ISPROM
ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI PER IL MEDITERRANEO
Mediterraneo, Russia, Sardegna
Da antonio Gramsci a luigi Polano
Sassari, 1 -
2 dicembre 2017
Il Mediterraneo delle Città tra Russia e
Sardegna
(testo
provvisorio)
GIOVANNI LOBRANO
Università
di Sassari
«cité […] Le vrai sens de ce mot s’est presque entièrement
effacé chez les modernes;
la plupart prennent une ville pour une cité
et un bourgeois pour un citoyen.
Ils ne savent pas
que les maisons font la ville mais que les citoyens font la cité.
Cette même erreur
coûta cher autrefois aux Carthaginois.
Je n'ai pas lu
que le titre de Cives ait jamais été donné aux sujets d’aucun prince
pas même anciennement aux Macédoniens,
ni de nos jours aux Anglais»
J.-J. Rousseau, CS, 1762, §1.6 "Du pacte
social", nt. 4
SOMMARIO: Ipotesi di lavoro. - I. Storia antica mediterranea: contro i Regni la
Repubblica imperiale delle Città. - 1. Divenire
storico. - a. Livio,
ab urbe condita, libri 21-45. - b.
Democrazie,
Repubblica e Città. - c. Regni e Città. - d. Civitas e urbs. - 2. Esito storico: la
Repubblica imperiale delle Città. - II. Storia medievale-moderna europea: il ritorno dei Regni, il
Feudalesimo e il Leviatano. - 1. Divenire storico. - a. “Völkerwanderungen”: Genti o Nazioni non Popoli. - b. Ritorno dei Regni. - c. Sistema feudale: rigetto/metabolizzazione delle
Città e
creazione dei Borghi. - 2. Esito storico:
centralismo e decentramento statali. - III. Russia “Terra di Città”. - 1. Natura
non feudale della Russia. - 2. Russia “terra di città”.
- 3. Dialettica tra Città e Zar. - IV. Sardegna giudicale e i
concili di piccole Città: le Coronas. - 1.
Natura non feudale delle istituzioni storiche della
Sardegna. - 2. Assemblee di (piccole) Città. - 3. La guerra perduta contro il feudalesimo.
Le Città
sono elemento (se non l’elemento)[1]
sia di continuità sia di cambiamento tra la storia antica, mediterranea, la
storia medievale-moderna, europea, e la storia contemporanea, “mondiale”.
La
continuità è data dalla presenza costante del rapporto tra la molteplicità
delle Città, territorialmente localizzate, e la unità del Governo,
funzionalmente centrale.
Il
cambiamento è dato dalla natura mutevole di tale rapporto, insieme alla quale
(con una relazione in cui non è agevole distinguere tra causa ed effetto)
mutano anche le nature e delle Città e del Governo.
Il
cambiamento, si sviluppa durante ciascuna delle due epoche storiche (antica e
medievale-moderna) si manifesta pienamente nei diversi esiti storici.
L’esito
della storia antica mediterranea è una grande organizzazione democratica e
complessa: la Repubblica romana divenuta imperiale, costituita dal sistema
delle Città-Comunità (“impero di Città”) il quale è dotato ovverosia è servito
da un forte Governo centrale (l’Imperatore).
L’esito
della storia medievale-moderna europea è una molteplicità di organizzazioni
oligarchiche e semplici: i Regni feudali europei divenuti Stati-Leviatani,
costituiti dai rispettivi Governi centrali, i quali sono dotati ovverosia sono
serviti da una molteplicità di Città-Amministrazioni[2].
L’esito
della storia contemporanea, ancora in divenire, resta da determinare.
La
storia contemporanea è iniziata con l‘espresso confronto scientifico e politico
tra i due ‘esiti’ storici precedenti e si è sviluppata con il loro scontro[3].
In esso
è prevalso – sinora – l’ ‘esito’ feudale-statale,
europeo e medievale-moderno. Tuttavia (seppure senza consapevolezza scientifica
e quindi senza chiarezza di programmazione politica) non sono venute meno la
domanda e la ricerca di quello repubblicano-imperiale, mediterraneo e antico.
In tale
oggettivamente difficile ricerca, appare in continuità con la logica
repubblicana-imperiale romana la koinè storica della Russia, “terra delle
città”[4].
Inoltre,
si parva licet etc., appare in continuità con la logica
repubblicana-imperiale romana la koinè storica sarda, la cui espressione
politica-giuridica più genuina è la organizzazione
“giudicale”, democratica su base civica[5]-[6].
