Si
pubblica, col consenso dell’Autore e dell’Editore, il Capitolo I (L’evoluzione della disciplina dei servizi
aerei) della monografia di GIOVANNI PRUNEDDU, Le compagnie low cost tra disciplina dei
servizi aerei e tutela dell’utente, Roma, Aracne Editore, 2017, pp.
X-150. ISBN 978-88-255-0412-5
Giovanni Pruneddu
Università di Sassari
L’evoluzione della disciplina dei servizi aerei
Sommario: 1. Servizi
aerei «di linea» e «non di linea». – 1.1. Trasporto
aereo low cost e servizi aerei di
linea. – 1.2. La
distinzione tra servizi aerei di linea e servizi aerei non di linea. – 1.3. Il
regime dei servizi aerei di linea. – 1.4.
I servizi aerei non di linea come alternativa economica alle compagnie aeree
tradizionale. – 2. Cabotaggio
e servizi internazionali. – 3. Gli
effetti di deregolamentazione e liberalizzazione del trasporto aereo. – 3.1. Gli
accordi bilaterali. – 3.2. Le
sentenze della Corte di giustizia del 2002 e le nuove competenze della
Commissione. L’accordo «Open Sky Plus». – 4. Requisiti
di nazionalità, la licenza di esercizio ed il certificato di operatore aereo. – 4.1. I
requisiti di nazionalità. – 4.2. La
licenza di esercizio e il certificato di operatore aereo.
I traffici aerei, sulla scìa di quanto avvenuto per quelli marittimi, si sono sviluppati in due diverse direzioni. Agli albori dello sviluppo dell’aviazione, era principalmente, se non soltanto, il trasporto di linea ad essere preso in considerazione dal legislatore. Il panorama diffuso era quello dell’affidamento dei servizi di linea, su basi tendenzialmente esclusiva, a compagnie aeree, frequentemente sotto il controllo pubblico (le c.d. «compagnie di bandiera»). Anche perché mentre si considerava il ruolo strategico e di prestigio nazionale dell’attività non se ne intravedeva la potenzialità economica: l’aereo non sembrava destinato a soppiantare i mezzi di trasporto tradizionali, non era idoneo a trasferire grandi flussi di merci (potendo essere considerato come valida soluzione soltanto per merci di volume e peso limitati ma con valore solitamente elevato) e proprietà e gestione pubblica caratterizzavano anche l’assetto delle infrastrutture necessarie alla navigazione aerea ad iniziare dalla navigazione aerea. Anche per quanto riguarda i passeggeri il trasporto aereo è apparso per molti lustri come una soluzione poco economica; un cambiamento di attitudine ha iniziato a manifestarsi con la crisi petrolifera degli anni sessanta del secolo scorso, che ha determinato il definitivo abbandono dei servizi marittimi transoceanici, mentre iniziavano a diffondersi nelle flotte delle compagnie aeree gli apparecchi wide-body (aerei a doppio corridoio), con maggiore capacità di carico e autonomia, in grado di compiere senza scalo la traversata atlantica. In contemporanea, si iniziava ad affacciare l’esigenza di superare il regime di esclusivo finanziamento pubblico delle infrastrutture aeronautiche, con l’affermarsi del principio «user pays». Per ancora qualche tempo, fino all’accelerazione impressa dall’avvento delle politiche di liberalizzazione[1], l’assetto di base dell’industria del trasporto aereo è rimasta comunque essenzialmente la medesima: almeno in Europa per la proprietà delle compagnie aeree che operavano i servizi di linea su basi sostanzialmente di esclusività, in un quadro di rigida regolamentazione; per la proprietà e la gestione degli aeroporti; per i servizi essenziali alla navigazione aerea prestati in forma amministrativa. Il ruolo dei servizi non di linea originariamente, era relegato, come si vedrà, al trasporto di gruppi precostituiti di passeggeri[2].
In ambito aeronautico distinguiamo, non agevolmente[3], tra servizi aerei «di linea» (scheduled flights)[4] e servizi aerei «non di linea», c.d. servizi «charter»[5]. Come si avrà modo di verificare, quelli a cui ci si riferisce oggi come «servizi aerei low cost» rientrano sicuramente nella prima categoria (quella dei servizi aerei di linea). Tuttavia, sembra interessante osservare che, in qualche misura, l’offerta dei servizi aerei low cost si è parzialmente sovrapposta a quella dei c.d. «voli charter», come effetto del processo di liberalizzazione che ha riguardato il trasporto aereo. Occorre infatti tenere conto che, a seguito del superamento delle barriere all’accesso al servizio da parte di singoli passeggeri, al di là dei gruppi precostituiti, i servizi aerei charter avevano costituito la prima risposta alla domanda di trasporto aereo a tariffe più economiche di quelle praticate da quelle che allora erano le «compagnie di bandiera»[6]; ovvero operavano proprio (anche) in quella fascia di mercato in cui si sono inserite le compagnie low cost[7].
La convenzione di Parigi del 13 ottobre 1919 [8] non prevedeva alcun riferimento alla distinzione tra servizi aerei «di linea» e servizi aerei «non di linea», diversamente che nel testo della convenzione sull’aviazione civile internazionale, sottoscritta a Chicago il 7 dicembre 1944 [9].
Nel diritto privato uniforme, la distinzione sembrerebbe essere stata presupposta dalla convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 «sull’unificazione di alcune regole in materia di trasporto aereo»[10]. Quest’ultima (che oggi ha un ruolo marginale, in quanto trova applicazione nella misura in cui non sia superata dalla successiva convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 «sull’unificazione di alcune regole in materia di trasporto aereo internazionale»)[11] disciplina, ai sensi del suo art. 1, § 1, i trasporti aerei internazionali[12] a titolo oneroso, ed anche quelli senza corrispettivo, purché operati da un’impresa di trasporto aereo. La distinzione tra i trasporti aerei «di linea» e quelli «non di linea» sarebbe stata racchiusa nel suo art. 34 [13], che, sanciva l’inapplicabilità delle norme della convenzione medesima ai trasporti aerei internazionali operati da imprese di navigazione a titolo di esperimento o di «primo tentativo» allo scopo di istituire linee regolari[14].
Tale disposizione è stata successivamente emendata[15] dall’art. 16 del protocollo dell’Aja del 28 settembre 1955 [16]. Il testo emendato si limitava a rendere inapplicabili alla categoria dei voli così individuati le sole norme della convenzione relative alla documentazione del contratto di trasporto[17]. Sulla stessa linea si pone l’art. 51 convenz. Montreal 1999. Conseguentemente né nel testo novellato di Varsavia né in quello di Montreal si rinvengono disposizioni che possano rivelare la volontà del legislatore di diritto uniforme di voler sottrarre i servizi aerei non di linea (come potrebbero essere i voli charter) dall’applicazione della disciplina adottata con tali convenzioni.
La questione appare più articolata nella convenzione di Chicago del 1944. Al capo II della stessa convenzione viene dettata la disciplina del sorvolo[18] del territorio degli Stati contraenti e all’art. 5, si richiamano i servizi aerei «non di linea» (non-scheduled flight) come quelli in cui gli aeromobili non siano impiegati in servizi internazionali registrati «being aircraft not engaged in scheduled international air services»[19], in contrapposizione ai servizi di linea, cosiddetti «regolari»[20], che sono indicati come i servizi internazionali registrati.
In realtà la convenzione di Chicago in quanto tale non offre una chiara distinzione tra le due tipologie di servizi aerei[21], lasciando ampio spazio alla prassi applicativa, cosicché i singoli Stati contraenti hanno cercato di definire autonomamente la linea di confine tra queste due categorie[22]. L’inevitabile conseguenza, che certamente non avrebbe potuto considerarsi auspicabile, è stata la disuniformità dell’ambito delle categorie coinvolte in ciascun ordinamento.
Il codice della navigazione del 1942 già conteneva in nuce elementi utili per delineare la distinzione tra le due tipologie di «servizi aerei», attraverso la contrapposizione semantica tra trasporto «di linea» e «discontinuo od occasionale», che, nella parte II, si rinveniva nell’intestazione dei capi I («trasporto aereo di linea») e II («trasporto di passeggeri e di cose a carattere discontinuo od occasionale») del libro I, titolo VI («Dell’ordinamento dei servizi aerei»)[23]. Su tali basi, almeno per quanto concerne la disciplina italiana, si è indicata la regolarità del servizio come criterio caratterizzante dei servizi di linea[24]. Si è puntualizzato, del resto, come il termine «trasporto di linea», utilizzato dal legislatore nazionale, anche «nel linguaggio comune implichi il concetto di trasporti ripetuti su itinerari fissi ed in base ad orari prestabiliti»[25].
L’odierna disciplina nazionale dei servizi aerei deriva dalla riforma della parte aeronautica del codice del 2005-2006 [26]. Anche nella versione vigente, il codice della navigazione italiano si limita a presupporre la distinzione fra i servizi aerei «di linea» e servizi aerei «non di linea», senza però darne una definizione[27].
Mentre è mantenuta l’intestazione del titolo VI («Dell’ordinamento dei servizi aerei»), i capi I e II sono intitolati, rispettivamente, «Dei servizi aerei intracomunitari» e «Dei servizi aerei extracomunitari», mentre al «[…] lavoro aereo» continua ad essere dedicato il capo III. Coerentemente con il contesto Ue, ed in particolare con il quadro oggi delineato dal reg. Ce n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità[28] (su cui si avrà modo di tornare nel prosieguo), nell’ambito intracomunitario, l’art. 776 c. nav. assoggetta i servizi aerei di linea e quelli non di linea al medesimo regime, riservandoli ai vettori aerei che abbiano ottenuto una licenza di esercizio ed un certificato di operatore aereo[29].
In quello che è oggi il contesto normativo dell’Unione europea, per quanto concerne il concetto di servizio aereo «di linea», non si può prescindere dalla definizione, a suo tempo offerta dall’art. 2, lett. d), del reg. Cee 23 luglio 1992 n. 2408/92 sull’accesso dei vettori aerei dell’allora Comunità europea alle rotte intracomunitarie[30], nel c.d. «terzo pacchetto» comunitario sui trasporti aerei[31]; definizione che ha ispirato quella recata dal vigente reg. Ce n. 1008/2008, all’art. 2, § 16. Secondo quest’ultima, il servizio aereo di linea deve presentare le seguenti caratteristiche: «a) su ogni volo sono messi a disposizione del pubblico posti e/o capacità di trasporto di merci e/o posta per acquisti individuali (direttamente dal vettore aereo o tramite i suoi agenti autorizzati);
b) i voli sono effettuati in modo da assicurare il collegamento tra i medesimi due o più aeroporti:
– in base a un orario pubblicato, oppure
– con regolarità o frequenza tali da costituire una serie sistematica evidente»[32].
Neanche nel reg. Ce n. 1008/2008 si rileva una netta contrapposizione fra il regime giuridico dei servizi di linea e quello dei servizi non di linea, salvo per quanto concerne la possibilità di imposizione sui primi degli oneri di servizio pubblico, ai sensi dell’art. 16 [33].
Va tenuto conto della disciplina del codice civile in tema di pubblici servizi di linea. Si pone, in particolare, la questione se l’art. 1679 c.c. sia applicabile anche al trasporto aereo[34] e se il venir meno del regime concessorio per tale trasporto (come per altri) abbia portato alla virtuale inapplicabilità della norma, oppure se essa debba essere interpretata in via estensiva, con soluzione che sembra doversi far propria, anche con il conforto della più autorevole dottrina[35]. Come è stato puntualizzato, «la norma va riletta alla luce dell’attuale contesto organizzativo dei servizi di trasporto conformemente alle modifiche normative interne e ai recenti principi comunitari»[36]. E, nella misura in cui, come sembra, l’art. 1679 c. civ. sia applicabile al trasporto aereo, sarà nello specifico da ritenersi applicabile anche ai servizi aerei low cost, che rientrano, come si è anticipato, nella più vasta categoria dei servizi aerei di linea.
A differenza di quanto si è visto per i servizi aerei intracomunitari, anche in ragione del quadro normativo internazionale, ma tenendo conto dei vincoli che derivano dall’appartenenza all’Unione europea, nella disciplina del successivo capo II «servizi aerei extracomunitari», il codice della navigazione detta due distinte previsioni per i servizi aerei «di linea» (art. 784 ss. c. nav.) e per quelli «non di linea» (art. 787 c. nav.).
Per quanto concerne i servizi di linea, l’art. 784 c. nav. richiama gli accordi bilaterali di traffico aereo[37]: «Fatte salve le competenze dell’Unione europea in materia di stipulazione di convenzioni internazionali di scambio di diritti di traffico, i servizi di trasporto aereo di linea di passeggeri, posta o merci che si effettuano, in tutto od in parte, all’esterno del territorio comunitario, sono disciplinati da accordi internazionali con gli Stati in cui si effettuano, la cui autorità per l’aviazione civile abbia un sistema regolamentare di certificazione e di sorveglianza tecnica per lo svolgimento dei servizi di trasporto aereo atta a garantire un livello di sicurezza conforme a quello previsto dalla convenzione internazionale per l’aviazione civile stipulata a Chicago il 7 dicembre 1944, resa esecutiva con d. lgs. 6 marzo 1948 n. 616, ratificato con la l. 17 aprile 1956, n. 561». L’art. 787 c. nav. richiama espressamente il principio della libera concorrenza e la finalità di assicurare il «massimo livello di qualità del servizio», impegnando comunque l’ENAC al rispetto del principio di trasparenza non discriminazione nella distribuzione delle rotte.
Come si avrà modo di precisare nel prosieguo, la giurisprudenza della Corte di giustizia prima, e poi lo stesso legislatore comunitario hanno profondamente inciso sulla posizione degli Stati Ue rispetto agli accordi bilaterali. In conseguenza di tali interventi, gli accordi di traffico aereo su alcune rotte particolarmente rilevanti da un punto di vista economico, a partire da quelle sul Nord-Atlantico, sono stati sottratti al potere di negoziazione dei singoli Stati membri. Per ora, può incidentalmente rilevarsi che, almeno nell’attuale fase evolutiva, su questi ultimi collegamenti, su cui pure a suo tempo si erano svolte alcune delle esperienze pionieristiche di concorrenza alle compagnie aeree tradizionali, non ci sia una presenza rilevante delle compagnie a basso costo europee[38], sebbene non manchino significative eccezioni che, però, non hanno toccato fino ad oggi gli scali italiani.
I servizi non di linea sono ammessi dall’art. 787 c. nav. sulla base del principio di reciprocità[39]. Tale disciplina è coerente con l’impostazione della convenzione di Chicago del 1944 sulla sovranità dello Stato sul proprio spazio aereo e sui relativi corollari in tema di servizi non di linea, espressi con l’art. 5 [40].
Prima della riforma della parte aeronautica del codice della navigazione, la differenza di disciplina dei servizi aerei di linea e quella dei servizi aerei non di linea era sicuramente più marcata[41]. In effetti, soltanto i primi erano assoggettati a concessione[42], mentre per gli altri era prevista una semplice licenza[43].
