DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVI SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI
STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2016
Sergej Žuravlev
Accademia delle Scienze di Russia
Mosca
LE
MIGRAZIONI VERSO LE CITTÀ DURANTE LA MODERNIZZAZIONE STALINIANA:
CAUSE
E CONSEGUENZE (FINE ANNI VENTI E ANNI TRENTA DEL XX SECOLO)
Nel processo di crescita economica vissuto dalla Russia a
partire dalla fine del secolo XIX, le città si svilupparono enormemente,
trasformandosi in centri di commercio, industria e cultura. Come conseguenza
della sovrappopolazione delle campagne e della mancanza di terre nelle regioni
centrali della Russia Europea, dell'Ucraina e della Bielorussia e tenendo conto
delle migliori possibilità di vita e carriera, i giovani contadini
accorsero verso le città, dove si percepiva il bisogno di forza lavoro.
Nel 1917 il numero di abitanti delle città
dell'Impero Russo ammontava a 28 milioni, il 18% della popolazione totale del
Paese. Tra i contadini conobbe una larga diffusione la pratica di lavori
stagionali da svolgere nelle città, presso i cantieri, nel commercio e
nell'industria. I russi emigravano anche in altri Paesi, in cerca di un futuro
migliore. Solo tra il 1900 e il 1909 emigrarono più di 4 milioni di
persone, per lo più negli USA e in Canada.
Tra le condizioni che favorirono il movimento
rivoluzionario in Russia, al fattore economico si aggiunse quello politico. Gli
abitanti delle città si distinguevano per un maggiore attivismo e
organizzazione politica. Difatti nell'ambito cittadino si percepiva
maggiormente l'influsso della propaganda di partito. Non a caso gli avvenimenti
più importanti della Grande rivoluzione russa del 1917 avvennero nella
capitale Pietrogrado, a Mosca e in altre grandi città.
I bolscevichi, giunti al potere in Russia – dove più
dell'80% della popolazione era costituita da contadini – individuarono
nella "dittatura del proletariato" la condizione fondamentale per
mantenere il potere. Ritenevano che i grandi centri industriali e il
proletariato urbano fossero la loro base principale, ponendoli in una posizione
privilegiata dal punto di vista politico ed economico. D'accordo con la teoria
marxista, il socialismo poteva definitivamente vincere solamente in un Paese
dove gli operai fossero la maggioranza della popolazione: le autorità
sovietiche erano interessate ad aumentare in breve tempo le file del
proletariato, e quindi anche a sviluppare l'industria e le città.
A ciò si aggiunse l'indubitabile necessità
di un'urgente modernizzazione economica del Paese. L'industrializzazione forzata
fu attuata dallo Stato in occasione dei primi piani quinquennali (1928 –
giugno 1941, il terzo piano quinquennale fu interrotto dalla guerra) al costo
dell'esaurimento delle risorse nelle zone rurali. Tra gli obiettivi
dell'industrializzazione, vi fu la collettivizzazione del settore agricolo (dal
carattere prevalentemente violento), in seguito alla quale, a cavallo degli
anni Venti e Trenta, le imprese agricole individuali vennero raggruppate in kolchoz
controllati dallo Stato. L'industrializzazione fu la causa di processi
migratori, di una precipitosa urbanizzazione del Paese e di profondi mutamenti
nel tessuto sociale. In pratica i fattori economici, sociali e ideologici si
rivelarono strettamente intrecciati in un unico groviglio, stimolandosi o livellandosi
a vicenda a seconda della situazione, oppure dando luogo a conseguenze
estremamente contraddittorie.
A ciò si aggiunse l'aspetto culturale. Molti
intellettuali russi, tra cui il poeta Maksim Gor'kij, idealizzavano gli
abitanti delle città in quanto portatori della cultura progressista
(proletaria) cittadina, in contrapposizione alla "selvaggia e
ignorante" campagna piccolo borghese. Ciò è ben visibile nei
lavori del Gorkij pubblicista, ma anche nelle opere storiche che egli scrisse a
cavallo tra gli anni Venti e Trenta: – "La storia delle
città" e "La storia della campagna" – con lo scopo
di mostrare la superiorità della cultura urbana su quella più
tradizionale della campagna. Non stupisce che Gor'kij fosse entusiasta
dell'industrializzazione e dei processi migratori ad essa connessi, tuttavia
egli temeva l'afflusso precipitoso e di massa degli ex contadini nelle
città e nelle imprese, e credeva che, invece di essere gradualmente
"assimilata", la cultura contadina potesse "ingoiare" i
germogli della cultura proletaria delle città.
