D-&-Innovazione-2018

 

 

IMG_20180821_203123Arma etenim magis quam iura scire milites:

restrizioni e divieti per i soldati romani nella legislazione tardoimperiale *

 

Cristiana M.A. Rinolfi

Università di Sassari

 

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Divieti di assumere incarichi, o svolgere attività nell’interesse di un terzo. – 2.a. attività processuali e negoziali. – 2.b. Tutela e curatela. – 3. Divieto di porre in essere affari civili. – 3.a. agricoltura e allevamento. – 3.b. Commercio. – 4. Simplicitas. – 5. Assenza rei publicae causa. – 6. Utilitas publica.

 

 

1. – Premessa

 

Nell’esperienza giuridica romana, specialmente a partire dall’epoca classica, si riconoscevano a militari e veterani numerosi benefici e concessioni poiché, come rileva Jean Gaudemet, «L’armée avait tenue trop de place dans la fortune des empereurs, elle était trop utile et parfois trop dangereuse pour qu’on ne lui prodiguât point des faveurs»[1].

Eppure, accanto a istituti speciali deroganti la disciplina generale in senso favorevole per i soldati, come testimoniano specialmente il Codice Teodosiano e il Corpus iuris civilis, esistevano limitazioni in ambito privatistico per coloro che militavano nell’esercito.

La presente ricerca, oltre a illustrare le interdizioni stabilite per i soldati in epoca postclassica, si propone di individuare le motivazioni che portarono la legislazione tardoantica a restringere le capacità dei milites, al fine di comprendere quale rilievo fosse riconosciuto agli armati dalla politica imperiale.

Relativamente all’età tardoantica, tali restrizioni si possono suddividere sostanzialmente in due gruppi: da una parte i divieti, risalenti a epoche anteriori, concernenti attività giuridiche il cui interesse riguardava persone terze, anche familiari stretti; dall’altra le interdizioni dall’esercizio di occupazioni estranee alle operazioni militari.

 

 

2. – Divieti di assumere incarichi, o svolgere attività nell’interesse di un terzo

 

2.a. – Attività processuali e negoziali

 

A partire dall’età classica, le fonti giuridiche, in più occasioni, ascrissero ai milites l’impedimento di svolgere nel processo incarichi nel mero interesse altrui, quali l’attività procuratoria e cognitoria.

Un frammento di Ulpiano conservato nel Digesto tramanda quanto disposto nell’editto del pretore che vietava ai militari di ricoprire il ruolo di procurator[2].

Il giurista severiano ricorda come i soldati non potessero diventare procuratori, neppure in presenza del consenso a tale nomina espresso dalla controparte. Tre situazioni comportavano il superamento del divieto, ovvero se al momento della costituzione della controversia la condizione di militare fosse stata trascurata in modo del tutto accidentale; oppure se il soldato fosse stato designato procuratore nel proprio interesse; o se egli avesse perseguito o sostenuto una comune causa del suo reparto. L’interdizione edittale si riferiva al servizio militare attivo, in quanto specificava come ai veterani fosse concesso di ricoprire il ruolo di procuratores.

La legislazione imperiale a partire dall’età classica si conformò al divieto dell’editto del pretore. Nel 223 Antonino Caracalla, rispondendo al miles Macrino, specificava che il soldato non poteva ricoprire il ruolo di procuratore per il padre, la madre o per la moglie, nemmeno in forza di un rescritto imperiale[3]. L’elencazione dei familiari più prossimi appare voluta, in modo che fosse ben chiara la sussistenza del divieto anche verso queste persone. Il rescritto non prevedeva deroghe al disposto, contemplate invece dal frammento di Ulpiano. La massima della costituzione è riportata anche nel IV libro delle Istituzioni imperiali, dove si illustrano le eccezioni dilatorie ex persona (I. 4.13.11(10)).

Caracalla, inoltre, menzionava ulteriori attività negate ai militari nella sfera processuale, stabilendo, ad esempio che, per pubblica utilità, non avrebbe permesso al soldato di assumere la difesa altrui. L’editto pretorio, infatti, come testimonia un frammento di Paolo (D. 3.3.54 pr., Paulus libro quinquagensimo ad edictum), disponeva che i soldati, così pure le donne, e altri soggetti, come gli assenti per motivi di interesse pubblico, non fossero considerati idonei difensori.

Qualche anno dopo la costituzione di Antonino Caracalla, nel 239, in un rescritto di Gordiano indirizzato al soldato Viciano, si ribadiva il divieto, previsto dall’editto perpetuo qui espressamente richiamato, di occuparsi di una azione alieno nomine, ma solo quando la controversia era ancora agli inizi (si integra res est)[4].

Nel caso specifico, Gordiano affermava la possibilità per il soldato di intentare una azione per la madre, in presenza di espresso incarico, qualora non gli fosse stata opposta la praescriptio militiae al momento della costituzione del giudizio, specificando inoltre che l’eccezione dello stato militare in seguito non poteva essere eccepita in appello: così, conformemente al disposto dell’editto del pretore, si temperava la prospettiva del rescritto di Caracalla in C. 2.12(13).7, che, come si è visto, negava in senso assoluto al miles di occuparsi in veste di procuratore delle controversie dei familiari stretti. Gordiano, tuttavia, pare discostarsi dall’edictum perpetuum, poiché non richiamava la casualità che comportava nel processo la mancata opposizione della eccezione dello stato militare; questa evenienza mi fa ipotizzare che nel rescritto egli permettesse di derogare al divieto in questione in presenza dell’assenso della controparte.

Il Codice di Giustiniano non accoglie, invece, una costituzione di Arcadio e Onorio del 395, conservata nel titolo De procuratoribus et cognitoribus del Codex Theodosianus:

 

CTh. 2.12.6: Impp. Arcad(ius) et Honor(ius) AA. Andromacho p(raefecto) u(rbi). Post alia: Nemo militantium fiat susceptor defensorve causarum nec ad cognitionem alieni iurgii suffragator accedat. et cetera.

 

La norma vietava ai soldati di intraprendere cause altrui in veste di susceptor o di defensor, ma anche di svolgere attività cognitoria: quest’ultima evenienza comportò la sua assenza nel Codex repetitae praelectionis, poiché i commissari giustinianei estromisero ogni riferimento al cognitor dalla intera compilazione.

L’et cetera in fine del testo lascia aperta la possibilità che l’elenco delle limitazioni imposte ai militari fosse più ampio.