D’altra parte, come si è già anticipato, anche da un punto di vista operativo, la linea di demarcazione tra servizi aerei di linea e servizi aerei non di linea si sta progressivamente affievolendo[44]. A questo riguardo, sembra interessante ricordare come di low cost si era iniziato a parlare a proposito dei servizi offerti dalle compagnie aeree che operavano nel settore charter e, quindi, sostanzialmente nel mercato dei voli non di linea. A suo tempo, nell’ottica di promuovere una maggiore accessibilità del trasporto aereo, erano state allentate le maglie dei vincoli alla attività di tali compagnie; quando, finalmente, la deregulation statunitense[45], a seguito dell’adozione dell’Airline Deregulation Act del 1978 [46] e la liberalizzazione europea permisero l’ingresso di nuovi operatori sul mercato dei servizi aerei di linea, accanto ed in concorrenza a quelle imprese che vi avevano operato fino a quel momento sostanzialmente in regime di monopolio, o (sulla base degli accordi bilaterali) di duopolio nel caso dei servizi aerei internazionali, i primi tentativi di approfittarne furono posti in essere proprio dalle compagnie che già operavano nel settore del charter, sia pure con risultati economici a dir poco non soddisfacenti.
Oggi, almeno nell’uso comune, quando si parla di «low cost», si allude a servizi di linea, sia pure operati, come si avrà modo di vedersi nel prosieguo, sulla base di schemi operativi che divergono da quelli delle compagnie tradizionali; ciò non toglie che i voli charter, quanto meno nella misura in cui siano accessibili direttamente agli utenti, possano costituire un’alternativa, almeno in determinati casi, a quella delle compagnie low cost, con le quali possono eventualmente entrare in concorrenza.
D’altro canto, se è vero che una larga parte dei voli charter consente di offrire il trasporto a tariffe convenienti nell’ambito di viaggi organizzati o pacchetti turistici[47], è altrettanto vero che, frequentemente, fra le attività collaterali delle compagnie low cost, si registri anche quella dell’offerta di servizi da integrare al nudo trasporto, anche in coincidenza e nell’ambito della prenotazione ed acquisto di quest’ultimo. La questione trascende le finalità di questo studio, ma è appena il caso di osservare quante e quali problematiche di carattere giuridico, in particolare rispetto alle responsabilità che possano essere assunte dal vettore anche low cost, nell’offrire o comunque promuovere, in particolare attraverso i loro portali di vendita on-line, tali ulteriori servizi, ad iniziare da quelle legate all’applicazione della dir. Cee del 13 giugno 1990 n. 90/314, a cui oggi è data attuazione dell’ordinamento italiano attraverso il codice del turismo[48]. Il legislatore euro-unitario ha di recente riordinato la materia con la dir. 2015/2302/Ue il cui recepimento da parte degli Stati membri dovrà avvenire entro il primo gennaio 2018 e che incede direttamente sul tema. Tale direttiva ha previsto accanto a quella dei pacchetti turistici, una disciplina ad hoc dei servizi turistici «collegati agevolati da un professionista» che sembrano potersi riferire appunto alla prassi di pubblicizzazione dei servizi di attività di altri operatori turistici seguita nei portali delle compagnie aeree; rispetto ad essi sussistono comunque gli obblighi di protezione in caso di insolvenza e di informazione di cui all’art. 19 della stessa direttiva.
A tale riguardo si deve sicuramente ricordare la giurisprudenza della Corte di giustizia circa le modalità con le quali può dirsi offerto un «pacchetto turistico», piuttosto che un singolo «servizio»: in effetti, va sottolineato come la Corte di giustizia a suo tempo abbia chiarito che la «prefissata combinazione» ai sensi dell’articolo due, punto uno della direttiva in questione, vada intesa nel senso di includere nella nozione le combinazioni di servizi turistici assemblate al momento stesso in cui viene stipulato il contratto tra l’agenzia di viaggio ed il cliente[49].
Un’altra
premessa rilevante per affrontare il tema in esame è la summa divisio tra i servizi aerei di cabotaggio[50] e
quelli internazionali.
L’art. 7, § 1,
convenz. Chicago[51],
sulla base di un’analoga impostazione seguita in campo marittimo («riserva di
cabotaggio»)[52],
e sulla scia dell’art. 16 convenz. Parigi del 1919 [53],
consente agli Stati di riservare i servizi aerei fra due punti del proprio
territorio agli aeromobili iscritti nei propri registri[54];
nondimeno, il medesimo art. 7, § 1, con la previsione immediatamente
successiva, fa divieto di concedere tale diritto su base esclusiva agli
aeromobili di un altro Stato[55],
inducendo alcuni a parlare di scambio su base multilaterale di una clausola di
«Nazione più favorita»[56].
D’altra parte, ad una sua interpretazione rigida ha ostato anche la pratica
delle compagnie aeree multinazionali, operanti anche servizi di cabotaggio nell’ambito
degli Stati di riferimento, con aeromobili immatricolati in uno qualsiasi degli
Stati partner[57].
Di tale norma, nella prassi applicativa, è prevalsa comunque l’interpretazione
secondo la quale essa non sarebbe stata di ostacolo all’attribuzione del
diritto di cabotaggio a più di uno Stato, senza generalizzarla nei confronti di
tutti quelli parte della convenzione[58].
Nel quadro del
sistema generale della convenzione di Chicago del 1944, la regolamentazione
delle singole rotte di collegamento è lasciata ai Paesi interessati mediante il
ricorso agli accordi bilaterali. Come si è visto la convenzione di Chicago del
1944 si fonda sul presupposto della sovranità dello Stato sul proprio spazio
aereo, così come sancito dal combinato degli artt. 1 e 2 [59].
Il principio
della sovranità era già stato affermato nel nostro ordinamento dall’art. 3 c.
nav., e ciò «non aveva costituito un serio ostacolo allo sviluppo delle imprese
di trasporto», considerato che «non ha mai comportato la riserva della gestione
da parte dell’apparato burocratico dello Stato, ma si è tradotto in una
accentuata forma di programmazione e di controllo»[60].
All’affermazione
del principio di sovranità fanno seguito le norme inerenti il sorvolo del
territorio degli Stati contraenti effettuato da aeromobili di altri Stati
aderenti alla convenzione. Il diritto di sorvolo e quello di atterraggio a fini
non commerciali rappresentano le c.d. prime due libertà dell’aria[61],
definite nella prassi come libertà «tecniche» e garantite dall’art. 5 della
stessa convenzione di Chicago agli aeromobili degli Stati contraenti che non
siano impiegati in servizi aerei internazionali registrati, sono così definite
in quanto relative alla navigazione aerea nei suoi aspetti tecnici, cioè il
sorvolo di altri Stati e la sosta nei loro aeroporti per motivi inerenti al
volo (rifornimento carburante, riparazioni, e così via), si contrappongono a
quelle cosiddette commerciali, tali perché hanno ad oggetto il trasferimento di
persone, posta e merci da uno Stato ad un altro. Lo stesso art. 5, al § 1
sancisce che «tuttavia, ogni Stato contraente si riserva il diritto di esigere,
per ragioni di sicurezza di volo, che gli aeromobili coi quali si vogliono
sorvolare regioni inaccessibili o prive d’impianti e servizi idonei di navigazione
aerea, seguano la rotta prestabilita o ottengano un’autorizzazione speciale».
Gli artt. 15 e 28, rappresentano un’ulteriore garanzia delle due libertà
tecniche, e prevedono che «ogni aeroporto di uno Stato contraente e aperto al
pubblico uso da parte dei propri aeromobili nazionali sarà [...] egualmente
aperto alle medesime condizioni agli aeromobili di tutti gli Stati contraenti»
(art. 15 § 1) e che «ogni Stato contraente, nei limiti del possibile,
s’impegna: a) a stabilire, nel proprio territorio, aeroporti, servizi radio,
servizi meteorologici ed altre installazioni per la navigazione aerea al fine
di facilitare la navigazione aerea internazionale [...]» (art. 28).
Si parla,
invece, di libertà commerciali[62]
rispetto al diritto di:
– sbarcare, nel
territorio di uno Stato contraente, passeggeri, posta e merci imbarcati sul
territorio dello Stato di cui l’aeromobile possiede la nazionalità (cosiddetta
terza libertà);
– imbarcare, sul
territorio dello Stato contraente, passeggeri, posta e merci destinati al
territorio dello Stato di cui l’aeromobile possiede la nazionalità (c.d. quarta
libertà);
– imbarcare, sul
territorio di uno Stato contraente, passeggeri, posta e merci destinati al
territorio di qualsiasi Stato terzo assieme al diritto di sbarcate, sul
territorio dello Stato contraente, passeggeri, posta e merci, provenienti dal
territorio di qualsiasi Stato terzo (c.d. «quinta libertà»).
La disciplina
internazionale dei servizi aerei di linea si fonda sull’art. 6 della
convenzione di Chicago[63],
che per lungo tempo ha rappresentato l’unica previsione in materia a livello
multilaterale. In base ad essa, «No scheduled international air service may
be operated over or into the territory of a contracting State, except with the
special permission or other authorization of that State, and in accordance with
the terms of such permission or authorization».
Viceversa, per i
voli non regolari, secondo una tesi ampiamente diffusa[64],
la convenzione di Chicago avrebbe direttamente riconosciuto le libertà
commerciali agli aeromobili di tutti gli Stati contraenti[65].
Questo come conseguenza diretta di quanto sancito dall’art. 5, § 2, ai sensi
del quale: «tali aeromobili, se impiegati nel trasporto di passeggeri, di merce
o di posta dietro compenso o dietro noleggio in servizi aerei internazionali
diversi da quelli registrati, potranno anche, a condizione di osservare le
disposizioni dell’art. 7, avere il privilegio di imbarcare o sbarcare
passeggeri, merce o posta, fermo restando il diritto dello Stato, in cui tale
imbarco o sbarco abbia luogo, di porre quelle norme, condizioni o limitazioni
che ritenga desiderabili»[66].
Una diversa
corrente[67],
basando le proprie tesi sulla seconda parte del menzionato art. 7, ritiene che
il riconoscimento delle libertà commerciali agli aeromobili stranieri impegnati
in voli non di linea sia stato rimesso dalla convenzione del 1944, alla
regolamentazione di ciascun Stato contraente. In effetti, sulla base degli
accordi bilaterali, nella fase dei c.d. «predetermination
agreement», era prevista anche una regolamentazione rigida dei voli charter, mentre per avere un’apertura
agli stessi voli[68],
si è dovuto attendere l’avvento degli accordi «open sky»[69].
Va comunque
osservato come, al di là della parentesi dell’esperienza dei testé menzionati
accordi della fase della «predetermination»,
la maggior parte degli Stati firmatari della convenzione di Chicago sia stata
indotta, anche sulla base delle posizioni adottate dall’ICAO[70],
a non porre rilevanti limitazioni ai servizi charter impiegati in attività inquadrabili tra quelle commerciali
conformemente alla normativa internazionale e «rispondenti alle prescrizioni di
carattere tecnico previste dalla legge nazionale ed aventi caratteristiche tali
da non interferire, sul piano commerciale, con il mercato tipico dei servizi di
linea»[71].
Oltre alla
convenzione-quadro sull’aviazione civile, la conferenza di Chicago del 1944
aveva anche approvato:
a) l’accordo sul
trasporto (Air transport agreement), sulla base del quale avrebbero
dovuto essere scambiate tutte e cinque le libertà dell’aria, che non ha mai
raggiunto il numero di ratifiche necessarie per l’entrata in vigore[72];
b) l’accordo sul
transito (Air transit agreement)[73],
che riconosce le due libertà tecniche ai servizi regolari, con il loro scambio su
base multilaterale, che ha avuto una diffusione tendenzialmente corrispondente
a quella della convenzione di Chicago del 1944 [74];
c) un modello standard di accordo bilaterale di
traffico aereo («Standard Form of Agreement for provisional air routes»)[75].
Nel quadro
determinato dal sistema della convenzione di Chicago, ed in particolare in base
art. 7 [76],
la fonte giuridica dei trasporti aerei di cabotaggio andava cercata essenzialmente
nel diritto interno; per i servizi aerei di linea che, viceversa, non si
esaurivano nell’ambito del territorio e dello spazio aereo di un medesimo
Stato, a seguito del mancato successo dell’accordo multilaterale sul trasporto
aereo[77],
assumeva un rilievo preminente l’accordo sul transito e gli accordi bilaterali
di traffico[78].
Il quadro così
delineato ha subito un’evoluzione a partire dalla già richiamata deregulation statunitense[79] e
dalla liberalizzazione a livello europeo[80],
che ha comportato il definitivo abbandono della riserva di cabotaggio statale
e, soprattutto il venir meno del regime degli accordi bilaterali[81]
fra Stati membri[82].
Ultima tappa, come conseguenza del già ricordato intervento della Corte di
giustizia sullo scambio di diritti di traffico tra alcuni Stati membri e gli
U.S.A., è stata la negoziazione congiunta degli accordi bilaterali più
importanti e comunque la previsione delle c.d. «clausole comunitarie», per gli
accordi negoziati direttamente dai singoli Stati membri. Ciò ha impresso
un’accelerazione al superamento del regime di sostanziale esclusiva delle c.d. ex compagnie di bandiera anche per tali
rotte.
Il ricorso agli
accordi bilaterali (bilateral agreements)
che hanno ad oggetto i servizi aerei di linea internazionali (e, più raramente,
anche quelli non di linea), è stato conseguenza diretta del fallimento dello
scambio multilaterale dei diritti di traffico aereo, che pure era stato sostenuto
con particolare vigore dagli Stati Uniti d’America nella ricordata conferenza
di Chicago del 1944, in cui era stato predisposto il possibile strumento
applicativo con il già ricordato, e del tutto inefficace, Air Transport Agreement[83].
Anche nella
Comunità europea, prima della liberalizzazione sulla base del «terzo pacchetto
comunitario», lo scambio di diritti di traffico aereo fra gli Stati membri
restava assoggettato al sistema degli accordi bilaterali; lo stesso, a fortiori, doveva dirsi per le
relazioni aeronautiche con Stati terzi[84].
Come è noto, originariamente, il trasporto aereo e quello marittimo erano stati
tenuti fuori dal campo di applicazione diretta del Trattato di Roma del 1957,
istitutivo della Comunità economica europea. Ciò non implicava, però,
un’assoluta estraneità al settore dei principi generali del trattato, come
venne puntualizzato con una serie di sentenze della Corte di giustizia, a
partire dalla famosa pronuncia sui «marittimi francesi»[85]. Con tale
decisione, la Corte ebbe a chiarire che a non applicarsi automaticamente ai
trasporti marittimi ed aerei erano soltanto le specifiche norme sui trasporti,
come dettate dal titolo IV dell’originario trattato del 1957, ma restavano
salvi i principi generali del medesimo trattato ed in particolare il principio
di libera circolazione dei lavoratori, di cui all’art. 48 del medesimo trattato
di Roma, sul territorio dell’allora Comunità.
Nelle pronunzie
successive la Corte è dovuta intervenire rispetto ad una regolamentazione
rigida del mercato, che veniva ancora più rigidamente interpretata ed applicata
a livello di ordinamenti interni[86]
Il menzionato
reg. Cee n. 2408/92, costituiva, assieme ai regolamenti n. 2707/92 e n.
2409/92, anch’essi del 23 luglio 1992, e relativi, rispettivamente, al rilascio
delle licenze ai vettori aerei ed alle tariffe aeree per il trasporto di
persone e di merci, il «pacchetto» di misure in cui si è sviluppata la terza e
più marcata fase della liberalizzazione del trasporto aereo in ambito
comunitario, oggi rifuso nel già menzionato reg. Ce n. 1008/2008.
Come conseguenza
della liberalizzazione[87],
che ha portato alla libertà di accesso ai traffici aerei per tutti i vettori
comunitari, si è concretizzato l’abbandono del sistema degli accordi bilaterali
tra Paesi membri della Comunità europea. Il sistema degli accordi bilaterali è
rimasto comunque in piedi per gli accordi tra gli Stati membri ed i Paesi
terzi.