Quanto erano fondati simili timori? Quanto a ragione, per
esempio, gli storici hanno chiamato la Mosca di quegli anni la "capitale
contadina"? Nel periodo delle guerre e delle rivoluzioni gli abitanti
della città scappavano in campagna in cerca di risorse alimentari. Tra
gli anni 1917-22 la popolazione cittadina si era ridotta di un quarto, e molto
più visibilmente nelle grandi città (per esempio la "culla
della rivoluzione", cioè Pietrogrado, nel 1922 aveva perso un terzo
dei suoi abitanti). Nel 1926 nella Federazione Russia – così come
prima della rivoluzione nei confini dell'Impero – c'erano in tutto due
città con un numero di abitanti superiore a un milione: Mosca (2.026.000
abitanti) e Leningrado (1.614.000) abitanti. Tutte le altre città russe
avevano meno di cinquecento mila abitanti. In generale, nelle città con
più di 100 mila abitanti, nel 1926, solo il 36 % degli abitanti era
costituito dalla popolazione urbana. Ciò significa che la massa
principale degli abitanti delle città si trovava in piccole città
e villaggi di tipo urbano, con una bassa produttività e dove la
popolazione conduceva uno stile di vita che poco si distingueva da quello delle
campagne. Allo stesso tempo, in conseguenza della crisi economica, molte
piccole città si spopolavano e tendevano a scomparire. Così dal
1917 al 1926, 81 città passarono allo status di villaggi. Tra loro vi
era anche Stavropol' sul Volga (l'attuale Togliattigrad, oggi sede di una
grandissima fabbrica di automobili costruita negli anni Sessanta in base a un
contratto con l’impresa italiana FIAT), che aveva perso lo status di
città nel 1924 (tornò a essere considerata una città in
seguito all'industrializzazione). La crescita della popolazione urbana
iniziò nell'URSS a metà degli anni Venti, e nel 1928 – a
industrializzazione iniziata –il numero di abitanti precedente alla
rivoluzione fu ripristinato e iniziò a crescere ulteriormente.
Negli anni Venti un fenomeno allarmante per la nuova
classe al potere fu il "declassamento" del proletariato, sul sostegno
del quale contavano i boscevichi. La politica del "comunismo di
guerra" aveva condotto alla crisi economica: le imprese chiudevano con
conseguente mancanza di lavoro. A metà degli anni Venti la classe
operaia non solo era diminuita numericamente ma era anche cambiata
qualitativamente. Una parte della classe operaia era caduta durante la guerra
civile, un'altra era stata "promossa" all'interno dell'apparato
statale sovietico o era stata mandata a studiare (i vydvižency).
Dei quadri proletari, che avevano lavorato già prima della rivoluzione,
nelle fabbriche era rimasto solo qualche veterano. Negli anni Venti, iniziarono
a lavorare nelle imprese le donne e i giovani delle campagne, che non erano di
"stampo proletario" e che erano alla prima esperienza nel campo
industriale. I collettivi dei cantieri e delle nuove fabbriche in generale si
formavano "da zero".
La modernizzazione industriale fu accompagnata dalle
migrazioni di massa della popolazione rurale nelle città. Durante i
primi piani quinquennali la popolazione cittadina aumentò di media ogni
anno del 6,5% (e nella regione degli Urali dell'8-10% ogni anno). Il Paese, da
prevalentemente agricolo, divenne agricolo-industriale, e le condizioni della
popolazione delle città migliorò visibilmente in confronto a
quella rurale.
Tabella 1. Сrescita della popolazione urbana in URSS e
in Russia
negli anni 1897 –
1939 (nei relativi territori dell'Impero Russo)
|
1897 |
1917 |
1926 |
1939 |
URSS (milioni di
abitanti) |
18,4 |
29,1 |
26,3 |
60,5 (di cui 4,3 relativi ai nuovi territori) |
Russia |
9,9 |
15,5 |
16,5 |
36,3 |
URSS (%) |
15 |
18 |
18 |
32 |
Russia (%) |
15 |
17 |
18 |
33 |
Dal 1926 al 1939, secondo il censimento della popolazione
dell'URSS, dalle campagne migrarono nelle città 18,7 milioni di persone.
