito e della ricchezza; tuttavia, se si considerano
le implicazioni in termini di equità nella realizzazione dei diritti
economici e sociali, si identificano dei chiari vincoli nelle condizioni in
termini di disuguaglianza (verticale), nel caso in cui alcuni membri della
società non possono godere di tali diritti mentre altri membri della
società si trovano in una condizione di sovrabbondanza[17].
Il tema della diseguaglianze emerge anche dalla dichiarazione sull’Agenda
2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea delle Nazioni
Unite nel settembre 2015, che dedica al tema uno degli Obiettivi per lo
Sviluppo Sostenibile[18].
Si tratta dunque di un tema entrato ormai a pieno titolo nelle policies internazionali.
La domanda cui si intende rispondere è dunque questa:
quali sono le connessioni tra i due fenomeni in questione? Che rilevanza esse
possono avere nell’analisi così come nel policy making?
Come si è avuto modo di segnalare, la relazione tra
dinamiche finanziarie/di indebitamento e tendenze alla diseguaglianza ha
ricevuto un’attenzione relativamente contenuta in letteratura. Si tratta
però nel contesto attuale sempre più di porre un’attenzione
particolare alle conseguenze delle dinamiche di instabilità finanziaria
in termini di ‘sofferenza sociale’ e diseguaglianza. Quali sono
infatti i meccanismi che collegano la stabilità finanziaria alla
distribuzione del reddito, dei servizi, dell’accesso alle risorse? Esiste
una relazione tra il debito e la diseguaglianza? Si tratta di una relazione
intuitivamente avvertibile, ma che richiede di essere indagata su diversi
livelli.
Secondo Juan Pablo Bohoslavsky, esperto indipendente su Debito e
Diritti Umani delle Nazioni Unite, che ha cominciato a mettere a fuoco questa
questione con una serie di ricerche a partire dal 2016 [19],
le questioni legate al debito e più in generale alla governance della finanza internazionale
hanno un legame importante con i fenomeni di crescente diseguaglianza che si
verificano sul pianeta. Esiste in primo luogo una relazione diretta tra
diseguaglianza e debito: diversi studi empirici[20]
trovano una correlazione tra diseguaglianza, a parità di reddito
complessivo, e l’aumento del deficit fiscale e all’indebitamento
pubblico, a causa dell’erosione della base fiscale che si verifica
laddove la diseguaglianza non è controbilanciata da un’appropriata
progressività nella tassazione[21].
Esistono però anche altri meccanismi che collegano la diseguaglianza e
il debito, in particolare attraverso il debito privato. In particolare nel caso
di disuguaglianze crescenti, si può produrre un ‘effetto
consumo’: le fasce sociali più povere cercano di salvaguardare i
propri livelli di consumo attraverso forme di indebitamento. In questo caso si
osserva un doppio fenomeno: da una parte un indebitamento da parte delle fasce
più povere, dall’altro un surplus di liquidità presso le
fasce più ricche, che può portare ad un aumento dei consumi di
lusso, oppure al riversarsi di tale liquidità sul mercato del credito.
Questo meccanismo produce un trasferimento di reddito dalle fasce più
povere (indebitate) a quelle più ricche (creditrici, e dunque
percettrici di remunerazioni sui propri impieghi finanziari)[22]:
si tratta quindi di un fenomeno in cui è la situazione di indebitamento
(in questo caso privato) a essere possibile causa di aumento delle
diseguaglianze.
