DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2017
“Sapienza”
Università di Roma
MOSCA-PIETROBURGO:
DUE IDEE DI TERZA ROMA
Sommario: 1.
Premessa (sulla centralità dell’idea di impero
nella cultura politica russa). – 2. La Rus’ di Kiev e Bisanzio. – 3. Il “giogo mongolo”. – 4. Lo Stato moscovita. – 5. L’“era
pietroburghese” della storia russa (1703-1917). – 6. La situazione imperiale sovietica
come fase suprema del comunismo.
Nel corso della sua
storia, la Russia si è caratterizzata come Stato-civiltà che ha
oscillato da due poli opposti: da un lato si è configurato come Stato potenza
con una dimensione imperiale; dall’altro è stato soggetto a
“catastrofi geopolitiche” che lo hanno condotto sull’orlo
della scomparsa. Nel corso di
questa complessa vicenda storica lo Stato russo, oscillando tra dimensione
imperiale e “catastrofe geopolitica”, ha subito alcune metamorfosi
e trasfigurazioni. Al di là di queste metamorfosi e trasfigurazioni
l’idea di impero è centrale nella cultura politica russa, come
attesta il revival dell’eurasismo, quale ideologia orientata a
legittimare l’impero, nella Russia post-sovietica. L’idea
dell’impero è un nodo centrale dell’identità russa e
contrassegna la storia intellettuale dell’età moderna e
dell’età contemporanea. Nel 2008 il settimanale Ekspert ha dedicato un numero
monografico all’idea di impero (Russia,
cinque secoli di impero): nel XXI secolo la Russia deve scegliere se essere
impero o colonia dell’Occidente al tramonto. L’idea russa di impero
è coniugata con il concetto katechon
sia nella sua accezione neotestamentaria, quale forza che trattiene il male
e impedisce l’avvento del regno dell’Anticristo, sia nella sua
accezione secolare, quale autorità politica ordinatrice (lo Stato
imperiale) che instaura un nuovo nomos della
terra. Secondo il filosofo e analista politico Leonid Fišman, la Russia
del XXI secolo è a un bivio: può scegliere di essere una
apocalittica Babilonia o il katechon dell’era
globale o modernità- mondo. L’idea russa si identifica con quella
di katechon che è la sua
autentica missione. Alla Russia,
secondo Fišman, deve essere restituito il ruolo di katechon, al fine di assurgere a un alto livello di
legittimità di fronte al popolo russo e al mondo.
L’idea russa si
fonda su tre ideologemi:
1. Le vie di sviluppo della civiltà
russa (della società e cultura) sono fondamentalmente diverse da quelle
della civiltà occidentale.
2. La cultura russa contiene in sé
alcuni elementi originali che non solo la distinguono dal resto delle altre
culture, ma che contengono le precondizioni per un trasformazione salvifica delle
altre culture stesse.
3. La politica non ha una propria sfera
autonoma, ma va considerata attraverso il prisma di una visione morale e
religiosa. L’ideale politico dell’idea russa è sincretico (sobornost’ , impero teocratico,
teocrazia universale).
L’idea russa non si
è inverata nella storia come impero del popolo russo, ma come impero
dello spazio russo. Il pensiero politico russo ha elevato lo spazio a categoria
escatologia, come ha attestato nel XIX secolo l’occidentalista
paradossale Pëtr Čaadaev: «C’è un fattore che
domina sovrano il nostro cammino attraverso i secoli, percorre l’intera
nostra storia, e contiene in sé tutta la sua filosofia, si manifesta in
tutte le epoche nella nostra vita sociale e determina il loro carattere, che
è al tempo stesso l’elemento essenziale della nostra grandezza
politica e l’autentica causa
della nostra impotenza intellettuale: il fattore geografico».