Le fonti fin qui analizzate si riferiscono meramente all’ambito processuale, principalmente in relazione all’agere alieno nomine, tuttavia, l’interdizione per il miles dall’esercizio dell’attività procuratoria si estendeva anche alla sfera negoziale, come emerge, ad esempio, dalla lettura di un rescritto di Diocleziano del 290 inserito nel Codice giustinianeo[5]. Nella costituzione, dove si ricordava che il divieto di scegliersi come proprio procuratore un soldato fu stabilito da leges, senza però specificarne la paternità, si disponeva in merito la restituzione del danaro conferito al miles-procurator in virtù dell’attribuzione dell’incarico. Il generico riferimento a un negotium mostra come l’impedimento riguardasse ogni profilo dell’attività procuratoria, comprendendo anche la sostituzione negoziale.

Il rescritto dioclezianeo lascia quindi intravvedere come l’illecita prassi di affidare a un militare i propri affari, negoziali o processuali, persistesse ancora in età tardo antica.

 

2.b. – Tutela e curatela

 

Nel primo gruppo di divieti tardoimperiali si deve contemplare anche quello relativo all’assunzione della tutela e della curatela da parte dei milites.

In un frammento tratto dal terzo libro delle Excusationes di Modestino si evince in modo indiretto che durante lo svolgimento del servizio militare, così pure di un ufficio di pubblico interesse, il soldato era dispensato dalla tutela. Il giurista, infatti, specificava che le tutele deposte in ragione della partenza per il compimento di un servizio pubblico dovevano essere riassunte immediatamente al rientro, poiché in tal caso non valeva l’esenzione della durata di un anno prevista al termine della carica[6].

La disciplina si mostra ancora più incisiva in una costituzione di Filippo l’Arabo del 244, dove si faceva espressamente divieto ai soldati di assumere la tutela o la curatela[7]. Appare quindi come l’allontanamento dei militari dall’esercizio di tali uffici non era inteso da Filippo come un privilegio. Secondo il dettato normativo, i milites, infatti, non erano scusati, ma ipso iure incapaci di essere tutori o curatori, nemmeno, come si specificava nel rescritto e anche nelle Istituzioni giustinianee che ritornavano sull’argomento, se essi avessero voluto assumere l’ufficio[8].

Una limitazione in materia fu prevista anche per i veterani, i quali potevano amministrare allo stesso tempo una sola tutela o curatela e solo relativamente ai figli di veterani o di soldati, presupponendo quindi una sorta di interesse di categoria[9], ravvisabile anche nel frammento ulpianeo visto supra (D. 3.3.8.2) e in altre fonti[10].

 

 

3. – Divieto di porre in essere affari civili

 

3.a. – Agricoltura e allevamento

 

La legislazione tardo antica, oltre a confermare le proibizioni sancite in epoca precedente di compiere negozi e di agere alieno nomine, perseguì un’ulteriore politica tesa a limitare le attività dei milites alle sole operazioni militari: si tratta del secondo gruppo di divieti a cui ho fatto riferimento nella Premessa a tale ricerca. In tal senso, attraverso una costituzione priva di data, Leone sanzionava i soldati che “ghermivano” le civiles curae con la radiazione dalla milizia e la privazione di ogni privilegio. Le misure adottate erano definite saluberrimi statuti, alludendo, attraverso un lessico retorico, alla necessità di tale politica legislativa per il benessere dell’Impero[11].

Il tema dell’allontanamento dei militari dalle attività civili si rinviene anche ne L’arte della guerra di Vegezio, da cui emergerebbe una contrapposizione tra l’utilitas publica e le utilitates private: l’autore ricorda che ai milites non era concesso di occuparsi di negotia privata, poiché ciò era ritenuto sconveniente dall’imperatore in quanto essi erano alimentati e vestiti dall’annona pubblica[12].

L’argomentazione di Vegezio è vicina a quanto esplicitato da Leone nel 458 in C. 4.65.31 in cui si enumerava una molteplicità di impedimenti per i militari[13]. Con questa norma l’Imperatore vietava di compiere azioni legate agli affari dei conduttori di fondi, proibendo di assumere il ruolo di loro fideiussori e di loro mandanti. In tal modo egli intendeva colpire il fenomeno della interposizione fittizia, diffuso tra i militari e altre categorie di persone (ecclesiastici, funzionari, etc.), che consisteva nell’occultarsi dietro le attività dei conductores. L’impedimento riguardava soltanto le attività agricole, poiché un rescritto di Alessandro Severo del 227, testimonia la liceità per i soldati, nell’ambito della tassazione portuale delle merci, di essere fideiussori dei conductores del vectigal octavarum[14].

Leone, inoltre, sanciva specificatamente il generico veto di essere conductores e procuratores di res alienarum e in generale vietava anche che i soldati fossero impegnati in affari privati al fine innanzitutto di impedire che essi trascurassero l’usus armorum per dedicarsi ai lavori dei campi e, in secondo luogo, di contrastare i gravi disturbi ai vicini che essi potevano recare attraverso la praesumptio cinguli militaris. L’Imperatore, quindi, allontanando i militari dalle attività agricole, da una parte fece prevalere l’interesse dell’utilitas publica, dall’altra affrontava una questione di ordine pubblico per evitare gravi danni ai conductores. Nell’epilogo del dispositivo si illustrava la ratio: i milites si dovevano occupare delle armi e non di affari privati, in modo che essi difendessero la repubblica, che alimentava loro, in tutte le necessità della guerra.

In un altro luogo del Codice si riporta un’ulteriore parte della costituzione leonina del 458, dove si ritorna sul tema del sostentamento dei soldati da parte dell’Impero[15]. Qui con esplicito riferimento all’utilitas publica, si proibivano ai militari le attività agricole, l’allevamento e il commercio, e si prescriveva l’esercizio quotidiano all’uso delle armi. La disposizione imperiale sanzionava il divieto anche nel caso che le occupazioni indicate fossero svolte per ordine di un superiore; si trattava di un illecito attestato dalle fonti letterarie fin da età repubblicana: in particolare nelle Periochae dell’opera di Tito Livio si ricorda la condanna nel 290 a.C. del console uscente Lucio Postumio Megello, per aver impiegato l’esercito nei lavori agricoli in agro suo[16].

Le medesime preoccupazioni che muovevano Leone si rinvengono anche in Giustiniano, il quale, intorno al 530, rivolgendosi al senato, ricordava la proibizione diretta ai milites, sancita più volte dai suoi predecessori, di condurre fondi o case altrui, abbandonando così il servizio pubblico, e utilizzando le armi contro i vicini, e, forse, suppone l’Imperatore contro i “miseri coloni”[17]. La situazione doveva presentare una gravità tale da spingere Giustiniano a rinnovare il divieto per ciò che egli definisce sordida minesteria, e a ordinare quindi che per il futuro tutti i soldati, anche i federati - non richiamati invece nella costituzione di Leone -, si astenessero da gestire alienas res conductionis titulo, sotto la minaccia della radiazione dalla milizia. L’Imperatore, inoltre, prevedeva una sanzione sia per colui che dava in conduzione i propri beni a un soldato, sia per chi sceglieva un milite come proprio procuratore.

