I Tarquini: anziani, sacerdoti, giudici
e re
Dipartimento
di Teoria e Storia dello
Stato e del Diritto
Accademia del Lavoro e
delle Relazioni Sociali
Mosca
SOMMARIO: 1. Tarcone nella Geografia di Strabone: problemi e
questioni. – 2. Le funzioni politico-giuridiche del re di Roma. – 3. Le
funzioni politico-giuridiche del re di Omero (anax e basileus). – 4. I
Tarquini nell’area indoeuropea. Il significato del nome. – 5. Conclusioni. – Abstract
Il fenomeno
del potere pubblico rimane uno dei temi più importanti per gli studi
umanistici. L’analisi dei capisaldi di fondazione del potere supremo e quelli
della base sociale di leaderismo (the
chiefdom) richiede riferimento alle
origini di questo fenomeno. Per comprendere i processi complessi della genesi
dei concetti sociali e politici più famosi come democrazia e dittatura, diritto
e l'autorità, potere pubblico e quello privato, sono rivelanti per noi i popoli
Indoeuropei arcaici e loro vicini mediterranei. A corso di millenni questi
popoli fanno la direzione di sviluppo di molte civiltà. La determinazione del
vettore di trasgressione delle istituzioni sociali e politiche da una società
mediterranea alle altre, e anche la chiarificazione delle cause di assenza
principiale di questa trasgressione, ci permette di dare uno sguardo fresco a
molti aspetti della vita politico-sociale moderna. La formulazione di questi
problemi richiede riferimento ai dettagli specifici della struttura
socio-politica di Grecia antica, Roma e Medio Oriente allo studio degli attori
del tempo, in particolare, alla storia della gens etrusca dei Tarquini, che ha giocato un ruolo chiave nello
sviluppo politico mediterraneo.
Il
significato di gens Tarquiniorum
(Livius 2.5.2) nella storia Romana primordiale è stata a lungo l’oggetto di
ricerca[1]. Il
geografo antico Strabone riporta un mito che un lido Tarcone, ossia un’uomo di gran
intelligenza e, quindi, grigio dall'infanzia (Strabonus, Geogr.
5.2.2: ὃν διὰ τὴν ἐκ παίδων σύνεσιν πολιὸν γεγεννῆσθαι μυθεύουσι) ha
arrivato in Italia e là è stato l'organizzatore della Dodecapolis etrusca, il capitale
della quale viene ricevuto in suo onore il nome di Tarquinia (Tάρκωνα, ἀφ’oὗ Tαρκυνία ἡ πόλις). Il
lessicografo del II secolo d.C. Sesto Pompeo Festo (Festus, De verb. sign., v. Sardi p. 430 L, 322 M) ha scritto anche: «si ritiene di solito
che i re provengano dagli Etruschi, i quali sono chiamati ‘Sardi’, perché la
‘gente’ etrusca discende dalla città di Sardi in Lidia» (reges soliti sunt
esse Etruscorum, qui Sardi appellantur, quia Etrusca gens orta est Sardibus ex
Lydia).
I capelli
di Tarcone, grigi dall’infanzia, indicano chiaramente la sua appartenenza alla
categoria di ‘anziani di clan’. Dallo stesso nome di
Τάρκων avviene un’altro – Tarchūnas, che
contiene una radice comune di *tarχ-. Come
ha notato ricercatore russo Alexandr Nemirovski, «lo stesso nome di Tarcone ci
porta all’Anatolia del II millennio a.C., dove incontriamo nella mitologia
ittita Tarcuno, il Dio del tuono, la divinità principale del pantheon, e nella
mitologia luvia è Tarcunto». Secondo lo stesso storico, «gli Etruschi non
potevano sapere di Tarcone dai Greci, o adottare quel nome da una popolazione
locale d’Italia; abbiamo un caso in cui la tradizione mitologica ha conservato
il ricordo della patria anatolica degli Etruschi»[2]. Il
riavvicinamento degli Etruschi ai popoli Anatolici corrisponde alla convinzione
di Nemirovski circa l’origine mediorientale dei Tirreni venuti nella regione di
Toscana alla fine del VIII secolo a.C.[3]
Scoperta in Toscana nel borgo
di Vulci, la Tomba François etrusca con una pittura contenente l’iscrizione
'Tarχu Rumaχ', interpretata nel secolo XIX come
'Tarquinius Romanus'[4].
Quindi, la tradizione di familia
Tarquiniorum è stata riconosciuta come l’autentica e basata sui dati
archeologici. Ultimamente, ci sono molti nuovi ritrovamenti archeologici che
confirmano l'autenticità dei miti antichi sul periodo di dominazione Tarquinia
a Roma. In particolare, nell’autunno di 2009, è stato scoperto il ‘palazzo dei
Tarquini’ in Gabii – una città della
Lega Latina e vecchia colonia di Alba Longa, dove i Tarquini hanno vissuto in
esilio dopo la caduta el 509 a.C.[5] Ma non
sono risultati isolati: ora possiamo parlare di qualche complesso archeologico
intero relativo all'esistenza degli Etruschi nel territorio Romano in periodo
dei secoli VI e V a.C.[6]
Tenendo conto l'origine
non-romana dei Tarquini, così come la posizione che questo clan ha preso a metà
del VII secolo a.C. nel cerchio aristocratico romano primo – uno stato che le
permise di pretendere a leaderismo – dovrebbe sollevare la questione: Quali motivi avevano i Tarquini per le
ambizioni regie? Dopo tutto, i casi descritti nella tradizione (Livius
1.34; Dionysius Hal. 3.46-47; Strabo 5.2.2 et 8.6.20) che caratterizzano il
grado di convergenza di Tarquinio Prisco col re Romano Anco Marzio, non sono
sufficienti come per la conferma pubblica di rivendicazione dei Tarquini per la
sella curule[7], tanto
per il mantenimento del potere supremo in futuro.
Prima di avvicinarci alla
soluzione di questo problema, bisogna studiare le fonti principali
dell’autorità romana suprema in relazione a situazioni analogiche in altre
società indo-europee e più ampi – nelle società mediterranee, tenendo conto di:
a) loro affinità fasica e culturale; b) l’eventuale origine mediorientale degli
Etruschi. In entrambi casi abbiamo in mente l'osservazione metodologica del
folclorista russo Vladimir Propp: «Gli sbagli dei ricercatori spesso si trovano
nel fatto che limitano il loro materiale a un soggetto o una cultura o altre
delimitazioni artificialmente create [...]. Tale estensione è necessaria anche
per motivi di studi speciali»[8]. Quindi,
l’ignorare il materiale comparativo disponibile su nostro problema non sarebbe
ragionevole.
Per risolvere questo problema
bisogna distinguere le le più importanti fonti del potere regio, le quali i
Tarquini dovevano avere come candidati alla sella curule, oppure ai criteri
delle quali avrebbero dovuto conformarsi. Quindi, rispondiamo alla questione: quali aspetti del potere supremo sono stati
considerati dai Romani come prioritari? Dopo tutto, tranne i Tarquini,
altre gentes etrusche vissero nella Roma
del VII sec. a.C. senza avere alcuna pretesa al trono prima o dopo. Anche se,
come è giustamente detto da Telemaco (Homerus, Odyss. 1.394-396),
ἀλλ᾽ ἦ
τοι βασιλῆες Ἀχαιῶν εἰσὶ καὶ ἄλλοι
πολλοὶ ἐν ἀμφιάλῳ Ἰθάκῃ,
νέοι ἠδὲ
παλαιοί,
τῶν κέν τις τόδ᾽ ἔχῃσιν, ἐπεὶ θάνε δῖος Ὀδυσσεύς·
tra gli Achei
della circondata da onde Itaca
molti son
basilei giovani e vecchi,
di cui
eleggiamo l’unico, se morto il divino Odisseo.