L’immensità dell’impero russo e della situazione imperiale
dell’Urss ha avuto una dimensione bicontinentale ed errante tra Est e
Ovest e la sua espansione incessante è l’esplicazione di una
strategia di sicurezza spaziale. La Russia non ha avuto delle frontiere di
Stato stabili e la sua storia è stata caratterizzata
dall’allargamento costante di un solo e stesso territorio: l’impero
intero è stato la metropoli. In Empire
Dominic Lieven, ponendosi nella prospettiva della storia comparata di lunga
durata, pone a confronto l’idea russa di impero con la concezione
imperiale britannica, asburgica e ottomana: da tale comparazione emerge che la
cultura e tradizione politica dell’impero russo ha una propria
originalità sia per la peculiare posizione geografica della Russia, sia
perché l’idea di
impero in Russia a partire dal XVIII secolo, con le riforme di Pietro il
Grande, ha subito una metamorfosi e una pseudomorfosi. L’espansionismo
dell’impero russo è caratterizzato dalla vulnerabilità
dello spazio: dal 1550 al 1917, l’impero russo era più vulnerabile
di quello britannico e di quello asburgico. La colonizzazione e la fortificazione
delle steppe era una necessità; l’espansione nell’Asia
centrale era un modo per affermare il proprio prestigio nei confronti
dell’impero britannico soprattutto dopo la guerra di Crimea. Tra il XVI e
il XVIII secolo l’impero russo era orientato verso le steppe e faceva
proprio sia il retaggio bizantino sia quello mongolo. Dopo Pietro il Grande,
l’idea russa di impero ingloba il senso della storia europeo basato
sull’idea di progresso, operando una sintesi tra impero e missione
civilizzatrice. La coesistenza di popoli e culture diverse non si è
configurata come una rapporto tra metropoli e colonie, ma si realizzata
nell’ambito di un medesimo Stato. I russi hanno avuto un impero, ma non
uno Stato-nazione ed esiste una sperequazione tra Stato russo (rossijskij ), come sistema
amministrativo e non come Stato moderno, e il popolo russo (russkij). Le metamorfosi e le
pseudomorfosi dell’idea di impero in Russia riflettono il carattere duale
della struttura della cultura russa che, secondo Lotman e Uspenskij, è priva
si una «zona assiologicamente neutra» e si basa su contrapposizioni
bipolari. Una delle contrapposizioni permanenti che determinano la cultura
russa dopo la cristianizzazione della Rus’ è l’opposizione
antichità vs novità; tale contrapposizione racchiude in sé
altre endiadi dicotomiche: Russia vs Occidente, fede giusta vs fede falsa,
vecchio impero e nuovo impero.
Il battesimo della
Rus’ di Kiev segnò l’ingresso della Russia nell’area
di influenza di Bisanzio. La Rus’ di Kiev era l’estremo limes del
confronto tra Roma e Costantinopoli; tuttavia, al di là
dell’influsso bizantino sull’ideologia religiosa e sulla cultura,
la Rus’ di Kiev era orientata a collocare l’impero bizantino a un
livello gerarchicamente inferiore a quello della terra russa. Bisanzio era il
vecchio impero in opposizione alla nuova Rus’: la vecchia Bisanzio era
paragonata al Vecchio Testamento e ad Agar (la schiava egiziana di Sara moglie
di Abramo) che sottostavano a una legge coercitiva, mentre la Rus’ era
paragonata a Sara e alla grazia del Nuovo Testamento. La Rus’ di Kiev
entrò a far parte della comunità “bizantino-slava”,
una peculiare “zona culturale” d’ Europa. In questo periodo
si assiste alla genesi del “dualismo culturale europeo”;
l’Europa e lo stesso mondo slavo furono divisi tra due “zone
culturali” con diversi orientamenti religiosi e politici: da una parte
gli slavi di cultura ortodossa (come russi); dall’altra quelli di cultura
cattolico-latina (come i polacchi).