Di conseguenza, in questo periodo il numero di abitanti delle città
raddoppiò, costituendo il 32% della popolazione.
Tabella 2. Aumento del
numero di abitanti nei grandi centri industriali dell'URSS
(migliaia di abitanti)
città |
1926 |
1939 |
Mosca |
2.029 |
4.137 |
Leningrado |
1.731 |
3.385 |
Char'kov |
417 |
833 |
Gor'kij (Nižnij
Novgorod) |
222 |
644 |
Novosibirsk |
129 |
404 |
Kujbyšev (Samara) |
176 |
390 |
Sverdlovsk
(Ekaterinburg) |
140 |
423 |
Doneck |
174 |
466 |
Čeljabinsk |
59 |
273 |
Stalingrad (Volgograd) |
151 |
445 |
Come si vede, nei nuovi centri industriali, dove con
l'industrializzazione erano sorte delle grandi imprese, il numero degli
abitanti si moltiplicò in breve tempo. Nell'URSS europea, le zone
più urbanizzate erano le città di Mosca e Leningrado e le regioni di Jaroslavl', Tula,
Gorkij (Nižnij Novgorod) Char'kov e Dnepropetrovsk. In queste regioni,
nell'arco di 10 anni (1927-1938) il numero di abitanti quasi si triplicò
e nel Donbass si quadruplicò. Ciò aggravò quella che già
era una crisi abitativa (ad esempio, a Mosca dal 1926 al 1933 l'offerta
abitativa era scesa dai 5,3 ai 4,15 metri quadrati per abitante) e portò
alla diffusione su larga scala delle baracche, convitti temporanei
destinati agli operai, ricavati da strutture in legno prive dei servizi di prima
necessità.
Le esigenze dell'industrializzazione comportarono
l’avvicinamento delle imprese in costruzione e dei villaggi industriali
alle fonti delle materie prime e alle principali vie di comunicazione. Di
conseguenza, ad esempio, in prossimità dei giacimenti minerari e dei
fiumi, sorsero i centri industriali di Magnitogorsk, Vorkuta e Noril'sk.
Komsomol'sk sull'Amur (fondata nel 1932) fu inizialmente costruita come centro
industriale dell’Estremo Oriente. Vorkuta e Noril'sk erano situati in zone
dove il clima era particolarmente rigido e furono costruite principalmente dai
detenuti dei Gulag. Una delle conseguenze della modernizzazione industriale fu
la larga diffusione del fenomeno delle "città-fabbrica" (le
città di questo tipo erano effettivamente composte da due parti, una
industriale e l'altra residenziale).
L'alta concentrazione della produzione in determinate
regioni e l'acuta necessità, a ciò connessa, di quadri
specializzati comportò che in prossimità di queste città
avvenisse una rapida diminuzione della popolazione rurale che era migrata nelle
città. La zona Nord-occidentale della Russia europea fu la prima regione
del Paese dove già a metà degli anni Trenta gli abitanti delle
città avevano superato numericamente quelli delle campagne. Lo stesso
avvenne alla fine degli anni Trenta nella regione di Doneck, nella Repubblica
Socialista Sovietica dell’Ucraina. Si ebbe altresì un naturale
aumento della popolazione cittadina, ma fu insignificante, perché il
tasso di natalità nelle città era a quel tempo, inferiore che
nelle campagne. A partire dal 1929 si osserva una diminuzione della popolazione
rurale sia nell'intera URSS che in Russia.
Un'altra particolarità fu che negli anni
dell'industrializzazione iniziarono a essere popolati i territori settentrionali
e orientali che fino all'inizio dei piani quinquennali erano poco abitati. Di
conseguenza, anche considerando la partenza al rallentatore, i successi furono
evidenti. Per esempio, alla fine degli anni Trenta, il numero di abitanti nelle
città che si trovavano nella fascia settentrionale della parte europea
del Paese crebbe 4,4 volte (di 600 mila abitanti) e in quelle del nord della
parte asiatica 11 volte.