Nel modello di Livio – Dionigi d’Alicarnasso
– Plutarco[9]
si presume le due linee parallele di formazione della comunità romana: a)
l’isolamento della squadra di Romolo (grex:
Livius 1.4.9) dal ‘regno’ di Alba Longa; b) il collegamento degli esuli alla
comunità (aprendo il rifugio, asylum),
i quali si sono trasformati nel fondamento della popolazione romana[10].
La denominazione liviana del distacco di Romolo come grex, i. e. una milizia primitiva, non è un caso isolato. Gli
etnologi sono già da tempo giunti alla conclusione sulla prevalenza
dell’aspetto militare in qualsiasi società arcaica (compresa quella di Romolo)[11].
Nella letteratura etnologica russa uno dei modi principali per creare
l’organizzazione politica in tempi antichi considera anche l’aspetto militare.
Teoricamente, è successo in questo modo: «All’inizio un leader militare si è
nominato grazie alle sue capacità organizzative e tattiche [...], ma i suoi
poteri erano efficaci solo durante le campagne militari»[12] (cfr.: Livius
1.4). In altre parole, nella fase iniziale di formazione dell’istituzione di
rappresentanza suprema di tribù, la funzione regia principale era quella
militare. Invece, se questa funzione poteva essere l’unica e l’importantissima
per ottenere la sella curulis?
Per rispondere a questa
domanda, ci rivolgiamo alla etimologia della parola ‘rex’. Il linguista francese Émile Benveniste ha scritto del
concetto generale del re indoeuropeo (un leader della comunità): «il rex latino dovrebbe essere considerato
non tanto un autocrate, come la persona che dipinge linee dei confini o spiana
una strada, il quale simboleggia allo stesso tempo lo tutto ció che si
riferisce al diritto... Il rex
indoeuropeo è un concetto più religioso, che politico. L’obbligazione del rex non è comandare, né usare il potere,
ma stabilire le regole e definire tutto ciò che si appartiene al diritto nel vero senso di questa parola.
Quel così definito, il rex sta molto
più vicino al sacerdote che a l’autocrate. [...] Questo significato è stato
associato ai collegi sacerdotali influenti, loro compito era stretta
sorveglianza sui riti religiosi. Ovvero, per la nascita di concetto del potere
regio di tipo classico basato esclusivamente su stesso potere, bisognava un
lungo periodo di sviluppo e di rottura fondamentale della idea regale, così
come per la graduale separazione del potere politico da quello religioso...»[13].
Quindi,
Benveniste attira la nostra attenzione sull’aspetto giuridico delle fonti del
potere supremo, considerando questo aspetto come una parte della base sacrale
del potere stesso. Tuttavia, è evidente che la fonte della potenza militare del
rex e quella giuridico-sacrale
sarebbero decisamente strette.
Invece,
il capopopolo Romano è prima un comandante supremo militare, e di conseguenza –
capo delle forze armate e dell’assemblea popolare. Formalmente, è stato eletto
dal popolo: «la risposta unanime degli armati assicurò il nome e il potere del
re» (Livius 1.6.2). Tuttavia, più tardi, in seguito agli sconvolgimenti
politici, sono venuti al potere non solo i reges
eletti dal popolo (Livius 1.41.6), ma anche quelli che non avevano neppure
l’approvazione dei senatori (Livius 1.47.10, 1.49.3), ossia i re tiranni (the Tyrant
Kings). Come capi supremi della comunità romana, questi tiranni, senza
tener conto dell’opinione di Senato, hanno diviso le terre ostili occupate tra
i cittadini armati poveri (Livius 1. 46.1, 1.47.11). Nel confronto con i
senatori, i re si avvalevano del sostegno dell'esercito dei celeres o successivamente di quello
centuriato (Livius 1.15.8, 1.46.2, 1.49.7).
Il re come giudice ha emesso
leggi al suo nome (Livius 1.42.4), tra le cui e leggi sacrali (Livius 1.32.2: leges sacratae[14]), e le
ha presentato all’Assemblea militare (Livius 1.8.1). A nome di sua comunità il
re promulga i trattati internazionali (Livius 1.13.4), decide le questioni di
guerra (Livius 1.32.11) e di pace (Livius 1.38.1-2). Le indicazioni principali
della politica regia interna ed estera devono essere concordati col Senato
(Livius 1.9.2; 1.49.7). In tempo di pace (Livius 1.41.5-6) il compito
principale del re divenne l’amministrazione della giustizia (Livius 1.26.5;
1.50.8). Il re giudice aveva l'autorità d’interpretare
leggi (Livius 1.26.8). In alcuni casi il monarca esercitò il giudizio da
solo (Livius 1.49.4-5), con qualche mormorio da parte dei senatori (Dionys.
Hal. 2.56.3), o il re ha delegato le sue funzioni giudiziarie agli assistenti o
assessori (Livius 1.26.5). Comunque, l'appello supremo è sempre stata
l’Assemblea militare (Livius 1.26.6).
Come fuori, in guerra, tanto in
Roma il re ha dovuto effettuare i riti sacri più importanti, perché era
sacerdote supremo della comunità (Livius 1.20.1)[15].
Quindi, la conferma della sua carica il monarca la ha ricevuto dai sacerdoti,
mediante la cerimonia della inauguratio
(Livius 1.18. Livius 1.9-10)[16]. Il re
nominava personalmente alcuni sacerdoti (Livius 1.19.5; 1.21.5), tra cui quelli
di più alto rango (i pontefici: Livius 1.20.5-7). A nome della comunità Romana
il re pronunciava i voti pubblici (Livius 1.12.4-5); celebrava i sacrifici
(Livius 1.7.3; 1.28.1) e fondava i santuari (Livius 1.10.5-6; 1.53.3). L'intero
complesso dei poteri del re romano è visibile più chiaramente dal punto di
vista linguistico: «...in Roma rex è
una incarnazione della divinità e vestito della stessa autorità divina, che un raj- in India»[17].
Tuttavia, i sacerdoti che curavano i culti gentilizi (Livius 1.7.12: Potitii et Pinarii; Livius 1.26.13: Horatii)
come rappresentanti delle gentes,
entrarono in conflitto con il re per motivi religiosi e politici (Livius
1.36.2-6)[18],
perché l'unificazione del culto religioso
è diventata l’equivalente dell’unificazione del sistema amministrativo[19].
Vladimir
Sergeev ha descrito la sfera amministrativa della comunità romana come un
cosmo, e in qualità di modello ha preso i rapporti potestari all'interno della gens: «Alla testa della comunità era un
anziano tribale, ‘il duce della gens’ (princeps
o dux gentis), che sia in stesso tempo un leader militare, sacerdote e
giudice. In casi importanti l’anziano del “clan” convocava il consiglio dei patres di famiglia o il senato
[...] e l’assemblea di tutti i gentiles
plenipotenziari»[20]. Quindi, il rex
è un leader delle gentes in relazione
a tutta la comunità romana. Modello di questi rapporti giuridici in entrambi
casi è stato lo stesso (su Sergeev):
rex Romanus
→ Senatus → populus
dux gentis
→ senatus → gens.