In
questa logica, sempre si parva licet etc., una cooperazione
scientifica e politica russo-sarda è certamente
pensabile e può essere proficua.
I.
Storia antica mediterranea:
contro i Regni la Repubblica imperiale delle Città
a.
Livio, ab
urbe condita, libri 21-45
Nella
scrittura liviana (libri 21-45 dei libri
ab urbe condita) la storia antica del formarsi della unità
tri-continentale mediterranea intorno alla città di Roma è la storia del confronto
tra Popoli e Re; ovvero, per usare le categorie politiche greche, tra
democrazie, al cui genus
appartiene la Repubblica romana, e monarchie o Regni[7].
b.
Democrazie, Repubblica e Città
La
democrazia è il regime di potere degli uomini i quali stanno insieme senza
avere un capo, perché il potere dell’insieme risiede in loro stessi e si
esprime nella loro assemblea. La democrazia coincide, cioè, con la
organizzazione tecnicamente “societaria” dell’insieme di uomini, i quali si
organizzano in società “obbligandosi” reciprocamente a perseguire la “utilità
comune”.
La –
democratica – società-comunità coincide con la Città: la civitas è la “società di cives” ed è la
prima società politica.
La città
è intrinsecamente piccola. Il problema del limite dimensionale viene risolto,
in Grecia, mediante unioni o riunioni di Città, che sono chiamate Leghe, e, in
Roma, mediante l’inserimento (anzi il continuo
inserimento) di più Città in una grande “Repubblica” sopra-cittadina, composta
di molteplici piccole Repubbliche cittadine.
La –
complessa – soluzione romana è resa possibile dal sofisticato iter volitivo che caratterizza la
Repubblica (su cui non possiamo qui indugiare ma che sarebbe ora di studiare)[8]
e avviene mediante la fusione tra gli istituti del municipio e del foedus (fusione non facile e che, infatti,
conclude il bellum sociale del 1° secolo a.C.)
Il Regno
è, invece, l’insieme degli uomini sottomessi a un Re.
Esso può
essere grande e sovente lo è.
Siamo
abituati a dire che le Città sono presenti anche nei Regni, ma la natura –
diciamo – giuridica di questi insiemi umani (che pure indichiamo come Città) è
completamente diversa da quella delle vere Città, delle Città democratiche,
cosicché persino il nome di “Città” (civitas) non si conviene loro in senso proprio.
Le
‘Città’ dei Regni sono, infatti, non la sede della società-comunità ma la sede
del potere regio. Ciò perché gli insiemi umani la cui ragione dello stare
insieme è la subordinazione ad un potere a loro esterno non sono società né
comunità, così come i loro membri non sono cittadini ma sono sudditi.
La Città
dove risiede il Re è la sede prima del potere regio è la “Città [che chiamiamo]
capitale”. Tuttavia, sono sedi del potere regio anche le ‘Città’ dove risiedono
soltanto funzionari regi; seppure a gradi via via tanto più bassi quanto più
basso è il rango dei funzionari che le governano.
d.
Civitas e urbs
Alla essenziale differenza ‘giuridica’ tra Città vere, cioè democratiche,
e Città tra virgolette, cioè di Regni, corrisponde una altrettanto essenziale
differenza urbanistica.
Il
centro delle Città democratiche è la piazza[9].
Il
centro delle ‘Città’ di Regni è il palazzo.
2.
Esito storico: la Repubblica imperiale delle Città
Lo
scontro mediterraneo antico tra Città e Regni, il cui principium è descritto da Livio,
si conclude con il trionfo delle Città ovvero della democrazia cittadina.
La Repubblica
imperiale romana (la quale ingloba l’area mediterranea, andando da Britannia e
Germania ad Arabia ed Egitto e dalla costa atlantica di Europa e Nord-Africa a
Romania e Turchia odierne) è (come è stato ben detto) un “Impero di Città”, le
quali sono organizzate al proprio interno con Assemblee di Cittadini e al
proprio esterno con Assemblee provinciali (di Città).
La Città
al centro dell’Impero e in cui risiede l’Imperatore è non una “Città capitale”
(non almeno nel senso appena detto) ma (direi, in prima approssimazione) una
Città da un lato “matrice” o “modello” e da altro lato “servente”, nella misura
in cui (secondo il diritto repubblicano) il “governo” è un “servizio”.
