ISPROM
ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI PER IL
MEDITERRANEO
Mediterraneo, Russia, Sardegna
Da antonio Gramsci a luigi Polano
Sassari, 1 -
2 dicembre 2017
La città di Livorno attraverso
il dialogo cristiano-ebraico
R.
REINHARDT
mgimo - Istituto Statale
di Mosca per le Relazioni Internazionali
Nella relazione si parla dei
legami storici tra due città che possono diventare legami diplomatici. In
questa frase ci sono due affermazioni che potrebbero a prima vista sembrare
paradossali.
Prima affermazione: fra queste città (Livorno
ed Odessa) non sono mai esistiti legami istituzionali (per quanto ne sappiamo,
e abbiamo consultato diverse fonti storiche). I contatti spontanei esistevano e
ci sono ancora oggi, quelli istituzionali non sono mai esistiti. Seconda affermazione:
quando si parla dello stabilirsi di legami tra due città appartenenti a due
paesi diversi, la nozione di diplomazia non è propriamente e correttamente
applicabile. Si dovrebbe, più correttamente parlare della cosiddetta
paradiplomazia.
Che cos’è la paradiplomazia?
Questa parola contiene il prefisso greco “para”, che significa “di fronte”. Un
esempio nel campo della medicina: abbiamo la tiroide e la paratiroide che
funzionalmente non ha niente a che fare con la prima, ma è posta nel collo in
prossimità della tiroide. Ve ne sono quattro, la tiroide invece è una sola. È
la stessa cosa con la, o piuttosto le paradiplomazie (preferisco usare questo
termine al plurale). Si possono manifestare a livello delle regioni come attori
subnazionali: ad es. legami tra regioni italiane (fra cui Friuli-Venezia
Giulia, Veneto, Sicilia, e anche la Toscana) e regioni russe (soprattutto
Tatarstan, che appare il più sviluppato in questo campo). Regioni come attori
sopranazionali: euroregioni, regioni della Unione Europa che fanno parte di
paesi diversi.
Da ultimo, ma non meno
importante, a livello delle città. Giorgio La Pira ha detto: «I regni passano,
le città rimangono», infatti le città sono i mattoni della nostra civiltà.
Negli anni cinquanta e sessanta La Pira ha contribuito molto in questo campo al
dialogo fra Est e Ovest, URSS, Italia ed Europa.
Il modo
paradiplomatico più diffuso di una tale cooperazione, come si sa, sono i gemellaggi
fra le città; in campo multilaterale anche conferenze di città.
Ma i gemellaggi, come si
stabiliscono? Sono sempre basati su fattori oggettivi, come storia o formazione
comune? Non è sempre il caso. Se uno guarda ai gemellaggi di certe città (ad
esempio Livorno e Odessa), ci si chiede: che cosa hanno in comune? Quale
obiettivo fissare per la nostra cooperazione, che cosa possiamo tirare fuori,
su cosa può essere fondata? Per altri gemellaggi esistono già i presupposti;
altri hanno già dei punti in comune ma non esistono ancora. A mio avviso vanno
stabiliti seguendo l’esempio del gemellaggio fra Livorno ed Odessa.
Livorno è una città unica per
vari aspetti. È proprio la città in cui si tenne il I Congresso del Partito Comunista d’Italia il 21 gennaio 1921, in
seguito alla scissione della frazione comunista al termine del XVII Congresso
del PSI, a cui hanno partecipato A. Gramsci e L. Polano. Ma dato il tema vorrei
piuttosto parlare di un altro periodo – il Cinquecento.
Allora, al popolamento di
Livorno contribuì l’emanazione da parte di Ferdinando I, granduca di Toscana,
tra il 1591 ed il 1593, delle cosiddette “Leggi
Livornine” (Costituzione Livornina), che richiamarono a Livorno mercanti di
qualsivoglia nazione, garantendo
agli abitanti libertà di culto e di professione religiosa (seppur con forti
limitazioni per i protestanti), nonché l’annullamento di condanne penali (con
l’eccezione delle condanne per assassinio e “falsa moneta”). Questi privilegi
erano diretti soprattutto agli ebrei
sefarditi scacciati dalla penisola iberica. Arrivarono in molti, soprattutto
commercianti, e costituirono una florida ed operosa comunità ebraica di lingua
spagnola e portoghese. Poi, col passare del tempo ed in fin dei conti, è
apparso il bagitto – un dialetto
giudeo-italiano utilizzato dagli Ebrei in Italia e in Toscana in senso lato e
in senso stretto dalla comunità di Livorno. Cosi si è costituito un porto
franco.
Per capire in quale misura
questo documento era significante, citiamone un paio di articoli con
l’ortografia dell’epoca:
.XVII.
Concediamo licentia, e’ faculta’ di poter tener libri di ogni
sorte stampati, & a penna, in hebraico, & in altra lingua, purche siano
reuisti dal Inquisitore, o’ altri sopra a’ cio’ diputati.
.XVIII.