Quasi la medesima sequenza dei
rapporti si costruisce sull'analisi (realizzata da Benveniste[21]) dei dati
linguistici dell’Iliade e Odissea:
ʷάναξ → βασιλῆες → γένος / λάος[22] .
Il carattere dei poteri del βασιλεύς e dell’ἄναξ è stato ben descritto già
nell’epoca di Omero (Homerus, Odyss.
19.109-111)[23]:
ὥς τέ
τευ ἢ βασιλῆος ἀμύμονος, ὅς τε
θεουδὴς
ἀνδράσιν ἐν πολλοῖσι καὶ ἰφθίμοισιν ἀνάσσων (ʷάναξ)
εὐδικίας ἀνέχῃσι.
puoi
trasformarti nel βασιλεύς immacolato, pieno
di paura
divina, e nell’ἄναξ di molte persone,
che realizza
la giustizia.
Quindi, l’ἄναξ (ʷάναξ) è un
capopopolo, ma i basilei (βασιλῆες) sono in origine capi minori,
ossia i capi di clan. L’analisi delle componenti principali del potere del βασιλεύς e del ʷάναξ secondo i dati dell’Iliade e
dell’Odissea è stata già formulate nel secolo passato. Tanto nella Grecia
omerica, come nella Roma primordiale, il potere regio nel tempo di pace è stato
severamente limitato dal Consiglio di anziani, ma comunque l'influenza delle
assemblee tribali era grande: «qualsiasi idea che apparve nella testa del re,
prima della sua attuazione doveva essere oggetto di dibattito in seno del
Consiglio; ciascuna decisione del re e suo Consiglio non avrebbe potuto essere
applicata senza il consenso comune del popolo [...]»[24].
L’assemblea del popolo «non è solo un’assemblea composta da individui, in contrasto
col re o il suo Consiglio, ma è un complesso, che unisce in sé e il re, e
il Consiglio, e il popolo, perché quest’Assemblea è l’autorità suprema della
società che decide tutto in ultima istanza [...]»[25].
Secondo Dmitri Petruševski, in Grecia omerica «il monarca prima di tutto è un
capo tribale in Guerra [...]; quindi, è un giudice della tribù e, infine, un
rappresentante della tribù presso i Dei, è un sommo sacerdote [...] Il re
apparve prima di tutto come un capo militare dei gruppi tribali piccolissimi
uniti solo per scopi militari»[26]. In
questo caso, come risulta dal citato frammento dell’Odissea, dopo la funzione
del re come dux provvisorio, al
secondo posto segue la funzione di guidice, letteralmente – ‘realizzare la
giustizia’ (εὐδικίας ἀνέχῃσι). Tuttavia, il termine stesso βασιλεύς (un condottiere
della parte armata di tribù = βαίνω + λεώς / λαός) non
include etimologicamente i componenti pacifici di ‘regolare →
regnare → realizzare la giustizia’ come quelli poi sono stati attribuiti al
monarca di Roma.
εἷς βασιλεύς, ᾧ δῶκε Κρόνου πάϊς ἀγκυλομήτεω
σκῆπτρόν τ᾽ ἠδὲ θέμιστας, ἵνά σφισι βουλεύῃσι.
Il βασιλεύς, al quale il figlio di
Crono onniveggente
lo scettro ha consignato e le norme, per consigliarci!
In altre parole, secondo l’ultimo
frammento dell'Iliade (Homerus, Iliad.
2.205-206), la funzione principale di βασιλεύς in tempo di pace, tanto nella sfera
amministrativa come in quella di procedura, era rispettere le norme giuridiche
tradizionali (θέμιστας) e
consultare i sudditi sulle norme di diritto (o l’impartire consigli) o guidare
il Consiglio tribale (βουλεύῃσι):
tutto questo ha significato ‘regnare’. La medesima formula che contiene il
verbo βουλεύω è presente in nono brano dell'Iliade, nel
frammento riferito all'obbligo regio di giudicare secondo le norme tradizionali
(θέμιστας) e
dare consigli legali o ‘dire diritto’ (βουλεύῃσθα); tuttavia, invece di usare
frequentemente la parola di βασιλεύς, qui è stato ancora applicato il termine
di ἄναξ
primordiale (Homerus, Iliad. 9.98-99):
λαῶν ἐσσι ἄναξ καί
τοι Ζεὺς ἐγγυάλιξε
σκῆπτρόν τ᾽ ἠδὲ θέμιστας, ἵνά σφισι
βουλεύῃσθα.
sei l’ἄναξ di molti
popoli, e Zeus ti ha consegnato
lo scettro e
le norme, per consigliarci!
La ferma osservanza delle norme
tradizionali (θέμιστας) e l’amministrazione della procedura, ma anche i successi militari
hanno formato la base della venerazione (l’onore = τιμή,
dell’agg. superl. τιμηέστερος) del
monarca e, quindi, dell’autorità regia (auctoritas),
che diventa, a sua volta, una sorta di fonte supplementare di ricchezza dei βασιλῆες bellicosi (Homerus, Odyss. 1.392-393):
οὐ μὲν γάρ τι κακὸν βασιλευέμεν αἶψά τέ οἱ δῶ
ἀφνειὸν πέλεται
καὶ τιμηέστερος αὐτός.
è certo che
regnare non è male; la ricchezza
appare presto nella
tua casa, e sei il più onorevole stesso.
Invece,
la formula d’Omero di ‘dire diritto’ (βουλεύῃσι,
βουλεύῃσθα) non è trasformata nel privilegio
esclusivo dell’ἄναξ o del βασιλεύς. Gli altri anziani (γερόντες) proprio (come i
superiori, ἀνάκτες) avevano
l'onore di consultare (βουλῇ) e
trasmettere miti (μύθοισι).
Allora, Nestore ha detto ironicamente su
di sé e chiaro – sulla sua gioventù: «Incoraggerò loro / col mio consiglio o
con i miei racconti – è un’onore reso agli anziani» (Homerus, Iliad. 4.322–323:
κελεύσω /
βουλῇ καὶ μύθοισι· τὸ γὰρ γέρας ἐστὶ
γερόντων).
Quindi, il dovere regio è presiedere in campagne
(βασιλευέμεν), ma l’onore degli anziani è
comporre miti eroici e militari. I frammenti citati da Omero indicano una piccola,
ma fondamentale differenza tra la posizione regia e quella degli anziani. Si
ail re, sia gli anziani possono consultare (βουλεύῃσθα o βουλῇ): per
un monarca questi consigli sono quasi un’obbligo e una base dell’autorità
(τιμή), ma per gli anziani (oἳ γερόντων) sono solo un’onore
(τὸ γέρας)[27].
Tuttavia, la stessa differenza degli stati politico-sociali, la quale oggi è
considerata l’importante, non è stata in quel tempo ancora formalizzata. In
periodo di pace, il capopopolo è stato solo il primo tra gli anziani uguali in
stato (βασιλῆες), così primus inter pares, e tutti quanti governano insieme
(letteralmente: gli anziani «annuiscono (alla risposta del principale, i. e. ἄναξ)»
– κραίνουσι:
Homerus, Odyss. 8.390-391)[28]:
δώδεκα γὰρ κατὰ δῆμον ἀριπρεπέες
βασιλῆες
ἀρχοὶ κραίνουσι,
τρισκαιδέκατος δ᾽ ἐγὼ αὐτός·
la nostra
gente è governata dai dodici basilei –
i capi rispettissimi,
anch’io è il tredicesimo stesso.