La conferenza di
Chicago del 1944 ha predisposto una tipologia di clausole, meglio note come
clausole tecnico-amministrative, al fine di rendere uniforme quanto più
possibile la regolamentazione contenuta negli accordi bilaterali, contenute nel
c.d. «Standard Form of Agreement for provisional air routes»[88].
Sulla base dello Standard Form of Agreement sono stati introdotti
i principi fondamentali in tema di disciplina tecnica ed amministrativa dei
servizi aerei internazionali di linea, non ha trovato, invece, una soluzione ai
problemi inerenti la regolamentazione della concorrenza, della capacità e delle
tariffe. La regolamentazione di questi ultimi aspetti si è concretizzata con
l’accordo di Bermuda[89],
stipulato l’11 febbraio 1946 tra gli Stati Uniti ed il Regno Unito, c.d.
accordo «Bermuda I».
Per quanto concerne la disciplina tariffaria, l’accordo di Bermuda, riconosceva
ai vettori aerei il potere di iniziativa nella determinazione delle tariffe con
il coinvolgimento dell’International Air Transportation Association
(IATA)[90].
Il ruolo di tale regolamentazione è stato a lungo reso ambiguo dalla
partecipazione pubblica nelle compagnie aeree di bandiera; peraltro è stato a
lungo oggetto di esenzioni antitrust da parte degli USA.
L’entrata in vigore delle tariffe era, secondo la disciplina di questo
accordo, comunque subordinata all’approvazione da parte di entrambi i governi
interessati[91].
Per quanto concerne invece la capacità, era garantita un’equa e
paritaria facoltà per i vettori dei due Stati, designati ad operare su ciascuna
rotta tra i rispettivi territori, senza che venissero posti limiti né alla
cadenza dei voli né alla capienza degli aeromobili utilizzati[92].
A tale proposito veniva previsto esclusivamente un «sistema di controllo ex
post facto da parte delle autorità governative» dei due Stati ([93]).
Gli annessi alla maggior parte degli accordi bilaterali prevedevano una
specifica procedura volta all’identificazione dei servizi che ogni vettore ha
facoltà di istituire e alle relative modalità di attuazione. Per verificare
l’esatta applicazione delle disposizioni di carattere generale insite
nell’accordo, veniva affidato ai governi il compito di effettuare i controlli
sull’attività dei vettori[94].
I primi accordi bilaterali del dopo-guerra, ispirati al «modello di
Bermuda I», non prevedevano un controllo preventivo delle capacità e delle
tariffe. Conseguentemente, le compagnie aeree avevano un ampio margine di
iniziativa, esercitato, di regola attraverso la IATA. È apparso che tale
sistema potesse determinare squilibri sulla possibilità di introitare traffico
da parte di ciascuna delle compagnie designate con riferimento alla concorrenza
sebbene valesse in genere la tendenza delle imprese ad evitare reciproci
comportamenti aggressivi. Si osservava, al riguardo, che «Sulle rotte oggetto
dell’accordo, che sono espressamente individuate, i vettori operano in modo
tale da non danneggiarsi indebitamente, tenuto conto dei loro rispettivi
interessi»[95].
A causa della recessione economica «mondiale» degli anni ‘70 del secolo
scorso, i vettori regolari furono «obbligati» ad aumentare i livelli tariffari,
favorendo così il proliferare dei vettori charter, che si posero, per la
prima volta, in forte concorrenza con i voli di linea.
In tale quadro, si poté assistere ad una rimeditazione delle posizioni
liberistiche di vari Stati, fra cui anche gli Stati Uniti. Fu il terreno che
portò alla conclusione dell’accordo «Bermuda II»[96],
che «iniziò una politica di tendenziale sostituzione dello scambio bilaterale
dei diritti di traffico charter al tradizionale strumento di
riconoscimento unilaterale delle relative libertà commerciali»[97],
con un considerevole innalzamento del livello di intervento delle autorità
pubbliche.
L’esaurirsi di quella fase economica regressiva, portò negli Stati
Uniti d’America, sul piano interno, al superamento delle politiche di controllo
del mercato del trasporto aereo attraverso la deregulation, a cui
corrispose, sul piano delle relazioni aeronautiche internazionali, l’iniziativa
degli Stati Uniti per l’adozione di un modello più liberale di accordo
bilaterale, ovvero i c.d. accordi «Open Sky»[98].
Va tuttavia sottolineato che questi ultimi, nella loro prima elaborazione,
hanno continuato a basarsi sul principio di nazionalità delle compagnie aeree
che operavano i collegamenti. Era cioè richiesto un rigido collegamento di
ciascuna compagnia aerea con lo Stato che la avesse designata, fondato anche
sulla capacità di ottenere l’iscrizione nel registro di quest’ultimo, sul
presupposto della cittadinanza del soggetto fisico o della nazionalità della
persona giuridica titolare del diritto di proprietà (c.d. «substantial ownership and control»). La
fissazione di tali requisiti per poter operare sulle rotte internazionali,
nell’ambito dell’allora Comunità europea, come si vedrà, è stata ritenuta
incompatibile con la libertà di stabilimento riconosciuta dall’art. 48 Tr. Ce
(ora 54 TfUe).
Sulla materia degli accordi bilaterali di traffico aereo stipulati
dagli Stati membri con Stati terzi, hanno avuto un ruolo innovativo le nuove
competenze della Commissione conseguenti, in particolar modo, all’entrata in
vigore del reg. Ce n. 874/2004 [99].
Con quest’ultimo è stata, infatti, prevista la possibilità che la stessa
Commissione venisse delegata a negoziare nonché a sottoscrivere accordi per
conto dell’allora Comunità e degli Stati membri. Un caso per tutti è
rappresentato dall’accordo «Open Sky Plus» con gli Stati Uniti
d’America, firmato il 2 marzo 2007 [100].
Il richiamato reg. Ce n. 874/2004 è una conseguenza quasi scontata
delle otto sentenze[101]
della Corte di giustizia del 5 novembre 2002 inerenti altrettanti accordi
bilaterali di traffico conclusi da Stati membri con gli U.S.A. La Corte di
giustizia, ritenne illegittimi tali accordi ravvisando fra l’altro in essi una
chiara violazione del divieto di limitazione della libertà di stabilimento (ex art. 58 Tr. Cee, poi art. 48 Tr. Ce,
e ora 54 TfUe). Non venne invece accolta la tesi della Commissione che lamentava[102]
una violazione delle proprie supposte competenze. Nonostante la Corte non abbia
accolto i ricorsi della Commissione sotto l’ultimo profilo ricordato, va dato
atto del fatto che grazie alle richiamate otto decisioni si è dato il la al
coordinamento dell’attività degli Stati membri nella conclusione di accordi
bilaterali di traffico.
In questo clima vanno collocate le comunicazioni della Commissione del
2002/03 [103] che sottolineano come i princìpi
affermati dalla Corte di giustizia non avessero ripercussioni solo sugli otto
accordi bilaterali (oggetto delle richiamate sentenze), ma su tutti gli accordi
bilaterali di traffico aereo stipulati fra Stati membri e Paesi terzi. È stato
altresì sottolineato come, sempre in conseguenza delle affermazioni della Corte,
risultasse un obbligo degli Stati membri di denunziare gli accordi bilaterali
che contenessero clausole in conflitto con tali princìpi. Ed è così che, come
risultante di quanto premesso, è stata riconosciuta l’esigenza che gli accordi
bilaterali di maggiore rilievo venissero
negoziati dalla Commissione per conto di tutti gli Stati membri.
Il Consiglio dei
Ministri dei trasporti dell’allora Comunità adottò una decisione datata 5
giugno 2003 grazie alla quale la Commissione veniva autorizzata a negoziare con
gli USA un accordo volto a creare uno «“spazio aereo senza frontiere” in
sostituzione dei cosiddetti accordi “cieli aperti”, nonché di altri accordi più
restrittivi concordati bilateralmente con gli Stati membri»[104].
Conseguenza di questa catena di provvedimenti, come anticipato, è stata
l’emanazione del richiamato reg. Ce n. 874/04.
Le libertà dell’aria, come del resto le libertà di navigazione marittima
sono riconosciute non al singolo individuo, ma agli Stati[105].
L’esercizio di tali libertà richiede l’impiego di navi ed aeromobili che
presentino un particolare collegamento (la «nazionalità») con gli ordinamenti degli Stati[106].
Tale collegamento, per gli aeromobili, è determinato dall’iscrizione nel
registro di uno Stato (art. 17 convenz. di Chicago 1944)[107].
La nazionalità di un aeromobile è attestata dal c.d. certificato d’immatricolazione
(nel nostro ordinamento disciplinato dall’art. 755 c. nav.). Nel sistema della
convenzione di Chicago, mentre è prevista la possibilità del mutamento
di nazionalità, dall’altra è categoricamente esclusa dall’art. 18 della stessa
convenzione la registrazione multipla o comunque la doppia nazionalità[108].
Lo stesso principio viene ribadito, nel nostro ordinamento, dall’art. 751 c.
nav. e, a livello di diritto internazionale, era a suo tempo stato affermato
già dall’art. 8 convenz. Parigi del 1919. I requisititi di nazionalità
necessari, come anticipato, per l’accertamento del legame tra l’aeromobile e lo
Stato sono fondamentali, così come previsto dall’art. 750 c. nav., per la
registrazione e per il mantenimento dell’iscrizione nel registro aeronautico
nazionale che è tenuto presso l’ENAC.
I requisiti di nazionalità sono fissati in Italia dall’art. 756 c. nav.[109],
che, nel testo vigente, ha adeguato il nostro ordinamento, come era stato
auspicato[110],
al principio dell’equiparazione alle persone fisiche aventi la cittadinanza di
uno degli Stati dell’Unione delle società costituite conformemente alla
legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione
centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione stessa[111].
Il testo originario del codice della navigazione, all’art. 751,
condizionava la nazionalità dell’aeromobile a requisiti ancora più stringenti
di quelli che il medesimo codice richiedeva per la nazionalità delle navi (art.
143 c. nav.): era richiesto, infatti, il requisito della totale proprietà nazionale
del velivolo[112].
Tali requisiti sono stati progressivamente allentati, da un lato, per quanto
concerneva il titolo di disponibilità del velivolo e l’equiparazione ai
soggetti italiani di cittadini ed enti comunitari; dall’altro, per quanto
concerneva la quota di controllo, che non deve più essere totale, essendo
sufficiente che sia maggioritaria.
L’art. 756 c. nav. mantiene la deroga, originariamente introdotta nel
testo del previgente art. 751 c. nav. dall’art. 8 della l. 13 maggio 1983 n.
213 al requisito di proprietà, prevedendo la possibilità di iscrizione nel
registro nazionale anche degli aeromobili di cui le compagnie aeree titolari di
licenza di esercizio abbiano l’effettiva disponibilità, ancorché non ne abbiano
la proprietà[113],
tenuto conto, fra l’altro dell’esigenza di adeguare le flotte agli
aggiornamenti tecnologici[114].
Si tratta di una previsione finalizzata ad agevolare lo sviluppo del leasing
aeronautico[115],
a fronte dell’esigenza di ampliamento delle flotte delle compagnie aeree,
accentuata dai processi di deregolamentazione e liberalizzazione[116].
La ratio di tale riforma va individuata
nell’apertura alla possibilità che «gli aeromobili […] assunti in leasing possano
portare la bandiera italiana nonostante la proprietà straniera del veicolo
locato»[117]. È evidente che la possibilità di fare
ricorso al leasing per acquisire la disponibilità di aeromobili ha
costituito uno dei fattori che ha facilitato l’avvento delle compagnie low
cost[118].
In tale ottica, è auspicato un passo ulteriore, attraverso il rafforzamento
delle garanzie a tutela della posizione del lessor, al di là di quanto
consentito dalla convenzione di Ottawa del 28 maggio 1988 sulla locazione
finanziaria[119],
che, verosimilmente consentirebbe un accesso al credito a tassi più
convenienti: a tali finalità risponderebbe il sistema della convenzione di
Città del Capo del 16 novembre 2001 sulle garanzie internazionali sui beni
mobili strumentali ed il suo protocollo aeronautico, aperto alla firma in pari
luogo e pari data[120].
Peraltro, convenzione di Città del Capo e protocollo aeronautico hanno anche
offerto una copertura alla possibilità, frequente nella prassi, che i motori
potessero avere una sorte separata rispetto alle cellule[121].
È da aggiungere, peraltro, che, rispetto ai tradizionali vincoli,
un’evoluzione anche più incisiva, va constatata rispetto ai requisiti di
nazionalità per l’esercizio delle linee aeree che, originariamente erano
equivalenti alle condizioni per l’iscrizione degli aeromobili nel registro
nazionali: in base all’art. 777 c. nav., nel testo originario del 1942,
l’esercizio dei servizi in questione era riservato «a persone, enti o società
capaci di avere in proprietà aeromobili nazionali», salvo l’eccezione prevista
per i collegamenti internazionali, in relazione alla necessità di consentire i
diritti di traffico delle compagnie degli altri Stati[122].
Tale quadro è stato totalmente sovvertito, come si avrà modo di rilevare nel
prosieguo della trattazione.
La disciplina dell’art. 778 c. nav., nel testo vigente, conformemente
al reg. Cee
n. 2407/92 (oggi rifuso nel reg. Ce n. 1008/2008), sancisce l’essenzialità tanto del rilascio quanto del mantenimento
della licenza di esercizio[123]
per l’operatività di un’impresa di trasporto aereo[124].
Già con il reg. Cee n. 2407/92, «il Consiglio ha posto le basi per una
disciplina uniforme di carattere pubblicistico sull’ammissione di un soggetto
comunitario alla professione di vettore aereo»[125].
Il menzionato art. 778 c. nav., conformemente a quest’ultimo principio,
prevede, quale requisito per il rilascio della licenza, che l’impresa abbia
come sua principale caratterizzazione l’attività di trasporto aereo che dovrà
svolgersi «esclusivamente oppure in combinazione con qualsiasi altra attività
commerciale che comporti l’esercizio oppure la riparazione o la manutenzione di
aeromobili». Viene inoltre previsto, all’art. 4, lett. p) del
reg. Ce n. 1008/2008 (art. 4, § 2 reg. Cee n. 2407/1992), un requisito di
controllo e proprietà necessario per il rilascio della licenza di esercizio[126].
Come stabilito dall’art. 9, § 1 del reg. Ce n. 1008/2008, la licenza di
esercizio non solo può essere revocata qualora vengano meno i requisiti
richiesti dallo stesso regolamento ma può anche essere sottoposta a revisione,
già un anno dopo il rilascio. Va infine sottolineato come, tra i requisiti
necessari per il rilascio della licenza d’esercizio, ci sia, inoltre, il
certificato di operatore aereo indicato con l’acronimo (COA), che veniva
definito dal reg. Cee n. 2407/92 al suo art. 2, lett. d), oggi art.
2, n. 8 del reg. Ce 1008/2008 [127].
[1] Per un’analisi ragionata
delle fasi della liberalizzazione del trasporto aereo (sulle quali comunque si
tornerà diffusamente nel prosieguo) che hanno portato all’attuale assetto v.
per tutti F. Pellegrino, La trasformazione del trasporto aereo da
fenomeno d’elite a fenomeno di massa, in ALADA en Cabo Verde, XXVI
Jornadas Latinoamericanas de derecho aeronáutico y espacial, a cura di M.
O. Folchi, Buenos Aires 2013, 196.
[3] Come
sottolineato dalla più autorevole dottrinala (S. Zunarelli, Servizi aerei, in Enc. dir., XLII, Milano 1990, 347, ivi, 375 s.) e come si avrà
modo di precisare nel proseguo, la linea di demarcazione tra queste due
tipologie di servizi aerei si sta pian piano assottigliando.