In riferimento alla agricoltura, appare come i divieti in materia fossero ampliati rispetto alla legislazione dell’età classica che sanzionava soltanto, salvo qualche eccezione, l’acquisto di fondi agricoli nelle province dove i soldati prestavano servizio, o dove si recavano per combattere, in tal caso nemmeno sub alieno ... nomine, in modo che non fossero distolti dalle attività militari, anche se l’interdizione non riguardava le restanti provinciae dell’Impero[18].

 

3.b. – Commercio

 

Alcuni impedimenti in capo ai milites sono ricordati da Ambrogio quando, facendo ricorso al diffuso parallelo tra milizia dei cristiani e milizia terrena[19], sollecitava gli ecclesiastici a non compiere le medesime attività vietate ai soldati dell’Impero:

 

Ambrosius Mediolanensis, De off. 1.36.184: non te implices negotiis saecularibus, quoniam Deo militas. Etenim si is qui imperatori militat, a susceptionibus litium, actu negotiorum forensium, venditione mercium prohibetur humanis legibus; quanto magis qui fidei exercet militiam, ab omni usu negotiationis abstinere debet, agelluli sui contentus fructibus, si habet: si non habet, stipendiorum suorum fructu! (PL 16, col. 78).

 

Tra i vari divieti, il vescovo, riferendosi alla venditio mercium, ricordava che ai militari fosse proibito porre in essere attività commerciali. L’interdizione fu ricordata in seguito anche da altri scrittori ecclesiastici, in particolare in Oriente da Giovanni Crisostomo, nel suo commento alla prima lettera paolina a Timoteo[20], e in Occidente da Sidonio Apollinare[21]. In merito si deve rilevare un’aporia, poiché non si conoscono leggi imperiali risalenti almeno al periodo in cui Ambrogio visse, e dunque antecedenti alla costituzione del 458 di Leone (C. 12.35.15), menzionata supra, con cui si vietava ai soldati di trarre profitto dalla compravendita di merci (mercimoniorum quaestus). L’evenienza ambrosiana, dunque, mi fa ritenere l’esistenza di precedenti normativi risalenti perlomeno al IV secolo.

L’interdizione in esame fu consolidata da Giustiniano sotto un differente profilo, quando dispose che i negotiatores non prestassero servizio nella militia armata, distinguendo in modo netto le attività commerciali da quelle militari[22].

 

 

4. – Simplicitas

 

Per comprendere le motivazioni alla base dei divieti in esame, potrebbe essere di qualche utilità considerare in che modo i soldati romani erano generalmente tratteggiati dalle fonti a partire dall’età classica. In sede normativa i milites furono spesso ricordati per la loro simplicitas e per il loro ingegno non certamente sottile, facendo ricorso a una diffusa opinione, di cui riferisce Tacito, per cui essi sapevano maneggiare le armi, piuttosto che avvalersi con dimestichezza delle sottigliezze del foro[23]. In particolare la “semplicità militare”, ad esempio, giustificava la deroga del testamentum militis alle formalità dettate per la successione testamentaria, infatti, come sottolineava Antonino Caracalla in C. 6.21.3 pr. ... militum testamenta iuris vinculis non subiciantur, cum propter simplicitatem militarem quomodo velint et quomodo possint ea facere his concedatur ... (a. 213).

Che la semplicità dei soldati fosse proverbiale è testimoniata proprio dalla nota costituzione di Antonino Caracalla che apre il titolo C. 1.18 De iuris et facti ignorantia, con cui l’imperatore scusava l’ignoranza del militare che aveva omesso di allegare prove a suo discarico, permettendogli di difendersi ex sententia conveniri[24].

Si deve constatare, tuttavia, una differente realtà rispetto alla ignoranza paventata più volte dal legislatore classico e postclassico. Come è emerso dalle fonti analizzate le norme imperiali inerenti alla gestione di affari altrui da parte di militari furono spesso sollecitate in sede giudiziaria. Nel Codice giustinianeo, inoltre, i rescritti i cui destinatari sono esplicitamente denominati milites sono più di ottanta (86), inerenti a svariate materie, non soltanto alla sfera militare[25]. Si tratta di un numero consistente di interventi che mostrano i soldati particolarmente interessati e coinvolti in problematiche giuridiche. Le richieste non sembrano originate dall’ignoranza poiché molte delle questioni trattate erano di una tale complessità da essere elevate a massime dai commissari giustinianei: la “semplicità dei militari” era quindi solo presupposta, ma non corrispondeva sempre alla realtà dei fatti.

Nel 531 Giustiniano richiamava una costituzione ormai perduta di Gordiano, promulgata a tutela di soldati che per ignorantiam adirono una hereditas. In tale occasione Gordiano riteneva che Arma etenim magis quam iura scire milites[26]: appare evidente che, a partire dall’età classica, l’ignoranza dei militi era del tutto voluta e perseguita dalla politica imperiale. Così, attraverso la concessione dei privilegi in virtù della simplicitas, si prefiggeva l’allontanamento dei soldati dalla conoscenza del diritto e dalle attività estranee alle operazioni militari; così, i divieti qui illustrati furono un ulteriore strumento per raggiungere il medesimo fine, ovvero l’assidua e costante partecipazione alle imprese belliche per la difesa dell’Impero.

 

 

5. – Assenza rei publicae causa

 

La medesima prospettiva si rinviene anche nella politica imperiale rispetto alle lunghe assenze dei soldati rei publicae causa. Una parte della letteratura ha considerato la lontananza dei militari come motivo del divieto di esercitare il ruolo di procurator e di cognitor poiché non permetteva di conoscere a fondo la causa o il negozio da gestire; eppure come è stato rilevato, si negava al soldato romano di fare da procuratore anche a moglie e genitori, i cui affari dovevano essere da lui ben conosciuti[27].

L’essere in expeditionibus occupati per causa pubblica non viene in alcun modo menzionato dalle fonti esaminate in relazione alle attività proibite, mentre era preso in considerazione dalla legislazione imperiale dettata in senso favorevole per i militari: si veda in particolare il titolo C. 2.50(51) De restitutione militum et eorum qui rei publicae causa afuerunt e i due titoli successivi, poiché l’assenza causa rei publicae permetteva di riaprire i termini per proporre l’azione, richiedere l’integrum restitutio, etc. Con Giustiniano, tuttavia, si considerò scriminante soltanto l’attività svolta durante le spedizioni militari, perseguendo una politica che dava rilevanza all’effettivo e corrente compimento del proprio il servizio. In età giustinianea, dunque, la condizione di soldato ipso iure non comportava eccezioni al diritto generale, poiché i numerosi benefici furono destinati soltanto ai milites impegnati concretamente in operazioni militari. Un esempio è rappresentato da C. 7.35(36).8 del 529 con cui l’Imperatore specificava che, in materia di longi temporis praescriptio, il privilegio del tempus expeditionis giovasse solo relativamente al periodo trascorso durante il servizio attivo, poiché non voleva favorire i milites che ... quae citra expeditionum necessitatem ... dimoravano a casa loro o in altri luoghi[28]. La medesima prospettiva si rinviene in C. 6.21.17, in materia di testamento dei militari[29] (tema presente anche nelle Istituzioni Giustinianee[30]).