Tanto nell’ultimo, come nell’altri
frammenti di Omero, contenenti i termini o le formule processuali, manca la
parola ‘giudice’. In essi si trattano
dell’ἄναξ o
degli anziani (oἳ γερόντων) o,
nell’ultimo caso, dei «capi rispettissimi [di tribù]» (ἀριπρεπέες … ἀρχοὶ), i
quali devono essere dodici o tredici.
Lo stesso procedimento è così
primitivo, così immanente a tutte le società tradizionali dalla Corsica e
Sardegna al Caucaso, dall'Età di Bronzo all’epoca Moderna[29]. Questo
processo, come è noto a tutti, è stato dipinto da Omero sullo scudo d’Achille,
che è conosciuto come re bellicoso, ma non giudice (Homerus, Iliad. 18.503–508):
…οἳ δὲ γέροντες
εἵατ᾽ἐπὶ ξεστοῖσι λίθοις ἱερῷ ἐνὶ κύκλῳ,
σκῆπτρα δὲ
κηρύκων ἐν χέρσ᾽ἔχον ἠεροφώνων·
τοῖσιν ἔπειτ᾽ἤϊσσον, ἀμοιβηδὶς δὲ δίκαζον.
κεῖτο δ᾽ἄρ᾽ἐν μέσσοισι δύω χρυσοῖο τάλαντα,
τῷ δόμεν ὃς μετὰ
τοῖσι δίκην ἰθύντατα εἴποι.
…e gli anziani
su pietre
squadrate si siedono in silenzio nel cerchio sacro,
i scettri in mano
accettano dai messaggeri vocesquillanti;
col scettro si
alzano e un dopo l'altro pronuncia sentenza.
In cerchio
davanti a loro si trovano due talenti pur’ oro –
il pagamento
per chi, il quale darà la più giusta sentenza.
Come si vede, il ruolo del
collegio di giudici si realizzava proprio dagli anziani (οἳ γέροντες)
seduti nel cerchio sacro (ἱερῷ ἐνὶ κύκλῳ), i.
e. nel τέμενος, che
facevano qualcosa indipendentemente, senza re a capo. Gli anziani «dicono
diritto» (δίκαζον), e
l’oro sarà ricevuto non a quello anziano che dimostra qualcosa giusta, ma a
quello chi avrebbe mostrato a tutti quanti la formula (δίκην) di
azione[30],
quella la più adatta (ἰθύντατα) per il
caso proposto. Nell’opera d’Omero si descrive uno procedimento primordiale
nominato dai Romani la legis actio
sacramento in rem (cfr: Gaius, Inst.
4.11). Una parte d’oro sarà recevuta il saggissimo degli anziani. Al contrario
delle vicende di guerra, tali procedure sono state una delle fonti permanenti
di ricchezza dei re e degli anziani (Homerus, Odyss. 1.392–393). Gli aspetti sacrali di questo processo sono
stati esaminati dal giurista francese Henri Lévy-Bruhl[31], e poi
dal giurista spagnolo Manuel Jesús García Garrido[32].
I ricercatori dell’Iliade hanno
sottolineato più volte il fatto che l’autorità legale aveva una grande
importanza nella società omerica, perché è diventata la «base della popolarità
regia»[33].
Curiosamente, nel caso dei re romani, la funzione giudiziaria aveva giocato uno
scherzo crudele a qualcuno di loro: Dionigi d’Alicarnasso ci ha conservato la
storia leggendaria di Romolo ucciso dagli anziani scontenti dell’arbitrarietà
mostrata nel tribunale supremo (Dionys. Hal. 2.56.3).
Confrontando i dati sulle
funzioni del βασιλεύς di Omero con quelle di Romolo, si può
assumere che rex è già stato qualcosa
di più del βασιλεύς, ma non ancora il τύραννος
dell’epoca etrusca[34]. In
questo caso possiamo parlare di un periodo di transizione (nella prima monarchia)
che è quasi impercettibile nella storia della Grecia di Omero.
Allora, nell’epoca tribale il
monarca Romano ha avuto funzioni che hanno formato una sorta di tripartizione e
che si sono realizzate in tre grandi ambiti
di quella società: la prima è militare,
ossia nella politica estera; la seconda è giuridica,
vale a dire intracomunitaria (entrambe lineamenti orizzontali); la terza è sacrale (lineamenti verticali). Nella
narrazione di Tito Livio, il re di Roma è raffigurato allo stesso tempo come
giudice di ultima istanza, come capo militare e come sommo sacerdote[35];
nominato dal Senato ed approvato dalla Assemblea popolare (intesa come
organizzazione militare: Livius 1.6.1, 1.8.1, 1.17.4 et 1.28.2).
I dati della tradizione antica
rafforzano quelli linguistici: il re romano comanda l'esercito, celebra i
rituali, ‘stabilisce le regole’ e ‘proclama il diritto’. Quest'ultimo è
caratteristico per i popoli indoeuropei mediterranei, mentre che per i semiti
mediterranei fu importante la componente sacrale.
Al fine di scoprire il quale di
questi tre ambiti è stato considerato più importante nel periodo etrusco di
Roma – in altre parole: quale di queste condizioni irreversibili era la più coerenta
alla gens Tarquiniorum, ci rivolgiamo
alla etimologia del nome della dinastia etrusca. Nemirovski traccia già qualche
connessione tra tarχu etrusco, la regione anatolica
e la piante caucasica tarχūn (l’estragone), ma la località ancestrale
non è stata identificata da questo ricercatore russo.
Andiamo avanti con l’obiettivo
di capire alcune relazioni linguistiche di tarχu nell’area anatolica.
Come risultato di nostra
ricerca è stato scoperto un punto fermo nel ramo iraniano degli indoeuropei,
vale a dire, nella lingua osseta; gli Osseti sono discendenti degli Sciti e
Alani. Così, nel Dizionario
storico-etimologico della lingua osseta di Vassili Abaev[36] c'è un
parallelo tra Tarquinio in etrusco e un tærxon (pronunciare: tǟrχon) in osseto, i. e. un anziano
giudice. Questi anziani come sacerdoti di clan hanno amministrato la giustizia
nei luoghi sacri presso i templi e I cimiteri. Abaev ha trovato un legame del tærxon osseto con *tark- della lingua degli Ittiti, inteso come ‘interpretare’ →
‘l’interprete di leggi tradizionali’ → il
‘giudice’) e l’ha tratta da *tŗkāna-
o *tarkāna- [37]. Per
la spiegazione del termine tærxon il
inguista russo-osseto Abaev indica in particolare il nome etrusco Tarχon
(Tarchō: Vergilius, Aen. 11.727,
730, 746, 758, cfr. 11.834-835, Tarcon = Tarquinius), citando qualche ricerca
linguistica inglese, che riunivano Tarchon col termine tarχān[38]. Da
qui non è lontano a Tάρκων, i. e.
il nome di un lido grigio dall’infanzia arrivato all’Etruria[39].