Il
fondamentale ma delicato equilibrio nella dialettica tra potere dell’Imperatore
(necessariamente direttamente proporzionale alle dimensioni dell’Impero) e
potere del sistema delle Città non è immune da variazioni. Tuttavia, tali
variazioni – per quanto importanti – hanno grande difficoltà a giungere a
cambiare la natura profonda delle Città.
Così, la
eredità lasciata dai Romani – in particolare – all’Europa è la “rete delle
Città” (Th. Mommsen) la cui
“aria – come si dirà nel Medioevo – rende liberi”.
II.
Storia medievale-moderna europea:
il ritorno dei Regni, il Feudalesimo e il Leviatano
1.
Divenire storico:
a.
“Volkerwanderungen”: di Genti o
Nazioni non Popoli
Tra i
secoli IV e VI, su questo tessuto civico-urbano – democratico nella essenza e repubblicano negli sviluppi – si innestano
le “migrazioni” (“Völkerwanderungen”) o, a seconda
del punto di vista, “invasioni”[10]
di Genti germaniche, che i Romani chiamano Barbari.
Queste
Genti non sono urbane o civiche, in quanto se non propriamente nomadi
certamente in movimento, né sono “Popoli”, in quanto anche la parola Popolo come
la parola civitas
è, consacrata – nelle definizioni ciceroniane – a indicare la “società
volontaria”. La natura di tali Genti è, invece, quella (opposta alla societas consensu contracta) della ‘Gefolgschaft’
nazionale, costituibile soltanto a partire da un ‘Führertum’[11]
e da una identità di sangue.
Nel V
secolo, tali migrazioni o invasioni giungono a interrompere la sequenza degli
Imperatori di un Impero romano d’Occidente in grande crisi: nel 476, l’Imperatore
Romolo Augustolo è destituito ad opera del capo
germanico Odoacre, il quale prende il titolo di Re.
Mille
anni dopo la “cacciata dei Re”, e la creazione della Repubblica, queste Genti,
oramai stabilitesi in Europa, la ri-organizzano in Regni.
c.
Sistema feudale: rigetto/metabolizzazione delle Città e creazione dei Borghi
Tale
organizzazione assume – nella propria maturità – una fisionomia specifica, la
quale sarà compendiosamente indicata con il nome di “feudalesimo”. Sulla
nozione di feudalesimo si è addensata una importante quantità di studi[12],
possiamo tuttavia definirlo compendiosamente come la ‘stanzializzazione’
della ‘Gefolgschaft’ ovvero come la traduzione in
dettagliato sistema locale del principio organizzativo del ‘Führertum’.
La sua struttura è caratterizzata dalla totale concentrazione del potere e la sua dinamica dalla esclusiva irradiazione del potere.
Nei
confronti della rete delle Città lasciata dai Romani, il Sistema feudale
oscilla tra il loro rigetto (facendone una sorta di arcipelago di eccezioni) e
la loro metabolizzazione (facendone sedi di esercizio del proprio potere).
Però,
soprattutto, il Sistema feudale, costruisce le proprie, nuove ‘Città’. Anche queste ‘città’ (come già quelle dei
Regni antichi) sono sui generis; esse,
cioè, non appartengono al genus delle civitates. Sono i cosiddetti “Borghi”. A differenza delle
antiche colonizzazioni greche e romane, delle quali la fondazione della nuova
Città è l’obiettivo e la società-comunità di cives il nucleo, i Borghi feudali
sono una formazione secondaria che si aggrega intorno e sotto il nucleo
costituito dal Castello del Signore feudale, la cui creazione è il vero oggetto
del fiat ovvero del nutum del Re. Per
il Borgo feudale, la dipendenza dal Centro è più che una caratteristica è
l’elemento primo del suo patrimonio genetico.
2.
Esito storico:
centralismo e decentramento statali
Il Borgo
feudale è il vero archetipo europeo di ‘Città’, sia per quanto concerne l’urbs, sia per
quanto concerne la civitas.
Attraverso
la mediazione empirica dell’istituto parlamentare, della fine del secolo XIII,
e quella teorica del Libro dello Stato, della metà del secolo XVII, entrambe
inglesi, il Borgo feudale è l’antenato più vero e più puro del “Comune
decentrato” statunitense, della fine del secolo XVIII (Tocqueville).
III. Russia “Terra
di Città”
1.
Natura non feudale
delle istituzioni storiche della Russia
In
questo brevissimo paragrafo, mi limito a ripetere le informazioni esposte – peraltro
piuttosto fugacemente – da Giovanni Maniscalco Basile in una recentissima opera
sulla storia russa[13].