[4] Cfr. ex plurimis G. Romanelli, Il
trasporto aereo di persone, Padova 1959, 161; G. Silingardi, Attività di trasporto aereo e controlli
pubblici, cit., 291;
S. Zunarelli, Servizi aerei, cit., 375 ss.; S. Zunarelli, A. Pullini, I servizi di trasporto aereo, ne Il diritto del mercato del trasporto, a
cura di S. Zunarelli, Padova 2008, 11 ss.; E.
Turco Bulgherini, Servizi aerei di
linea e servizi aerei non di linea, ne Il
nuovo diritto aeronautico. In ricordo
di Gabriele Silingardi, Milano 2002, 389, ivi, 392 ss. V., da ultimo, M. M. Comenale Pinto, Continuità territoriale ed oneri di pubblico
servizio, ne La regolazione dei
trasporti in Italia, a cura di F. Bassan, Torino 2015, 335.
[5] V. ex plurimis G. Romanelli, Disciplina
dei servizi aerei non di linea ed interpretazione di disposizioni del codice
della navigazione, in Nuove leggi
civili, 1982, 178. Sul concetto di servizio aereo «non di linea» v. anche a
suo tempo P. Chaveau, Le transport à la demande, in Studi in onore di Antonio Ambrosini,
Milano 1957, 334. Sulla disciplina dei voli charter
v. amplius G. Romanelli, In tema
di trasporto su voli charter, in Arch.
giur., 1972, 5, ivi, 31. V. anche F.
Loustau, Los vuelos charter: (Problemática juridica), Madrid 1973, 12;
M. Grigoli, Aspetti sistematici del volo «charter», in Dir. aereo, 1975, 159; L. M.
Bentivoglio, Disciplina giuridica
del volo charter nel quadro di
una politica nazionale del
trasporto aereo, in Trasporti,
11, 1977, 3; V. Franceschelli, Voli charter e turismo europeo, ne Il
nuovo diritto aeronautico, cit., 1019; A.
Conde Tejón, El contracto de charter aéreo. Especial atención a la responsabilidad en caso de
retrasos y cancellaciones, accidentes, daño a los equipajes y overbooking, Granada 2008; M. Trajkovic, La nature
du contrat de charter dans le droit aérien, in Ann. dir. aeron., II, 1970-71, 9.
[6] V. amplius E. Turco Bulgherini, La
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, Padova 1984, 133 ss.; Ead., Servizi aerei di linea e servizi aerei non di linea, cit., 392.
[8] Bisogna
ricordare che nonostante il campo di applicazione quantomeno limitato (a causa
del fatto che venne negoziata, al termine della prima guerra mondiale, in
margine ai trattati che andarono a regolamentare i rapporti fra gli Stati)
proprio grazie a questa convenzione si andò a disciplinare per la prima volta
in maniera significativa e multilaterale il quadro generale del diritto aereo.
Sulla disciplina a suo tempo introdotta dalla convenzione di Parigi del 1919 v.
per tutti A. Giannini, La convenzione di Parigi per il regolamento
della navigazione aerea, in Saggi di
diritto aeronautico, Milano 1932, 23.
[9] Convenzione
negoziata nell’ambito delle conferenze diplomatiche convocate dagli USA durante
la fase conclusiva della seconda guerra mondiale e che ha sostituito la
convenzione di Parigi del 1919, ottenendo, a differenza di questa (per una
comparazione tra la disciplina della convenzione di Parigi del 1919 e quella di
Chicago del 1944 v. per tutti S.
Cacopardo, Navigazione aerea, in Nss. dig. it., XI, Torino 1965, 108, ivi, 112 ss.), un vastissimo
numero di ratifiche e, di conseguenza, un’applicazione pressoché universale.
Sulla convenzione di Chicago del 1944 e sul ruolo dell’International Civil Aviation Organization (ICAO) v. in generale N. Mateesco Matte, La Convenzione di Chicago. Quo vadis OACI, in Studi in onore di Antonio Lefebvre D’Ovidio, Milano 2005, 641; U. Leanza, Navigazione aerea nel
diritto internazionale, in Dig. disc. pubbl., X, Torino 1995, 75,
ivi, 83; F. Lattanzi, Organizzazione dell’aviazione civile
internazionale, in Enc. dir.,
XXI, Milano 1981, 238; R. Abeyratne, F.
Gaspari, The ICAO role in liberalization and the
trouble with air transport, in Riv.
dir. nav., 2011, 535; H. Drion, The Council of I.C.A.O. as international legislator over the high seas,
in Studi in onore di Antonio Ambrosini,
cit., 325; P. Gargiulo, ICAO (International Civil Aviation Organization), in Dizionario di
diritto pubblico, diretto da S. Cassese, IV, Milano 2006, 2841. Per una
valutazione critica dei primi cinquant’anni dell’I.C.A.O. v. L. S. Clarke, IATA and ICAO: the
first fifty years, in
Annals Air & Space Law, 1994,
XIX-II, 29.
[10] In generale sulla disciplina
della convenzione di Varsavia del 1929 v. ex
plurimis G. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit.,
161. V. anche M. D.
Goedhuis, La Convention de
Varsovie, La Haye 1933.
[11] La convenzione di Varsavia
continua ad applicarsi in via del tutto residuale qualora non trovi
applicazione la convenzione di Montreal del 1999 (per un approfondimento sull’entrata
in vigore e sulla disciplina introdotta dalla convenzione di Montreal del 1999
nonché sul concetto di trasporto aereo «internazionale» nella stessa
convenzione v. M. M. Comenale Pinto, Riflessioni sulla nuova Convenzione di
Montreal del 1999 sul trasporto aereo, in Dir. maritt., 2000, 798 (ivi, 816 per un approfondimento sulla
disciplina della documentazione); E.
Turco Bulgherini, La nuova
disciplina del trasporto aereo internazionale: l’impronta multidisciplinare e
la dimensione pubblicistica del diritto della navigazione, in Dir. maritt., 2000, 1080; M. M. Comenale Pinto, La nuova disciplina del trasporto aereo
internazionale, in Dir. turismo,
2004, 5; A.
R. Coppola, La Convención de
Montreal 1999: ¿La nueva Convención de Varsovia?, in Rev. CIDA-E,
2008, 39; A. G. Mercer, The
1999 Montreal Convention-a new Convention for a new millennium, in TAQ,
2000, 86; A. Zampone, Le
nuove norme sulla responsabilità del vettore nel trasporto aereo internazionale
di passeggeri, in Dir. trasp., 2000, 7. Relativamente
a quelli che sono i problemi sull’entrata in vigore della stessa convenzione,
in relazione all’estensione di una parte della sua disciplina anche ai
trasporti che non risultino assoggettati ad essa, a condizione che vengano
operati da un vettore aereo comunitario, sulla base di quello che è il reg. Ce
889/2002 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 13 maggio 2002 (di cui si avrà modo di approfondire nel proseguo)
v. E. G. Rosafio, Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999:
Problemi applicativi, in Dir. turismo,
2004, 10; M. Brignardello, Problematiche relative alla firma e alla
ratifica della Convenzione di Montreal del 1999 da parte della Comunità europea,
in Dir. maritt., 2001, 3).
[12] Sul concetto di trasporto aereo
«internazionale» nel sistema della convenzione di Varsavia, cfr. G. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 171; M. F. Morsello, Responsabilidad
civil no Transporte Aéreo, São Paulo 2006, 94; A. Arena, Il concetto
di trasporto aereo internazionale ai fini della responsabilità del vettore
nella convenzione di Varsavia e nel protocollo dell’Aja, in Riv. dir. int. proc., 1976, 505; E. Mapelli Lopez, El contrato de transporte aéreo intemacional- Comentarios al Convenio de Varsavia, Madrid 1968, 1068, ivi,
35.
[13]
Così nella sua formulazione originaria «n’est
applicable ni aux transport aériens internationaux exécutés à tìtre de premiers
essais par des entreprises de navigation aérienne en vue de l’établìssement de
lignes réguliéres de navigation aérienne, ni aux transports effectués dans des
circostances extraordinaries en dehors de toute opération normale de
l’explotation aérienne».
[14] In tal senso v. ex plurimis
G. Romanelli, Le norme regolatrici del trasporto aereo, in Riv. dir. nav., 1954, I, 188
che contestualmente sottolinea, inoltre, l’inapplicabilità della convenzione di
Varsavia del 1929 nell’ipotesi in cui il trasporto aereo si svolga «sotto
l’impero delle convenzioni postali internazionali». Sul punto v. anche in
generale C. Dagna, La revisione della Convenzione di Varsavia
alla IX sessione del Comitato giuridico dell’I.C.A.O., in Riv. dir. nav., 1954, I, 55; G. Martini, Il servizio di trasporto aereo di linea. Procedimenti amministrativi e
accordi organizzativi, Milano 1976, 30.
[15] Sul progetto di modifica e più
in generale sull’evoluzione della convenzione di Varsavia del 1929 cfr. A. Giannini, Sul progetto di revisione della convezione di Varsavia 1949 sul trasporto
aereo internazionale, in Assic.,
1954, 33; G. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit.,
161; M. M. Comenale Pinto, La
responsabilità del vettore aereo dalla convenzione di Varsavia del 1929 alla
convenzione di Montreal del 1999, in Riv. dir. com., 2002, 67; K. Schiller, De la Convention de Varsovie a la Convention
de Montréal. Quelques aspects du nouveau regime de responsabilité sous l’angle
du droit suisse, in Rev.
fr. dr. aér., 1999,
467; G. Gaja, Recenti vicende della convenzione di
Varsavia del 1929 sul trasporto aereo internazionale, in Riv. dir. int., 1967, 95; G. Guerreri, La convenzione di Varsavia: 66
anni dopo ed oltre, in Studi
in onore di Gustavo Romanelli, Milano
1997, 661; R.
Gardiner, The Warsaw
Convention at Three Score Years and Ten, in Air & Space Law,
1999, 113.
[16] Reso esecutivo in Italia con l.
30 dicembre 1962 n. 1832 ed entrato in vigore in data 2 agosto 1963. Sul
protocollo dell’Aja v. per tutti A.
Giannini, Il Protocollo dell’Aja
1955 per la revisione della Convenzione di Varsavia 1929 sul trasporto aereo,
in Riv. dir. nav, 1955, I, 179. Sia la
convenzione di Varsavia che il protocollo dell’Aja venivano a loro volta
modificati dal protocollo di Guatemala dell’8 marzo 1971 (reso esecutivo con l.
6 febbraio 1981 n. 43, mai entrato in vigore, sulla cui disciplina v. per tutti
G. Rinaldi Baccelli, Analisi critica del Protocollo di Guatemala
1971, in Dir. aereo, 1971, 181. V. in
proposito R. Jacchia, Brevi
note sul Protocollo di Guatemala dell’8 marzo 1971, in Annali
dell’Istituto di diritto aeronautico,
1970-71, 214) e ancora, dai quattro protocolli di Montreal del 25 settembre
1975 (tutti ratificati e resi esecutivi in Italia con l. 6 febbraio 1981 n.
43). È appena il caso di ricordare che il protocollo n. 3 di Montreal non è mai
entrato in vigore, mentre i protocolli di Montreal nn. 1, 2 e 4 sono entrati in
vigore e nello specifico i primi due il 15 febbraio 1996 il n. 4 soltanto il 14
giugno 1998. Con la successiva convenzione di Guadalajara del 18 settembre 1961
(resa esecutiva con l. 11 giugno 1967 n. 459 ed in vigore in Italia dal 13
agosto 1968), complementare alla convenzione di Varsavia del 1929, la
disciplina di quest’ultima convenzione è stata estesa anche al cosiddetto
«vettore di fatto», (soggetto la cui organizzazione opera effettivamente il
trasporto e responsabile in solido con il vettore contrattuale). L’ipotesi in
cui il soggetto che ha assunto l’obbligazione di trasportare («vettore
contrattuale») non coincida con colui che effettua materialmente il trasporto
(«vettore di fatto») è assai diffusa nella prassi dei trasporti aerei. Secondo
l’orientamento maggioritario sia della giurisprudenza (cfr. a favore Cass. 20
aprile 1989, n. 1855, in Foro it.,
1990, I, 1171, con nota di L. Carboni,
Vettore per caso e in senso contrario
Trib. Torino 9 maggio 1974, in Dir. aereo,
1974, 265, con nota di F. Tortorici,
Rilevanza delle condizioni generali di
contratto nel trasporto aereo internazionale) che della dottrina (a favore U. La Torre, La definizione del
contratto di trasporto, Napoli, 2000, 205;
G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 618.
Per una contraria autorevolissima posizione v. G. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 7
s.), non è infatti, necessario che il vettore debba provvedere direttamente all’esecuzione
del trasporto, ammettendo una sostituzione di altri nell’esecuzione della
prestazione, senza previa autorizzazione, e a condizione, che sul vettore
contrattuale rimanga la responsabilità vettoriale dell’esecuzione stessa. Al
verificarsi di una simile circostanza il vettore, nell’ottica di tutelare il diritto
del passeggero ad avere un chiaro riferimento circa l’identità del vettore che
opera in concreto il volo, in conformità a quanto sancito dal reg. Cee n.
2299/89 del Consiglio del 24 luglio 1989 «relativo ad un codice di
comportamento in materia di sistemi telematici di prenotazione» e dall’art. 943
c. nav., come sostituito ex art. 17,
comma 1, d. lgs. 9 maggio 2005 n. 96, deve mettere a conoscenza lo stesso
passeggero di tale circostanza già nella fase di prenotazione, ben prima quindi
dell’emissione del biglietto. Sul punto specifico v. M. O. Folchi, La conveivcion de Guadalajara y los ccntratosde uttltsacton de aeronaves, in Dir. aereo, 1966, 30. Tutto ciò premesso bisogna
ricordare, come già anticipato, che alla convenzione di Guadalajara del 1961 ha
fatto seguito l’adozione della convenzione di Montreal del 1999, finalizzata a
ricompattare l’uniformità del regime del trasporto aereo, con la sostituzione
dei testi di diritto precedentemente vigenti.
[17] Nel
testo novellato, la norma in questione recita «Les dispositions des articles
3 à 9 inclus relatives aux titres de transport ne sont pas applicables au
transport effectué dans des circonstances extraordinaires en dehors de toute
opération normale de l’exploitation aérienne».
[18] Viene sottolineato che non
esiste un diritto «generico» di sorvolo del territorio straniero. In generale
sul concetto di «sorvolo» del territorio dello Stato v. W. D’Alessio, Sorvolo
del territorio dello Stato, in Enc.
dir., XLII, Milano 1990, 1327. Sui problemi
interpretativi a suo tempo generati dalla convenzione di Montego Bay rispetto
alla libertà di sorvolo, v. K. Hailbronner,
Freedom of the Air and the Convention on the Law of the Sea, in Am.
Journ. Int. Law, 77/1983, 490; J. L. MagdelÉnat, Les implications de la nouvelle convention sur le droit de la mer en
droit aérien, in Ann. dr. mar. aér.,
1985, 323.
[19] Per quanto
concerne la definizione di «aeromobile», nel nostro ordinamento questa è data
dall’art. 743 c. nav., (emendato, prima con l’art. 5 del d. lgs. 9 maggio 2005
n. 96, e poi con l’art. 8 del d. lgs. 15 marzo 2006 n. 151). Al 1 comma
dell’art. 743 l’aeromobile viene identificato come «ogni macchina destinata al
trasporto per aria di persone o cose» (sulla nozione di aeromobile v. S. Zunarelli, M.
