ISPROM
ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI PER IL MEDITERRANEO
Mediterraneo,
Russia, Sardegna
Da
antonio Gramsci a luigi Polano
Sassari, 1 - 2 dicembre 2017
Le Città come aspetti dell’identità italiana:
prospettive della cooperazione
nella zona del Gran Mar Nero e nel Mediterraneo
SVETLANA KNYAZEVA
Università Statale per le Scienze Umanistiche della Russia (RGGU)
Senza nemmeno vantarsi di una lunga e forte tradizione
della democrazia rappresentativa, un certo numero di paesi europei tra cui
l’Italia, può godersi la dignità e libertà della persona umana, intesa come la
responsabilità individuale nonché l’esperienza liberale e di business di
successo. Affrontiamo questo problema con l’approccio socio-culturale e magari
anche etnopsicologico e in chiave di studi imagologici, prendendo in considerazione gli aspetti culturali,
psicologici, abitudini e usanze – tutto ciò che favorisce a formare un insieme
dei valori accettato dalla maggioranza dei cittadini.
Sulla importanza dei problemi che discutiamo qua basta
leggere l’articolo sulla “Stampa” “Mediterraneo, le opportunità per l’Italia”.
Da qui emerge una chiara impressione basata sul ruolo delle città, della loro
cultura quali centri importanti della conoscenza, scienza, istruzione, informazioni
di ogni genere, nonché della politica, amministrazione locale – e di
conseguenza del progresso.
Visto che l’oggetto delle nostre ricerche sono le città del Mediterraneo ed
“...è giunta l’epoca storica delle città”. Va ricordato al proposito Giorgio La
Pira, già sindaco di Firenze, eletto nel 1967 presidente della Federazione
Mondiale delle Città Unite e il suo slogan “Unire le città per unire le
nazioni”.
Sottolineiamo qui che anche a Sassari, che è la seconda città dell’isola,
comparsa nel 1131 nelle carte geografiche col nome di Jordi de Sassaro e divenuta Libero Comune a cavallo del Duecento e
Trecento, a seguito della promulgazione degli Statuti Sassaresi.
Accenniamo qui anche la città di Mantova il cui successo è descritto su “la
Stampa” del 29.11.2016 da Nicolò Zancan, che “è diventata la città dove si vive
comodi, la vita è semplice e servizi funzionano”. Era storicamente seconda dietro
a Trento, fino a quando è successo qualcosa, i cui effetti sono visibili in tre
dati che raccontano cosa potrebbe essere il futuro: tra cui +50% di visite nei
musei, +28% per cento di pernottamenti negli hotel, +1,1 per cento nel rapporto
fra natalità e mortalità delle imprese (+0,8 in Lombardia, +0,3 in
Italia). E per di più: qualità della vita migliora, criminalità è praticamente
abbattuta).
Con l’approccio socio-culturale ai vari problemi delle relazioni
internazionali possiamo ricostruire Gestalt, i pattern della cultura politica
e dei comportamenti preferiti e accettati dalla maggioranza di abitanti di un
certo territorio, i cosiddetti geni dominanti, stereotipi rimasti nei comportamenti
e nella memoria collettiva storica dei cittadini di una data città — vale a
dire un complesso dei fattori emblematici. Per mezzo di questi stereotipi ci si
esprime in un dato spazio socio-culturale e ci si rappresenta all’estero
tenendo presente i limiti della sua sociabilità. Questi stereotipi, abbastanza concreti, vengono trasmessi sia attraverso un discorso
appropriato sia per mezzo di tutti gli atteggiamenti a disposizione e ci aiutano
a capire perché certi aspetti evidenti degli atteggiamenti e comportamenti
concreti manifestati dagli abitanti (tranne le élites intellettuali e politici)
di un dato paese al mondo esterno – vale a dire dall’ “Io” collettivo –
a un “Altro”, a uno che “non è uno di noi”, che “non appartiene alla
nostra cultura”, che è “straniero”, ma non è decisamente “avversario storico”,
“nemico storico”. Questi atteggiamenti influenzano i comportamenti dei
cittadini e la rappresentazione di questo paese nel mondo.