Innanzi tutto, la
natura della organizzazione ‘politica’ russa non è feudale.
Tale
negazione ‒ oltre ad essere notevole in sé ‒ è ulteriormente notevole per i
giudizi che la fondano, e che a me appaiono correttissimi. Essi sono la
equiparazione del sistema feudale al decentramento e la sua contrapposizione al
sistema delle Città. La negazione è, infatti, così sintetizzata: «il sistema
delle città russe non aveva alcun bisogno di stabilire un sistema di governo
“decentrato” sotto il controllo di un “centro”: dato che non esisteva un vero e
proprio “centro” come invece nell’ambito delle monarchie medievali in
Occidente».
Rispetto
a questa sintesi, si impone soltanto una precisazione[14].
Il sistema feudale è caratterizzato non tanto dalla presenza in esso di un
“Centro” quanto piuttosto dalla sua riduzione
al “Centro” e agli enti conseguentemente definiti “decentrati”, i quali sono
mere emanazioni (del potere) del Centro.
In
Russia – direi: anche in Russia ‒ tale riduzione è resa im-possibile dalla
presenza qualificante delle Città.
«Per un
lungo periodo […] il pensiero politico e storico russo continua a ragionare in
termini non di “stati”, di “imperi” o di “regni” ma di “città”».
La Città
è la organizzazione umana locale per eccellenza: la idea di Città è
“totalizzante”.
Lo
stesso nome antico della Russia è “Terra di Città”.
E «tutto
quello che non è Città è un “mesto”,
semplicemente un “luogo”, un “posto”». Anzi, il territorio non organizzato in
Città è addirittura il luogo in qualche modo già qualificato dalla attesa delle
Città che vi possono e vi devono essere fondate. In un testo del 1510 si
racconta di un viaggio nel quale il principe russo Aleksandr Michajlovič “vede” le “città non fondate”[15].
«Sino
alla fine del secolo XV, la Russia era una costellazione di Città libere»
ciascuna di esse governata da un proprio “Principe” e abbiamo notizia di Città
nelle quali «le assemblee cittadine [... veče
...] potevano eleggere e deporre i principi».
La
indicazione della Russia come “Moscovia” si afferma
con la «opera di centralizzazione» degli Zar Ivan III (Zar dal 1462 al 1585) e
Ivan IV (Zar dal 1547 al 1584). In particolare con Ivan IV, Mosca è la «la
“Città imperante” (Carstvujuščij Grad oppure Car’grad, Città
dello Car’)». Anche «Costantinopoli, la Seconda Roma, nelle fonti russe del XVI
secolo viene sempre chiamata “Car’grad”».
Però,
con Michele Fiodorovic Romanov (Zar dal 1613 al 1745)
abbiamo un esempio di Zar eletto dalla assemblea dei notabili provenienti «da
tutte le Città dell’Impero russo»[16].
IV. Sardegna
giudicale e i concili di piccole Città: le Coronas[17]
1.
Natura non feudale delle
istituzioni storiche della Sardegna
La
istituzione medievale sarda per eccellenza, il “Giudicato” (secoli IX-XV), non
appartiene al sistema feudale ma è propria dell’Impero romano.
Ciò dipende dalla straordinaria continuità del
rapporto della Sardegna con l’Impero. La Sardegna (con la Corsica) ne è una
Provincia, governata da un praeses o iudex provinciae, e tale resta fino
alla fine secolo XIV; eccezion fatta
per i circa 80 anni della dominazione vandala, iniziata nel 456 e terminata nel
534 ad opera dell’Imperatore Giustiniano (cfr. Codex Iustiniani, 1.27) proprio mentre nella
penisola italiana arrivano i Longobardi (568).
A partire dal secolo ottavo, la presenza in Sardegna
del governo imperiale è sempre più rarefatta (a causa dell’indebolimento
militare di questo, specialmente sul mare) la organizzazione di provincia
imperiale, tuttavia, si mantiene. Mentre nella Europa – cosiddetta –
occidentale si diffonde e consolida la organizzazione feudale (nell’847, il
“Capitolare di Mersen” sollecita tutti gli uomini
ancora liberi a scegliersi un signore e mettersi sotto la sua protezione) i cives sardi si
‘limitano’ a dividere il governo della propria provincia tra quattro Giudici
locali e conservano, repubblicanamente: α) la natura non
patrimoniale ma pubblica della propria organizzazione; β) il metodo della
articolazione del potere tra il governo del “Giudice/Presidente” e la
titolarità e l’esercizio del potere ‘sovrano’ da parte delle comunità locali (“villae/biddas”) mediante il sistema di diete inter-cittadine a due
livelli (“Coronas de Curatorias”
e “Corona de Logu”: i concilia provinciali); γ) con il, conseguente,
‘mandato imperativo’ ad ogni nuovo Giudice e il, connesso, controllo del suo
operato (che poteva giungere alla destituzione-uccisione)[18].
