Descrizione: D-&-Innovazione-2018

 

 

ISPROM

ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI PER IL MEDITERRANEO

 

CITTà DEL MEDITERRANEO

iNCONTRO PROGRAMMATICO PER LA COOPERAZIONE

Sassari, 2 - 3 dicembre  2016

 

 

Il problema della migrazione

visto dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa russa

(esperienze in Italia e in Russia)

 

VERONICA YAZKOVA

Istituto di Studi sull’Europa

dell’Accademia Russa delle Scienze

 

 

SOMMARIO: 1. La situazione migratoria in Italia e in Russia. - 2. Modelli di integrazione sociale degli immigrati. - 3. Dall’allarmismo alla solidarietà. - 4. La posizione della Chiesa ortodossa russa e il multiculturalismo. - 5. La sfida dell’alterità: esperienze di Russia e Italia.

 

 

Buongiorno a tutti!

Per mancanza di tempo vorrei esporre solo alcuni aspetti generali del complicatissimo tema migratorio e soprattutto mettere a confronto i due approcci al problema: quello della Chiesa cattolica in Italia e quello della Chiesa ortodossa in Russia.

Il fenomeno migratorio riguarda sia l’Italia che la Russia perché entrambi i paesi sono coinvolti in processi di globalizzazione economica, politica e culturale. Le città mediterranee sono le prime ad accogliere profughi e migranti nord-africani e asiatici, mentre le città russe ospitano cittadini dell’area post sovietica. Non a caso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e delle Chiese, oltre ai problemi nazionali, troviamo anche problemi globali fra cui: l’interazione fra cultura e religione, i diritti umani, la libertà religiosa, la lotta alla povertà e, non da ultimo, i valori etici nella società postindustriale.

 

 

1.            La situazione migratoria in Italia e in Russia

 

Stando ai dati statistici alquanto approssimativi, in Italia sarebbero regolarmente presenti 4-5 milioni di cittadini stranieri, ossia più dell’8% dei residenti a livello nazionale. I Paesi di provenienza sono la Romania, il Marocco, l’Albania, la Cina, la Moldavia, l’Ucraina, l’India ed altri. Una forte presenza migratoria si registra nel Nord-ovest (più del 34%), a Milano, Torino e Genova; nel Nord-est (il 24%), al Centro (il 25%) e soprattutto a Roma. Quasi la metà delle famiglie straniere è a rischio povertà.

Come è noto, i profughi nord-africani costituiscono un problema a parte, sono ormai frequenti le tragiche notizie da Lampedusa. A cercare asilo e protezione umanitaria sono in prevalenza cittadini della Nigeria, del Gambia e del Pakistan.

Quanto alla Russia vi risiedono, soprattutto nelle grandi città, circa 10 milioni di cittadini stranieri, fra cui in prevalenza profughi ucraini (il loro flusso, anche se un po’ diminuito rispetto all’anno scorso, raggiunge ancora cifre notevoli) e i lavoratori immigrati dalle ex repubbliche sovietiche - Moldavia, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan ed altri. Un caso a parte è rappresentato dalla Cina.

In Russia, come in Italia, il complesso fenomeno migratorio è legato all’impoverimento dei paesi di provenienza e al peggioramento delle condizioni di lavoro. Al crollo del rublo è seguito, in modo ancora più grave, il crollo delle valute nazionali di Tagikistan, Uzbekistan e Kirghisa. Così, nonostante i bassi stipendi e la disoccupazione sempre in crescita, i migranti dell’Asia centrale trovano in Russia l’unica possibilità di guadagno.

Nel 2015 in Russia sono state inasprite le sanzioni contro i migranti clandestini. Ora un lavoratore deve ottenere un permesso di lavoro, l’assicurazione medica, dimostrare la conoscenza di lingua, storia e norme legislative russe. Misure queste che hanno segnalato una sensibile diminuzione dei flussi migratori. Ciononostante secondo le statistiche della Fondazione "Opinione pubblica", il 60% dei russi ritiene troppo massiccia la presenza migratoria e addirittura teme gli stranieri perché "sono criminali" o "rubano" il lavoro. Anche se in realtà i 10 milioni di stranieri sono responsabili di non più del 2% dei crimini compiuti nel paese, la diffidenza vince la fiducia e qualsiasi argomentazione contraria risulta inutile. In tali condizioni l’integrazione sociale dei migranti diventa un problema di notevole importanza per le autorità politiche ed ecclesiastiche del paese.