Tuttavia, Abaev osserva: «È
certo che bisogna tenere a mente una possibilità di consonanza accidentale. Ma
se consideremmo che l'uso di questo lessema in nomi personali ha una profonda
tradizione linguistica (nello tracio, sogdiano, khazar e altre lingue; cfr.
ancora i cognomi Tarxnišvili in
georgiano e Tarkhanov in russo) e se
ricordassimo i rapporti antichi degli Sciti con gli ‘Italici’ [...], – la
conformità di tærxon osseto a Tarchon
etrusco-latino sarebbe nella stessa livea come l’osseto Wærgon //
Volcānus»[40]. Il riavvicinamento
fatto da Abaev è presto supportato da qualche ricerca del livello di
generalizzazioni superiori. Così, uno dei risultati della ricerca linguistica
dell’Accademico russo Vjačeslav
Vs. Ivánov conduce a questa conclusione: «…dal punto di vista linguistico
la tradizione etrusca nonostante tutti gli elementi indoeuropei attestati
continua la tradizione del Caucaso Settentrionale primigenia e vicina alla
tradizione hurrica»[41].
Quindi, la consonanza accidentale presunta da Abaev è ora
esclusa.
Allora, nella tradizione
linguistica etrusca la componente propriamente del Caucaso Settentrionale ha
dominato su quella indoeuropea comune; è evidente che la linguistica rifletta,
a quanto pare, solo le realtà del II millennio a.C. I dati linguistici ottenuti
da V. V. Ivánov rafforzano
l'ipotesi, secondo la quale la casa dei Tarquini ha avuto la provenienza
anatolico-caucasica. Il Caucaso conserva ancora le tracce linguistiche che sono
state quasi cancellate nel suolo italiano. Fino ad ora, ‘tærxony læg’ dell’osseto
moderno, i. e. un’uomo di categoria di ‘tærxon’ è: 1) un’uomo d'onore, un’anziano; 2) l'arbitro in procedimento; 3) l’esperto e l’interprete delle leggi tradizionali (o i costumi). Elena Štaerman
nella descrizione delle ricerche italiane dell’anni ’80 di Storia di Roma
antica ha sottolineato che il carisma regio è basato nella capacità d’interpretare la volontà degli Dei[42].
Quindi, con i nuovi dati
linguistici, così come con le scoperte moderne nel campo dell’archeologia
romana, e anche con le profonde osservazioni degli esperti nell’ambito della
storia sociale arcaica del Mediterraneo, dobbiamo ammettere che Tάρκων greco,
Tarχu etrusco e lo stesso Tarquinius Romanus (sia un clan regio,
sia un nome etrusco comune) significarebbe «l'interprete della volontà degli
Dei o l'interprete del diritto (o dei costumi tribali)». Ora è certo, perché
nella leggenda di Strabone su Tarcone questo bellicoso Etrusco è descritto come
uomo «saggio e dall'infanzia grigio»: era un giovane «quasi vecchio», ossia
l’anziano. Saggezza e canizie infantile qui non sono segni particolari di un
pirata anatolico, ma l'indicazione cifrata o l’allusione al rango altissimo di
questo gruppo sociale a cui apparteneva lo stesso Tarcone. In questo modo, tarχu è simile a tærxony læg alano-osseto,
a βασιλεύς d’Omero,
anche a rex Romanus, così come al
giudice šophet di Vecchio Testamento
e a Rāj vedico induista o, come
gli annalisti romani dicevano, a lucumone
etrusco.
Ora sono diventate trasparenti
le cause, per le quali i Tarquini hanno acquisito una posizione speciale nella
società romana, e inoltre un terreno nel τέμενος, nel
futuro Campo Marzio[43]. I
Tarquini come una gens nobile e
arcaica potevano naturalmente aspirare alla sella curule. Invece, questa
posizione non avrebbe potuto essere realizzata,
se gli Etruschi non avessero conquistato la città di Roma. Questo
fenomeno è stato ben descritto da Sergeev: «Nella storia del Lazio e di Roma ha
svolto un ruolo decisivo la conquista
etrusca che si è riflessa anche nel potere regio in senso di sua
amplificazione. Secondo la tradizione, Roma fu conquistata a metà del VII
secolo a.C. dai re lucumoni della città di Tarquinia, i quali hanno dominato a
Roma e Lazio durante 150 anni»[44].
Senza metterci a discutere sul fatto
della presa di Roma, notiamo che sarebbe dubbio che lo stato di lucumone come
membro di collegio aristocratico sacerdotale possa essere assimilato allo stato
del monarca Romano. Alla luce di nostra analisi comparativa è chiaro che i
lucumoni (lauχme) dell’Etruria dovrebbero
essere simili agli anziani (βασιλῆες), ma non agli ἀνάκτες. La
stessa frase Serviana che nell’Etruria «furono dodici lucumoni, uno dei quali
il principale» (Servius Hon., Verg. Aen.
8.475; cfr.: Idem, Verg. Aen. 10.202:
singuli lucumones imperabant, quos tota
in Tuscia duodecim fuisse manifestum est, ex quibus unus omnibus praeerat)
avrebbe potuto essere piuttosto un contrassegno della famosa stampa d’Omero
(Homerus, Odyss. 8.391) che la verità
storica. Invece, l’utilizzando un’altra stampa d’Omero, possiamo fermamente
dire che i tærχon o tarχu sono
sicuramente inclusi nel ‘cerchio sacro’ dei lucumoni.
Dopo l’invasione etrusca a Roma
(nel VII sec. a.C.) l’aspetto importante dell’attività regia è un ruolo di giudice
supremo e di quello che potrebbe interpretare
il diritto come volontà degli Dei (fas), ovvero un ruolo che è stato
saldamente legato agli aspetti militari e sacerdotali (Tarquinio e Tanaquil), i
quali furono così tipici per i sacerdoti governanti etruschi[45].
Tuttavia, tanto nella figura di
rex Romanus, come in quella di βασιλεύς di Omero, questi aspetti non si sono stati
ancora separati dalla massa di ‘competenze’ unitaria. Ma lo stesso non potrebbe
dirsi a proposito dei leader etruschi: quindi, il termine comune per capopopolo
etrusco non si è ancora formato. Dall'ambiente aristocratico-sacerdotale dei
lucumoni sono venuti nell'arena politica i tarχu (in particolare, la gens Tarquinia), poi i lars bellicosi (per es., Porsenna), poi i zilath sacrosanti che erano simili al futuro rex sacrorum in Roma[46].
Il termine tarχu
etrusco per la sua derivazione etimologica è simile a rex Romanus come “un’anziano, l’interprete e l’arbitro”. In futuro,
è evidente che tarχu sarebbe stato solo uno dei
titoli altissimi dell’aristocrazia etrusca. In ogni caso, alcune persone di
categoria tarχu dal punto di vista religioso
dei Tirreni potrebbe giustamente aspirare alla ‘carica’ del tiranno Romano.
En el artículo se examina el contexto social y la ubicación
geográfica original de la gens real
de la Roma antigua, es decir, los Tarquinii.