 

 

6. – Utilitas publica

 

A partire dall’età classica, quindi, la volontà imperiale mirava a non distogliere dai propri compiti i soldati, paventando, o meglio, prescrivendo una simplicitas che allontanava loro dalle questioni giuridiche; Giustiniano, esasperando questa tendenza, favorì il servizio attivo per legare indissolubilmente i militi all’esclusivo uso delle armi. La politica legislativa del Basso impero si conformava, così, in vari modi alla necessità di difendere l’Impero per mezzo di un esercito caratterizzato dall’assidua presenza degli effettivi: sancendo la desidiosa quiete di coloro che, privi di licenza, si allontanavano dal reparto passando un lungo periodo a casa propria o in altri luoghi[31]; punendo chi congedava i militari durante le spedizioni[32], e anche contrastando il vagabondare dei soldati[33]. La vita del miles si doveva appiattire nella propria missione, tant’è che Giustiniano presumeva che ogni soldato non prendesse a credito e non spendesse il danaro se non per acquistare oggetti d’uso militare[34].

I divieti prescritti si conformavano alla politica imperiale finalizzata a perseguire la publica utilitas, richiamata per l’età classica da Caracalla (C. 2.12(13).7); in età tardoantica la pubblica utilità fu contrapposta in modo netto, come si è visto, a quelle private specialmente da Leone (C. 12.35.15). Tale principio, ad esempio, fu posto alla base del veto di trasferire i soldati da un reggimento a un altro, se non attraverso un ordine imperiale per utile pubblico (nisi hoc augusta maiestas publicae utilitatis gratia fieri iusserit)[35].

La dicotomia publica-privata utilitas è sottesa in Nov. 116 (De militibus) del 542, con cui Giustiniano ritornava sui medesimi temi affrontati dall’imperatore Leone. La costituzione giustinianea era disposta contro coloro che utilizzavano per propria utilità i servizi di soldati e federati, trattenendoli presso le loro dimore e i loro possedimenti. L’Imperatore prescriveva inoltre ai militari continue esercitazioni, e il combattimento al fine di pubblica utilità, per la difesa della repubblica, e ribadiva ulteriormente il divieto generale per soldati e federati di occuparsi di affari privati[36]. La novella dimostra come fossero vani gli innumerevoli sforzi intrapresi dalla politica imperiale di tenere i militari distanti da ambienti differenti dall’esercito; essi, infatti, si mostrano costantemente – e, oserei dire, anche pericolosamente - inseriti nella compagine sociale e giuridica.

Nel tardo antico, dunque, si consolidò l’idea, iniziata a prospettarsi in epoca precedente, dell’azione salvifica e vitale dell’esercito, richiamata anche nella Novella 116, in quanto i milites rappresentavano il baluardo del benessere dell’Impero.

 



 

* Testo della relazione presentata a Parma il 22 novembre 2018 al Convegno “Diritto ed esercito. Profili dell’epoca tardoantica”, organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza, Studî politici e internazionali dell’Università di Parma, e dall’Associazione Ravenna Capitale d’Occidente.

[1] J. Gaudemet, Privilèges constantiniens en faveur des militaires et des vétérans, in Studi in onore di C. Sanfilippo, II, Milano 1982, 179 [ora in Id., Droit et société aux derniers siècles de l’Empire romain, Napoli 1992, 105].

[2] D. 3.3.8.2 (Ulpianus libro octavo ad edictum): Veterani procuratores fieri possunt: milites autem nec si velit adversarius procuratores dari possunt, nisi hoc tempore litis contestatae quocumque casu praetermissum est: excepto eo qui in rem suam procurator datus est, vel qui communem causam omnis sui numeri persequatur vel suscipit, quibus talis procuratio concessa est.

[3] C. 2.12(13).7: Idem <Imp. Antoninus> A. Macrino militi. Militem nec pro patre vel matre vel uxore nec ex sacro rescripto procuratorio nomine experiri oportet, cum neque defensionem alienam suscipere vel redimere negotia vel quasi suffragatorem accedere utilitate publica permittatur.

[4] C. 2.12(13).13: Imp. Gordianus A. Viciano militi. Ita demum super lite persequenda, quam tibi mater mandavit, actionem intendere potes, si, cum primo litem contestareris, non est tibi eo nomine opposita praescriptio militiae: quod nec, cum appellatio agitur, tibi obici poterit. nam si integra res est, ratio perpetui edicti acceptam tibi non permittit alieno nomine actionem intendere.

[5] C. 4.6.5: Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Martiali. Si militem ad negotium tuum procuratorem fecisti, cum hoc legibus interdictum sit, ac propter hoc pecuniam ei numerasti, quidquid ob causam datum est, causa non secuta restitui tibi competens iudex curae habebit.

[6] D. 27.1.10 pr.-2 (Modestinus libro tertio excusationum): Οὐ μόνον δὲ οἱ τὰς ἀπὸ καλίγος στρατείας καὶ τὰς λοιπὰς πριμιπιλάριοι στρατευσάμενοι, ἀλλὰ καὶ οἱ ὁπωσοῦν χρείας δημοσίας δήμου Ῥωμαίων ἕνεκα ἀποδημήσαντες ἐνιαυτοῦ ἔχουσιν ἀνάπαυσιν μετὰ τὸ ἐπανελϑεῖν. 1. μέντοι ἐνιαυτὸς οὗτος οὐ μόνον τοῖς πληρώσασιν τὸν συνήϑη τῆς στρατείας καιρὸν ἐν ταῖς λοιπαῖς δημοσίαις χρείαις δίδοται, ἀλλὰ καὶ τοῖς ὁπωσοῦν παυσαμένοις τῆς δημοσίας χρείας καὶ ἐπανελϑοῦσιν, κᾂν ἐλάττονα χρόνον διατρίψωσιν τοῦ διατεταγμένου. 2. Ἃς μέντοι πρότερον εἶχον ἐπιτροπάς, διὰ δὲ τοῦτο ἀπέϑεντο, ὅτι δημοσίου ἕνεκα πράγματος ἀπεδήμουν, ταύτας ἐπανελϑόντες παραυτὰ ἐπαναλήψονται οὐδὲν αὐτοῖς βοηϑοῦντος τοῦ ἐνιαυτοῦ· γὰρ ἐνιαυτὸς πρὸς τὰς μελλούσας καινὰς δίδοται, οὐχὶ πρὸς τὰς ἀναληφϑῆναι ὀφειλούσας.

