DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI
STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2017
Accademia Teologica di Mosca
LA CARTA
COSTITUTIVA DEL PATRIARCATO DI MOSCA DEL 1589
SOMMARIO: 1. L’anno
1589. – 2.
Il Patriarca di
Costantinopoli e i vescovi greci a Mosca. La firma della Carta costituitiva. – 3. L’idea del monaco Filofej. 4. – La profezia della “quarta
Roma” che “non sarà”. Differenze della Carta
costitutiva. – 5. La Chiesa di Roma e l’eresia apollinarista. – 6. La caduta della Nuova Roma. – 7. Eternità di Roma. – 8. La Chiesa Russa. – 9. Costantinopoli, 1590.
Nel 1589, durante
il regno dello zar Fedor Ivanovič, gli sforzi del boiaro Boris
Godunov furono premiati con
l’istituzione in Russia del Patriarcato. Il santo Iov, primo Patriarca di Mosca
fu nominato alla presenza del Patriarca Ecumenico Geremia II, che si trovava
allora in Russia per la raccolta delle offerte.
Contestualmente
alla nomina del Patriarca fu redatta la Carta
costitutiva (Uložennaja gramota),
che si trova all’inizio della Kormčaja
kniga [Nomocanone russo, n.d.t.].
La Carta costitutiva del Patriarcato
di Mosca è uno dei più importanti documenti della storia della Chiesa Russa,
dello Stato russo, nonché nell’ambito delle relazioni tra le Chiese Ortodosse
locali. Nel testo della Carta trova
riflesso la concezione della Terza Roma del monaco Filofej, che attribuisce a
questo documento il carattere di un monumento del pensiero politico, giuridico
e teologico.
Particolare rilevanza assume anche la circostanza che la Carta rechi le firme non solo degli
arcipreti, degli archimandriti e degli igumeni russi, ma anche, al primo posto,
quella del Patriarca Costantinopolitano Geremia insieme a quelle del
Metropolita di Monembasia Ieroteo e dell’Arcivescovo di Elasson Arsenio e
l’archimandrita greco Cristoforo. Dal punto di vista formale e giuridico la Carta costitutiva è dunque un documento che appartiene in eguale misura a
Mosca e a Costantinopoli. A onor del vero, se si analizza la storia della
creazione del testo della Carta, esso
risulta essere un prodotto della cancelleria dello zar. Il Patriarca Geremia e
gli arcipreti greci hanno sottoscritto il documento, per dirla con un
eufemismo, senza entusiasmo. Il Metropolita di Monembasia Ieroteo, a lungo non volle firmare. «Che Carta è questa? – domandava lui al
diacono А. Ščelkalov, - e che cosa devo firmare?». Ščelkalov spiegò: «c’è
scritto come avete nominato il Patriarca e come siete arrivati qui». – «Allora
perché non scriverla in greco e perché non darne prima lettura?» ribatteva
Ieroteo, rifiutando a lungo di firmare, e motivando il suo rifiuto con il
timore di una divisione all’interno della Chiesa di Dio, della comparsa di un
altro capo e del verificarsi di un grande scisma. Ieroteo riconosce che alla
fine ha firmato la Carta solo per
paura di essere affogato nella Moscova. Evidentemente le guardie dello zar
avevano minacciato Ieroteo perché si era opposto alla volontà del sovrano.
Geremia dovette prendere le sue parti e per mettere a tacere la coscienza
dell’amico dovette persino compiere un rituale al fine di scongiurare che i
russi provocassero lo scisma tanto temuto da Ieroteo[1].
Così А. V. Kartašev, noto storico della Chiesa Russa, descrive gli avvenimenti
che hanno preceduto la firma della Carta
e il suo racconto ci sembra attendibile.
Queste curiose
circostanze, legate all’apposizione delle firme, testimoniano certamente dei
dubbi e delle incertezze dei vescovi greci. Tuttavia essi sottoscrissero
comunque il documento, e quindi, sebbene vi fossero delle espressioni che
potevano risultare scomode, non c’è n’erano di inaccettabili. Sarebbe assurdo
ad ogni modo supporre che il contenuto della Carta costitutiva non fosse noto ai greci. A prescindere da tutte
le particolari circostanze che hanno accompagnato la redazione della Carta, ci appare fondato affermare che
si tratti di un documento condiviso.