Il nucleo culturale o la matrice del programma vitale del popolo si
rispecchia in una certa scala di valori di base creata nei
secoli su cose essenziali: cosa vale la persona umana, vita e morte, bene e
male, libertà o servitù, violenza e abuso, tolleranza o intransigenza, lavoro o
inattività. Sulla base di questi valori fondamentali appaiono con l’andar del
tempo certi abitudini, tradizioni. Infatti è proprio da qui che dobbiamo fare
un’attenta analisi della cultura politica della città o della zona.
In che modo le città possono influenzare la cultura politica, modi
istituzionali, municipalità democratica, i metodi e meccanismi concreti
elaborati per favorire la cooperazione tra le parti contraenti e, qualora
gettassimo uno sguardo ancora più attento, l’identità stessa di un dato territorio?
L’Italia, e soprattutto quella settentrionale e centrale, era sempre un
paese delle città.
Nel cuore stesso del Mediterraneo
sorsero le città marinare che giocavano un ruolo di crocevia del mondo, di
ponte di informazione tra l’Occidente e l’Oriente – e prosperarono grazie al
lavoro sistematico e alla gestione ragionevole e pragmatica e alle autorità
elettive.
La cosiddetta Rivoluzione delle città interessò a suo tempo tutta l’Europa
Occidentale e in parte centrale tra cui tutta la zona del Mar Baltico se
intendiamo accennare le città di Hansa – e
sicuramente tutta la zona del Mediterraneo. Si tratta soprattutto delle più
note repubbliche marinare: Venezia La Serenissima, Genova La Superba,
Pisa e Amalfi.
Lasciate in balia di sé stessi, gli abitanti delle città, soprattutto
quelle rivierasche, dovettero arrangiarsi, organizzare in modo razionale la
loro vita. Queste iniziative ebbero successo grazie soprattutto allo sviluppo
economico, alla qualità di vita raggiunti dalle città le quali, trovandosi al
mare aperto nell’Atlantico e, va sicuramente aggiunto, al mare dalle acque calde, avevano potuto arricchirsi con il commercio il
cui motore era sempre il lavoro – e dal momento che si trovavano sui crocevia
delle informazioni, tutto ciò poteva essere il “segreto” principale della loro
sopravvivenza, potenza, prosperità. Ottenuta l’indipendenza economica e ridotto
il pericolo delle scorrerie barbariche, molte città riuscirono a rendersi indipendenti
dal punto di vista politico, sottraendosi all’autorità dei nobili e delle
potenze quali il Sacro Impero Romano e il Bisanzio.
La Serenissima, infatti, aveva preferito mettersi sotto la “protezione”
dell’Impero Bizantino, e rimase indipendente – e forte. Ad un certo punto i
Veneziani iniziarono la pratica delle elezioni del doge dotato di limitati
poteri accanto al quale funzionava il Maggior Consiglio. I veneziani dovevano
la loro posizione privilegiata alla loro attività commerciale, fra cui la
vendita del sale – i nobili veneziani erano “venuti su” grazie al lavoro. Una
buona parte di coloro che governavano Venezia lo favorivano le attività
commerciale ed economica, che consentisse alla città di sopravvivere, portasse
i cittadini a un certo livello del benessere. Per favorire il commercio
venivano costruite all’Arsenale le navi – l’impresa divenne una vera catena di
montaggio.
Passando alla Rivoluzione Comunale, tocchiamo questo fenomeno sia politico
sia sociale ed economico che interessò soprattutto la maggior parte delle città
della Penisola, dove le condizioni storiche e sociali non permisero il formarsi
di uno Stato unitario. Così, tra il Trecento e il Quattrocento, sfiorirono i Comuni;
in seguito alcune di queste acquisirono la connotazione di Stati regionali. Va
ricordato che nel resto del continente europeo (tranne le libere città di Hansa) l’esistenza dell’Impero e poi delle monarchie
nazionali sorte a cavallo dell’Alto Medioevo e l’età Moderna ostacolò il pieno
sviluppo dei Comuni.
Come le Repubbliche Marinare, così le città dell’interno, sorte sulle
maggiori vie di comunicazione, furono investite dal forte risveglio economico:
gli abitanti avvertirono l’esigenza di riunirsi per lavorare, per produrre
merci di ogni genere e sempre di più, per imparare a fare il commercio – e così
migliorare insieme la vita. Le famiglie abbienti si associarono in consorterie,
si giuravano reciprocamente assistenza in caso di necessità; perfino i religiosi
fondarono le confraternite per esercitare particolari opere di carità. Così a
poco a poco nacque il principio di tolleranza che si manifestò anche nei rapporti
tra le città.
