Diritto e cultura: un ‘dialogo’ attraverso le pagine di
un libro*
Professore
aggregato di Diritto penale
Università di Sassari
*
Convegno di presentazione del libro I sentieri del giurista sulle tracce
della fraternità, a cura di Adriana Cosseddu (Giappichelli Editore), Università di
Napoli Federico II, 16 maggio 2017.
Imponenti colonne ai margini della scalinata che troneggia nella
pubblica via si ergono quale segno, al contempo, di una storia e di una
presenza che ancora oggi, nella città di Napoli, è rappresentata
dall’Università degli studi Federico II. L’arte con la sua bellezza conduce chi
vi accede in ambienti altrettanto solenni, quasi a sottolineare che la cultura merita di salire in cattedra nella
pluralità dei saperi.
Questa la cornice che il 16 maggio scorso ha ospitato il Convegno
per la presentazione del libro, edito dalla Giappichelli nel 2016, I sentieri del giurista sulle tracce della
fraternità. Ordinamenti a confronto
(a cura di A. Cosseddu). Interventi
di professori, magistrati, avvocati hanno trovato nel prof. Francesco Paolo Casavola, Presidente
emerito della Corte costituzionale, una presidenza particolarmente
significativa per l’impronta storico-giuridica, che in un ampio excursus ne ha caratterizzato la
relazione introduttiva.
In apertura, un richiamo all’oggetto della
ricerca, che vede nella fraternità un
tema di certo antichissimo, riproposto alla nostra contemporaneità. In tal
senso diventa ineludibile la citazione dell’art. 1 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, che recita: «Tutti gli uomini nascono liberi
ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e
devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Il prof. Casavola
ne sottolinea la valenza quale stato emotivo, nel bisogno di essere fratelli
gli uni degli altri, ma quale il modo? Esserlo rispetto alla dignità e in
considerazione dei diritti, ambito nel quale ragione e coscienza si pongono
come endiadi che non si può spezzare. Eppure all’epoca, nel secondo dopoguerra,
si tratta di una novità: come si fa a dire siamo fratelli? La Commissione,
impegnata nella stesura della Dichiarazione del 1948, lavorò intensamente per
due anni, e non mancò di certo l’influenza del pensiero di Jacques Maritain.
Arrivò a emergere la persona come
“fulcro”, la persona che è tale
perché si spende per gli altri. È il sopraggiungere di quella tappa che, nella
sua criticità, il prof. Casavola raccoglie nell’espressione: avvicinare i valori alla tecnica giuridica.
Da qui la lettura penetra nel percorso storico fino alle
Costituzioni francesi, che già nel testo del 1793 e poi nel successivo del 22
agosto 1795 introducono con la reciprocità
quello che per Casavola costituisce il dato tipico della fraternità. Anzi, nel secondo dei Testi citati, la stessa si pone
quale dovere: «Tutti i doveri
dell’uomo e del cittadino derivano da questi due principi, dalla natura
impressi in tutti i cuori: “Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse
fatto a voi. Fate costantemente agli altri il bene che voi vorreste ricevere”».
Ma la fraternità,
lascito cristiano, che pure nella stessa libertà
attiva, quale potere che appartiene all’uomo, rinvierebbe a una società
fraterna, nel cammino della storia si chiude in un luogo e assume una misura: sta all’interno delle mura della città e
tra persone legate fra loro. Ne segue la frantumazione, così descritta dal
prof. Casavola, attraverso l’idea del territorio
contro la fraternità, mentre la stessa felicità del singolo poteva essere
sognata, ma non dentro le strutture sociali. Si ergono gli Stati e “lo Stato
non nasce buono!”. Una considerazione, quest’ultima, che parrebbe spiegarne i
poteri autorizzativi e suscitare un interrogativo: come è potuto accadere, se
gli altri, rispetto agli uomini dello Stato, sono tanti di più? Si creavano
progressivamente grandi super-individui,
cioè le Nazioni, e da qui la frantumazione terribile del potere in Europa.
Emerge lo Stato che nasce con l’idea della artificiosità, della potenza
fino a che, abbandonata ogni espansione pacifica verso il resto del mondo,
prende vita il dominio da parte degli Stati europei. Si aggravò così nel tempo
l’insuperabilità delle diversità
etniche, mentre il conflitto dal rapporto tra gli Stati passa, ed è storia dei
giorni nostri, ai conflitti fra le
culture!
Da una cornice volta al passato e quasi in una autentica lectio magistralis, il prof. Casavola torna all’oggi per evidenziare come
sia fondamentale “entrare a partecipare degli eventi con la fraternità”, con il
“coraggio di esperienze paradossali”!
Nell’avviarsi alla conclusione non manca un suo richiamo al
contributo che nel libro, oggetto del Convegno, rilegge la fraternità
nell’orizzonte anche del mondo anglosassone, attraverso la figura del “buon samaritano”.
Questi, annota Casavola, era uno straniero nemico e diventa il simbolo di una fraternità che va oltre la famiglia, la
lingua, la razza…
Ma potrebbe nascere una norma che la impone? Si tratterebbe
piuttosto di una cooperazione spontanea, una pratica che deve nascere da sé,
mentre la comunità dovrebbe essere riletta in maniera molto più estesa e il
diritto farsi impegno in itinere da
rinnovare. Forse è questo l’orizzonte che può consentire di realizzare rapporti
nella fraternità.
Gli interventi si susseguono e la pluralità di voci, che trovano
l’ascolto di un’attenta platea, fa emergere ancora la possibilità di rileggere
il principio di fraternità come “chiave di interpretazione delle norme”, mentre
il prof. Angelo Abignente pone una
domanda, cara a Stefano Rodotà: ma la fraternità
coincide con la solidarietà? Il prof. Abignente la definisce un oltre, incommensurabile e costruita sull’esperienza, ma carica di un
contenuto che si fa cura e garanzia.
Il dialogo nell’Aula Pessina dell’Università Federico II volge al
termine, anche se pare guardare verso nuovi e ulteriori spazi, nei quali i
soggetti propri del diritto, gli ordinamenti e le tradizioni giuridiche dei
diversi Paesi possano aprirsi a un confronto oltre ogni conflitto. Del resto,
spiega la curatrice, in fondo il
percorso di ricerca sulle tracce della fraternità vuol essere un po’ l’eco
delle parole di Marcel Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma
nell’avere nuovi occhi”[1].