El punto de partida del análisis es un relato
legendario del geógrafo griego Estrabón (5.2.2) sobre un hombre Lido llamado Tarcón,
«cano desde la infancia», analizado en el contexto de la tradición literaria
antigua en correspondencia de los datos lingüísticos modernos. Al tener en
cuenta los numerosos hechos de la historia social, política y jurídica, y
también las analogías culturológicas de la zona indoeuropea, el Autor define el
hogar ancestral de los Tarquinios en el campo que va desde la Anatolia Oriental
hacia el Cáucaso del Norte, donde vivían no sólo los pueblos indoeuropeos. El
estado social de los alienígenas Tarquinios en Roma fue asegurado al alto
estado religioso y legal de los ancianos de tribu, entre los que se encontraban
originalmente los Tarquinios: el término tarχu significaba en la lengua etrusca tanto ‘anciano
(senex)’, como ‘juez’. La posición de
esa raza nóbil en la sociedad etrusca ha proporcionado a la gens Tarquinia el derecho de reclamar el
poder real en la Roma de los siglos VII y VI a.C.
Palabras
clave: la Roma antigua, gens Tarquinia, la Grecia de Homero, el rey-juez, el
derecho romano sacro, el anciano de tribu, los Indoeuropeos.
[1] Per
esempio, i riferimenti nell’articolo: T.N. GANTZ, The Tarquin dynasty,
in Historia 24, H. 4, 1975, 539–554.
[2] A.I.
NEMIROVSKI, Etruschi: dal mito alla
Storia, Mosca 1983, 214-215 (Немировский
А.И. Этруски:
от мифа к
истории. М., 1983. С. 214
– 215). Per il VIII sec. a.C. è archeologicamente stabilita già la
comunicazione delle città costieri di Lazio con la regione egeo-anatolica: A.I.
NEMIROVSKI, loc. cit., 213.
[4] V.S.
SERGEEV, Saggi sulla storia di Roma
antica, I, Mosca 1938, 37 (Сергеев
В.С. Очерки по
истории
Древнего
Рима. М., 1938. Т. 1. С. 37).
[5] I dati sulla scoperta archeologica (sulla direzione
di Stefano Musco, dell’università Tor Vergata) del palazzo dell'ultimo re
Romano Tarquinio il Superbo e suo figlio Sesto nella città di Gabii: Tyrant king palace found (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/english/2010/02/25/visualizza_new.html_1708031707.html). Dopo l’espulsione del re Tarquinio, molti dei
suoi gentiles sono a lungo rimasti a
Roma. A quanto pare, secondo Diodoro Siculo, la gens Tarquinia è
definitivamente eliminata nel 357 a.C., quando sono stati uccisi i 260 Taquini
nel Foro Romano: Diod. Sic. 14.45.8.
[6] Lo
studio nuovo fatto sui diversi materiali, tra cui anche archeologici: A. CARANDINI, Re Tarquinio e il divino bastardo: Storia della
dinastia segreta che rifondò Roma, Milano 2010 (171 p.)
[7] Il
commentatore della traduzione russa del libro primo di Tito Livio scrive quanto
segue (N.E. BODANSKAJA. Commenti , in
T. LIVIUS, Storia di Roma dalla sua
fondazione, a cura di V.M. SMIRIN. I, Mosca 1989, 514 e nt. 113 = Боданская
Н.Е.
Комментарии
// Тит Ливий.
История Рима
от основания
Города. М., 1989. Т. 1.
С. 514 и прим. 113): «Mescolare insieme le
storie di Demarato da Corinto e Tarquinio da Etruria è una speculazione
scolastica dei primi storici romani». Altrettanto: V.L. TSYMBURSKI, Il verbo greco TAPXΥΩ ‘seppellisco’ e il mito dell’Asia Minore
sulla sconfitta del Dio vincitore, in Il messaggere della storia antica 1, 2007, 152–169 (Цымбурский
В.Л. Греческий
глагол TARXΥΩ
«погребаю» и
малоазийский
миф о
поражении бога-победителя
// Вестник
древней
истории – ВДИ.
2007. № 1. С. 152 – 169). Quiesto linguista russo dopo Blümel e
Kretschmer (R. BLŰMEL, Homerisch ταρχύω in Glotta 15, 1926, 78-84; P. KRETSCHMER, Die Stellung der lykischen Sprache, in Glotta 28, 1939, 104-106) qui vede anche le relazioni religiose e linguistiche con
la tradizione dell’Asia Minore, particolarmente nei gentilizi etruschi di Tarxna e Tarxunies / Tarquinius.
Inoltre, Tsimburski ha emfatizzato l’ipotesi di Pugliese Carratelli (G.
PUGLIESE CARRATELLI, Tαρχύω, in Archivio glottologico italiano 39, 1954,
79-82) sull’eventuale riflessione nel verbo di ταρχύω qualche
qualità «ctonica» del Dìo tonante dell’Asia Minore – i. e. Tarchunt / Tarchu. Tsymburski
rende la conclusione sulla diversità dei
contatti vivi dei greci dell’Asia Minore con il patrimonio ittito-luvico
religioso, oltre la tradizione d’Omero (V.L. TSYMBURSKI, Il verbo greco TAPXΥΩ, cit., 169); e anche: «…molti delle forme nominative dell’Asia
Minore parallele a ταρχύω hanno
direttamente il carattere teonimico o teoforo» (V.L. TSYMBURSKI, Il verbo greco TAPXΥΩ, cit., 155). Gli scritti di Livio, Strabone (Strabo, Geogr. 5.2.2) e Dionigi d’Alicarnasso si
ispirano alla tradizione annalistica romana. Ecco il frammento di Dionigi
d’Alicarnasso (Dionys. Hal. 3.46.2): «Chi erano i genitori di Tarquinio, in
quale patria egli è nato, per quali ragioni è venuto a Roma [...] io dico come
l'ho trovato negli scritti degli storici locali». Cfr.: Herodotus 1.94, sulla
provenienza lidica degli Etruschi / Tirseni.
[8] V.Ja.
PROPP, Le radici storiche dei racconti di
fate. San Pietroburgo, 4a ed., Mosca 2004, 19 (Пропп
В.Я. Исторические
корни
волшебной
сказки. СПб., 2004. 4-е изд. С. 19).
[10] Livius 1.6.3, 1.8.5–6, cfr. 1.9.5; Dionysius
Hal. 2.55; Strabonus
5.2; Florus, Epit. 1.1.9. Altrettanto: I.L. MAJAK, La Roma dei primi re: La genesi di polis Romana, Mosca 1983, 58 (Маяк И.Л. Рим первых царей: Генезис римского полиса. М., 1983. С. 58).
[11] I.L. MAJAK, La
Roma dei primi re, cit., 113, cfr.: J.-N.
LAMBERT, Les origines de
Rome à la lumière du droit comparé: Romulus, in Studi in onore di Pietro De Francisci. I,
Milano, 1956. Sull’analisi dello problema di
amministrazione in Roma regia: I.L. MAJAK, La Roma dei primi re, cit., 233-254; A.V. COPTEV, La forma antica del dominio e dello Stato in
Roma antica, in Il messaggero della
storia antica 3, 1992, 9 (Коптев
А.В. Античная
форма
собственности
и
государство
в Древнем Риме
// Вестник
древней
истории – ВДИ.
1992. № 3. С. 9); A.M. SMORČKOV, Regnum et sacrum: sul carattere del potere regio in Roma antica, in
Ius
antiquum – Древнее
право 10, 2002, 51 sgg. (Сморчков
А.М. Regnum et sacrum: о
характере
царской
власти в
Древнем Риме
// Древнее
право – Ius antiquum. 2002. № 10. C. 51
сл.)