Vanno indicate le arti o corporazioni costitute dai ceti che riunivano coloro
che svolgevano un’attività simile e praticavano il lavoro spesso nello stesso
quartiere. Lo spirito associativo incrementava difendeva i loro membri da tutti
quanti che intralciavano il crescente benessere, e si opponevano ai feudatari
ai quali le città erano sottomesse.
Sin dai tempi di Roma repubblicana, come ben sappiamo, gli abitanti dei
borghi si associavano in assemblea per eleggere liberamente i magistrati.
Questa abitudine nata sin dai tempi di Roma repubblicana riprese all’epoca dei
Comuni, e i cittadini si riunirono in una specie del Parlamento sia per
approvare gli Statuti, sia per eleggere i capi della città-Stato. Prima si
trattava dei Giurati – gli eminenti cittadini che giuravano di dedicarsi alla
prosperità del bene comune, più tardi i Consoli che sicuramente venivano scelti
tra i cittadini più rispettati. Secondo le croniche di Giovanni Villani, i Consoli
eletti per un periodo limitato – per un anno – governavano le città, facevano
giustizia. I meccanismi del governo comunale venivano completati dal Consiglio
Maggiore, che curava gli affari generali dello Stato, e il Consiglio Minore.
Ma, allora, nei Comuni sono nate (o rinate dopo molti secoli) libertà,
tolleranza, democrazia? È più che probabile. Dobbiamo peraltro prendere in
considerazione che se il cittadino respirava finalmente libero, la democrazia,
infatti, faceva a quei tempi solo i primi passi. Anche se sopravaluttiamo
accentuando i tratti progressivi del Comune, del suo modo di ragionare e governare,
questo non cambia molto l’ottica: tanto è che nella storia comune e nella
memoria collettiva del popolo della Penisola il Comune rimane per sempre un
determinato modello, uno stereotipo più che essenziale che lo aiutava a vivere,
a governare, a essere governati – e questo – lo dobbiamo sottolineare – è il
patrimonio dei Comuni, l’insieme dei valori e quindi tradizioni conservate nei
secoli che appartengono a questo spazio socio-culturale; è una delle basi profonde
del nucleo culturale italiano, dell’italianità stessa, della matrice dei
modelli istituzionali, del modo razionale di pensare e agire. Non è a caso che
si parlava del “sapore” della libertà, cioè un primo avvio verso la democrazia
nelle città, nonché “è la stessa aria delle città che rende liberi i
cittadini”. Un altro merito importante fu la rivalutazione di qualsiasi
lavoro, comprese addirittura le “arti spregevoli”; il lavoro veniva
riconosciuto dignitoso che offriva la possibilità per una persona di fare da
sé, di realizzarsi, degno di rispetto poiché è necessario al progresso e
prosperità della società. Le città divennero in tal modo nucleo della civiltà
europea e culla della libertà, provocarono lo sviluppo della municipalità
democratica: il funzionamento del Comune veniva regolato in modo autonomo dalla
popolazione locale che eleggeva i propri rappresentanti con il compito di
curare gli interessi della collettività comunale, e la sovranità apparteneva a
loro.
Vale la pena di ricordare la
Costituzione della Repubblica italiana, i cui primi articoli proclamano solennemente
che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione” nonché “La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. È altrettanto importante
che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e
la propria scelta, un’attività̀ o una funzione che concorra al progresso
materiale o spirituale della società”. Va anche preso atto il problema del
diritto di Magdeburg quale una costruzione assai importante nei rapporti tra le
città europee – e della cultura politica sorta a cavallo soprattutto del
Duecento e Trecento sulla base dell’ordine politico, amministrativo e di
diritto della città tedesca di Magdeburg come conseguenza della lotta svolta
dai cittadini dell’Europa anche centrale contro i feudatari vicini oppure
contro gli aristocratici. Come conseguenza emersero i privilegi conquistati e
concessi da Magdeburg – e cioè la cosiddetta Vulgata (oppure il Veichbild della Sassonia del Trecento e
Quattrocento). Con il diritto di Magdeburg venivano messi sotto il controllo le
attività e i poteri comunali, venivano risolti i problemi concreti della
proprietà dentro le città nonché le attività concrete di produzione e
collaborazione delle arti e corporazioni. Vanno per l’aggiunta ricordate le
esperienze delle città della Società di Hansa i cui
membri associati furono per un periodo abbastanza prolungato anche le città del
Nord della Russia – Pskov e Novgorod.