L'industrializzazione portò a una crescita
significativa delle città e della loro popolazione nelle regioni
nazionali (abitate da minoranze etniche). Lo sviluppo economico dei nuovi
territori tradizionalmente veniva realizzato dalle minoranze etniche che
abitavano in Russia, ritenute preparate professionalmente e in grado di
adattarsi a un ambiente socio-culturale diverso. Secondo una statistica del
1917, nelle zone periferiche abitate da minoranze etniche (al di fuori del
territorio dei governatorati russi) vivevano 7,6 milioni di abitanti, il 10% di
tutti i russi dell'Impero. Durante l'industrializzazione degli anni Trenta, la
Russia Sovietica ha dato un aiuto significativo alle repubbliche nazionali
(abitate da minoranze etniche) nella costruzione di imprese e nella promozione
della cultura e dell'educazione. Non stupisce che nelle capitali e nei grandi
centri industriali delle repubbliche dell'Unione (Asia Centrale, Transcaucasia)
aumentasse il numero di russi. Nel 1939, fuori dalla RSFSR (Repubblica
Socialista Federata Sovietica Russa) vivevano 10,7 milioni di russi,
cioè 1,4 volte in più che nel 1917. La differenza rispetto al
periodo prerivoluzionario era dovuta al fatto che, fondamentalmente, adesso, la
popolazione russa era costituita da persone che erano state mandate nelle
regioni abitate da minoranze etniche e che esercitavano qui professioni legate
all’organizzazione della città e all’industria.
Senza una regolazione dei processi migratori da parte
dello Stato e senza una pianificazione della forza lavoro era impossibile
realizzare progetti industriali ambiziosi. La forza lavoro veniva assicurata
con i seguenti mezzi: assunzione di contadini, mobilitazioni di partito e del komsomol
(l'organo giovanile del partito) e utilizzo del lavoro forzato dei
detenuti. In quasi tutti i cantieri del primo piano quinquennale vi erano i
Gulag o le colonie di esiliati.
Ciò ovviamente non significa che durante il primo
piano quinquennale non ci fossero migranti volontari o giovani entusiasti. La
maggioranza era comunque costituita da contadini, (attratti dalle migliori
condizioni di vita e dalle possibilità di istruzione garantite dalle
città, dal rifornimento di generi alimentari per gli operai, assicurato
dal sistema delle tessere in vigore in URSS nella prima metà degli anni
’30) e anche da coloro che fuggivano dalla collettivizzazione, dalla
“dekulakizzazione” o dalla conseguente carestia degli anni Trenta.
In questo periodo la fuga dai kolchoz verso le città fu un fenomeno di enorme portata,
tanto che il governo, dal 1932, introdusse nelle città un sistema di
passaporti e permessi di soggiorno, limitando i flussi migratori dalle campagne
(i contadini non avevano il passaporto e non potevano cambiare residenza di
propria volontà). Allo stesso tempo le necessità oggettive della
società industriale portarono al continuo aumento della mobilità
della popolazione.
In Russia era popolare un detto: "Dove sei nato,
lì sarai utile". Tuttavia i censimenti hanno mostrato il continuo
aumento del numero dei cittadini che erano emigrati e che vivevano in luoghi
diversi rispetto a dove erano nati. Per esempio, nel 1897, questi ultimi in
Russia costituivano quasi il 15%, e il 22,5% nel 1926. Negli anni Trenta i processi
migratori di massa legati all'industrializzazione, alla collettivizzazione,
alle repressioni e agli spostamenti forzati di persone, non fecero che
rafforzare questa tendenza.
Si comprende allora perchè al centro del dibattito
scientifico contemporaneo ci sia la questione relativa al prezzo
dell'industrializzazione staliniana e ai suoi effetti positivi e negativi sul
piano economico. La questione, tuttavia, consiste nel fatto che molti processi
di quegli anni, tra cui le migrazioni volontarie e forzate, ebbero conseguenze
sia contingenti sia nel lungo periodo e pertanto non possono dar luogo a un
giudizio univoco, positivo o negativo.
[Traduzione dal
russo di SARA MAZZONI]
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato
promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma
alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto
di Storia Russa dell’Accademia
delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema:
MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla
direzione di Diritto @
Storia]