I meccanismi attraverso cui il legame tra diseguaglianze e
debito si concretizza sono dunque vari ed estremamente visibili, e danno luogo
ad un legame bidirezionale: le diseguaglianze hanno un impatto diretto e
indiretto sulle dinamiche di indebitamento pubblico e privato, e sulle
condizioni di stabilità del sistema nell’insieme; ma, allo stesso
modo, il debito può essere causa di ulteriore diseguaglianza. Anche tale
effetto può articolarsi in fenomeni diversi, sia a partire
dall’indebitamento dei privati sia come conseguenza del
sovraindebitamento del settore pubblico. Un esempio di dinamiche di
sovraindebitamento privato che hanno contribuito in modo importante
all’aumento delle diseguaglianze, è quello della green revolution, la cosiddetta
‘rivoluzione verde’ che negli anni ’60 e ’70 ha
cambiato l’agricoltura globale: molti contadini adottarono le nuove tecniche,
acquistando a credito quanto necessario, per ottenere raccolti più
elevati, ma esponendosi al rischio di perdere tutto alla prima crisi
(siccità, piogge eccessive, ma anche avvenimenti familiari come decessi
improvvisi o eventi di altra natura). Il risultato di quella stagione fu,
assieme ad un considerevole aumento della produzione, un impressionante aumento
della concentrazione della proprietà della terra in paesi come
l’India e la diffusione del fenomeno dei ‘contadini suicidi’
tra coloro che avevano perso ogni cosa. Un altro esempio importante del
collegamento tra il debito da parte delle fasce più povere della
società con l’abbondanza momentanea di liquidità a basso
costo, è anche quello della fase che portò poi alla crisi dei
mutui ‘sub-prime’ negli USA, a partire dal 2007 (circostanza che
è stata poi all’origine della profondissima crisi finanziaria che
ancora non ha terminato di esercitare i suoi effetti su tutto il pianeta).
E’ interessante notare come nella gestione di quel
passaggio si ebbe una sostanziale ‘ripubblicizzazione’ del debito:
a parte il caso del fallimento della Lehman Brothers, molte banche di
investimento come la Goldman Sachs e la Morgan Stanley, vennero salvate grazie
all’intervento del governo statunitense; lo stesso intervento ebbe luogo
in Europa anche se in forme diverse[23].
In un caso di questo tipo il problema è duplice: da una parte quello dei
debitori, che non sono più in grado di ripagare il dovuto, e finiscono
in questo modo per perdere tutto (gli assets
– come la casa – per acquisire i quali si erano indebitati);
dall’altra il problema dei creditori (privati) il cui possibile crollo
è destinato a causare ulteriori ripercussioni, ad esempio sui
risparmiatori (spesso piccoli risparmiatori) che da questo crollo sarebbero travolti.
Tali meccanismi hanno un impatto dunque ancora maggiore in caso
di instabilità, finanziaria e socio-politica. Oltre ai possibili
fenomeni di ‘ripubblicizzazione’ del debito privato nel caso di
crisi finanziaria, che sposta il rischio del default del debitore verso il
settore pubblico, è importante qui ricordare la connessione (già
menzionata in precedenza) tra aumento del debito privato, instabilità
finanziaria e prospettiva di ‘default’. Più in generale diversi
studi dimostrano come l’aumento delle diseguaglianze[24]
sia collegato ad un aumento dell’instabilità socio-politica, che a
sua volta è ulteriore causa di diseguaglianza. Vi sono infatti diversi
meccanismi attraverso i quali una condizione di tensione e crisi finanziaria
può essere all’origine di un aumento delle diseguaglianze,
attraverso un impatto sulle grandezze macroeconomiche come la crescita
economica, l’inflazione, la disoccupazione, l’equilibrio tra
capitale e lavoro[25].
Tale impatto non è però uguale in tutti i casi, ma appare come
più forte nei paesi del sud globale e in quelli dove l’economia
presenta un grado maggiore di deregolazione[26].
La valutazione dell’impatto sulle finanze pubbliche delle operazioni di
salvataggio bancario e di ripubblicizzazione del debito privato (attraverso, ad
esempio, operazioni di salvataggio bancario), è più complessa,
anche perché resterebbe da valutare l’impatto che avrebbe il
fallimento degli enti finanziari potenzialmente trascinati dall’esplodere
dell’insolvenza; rimane tuttavia indubbio che l’impiego di risorse
pubbliche in operazioni di quel tipo contribuisce ad un’ulteriore stretta
sui vincoli del bilancio pubblico, e dunque in qualche modo alla contrazione di
servizi ed erogazioni.
L’impatto maggiore di una situazione di crisi finanziaria
o anche solo di una condizione di sovraindebitamento si verifica infatti
attraverso le politiche pubbliche adottate per fare fronte alla crisi stessa.
Le politiche messe in opera per rispondere ad un debito eccessivo[27]
sono incentrate sulla contrazione della spesa, e dunque per molti aspetti sulla
riduzione dei servizi pubblici. Si tratta di misure che toccano le fasce
più povere della società che da quei servizi pubblici traggono
importante sostegno: misure che hanno un effetto di redistribuzione in senso
regressivo (cioè dai più poveri ai più ricchi)
nell’accesso ai servizi, dato che i ceti più ricchi della
società non avranno difficoltà a mantenere un accesso a servizi
qualificati a pagamento (ad esempio nel campo educativo o sanitario). Si
calcola che una riduzione di spesa dell’1% del PIL sia associato a un
aumento dell’indice di Gini tra l’1,5 e il 2%[28].