 

 

2. Modelli di integrazione sociale degli immigrati

 

Come è noto fra i vari modelli di integrazione i più discussi sono due: l’assimilativo e il multiculturalista. Il primo considera i valori etici e religiosi niente più che un fatto privato e richiede l’inculturazione del migrante. Questo modello, largamente presente in Francia, incontra l’avversione dei musulmani che non accettano il cosiddetto secolarismo "positivo" e la divisione fra sfera religiosa e sfera civile. Ne è la prova la strage a Charlie Hebdo.    

L’altro modello, multiculturalista, riconosce il diritto all’autodeterminazione a qualsiasi comunità etnica e religiosa, il che per alcuni esperti, rappresenta un fattore di allarme perché crea nella società "microcosmi paralleli" con forti legami tra di loro e poca comunicazione con il resto del paese. Il multiculturalismo così inteso deriva dal relativismo culturale che a sua volta genera quello giuridico. Basta pensare ai tribunali islamici in Gran Bretagna che applicano le leggi della sharia.

Come è noto i leaders britannici hanno annunciato il fallimento del multiculturalismo, idea che prima veniva opposta con orgoglio al famoso "pentolone" americano (modello melting pot). Fra le cause di questo fallimento vanno indicati l’atomizzazione delle comunità culturali, una debole integrazione sociale degli immigrati e i tentativi di presentarsi come gruppo religioso ed etnico e non come individui, il che contrasta con il principio europeo della responsabilità individuale. Non si tratta però di multiculturalismo vero e proprio, rilevano alcuni esperti russi, ma di frammentazione culturale, in quanto l’integrazione delle varie culture straniere nella società europea è avvenuta sin dall’inizio sotto forma di enclavi.      

Si sa che in Italia entrambi i modelli sono oggetto di aspre critiche. L’Italia cerca di trovare un terzo approccio, quello interculturale che proviene dalla sua identità nazionale quale patria del diritto romano e dalle sue radici cristiane. Si tratta della cosiddetta "identità arricchita" attuata a livello politico ed ecclesiastico (il concetto è stato esposto fra l’altro dal giornalista e scrittore Giorgio Paolucci). In questo senso la Chiesa Cattolica ha dato un forte contributo.

 

 

3. Dall’allarmismo alla solidarietà

 

La posizione della Chiesa cattolica è formulata nell’Istruzione "Erga migrantes caritas Christi" (La carità di Cristo verso i migranti) del 2004 elaborato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti che ci propone di esaminare questo problema a livello ecclesiastico, ecumenico ed interreligioso. Ne consegue che l’interesse della Chiesa verso i migranti è dettato da più ragioni fra cui: il compito di annunciare la Parola di Dio, ossia l’evangelizzazione, il tentativo di alleviare le sofferenze umane attraverso il servizio sociale ai poveri e anche - ma soprattutto - in nome della tutela dei diritti umani e della giustizia nei confronti di ogni singola persona. Va ricordato, ne parlo in breve, soffermandomi sulle tappe più importanti, che all’inizio il fenomeno migratorio sorto dalla Rivoluzione industriale nell’epoca moderna, fu inteso come "problema", come minaccia alla fede. A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento l’Italia ha provato sulla propria pelle il peso dell’emigrazione di massa. Per rispondere alla sfida la Chiesa aprì nuove chiese cattoliche a Londra, Berlino, nell’America del Nord e in quella Latina. Per iniziativa di Papa Pio X furono creati istituti sociali per fornire la massima cura spirituale agli immigrati italiani in diversi paesi.

