Giulio Albanese
Missionario
comboniano
Direttore
di Popoli e Missione
DEBITO INTERNAZIONALE: QUESTIONE
DI USURA*
Abstract
The question of African
debt is intimately linked to the financialization of the economy, in the framework
of the globalization of markets.
The increase, in
recent years, of the GDP and debt of many African countries are indicative of a
systemic crisis that has undermined any initiative aimed at the establishment of
a local welfare system able to fight social exclusion.
The question, moreover,
is not just about the poor countries of the South of the world, but also about many
suffering economies, like the Italian one.
For this reason it
is essential to carry out a survey on international practice on the issue of debt
and its place in the systematic framework of the norms and principles of international
law, finally filling a gap that costs excessively to states and peoples who they
must resort to loans, forming the basis for the often arbitrary excessive power
of the creditors mentioned above.
La questione del debito africano
è intimamente connessa alla finanziarizzazione dell’economia, nella
cornice della globalizzazione dei mercati.
L’aumento, in questi
anni, del Pil e del debito di molti Paesi africani sono indicativi di una crisi
sistemica che ha pregiudicato qualsiasi iniziativa protesa all’affermazione
di un welfare locale in grado di contrastare l’esclusione sociale.
La questione, peraltro, non riguarda solo più i Paesi poveri
del Sud del mondo, ma anche molte economie in sofferenza, come quella italiana.
Per
tale motivo risulta indispensabile compiere un’indagine sulla prassi internazionale
in merito alla questione del debito e sulla sua collocazione nell’ambito sistematico
delle norme e dei principi di diritto internazionale, colmando finalmente una lacuna
che costa in modo eccessivo agli Stati e ai popoli che devono ricorrere ai prestiti,
formando peraltro la base per lo strapotere spesso arbitrario dei creditori di cui
sopra.
Parlare di democrazia, governance
e diritti umani nel Sud del mondo significa innanzitutto e soprattutto prendere
coscienza degli effetti negativi della finanziarizzazione dell’economia, nella
cornice della globalizzazione dei mercati. Il tema è estremamente importante,
ma per essere compreso appieno esige una riflessione storica su quanto è
avvenuto nel corso degli ultimi 40 anni. L’Africa, ad esempio, attraversò
una devastante crisi debitoria (denunciata a squarciagola dal mondo missionario
d’allora), dagli anni ottanta fino a quando, nello scorso decennio, grazie
al progetto Highly Indebted Poor Countries (Hipc), ad opera del Fondo Monetario
Internazionale (Fmi) e della Banca Mondiale (Bm), una trentina di Paesi a basso
reddito della fascia Subsahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa
cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro, la cosiddetta
Multilateral Debt Relief Initiative (Mdri). Queste iniziative suscitarono grande
euforia perché consentirono a molti governi africani di riprendere fiato,
accedendo a prestiti insperati. Nel 2007 il Ghana fu il primo Paese beneficiario
ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni pari a 750 milioni
di dollari. Seguirono altri quattro destinatari del condono: Senegal, Nigeria, Zambia
e Rwanda. Ciò nonostante, il dramma dell’insolvenza si è riproposto
ad onta delle iniziative assunte dalla comunità internazionale assumendo
sembianze apparentemente sempre nuove, che tuttavia non dissimulano fino in fondo
il suo carattere fondamentalmente usuraio. Per dirla con Plauto: «Voi usurai
siete dei lenoni. Infinite leggi il popolo ha fatto contro di voi; ma, scoperta
la legge, scoperto l’inganno: e il modo lo trovate subito»[1].