Con “giogo
mongolo” si intende quel periodo che va dalla scomparsa della Rus’
di Kiev (1246) all’ascesa dello Stato moscovita (1462 quando Ivan III
divenne gran-principe di Mosca e affermò la legittimità di Mosca
a riunire tutta la Rus’. Il ruolo dei mongoli nella storia russa è
al centro di una controversia tra storici slavocentrici (sia occidentalisti,
sia slavofili) e storici eurasisti. Per gli storici slavocentrici, che
rivendicano l’identità, specificamente slava della Russia, il
“giogo mongolo” ha avuto un ruolo negativo (isolamento della Russia
dalla famiglia dei popoli slavi e dall’Europa) e distruttivo
(devastazioni e massacri). Sulla scia di questa interpretazione, alcuni
storici, per affermare l’identità europea dei russi, hanno
sostenuto che nel XIII secolo la Russia ha salvato l’Europa dalla
più pericolosa e devastante invasione dei barbari. A partire dagli anni
Venti del XX secolo, gli storici eurasisti (in primo luogo Vernadskij) hanno
posto al centro delle loro indagini il periodo mongolo della storia russa,
formulando un giudizio positivo. La scuola eurasista ha riabilitato il
fondamentale legame della Russia con l’Eurasia e l’Asia. A partire
dalla raccolta di saggi Esodo verso Oriente (1921), la scuola eurasista
ha riproposto l’idea dell’ “originalità” della
civiltà russa e della unicità della sua missione in Oriente. A
cavallo tra due continenti e riunendo l’Europa e l’Asia, senza
però identificarsi né con l’una né con
l’altra, la Russia è un “terzo termine”, un mondo a
parte. Per Vernadskij, la cronologia della storia russa deve essere formulata
in base ai rapporti tra la “steppa” e la “foresta”. Il
senso e il fine della storia russa, infatti, è la creazione di uno
“Stato eurasiano unito”: l’unità tra la
“foresta” e la “steppa” è una garanzia di
potenza. Per la scuola eurasista, i tataro- mongoli praticavano una forma di
amministrazione indiretta ed esigevano solo due atti di sottomissione: il
riconoscimento del khan come autorità suprema; il pagamento del tributo.
Un tal modo, secondo Vernadskij, la Russia ha potuto mantenere intatta la
propria identità custodita dalla Chiesa ortodossa: i mongoli sono stati
i veri difensori della fede russa minacciata dall’universalismo bizantino
e da quello cattolico. Nella seconda metà degli anni Ottanta, lo storico
ed etnologo Lev Gumilëv è stato protagonista del risveglio della
storiografia eurasista.
Gumilëv ha affermato che il “sistema di relazioni
russo-tatare” deve essere qualificato come “simbiosi” e non
come “giogo”. Aleksandr Dugin, ideologo del neo-eurasismo e
fondatore (nel 2001) del Movimento Politico-Sociale Panrusso Eurasia (sorto a
sostegno di Putin), ha affermato che l’ “invasione
mongolo-tatara” è stata uno «scudo contro le tendenze
livellatrici europee»: l’impulso geopolitico e amministrativo
dell’Orda è stato trasferito, in seguito, nell’impero
moscovita, quale «apice della missione nazional-religiosa» della
Rus’ –Terza Roma.
L’ascesa di Mosca fu
un momento fondamentale della storia russa, perché comportò la
costituzione di uno Stato centralizzato e il particolare carattere autocratico
della forma di governo moscovita ha condizionato per secoli l’evoluzione
della Russia. Ivan III portò a compimento il processo di incorporazione
della Russia nello Stato moscovita, dando inizio ad una nuova era della storia
russa. Nel 1493, Ivan III assunse il titolo di gosudar’ (sovrano)
di tutta la Russia. Nel 1472, Iva III aveva contratto matrimonio con la
principessa bizantina Zoe Paleologo (che assunse il nome di Sofia), nipote di
Costantino XI (ultimo imperatore bizantino, rimasto ucciso nella conquista
turca di Costantinopoli del 1453). Secondo le aspettative del Papato, che aveva
patrocinato il matrimonio, la Russia doveva rientrare in un vasto fronte
antiturco e porsi sotto la potestà del papa. Tali aspettative furono
vane, perché Ivan III, affermando la sovranità religiosa e
politica della Russia, si attribuì le insegne dell’impero
bizantino (l’aquila a due teste) e il titolo di “zar” (dal caesar
romano-bizantino) e di “aurocrate”, che designava la completa
indipendenza del sovrano moscovita e la fine cessazione del giogo mongolo.