In un passaggio
della Carta costitutiva viene riprodotta la concezione della Terza Roma del
monaco Filofej. N. V. Sinizyna ha a suo tempo analizzato questo passaggio sia
dal punto di vista testuale che contenutistico[2].
Le conclusioni a cui arriva sono nel complesso condivisibili. Appare, tuttavia,
opportuno porre un particolare accento sugli aspetti teologici e canonistici
del problema. Per bocca del Patriarca della Nuova Roma nella Carta costitutiva viene pronunciato il
seguente discorso: «In verità in te, pio imperatore (ci si riferisce a Fedor,
il figlio di Ivan il Terribile, che regnava in quel momento – V. Z.), dimora lo
Spirito Santo, e questo pensiero, nato da Dio, sarà realizzato da te (si parla
dell’istituzione del Patriarcato di Mosca – V. Z.) invero è di vostra nobiltà
l’inizio, e di nostra umiltà e di tutto il santo sinodo il compimento della
grandissima opera. Poiché la vecchia Roma cadde per l’eresia apollinarista, e
la seconda Roma, cioè Costantinopoli, è in potere dei nipoti di Agar, i turchi
senza Dio, il tuo, o pio imperatore, grande impero russo, la terza Roma, le ha
superate tutte in pietà, e tutti i pii imperi sono stati raccolti in uno nel
tuo, e tu solo sotto il cielo sei chiamato imperatore cristiano in tutta
l’ecumene tra tutti i cristiani. E per la Provvidenza di Dio e per la
misericordia della Purissima Madre di Dio e per le preghiere dei nuovi taumaturghi
del grande impero russo, Petr, Aleksej e Iona, e per la tua supplica imperiale
a Dio, questa grandissima opera sarà realizzata dal tuo imperiale consiglio»[3].
Confrontiamo questo
passaggio con le parole dello stesso monaco Filofej, riportate nella versione
più fedele a quello che sicuramente risulta essere l’originale dell’Epistola al
delegato Michail Grigor’evič Misjur’ Munechin: «Sappi, amante di Cristo e
di Dio, che tutti gli imperi cristiani sono giunti alla fine e si sono uniti
nell’unico impero del nostro sovrano, secondo i libri dei profeti, cioè
l’impero romano [romejskoe]. Giacchè
due Rome sono cadute, ma la terza sta [salda] e non ce ne sarà una quarta»[4].
La differenza principale tra la
formulazione contenuta nella Carta costitutiva e il passo
corrispondente dell’Epistola del monaco Filofej consiste certamente
nell’assenza, nella Carta, dell’affermazione
profetica che non ci sarà una quarta Roma. E’ ora difficile dire perchè, nel
processo di composizione del documento, questo pensiero di Filofej sia
stato escluso dal testo della Carta. Ciò potrebbe essere avvenuto su
richiesta della parte greca, oppure potrebbe essere stato deciso nella stessa
cancelleria che aveva preparato il documento, dal momento che, con molta
probabilità, i greci non sarebbero stati d’accordo ad inserire nel testo
quell’affermazione del monaco così pretenziosa e non supportata da dogmi o
canoni. Oppure, gli stessi autori moscoviti della Carta potrebbero aver giudicato inopportuna in un documento
ecclesiastico ufficiale riguardante i rapporti tra due Chiese autocefale, la
profezia di Mosca quale Terza e ultima Roma (poiché non ce ne sarebbe stata
un’altra, una quarta). L’eliminazione di questa formula priva il documento che
stiamo esaminando dell’incisività apocalittica e della prospettiva
escatologica, così importante per Filofej, e indubbiamente attenuata nella rielaborazione
successiva delle idee del monaco, quando, peraltro, l’idea che una “quarta
Roma” non ci sarebbe stata, era divenuta alquanto popolare e di uso quotidiano, ma, privata del pathos
apocalittico di Filofej, aveva acquisito un tono trionfalistico.