Fino ad ora abbiamo parlato di relazioni più o meno
dirette tra debito, crisi finanziarie e livello di diseguaglianze, toccando
vari elementi: le diseguaglianze di reddito e di consumo, quelle di tipo
sociale, quelle relative all’accesso ai servizi. Vi sono però un
paio di considerazioni che è necessario fare a completamento di questo
ragionamento. Esiste infatti una dimensione ‘di sistema’ entro cui
inscrivere le relazioni puntuali sopra delineate. Ed è una dimensione
che fa riferimento al ruolo del settore pubblico come garante della
redistribuzione necessaria a contrastare i processi di aumento delle diseguaglianze,
e alle tendenze globali di indebolimento di questa funzione fondamentale; una
dimensione, dunque, che allude all’evoluzione del ruolo dello stato
nell’assicurare un livello minimo di giustizia sociale[29].
Come osserva il già citato World Inequality Report (WIR)[30],
alla tendenza di aumento della disuguaglianza di reddito e di ricchezza[31],
si aggiunge una tendenza generalizzata degli ultimi decenni di spostamento
della composizione della ricchezza nazionale globale da una prevalenza della
ricchezza pubblica, ad una prevalenza della ricchezza privata. Sempre secondo
il WIR[32],
l’analisi della composizione della ricchezza nazionale è
importante per comprendere le dinamiche della concentrazione di ricchezza tra
privati, e in particolare la dinamica del rapporto tra ricchezza e reddito. Un
aumento della proporzione della ricchezza privata è stato osservato in
quasi tutti i paesi negli ultimi decenni, con una tendenza che non si è
arrestata neanche dalla crisi finanziaria del 2008. La ricchezza pubblica netta
(patrimonio pubblico meno debito pubblico) è diminuita nella maggior
parte dei paesi a partire dagli anni ottanta, ed è diventata addirittura
negativa o solo marginalmente positiva in molti paesi, cosa che ci si
può aspettare che limiti in maniera importante la capacità dei
poteri pubblici di svolgere un ruolo di regolazione dei mercati e di limitare
le diseguaglianze attraverso politiche redistributive. Ma mentre il valore del
patrimonio pubblico è rimasto per lo più costante, il valore
della ricchezza pubblica netta è diminuito vertiginosamente a causa
dell’altrettanto vertiginoso aumento del debito pubblico.
Non si tratta in questo caso di poter dimostrare un legame
causale tra debito e dinamiche di diseguaglianza legate all’aumento della
proporzione della ricchezza privata sull’insieme della ricchezza
nazionale, quanto sottolineare una tendenza complessiva in cui
l’aumentare della diseguaglianza avviene in un contesto in cui si afferma
un modello di società dove tende a prevalere la proprietà privata
e dove questo prevalere è strutturalmente costruito in connessione con
l’aumento del debito. Tale osservazione richiederebbe naturalmente di
essere completata da una riflessione sul come il debito si è venuto a
produrre: una posizione largamente diffusa è quella che vorrebbe tale
fenomeno legato ad un fenomeno di spesa eccessiva da parte dei governi, spinti
da una pressione dell’opinione pubblica ad aumentare impieghi di tipo
sociale ‘vivendo al di sopra dei propri mezzi’. Alcuni dati di
fatto sembrano però contraddire questa popolare versione. Streeck[33]
ricorda innanzitutto come l’aumento del debito a partire dagli anni
’70, un fenomeno comune a tutti i paesi dell’OCSE, è
avvenuto in un contesto caratterizzato da un progressivo ma costante
indebolimento dei fenomeni di negoziazione sociale (ad esempio in ambito
sindacale) e partecipazione politica. Si tratta di fenomeni che vanno letti
assieme alle trasformazioni del sistema fiscale, ed in particolare al
progressivo spostamento del carico fiscale dai redditi più alti e dalle
grandi imprese, alle fasce medie e medio-basse. Tale processo di indebolimento
della progressività fiscale, ebbe luogo in un contesto che è
stato definito di ‘competizione fiscale’ coscientemente perseguita
dai diversi paesi per evitare la fuga di buoni contributori fiscali e
investitori[34].