Diventando libero dai feudatari oppure dal potere reale, i cittadini
miravano spesso a stabilire e rafforzare i loro diritti e privilegi quasi come
se fossero dotati dal potere Sacro e comunque trattavano il diritto delle città
come sinonimo della giustizia e tolleranza.
Va peraltro ricordato il periodo prolungato del separatismo politico nonché
la presenza dell’Austria e della Spagna in Italia il che non fece soltanto
asservire la popolazione dei notevoli territori della penisola. Gli abitanti
(ma soprattutto le élite) riuscirono ad ereditare, accettare e applicare i
tratti importantissimi della nuova cultura politica la quale venne diffusa dalla
Francia rivoluzionaria e postrivoluzionaria in tutta l’Europa compresa in primo
luogo la Penisola.
Nella tradizione politica e socio-culturale italiana è un luogo comune
ricordare il ruolo Francia nella genesi dell’Italia moderna giacché la Francia
a cavallo del Settecento e Ottocento portava all’Europa la nuova cultura
politica – la cultura liberale di feuillants
nonché quella del radicalismo politico e sociale. Durante il predominio d’Oltralpe in Italia, la
sociabilità rivoluzionaria si tradusse in uno spazio politico, fondato
sull’esercizio di carte costituzionali esemplate su quella francese del 1795,
che sancivano – bisogna sottolinearlo – le libertà del cittadino, ne promuovevano
la partecipazione alla vita pubblica, i principi egualitari, l’elogio della
democrazia rappresentativa, l’unica forma di governo in grado di garantire i
diritti naturali e inalienabili della persona umana e del popolo sovrano. Come
ha sottolineato il noto filosofo italiano Norberto Bobbio, “la democrazia è
quel sistema politico che permette il maggiore avvicinamento tra le esigenze
della morale e quelle della politica”. E così l’esperienza traumatica non ha
avuto conseguenze poco riparabili.
La presenza francese in Italia influenzò abbastanza la cultura politica
nonché i modelli istituzionali e la sua statualità.
Avrà influenzato anche la scelta storica e concettuale del conte Camillo Benso
di Cavour – la sua scelta delle libertà fondamentali, interessi e bene
individuali, responsabilità della persona. Già sin dal 1870, la cultura
politica italiana si impegnò per rinvenire altrove le origini del Risorgimento,
e questo modo di ragionare e agire trovò conclusione nei termini di uno Stato
unitario liberale.
Nel Novecento accadde anche il Ventennio Nero che diventò un’esperienza del
regime totalitario il quale, peraltro, non è possibile paragonare con quello
nazista. E’ molto probabile che e’ proprio il nucleo
culturale del popolo Italia che non permise al duce di rendere il suo potere assoluto…
Tutto ciò deve essere preso in considerazione come fattori traumatici –
qualora avessimo bisogno di rivelare il ruolo del trauma nel passato e presente
di qualsiasi paese. È la storia del trauma nella civiltà del paese.
***
Le repubbliche marinare e i Comuni, risorse a poca distanza da tutto il
mondo, erano molto presto diventati forti centri informazioni, scambio di
conoscenza, lavoro, produzione, istruzione, affari, della cooperazione, erano
eredi dell’antica filosofia e logica, della cultura politica e dei modelli
istituzionali. Con l’andar del tempo, una buona, per non dire la maggior parte
delle élite urbane ha ereditato l’antica cultura politica e il diritto romano,
la tradizione dei Comuni che fiorirono grazie al lavoro sodo quotidiano –
nonché al senso comune e la tolleranza dei cittadini.
Prendendo in considerazione tutto questo complesso di
fattori e idee sopraindicati, va sottolineata l’importanza indispensabile di
un’esperienza abbastanza prolungata del gemellaggio tra la Russia e l’Italia
nella zona del Mediterraneo e Del Gran Mar Nero – della cooperazione pacifica
tra le città-gemelle della zona esaminata. Va sicuramente sottolineato che i
meccanismi e gli effetti concreti della paradiplomazia come parte essenziale
della diplomazia pubblica possono giocare un ruolo veramente decisivo per
conservare la pace lungo e forte nonché gettare le basi della cooperazione.