In ogni modo,
proprio l’assenza di questo elemento sostanziale della costruzione ideologica
di Filofej testimonia un approccio critico degli autori della Carta verso le idee riprese dal monaco
di Pskov e per questo ci permette con maggiore fondamento di considerare le
parole entrate a far parte del documento come espressione di una posizione
concordata, ufficialmente accettata non solo dai gerarchi della Chiesa Russa,
ma anche di quella di Costantinopoli.
Quale significato poteva essere attribuito, dunque, dagli autori della Carta alla concezione di Mosca Terza Roma? Per rispondere a
questa domanda occorre leggere con maggiore attenzione il testo del monaco
Filofej, per arrivare ad una corretta interpretazione delle sue affermazioni
circa la caduta della prima e della nuova Roma. La prima Roma, secondo Filofej,
è caduta a causa dell’eresia di Apollinare. Nella citazione riportata sopra non
se ne parla, ma la troviamo in un altro passaggio dell’Epistola. Collegare
questa eresia con la dottrina cattolica romana non è corretto dal punto di
vista storico-dogmatico: la Chiesa di Roma certamente rifiuta ed ha sempre
rifiutato l’eresia di Apollinare, nella descrizione della quale il monaco
Filofej cita peraltro l’estremo monofisita Eutichio, assimilando le sue
affermazioni a quelle di Apollinare, cosa a cui la Chiesa di Roma è sicuramente
del tutto estranea. Il monaco crea il collegamento tra Apollinare e la dottrina
della Chiesa di Roma attraverso gli azzimi, il cui uso nel sacramento
dell’Eucarestia nella Chiesa di Roma era oggetto di una polemica
particolarmente accesa tra l’Oriente e l’Occidente cristiano, che, peraltro,
principalmente in un’epoca in cui esisteva ancora una relazione dal punto di
vista dei canoni tra la Vecchia e la Nuova Roma, metteva in secondo piano una
questione teologicamente più sostanziale, quelle del filioque. Tuttavia, la mancata correttezza storico-dogmatica di
Filofej non riguarda il contesto che ora ci interessa, dal momento che la questione
dogmatica non è importante in sé, ma al fine di poter constatare che nella
dottrina della Chiesa di Roma ci fosse un elemento di eresia. Di conseguenza,
Mosca, nel nostro contesto la Chiesa Russa, a differenza della prima Roma,
ossia della Chiesa Cattolica, aveva conservato la piena purezza della dottrina
ortodossa trasmessa dagli apostoli de dai padri.
La caduta della
Seconda, della Nuova Roma, è spiegata da Filofej diversamente, senza alcun riferimento
a problemi dogmatici. Anche se dopo il Concilio di Firenze e la conquista da
parte dei Turchi di Costantinopoli a Mosca erano sorti dubbi circa la purezza
dell’ortodossia dei Greci, che fu poi uno dei motivi, se non il motivo
principale, dello scisma dei vecchi credenti, nella Carta costitutiva, questi dubbi, naturalmente non potevano trovare
riflesso. N. V. Sinizyna a questo proposito ha scritto: «La caratteristica
sostanziale della concezione della “Terza Roma” nella redazione della Carta del 1589 è il suo (dell’indirizzo
anti-greco) notevole indebolimento; ciò è pienamente comprensibile nel contesto
della Carta con il suo appello
all’autorità del Santo Sinodo “del
grande Impero russo e Greco”, “di tutto il Sinodo greco e dei Patriarchi d’Oriente»[5].
Questa affermazione può essere accolta solo nel caso in cui si confronti l’idea
della Terza Roma presentata nella Carta
costitutiva con tutto il complesso dei significati ad essa attribuiti nei
diversi monumenti letterari russi dell’epoca precedente, ma non si può arrivare
a questa conclusione solo sulla base del testo dell’Epistola di Filofej. In ciò
che egli scrive sulla caduta di Costantinopoli non possiamo rilevare una
tendenza anti-greca: «Anche se le mura e le colonne e i palazzi a tre tetti
della grande Roma non sono stati saccheggiati, pure le loro anime furono prese
prigioniere dal diavolo a cagione dell’azzimo. Anche se i discendenti di Agar
conquistarono l’impero greco, pure essi non nocquero alla fede, né costrinsero
i greci a rinunciare alla fede»[6].