M. Comenale Pinto, Manuale
di diritto della navigazione e dei trasporti, I, ed. III, Padova 2016, 59;
S. Marino, Aeromobile, in Enc. dir.,
I, Milano, 1958, 642; R. Monaco, Lo status giuridico dell’aeromobile secondo
i progetti dell’ICAO, in Riv. dir. nav.,
1960, I, 41; S. Nisio, Aeromobile, in Nss. dig. it., I, 1, Torino 1957, 544). Al secondo comma, inserito
con la riforma del 2006, vengono altresì riconosciuti come aeromobili i mezzi a
pilotaggio remoto Unmanned Aerial Vehicle (UAV) (ufficialmente l’ICAO
con propria circolare, la 328 AN/190, Unmanned Aircraft Systems – UAS,
2011, VII, ha dichiarato l’acronimo UAV obsoleto preferendogli UAS, Unmanned
Aerial System, «sistema aereo senza equipaggio» sul punto specifico v. per
tutti U. La Torre, Problematiche giuridiche attuali sul
comandante di aeromobile, in Riv.
dir. nav., 2014, 635, ivi, 638) «definiti come tali dalle leggi speciali,
dai regolamenti dell’ENAC e, per quelli militari, dai decreti del Ministero
della difesa». La più autorevole dottrina ha sollevato alcune perplessità
relativamente all’identificare gli UAV/UAS come aeromobili. Sul punto specifico
v. ex plurimis U. La Torre, Gli UAV: mezzi aerei
senza pilota, in Sicurezza, navigazione e trasporto, a
cura di R. Tranquilli-Leali e E. G. Rosafio, Milano 2008, 93; Id., La navigazione degli UAV:
un’occasione di riflessione sull’art. 965 c. nav. in tema di danni a
terzi sulla superficie, in Riv. dir. nav., 2012, 553; v. anche B. Franchi, Aeromobili senza pilota
(UAV): inquadramento giuridico e profili di responsabilità, in Resp.
civ. prev., 2010, 732. È forse il caso di ricordare che la disciplina
sancita dall’art. 8 convenz. Chicago 1944 vietava a questi ultimi il sorvolo
degli Stati contraenti salvo espressa autorizzazione.
[21] La più
autorevole dottrina sottolinea infatti come «le formule adottate per
distinguere i due tipi di voli sul piano internazionale, comparatistico e convenzionale
si erano, infatti, rivelate insufficienti a definire giuridicamente il
fenomeno» così E. Turco Bulgherini,
Servizi aerei di linea e servizi aerei
non di linea, cit., 392.
[22] Cfr. R.
Lichtman, Regularization of the
Legal Status of International Air Charter Services, in J. Air Law Comm., 38, 1972, 141.
[23] Come
puntualizzava la relazione al codice della navigazione, tale impostazione
derivava a sua volta dal R.d.l. 18 ottobre 1923 n. 3176, che recava norme in tema
di «Concessione dei servizi di trasporto esercitati con aeromobili» (Rel. min.
c. nav., § 494). Tale decreto del 1923 riguardava soltanto i servizi aerei di
linea, omettendo di considerare quelli non di linea: v. amplius G. Martini, Il servizio di trasporto aereo di linea.
Provvedimenti amministrativi e accordi organizzativi, cit., 123.
[24] Tale concetto è
stato sostenuto autorevolmente da G.
Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 94 ss. Sul punto v. anche S. Ferrarini, I contratti
di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, Roma 1947, 73.
[27] Per un analisi sulla riforma del
codice della navigazione e in particolare sulla distinzione tra «servizi aerei
di linea e non di linea», con l’evidenziazione dell’esigenza di adeguamento
all’evoluzione del quadro comunitario, v. ex
plurimis E. Turco Bulgherini,
La riforma del codice della navigazione
parte aerea, in Nuove leggi civili,
2006, 1341, ivi, 1356. V. anche G. Mastrandrea, L. Tullio, La riforma
della parte aeronautica del codice della navigazione, in Dir. maritt., 2005, 1201, ivi, 1224.
[28] Il reg. Ce n. 1008/2008 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 recante norme comuni
per la prestazione di servizi aerei nella Comunità, reca la rifusione dei
regolamenti del terzo pacchetto comunitario sul trasporto aereo, ed in
particolare dei regolamenti Cee nn. 2407/92, 2408/92 e 2409/92: cfr. D. Bocchese, La rifusione della
disciplina comunitaria sulla prestazione dei servizi aerei, in Dir.
trasp., 2009, 307.
[29] Per quanto concerne i servizi
aerei intracomunitari, facendo riferimento espresso tanto a quelli di linea che
a quelli non di linea, il codice della navigazione, all’art. 776 ammette «[…]
ad effettuare a titolo oneroso servizi di trasporto aereo di passeggeri, posta
o merci, di linea e non di linea su rotte intracomunitarie, i vettori aerei che
hanno ottenuto una licenza di esercizio, nonché, preventivamente, una
certificazione quale operatore aereo, secondo le disposizioni di cui al
presente capo e alla normativa comunitaria».
[30] Nel reg. Cee n. 2408/92 (rifuso
nel reg. Ce n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24
settembre 2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella
Comunità) è rintracciabile sia la definizione di «vettore comunitario» sia di
«rotte intracomunitarie». Si può sicuramente condividere il rilievo che tale disciplina
abbia segnato il passaggio da un sistema concessorio ad uno autorizzatorio non
privo di «freni e controlli, sul piano sia sostanziale che temporale» (così S. Busti, La nuova disciplina dei servizi aerei, in Trasporti, 61, 1993, 71, ivi, 85.
[31] Il campo di applicazione del
reg. Cee n. 2408/92 era circoscritto ai soli voli di linea dal proprio art. 1,
§ 1. In base alla definizione dell’art. 2, § 2, i servizi di linea
richiedevano, per essere tali, «una serie di voli che presenta le seguenti caratteristiche:
«i) i voli sono effettuati, a titolo oneroso, da aeromobili adibiti al
trasporto di passeggeri, di merci e/o di posta in modo tale che, su ogni volo,
siano messi a disposizione del pubblico posti per acquisti individuali; ii) i
voli sono effettuati in modo da assicurare il collegamento tra i medesimi due o
più aeroporti:
1) in base ad un orario
pubblicato, oppure
2) con regolarità o frequenza
tali da costituire una serie sistematica evidente».
[32] L’idea della regolarità del
servizio come elemento distintivo del trasporto pubblico di linea si rinviene
anche nella disciplina dei trasporti pubblici locali. Così, appare utile alla
definizione del concetto, ancorché contenuta in una legge che non si applicava
ai servizi di competenza statale, quella di cui all’art. 1 della l. 10 aprile
1981 n. 151 («Legge quadro per l’ordinamento, ristrutturazione e potenziamento
dei trasporti pubblici locali»), che si riferiva ai «servizi adibiti
normalmente al trasporto collettivo di persone e di cose effettuati in modo
continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite
e offerta indifferenziata».
[33] Inoltre, va segnalata la
possibilità per l’autorità competente al rilascio della licenza di esercizio di
escludere l’applicazione delle deroghe previste per le attività operate con
aeromobili di massa massima al decollo (MTOM) inferiore a 10 tonnellate e/o
aventi meno di 20 posti alla compagnie operanti servizi di linea in tema di
condizioni finanziarie (art. 5, § 3, comma 2, reg. Cee n. 2408/92) e di prova
di onorabilità art. 7, § 8, comma 2, reg. Cee n. 2408/92).
[34] V. per tutti L. M. Bentivoglio, In tema di concessione di servizi aerei di linea: «privilegium ad
excludendos alios excludendum», in
Trasporti, 11, 1977, 127; G. Guarino, L’esclusività nelle concessioni di servizi aerei di linea, in Dir. aereo, 1977, 117; S. Riccio, Servizi di linea. Navigazione
aerea, in Enc. giur., XXVIII,
Roma, 1992. Sull’applicabilità, in particolare ai servizi aerei internazionali,
v. G. Romanelli, Il trasporto
aereo di persone, cit., 100.
[35] V. ex plurimis G. Romanelli, Le
condizioni generali del trasporto aereo e i problemi di applicabilità ed esse
degli artt. 469 bis e ss. c.c., ne I
contratti in generale. Aggiornamento Generale 1991-1998, I, a cura di G.
Alpa, M. Bessone, Torino 1999, 633 ss. Al riguardo, tale ultimo A. riteneva che
dovesse «permanere anche nel regime previsto dalla ricordata normativa
comunitaria il complesso di garanzie per l’utente previsto dall’art. 1679 c.c.»
(ivi, 639), ricordando, del resto, la posizione affermativa assunta a suo tempo
circa l’applicabilità della norma in questione, assunta in precedenza rispetto
ai servizi marittimi, che erano oggetto non di concessione, ma di sovvenzione
pubblica (su quest’ultimo aspetto, conf. A.
Romagnoli, Il passaggio marittimo,
Bologna 2014, 10).
[36] Così: S. Zunarelli, C. Alvisi, Del trasporto - Art. 1678-1702, Bologna
2014, 65. Nella letteratura recente, v. anche F.
Salerno, Del trasporto, in Dei singoli contratti, a cura di D.
Valentino, Torino 2011, 207, ivi, 219; A.
La Mattina, Il contratto di
trasporto e il codice civile: premesse per un’analisi sistematica, in Dir. trasp., 2015, 297, ivi, 315; F. Smiroldo, L’art. VIII sul rifiuto
al trasporto e art. 1679 c.c., in
Spunti di studio su: Le condizioni generali del trasporto aereo di persone, a cura di G. Romanelli e L.
Tullio, Cagliari 1997, 125, ivi, 139 s. All’esigenza di un’interpretazione
«evolutiva» per giustificare la persistente applicazione della disposizione in
questione al trasporto ferroviario, fa riferimento S. Busti, Contratto di
trasporto terrestre, Milano 2007, 498. Quest’ultimo A. aggiunge poi (ivi,
498 s.), che «Per l’applicazione dei princìpi enunciati nell’art. 1679 c.c.
conta la legittima gestione di un pubblico servizio di linea, quale che sia
oggi il provvedimento amministrativi di legittimazione dell’attività».
([37])
Sulla natura degli accordi bilaterali in relazione alla convenzione di Chicago
del 1944 v. per tutti E. Turco
Bulgherini, La disciplina
giuridica degli accordi aerei bilaterali, cit., 2.
([38]) Il
concetto di low cost verrà
approfondito nel prosieguo. Al riguardo va ricordata la vicenda di Laker
Skytrain che non sopravvisse alle pressioni delle compagnie tradizionali: per
una ricostruzione in termini non giuridici v. S. Calder, No Frills, The Truth Behind The Low-Cost
Revolution In The Skies, London 2002.
[39] Così nella sua formulazione a
seguito della modifica apportata dall’art. 11, comma 10 del d. lgs. 15 marzo
2006 n. 151 «servizi extracomunitari non di linea sono consentiti, a condizione
di reciprocità, ai vettori aerei titolari di licenza comunitaria e ai vettori
dello Stato con il quale si svolge il traffico. L’ENAC impone ai vettori non
muniti di licenza comunitaria, per l’effettuazione dei voli, prescrizioni
tecniche ed amministrative, ivi comprese quelle che riguardano la prevenzione
degli attentati contro la sicurezza per l’aviazione civile. Qualora il vettore
non soddisfi le prescrizioni di cui al secondo comma, l’ENAC può vietare
l’accesso del vettore medesimo allo spazio aereo nazionale. L’ENAC stabilisce
con regolamento la modalità di espletamento dei servizi di trasporto aereo non
di linea». Sul punto cfr. S. Zunarelli,
A. Romagnoli, A. Claroni, Diritto
pubblico dei trasporti, Bologna 2013, 58.
[40] Cfr. G. Silingardi, Attività di trasporto aereo e controlli
pubblici, Padova
1984, 5. Sul tema, v. oltre, sub § 2.
[41] In generale
sulla disciplina previgente dei servizi aerei di linea in Italia, v. E. Turco Bulgherini, Impresa di navigazione
e servizi aerei di linea, Roma 1984
[42] Previsione
rintracciabile nell’art. 776 c. nav. v.s. che «vedeva ridotta la sua vigenza
alle sole ipotesi di voli tra l’Italia e gli Stati extracomunitari» così S. Zunarelli, A. Pullini, I servizi di trasporto aereo, cit., 27.
[43] Da ricondurre ad una semplice
autorizzazione: G. Martini, Il servizio di trasporto aereo di linea.
Procedimenti amministrativi e accordi organizzativi, cit., 121; G. Silingardi, Attività di trasporto
aereo e controlli pubblici, cit.,
65.
[44] Cfr. ex plurimis G. Romanelli, Il
trasporto aereo di persone, Padova 1959, 161; G. Silingardi, Attività di trasporto aereo e controlli
pubblici, cit., 291;
S. Zunarelli, Servizi aerei, in Enc. dir., XLII, Milano 1990, 375 ss.; S. Zunarelli, A. Pullini, I servizi di trasporto aereo, cit., 11 ss.; E. Turco Bulgherini, Servizi
aerei di linea e servizi aerei non di linea, ne Il nuovo diritto aeronautico. In
ricordo di Gabriele Silingardi, Milano 2002, 389, ivi, 392 ss. V., da
ultimo, M. M. Comenale Pinto, Continuità territoriale ed oneri di pubblico
servizio, ne La regolazione dei
trasporti in Italia, a cura di F. Bassan, Torino 2015, 335.
[45] Sul punto v.
P. P. C. Haanappel, Air transport deregulation in jurisdictions
other than the United States,
in Annals of air and space law, 1988, 79.
[46] Com’è noto, la deregulation statunitense fu ispirata
dal pensiero dell’economista, Alfred Khan, a cui fu affidata la presidenza del Civil Aeronautical Board. Per
un’interessante valutazione a posteriori degli
effetti determinati dal nuovo quadro normativo ormai in vigore, v. F. Pellegrino, La trasformazione del trasporto aereo da fenomeno d’elite a fenomeno di
massa, cit., 198; A. E. Khan,
Surprises of Airline Deregulation, in
Am. Ec. Rev., 78/1988, 316. V. anche, in generale: S. E. Creager, Airline
Deregulation and Airport Regulation, in Yale
L. J., 93/1983, 319; G. Damiano,
Considerazioni ex post facto sui trasporti aerei: dagli accordi di
Chicago all’iniziativa della deregulation, in Dir. aereo, 1980, 1914; M.
Zilicz, International air
transport law, Dordecht-Boston-London 1992, 29; B. Adkins, Air
Transport and EC Competition Law, London 1994, 21; M. Gómez Puente, La
prestación de servicios de transporte aéreo, in Rev. Arag. Admin. Púb., 16, 2000, 41.