2.
Assemblee di
(piccole) Città
Enrico Besta ha osservato la specificità della
istituzione della corona (considerata
dai conquistatori Spagnoli una specificità della Sardegna, un mos sardicus per
eccellenza) sottolineandone somiglianze e analogie con le curiae
dell’Italia meridionale e della repubblica di Venezia e ritenendola una
formazione del diritto volgare[19].
Ma Aldo Checchini,
storico del diritto padovano di «notevoli attitudini dommatiche»[20],
il quale ha insegnato anche presso la Università di Cagliari e ha studiato la
istituzione comunale romana, ha
sostenuto con forza la origine romana delle assemblee popolari sarde.
Premesso lo stretto rapporto tra corona
e sinotu
(assemblea popolare della Sardegna giudicale) Checchini
scrive: «Le assemblee sarde, […] riproducono […] perfettamente, non soltanto
nel nome, ma anche nel loro ordinamento e funzionamento, i conventus
romani. Il sinotu, nella sua essenza, è
proprio l'assemblea romana della provincia, adattata, naturalmente, alle nuove
e diverse circoscrizioni territoriali. Come quelle romane, le assemblee sarde
venivano convocate in luoghi stabilmente destinati a tali riunioni […] luoghi
nei quali il capo della circoscrizione si recava, in epoche pure stabilmente
determinate». Checchini concludeva affermando di
avere «dimostrato che di origine romana è l'ordinamento della corona»[21].
3.
La guerra perduta
contro il feudalesimo
La manifestazione più eclatante della specificità
romana della organizzazione sarda rispetto a quella feudale è anche l’ultima
epifania del Popolo sardo dei cittadini: precisamente in occasione del trattato
di pace, sottoscritto, a Sanluri il 24 gennaio 1388, tra il Giudice Eleonora
d'Arborea e il Re Giovanni I d'Aragona ma ratificato – per i Sardi – dalla Corona de Logu[22].
Non può non colpire la coincidenza di questa ratifica con il potere del popolo
romano di ratificare i trattati, specificamente menzionato da Polibio (6.12.9)[23].
Alberto Boscolo ha scritto «L'introduzione del
feudalesimo, che ebbe luogo con la conquista aragonese […], annullò in Sardegna
l'ordinamento precedente, basato su istituzioni di tipo comunale, e sconvolse
la società.»[24]
L’unico tentativo serio di scuotere il giogo
feudale, operato dal “giacobino sardo” Giovanni Maria Angioy,
il quale unisce le “Ville” sarde in “patti” contro gli Stamenti feudali (1795)
è fallito[25].
La voce del “monarcomaco sardo” Giovanni Battista Tuveri
[1815-1887] il quale difende i “Comuni” sardi contro il “Governo” piemontese,
erede e continuatore di quegli Stamenti[26]) si è
fisiologicamente spenta.
Siamo, dunque, fermi allo “sconvolgimento” feudale
anti-comunale, denunziato da Boscolo.
Dobbiamo ri-partire dalle istituzioni (civiche) “de
nos pères les Romains”.
[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato
in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei
contributi ivi presentati. Al fine della pubblicazione, questo scritto è stato
valutato “in chiaro” dai promotori dei Seminari
Russia e Mediterraneo e dalla direzione di Diritto @ Storia]
[1] Sul fondamentale
ruolo politico (che dovrebbe essere ovvio) delle Città ha fortemente richiamato
la attenzione lo studioso e uomo politico italiano
Giorgio La Pira, ai cui scritti rinvio.
[2] Sullo scambio dei
ruoli di dominus ed esecutore, nel
passaggio dalla storia antica a quella moderna, vedi già Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft.
Grundriß der verstehenden Soziologie, 1a ed. Tübingen 1921-22.