Il passo anti-latino è evidente, ma di anti-greco non c’è nulla qui; anzi, in
questa frase è possibile rintracciare della benevolenza nei confronti dei
conquistatori, che non costringono i greci «a rinunciare alla fede».
Nell’Epistola a dire
il vero, c’è anche dell’altro: «[Sono trascorsi] novant’anni da quando l’impero
greco è stato annientato e non risorgerà. Tutte queste cose sono accadute a
causa dei nostri peccati, giacchè essi hanno tradito la fede ortodossa greca
per quella latina»[7]. Ma, se
da una parte questa accusa di tradire la fede, evidentemente, non si riferisce
a tutti i greci, ma agli attivisti uniati del Concilio di Ferrara-Firenze,
dall’altra, il riferimento ai peccati non solo dei greci, ma a i “peccati
nostri”, cioè di noi tutti, parla da
solo. Qui si tratta dei peccati di tutti come del motivo eterno sia delle
disgrazie individuali che di quelle dell’intera società, delle catastrofi della
storia. I traditori della fede ortodossa al Concilio di Firenze erano criticati
anche dagli stessi greci ortodossi seguaci di San Marco di Efeso, non potevano
negare neppure il pensiero di una diffusione generale del peccato, e per questo
che i greci non riuscirono a trovare nelle parole citate nulla di anti-greco.
Dunque, l’unica motivazione del richiamo alla caduta della nuova Roma, sia in
Filofei sia nella Carta, consiste nella costatazione del fatto della conquista
di Costantinopoli da parte dei musulmani e della conseguente fine
dell’esistenza dell’Impero ortodosso sul Bosforo. Di conseguenza, Mosca, che
qui non rappresenta più la Chiesa Russa, ma l’Impero russo, è diventata Terza
Roma in quanto stato ortodosso e indipendente da autorità infedeli.
Ma quanto detto non
esaurisce certamente tutti i potenziali significati della concezione della
Terza Roma, così come si esprime sia nelle Epistole di Filofei sia nella Carta costitutiva del Patriarcato di
Mosca.
Indirettamente, la definizione stessa di Mosca con Terza Roma contiene in
sé l’idea di una Roma imperitura e dunque in questo
senso eterna, poiché dopo la caduta di una Roma ne compare un’altra, o per meglio dire
ricompare quella stessa Roma, ma in un altro luogo. Nell’Epistola a Misjur’
Munechin Filofej fornisce il seguente fondamento per l’idea dell’eternità di
Roma: «In un altro senso l’impero romano [romejskoe]
è indistruttibile, giacchè il Signore fu iscritto [nel censimento] nel potere
romano»[8],
argomento, questo, che può essere accettato dal punto di vista dogmatico solo
nel caso in cui per “impero romano” si intende la Chiesa di Cristo; ma in
queste parole è racchiuso evidentemente anche un altro significato, più
letterale e storiosofico, che, certamente,
non può essere dogmaticamente supportato dalla motivazione biblica
addotta.
In correlazione con
l’idea dell’incrollabilità dell’Impero romano sta anche il pensiero
dell’unicità di Roma. Il monaco Filofej scrive al delegato del sovrano: «tutti
gli imperi cristiani sono giunti alla fine e si sono uniti nell’unico impero
del nostro sovrano»[9], Mentre
nella Carta costitutiva troviamo, in
sostanza, una parafrasi maggiormente dettagliata: «il tuo, o pio imperatore,
grande impero russo, la terza Roma, le ha superate tutte in pietà, e tutti i
pii imperi sono stati raccolti in uno nel tuo, e tu solo sotto il cielo sei
chiamato imperatore cristiano in tutta l’ecumene»[10].
Riassumendo quanto detto
possiamo giungere alla seguente conclusione: l’idea della continuità rispetto
alla Nuova Roma di Mosca, rappresentata nella Carta costitutiva, comprende il pensiero della Chiesa Russa
detentrice della purezza della fede ortodossa, della Russia quale stato
autocratico ortodosso e di Mosca quale centro politico del mondo ortodosso.