[12] V.P.
ALEXEEV, O.Yu. ARTÖMOVA, L.E. KUBBEL ed al. La
storia della società primitiva, III, Mosca 1988, 230-231 (Алексеев
В.П., Артёмова
О.Ю., Куббель Л.Е.
и др. История
первобытного
общества. М., 1988.
Кн. 3. С. 230–231). Nella letteratura europea si tratta delle
due funzioni principali del re romano: P. DE FRANCISCI, La
communità rurale nel Lazio primitivo, in Atti del X congresso internazionale di scienze storiche, 4-11 sett. 1955, VII, Roma, 151 sgg.):
la funzione prima è un leader militare provvisorio, la seconda è un re come
l’autorità sacerdotale, i. e. quella era una base costante del potere regale.
Cicerone ha spiegato l'elezione di re e, in conseguenza, l’assenza in Roma
primordiale del potere sovrano ereditario, dicendo che agli albori della sua
storia i Romani erano consapevoli del fatto che la natura è riposa a volte
sulla prole (Cicero, Rep. 2.12.24: Nostri illi etiam tum
agrestes viderunt virtutem et sapientem rege non progeniem quaeri oportere). V.
anche delle funzioni del re Romano: A.I. NEMIROVSKI, Storia di Roma primordiale e Italia, Voronezh 1962, 150 sgg. (Немировский
А.И. История
раннего Рима
и Италии.
Воронеж, 1962. С. 150
сл.) Tuttavia, prima nella letteratura storica ci sono ricerche
(come si è scoperto in seguito), nelle quale si assolutizza il potere di re
Romano, per esempio: U. COLI, Regnum,
Roma 1951.
[13] É.
BENVENISTE, Dizionario dei termini
sociali indo-europei, Mosca 1995, 249 e 252–253 (Бенвенист
Э. Словарь
индоевропейских
социальных
терминов. М., 1995.
С. 249, 252–253).
[14] Leges regiae / a cura di G. FRANCIOSI. Napoli 2003; L.L.
KOFANOV, Il diritto sacrale e
l’evoluzione di cosiddette ‘leggi del re’ nei VIII–VI secoli a.C., in Il messaggero della storia antica = Vestnik
drevnei istorii 1, 2006, 48 – 52 (Кофанов
Л.Л.
Сакральное
право и
эволюция так
называемых
«царских
законов» в VIII–VI
вв. до н. э. // ВДИ.
2006. № 1. С. 48–52).
[15] V.I.
MODESTOV, Il sistema di scrittura Romana
nel periodo regio, in Annali
scientifici dell’Università di Kazan 1867. Le parti V e VI (Модестов
В.И. Римская
письменность
в период
царей // Ученые
записки
Казанского
университета.
1867. Вып. V–VI). Nel periodo repubblicano le funzioni
sacrali regie sono state affidate al sacerdote special, i. e. il re di
sacrificio (Festus, De verb. sign.,
v. Sacrificulus rex, p. 319 M., 423 L.): FR.
BLAIVE, Rex sacrorum: recherches sur la fonction religieuse de la royauté romaine, in Revue Internationale des Droits
d’antiquité – RIDA 42, 1995, 125–154. Secondo
la tradizione, il re Servio Tullio ha trascorso i primi quattro lustra Romana, i. e. le cerimonie
sacrali che comprendevano tutta la sfera politico-sociale della società (Valerius Maximus 3.4.3).
[16] FR. BLAIVE, De la
designatio а l’inauguratio: observations sur le
processus de choix du rex Romanorum, in Revue
Internationale des Droits d’antiquité – RIDA 45, 1998, 63–87. Un rito simile d’inaugurazione del re giudice
si ha praticato dagli Israeliti arcaici: «Giosuè, figlio di Nun, era pieno
dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui, e figli
d'Israele si obbedivano a lui» (Deuteronomium 34.9).
[18]
L’opposizione del potere regale si è concentrata nella Curia. Da uno lato, il Senato si ha formato dal re dei
rappresentanti delle gentes patrizie
(Livius 1.8.6-7), dall'altro – il Senato stesso formava e approva le decisioni
dell'Assemblea Elettiva di un nuovo re (Livius 1.17.9, 1.22.1, 1.32.1, 1.35.6
et 1.46.1). Nei VIII – VII secoli a.C. l’organizzazione gentilicia era ancor
abbastanza forte in situazioni, quando gli anziani eliminavano i re
indesiderati, spiegando la loro morte come un punizione del Cielo (Livius
1.16.1-4 et 1.31.8). Ma verso la metà del VI secolo a.C. i re sono andati fuori
il controllo della nobiltà gentilicia e poi hanno andato all'offensiva. Quelli
erano già tiranni veri come Servio Tullio o Tarquinio il Superbo, che non
prendono già in considerazione qualsiasi interesse dell'aristocrazia.
[19] Cfr. il
ruolo del sacerdozio in Israele arcaico: le funzioni sacerdotali sono ereditari
e gentilici (il sommo sacerdote ed i leviti in generale: Deuteronomium 10.6 et
8); il sacerdote giudice ha avuto una decima per ogni tre anni (Deuteronomium
14.28-29). Tuttavia, la legge di Mosè si consiglia vivamente di avere l’unico altare (Deuteronomium 12.5-7,
12.11-14, 12.26, 16.5-7 et 16), perché la costruzione d’altri altari è vista
come un tradimento del Dìo e la manifestazione del separatismo (Iesus Nun.
22.16 et 18). I ricercatori vedono qui un'allusione alla riforma religiosa del
re Giosia del 622 / 621 a.C. Per esempio: L.S. FRIED, The High Places (Bāmôt) and the Reforms
of Hezekiah and Josiah: An Archaeological Investigation, in Journal of the American Oriental Society
122, 3, 2002, 437–464. Il risultato di quell’articolo: la distruzione di
‘alberi sacri’ e altari pagani sulle altezze
di colline (bāmôt) si è verificata intorno al 701 a.C., il quale è terminus post quem della compilazione di
Deuteronomio. Sul grado di vicinanza cronologica della società descritta in
questi libri di Bibbia alle società omerica e primarepubblicana Romana: J.M.
BLÁZQUEZ MARTÍNEZ, J. CABRERO PIQUERO,
La storicità dei libri di Vecchio
Testamento alla luce dell’archeologia contemporanea, in Il messaggere della storia antica 1,
2008, 101–105 (Бласкес
Мартинес Х.-М.,
Кабреро
Пикеро Х. Историчность
книг Ветхого
Завета в
свете современной
археологии //
ВДИ. 2008. № 1. С. 101–105). Altrettanto: J.C. GEOGHEGAN, ‘Until This Day’ and the Preexilic Redaction
of the Deuteronomistic History, in Journal
of Biblical Literature 122, 2, 2003, 201–227: la base di Deuteronomio (i
capitoli da 12 a 26) è scritta cerca dell’anno 622 a.C., e il ‘Libro del
Giosuè, figlio di Nun’ scritto nel VI o nell’inizio del V sec. a.C.
[20] V.S.
SERGEEV, Saggi sulla storia di Roma
antica, I, cit., 41 (enfatizzato da Sergeev) (Сергеев
В.С. Указ. соч.
Т. 1. С. 41; выделено
В. С.