[7] C. 5.34.4: Idem <Imp. Philippus> A. Emerito militi. Armatae militiae muneribus occupatus neque si legitimus sit neque si ex testamento datus fuerit nec alio modo, etsi voluerit, tutor aut curator fieri potest: sed si errore ductus res administraverit, negotiorum gestorum actione convenitur.

[8] I. 1.25.14: Idem et in milite observandum est, ut nec volens ad tutelae munus admittatur.

[9] C. 5.65.2: Imp. Gordianus A. Celeri veterano. Quod placuit veteranos tantummodo conveterani filiorum seu militum, et quidem unam tutelam seu curam eodem tempore administrare compelli, eo pertinet, ut, si aliis dati fuerint, intra sollemnia tempora causas excusationis apud competentem iudicem deferant (a. 239). In tal senso D. 27.1.8 (Modestinus libro tertio excusationum).

[10] Vedi ad esempio CTh. 5.6.1 (= C. 6.62.2) del 347, in materia di successione ereditaria.

[11] C. 12.35.16: Idem <Imp. Leo> A. Dioscoro pp. Militares viros civiles curas adripere prohibemus, aut si aliquam huiusmodi sollicitudinem forte susceperint, et militia statim et privilegiis omnibus denudari decernimus: formidantibus his motum nostrae serenitatis, qui temeritate saluberrimis statutis obviam ire temptaverint.

[12] Vegetius, De re mil. 2.19.5: nec aliquibus milites instituti deputabantur obsequiis, nec privata eisdem negotia mandabantur, siquidem incongruum videretur imperatoris militem, qui veste et annona publica pascebatur, utilitatibus vacare privatis.

[13] C. 4.65.31: Imp. Leo A. Aspari magistro militum. Milites nostros alienarum rerum conductores seu procuratores aut fideiussores vel mandatores conductorum fieri prohibemus, ne omisso armorum usu ad opus rurestre se conferant et vicinis graves praesumptione cinguli militaris existant. armis autem, non privatis negotiis occupentur, ut numeris et signis suis iugiter inhaerentes rem publicam, a qua aluntur, ab omni bellorum necessitate defendant.

[14] C. 4.65.7: Idem <Imp. Alexander> A. Septimio Terentiano militi. Si, cum Hermes vectigal octavarum in quinquennium conduceret, fidem tuam obligasti posteaque spatio eius temporis expleto, cum idem Hermes in conductionem ut idoneus detinerentur, non consensisti, sed cautionem tibi reddi postulasti, non oportere te posterioris temporis periculo adstringi competens iudex non ignorabit.

[15] C. 12.35.15: Imp. Leo A. Aspari magistro militum. Milites, qui a re publica armantur et aluntur, solis debent publicis utilitatibus occupari nec agrorum cultui et custodiae animalium vel mercimoniorum quaestui, sed propriae muniis insudare militiae. 1. Nullam praeterea ex militibus posthac praedictis obsequiis vacare magnitudo tua patiatur, sed frequentes esse in numero suo iubeat, ut armorum quotidiano exercitio ad bella se praeparent. 2. Quod si quis ex militaribus iudicibus ullos militum tam divinis quam regiis vel privatis domibus ac possessionibus diversisque aliis obsequiis contra interdictum serenitatis nostrae crediderit deputandos, sciat ab eo, qui contra vetitum fecerit, et ab eo, qui ausus accipere militem fuerit, per singulos milites singulas libras auri protinus exigendas.

[16] Liv. Perioch. 11: L. Postumius consularis, quoniam, cum exercitui praeesset, opera militum in agro suo usus erat, damnatus est (O. Rossbach, 1910, p. 17).

[17] C. 4.65.35: Imp. Iustinianus A. ad senatum. Licet retro principes multa de militibus, qui alienas possessiones vel domus conductionis titulo procurandas suscipiunt, sanxisse manifestum est, tamen quia res sic est contempta, ut neque interminationis sacratissimae constitutionis milites memores ad huiusmodi sordida audeant venire ministeria et relictis studiis publicis signisque victricibus ad conductiones alienarum rerum prosilire et armorum atrocitatem non in hostes ostendere, sed contra vicinos et forsitan adversus ipsos miseros colonos, quos procurandos susceperunt, convertere, necessarium duximus ad hanc sacratissimam venire constitutionem altius et plenius huiusmodi causam corrigentes. 1. Iubemus itaque omnes omnino, qui sub armis militant, sive maiores sive minores (milites autem appellamus eos, qui tam sub excelsis magistris militum tolerare noscuntur militiam quam in undecim devotissimis scholis taxati sunt, nec non eos, qui sub diversis optionibus foederatorum nomine sunt decorati) saltem in posterum ab omni conductione alienarum rerum temperare scituros, quod ex ipso contractus initio sine aliquo facto vel aliqua sententia cadant militia et non sit regressus eis ad pristinum gradum neque a beneficio imperiali neque a consensu vel permissu iudicis, sub quo tolerandam sortiti sunt militiam: ne, dum alienas res conductionis titulo esse gubernandas existimant, suas militias suamque opinionem amittant, ex militibus pagani, ex decoratis infames constituti: et quod post huiusmodi conductionem, quam penitus interdiximus, a publico susceperint, et hoc sine aliqua mora vel procrastinatione reddere compellantur. 2. Scituris et ipsis, qui suas facultates post hanc legem eis ad conductionem permiserint nostra lege eorum conamine violata, quod nulla eis exactio contra eos concedatur, ut, qui alieni appetens constitutus militem procuratorem elegerit, et suis cadat reditibus. 3. Pateat autem omnibus huiusmodi copia apud competentes iudices accusationis, ut, qui in hac causa delator existat, laudandus magis quam vituperandus intellegatur: poena, quam contra milites nostrorum praeceptorum contemptores et ipsos, qui eis conductionem rerum ad se pertinentium permiserint, statuimus, in futuris causis obtinente.