Si rileva però da un punto di vista economico nello
stesso periodo un rallentamento significativo della dinamica del prodotto
interno lordo; dinamiche che le politiche di austerità e
finanziarizzazione messe in atto proprio per compensare l’aumento del
debito non sembrano aver in alcun modo rilanciato. La tendenza
all’aumento del debito pubblico viene infatti contrastata non con una
manovra sul piano fiscale (correggendo la tassazione in senso progressivo, e
irrobustendo il gettito), ma con una politica di compressione delle spese,
soprattutto nel welfare[35].
L’aumento del debito (che implica uno spostamento di ricchezza dai
‘debitori’ - lo stato, e i debitori privati - ai creditori,
cioè i detentori di ricchezza finanziaria), e anche la politica delle
privatizzazioni (che sposta beni patrimoniali pubblici a copertura del debito),
indeboliscono in modo significativo la ricchezza pubblica e più in
generale la capacità del settore pubblico di operare in senso
redistributivo per limitare le crescenti diseguaglianze. Queste ultime appaiono
dunque, nella lettura di Streeck, non come un effetto collaterale delle
politiche di crescita (con cui in qualche misura è possibile
confrontarsi ceteris paribus), ma
come una caratteristica in qualche modo fondante di quello che viene chiamato
il modello di consolidation state[36],
dove la ‘necessaria’ gestione del debito pubblico viene legata ad
una interpretazione solo parziale dei fenomeni economici, e tradotta in
diagnosi altrettanto prive di alternative che hanno l’effetto di svuotare
la dinamiche sociale e politica dettata da una libera negoziazione e
composizione degli interessi[37].
In tale contesto i ceti sociali che hanno tratto il maggiore
vantaggio da queste tendenze (pur in assenza di crescita economica sostenuta)
sono anche quelle che non avvertono in realtà nessuna impellente
necessità di procedere nella direzione di una redistribuzione della
ricchezza, o al limite di dinamizzare la stessa economia reale (dato che non
è da essa che essi stessi hanno tratto i vantaggi di cui godono al
momento attuale); soprattutto finché le dinamiche elettorali rimarranno
bene ancorate a fenomeni di ‘rabbia sociale’[38],
e si dimostreranno capaci di intercettare l’interesse di coloro che l’insieme
delle tendenze in atto ha visto perdenti, anche senza generare (o forse,
proprio perché capaci di sterilizzare) politiche di reale attenzione ad
essi. In questa lettura, il debito e soprattutto la sua gestione, possono
essere considerati pienamente funzionali al mantenimento delle tendenze in
corso in quanto capaci di generare una ‘via obbligata’ nella
gestione dell’economia e della società.
Questo breve contributo ha cercato di dare conto delle ragioni
per le quali si può ritenere che i fenomeni di indebitamento pubblico e
privato (e le crisi finanziarie ad essi collegate) abbiano una forte
connessione con l’aumento delle diseguaglianze. Si tratta di un
collegamento bidirezionale: il debito (pubblico e privato) tende a provocare un
effetto di aumento delle diseguaglianze, così come le disuguaglianze, ed
il loro aumento, hanno effetti che portano il debito ad aumentare. E’
sicuramente utile e opportuno approfondire queste connessioni dirette e
indirette in modo da rendere tali dinamiche più evidenti anche ai policy makers.
Il crescere delle diseguaglianze e il prevalere di un sistema
economico finanziarizzato e instabile, con frequenti crisi di
sovraindebitamento dalle caratteristiche ‘prevedibilmente
imprevedibili’, rappresentano fattori caratterizzanti degli ultimi
decenni, e il tentativo di cogliere le connessioni tra questi fenomeni
suggerisce una riflessione più ampia: in che misura alcune tendenze che
si riscontrano sia nei paesi industrializzati che in quelli detti ‘in via
di sviluppo’ come l’aumento delle diseguaglianze e del debito,
possono essere lette come conseguenze di un modello complessivo di cui esse
sono manifestazioni interconnesse e necessarie? Nei paesi dell’OCSE la
tendenza alla bassa crescita economica sembra essere il fattore centrale che ha
generato una trappola di debito, austerità e disuguaglianze, rinforzate
(e non contrastate) da politiche fiscali regressive. Se tale ipotesi fosse
confermata, questo rappresenterebbe un elemento interessante anche con
riferimento al dibattito pubblico in Italia, dove si discute
dell’opportunità di sostenere politiche di redistribuzione assieme
a riforme fiscali di carattere ulteriormente regressivo[39]
che a parità di pressione fiscale complessiva hanno l’effetto di
spostare il peso della fiscalità generale proprio sui ceti più
poveri.