In un secolo di grandi spostamenti dovuti a cataclismi sociali, guerre e regimi totalitari Papa Pio XII fu il primo pontefice ad aver analizzato la migrazione in tutti i suoi aspetti - politico, sociale, demografico, religioso e morale. La Costituzione Apostolica Exsul Familia, pubblicata da Pio XII nel 1952, ribadisce il "diritto a emigrare per una migliore realizzazione delle proprie capacità e aspirazioni". L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II apportò un valido contributo alla cura pastorale dei migranti affidandoli alle chiese locali e non solo alla congregazione della Curia romana come era avvenuto in precedenza. Fu sottolineato che alla mobilità del mondo moderno "deve corrispondere la mobilità della carità pastorale della Chiesa" e che i migranti devono "restare completamente se stessi per quanto riguarda la cultura, la liturgia, la spiritualità e la tradizione" e nel contempo devono rispettare la lingua e i costumi del paese ospitante (Le pastorali migratorum cura, 1969). Ciò contribuisce all’universalità della Chiesa, al suo arricchimento spirituale. Il Vaticano si è pronunciato contro la ghettizzazione, lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori stranieri, la politica economica che costringe gli uomini a lasciare la propria patria, l’ingiusta distribuzione dei beni della terra. Il papa Giovanni Paolo II introdusse il concetto di Chiesa come patria degli esuli politici, dei lavoratori migranti, dei profughi, dei detenuti ecc.

In tal modo in più di 100 anni la Chiesa cattolica ha messo da parte l’allarmismo del passato per vedere nei migranti una risorsa nuova, un dono del dialogo interculturale ed interreligioso, un enorme potenziale spirituale, un’opportunità di "emigrare dal piccolo mondo chiuso a quello universale". Proprio in ciò, in una "globalizzazione di amore e di solidarietà", Papa Francesco vede la risposta della "Chiesa senza frontiere" alla sfida della migrazione.

 

 

4. La posizione della Chiesa ortodossa russa e il multiculturalismo

 

La posizione della Chiesa ortodossa russa coincide per molti aspetti con quella cattolica, anche se il tono delle sue parole sembra meno entusiasmante. I punti di convergenza sono molti: assistenza disinteressata e incondizionata ai migranti e ai profughi di qualsiasi cittadinanza, religione o convinzioni politiche; corsi di lingua russa e assistenza giuridica; dialogo interreligioso e missione culturale; rispetto della cultura, delle tradizioni spirituali e dei valori fondamentali del paese ospitante quali la dignità della persona, le libertà democratiche, il principio di laicità dello Stato, la parità tra i sessi – tutti principi che non devono assolutamente cedere al politicamente corretto. Il documento "I principi di lavoro con i migranti nella Chiesa ortodossa russa" del 2014 invita i russi a superare la xenofobia e i preconcetti nazionalistici in quanto fedeli della Chiesa di Cristo che si proclama Chiesa pellegrina. A volte, si legge nel documento, i migranti portano con sé modelli di vita e di comportamento poco conformi ai costumi del paese ospitante, il che "suscita una giusta avversione" da parte della gente autoctona. Per superarlo ci vuole un notevole lavoro di educazione sia dei russi che dei migranti affinché imparino a rispettare le tradizioni religiose della Russia.  

Ma è veramente possibile? Il fenomeno migratorio in Russia diverge moltissimo da quello italiano. A differenza della frammentazione culturale che troviamo in Italia e nella maggioranza dei paesi europei, in Russia sembra essere realmente presente il multiculturalismo.

La posizione geografica della Russia, sul cui territorio vivono popoli europei ed asiatici, la rende veramente multiculturale se per multiculturalismo intendiamo il seguente concetto: la convivenza di popoli con identità etniche e culturali diverse in un paese suddiviso in entità autonome (fattore di particolarismi) che è allo stesso tempo portatore di un’unica identità sovranazionale (fattore di unione a livello statale). Una tale convivenza di popoli la troviamo prima nell’Impero Russo e poi nell’URSS. Per mancanza di tempo non posso dare una valutazione storica di questa convivenza che in certi periodi ha conosciuto momenti drammatici e oppressivi. Mi limito a dire che nel periodo sinodale della storia ecclesiastica, ossia a partire da Pietro il Grande, il Cristianesimo ortodosso è stato l’unica religione ufficiale. Con il decreto "Sulla tolleranza di tutti i culti" del 1773 Caterina la Grande aveva riconosciuto "tollerabili" l’Islam, il Cattolicesimo, il Giudaismo, il Buddismo. Più tardi furono creati organi di potere musulmani in Tatarstan e Bashkiria, organi ai quali era però vietato applicare norme della sharia che fossero in contrasto con le leggi dell’impero. Non si trattava certo di una vera libertà religiosa, quanto di una politica molto cauta diretta a governare i popoli, ma a quell’epoca la tolleranza di culti era già un fatto di portata storica. Nel periodo sovietico in cui la religione era stata bandita, le identità religiose dei popoli cedettero il posto a quelle culturali e nazionali. E questo è un fattore importantissimo per capire il fenomeno migratorio russo.