[3] Per una
ricostruzione del dibattito e dello scontro tra organizzazione municipale e
organizzazione parlamentare, vedi Giovanni Lobrano,
“Per la Repubblica: «rifondare la città con le leggi». Dal codice civico al
codice civile attraverso le Assemblee di Città” in Domenico D’Orsogna -
Giovanni Lobrano Pietro Paolo Onida,
a cura di, Città e Diritto. Studi
per la partecipazione civica. Un «Codice» per Curitiba, Napoli 2017, §§ II. 1. a. Il
ruolo delle Assemblee di Città per e nella ‘Grande Révolution’.
- b. Il fondamento e la nervatura municipali della prima Costituzione
repubblicana. - c. “Modello romano” chiaro: “la confederazione di
piccole Città” (Jean-Jacques Rousseau). - 2. a. Il ruolo delle Assemblee
di Città per la Indipendenza latino-americana. - b. Le Città nel
costituzionalismo per la Indipendenza latino-americana.
[4] Sulla dottrina della
continuità tra l’Impero russo e l’Impero romano, rinvio alla collana di scritti
a cura di Pierangelo Catalano: Da Roma
alla terza Roma. Roma Costantinopoli Mosca.
Sulla definizione della Russia come “Terra di Città”, vedi,
infra, il § III
[5] Antonio Marongiu,
“Aspetti della vita giuridica sarda. Condaghi di Trullas e Bonarcado” in Id., Saggi di storia giuridica e
politica sarda, Padova 1975;
Carlo Casula, Storia di Sardegna,
Firenze 1992.
[6] Sulla matrice
(repubblicana-)imperiale romana vedi, infra, § IV.
[7] Giovanni Lobrano, “Res publica: sui
libri 21-45 di Tito Livio” in Roma
e America. Diritto Romano Comune, n. 36, 2015, pp. 37-78
(‘on-line’); ripubblicato con il titolo “I ‘modi di formazione della volontà
collettiva’, omologhi ma non uguali, dei Popoli greci e del Popolo romano.
Elementi attuali di storia e sistema della «Repubblica»: democratica e
imperiale” In Isabella Piro, a cura di, Scritti per Alessandro Corbino, 4, Tricase (Le) 2017, pp. 342-372.
[8] Ignorati dalla
romanistica novecentesca; vedi Giovanni Lobrano -
Pietro Paolo Onida, “Rappresentanza o/e partecipazione.
Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti
individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo”
in Diritto@Storia, n. 14,
2016 (‘on-line’); tradotto in lingua spagnola da Orisel
Fernnadez come “Representación
o/y Participación. Formación de la voluntad «por» o/y «por medio de» otros. En relaciones
individuales y colectivas, de direcho privado y público, romano y positivo”
in corso di pubblicazione sul prossimo n. di Roma e America.
[9] Afferma Erodoto (st. 1.153.2) che lo stesso re persiano
Ciro, rispondendo a un ambasciatore spartano, individua nell’uso greco di
riunire i Cittadini nella piazza centrale della Città la differenza di fondo
con i costumi del proprio regno (Ch. Westfall Oughton, Scripting the Persians: Herodotus’ Use of the Persian ‘Trivium’ (Truth
Telling, Archery, and Horsemanship) in the Histories, Austin - Texas 2011,
48; Santo Mazzarino,
Fra Oriente e Occidente, in La Città antica. Guida storica e critica, a cura di C. Ampolo, Bari, 1980, 178, osserva il carattere essenziale,
al fine della definizione della Città antica, della presenza della piazza
centrale, la ‘agorà’; vedi anche Francesco De Martino, Il modello della città–stato, in A.a.V.v.,
Storia di Roma, IV, Torino 1989, 436
s.)
[10] Osserva Guy Halsall, Barbarian
Migrations and the Roman West, 376–568, New York
2007, 10 s. che, mentre gli
autori di lingua neolatina come i Francesi o gli Spagnoli usano il termine
"invasione", gli autori di lingua germanica o slava usano il termine
"migrazione" (Völkerwanderung in tedesco, Migration period in inglese o Stehování
národu in
ceco).
[11] Roberto Fiori, “Sodales, ‘Gefolgschaften’ e diritti di
associazione in Roma arcaica (VIII-V Sec. A.C-)” in Societas
- Ius. Munuscula di allievi a Feliciano Serrao,
Napoli 1999; Luciano Canfora, La
Germania di Tacito da Engels
al nazismo, Napoli 1979; Id., La
Democrazia. Storia di un’ideologia, Bari 2004.