Questioni simili possono essere poste con riferimento alla
situazione nei paesi più poveri, dove gli stessi fenomeni di disuguaglianza
e di debito sono ben avvertibili e presenti. In che misura alcune
interpretazioni che trovano qualche elemento di conferma per quanto riguarda i
paesi dell’OCSE possono essere usate per spiegare i fenomeni di fenomeni
di paesi che mostrano invece tassi di crescita più alti, seppur
disomogenei? Esiste, in altri termini una forma di consolidation state in paesi in cui l’aumento del debito
pubblico e privato non si presenta insieme ad una tendenza alla bassa crescita
economica? L’aumento e la dinamica del debito privato nei paesi detti
‘in via di sviluppo’ suggerisce certamente l’esistenza di
tendenze che devono essere ancora forse comprese fino in fondo, probabilmente
andando oltre la comune retorica che sottolinea l’ultima fase di alta
crescita economica di molti paesi poveri, che caratterizza talvolta il discorso
pubblico su questo argomento.
L’esistenza di una relazione tra disuguaglianze e debito,
permette di mettere in evidenza la dimensione sociale e politica di
quest’ultimo: il suo aumento in un contesto di finanza non regolata ha
degli effetti nefasti su tutta la società, e soprattutto sulle fasce
più deboli della popolazione del pianeta. Si tratta di una relazione che
certamente merita di essere investigata più a fondo, sia negli elementi
di manifestazione più fattuale, sia nell’ipotesi che tale analisi
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Frances (Ed.), Horizontal inequalities and conflict: understanding group
violence in multiethnic societies, Basingstoke [England] ; New York,
Palgrave Macmillan, 2008.
Streeck
Wolfgang, The Politics of Public Debt: Neoliberalism, Capitalist Development
and the Restructuring of the State, in «German Economic Review»
15 (febbraio 2014) 1, 143–165.
UN General
Assembly, Transforming our world : the 2030 Agenda
for Sustainable Development, A/RES/70/1.
UNCTAD, External
debt sustainability and development. Report of the Secretary-General,
United Nations - General Assembly, 2 agosto 2016.
Wilkinson Richard G – Pickett
Kate, La misura dell’anima: perché le diseguaglianze rendono le
società più infelici, Milano, Feltrinelli, 2009.
Woo
Jaejoon et al., Distributional Consequences of Fiscal Consolidation and the
Role of Fiscal Policy: What Do the Data Say? (= IMF Working Papers WP/13/195),
International Monetary Fund, 2013.
World Bank
Group, International Debt Statistics 2018, Washington, DC, World Bank
Group, 2018.
Both inequality
and debt are elements that deeply mark our time. Debt, although with features
that are profoundly different from those that gave rise to the crisis of the
eighties of the XX century, is increasing both in the industrialized as well as
in the so-called developing countries; inequalities have been growing
throughout several decades in the majority of countries. In spite of the
importance of both issues, relatively little attention has been paid to the
relationship between them. This paper will explore their multiple faceted
connection, arguing that debt and inequality may be both manifestations of the
same evolutionary trend of the role of the state in development, and
particularly in its role of ensuring a minimum level of social justice.
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai promotori
del Seminario “Contro l’usurocrazia ”, dal curatore della
pubblicazione e dalla direzione di Diritto
@ Storia]
* Relazione
presentata nel Seminario di studi "CONTRO
L’USUROCRAZIA. DEBITO E DISUGUAGLIANZE", organizzato
dall’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” del Consiglio
Nazionale delle Ricerche – Sapienza Università di Roma, diretta
dal professore Pierangelo Catalano, e dal CEISAL - Consejo Europeo de Investigaciones Sociales de
América Latina, Grupo de Trabajo de Jurisprudencia, svoltosi presso la
Biblioteca Centrale del CNR il 15 dicembre 2017, in occasione del XX
Anniversario della “Carta di Sant’Agata de’ Goti –
Dichiarazione su usura e debito internazionale”.