[18] D. 49.16.9 (Marcianus libro tertio institutionum): Milites prohibentur praedia comparare in his provinciis, in quibus militant, praeterquam si paterna eorum fiscus distrahat: nam hanc speciem Severus et Antoninus remiserunt. sed et stipendiis impletis emere permittuntur. fisco autem vindicatur praedium illicite comparatum, si delatus fuerit. sed et si nondum delata causa stipendia impleta sint vel missio contigerit, delationi locus non est. 1. Milites si heredes extiterint, possidere ibi praedia non prohibentur; D. 49.16.13 pr.-1 (Macer libro secundo de re militari): Milites agrum comparare prohibentur in ea provincia, in qua bellica opera peragunt, scilicet ne studio culturae militia sua avocentur. et ideo domum comparare non prohibentur. sed et agros in alia provincia comparare possunt. ceterum in ea provincia, in quam propter proelii causam venerunt, ne sub alieno quidem nomine eis agrum comparare licet: alioquin fisco vindicabitur. 1. Is autem, qui contra disciplinam agrum comparaverit, si nulla de ea re quaestione mota missionem acceperit, inquietari prohibetur. Vedi anche D. 18.1.62 pr. (Modestinus libro quinto regularum): Qui officii causa in provincia agit vel militat, praedia comparare in eadem provincia non potest, praeterquam si paterna eius a fisco distrahantur.

[19] Vedi in tal senso, tra l’epistolario paolino, ad es.: IICor. 10.3-4:  ... non secundum carnem militamus 4. – nam arma militiae nostrae non carnalia sed potentia Deo ad destructionem munitionum – consilia destruentes; ITim. 1.18: Hoc praeceptum commendo tibi, fili Timothee, secundum praecedentes super te prophetias, ut milites in illis bonam militiam).

[20] Johannes Chrysostomus, Hom. in ep. I Timoth. 13.4: Εἰ γὰρ στρατιώτης λουτροῖς καὶ ϑεάτροις προσανέχων καὶ πραγματείαις, καϑάπερ τὶς λειποτάκτης κρίνεται ... (PG 62, col. 572, vedi anche la tr. lat.: Nam si miles qui lavacris, theatris, ac negotiationibus dat operam, velut desertor militiae damnatur ..., col. 571).

[21] Sidonius Apollinaris, Epist. 1.8: In qua palude indesinenter rerum omnium lege perversa, muri cadunt, aquae stant, turres fluunt, naves sedent, aegri deambulant, medici jacent, algent balnea, domicilia conflagrant, sitiunt vivi, natant sepulti, vigilant fures, dormiunt potestates, fenerantur clerici, Syri psallunt, negotiatores militant, milites negotiantur ... (PL 58, col. 461).

[22] C. 12.34(35).1: Imp. Iustinianus A. Menae pp. Eos, qui vel in hac alma urbe vel in provinciis cuidam ergasterio praesunt, militare de cetero prohibemus, exceptis argenti distractoribus, qui in hac alma urbe negotiantur. 1. Hos enim utpote omnium contractibus utiles armata quidem militia penitus abstinere sancimus, aliam vero quamcumque sine metu praesentis sanctionis posse sibi adquirere. 2. Si qui vero negotiatores, quos omni militia prohibuimus, iam militarunt, licentiam eis damus negotiationem quidem relinquere, militiam vero retinere, scientibus quod, si postea negotiantes appareant, militia privabuntur. 3. Quod et in argenti distractoribus huius almae urbis, si armatam militiam iam sortiti sunt, tenere volumus, ut relicta negotiatione liceat eis in eadem militia durare. 4. Negotiantes etenim post hanc sanctionem huiusmodi militia privabuntur: illis, qui ad armorum structionem suam professionem contulerint, minime prohibendis ad competentem suae professionis venire militiam et huiusmodi negotiationem nihilo minus retinere (a. 528-529).

[23] Tacitus, Agric. 9.2: Credunt plerique militaribus ingeniis subtilitatem deesse, quia castrensis iurisdictio secura et obtusior ac plura manu agens calliditatem fori non exerceat.

[24] C. 1.18.1: Imp. Antoninus A. Maximo militi. Quamvis, cum causam tuam ageres, ignorantia iuris propter simplicitatem armatae militiae adlegationes competentes omiseris, tamen si nondum satisfecisti, permitto tibi, si coeperis ex sententia conveniri, defensionibus tuis uti (a. 212).

[25] A titolo di esempio, vedi, precedute dal titolo in cui sono inserite: De pactis: C. 2.3.14 (a. 241), C. 2.3.19 (a. 290); De transactionibus: C. 2.4.8 (a. 239), C. 2.4.11 (a. 255); De errore advocatorum vel libellos seu preces concipientium: C. 2.9(10).2 (a. 238); De procuratoribus: C. 2.12(13).12 (a. 230); De his quae vi metusve causa gesta sunt: C. 2.19(20).5 (a. 239); De filio familias minore: C. 2.22(23).1(2) (a. 238), C. 2.22(23).2(1) (a. 241); Si adversus venditionem: C. 2.27(28).1; Si saepius in integrum restitutio postuletur: C. 2.43(44).2 (a. 226); In integrum restitutione postulata ne quid novi fiat: C. 2.49(50).1 (a. 239); De temporibus in integrum restitutionis tam minorum aliarumque personarum, quae restitui possunt, quam heredum eorum: C. 2.52(53).1 (a. 238), C. 2.52(53).2 (a. 238), C. 2.52(53).3 (a. 238); De petitione hereditatis: C. 3.31.2 (a. 200); De rei vindicatione: C. 3.32.4 (a. 238), C. 3.32.6 (a. 239), C. 3.32.8 (a. 246); De usu fructu et habitatione et ministerio servorum: C. 3.33.7 (a. 243); C. 3.34.5 (a. 246); Familiae erciscundae: C. 3.36.6 (dell’imperatore Gordiano); Communi dividundo: C. 3.37.2 (a. 222); Ad exhibendum: C. 3.42.1 (a. 222); C. 3.42.5 (a. 239); De religiosis et sumptibus funerum: C. 3.44.5 (a. 224); De condictione ob turpem causam: C. 4.7.3 (a. 290); Ne filius pro patre vel pater pro filio emancipato vel libertus pro patrono conveniatur: C. 4.13.1 (a. 238); De fide instrumentorum et amissione eorum et antapochis faciendis et de his quae sine scriptura fieri possunt: C. 4.21.5 (a. 240); De compensationibus: C. 4.31.8 (dell’imperatore Gordiano); De usuris: C. 4.32.6 (a. 212), C. 4.32.10 (dell’imperatore Antonino); Depositi: C. 4.34.1 (a. 234), C. 4.34.2 (a. 238), C. 4.34.3 (a. 239), C. 4.34.4 (dell’imperatore Gordiano); Mandati: C. 4.35.6 (a. 238), C. 4.35.7 (dell’imperatore Gordiano); Pro socio: C. 4.37.3 (di Diocleziano e Massimiano); De contrahenda emptione: C. 4.38.9 (a. 294); De hereditate vel actione vendita: C. 4.39.4 (a. 223), C. 4.39.6 (a. 230); De rescindenda venditione: C. 4.44.1 (a. 222), C. 4.44.7 (a. 293), C. 4.44.14 (a. 294); De periculo et commodo rei venditae: C. 4.48.4 (a. 239); De rebus alienis non alienandis et de prohibita rerum alienatione vel hypotheca: C. 4.51.1 (a. 224); De communium rerum alienatione: C. 4.52.2 (dell’imperatore Gordiano); C. 4.52.4 (di Diocleziano e Massimiano); De pactis inter emptorem et venditorem compositis: C. 4.54.2 (a. 222), C. 4.54.3 (dell’imperatore Alessandro); De rerum permutatione et de praescriptis verbis actione: C. 4.64.1 (a. 238); De locato et conducto: C. 4.65.9 (a. 234); Quando decreto opus non est: C. 5.72.1 (a. 205); Qui facere testamentum possunt vel non possunt: C. 6.22.1 (a. 243); De heredibus instituendis et quae personae heredes institui non possunt: C. 6.24.3 (a. 223); De iure deliberandi et de adeunda vel adquirenda hereditate: C. 6.30.2 (a. 223), C. 6.30.3 (a. 241); De repudianda vel abstinenda hereditate: C. 6.31.4 (a. 293); De his qui a non domino manumissi sunt: C. 7.10.3 (a. 230).