[12] A partire dagli studi di Marc Bloch e d François-Louis Ganshof:
Marc Bloch, La société féodale ; t. I : La formation des liens de
dépendance, Paris 1939 ; t. II : Les classes et le
gouvernement des hommes, Paris 1940 (Collection L'évolution de
l'humanité, vol. XXXIV et XXXIV bis.); François-Louis Ganshof, Qu'est-ce
que la féodalité ?, Bruxelles 1944.
[13] Giovanni Maniscalco
Basile, Aeternum foedus tra Russia e Cina. Il Trattato di Nerčinsk
(1689) [= Da Roma alla Terza Roma. Lessici – II] Roma 2017, cap.
“Presupposti ideologici del potere imperiale russo”: §§ “La terra delle città”,
“L’eredità del padre”, “Mosca: città dell’Impero”, pp. 113-117.
[14] Peraltro presente
nel prosieguo della esposizione di Siniscalco.
[15] «Nell’Epistola di
Spiridon-Savva, in cui si delinea
la discendenza dei Principi russi da Cesare Augusto, nella parte che riguarda
la genealogia dei Principi lituani racconta: “Il Gran Principe Aleksandr Michajlovič trattenuto per non poco tempo presso l’Orda e
infine lasciato andare dall’Orda dalla Car’ al Gran Principato di tutta la Rus’ vide che vi erano molte città ancora non fondate e che
poca gente si riuniva” ».
Prince André Kourbsky, Histoire du Règne de Jean IV (Ivan Le Terrible),
“Préface” e tr. di M. Forstetter,
“Avant-propos” ed edizione annotata di Alexander V. Soloviev, Genève 1965, 114 «ces hommes [i “martiri” delle
persecuzioni di Ivan IV] n’ont –ils
point peiné honorablement? N’ont-ils souffert
beaucoup, en défendant les pauvres chrétiens contre les barbares qui faisaient
irruption dans leurs terres, en détruissant, par leur
héroisme, des royaumes entiers d’infidèles et les
souverains impies; en élargissant les frontières de l’Empire chrétien jusqu’à
la mer Caspienne, en fondant des villes dans ce contrées, en y élevant des
autels et en y convertissant de nombreux païens?».
[16] «con il sabor di elezione di Michail Fëdorovič
Romanov, una funzione pubblica di grande rilievo viene attribuita alle altre
città che fanno ora parte della Moscovia: vengono
chiamati uomini saggi dalle città perché partecipino all’elezione del nuovo
Car’.».
[17] In questo paragrafo
riprendo le informazioni già esposte da Giovanni Lobrano,
“La Constitutio Antoniniana de civitate peregrinis
danda del 212 D.C. Il problema giuridico attuale di ri-comprendere
scientificamente la cittadinanza per ri-costituirla istituzionalmente” in Mihai Barbulescu, Enrico Silverio
e Maurilio Felici, a cura di, La cittadinanza tra impero, stati nazionali
ed Europa. Studi promossi per
il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana, Roma 2017.
[18] Per un approccio: E. Besta, La Sardegna medioevale, II. Le istituzioni politiche, economiche, giuridiche, sociali,
Palermo 1909; A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della
Sardegna nel Medioevo, Cagliari 1917 (ripubbl.
Cagliari 1965 e Nuoro 2001); A. Boscolo,
La Sardegna bizantina e alto giudicale, Cagliari 1978; Id., La Sardegna dei Giudicati,
Cagliari 1979; M. Caravale,
“Lo Stato giudicale, questioni ancora aperte” in atti del convegno
internazionale Società e Cultura nel
Giudicato d'Arborea e nella Carta de Logu,
Oristano 1995; F. Sini, Comente comandat sa lege. Diritto romano nella Carta de Logu d’Arborea [Università degli Studi di
Sassari - Dipartimento di Scienze Giuridiche - Pubblicazioni del Seminario di
Diritto romano, 11 - Collana a cura di G. Lobrano e
F. Sini] Torino 1997.
[19] E. Besta, La Sardegna medioevale, II. Le istituzioni politiche, economiche, giuridiche, sociali, cit.,
97 ss.; nello stesso senso A. Solmi,
Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medio evo, cit., 186
ss.
[20] Vedi la voce “Checchini, Aldo” in Enciclopedia Italiana Treccani - III Appendice,
1961.
[21] A. Checchini, Note sull'origine
delle istituzioni processuali della Sardegna medioevale, in Id., Scritti giuridici e
storico-giuridici, II, cit., 212 ss., in particolare 217 s. e 224
s.