Сергеевым). Cfr. la
descrizione analogica nella Politica
di Aristotele: Aristoteles Politica, 1, p. 1259: «il despota ha
avuto con i suoi sudditi gli stessi rapporti di un capo famiglia con i suoi
figli».
[21] Sulle
direzione di rapporti: É. BENVENISTE, Dizionario
dei termini sociali indo-europei, cit., 264: «Studiando parole relative
alla descrizione di potere regio nello greco antico, è possibile osservare che
nei verbi e sostantivi, nello quali esprime l'idea di ‘regnare’, c’è un
rapporto unidirezionale: i verbi principali sono formati dai sostantivi, ma non
viceversa».
[22] È
evidente che λαός ossia
‘la comunità masculine e militare’, i. e. la quella che non include tre gruppi:
anziani, donne e bambini: É. BENVENISTE, Dizionario,
cit., 295, 296.
[23] Qui e poi vediamo che Omero non distingue già la forma
primordiale, i. e. ʷάναξ (il re o il capo di tribù) e la forma successiva di βασιλεύς (il capo
della gens).
[24] D.M.
PETRUŠEVSKI, La società e lo Stato di
Omero, Mosca 1913, 8 (Петрушевский
Д.М. Общество
и
государство
у Гомера. М., 1913. С.
8).
[27] Sui
rapporti tra la τιμή e il potere regio, tra τὸ γέρας e l’autorità degli anziani: É.
BENVENISTE, Dizionario, cit.,
269-276.
[28] Il
problema del componente giuridico di quel verbo è stato ben studiato: É.
BENVENISTE, Dizionario, cit., 264–268
(il capitolo Il potere regio, spec.
268). Cfr. i frammenti così analogici al commento di Servio Onorato sulla
situazione in Etruria (Servius Hon., Verg.
Aen. 8.475): nam Tuscia duodecim
lucumones habuit, id est reges, quibus unus praeerat. E ancora: propter duodecim populos Tusciae, duodecim
enim lucumones, qui reges sunt lingua Tuscorum, habebant (Servius Hon., Verg. Aen. 2.278).
[29] È rappresentativa
una collezione caratterizzante di quelle società analoghe del Mediterraneo
anche in periodo dal XVI a l’inizio del XIX secoli d.C. mostrata nel libro: F.
BRAUDEL, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II (9 éd.) [Parte 1: Il ruolo
dell'ambiente], Mosca 2002, 51 (Бродель
Ф.
Средиземное
море и
средиземноморский
мир в эпоху
Филиппа II. М., 2002. Ч.
1: Роль среды. С.
51 и сл.).
[30] Sui
rapporti tra il termine δική e la
formula processuale (la dichiarazione formale) indicò É. BENVENISTE, Dizionario, cit., 304–305. Il termine δική ha
gradualmente liberato dal componente etico (‘l’equità / giustizia’),
significando poi proprio ‘il diritto’.
[32] M.J. GARCÍA GARRIDO, Proceso arcáico y legis actiones (a
propósito de las ‘Recherches’ de Lévy-Bruhl),
in Studia et Documenta Historiae et Iuris
– SDHI 1961, P. 352 sgg.
[34] Nemirovski
(A.I. NEMIROVSKI, Etruschi: dal mito alla
storia, Mosca 1983, 191), citando l’articolo di Pfiffig (A. PFIFFIG, Religio Etrusca, Graz 1975, 263), deduce il termine pregreco *τύραννος <
anatolico *turanna, i. e. «l’amministratore,
datore dei beni» dalla radice indoeuropea commune *tur- , i. e. ‘dare’.
[35] Lo
studio speciale su potere reale in società primitive: A.M. HOCART, Kingship, London 1927, Chap. 7. «Hocart ha più volte sottolineato
che il re è una parte del sistema amministrativo solo nella fase avanzata di
sviluppo, ma in precedenza il re gioca un ruolo puramente simbolico» – dice
l’etnologo armeno Levon Abramian: L.A. ABRAMIAN, La festa primitiva e la mitologia, Yerevan 1983, 43 (Абрамян
Л.А. Первобытный
праздник и
мифология.
Ереван, 1983. С. 43).
[36] Notiamo
che i primi tre volumi del Dizionario
di Abaev sono editi prima dell’anno 1980, i. e. per qualche anno prima del libro di A.I. Nemirovski
(dell’anno 1983), ma l’ultimo Autore non ha preferito inspiegabilmente citare
questo Dizionario.
[37] V.I.
ABAEV, Dizionario storico-etimologico
della lingua osseta, 3, Leningrado 1978, 275 sgg. (Абаев
В.И. Историко-этимологический
словарь
осетинского
языка. Л., 1978. Т. 3. С. 275 и сл.).
[38] F.W. THOMAS, H. BEVERIDGE,
Tarkhān and Tarquinius, in Journal of the Royal Asiatic Society of the
G. Britain and Ireland Januar 1918, 122–123; April 1918, 314–316.
[39] L. ZGUSTA, Kleinasiatische Personennamen, Prag 1964, 489: l'elenco dei nomi di
persona con una radice ‘Tarc(h)-’ ha 23 variazioni.
[41] V.V. IVÁNOV, I dati nuovi sul rapporto tra la tradizione scritta liciaca dell’Asia
Minore, etrusca e romana. La designazione dei numeri, in Il messaggere della storia antica 3,
1982, 200 (Иванов
Вяч.Вс. Новые
данные о
соотношении
малоазиатской
ликийской,
этрусской и
римской
письменных
традиций.
Обозначение
чисел // ВДИ. 1982. № 3.
С. 200). Cfr.: R. GUSMANI, Il
lessico ittito, Napoli 1968, 79-80.
[42] E.M.
ŠTAERMAN, Alcune
nuove ricerche italiane della storia socio-economica della Roma antica,
in Il messaggere della storia antica
3, 1982, 151 (Штаерман
Е.М. Некоторые
новые
итальянские
работы по социально-экономической
истории
древнего Рима
// ВДИ. 1982. № 3. С. 151).
[43] Servius Hon., Verg. Aen. 9.272: Mos fuerat,
ut viris fortibus sive regibus pro honore daretur aliqua publici agri
particula, ut habuit Tarquinius
Superbus in campo Martio –
«Fu da tempo l’usanza di fornire per gli
uomini forti o per i re, come premio onorario, uno piccolo terreno nel campo
pubblico, che ha avuto Tarquinio il Superbo nel Campo Marzio». Per esempio: Ya.V. MELNICHUK, La nascita della Censura Romana. Lo studio
sulla tradizione antica nell’ambito della storia di amministrazione civica di
Roma, Mosca 2010, 172–174 (Мельничук
Я.В. Рождение
римской
цензуры:
Исследование
античной
традиции в
области
истории
гражданского
управления
Древнего
Рима. М., 2010. С. 172–174).
[44] V.S.
SERGEEV, Saggi sulla storia di Roma
antica, I, cit., 36 (sottolineato dallo stesso Sergeev).
[45] V.S.
SERGEEV, Saggi sulla storia di Roma
antica, I, cit., 14, 19 e 20; J.J. BACHOFEN,
Die Sage von Tanaquil. Eine
Untersuchung über den Orientalismus in Rom und Italien, Heidelberg 1870. Il nome femminile popolare Θanaχvil < Θana-aχvil, i. e. ‘il dono per la dea Tana’.