Vogliamo, che tutti i vostri Medici hebrei, tanto fiseci, come
Cirusici, senza alcun impedimento o’ pregiuditio, possino curare, e’ medicare,
non solo uoi, ma’ ancora qualsiuoglia Christiano, & altra persona non
obstante.
.XVIV.
Vogliamo, che tutti i vostri, come sopra possino studiare, &
adottorare.
.XXIV.
Vogliamo ancora, che i uostri giorni del Sabato & altre
feste hebraiche, oltre alle feriate della citta’ di Firenze, sian in utile, e’
feriate, ne’ si possa in tali giorni agitare, ne’ piatire, ne’ imponer contro
di uoi, ne di altri ammettendoui exnunc perferiate inutili.
Gli ebrei vivevano liberi a
Livorno, non rinchiusi in un ghetto, come invece avveniva nelle altre città
d’Italia fino all’epoca dell’Unita’ d’Italia. Non c’è mai stato un ghetto a
Livorno, la sinagoga non fu mai chiusa, neanche ai tempi di Mussolini.
Nel tempo la
comunità ebraica divenne tra le più importanti d’Italia, come testimoniato dai
nomi illustri di molti suoi membri, tra i quali spiccano il pittore Amedeo
Modigliani (molto noto e amato in Russia), il filantropo Moses Montefiore e
tanti altri.
Il porto e la città furono
anche soggiorno di numerose altre comunità straniere, organizzate in “Nazioni”,
i cui membri, a differenza degli ebrei, non erano ritenuti sudditi toscani
(inglesi, olandesi, francesi, armeni e così via) ed erano rappresentati da
propri consoli, disponendo anche di specifici luoghi di culto e di sepoltura.
Dal punto di vista economico, l’istituzione del porto franco favorì il
proliferare di attività commerciali strettamente legate alle intense attività
portuali, tanto da divenire il modello per analoghe iniziative nel resto
d’Europa, come nel caso della cittadina svedese di Marstrand.
Ma l’esperimento di Marstrand
grosso modo è fallito. Quello di Odessa, che all’epoca faceva parte dell’Impero
Russo, no.
Per non affogare nei
dettagli, basta dire: modello livornino. Dopo l’istituzione del porto franco
nel 1817 (esattamente 200 anni fa):
-
più di un terzo (ufficialmente) di
popolazione ebraica (vedi statistiche);
-
non solo ebrei, ma anche italiani (Puskin
vi imparò l’italiano – vedi Ettore Lo Gatto), francesi (Corso francese),
moldavi (via Moldavanca) e tanti altri (via del Vecchio porto franco);
-
lingua: il vernacolare di Odessa dell’epoca
ma anche di oggi come fenomeno è molto paragonabile al sopramenzionato bagitto.
Nel 1867 Mark Twain, che ci è
stato, scrisse che Odessa ha un aspetto molto americano, ma anche italiano e
ebraico. Le storie sono tante. Si potrebbero raccontare episodi della vita di
Richelieu, considerato uno dei padri-fondatori della città (c’è un monumento in
suo onore), che poi tornò in Francia e vi diventò ministro degli esteri e capo
del governo. La storia di come Odessa fu salvata dalla rabbia di Pablo I grazie
agli aranci (un altro monumento molto particolare) etc. Per farla breve: Odessa
è un gemello vero e proprio, un gemello per eccellenza di Livorno. Anzi, si
potrebbe dire storicamente suo fratello minore.
Per concludere, al mio
parere, tutto quello che abbiamo detto giustifica la possibilità di stabilire e
istituzionalizzare i legami tra Livorno ed Odessa. La base storica c’è.
Potrebbe servire a rinforzare, intensificare il dialogo interculturale,
interreligioso, internazionale e commerciale. Sarebbe un progetto concreto.
Anche se Odessa ormai appartiene ad un altro paese, ripeto le parole di La
Pira: «I regni passano, le città rimangono».
Nell’attuale
situazione geo-politica, caratterizzata da un confronto ancora in corso fra
attori a livello sia globale sia locale, l’interazione fra le città può essere
considerata come un importante strumento per raggiungere la pace. In questo
contesto, è utile menzionare il fatto che talvolta la “diplomazia cittadina”
può essere efficiente in situazioni in cui la diplomazia ordinaria tende a
fallire. E per questo che strumenti come l’istituzione del gemellaggio fra
città, conferenze internazionali di sindaci, programmi di scambio fra studenti,
ecc. hanno un grande potenziale come tracciato secondario e come «soft power»;
nonostante ciò, questi mezzi sono realmente efficaci solo se c’è un’effettiva
partecipazione dei cittadini, e se non rimangono solo un legame formale fra
istituzioni. Odessa non ha per ora i gemelli italiani, invece ha quelli
russi (Mosca, San Pietroburgo, Taganrog, Rostov sul Don). Livorno è gemellata
con Novorossiisk. Il fratello di mio fratello non è obbligatoriamente il mio
fratello, ma può essere almeno mio cugino. Così si costruisce una rete e un
network paradiplomatico.