In tal modo, a differenza dell’Italia, dove giungono migranti con un patrimonio culturale straniero totalmente diverso, la stragrande maggioranza degli immigrati in Russia è in grado di spiegarsi in russo, tiene in alta considerazione il comune passato eroico e, talvolta, prova addirittura un sentimento di nostalgia per i tempi sovietici.

 

 

5. La sfida dell’alterità: esperienze di Russia e Italia

 

Sembra che oggi, dopo un dibattito ampio e controverso, il multiculturalismo come "icona di un Occidente laico e tollerante" non interessi quasi nessuno in Italia, e si lavora sull’interculturalità quale processo di comunicazione e confronto. Giorgio Paolucci, autore di numerosi saggi su questo tema, ritiene che l’immigrazione sia una sfida seria per il mondo contemporaneo, per l’Italia e per gli italiani in quanto chiede a questi ultimi di ripensare la propria identità nazionale, il proprio passato e le proprie tradizioni. A ciò va aggiunta la capacità di accettare l’altro nella sua alterità, e non sulla base di preconcetti.

In tal modo ci vogliono: 1) sul piano interpersonale - un grande lavoro di risveglio interiore, auto perfezione morale, apertura, misericordia e naturalmente esperienza di fede; 2) sul piano sociale - l’incondizionato servizio sociale; 3) sul piano religioso e scientifico - il dialogo interreligioso. In Italia le ultime due posizioni si mettono già in pratica con successo. 

La Chiesa ortodossa ci propone di agire più o meno nelle stesse direzioni. Diversi sono solo condizioni ed accenti. "L’attività della Chiesa in campo migratorio è indissolubilmente legata al partenariato fra la Chiesa e lo Stato e la Chiesa e la società", si legge nel documento "I principi di lavoro con i migranti". Ciò significa che la Chiesa ortodossa intende agire nell’ambito della tradizionale "sinfonia" dei due poteri con un forte appoggio della società civile, il che proviene dalla dottrina sociale dell’ortodossia russa adottata dal concilio dei vescovi nel 2000. Credo che le autorità russe abbiano fatto leva proprio sul fattore sociale, e non su quello politico e tanto meno religioso, nella lotta all’estremismo religioso. Non parlo ora dell’Islam "radicale" wahabita o salafita che giunge nelle regioni russe del Caucaso settentrionale e del Tatarstan dai paesi islamici (questo problema è di forte attualità anche in Italia, basti pensare ai numerosi seminari che si tengono in diverse città italiane). In Russia si cerca di contrastare l’estremismo islamico attraverso l’istruzione della gente, l’affermazione di un Islam pacifico, di altre scuole di interpretazione dell’Islam e soprattutto del Sufismo. Tuttavia, per ciò che riguarda la gente semplice di fede musulmana, le autorità russe sembrano inclini a scegliere un’altra tattica. Come dicevo prima, la maggioranza di loro proviene dai paesi post sovietici e quindi ha un passato comune con i russi che spazia dalla vittoria contro il Nazifascismo nella Seconda guerra mondiale, allo Stalinismo, alla cinematografia sovietica, ai successi spaziali e sportivi, a una comune cultura pop. Sono questi gli elementi della "forza morbida" dello stato, i punti di convergenza fra i russi e i migranti. Quanto ai giovani immigrati musulmani, molti di loro dimostrano rispetto per le autorità statali e patriarcali, sentimenti questi che non sono estranei neanche ai. Di conseguenza, in Russia l’integrazione sociale dei migranti si pensa piuttosto nel campo dell’interazione socioculturale e non interreligiosa o interculturale.

In tal modo la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa hanno molti punti di convergenza sul problema migratorio, ma anche alcune divergenze a cui possono essere attribuite le seguenti cause:

o   diversa composizione etnico-storica dei migranti

o   una diversa storia dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia e in Russia

o   una diversa missione storica delle due Chiese.