[47] La definizione
più aggiornata di pacchetto turistico è rintracciabile nella dir. 2015/2302/Ue
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai
pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il reg. Ce
n. 2006/2004 e la dir. 2011/83/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio e che
abroga la direttiva 90/314/Cee del Consiglio (non ancora applicabile). Questa
all’art. 3 n. 2 sancisce che per pacchetto turistico si debba intendere «la
combinazione di almeno due tipi diversi di servizi turistici ai fini dello
stesso viaggio o della stessa vacanza, se: a) tali servizi sono combinati da un
unico professionista, anche su richiesta del viaggiatore o conformemente a una
sua selezione, prima che sia concluso un unico contratto per tutti i servizi;
oppure b) indipendentemente dal fatto che siano conclusi contratti separati con
singoli fornitori di servizi turistici, tali servizi sono: i) acquistati presso
un unico punto vendita e tali servizi sono stati selezionati prima che il
viaggiatore acconsenta al pagamento; ii) offerti, venduti o fatturati a un
prezzo forfettario o globale; iii) pubblicizzati o venduti sotto la
denominazione “pacchetto” o denominazione analoga; iv) combinati dopo la
conclusione di un contratto con cui il professionista autorizza il viaggiatore
a scegliere tra una selezione di tipi diversi di servizi turistici; o V)
acquistati presso professionisti distinti attraverso processi collegati di
prenotazione online ove il nome del viaggiatore, gli estremi del pagamento e
l’indirizzo di posta elettronica sono trasmessi dal professionista con cui è
concluso il primo contratto a uno o più altri professionisti e il contratto con
quest’ultimo o questi ultimi professionisti è concluso al più tardi 24 ore dopo
la conferma della prenotazione del primo servizio turistico. Una combinazione
di servizi turistici in cui sono combinati non più di uno dei tipi di servizi
turistici di cui al punto 1), lettere a), b) o c), con uno o più dei servizi
turistici di cui al punto 1), lettera d), non è un pacchetto se questi ultimi
servizi: a) non rappresentano una parte sostanziale del valore della
combinazione, non sono pubblicizzati come e non rappresentano altrimenti un
elemento essenziale della combinazione; oppure b) sono selezionati e acquistati
solo dopo l’inizio dell’esecuzione di un servizio turistico di cui al punto 1),
lettere a), b) o c». Nel nostro ordinamento la definizione, in quanto non
applicabile ancora la disciplina della dir. 2015/2302/Ue, di pacchetto turistico
è rintracciabile nell’art. 34 del codice della normativa statale in tema di
ordinamento e mercato del turismo c.d. «codice del turismo» (d. lgs. 23 maggio
2011 n. 79). Sul concetto di pacchetto turistico v. C. S. Carassi, Ancora
sulla definizione di «pacchetto turistico» ex art. 2.1, Direttiva n. 90/3I4 /Ce: steps definitivi?,
in Dir. turismo, 2003, 150, commento
a C. giust. Ce 30 aprite 2002, causa C-400/00. Sulla disciplina dei pacchetti
turistici v. E. G. Rosafio, Pacchetti turistici e posizione del
consumatore: brevi considerazioni, in Alada en Cabo Verde, cit., 188; G.
de Cristoforo, La disciplina dei contratti di viaggio «pacchetti turistici» nel «codice del
turismo» (d. legisl. 23 maggio 2011,
n. 79): profili di novità e questioni problematiche, in Studium
Iuris, 11, 2011, 1143. Sugli
aspetti specifici V. in generale: A. Asensi
Meras, Contratación on line de servicios turísticos y paquetes
dinámicos de Turismo, in Revista Investigaciones Turísticas, n. 12,
2016, 163; I. González Cabrera, ¿Estamos
ante el mismo producto si se adquiere en línea un viaje combinado o distintos
servicios de viaje vinculados?, in Revista de Derecho Civil, 2016,
n. 3, 139; F. Morandi, The New
European Regulation of Package travel and linked travel Arrangements, in Dir.
trasp., 2017, 99. Con riferimento alla disciplina previgente, con rilievo
sulla specifica questione, v. G. M. Uda,
Spendita del nome nell’intermediazione di
viaggio per servizi separati, ne La tutela del turista (atti del convegno
Sassari-Alghero, 27 e 28 settembre 1991), Napoli
1993, 177, oppure in Riv. giur. sarda,1992,
245.
[48] V. in generale E. Malagoli, Il nuovo codice del turismo: contenuti e garanzie, in Contr. Impr. Eur., 2011, 813.
[49] In tal senso v. C. giust. 30 aprile
2002, causa C-400/00, pubblicata tra l’altro in Dir. Maritt., 2004, 457, con nota di C. F. Galantini, Estensione
della nozione comunitaria di “pacchetti turistici” e servizi singoli assemblati
dall’intermediario di viaggi e servizi
singoli assemblati dall’intermediario di viaggi su indicazione della clientela;
l’intermediario diviene quindi, sempre organizzatore? Per un
ulteriore commento, v. anche E. Adobati,
La Corte di giustizia definisce la
nozione di viaggio “tutto compreso” ai sensi della direttiva n. 90/314/Cee,
in Dir. Com. sc. Internaz., 2002,
486.
[50] Per di «cabotaggio»,
tradizionalmente, si intende il traffico fra porti di uno stesso Stato (sul
concetto, a suo tempo, v. per tutti D.
Supino, Cabotaggio, in Digesto it., VI, 1, Torino 1888, 1).
Nella letteratura recente, v. ex plurimis
E. Turco Bulgherini, Cabotaggio,
feederaggio, short sea shipping e autostrade del mare, in
Trattato breve di diritto marittimo,
I, a cura di A. Antonini, Milano 2007, 448; S. Zunarelli, M. M. Comenale Pinto, Manuale di diritto della navigazione e
dei trasporti e dei trasporti, cit., 11. V. anche P. Fois, Cabotaggio marittimo e libera prestazione di
servizi, in Continuità territoriale e
diritto marittimo, atti del convegno di Cagliari, 30 giugno-1 luglio 2000,
a cura di L. Tullio e M. Deiana, 109; M.
L. Corbino, Operatività e limiti
della riserva di cabotaggio, in Dir. Trasp.,
1, 1989, 121. La terminologia (come il principio della riserva) è stata
poi estesa anche alla navigazione aerea: cfr. ex plurimis A. Ambrosini,
Istituzioni di diritto aeronautico,
Roma 1939, 83; W. M. Sheehan, Air Cabotage And The Chicago Convention,
in Harvard Law Review, 63, 1950,
1157. È stato posto in rilievo come il termine in campo aeronautico assumesse
una valenza più ampia che in diritto marittimo, pondo comprendere anche il c.d.
«gran cabotaggio», posto che la nozione di territorio («territoire») ai sensi dell’art. 2 convenz. Chicago include non solo
il territorio metropolitano e le acque adiacenti, ma anche le dipendenze, come
le colonie che, in precedenti assetti geopolitici mondiali, avevano dimensioni
e diffusioni anche molto ampie: cfr. N.
Mateesco Matte, Traité de droit
aérien-aéronautique, ed. III, Montréal-Paris 1980,
173.
[51]
«Each contracting State shall have the right
to refuse permission to the aircraft of other contracting States
to take on in its territory passengers, mail
and cargo carried for remuneration or hire and destined for another point
within its territory. Each
contracting
State undertakes not to enter into any arrangements which specifically grant
any such privilege
on an
exclusive basis to my other State or an airline of
any other State, and not to obtain any euch exclusive privilege
from any other State».
[52] V. amplius, Ancora sul
cabotaggio aereo, in Nuovi Saggi di
diritto aeronautico, II, Milano 1940, 531; D. Gaeta, Cabotaggio,
in Enciclopedia del diritto, Milano
1959, 738; M.
M. Comenale Pinto,
Substantial Ownership and Control of International Airlines, in Rapports
nationaux italiens au XVI Congrès International de Droit Comparé, Milano
2002, 541; A. Italiano, M. L.
Panetta, La riserva di cabotaggio,
in Aspetti della normativa comunitaria
sui servizi aerei c.d. terzo pacchetto, a cura di G. Romanelli, L. Tullio,
Cagliari 1999, 85; da ultimo v. A. M.
Sia, Il cabotaggio aereo nella
convenzione di Chicago del 1944 e nella disciplina comunitaria, in Dir. Trasp., 2000, 31.
[53] «Chaque Etat contractant aura le droit
d’édicter, au profit de ses aéronefs nationaux, des reserves et restrictions concernant
le transport commercial de personnes et de marchandises entre deux points de
son territoire. Ces réserves et restrictions seront immédiatement publiées et
communiquées à la Commission internationale de navigation aérienne, qui les
notifiera aux autres Etats contractant».
[54] «Each
contracting State shall have the right to refuse permission to the aircraft of
other contracting States to take on in its territory passengers, mail and cargo
carried for remuneration or hire and destined for another point within its
territory».
[55] «Each
contracting State undertakes not to enter into any arrangements which
specifically grant any such privilege on an exclusive basis to any other State
or an airline of any other State, and not to obtain any such exclusive
privilege from any other State».
[56] Per tale linea, v. ad esempio F. De Coninck, European air law: new skies for Europe, Paris
1992, 308. La questione si era posta in termini analoghi rispetto
all’art. 2 convenz. Parigi del 1919: cfr. A.
Ambrosini, Corso di diritto
aeronautico, I, Roma 1933, 89. La clausola di «Nazione più favorita» era
rintracciabile anche nel General
Agreement on Trade in Services (GATS), accordo sul commercio internazionale
di servizi adottato nel 1994 ed inserito nel Uruguay Round e ratificato da tutti i Paesi membri del World Trade Organization. L’obbiettivo
del GATS era quello di consentire una progressiva liberalizzazione dei servizi
negli Stati membri. In tema cfr. C. Barfield,
Trade Liberalization in Aviation Service,
Washington 2004, 25 ss.; A. Mencik von
Zebinsky, The General Agreement on Trade in Services: Its
Implications for Air Transport,
in AASL, 1993,
359; Y. Zhao, Air Transport
Services and WTO in New Epoch, in ZLW, 2001, 48; R. Baratta, La ripartizione tra
Comunità e Stati membri delle competenze esterne in materia di servizi di
trasporto marittimo, in Dir. Un. Eur., 2002, 17; M. Gangi, L’iniziativa dell’Unione
europea per la realizzazione di un accordo multilaterale di regole sulla
concorrenza nell’ambito dell’organizzazione mondiale del commercio, in Dir.
Comm. Internaz., 2001, 123.
[57] Esempi di tale tendenza sono
stati rappresentati da Scandinavian Air System (SAS) e da Air Afrique.
[58] L. Weber, External Aspects of EEC Air Transport
Liberalization, in Air Law, 1990,
277, ivi, 282. V.
però T. Ballarino, S. Busti,
Diritto aeronautico e spaziale,
Milano 1988, 73.
([59]) Una
delle «questioni» che ha indubbiamente appassionato la dottrina è stata quella
legata al concetto di sovranità statale sullo spazio aereo. Quest’ultimo fu
enunciato, ancor prima che dalla convenzione di Chicago del 1944, dall’art. 1
della convenzione di Parigi del 1919 che vide i propri lavori sicuramente
stimolati dai recenti eventi bellici. Sul concetto di «spazio aereo» e
«sovranità» v. a suo tempo A. Giannini,
La Souveraineté des Etats sur l’espace
aérien, in Dr. Aérien, 1931, 1; V. Scialoja, Dello spazio aereo, in Scritti
giur., V, Roma 1936, 435; L. M.
Bentivoglio, Esiste un confine dello
Stato nello spazio verticale?, in Dir.
Internaz., 1970, 204; M. Fragali,
L’internazionalismo della navigazione e la sovranità sullo spazio aereo,
in Dir. Aereo, 1970, 139; E. Back
Impallomeni, Spazio aereo e spazio extra-atmosferico, in Enc. Dir., XLIII, Milano 1990, 258.
Anche con riferimento alla disciplina dei «voli spaziali» v. amplius G. Romanelli, Aspetti
giuridici dei voli spaziali e riflessi sulla disciplina della navigazione aerea,
in Riv. trim. dir. Proc. Civ., 1961,
882. Per una più aggiornata prospettiva in relazione alla sicurezza degli spazi
aerei v. per tutti M. M. Comenale Pinto, Ustica
e la sicurezza dello spazio aereo, nota a Cass. 9 maggio 2009, n. 10285,
in Riv. dir. Nav., 2010, 737. Sul
problema della limitazione del diritto di sorvolo delle acque internazionali
causato dall’istituzione di zone di sicurezza aerea da parte alcuni Stati
costieri v. M. De Juglart, Traité
de droit aérien, I, Paris, 1989, 590; N.
Mateesco Matte, De la mer territoriale à l’air «territoriale»,
Paris 1965, 143.
[60] Cfr. G. Rinaldi Baccelli, La
liberalizzazione del trasporto aereo in Europa, in Trasporti, 41, 1987, 153. Va osservato come «detto principio non ha
trovato rigorosa applicazione in quanto gli Stati, a condizione di reciprocità,
hanno preferito consentire agli aeromobili stranieri di sorvolare il proprio
spazio aereo, nonché di atterrare nei propri aeroporti, soddisfacendo così
interessi di natura economica legati all’incremento dello sviluppo dei traffici
aerei» così S. Zunarelli, A. Romagnoli, A.
Claroni, Diritto pubblico dei
trasporti, cit., 32.
[61] Sul concetto v. amplius A. Giannini, Le libertà
dell’aria e le convenzioni di Chicago, in Riv. dir. Nav., 1953, I, 143; J.
Guillot, Libertés de l’air et
droits commerciaux, in Rev. Fr. Dr. Aér., 1968, 15; T. Ballarino, S.
Busti, Diritto aeronautico e spaziale, cit., 67.
[62] Si è parlato di «ulteriori
libertà commerciali», tenendo per l’appunto presente che nella pratica si
potrebbero rinvenire tre ulteriori libertà: la sesta, che consisterebbe nel
diritto per una compagnia di determinata nazionalità di trasportare persone o
cose da un Paese estero ad un altro Paese, sostando nel proprio territorio
nazionale; la settima che si configurerebbe come diritto di un vettore, avente
determinata nazionalità, di effettuare operazioni commerciali fra i territori
di due Stati senza far scalo sul proprio territorio nazionale; infine l’ottava
libertà che sarebbe quella di effettuare operazioni di traffico tra due o più
punti del territorio di un altro Paese, ovvero il cosiddetto cabotaggio aereo.
Si tratta di classificazioni non unilateralmente accettate, delle quali almeno
le prime due menzionate si trovano in un rapporto di genus ad speciem con la V
libertà. Sulle problematiche di classificazione v. S. Cacopardo, Quante
sono le cinque libertà dell’aria?, cit., 185.
[63] Cfr. Cons. St. 17 dicembre 2014,
nn. 6166 e 6167 con nota di A. L. M. Sia, Il caso Emirates. Osservazioni sullo
scambio dei diritti di traffico di quinta libertà in via extrabilaterale,
cit., 838.
[64] V. ex plurimis G. Romanelli,
Il trasporto aereo di persone,
cit., 97. Sulla questione anche per ulteriori e più aggiornati riferimenti cfr.
S. Zunarelli, A. Pullini, I servizi di trasporto aereo, cit., 16.
[65] Salvo quanto, come si vedrà, può
argomentarsi sulla base degli accordi bilaterali che seguono il modello c.d.
della «predetermination».
[66] «L’esercizio dei servizi aerei
di linea e charter, nel sistema della Convenzione di Chicago del 1944», viene
inoltre condizionato dalle ipotesi espresse nell’art. 9 convenz. Chicago
del 1944 specialmente alla lettera a) «Each contracting State
may, for reasons of military necessity or public safety, restrict or prohibit
uniformly the aircraft of other States from flying over certain areas of its
territory, provided that no distinction in this respect is made between the
aircraft of the State whose territory is involved, engaged in international
scheduled airline services, and the aircraft of the other contracting States likewise
engaged. Such prohibited areas shall be of reasonable extent and location so as
not to interfere unnecessarily with air navigation. Descriptions of such
prohibited areas in the territory of a contracting State, as well as any
subsequent alterations therein, shall be communicated as soon as possible to
the other contracting States and to the International Civil Aviation
Organization» e alla lettera b) «Each contracting State reserves also the
right, in exceptional circumstances or during a period of emergency, or in the
interest of public safety, and with immediate effect, temporarily to restrict
or prohibit flying over the whole or any part of its territory, on condition
that such restriction or prohibition shall be applicable without distinction of
nationality to aircraft of all other States». Cfr. S. Zunarelli, A. Pullini, I
servizi di trasporto aereo, cit., 17.