L’idea imperiale russa fu elevata a dottrina politico-religiosa dal
monaco Filofej di Pskov che nel 1510 indirizzò allo zar Vasilij III una
lettera che conteneva una profezia: la Chiesa della prima Roma era caduta a
causa di un’eresia; la Chiesa della seconda Roma, Costantinopoli era
stata distrutta dai turchi infedeli; Mosca era la Terza Roma che avrebbe
illuminato il mondo intero e sarebbe stata eterna, perché non ce ne
sarebbe stata una quarta. Il termine autocrate fu usato per la prima volta dal
metropolita Zosima: quale calco del greco autocrator
, il termine samoderžec esprimeva
la supremazia dello zar moscovita e la sua libertà da ogni potere
superiore. Tuttavia come sottolineano Vernadsky e Cherniavsky,
l’autocrazia non era una rigida forma di governo e l’autocrate era
nel contempo basileus e khan. Lo zar, infatti, era sia il basileus ortodosso e pio che guidava il
suo popolo cristiano verso la salvezza, sia il khan che preservava l’idea del conquistatore della Russia e
del suo popolo e di fronte al quale erano tutti schiavi. Il basileus era il santo zar in unione
spirituale con il suo gregge; il khan era
l’incarnazione dello Stato assolutista e secolarizzato. Le due immagini
difficilmente trovavano una sintesi in un’unica persona. Nel caso di Ivan
il Terribile il khan e il basileus entrarono in tensione tra loro.
Tale tensione era tragicamente esemplificata nel principio formulato dallo stesso
Ivan il Terribili: uccidi di giorno e prega di notte. Il processo di
formazione e di consolidamento dell'autocrazia trovò una sua prima definizione
ideologica all'epoca di Ivan il Terribile: l'autocrate era l'incarnazione della
sovranità assoluta dello Stato e dell'ordine contro l'arbitrio dei
boiari. Due virtù contraddistinguevano l'autocrate: la pravda (legge, giustizia) e la groza (tremenda severità).
L'autocrazia poteva essere consolidata solo con l'apporto di una nobiltà
di servizio (ceto di giudici, esattori e militari di professione) con
operazioni di polizia e guerra di conquista. La caratteristica più
notevole del sistema autocratico era l'universalità del servizio di
Stato; la società era divisa in due: coloro che servivano con la propria
persona (i nobili) e coloro che servivano con i loro beni pagando le imposte.
Nelle lettere al principe ribelle Kurbskij (primo documento del pensiero
giuridico-politico russo moderno), Ivan IV affermava l'assoluta
superiorità dello zar che gode di una illimitata signoria, cui
corrisponde la condizione servile dei sudditi. La rivolta contro il sovrano non
era solo un atto politico, ma anche un sacrilegio contro l'“unto dal
Signore”, perciò il ribelle era un eretico. L'ispirazione bizantina
della concezione del potere rimaneva sia nella simbologia sacrale che
accompagnò le origini dell'autocrazia russa (soprattutto nella cerimonia
dell'incoronazione nella quale si esaltava lo speciale carisma dello zar che
era identificato con Cristo), sia nel rapporto Stato-Chiesa caratterizzato dal loro
formale equilibrio, definito symphonia, che progressivamente si modificò
a vantaggio dell’autocrate: tale equilibrio fu rotto nel 1721 da Pietro il Grande con
la soppressione del patriarcato e con il Regolamento ecclesiastico.