[26] C. 6.30.22 pr.: Idem <Imp. Iustinianus> A. ad senatum. sed etiam veterem constitutionem non ignoramus, quam divus Gordianus ad Platonem scripsit de militibus, qui per ignorantiam hereditatem adierint, quatenus pro his tantummodo rebus conveniantur, quas in hereditate defuncti invenerint, ipsorum autem bona a creditoribus hereditariis non inquietentur: cuius sensus ad unam praefatarum constitutionum a nobis redactus est. arma etenim magis quam iura scire milites sacratissimus legislator existimavi.

[27] M. De Pascale, Sul divieto per il «miles» di fungere da «cognitor» o «procurator» in giudizio, in Index 15, 1987, 400.

[28] C. 7.35(36).8: Imp. Iustinianus A. Menae pp. Sancimus his solis militibus, qui expeditionibus occupati sunt, ea tantummodo tempora, quae in eadem expeditione percurrunt, in exceptionibus declinandis opitulari: illis temporibus, per quae citra expeditionum necessitatem in aliis locis vel in suis aedibus degunt, minime eos ad vindicandum hoc privilegium adiuvantibus.

[29] C. 6.21.17: Imp. Iustinianus A. Menae pp. Ne quidam putarent in omni tempore licere militibus testamenta quomodo voluerint componere, sancimus his solis, qui in expeditionibus occupati sunt, memoratum indulgeri circa ultimas voluntates conficiendas beneficium (a. 529).

[30] I. 2.11 pr.: nam quamvis hi neque legitimum numerum testium adhibuerint neque aliam testamentorum sollemnitatem observaverint, recte nihilo minus testantur, videlicet cum in expeditionibus occupati sunt: quod merito nostra constitutio induxit. quoque enim modo voluntas eius suprema sive scripta inveniatur sive sine scriptura, valet testamentum ex voluntate eius. illis autem temporibus, per quae citra expeditionum necessitatem in aliis locis vel in suis sedibus degunt, minime ad vindicandum tale privilegium adiuvantur ...

[31] C. 12.42.3 [= CTh. 7.18.16] di Onorio e Teodosio (a. 413).

[32] C. 12.42.1 [= CTh. 7.12.1] di Costantino (a. 323).

[33] CTh. 7.1.12 [= C. 12.35(36).11] del 384.

[34] C. 4.28.7.1: Imp. Iustinianus A. Iuliano pp. Sin autem miles filius familias pecuniam creditam acceperit, sive sine mandato vel consensu vel voluntate vel ratihabitione patris, stare oportet contractum, nulla differentia introducenda, ob quam causam pecuniae creditae vel ubi consumptae sunt. in pluribus enim iuris articulis filii familias milites non absimiles videntur hominibus qui sui iuris sunt, et ex praesumptione omnis miles non credatur in aliud quicquam pecunias accipere et expendere nisi in causas castrenses (a. 530).

[35] C. 12.35(36).14 [= CTh. 7.1.18]: Idem <Impp. Arcadius et Honorius> AA. Stilichoni magistro militum. Contra publicam utilitatem nolumus a numeris ad alios numeros milites nostros transferri. Sciant igitur comites vel duces, quibus regendae militiae cura commissa est, non solum de comitatensibus ac palatinis numeris ad alios numeros milites transferri non licere, sed ne ipsis quidem seu de comitatensibus legionibus seu de riparensibus castricianis ceterisque cuiquam eorum transferendi militem copiam attributam, nisi hoc Augusta maiestas publicae utilitatis gratia fieri iusserit: quia honoris augmentum non ambitione, sed labore ad unumquemque convenit devenire. 1. Quod si contra fecerint, per singulos milites singulas auri libras a se noverint exigendas (a. 400).