Anche Raffaele Di Tucci sostiene la derivazione romana della corona
in Id., L'organismo giudiziario sardo: la
Corona, in “Archivio Storico Sardo, XII (1916-1917), 29 ss. ma opta, poi,
per quella germanica in Id., Nuove
ricerche e documenti sull'ordinamento giudiziario e sul processo sardo nel
Medio Evo, Cagliari 1923, 5 ss.; Id.,
“Il diritto pubblico della
Sardegna nel Medio Evo” in Archivio
Storico Sardo, XV (1924), 94 ss. Occorre notare che, a fronte delle diffuse
idee (di ascendenza montesquieuiana e di maturazione
ottocentesca) dell’Impero romano “monarchia autocratica” e della “libertà
germanica”, connettere le istituzioni democratiche sarde all’Impero romano è la
lectio difficilior
ma anche la più logica, in considerazione della loro accertata specificità
nella esperienza medievale ‘occidentale’.
Devo molte delle informazioni sulla istituzioni giudicali sarde al collega Francesco Sini,
che ringrazio, e per i quale rinvio, con particolare riferimento a questa
materia, a: Id., Comente comandat
sa lege. Diritto
romano nella Carta de Logu d’Arborea, cit.
Occorre notare che, a fronte delle diffuse idee (di ascendenza montesquieuiana e di maturazione ottocentesca) dell’Impero
romano “monarchia autocratica” e della “libertà germanica”, connettere le
istituzioni democratiche sarde all’Impero romano è la lectio difficilior ma anche la più
logica, in considerazione della loro accertata specificità nella esperienza
medievale ‘occidentale’.
[22] «Il 12 gennaio 1388 a Macumeri
(Macomer), capoluogo della curatoria, nella chiesa di
S. Nicola (attuale Nostra Signora del Soccorso) si riunì la Corona de Curatoria con tutti i rappresentanti delle ville del Marghine al fine di eleggere il delegato che avrebbe
partecipato alla stipula, il 24 gennaio, della effimera pace tra Eleonora
d'Arborea e Giovanni I d'Aragona. Venne eletto un rappresentante di Macomer,
tale Petrus Coghe de Villagorate, sindicus actor e procurator terrae Macumeri.» (Laura Lai,
“Scavo archeologico a Sa Cresia Ezza
- Borore (NU) novembre 2012 - gennaio 2013 di Relazione preliminare” in www.comune.borore.nu.it/oggetti/236.pdf;
«Come parte politicamente attiva in avvenimenti storici troviamo citato
[l’odierno Comune di] Laconi solo alla fine del XIV sec. quando il 24 gennaio
1388 partecipò, con propri delegati ("Francesco Sabiu,
sindicus actor, e Leonardo
Chero, con 8 giurati e 49 notabili"), alla firma del trattato di pace tra
il giudicato di Arborea e gli Aragonesi.» in http://web.tiscali.it/FRA_IGNAZIO/i_l___p_a_e_s_e.htm).
[23] Vedi L. Polverini, “Democrazia a Roma? La
costituzione repubblicana secondo Polibio” cit. Livio Tanfani (Contributo alla storia del Municipio romano,
1906 [r. an. Roma 1970] 38 s.) osserva essere tra le competenze originarie dei
comizi municipali quella «di ratifica dei trattati» per cui abbisognano della
delibera comiziale «l’ospizio e il patronato che, pur essendo conferiti a
cittadini romani, conservano le forme esterne di un trattato».
[24] A. Boscolo, “Premessa” in Id., a cura di, Il Feudalesimo in Sardegna, Cagliari 1967. Cfr. M. Tangheroni, “Il feudalesimo in Sardegna in età
aragonese”, in Annali della Scuola
Normale Superiore di Pisa, Classe di
Lettere e Filosofia, s. III, III, 3, pp. 861-892 [poi in Sardegna Mediterranea, 1983]; Id., “Città e feudalesimo in Sardegna
nel Quattrocento: il caso di Iglesias”, in La
corona d’Aragona e il Mediterraneo: aspetti e problemi comuni, da Alfonso il
Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, 1416-1516, Napoli, Società napoletana
di Storia Patria, 2, pp. 299-311.
[25] F. Francioni, Giovanni Maria Angioy nella storia del suo
tempo, Cagliari 1985.
[26] G. Solari, Il pensiero politico di Giovanni Battista Tuveri:
un monarcomaco sardo del secolo 19. [discorso letto il 15 novembre 1914
nella R. Università di Cagliari dal prof. Gioele Solari] Cagliari 1915.