Ma per comprendere a fondo lo stato dell’arte, in riferimento allo scenario
africano, è importante considerare che a seguito dell’implementazione
dell’Hipc e del Mdri, l’accesso ai fondi d’investimento, messi
a disposizione dall’alta finanza a livello mondiale, è stato utilizzato
in parte per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa, ma anche
per foraggiare le oligarchie autoctone, secondo le tradizionali dinamiche della
corruzione più sfrenata e corrosiva. Sono nate, così, società
partecipate che, nonostante la crescita della produttività, non sono state
in grado di compensare la nuova crisi debitoria. I nuovi programmi d’investimento,
infatti, non sono stati associati ad organici piani di sviluppo nazionali, col risultato
che sono state costruite opere infrastrutturali – vere e proprie cattedrali
nel deserto - slegate le une dalle altre, o iniziative imprenditoriali a sé
stanti e dunque esposte all’azione predatoria di potentati internazionali,
soprattutto sul versante delle materie prime e delle fonti energetiche. Nel frattempo
si è innescata sulle piazze finanziarie una speculazione sfrenata sull’eccessivo
indebitamento dei Paesi africani che ha determinato la svalutazione delle monete
locali. L’aumento, in questi anni, del Pil e del debito di molti Paesi africani
sono indicativi di una crisi sistemica che ha pregiudicato qualsiasi iniziativa
protesa all’affermazione di un welfare locale in grado di contrastare l’esclusione
sociale. Il caso del Ghana è emblematico se si considera che il suo debito
rappresentava nel 2008, secondo il ministero dell’economia di Accra, il 32%
del Pil, mentre a fine 2017 il debito pubblico, stando alla stessa fonte, aveva
raggiunto il 76,8% del Pil, praticamente in crescita esponenziale rispetto al passato.
Qualche osservatore potrebbe obiettare affermando che in alcuni Paesi industrializzati
come Italia e Stati Uniti il debito è percentualmente superiore al Pil. Verissimo,
ma in Ghana – come d’altronde nella stragrande maggioranza dei Paesi
africani – il valore del Pil, in cifre assolute, è ancora molto basso
(quello ghanese nel 2017 è stato di circa 47,33 miliardi di dollari) e dunque
non rappresenta una garanzia per i creditori internazionali (basti pensare che quello
della Regione Lombardia è di circa 350 miliardi di dollari). Da rilevare,
inoltre, che nonostante la Banca del Ghana abbia ridotto, in più fasi, il
tasso di interesse di riferimento (passato dal 26% del novembre 2016 al 17% del
maggio 2018), il tasso di interesse medio applicato dagli istituti di credito rimane
molto elevato: a fine dicembre 2017 il tasso di interesse medio applicato dalle
banche era stimato al 25,7%. Ma il dato più preoccupante sta nel fatto che
per ripagare il debito, oggi, i Paesi africani sono costretti a svendere i propri
assetti strategici (acqua, petrolio, elettricità, telefonia, cacao, diamanti…).
Qui le responsabilità ricadono sia sulle classi dirigenti locali, ma anche
sulle stesse istituzioni finanziarie internazionali, le quali pretendono che le
concessioni per lo sfruttamento delle materie prime, unitamente alle privatizzazioni
(soprattutto il land grabbing, vale a dire l’accaparramento dei terreni da
parte delle aziende straniere) vengano attuate “senza se e senza ma”,
per arginare il debito. Si tratta di un affare colossale per cinesi, americani ed
europei, essendo, in genere, le monete locali fortemente deprezzate. Sta di fatto
che oggi molti governi africani hanno un doppio problema: sono privi di proprie
risorse finanziarie e sono sempre più appesantiti da un fardello, quello
del debito, difficile da sostenere. Da rilevare, inoltre, che si è passati,
nel corso degli ultimi dieci anni, un po’ in tutta l’Africa dai cosiddetti
creditori ufficiali (come i governi, lo Fmi, la Bm e la Banca Africana per lo Sviluppo)
alle fonti private di credito (banche, fondi di investimento, fondi di private equity)
e al libero mercato. Si tratta, in sostanza, di una finanziarizzazione del debito
che ha segnato il passaggio dai tradizionali prestiti e da altre forme sperimentate
di assistenza finanziaria alle obbligazioni, sia pubbliche che private, da piazzare
sui mercati aperti. Questo in sostanza, significa che il pagamento degli interessi
è legato alle speculazioni di borsa a livello mondiale. Si tenga presente
che le suddette obbligazioni sono in valuta estera, quasi sempre in dollari e quindi
sottoposte ai movimenti sui cambi monetari, sempre a discapito delle monete nazionali
africane. Ciò sta generando un circolo vizioso che potrebbe compromettere
seriamente lo sviluppo futuro dell’Africa. Per tale motivo risulta indispensabile
compiere un’indagine sulla prassi internazionale in merito alla questione
del debito e sulla sua collocazione nell’ambito sistematico delle norme e
dei principi di diritto internazionale, colmando finalmente una lacuna che costa
in modo eccessivo agli Stati e ai popoli che devono ricorrere ai prestiti, formando
peraltro la base per lo strapotere spesso arbitrario dei creditori di cui sopra.