[36] Nov. 116: <Πρ.> Μετὰ τὴν τοῦ δεσπότου ϑεοῦ εὐμένειαν ἀσφάλεια τῶν ἡμετέρων ὑπηκόων τῶν στρατιωτικῶν πραγμάτων ἀρχὴ καὶ κατάστασις· τούτων γὰρ προνοίᾳ ϑεοῦ συνισταμένων μὲν τῶν βαρβάρων προπέτεια χαλινοῦται, τὰ δὲ τῆς πολιτείας αὔξει πράγματα. ἐπεὶ οὖν τινες τῆς ἑαυτῶν σωτηρίας οὐδὲνα ποιούμενοι λόγον τοὺς στρατιώτας καὶ φοιδεράτους, ὀφείλοντας ὑπὲρ τῆς ἐλευϑερίας τῆς πολιτείας κατὰ τῶν ἐχϑρῶν ἀγωνίζεσϑαι, τολμῶσιν ὑποσύρειν καὶ εἰς ἰδιωτικὰς ἀπασχολεῖν χρείας, συνείδομεν διὰ τοῦ παρόντος ἡμῶν νόμου πᾶσι προαγορεῦσαι, ὥςτε τοῦ λοιποῦ μηδένα τολμῆσαι στρατιώτην ἐν οἱῳδήποτε ἀναφερόμενον ἄριϑμῷ φοιδερατον ὑποσύρειν εἰς τὸν ἑαυτοῦ χειν οἶκον εἰς τὰς ἰδίας χειν κτήσεις· περὶ οὓς ἡμεῖς πολλοὺς ὑφιστάμεϑα πόνους γυμνάζοντες καὶ στρατεύοντες, ὥςτε τοῖς κοινοῖς αὐτοὺς χρησιμεύειν πράγμασιν. I. Ἔστωσαν τοίνυν πάντες εἰδότες ὃσοι στρατιώτας φοιδεράτους τινὰς ἐν τοῖς ἑαυτῶν χειν σπευσαν οἴκοις κτήσεσιν ὁπωςοῦν προςεδρεύοντας καὶ τινας αὐτοῖς ἰδιωτικὰς πληροῦντας χρείας, ὥςτε εἰ μὴ ἐντὸς triginta dierum προϑεσμίας αριϑμουμένων ἀπὸ τῆς κατὰ τόπον ἐμφανείας τῆς παρούσης ἡμῶν διατυπώσεως τούτους ἀποδιώξουσιν, αἱ μὲν αὐτῶν τῶν εχόντων αὐτοὺς κρατούντων οὐσίαι δημεύσει ὑποβληϑεῖσαι τῷ δημοσίῳ προςκυρωϑήσονται, αὐτο δὲ καὶ τῶν ἀξιωμάτων καὶ τῶν στρατειῶν ὁποίας χουσιν ἐξωϑήσονται, οἱ δὲ στρατιῶται καὶ φοιδεράτοι οἱ ούτοις μετὰ τὴν προϑεσμίαν παραμένοντες οὐ μόνον τῆς ζώνης ἀφαιρεϑσονται, ἀλλὰ καὶ τὰς εἰς σχατον ὑπομενοῦσι τιμωρίας· εἰδότων καὶ τῶν κστης ἐπαρχιας ἀρχοντων, ὡς εῖ τινες εὑρεϑεῖεν ἐν τοῖς τόπὸις τοῖς παραὐτῶν ἰϑυνομένοις δεσπόταις πιτρόποις τισν προςώποις οἴκοις δεσπόταις κτσεσιν τας οἱαιςοῦν ἰδιωτικαῖς χρείαις προςεδρεύοντες, καὶ μὴ σπουδαως τούτους συσχῶσί τε καὶ τιμωρίαις ποβάλωσι, καὶ τοὺς μὲν στρατιώτας εἰς τοὺς ριϑμοὺς κπέμψωσιν ἐν οἷς στρατεύονται, τοὺς δὲ φοιδεράτους πρὸς τοὺς ἰδίους πτίονας, καὶ αὐτο ἀνὰ decem librarum auri ποινὴν εἰςπραχϑήσονται, καὶ πρὸς τούτοις ἐξορίᾳ παραδοϑήσονται ὡς τῶν ἡμετέρων κελεύσεων τολμήσαντες ἀμελῆσαι. μηδεὶς τοίνυν μήτε ϑείῳ τινὶ τύπῳ περὶ τούτου ὡς εἰκὸς γενομένῳ μήτε προςτάξεσιν ἀρχόντων <χρήσηται, μηδέ τις τῶν ἡμετέρων ἀρχόντων> τοιούτους τινὰς τύπους προςτάξεις ρχικς προςδὲξηται, ἀλλὰ μετὰ πάσης ταχυτῆτος ο μὲν στρατιῶται εἰς τοὺς ἰϑίους ριϑμοὺς οἱ δὲ φοιδεράτοι πρὸς τοὺς ἑαυτῶν πτίονας ἐπανέλϑωσι καὶ ὑπὲρ τῶν κοινῶν ἀγωνίσωνται πραγμάτων. κατοὐδένα γὰρ τρόπον τοῦ λοιποῦ συγχωροῦμεν τοὺς ἡμετέρους στρατιώτας φοιδεράτους ν τισι παντελῶς ἰδιωτικαῖς πασχολεῖσϑαι χρείαις. <Ἐπίλ.> Τὰ τοίνυν παραστάντα ἡμῖν καὶ διὰ τοῦ παρόντος δηλούμενα νόμου σὴ περοχὴ γινώσκουσα κατὰ μὲν τὴν εὐδαίμονα ταύτην πόλιν ἰδίκτων κατὰ τὸ σύνηϑες προτιϑεμένων, ἐν δὲ ταῖς ἐπαρχίαις προςτάξεων στελλομένων πᾶσι δῆλα καταστῆσαι σπευσάτῶ (tr. lat.: <Praef.> Post domini dei benevolentiam subiectorum nostrorum securitas in militarium rerum imperio et institutione posita est: his enim dei providentia constitulis et barbarorum petulantia refrenatur et rei publicae opes crescunt. Iam quoniam nonnulli salutis suae nulla ratione habita milites et foederatos, qui pro libertate reipublicae contra hostes pugnare debeant, subducere et in privatis negotiis occupatos detinere audent, placuit nobis per praesentem legem nostram omnibus interdicere, ne quisquam in posterum militem in qualemcumque numerum relatum aut foederatum subducere vel in sua habere domo vel in propriis possessionibus habere audeat: de quibus nos multos labores sustinemus exercitiis et expeditionibus paratis, ut communibus rebus utiles se praestent. I. Sciant igitur omnes quicumque milites vel foederatos aliquos in domibus suis vel possessionibus habere studuerunt qualicumque modo detentos et privatas quasdam operas ipsis praestantes, nisi intra triginta dierum spatium ab insinuatione praesentis constitutionis nostrae in eo loco facta numerandorum eos expulerint, bona eorum qui eos habent aut detinent publicationi subiecta fisco addictum iri, ipsos autem dignitatibus et militiis quas habent exutum iri, milites vero et foederatos qui post praefinitum temporis spatium apud illos permaneant non solum cingulo privatum iri, sed etiam extrema subituros esse supplicia; ac sciant etiam provinciae cuiusque praesides, si qui in locis qui ab ipsis gubernantur inventi sint vel apud procuratores aliquos vel alias personas vel in domibus vel apud dominos earum vel in possessionibus vel in qualibuscumque privatis operis detenti, nisi eos acriter comprehenderint et suppliciis subiecerint, atque milites ad numeros in quibus militant, foederatos autem ad optiones suos transmiserint, ipsos quoque denarum librarum auri poenam persoluturos esse ac praeterea exilio traditum iri, quippe qui iussiones nostras neglegere ausi sint. Nemo igitur aut sacra ulla sanctione de hoc forte lata aut praeceptis magistratuum (utatur, neve ullus ex nostris magistratibus) eiusmodi sanctiones vel praecepta magistratuum suscipiat, sed cum omni celeritate et milites ad suos numeros et foederati ad suos optiones revertantur et pro rebus publicis dimicent. Neque enim ullo modo in posterum permittimus ut milites vel foederati nostri in ullis omnino privatis operis occupentur. <Epil.> Quae igitur nobis placuerunt et per praesentem legem declarantur tua sublimitas cognoscens in hac quidem felici civitate edictis more solito propositis, in provinciis autem praeceptis missis manifesta omnibus reddere studeat).