Memorie-2017

 

 

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DA ROMA ALLA TERZA ROMA

SEMINARI INTERNAZIONALI DI STUDI STORICI

 

Campidoglio, 21-22 aprile 2017

 

S. Zhuravlev - CopiaSergej Žuravlev

Accademia delle Scienze di Russia,

Mosca

 

MOSCA E IL DAL’STROJ COME SIMBOLI DELL’“IMPERO SOVIETICO” DEGLI ANNI TRENTA

 

[Riassunto della comunicazione]

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L’argomento principale di questo Seminario è il rapporto tra il centro dell’Impero e le periferie. Dai tempi della Guerra Fredda la storiografia occidentale ha considerato l’URSS come una sorta di “impero sovietico”, alla cui formazione ha contribuito principalmente l’epoca di Stalin. Nonostante il protrarsi delle discussioni su tale questione, al giorno d’oggi si può affermare che – volontariamente o involontariamente – l’Unione Sovietica ereditò determinate caratteristiche della tradizione imperiale russa e che ciò si manifestò nella politica estera, nonché nell’ideologia e nella cultura del periodo staliniano. Il quadro relativo alla struttura statale e alla politica nazionale è invece decisamente più complesso e contraddittorio (cfr. L’Impero delle nazioni di Francine Hirsch, L’Impero della discriminazione positiva di Terry Martin).

Nel contesto del “principio imperiale” è ancora quasi del tutto sconosciuto il tema della “colonizzazione interna” dell’URSS, ossia della gestione e dell’assimilazione economica di territori lontani dal Centro. Parzialmente, esso è stato “incluso” dalla vasta letteratura sul Gulag e sul sistema del lavoro forzato dell’Unione Sovietica. Solo di recente sono comparsi studi seri sul Sevmorput’, sul Dal’stroj ecc. Tali studi hanno dimostrato come l’URSS non fu in effetti un “impero”, una “potenza coloniale” nel senso tradizionale del termine, nel senso che la madrepatria vivesse grazie allo sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro nelle colonie. Se si considera la Repubblica Russa (RSFSR- Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) come “madrepatria” (come fanno talune ex-repubbliche dell’Unione, che chiedono un risarcimento per l’“occupazione sovietica”), bisogna dire che proprio grazie a quest’ultima si realizzò la crescita delle altre repubbliche. Se, al contrario, parliamo di “sfruttamento” a favore dell’intera Unione Sovietica, quest’ultimo caratterizza piuttosto la situazione interna alla stessa “madrepatria” (la Repubblica Russa); peraltro dei frutti di questo “sfruttamento” beneficiarono anche le altre repubbliche dell’Unione.

Mosca fu il centro dell’“Impero sovietico”, capitale contemporaneamente dell’URSS e della Repubblica Russa, che alla fine degli anni Trenta aveva perso definitivamente la propria immagine di “capitale contadina” (cfr. Peasant Metropolis di David Hoffmann, 2000). È importante comprendere quando e perché Mosca iniziò ad essere considerata non solo il centro (“centro dell’Impero”), ma anche il simbolo del potere, nonché in che modo tale funzione simbolica fu sancita (vedi ad es. il Piano di ricostruzione di Mosca, l’architettura staliniana, la Metropolitana, l’Esposizione Agricola ecc.). San Pietroburgo aveva costituito il centro dell’Impero Russo e la decisione dei bolscevichi di non spostare – dopo la guerra civile – la sede del proprio governo dall’“antica capitale” Mosca alla città imperiale sulla Neva fu dettata non solo da considerazioni pragmatiche, ma anche dall’evidente rifiuto di associare il nuovo potere al regime zarista, di stabilirlo negli edifici di stile imperiale e negli appartamenti degli imperatori. Che cosa è accaduto dunque, che ha fatto diventare Mosca, qualche decennio più tardi, il nuovo simbolo del potere?

Al fine di comprendere meglio il carattere dei rapporti tra il centro (Mosca) e le periferie, nella presente relazione si fornirà l’esempio di un caso limite, costituito dalla Direzione Generale dell’edilizia dell’Estremo Nord del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni dell’URSS (il Dal’stroj), che fu attiva dal 1931 al 1957. Il compito principale del Dal’stroj era l’estrazione in tempi rapidi delle risorse naturali locali (soprattutto oro e metalli rari), nonché lo sviluppo economico dei territori nord-orientali fino ad allora quasi disabitati. A questo scopo, il Dal’stroj si occupò attivamente della costruzione di strade e impianti industriali. Per la forza lavoro furono impiegati principalmente i prigionieri dei Campi penitenziari di lavoro (ITL, Ispravitel’no-trudovye lagerja) e gli ex-detenuti, che dopo il rilascio erano rimasti sul posto per lavorare. Per alcuni decenni il Dal’stroj governò monopolisticamente un territorio molto lontano da Mosca, che raggiunse un’estensione di due milioni di chilometri quadrati (pari a un settimo dell’Urss o a sei volte l’Italia). Il territorio controllato dal Dal’stroj, di fatto, non era soggetto alle leggi sovietiche e costituiva uno “Stato nello Stato”; ad esso furono soggetti anche gli organi di partito e gli organi sovietici locali. In sostanza, esso fu un territorio sottoposto ad un regime particolare, dotato di una legislazione autonoma e abitato da persone al confino, nonostante non fossero tutti dei veri detenuti. Dunque il Dal’stroj fu creato come strumento di sviluppo economico – attraverso l’impiego di metodi eccezionali – di un territorio ricco di risorse naturali e importante dal punto di vista strategico. L’efficacia della sua attività è un argomento ancora discusso.

Nella presente relazione viene sollevata un’altra importante questione: relativamente al regime totalitario sovietico, nella letteratura è andata sviluppandosi l’immagine di un sistema fortemente centralizzato, caratterizzato da una rigida struttura di organi sovietici e di partito. La storia del Dal’stroj costituisce un esempio di natura completamente diversa, che si caratterizza per la decisione di concedere a una struttura periferica un certo grado di indipendenza dal centro, al fine di assolvere al compito dello sviluppo economico di una regione lontana e difficile da raggiungere. In generale possiamo dire che la pomposa Mosca staliniana e il Dal’stroj del Gulag coesistettero, come due opposte facce dello stesso mondo sovietico.

 

 

[Traduzione dal russo di SARA MAZZONI]