In effetti gli usurai, che oggi assumono le vesti apparentemente asettiche delle
grandi banche e società finanziarie, hanno sempre dimostrato grande creatività
ed astuzia, escogitando sistemi e meccanismi, come abbiamo appena visto, davvero
diabolici per spremere i debitori, si trattasse di singoli individui o di Stati
sovrani. La questione, peraltro, non riguarda solo più i Paesi poveri del
Sud del mondo, ma anche molte economie in sofferenza, come quella italiana. Si veda
da ultimo la vicenda dei derivati stipulati dallo Stato italiano con una ben nota
società finanziaria statunitense. Per guardare allora al futuro con speranza,
è importante segnalare un’iniziativa promossa da un gruppo qualificato
di giuristi ed esperti di economia italiani dell’Unità di ricerca Giorgio
La Pira del CNR e Centro di studi giuridici latinoamericani dell’Università
di Roma Tor Vergata, con la collaborazione del Centro di ricerca Renato Baccari
del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari. Essi hanno
chiesto formalmente che, con il sostegno sempre più incisivo della Santa
Sede, del Governo italiano e anche di quei governi dei Paesi coinvolti nella grave
crisi economico-finanziaria mondiale, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
giunga a formulare una richiesta di parere alla Corte Internazionale di Giustizia
dell’Aja riguardo alla coerenza tra le regole che attualmente disciplinano
il debito pubblico e il debito privato (nazionale ed estero) dei Paesi in via di
sviluppo e i principi generali del diritto delle Nazioni evolute, nonché
i diritti dell’uomo e dei popoli. Da rilevare che questa proposta ha un precedente
molto importante, la Risoluzione 63/319 del Consiglio delle Nazioni Unite del 2015,
contro i cosiddetti “fondi avvoltoi”, i fondi finanziari speculativi
che agiscono in modo molto aggressivo sul debito dei paesi in forti difficoltà
economiche. L’iniziativa trova la sua fonte d’ispirazione nei principi
morali, etici e giuridici contenuti nella storica “Carta di Sant’Agata
dei Goti” (nome della città nel centro d’Italia, dove esperti
religiosi e laici internazionali si sono riuniti nel 1997), che ha condannato il
“contratto di usura”, gli “oneri eccessivi sul debito” e
ha invece affermato il suo sostegno all’auto determinazione dei popoli. Questa
questione è ancora più urgente quando consideriamo che l'intero debito
mondiale, senza contare quello del settore bancario e finanziario, è cresciuto
fino al 250% del Pil. Era del 200% nel 2008. Ciò rappresenta una minaccia
di crisi sistemica. E i Paesi più poveri, quelli africani in primis, sono
sempre i più esposti e colpiti da tali pesanti oneri. E dire che dal punto
di vista semantico, speculare e speculazione derivano dal latino speculum (specchio)
e dai verbi spector (guardare, osservare) e speculor (che nella forma intransitiva
significa guardarsi intorno, volgere lo sguardo da tutte le parti). E allora la
speculazione, se fosse correttamente interpretata, potrebbe diventare un atto filosofico
di alto profilo, richiedendo, appunto, di volgere lo sguardo da tutte le parti –
sia in estensione che in profondità, sia dentro che fuori – scrutando
il futuro e sottraendolo all’esclusivo vantaggio di un manipolo di nababbi.
Senza dimenticare l’accezione implicita nella parola in oggetto, che allude
all’astrazione, alla riflessione. Tutte dimensioni palesemente misconosciute
dai fautori del dio denaro che guardano solo e unicamente alla massimizzazione dei
profitti.
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai promotori
del Seminario “Contro l’usurocrazia ”, dal curatore della
pubblicazione e dalla direzione di Diritto
@ Storia]
* Relazione presentata nel Seminario di studi "CONTRO L’USUROCRAZIA. DEBITO E
DISUGUAGLIANZE", organizzato dall’Unità di ricerca
“Giorgio La Pira” del Consiglio Nazionale delle Ricerche –
Sapienza Università di Roma, diretta dal professore Pierangelo Catalano,
e dal CEISAL - Consejo Europeo de Investigaciones Sociales de
América Latina, Grupo de Trabajo de Jurisprudencia, svoltosi presso la
Biblioteca Centrale del CNR il 15 dicembre 2017, in occasione del XX
Anniversario della “Carta di Sant’Agata de’ Goti –
Dichiarazione su usura e debito internazionale”.
[1] Curculione, citato da I. Ripamonti, Introduzione a Plauto,
Il militare borioso, La pignatta,
Milano 1959, 9.