[1] Vedi ad esempio R. G. Wilkinson
- K. Pickett, La misura
dell’anima: perché le diseguaglianze rendono le società
più infelici, Milano, Feltrinelli, 2009.
[2] Considerando convenzionalmente il 1971
e la fine del Sistema gold exchange standard come il momento in cui si è avviato il processo di trasformazione
del sistema finanziario internazionale nella forma in cui lo conosciamo oggi.
[3] W. Streeck, The Politics of Public
Debt: Neoliberalism, Capitalist Development and the Restructuring of the State,
in «German Economic Review» 15 (febbraio 2014) 1, 143-165.
[4] L’iniziativa per i paesi poveri e
fortemente indebitati che, a cavallo del nuovo millennio, aveva permesso la
cancellazione del debito di molti paesi. Vedi Fondazione
Giustizia e solidarietà, Impegni di giustizia: rapporto sul
debito : 2000-2005, Bologna, EMI, 2005.
[5] UNCTAD, External
debt sustainability and development. Report of the Secretary-General,
United Nations - General Assembly, 2 agosto 2016.
[6] Come suggerito peraltro da una nutrita
schiera di economisti che proprio nel ricorso agli strumenti del mercato (e
quindi dell’indebitamento sia pubblico che privato) vedevano
l’unica possibilità per accelerare lo sviluppo. Vedi D. Moyo,
La carità che uccide : come gli aiuti dell’Occidente
stanno devastando il Terzo Mondo, Milano, Rizzoli, 2010.
[7] UNCTAD, External
debt sustainability and development. Report of the Secretary-General.
[8] Ibid. Citando
dati del Fondo Monetario Internazionale.
[9] M. Schularick – A. M. Taylor, Credit booms gone bust:
Monetary policy, leverage cycles, and financial crises, 1870-2008, in
«American Economic Review» 102 (2012) 2, 1029-61.
[10] UNCTAD, External
debt sustainability and development. Report of the Secretary-General; World Bank Group, International Debt
Statistics 2018, Washington, DC, World Bank Group, 2018.
[11] B. Ellmers, The evolving nature of
developing country debt and
solutions for change, Brussels, European Network on Debt and Development
(EURODAD), luglio 2016.
[12] C. M. Reinhart – K. S. Rogoff, Growth in a Time of Debt,
in «American Economic Review» 100 (maggio 2010) 2, 573–578.
[13] P. Manasse - N. Roubini, “Rules of thumb” for sovereign debt
crises, in «Journal of International Economics» 78 (luglio
2009) 2, 192-205.
[14] Per il caso italiano, è
opportuno ricordare il lavoro intrapreso dal Forum Disuguaglianze e
Diversità (http:// www.forumdisuguaglianzediversita.org ).
[15] S. Prato,
Il dibattito e gli impegni dell’Agenda 2030 per lo sviluppo
sostenibile, in V. Ianni
(Ed.), Lo sviluppo nel XXI secolo: concezioni, processi, sfide, Roma,
Carocci editore, 1a edizione 2017, 163-174.
[16] J. P. Bohoslavsky, Economic Inequality,
Debt Crises and Human Rights, in «Yale Journal of International
Law» 41 (2016) 2, 177-99: 179.
[17] R. Balakrishnan - J. Heintz - D. Elson, What Does Inequality Have to Do With Human Rights?,
Political Economy Research Institute - University of Massachussets Amherst,
agosto 2015.
[18] Si tratta dell’obiettivo 10
«Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni», che
tuttavia non esaurisce affatto il tema, che dovrebbe essere letto in modo
più trasversale rispetto agli altri obiettivi e ai principi generali
dell’Agenda. UN General Assembly, Transforming
our world : the 2030 Agenda for Sustainable Development, A/RES/70/1.
[19] J. P. Bohoslavsky, Economic Inequality,
Debt Crises and Human Rights; J. P. Bohoslavsky,
Report of the Independent Expert on the effects of foreign debt and other
related international financial obligations of States on the full enjoyment of
all human rights, particularly economic, social and cultural rights,
Geneve, UN Human Rights Council, 20 dicembre 2017.