Nel maggio del 1590 il Patriarca Geremia convocò a Costantinopoli un
concilio, al quale parteciparono il Patriarca di Antiochia Gioacchino e quello
di Gerusalemme Sofronio. Dopo aver raccontato ai gerarchi presenti della
ricchezza e della grandezza delle Chiese moscovite, della saggezza e della
devozione dello zar russo e della sua preghiera di istituire in Russia il
Patriarcato, egli chiese al Concilio di approvare la sua “crisobolla”— la Carta costitutiva del Patriarcato di
Mosca. I patriarchi Orientali riconobbero che la causa era «buona e benedetta»
ed approvarono il documento. La Carta
fu firmata dai Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme, (la Sede
patriarcale di Alessandria era allora vacante), e dai 42 metropoliti, 19
arcivescovi e 20 vescovi che avevano preso parte al Concilio.
Nell’atto emanato
dal Concilio il sovrano russo è definito “unico grande imperatore ortodosso in
terra”, ma non c’è alcun accenno alla Terza Roma. Le motivazioni potevano
essere varie, ma una di queste era senz’altro dovuta al fatto che si doveva decidere
su una questione strettamente ecclesiastica, in particolare riguardante la
gerarchia delle cattedre patriarcali, che non aveva nulla a che fare con
l’impero russo. I Patriarchi Orientali non vollero attribuire al Patriarca di
Mosca una posizione che li precedesse nella gerarchia, ossia subito dopo il
Patriarca di Costantinopoli, come speravano a
Mosca. Al Patriarca di Mosca fu assegnato il quinto posto nella
gerarchia, dopo i Patriarchi Orientali. Pertanto, conformemente alla 3° regola
del II Concilio Ecumenico, «il vescovo di Costantinopoli ha l’onore della
supremazia sul vescovo di Roma poiché quella città è la Nuova Roma». Se Mosca
al Concilio costantinopolitano fosse stata ufficialmente riconosciuta dai
Patriarchi d’Oriente come la Terza Roma, allora, volendo seguire, come sarebbe
stato naturale, la logica dei Padri del II Concilio Ecumenico, alla terza Roma
si sarebbe dovuta attribuire nella gerarchia la posizione immediatamente
seguente a quella della Nuova Roma, quindi la seconda e non la quinta. Non ci
fu la volontà di agire in questo senso, anche se nello stesso tempo furono
usate le opportune attenzioni nei riguardi dell’Imperatore russo, difensore
degli ortodossi in Oriente. Egli fu riconosciuto unico Imperatore ortodosso, ma
Mosca non fu definita Terza Roma, al fine di assegnare alla sua Sede
patriarcale una posizione nella gerarchia che non precedesse ma seguisse tutte
le Sedi Patriarcali orientali. A Mosca non furono soddisfatti di questa
decisione riguardo alla posizione della Chiesa Russa nella gerarchia delle
Chiese ortodosse, ma si rassegnarono ad accettarla.
[Traduzione
dal russo di Caterina Trocini]
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVII
Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma”
(organizzato dall’Unità di ricerca
‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con
la collaborazione della ‘Sapienza’
Università di Roma, sul tema: LE CITTÀ DELL’IMPERO DA ROMA A COSTANTINOPOLI
A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]
[1] A. Kartašev, Očerki po istorii Russkoj Cerkvi [Saggi di storia della Chiesa
Russa], II v., Мosca 2009.
[2] N. Sinizyna, Tretij Rim. Istoki i evoljucija
russkoj srednevekovoj koncepcii (XV - XVI vv.) [Terza Roma. Fonti ed
evoluzione di una concezione medioevale russa (XV-XVI secoli)], Mosca 1998.
[3] L’idea di Roma a Mosca. Secoli XV-XVI. Fonti per la
storia del pensiero sociale russo. Идея Рима в
Москве. XV-XVI века.
Источники по
истории
русской
общественной
мысли. «Da Roma alla Terza Roma». Documenti
I, Roma 1993, 187 (testo russo), 404 (traduzione italiana).