[68] Questi operavano secondo le
regole dello Stato a cui appartenevano. In tal
proposito si veda S. D. Rynerson,
Everybody Wants to go to Heaven, but
nobody wants to die: The story of the transatlantic common aviation area,
in Trasp. L. J., 30/2002, 421, ivi, 426.
[72] Cfr. E. Turco Bulgherini, La crisi del trasporto aereo e gli
accordi bilaterali, in Dir. prat. av. civ., 1977, 85; S. Zunarelli, A. Pullini, I servizi di trasporto aereo, cit., 17; S. Zunarelli, A. Romagnoli, A. Claroni,
Diritto pubblico dei trasporti, cit.,
34 s.
[73] A proposito dell’accordo sul
transito v., tra gli altri, T.
Ballarino, S. Busti, Diritto aeronautico e spaziale, cit., 96.
[74] Con la rilevante eccezione
derivante dalla denunzia del Canada, definitivamente efficace dal 10 novembre
1988.
[75] Al quale, nella sostanza, si
erano attenute le parti nel primo accordo bilaterale del dopoguerra, c.d.
«Bermuda I», fra Stati Uniti e Regno Unito dell’11 febbraio 1946, su cui si
tornerà nel prosieguo, e che aveva poi fatto da modello agli accordi successivi
che erano seguiti, fino al mutamento di approccio concretizzatosi con l’accordo
c.d. «Bermuda II», fra le medesime parti, del 23 luglio 1977, che aveva
inaugurato la stagione del più restrittivo schema della «predetermination», a sua volta superato dal più elastico modello
c.d. «open sky», altrimenti noto come
«US liberal». Su tale evoluzione v. L. M. Bentivoglio, Bermuda Revisited: ad una
svolta la politica internazionale del trasporto aereo, in Trasporti, 12, 1977,
79.
[76] In effetti, a livello interno,
una riserva di cabotaggio a favore degli aeromobili nazionali, era posto
dall’art. 780 c. nav., nel testo originario, il cui comma 1 prevedeva che «I servizi di trasporto aereo tra scali nel
Regno sono in ogni caso riservati alle imprese nazionali, salvo che
diversamente sia stabilito in convenzioni internazionali». Il successivo
comma 2 aggiungeva, come eccezione: «Fuori
dai casi previsti dal comma precedente, per motivi di interesse generale,
all’esercizio di tali trasporti possono essere ammesse con decreto reale anche
imprese straniere».
[78] Non avendo ottenuto, come si è
anticipato, alcun successo l’accordo
sul trasporto, approvato nella medesima conferenza di Chicago del 1944
sull’aviazione civile. La convenzione di Chicago per quanto concerne i servizi
aerei internazionali di linea, all’art. 6, si limita a vietarne
l’effettuazione, se non con il consenso e alle condizioni stabilite dallo Stato
il cui territorio viene sorvolato. Il concetto è stato recentemente ribadito da
due sentenze consecutive del Consiglio di Stato del 17 dicembre 2014 (n. 6166 e
n. 6167), cit., che sottolineano come per i voli di linea, sia necessaria la
stipula di appositi accordi bilaterali che stabiliscono la reciproca
concessione delle libertà commerciali.
[79] Sul punto v.
P. P. C. Haanappel, Air transport deregulation in jurisdictions
other than the united states,
cit., 79.
[80] Sull’argomento
v. G. Silingardi, Trasporto aereo e deregulation nella
prospettiva comunitaria, in Studi
econ. diritto, 1989, 593; F. McGowan, P. Seabright, Deregulating European Airlines, in Economic Policy Europe, 1992, 283.
[82] Peraltro, l’interpretazione non
rigida dell’art. 7 della convenzione, a cui si è fatto più sopra riferimento,
ha consentito l’apertura dell’accesso di qualsiasi vettore aereo comunitario ai
traffici anche interni di ciascuno Stato membro, divenuta operativa sulla base
dell’art. 3, § 2 del reg. Cee 2408/92, a decorrere dal 1° aprile 1997, e oggi,
garantita dall’art. 15 del reg. n. 1008/2008. Come puntualizza tale art. 15, al
§ 2: «Gli Stati membri si astengono dall’assoggettare la prestazione di servizi
aerei intracomunitari da parte di un vettore aereo comunitario a qualsivoglia
permesso o autorizzazione. Gli Stati membri non chiedono ai vettori aerei
comunitari di fornire alcun documento o informazione che questi ultimi abbiano
già presentato all’autorità competente per il rilascio delle licenze, a
condizione che le pertinenti informazioni possano essere ottenute dall’autorità
competente per il rilascio delle licenze a tempo debito».
[83] In tal senso v. E. Turco Bulgherini, La disciplina giuridica degli accordi aerei
bilaterali, cit., 73; S. Zunarelli,
A. Pullini, I servizi di trasporto
aereo, cit., 18.
[84] A tale
proposito si rimanda a M. M. Comenale
Pinto, Le competenze della
Commissione europea e la negoziazione degli accordi bilaterali, in Alada en Roma, Buenos Aires 2004, 190.
[85] C. giust Ce 4 aprile 1974, causa
C-167/73, Commissione c. Francia,
in Foro it., 1974, IV, 201, oppure in Dir. maritt., 1974, 372. V. anche il commento di F. Moussu,
L’application du traité de Rome au
transport maritime. À propos de l’arrêt de la Cour des Communautés européennes
du 4 avril 1974, in Ann. dr. mar.
aér., 1974, 149.
[86] Caso «Nouvelles Frontières» (C. giust. 30 aprile 1986,
causa C-209-2013/84, in Giust. civ.,
1987, I, 463 con nota di R. Giuffrida, L’applicabilità delle norme CEE sulla
concorrenza alle procedure nazionali di omologazione delle tariffe aeree,
in Giust. civ., 1987, I, 463. V.
anche i commenti di P. Piva, Norme antitrust e trasporto aereo nelle
Comunità europee, in Dir. comunit.
scambi intern., 1988, 69, e di I.
Quintana Carlo, La aplicación de
las reglas de la competencia del Tratado de Roma a la fijación de tarifas en
los transportes aéreos, in Revista de Instituciones Europeas, 1988,
105) e caso «Ahmed Saeed» (C. giust. 11 aprile 1989, causa C-66/86 in Dir. trasp., 1991, 93, con nota di F. Trotta, Norme comunitarie e trasporti aerei extracomunitari: il caso Saeed,
ivi, 94, nonché in Giust. civ. 1990,
I, 1930 con nota di P. Mori, In tema di accordi su trasporti aerei
incompatibili con le norme della C.E.E., ivi, 1940). In entrambe le
decisioni, la Corte ha affermato l’assoggettamento alla disciplina delle regole
sulla concorrenza, ed in particolare all’art. 85 del trattato di Roma, anche
delle tariffe di trasporto aereo internazionale.
[87] Il tema della liberalizzazione
del trasporto aereo verrà affrontato nel proseguo. Sulla prima fase dell’evoluzione
della regolamentazione comunitaria dei servizi di trasporto aereo v. per tutti G. Romanelli, I problemi della disciplina comunitaria dei servizi aerei (il memorandum n. 2), in I servizi aerei e la CEE, atti del
convegno di Roma del 27 novembre 1985, Padova 1987, 3. V. anche F. Munari, La liberalizzazione del trasporto aereo nell’Unione europea tra lotta
alle discriminazioni e compressione delle competenze statali, in Dir. Ue., 1999, 207.
[88] Lo Standard Form of Agreement, prevede clausole su: (artt. 1 e 2) le
condizioni necessarie per l’istituzione dei servizi aerei internazionali e le
clausole di salvaguardia necessarie per evitare discriminazioni; (art. 4) il
reciproco riconoscimento dei certificati di navigabilità degli aeromobili, dei
brevetti e delle licenze del personale; all’art. 5 la disciplina applicabile
alla partenza, all’arrivo e alla navigazione degli aeromobili all’interno del
territorio dei due Stati; (art. 6) l’obbligo che la proprietà sostanziale ed il
controllo effettivo delle imprese designate a svolgere servizi aerei da parte
degli Stati contraenti appartengano a cittadini dello Stato che ha designato
l’impresa stessa; viene inoltre prevista la registrazione dell’accordo presso
l’ICAO. V. amplius E. Turco Bulgherini, La disciplina giuridica degli accordi aerei
bilaterali, cit., 46; S. Zunarelli,
Servizi aerei, in
Enc. dir., XLII,
Milano 1990, 382.
[90] J. W. S. Brancker, IATA and What It Does,
Leyden 1977, passim; L. S. Clarke, IATA: the First 50
Years - What’s Past Is Prologue, in Annals Air & Space law, 1995, I, 29; P. P. C. Haanappel, Développements Récents à l’Association
du Transport Aérien International (IATA), in Annals Air & Space Law, 1996, 396. Sui rapporti fra
IATA ed ICAO., v. L. S. Clarke,
IATA and ICAO: the First Fifty Years, cit., 125; J.-B. Vallée,
La fixation des tarifs aériens: les
organisations professionnelles (l’I.A.T.A. et les organismes régionaux). Les
interventions gouvernementales, in Aspects actuels du droit international des transports, Paris 1981, 367).
[91] «La disciplina
degli accordi delle Bermuda accoglie, in materia tariffaria, una soluzione
intermedia tra quella consistente nella diretta determinazione delle tariffe da
parte dell’Autorità pubblica e quella opposta della libertà tariffaria, quale
risulta dall’equilibrio spontaneo delle forze di mercato. Essa delinea [...]
un disegno di politica economica secondo la quale mentre agli operatori
appartiene il potere d’iniziativa, all’Autorità pubblica compete quello di
programmazione e controllo, in esecuzione di un modello dirigistico emerso in
maniera crescente nelle costituzioni dei Paesi occidentali ed accolto da quella
italiana», così E. Turco Bulgherini,
Gli accordi bilaterali di traffico aero vigenti in Italia, Roma 1981, 79. Va osservato come, a livello comunitario, a
seguito dell’entrata in vigore del reg. Cee 23 luglio 1992 n. 2409 si è avuta
la liberalizzazione delle tariffe aeree «imposte» dai vettori comunitari sulle
rotte intracomunitarie e nazionali e non fu, quindi, più necessaria
l’approvazione da parte delle autorità amministrative competenti. Le tariffe
divennero così conseguenza del libero gioco di mercato v. in tal senso M. Brignardello, Le tariffe aeree, ne Il nuovo
diritto aeronautico, cit., 407.
[96] Va osservato come l’accordo
venne concluso quasi allo scadere del precedente accordo del 1946. Sull’accordo
di Bermuda II v. per tutti G. Silingardi,
Attività di controllo aereo e servizi
pubblici, cit., 41. Sull’accordo bilaterale tra Stati Uniti e la Gran Bretagna v.
J. Dutheil de la Rochère, Aspect nouveaux du bilatéralisme aérien,
in Ann. fr. dr. inter., 1982, 914, ivi, 919; L. M. Bentivoglio, Bermuda Revisited: ad una
svolta la politica internazionale del trasporto aereo, cit., 79.
[97] Così G. Silingardi, Liberalizzazione del trasporto aereo charter e riflessi sullo sviluppo
delle attività turistiche, in Riv.
giur. circ. trasp., 1995, 676.
[98] Sul punto v. M. Boi, Gli accordi di traffico aereo: la nuova frontiera degli open skies, ne Il nuovo diritto aeronautico, cit., 65. In
lingua inglese cfr. B. F. Havel, In
Search of Open Skies: Law and Policy for a New Era in International Aviation. A
Comparative Study of Airline Deregulation in the United States and the European
Union, Alphen aan den Rijn 1997, 6 ss.; P. Mendes de Leon, Before and After the Tenth Anniversary of
the Open Skies Agreement Netherlands-US of 1992, in Air & Space Law,
2002, 280 ss.
[99] Reg.
Ce n. 874/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, sulla
negoziazione e all’applicazione di accordi in materia di servizi aerei
stipulati dagli Stati membri con gli Stati terzi.
[100] La cui firma è stata approvata attraverso la decisione del Consiglio e
dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri della Comunità europea,
riuniti in sede di Consiglio, del 25 aprile 2007 e pubblicato in
G.U.U.E. 25 maggio 2007, L 134, 4. Sul
punto v. S.
Zunarelli, M. M. Comenale Pinto,
Manuale di diritto della navigazione e dei trasporti e dei trasporti,
cit., 15; A. L. M. Sia, L’Unione europea e i nuovi accordi globali
sul trasporto aereo, in Riv. dir.
nav., 2014, 807; L. Trovò, L’accordo
open sky plus, ne Il trasporto aereo tra normativa comunitaria e
uniforme, a cura di R. Tranquilli-Leali, E. G. Rosafio, Milano 2011, 583; A. Quaranta, I recenti sviluppi negli accordi bilaterali, in Av. Mar. J., 2007, 8; M. T. Lioi, Accordo aereo Unione europea-Stati Uniti: inizia la seconda fase,
in Av. Mar. J., 2008, 2, 1 ss. A. Miglio, Note a margine del trattato dei «cieli aperti» tra Unione europea e
Stati Uniti d’America: una nuova era per l’aviazione transatlantica, in Dir. dell’econ., 2009, 709. Va
sottolineato come l’accordo sia stato poi oggetto del protocollo di modifica
del Lussemburgo del 24 giugno 2010, e dato atto del fatto che già nel febbraio
del 1990 la Commissione rivendicò competenze in materia di «relazioni
aeronautiche» e, nel 1996 ottenne dal Consiglio europeo un mandato ristretto al
fine di poter negoziare con gli Stati Uniti, «in collaborazione con un comitato
designato ad hoc dallo stesso, alcuni aspetti connessi ai servizi aerei, fra
cui la concorrenza, e la proprietà ed il controllo delle aerolinee; sulla base
di siffatto mandato, tuttavia, non si è arrivati alla conclusione di alcun
accordo» così S.
Zunarelli, M. M. Comenale Pinto,
Manuale di diritto della navigazione e dei trasporti e dei trasporti,
cit., 16. Ad ogni modo, ed in estrema sintesi, si può dire che gli
accordi «Open Sky Plus» prevedendo
l’accesso reciproco ai rispettivi mercati senza alcuna restrizione tariffaria e
di capacità, e riconoscendo i diritti di terza, quarta e quinta libertà,
abbiano favorito una maggiore concorrenza tra vettori. Oggi gli accordi «Open Sky Plus» sono fortemente criticati
proprio dai vettori aerei. Il caso più recente, ancora in attesa di soluzione,
è quello nato in seno al Comitato misto USA-Ue (previsto dall’accordo del 2007
e da quello del 2010 e competente sull’attuazione stessa dell’accordo e sul
coordinamento della cooperazione normativa intra
partes) nei primi mesi del 2014 relativamente alla richiesta di ingresso
nel mercato statunitense della Norwegian Air International Limited (NAI). La
richiesta della NAI, compagnia aerea low
cost, con sede a Dublino e in possesso di regolare certificato di operatore
aereo irlandese (controllata dalla Norwegian Air Shuttle, importante vettore
scandinavo), ha incontrato l’opposizione dell’Air Line Pilots Association (ALPA il più rappresentativo sindacato
statunitense dei piloti) che, con un’istanza presentata al Department of Transportation, ha di fatto bloccato la decisione in
merito. A fondamento della contestazione il sindacato dei piloti ha posto la
tesi secondo la quale la Norwegian Air Shuttle avrebbe dato vita alla propria
controllata irlandese al fine di avvantaggiarsi del più conveniente sistema di
tassazione fiscale e della maggiore flessibilità della disciplina del lavoro
irlandese. Le resistenze in questione non sembrano, tuttavia, aver sortito
alcun effetto.