[20] Tra cui R. Ranciere et al., Income inequality
and current account imbalances, vol. Working Paper 12/8, International
Monetary Fund, 2012. Altri
studi sono citati da J. P. Bohoslavsky,
Economic Inequality, Debt Crises and Human Rights, 184. Lo stesso autore
cita vari studi per i diversi nessi tra disuguaglianze e debito a sostegno
delle considerazioni riportate nei prossimi paragrafi, ove non diversamente
supportati da citazioni ad hoc.
[21] Per un’interessante analisi
relativa al processo di diminuzione della progressività fiscale in
Italia, vedi R. Artifoni - A. De Lellis - F. Gesualdi, Fisco & Debito. Gli effetti delle
controriforme fiscali sul nostro debito pubblico, CADTM Italia.
[22] R. Ranciere et al., Income inequality
and current account imbalances, Working Paper 12/8.
[23] L. Gallino,
Il colpo di Stato di banche e governi: l’attacco alla democrazia in
Europa, Torino, Einaudi, 2013.
[24] In questo caso, si parla tipicamente in
termini di diseguaglianza orizzontale, come descritto da F. Stewart (Ed.), Horizontal
inequalities and conflict: understanding group violence in multiethnic
societies, Basingstoke [England] ; New York, Palgrave Macmillan,
2008. Altri studi, trovano questo nesso misurato attraverso la diseguaglianza
di reddito: vedi A. Alesina - R. Perotti, Income distribution,
political instability, and investment, in «European Economic
Review» 40 (giugno 1996) 6, 1203-1228.
[25] Vedi J. P. Bohoslavsky, Economic Inequality,
Debt Crises and Human Rights, 189-192.
[26] J. Galbraith – J. Lu, Inequality and financial crises:
Some early findings, Austin, Texas, LBJ School of Public Affairs -
University of Texas, 1999.
[27] Qualsiasi cosa questa espressione
voglia dire. Come è noto all’interno dell’Unione Europea ci
si riferisce ai cosiddetti ‘parametri di Maastricht’. Essi sono
stati spesso di contestazione per la loro determinazione per certi aspetti
arbitraria. Non c’è dubbio che un debito elevato implichi
conseguenze importanti in termini di finanza pubblica laddove impone
l’impiego di una quota significative di risorse per in suo servizio.
[28] J. Woo et al., Distributional
Consequences of Fiscal Consolidation and the Role of Fiscal Policy: What Do the
Data Say?, International Monetary Fund, 2013, 13.
[29] Dimensione recepita anche nella nostra
costituzione, all’Art. 3: «È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
[30] F. Alvaredo et al., World inequality
report 2018, Belknap Press of Harvard University Press, 2018.
[31] Quest’ultima ancora più
acuta. I calcoli sulla diseguaglianza di ricchezza sono però
particolarmente complessi a causa della mancanza di dati. A livello globale
(rappresentato nel WIR da USA, Cina e Europa), si calcola che il 10% più
ricco possieda il 70% della ricchezza esistente, mentre il 50% più
povero ne detiene meno del 2%), Ibid., 200.
[32] Ibid., 156.
[33] W. Streeck, The Politics of Public Debt.
[34] Ibid., 149 e passim.Tali
considerazioni sono pienamente confermate da quanto rilevato da una recente
ricerca che prende in considerazione il caso italiano, e che mostra da una
parte le tendenze del debito pubblico nella fase in cui hanno \. Vedi R. Artifoni - A. De Lellis - F. Gesualdi,
Fisco & Debito. Gli effetti delle controriforme fiscali sul nostro
debito pubblico.
[35] Ma non quelle militari, ad esempio. Vedi
W. Streeck, The Politics of
Public Debt, 151.
[36] Stato del consolidamento, con
un’allusione al regime di consolidamento del debito pubblico, reso
necessario dal crescente debito, operato tuttavia con un’azione sul lato
delle spese e non su quello delle entrate. W. Streeck,
The Politics of Public Debt.
[37] L. Gallino,
Il colpo di Stato di banche e governi.
[38] P. Mishra, Age of anger: a history of
the present, New York, Farrar, Straus and Giroux, First American edition
2017.
[39] Si allude qui alla proposta di
introdurre la cosiddetta flat tax, i
cui potenziali effetti regressivi vengono negati dai suoi promotori, ma che
appaiono difficilmente contestabili. E’ indubbio in ogni caso il
potenziale ‘simbolico’ di tale proposta, che evoca una direzione di
abbassamento generalizzato della tassazione, e di riduzione del peso dello
stato.