[101] Si fa riferimento a C. giust. 5
novembre 2002, causa C-466/98 Commissione delle Comunità europee contro
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, in Dir. turismo, 2003, 51, con nota di M. M. Comenale Pinto, Gli open sky nella prospettiva della Corte di giustizia CE, o anche in Dir. comm. internaz.,
2002, 1001, con nota di S. Bottacchi,
La Corte di Giustizia e il c.d. «Accordo di Bermuda II», ivi,
1011; C. giust. 5 novembre 2002, causa C-467/98 Commissione delle Comunità europee
contro Regno di Danimarca, in Dir.
com. sc. internaz., 2004, 23, con nota di A. Lega, La competenza
esterna della Comunità in materia di trasporto aereo, ivi, 35, nonché in Dir. maritt., 2003, 779, con nota
di M. Lieto, Sentenze «open
skies», new policy dell’Unione Europea nel trasporto aereo
internazionale e progetti di riforma della «ownership and control clause»,
ivi, 780; C. giust. 5 novembre 2002, causa C-468/98 Commissione
delle Comunità europee contro Regno di Svezia; C. giust. 5 novembre 2002,
C-469/98 Commissione delle Comunità europee contro Repubblica di Finlandia;
C. giust. 5 novembre 2002, causa C-471/98 Commissione delle Comunità europee
contro Regno del Belgio; C. giust. 5 novembre 2002, causa C-472/98 Commissione
delle Comunità europee contro Granducato di Lussemburgo; C. giust. 5
novembre 2002, causa C-475/98 Commissione delle Comunità europee contro
Repubblica d’Austria; C. giust. 5 novembre 2002, causa C-476/98 Commissione
delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania), in Dir. trasp., 2003, 137, con nota di A. Masutti, Trasporto aereo: le responsabilità esterne della Comunità europea,
ivi, 150.
[102] Le posizioni della commissione
non vennero accolte dalla Corte di giustizia, v. in senso adesivo S. Zunarelli, M. M.
Comenale Pinto, Manuale di
diritto della navigazione e dei trasporti e dei trasporti, cit., 16.
[103] Si fa riferimento alla
comunicazione della Commissione del 19 novembre 2002, alla quale ha poi fatto
seguito la comunicazione del 26 febbraio 2003 alla quale è stata allegata una
proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio, relativo alla
negoziazione e all’applicazione di accordi in materia di servizi aerei
stipulati dagli Stati membri con i Paesi terzi
[104] Così S. Zunarelli, M. M. Comenale Pinto, Manuale di diritto della navigazione e
dei trasporti, cit., 16.
[105] Cfr. art. 92 convenz. Montego
Bay del 10 dicembre 1982, per quanto concerne le navi; per gli aeromobili, cfr.
art. 5 convenz. Chicago 1944.
[106] V. in tal senso S. Zunarelli, M.
M. Comenale Pinto, Manuale di diritto della navigazione e dei
trasporti e dei trasporti, cit., 155; G.
Camarda, Libertà di navigazione, tutela dell’ambiente e gestione
delle risorse nella zona economica esclusiva, in Trasporti, 62-63,
1994, 54 ss.; M. P. Rizzo, Sicurezza e libertà nell’esercizio della
navigazione: il ruolo dello stato costiero e dello stato del porto, in Dir. maritt., 2013, 543;
[107] Nel medesimo senso disponeva
l’art. 6 convenz. Parigi 1919. V. amplius
M. M.
Comenale Pinto, Substantial
Ownership and Control of International Airlines, cit., 541; F. Vileda Escalada, Nationality of aircraft: a vision of the future, in Air and space law: De lege ferenda - Essays in Honour of
Henri A. Wassenbergh, London 1992, 71.
[108] Viceversa, per quanto concerne le
navi, se è vero che l’art. 92 convenz. Montego Bay 1982 sul diritto del mare
esclude la possibilità della doppia iscrizione, ed anzi considera come se fosse
priva di nazionalità la nave che navighi «under
the flags of two or more States»
(art. 92, § 2, convenz. Montego Bay 1982), è anche vero che viene
ammessa di fatto la possibilità di quella che si suole indicare come «dual registration», o anche «parallel registration» nei periodi di flaggint-out e di flagging-in; la relativa problematica era stata oggetto di
specifica disciplina, con riferimento alla bare-boat
charter registration negli artt. 11 e 12 della mai entrata in vigore
convenzione di Ginevra del 7 febbraio 1986 sulle condizioni di registrazione
delle navi (cfr. C. Moreno, Bareboat Charter Registration in the Light
of International Instruments, in A.D.M.O.,
XIV, 1996, 55, ivi, 59 ss.; in tema v. anche S.
Zunarelli, La Convenzione di
Ginevra sulle condizioni per la registrazione di navi, in Dir. maritt., 1986, 853, ivi, 868 ss.; V. Polic Curcic, Registration of ships under bareboat charter with particular reference
to dual registration, in Dir. maritt.
1989, 415). La soluzione è espressamente ammessa in varie legislazioni
nazionali, fra cui quella italiana, a seguito della l. 14 giugno 1989 n. 234,
artt. 28 e 29: cfr. C. Caliendo, Osservazioni in tema di «bareboat charter
registration», nazionalità e bandiera della nave nella legge 14 giugno 1989, n.
234, in Dir. maritt., 1989, 379; G. Pescatore, Locazione di nave a scafo nudo e iscrizione nei registri «speciali»,
ne Le ragioni del diritto. Scritti in
onore di Luigi Mengoni, II, Milano 1995, 1505, ivi, 1507 ss.
[109] Così come introdotto dal d. lgs.
9 maggio 2005 n. 96, che ha sostituito e aggiornato il previgente art. 751 che,
a sua volta, era stato oggetto di altri emendamenti, rispetto al testo
originario del 1942, con l’art. 8 della l. 13 maggio 1983 n. 213, e poi con
l’art. 22, comma 3, della l. 24 aprile 1998 n. 128.
[110] In tal senso v., con riferimento
all’art. 58 Tr. Cee, D. Ciriello,
I requisiti di nazionalità richiesti per
l’immatricolazione degli aeromobili, in Trasporti,
45-46, 1988, 125.
[112] Sulla scìa di quanto
precedentemente previsto dall’art. 6 del R.d.l. 20 agosto 1923 n. 2207 (c.d.
«legge aeronautica»).
[113] L’art. 751 c. nav., come
emendato dall’art. 8 della l. n. 13 del 1983, si riferiva esclusivamente alle
società esercenti servizi aerei di linea. Come è stato osservato con riferimento
a quest’ultima previsione (D. Gaeta, Le recenti modifiche al codice della
navigazione in materia di aviazione civile, in Foro it., 1984,
V, 165, ivi, 170), ma il rilievo è valido anche per il vigente, pur
essendo stata introdotta per consentire il ricorso al leasing, art. 756 c. nav., «la formulazione della norma è tale che
di quella agevolazione potranno avvalersi anche coloro che ottengano la
disponibilità dell’aeromobile con uno strumento diverso dal leasing (locazione
ordinaria, usufrutto)».
[114] S. Cardillo, Il leasing
aeronautico nella disciplina legislativa e nella prassi contrattuale, in Studi
in onore di Antonio Lefebvre d’Ovidio, cit., 293, ivi, 309.
[115] Tale specifica finalità del legislatore si evince chiaramente nei
lavori preparatori della legge medesima: cfr. la relazione del Sen. S. Vincelli
del 7 agosto 1981 nell’ambito dell’8a Commissione permanente del Senato
(VIII legislatura) sul disegno governativo da cui è derivata la legge in
questione in esame (stampato n. 298-A,
23, richiamato sul punto da D. Gaeta, Le recenti modifiche al codice della
navigazione in materia di aviazione civile, cit., 170). A livello
internazionale, va ricordato l’art. 83-bis della Convenzione di Chicago
del 1944, introdotto nel 1980, a seguito della XXIII sessione dell’assemblea
dell’ICAO che consente la conclusione di accordi fra Stato di immatricolazione
e Stato di domicilio o di residenza dell’operatore di aeromobili oggetto di leasing,
noleggio o scambio per la delega al secondo delle attribuzioni proprie dello
Stato di immatricolazione (protocollo di Montreal del 6 ottobre 1980 – ICAO Doc
9318, ratificato dall’Italia ai sensi della l. 24 luglio 1985 n. 437).
[116] Cfr. C. Coletta, Il leasing
di aeromobile, ne I nuovi contratti nella
prassi civile e commerciale, XVII, Torino 2004, 104.
[117] Così: G. Ferrarini, La
locazione finanziaria di nave e di aeromobile, in Dir. trasp., II/1989, 37, ivi, 57.
[118] Cfr. S. Zunarelli, M. M. Comenale Pinto, Manuale di diritto della navigazione e dei trasporti, cit., 144. In
generale sulla disciplina del leasing
A. Masutti, V. Scaglione, Il leasing di aeromobile, ne I contratti del trasporto, I, diretto da F. Morandi, Bologna 2013,
197 ss.; D. Ciriello, Considerazioni su alcuni problemi attuali
del leasing aeronautico, in Trasporti,
45-46/1988, 117; S. Cardillo, Il leasing aeronautico nella disciplina
legislativa e nella prassi contrattuale,
cit., 293; C. Coletta, Il leasing di aeromobile, cit., 104; E. Fogliani, Il leasing e la
proprietà dell’aeromobile nel codice della navigazione, in Dir. maritt.,
1987, 831.
[119] La ratifica italiana è stata
operata il 29 novembre 1993, sulla base della legge di autorizzazione 14 luglio
1993 n. 259; a livello internazionale, la convenzione è entrata in vigore il 1°
maggio 1995. Essa reca un regime differenziato in tema di legge applicabile per
la locazione finanziaria di aeromobili, rispetto a quello delle navi (cfr. art.
7, § 3, rispettivamente lett. b ed a), che corrisponde al diverso regime di
iscrizione nei registri nazionali, tenuto conto dello specifico regime di bareboat charter registration diffuso
per le navi: cfr. G. Ferrarini, La locazione finanziaria di nave e di
aeromobile, cit., 57 ss.
[120] Cfr., al riguardo: E. Chiavarelli, Le garanzie internazionali e il finanziamento di aeromobili
(Convenzione di Città del Capo e Protocollo aeronautico), ne Il Protocollo aeronautico annesso alla
Convenzione relativa alle garanzie internazionali su beni mobili strumentali
(Città del Capo, 16 novembre 2001), a cura di L. Tullio, Padova 2005, 7, 10
ss.; B. Poulain, L’impact économique du droit privé
international sur le financement des aéronefs civils. La convention Unidroit du 16 novembre 2001,
in Rev. fr. dr. aér., 2001, 105; M.
J. Guerrero Lebrón, Algunas consideraciones
sobre el Convenio de Ciudad del Cabo (CCC) y el Protocolo para elementos de
equipo aeronâutico (PEEA), in Estudios
de derecho aéreo: Aeronave y Liberalización, a cura di F. Martínez Sanz e
M. V. Petit Lavall, Madrid-Barcelona-Buenos Aires 2009, 57, ivi, 58 ss.; I. Quintana Carlo, Las recientes reformas legales en el ámbito del transporte aéreo,
in Régimen del transporte en un entorno
económico incierto, a cura di F. Martínez Sanz e M. V. Petit Lavall,
Madrid-Barcelona-Buenos Aires 2011, 387, ivi, 391. Ad oggi, né la Convenzione, né il
Protocollo aeronautico risultano ratificati dall’Italia.
[121] V. in generale A. Masutti, A. Scaglioni, Il leasing di aeromobile, ne I contratti del trasporto, a cura di F.
Morandi, I, Bologna 2013, 197, ivi, 204. Sul rilievo del motore nel leasing di aeromobile, v. anche C. Coletta, Il leasing di aeromobile,
cit., 111; P. Girardi, Il leasing di aeromobile commerciale: profili particolari, in Dai tipi legali ai modelli sociali nella
contrattualistica della navigazione, dei trasporti e del turismo, atti del
convegno 31 marzo - 1° aprile 1995, a cura di G. Silingardi, A. Antonini, F.
Morandi, Milano 1988, 525, ivi, 534 (con riferimento ai riflessi sul piano
assicurativo). Del resto, il codice della navigazione (art. 862, comma 3, c.
nav.) qualifica il motore dell’aeromobile espressamente come «parte costitutiva
separabile»: cfr., al riguardo, anche per ulteriori riferimenti: G. Camarda, Note su motore, altre parti costitutive e pertinenze di nave e di
aeromobile, in Dir. aereo, 1977,
122. Cass. 24 luglio 1989, n. 3486, in Foro
it., 1990, I, 923, oppure in Giust.
civ., 1990, I,117, con nota sul punto conforme di G. Lo Cascio, Concorso
e graduazione dei crediti assistiti da privilegi aeronautici, ivi, 124, ha
escluso che i motori in magazzino, non specificamente individuati, potessero
essere riferiti all’aeromobile oggetto di ipoteca, confermando quanto già
deciso da App. Roma 9 dicembre 1987, in Dir.
trasp., I/1989, 215, con nota adesiva di P.
Ciarletta, Ipoteca di aeromobile e
materiali di scorta, ivi, 216. A sua volta, quest’ultima, confermava Trib.
Roma 14 febbraio 1986, in Dir. fall.,
1986, 399.
[122] Annotava la relazione al codice,
con riferimento alla previsione in questione, a suo tempo dettata dall’art. 779
c. nav., nel testo originario del 1942: «mi è parso opportuno, dato il disposto
dell’art. 777, e ad un tempo sufficiente, stabilire che tali servizi possono
essere concessi anche a stranieri, quando ciò sia previsto in convenzioni
internazionali» (rel. min., § 496).
[123] Questa veniva
definita dal reg. Cee n. 2407/92 all’art. 2 lett. c) come «un’abilitazione rilasciata dallo Stato membro responsabile
a un’impresa che consente di effettuare a titolo oneroso trasporti aerei di passeggeri,
posta e/o merci, secondo le modalità indicate nell’abilitazione stessa».
Definizione quasi coincidente con quella offerta oggi dall’art. 2, § 1, del
reg. Ce n. 1008/08 «un’abilitazione, rilasciata dall’autorità competente per il
rilascio delle licenze a un’impresa, che consente di operare servizi aerei,
secondo le modalità indicate nell’abilitazione stessa». Sul concetto di
esercizio dell’aeromobile v. a suo tempo E.
Spasiano, Esercizio della nave o
dell’aeromobile ed impresa, in Riv.
dir. nav., 1950, I, 169.
[124] V. in tal senso G. Camarda, Le imprese di trasporto aereo nell’ordinamento dei servizi aerei,
in Dir. trasp., 2007, 8.
[126] Cfr. M. M. Comenale Pinto, Gli
open sky nella prospettiva della Corte di giustizia, cit., 60. Sul punto v. anche D.
Bocchese, T. Cruscumagna, M. Galdi, Il rilascio delle licenze di esercizio ai
vettori aerei, in Spunti di studio
su: aspetti della normativa comunitaria sui servizi aerei c.d. terzo pacchetto,
a cura di G. Romanelli, L. Tullio, Cagliari 1999, 22.
[127] «[...] un certificato rilasciato a un’impresa in cui si attesti che l’operatore
ha la capacità professionale e l’organizzazione necessarie ad assicurare lo
svolgimento in condizioni di sicurezza delle operazioni specificate nel
documento stesso, come previsto nelle pertinenti disposizioni del diritto
comunitario o nazionale applicabile».