L’idea di Mosca Terza Roma affermava la tesi della continuità del
potere e dei diritti storici dei sovrani di Mosca quali successori diretti di
Augusto. Tutti gli imperi cristiani erano finiti ed erano confluiti
nell’unico impero ortodosso. Mosca Terza Roma era una idea escatologica
che attribuiva alla Russia il ruolo guida di tutta la cristianità. Terza
Roma non si riferisce a una città, ma è la definizione allegorica
dell’impero russo che era rappresentato come un’aquila a tre teste:
impero romano, impero bizantino, impero russo. Dopo la caduta di Costantinopoli
la Russia si riconosceva come l’unico baluardo dell’ortodossia e
assumeva un ruolo messianico nella storia. Bisanzio e la Russia si scambiarono
il posto e la Russia si trovò al centro del mondo ortodosso e di quello
cristiano. La translatio imperii e la
translatio religionis collocavano la
Russia al centro della geografia della salvezza: quello russo era un impero
redentore.
Con l’ascesa al
trono di Pietro il Grande (1682-1725) fu inaugurata una nuova epoca variamente
definita: “epoca imperiale” (perché lo zar assunse il titolo
romano di imperator), “periodo panrusso” (espansione dello
Stato); “era pietroburghese” (perché fu fondata una nuova
capitale San Pietroburgo). La fondazione di San Pietroburgo, capitale
“premeditata” sulle
rive del mar Baltico, è
stata variamente interpretata: per gli occidentalisti russi del XIX secolo era
una “finestra sull’Europa”, il simbolo dell’europeizzazione
della Russia; per gli slavofili, invece, era simbolo dello sradicamento di
quella “unità vitale e organica” della nazione russa
rappresentata da Mosca; per altri (come Marx per esempio) la fondazione della
nuova capitale rispondeva ad esigenze geopolitiche, al fine di trasformare la
Russia in una potenza marittima.
L’“era pietroburghese”
può essere suddivisa in cinque periodi: 1) il periodo della fondazione
dello “Stato regolare”,
che va da Pietro il Grande a Caterina II; 2) il periodo del “concerto
europeo” e della Santa Alleanza che va da Alessandro I a Nicola I e si
chiude con la guerra di Crimea e il Congresso di Parigi del 1856; 3) il periodo
delle “grandi riforme” e dell’espansione in Asia (1861-1881), che coincide con il regno
di Alessandro II; 4) il periodo della prima industrializzazione e della
modernizzazione dell’impero russo (1881-1905); 5) il periodo
costituzionale e rivoluzionario (1905-1917). L’appellativo di zar
rimandava alla tradizione religiosa, ai testi in cui Dio è designato re
(zar): la tradizione imperiale non era rilevante. L’assunzione da parte
di Pietro il Grande del titolo imperiale suscitò delle proteste,
perché poteva essere avvertito come non ortodosso. Il titolo di imperator rimandava alla Roma pagana o a
quella cattolica. La Russia assumeva un aspetto nuovo e, secondo
Prokopovič, Pietro il Grande era “l’imperatore romano
Augusto” che aveva ricevuto una Roma di legno e l’aveva fatta
d’oro. Nell’ideologia di Pietro il Grande, secondo Lotman e
Uspenskij, si rafforzava la tendenza statale e imperiale dell’idea di
Mosca Terza Roma: la figura chiave non era Costantino ma Augusto. La
caratterizzazione della nuova capitale come Città di San Pietro si
associava non solo con la glorificazione del protettore celeste di Pietro I, ma
anche con l’idea di Pietroburgo nuova Roma: alle chiavi incrociate dello
stemma del Vaticano, corrispondono le ancore incrociate dello stemma di
Pietroburgo. L’autenticità di Pietroburgo come nuova Roma
consisteva nel fatto che la santità in essa non era la caratteristica
preponderante, essendo collegata all’idea di Stato. La santità
trasmigrava nell’idea di Santa Russia che si contrapponeva allo Stato
petrino e considerava Pietro il Grande come zar-Anticristo: si diffuse in Russia
la convinzione che la fine di Pietroburgo, e con essa quella del mondo, fosse
imminente. La cupa mitologia
del sottosuolo di Pietroburgo minacciava di sommergere quella imperiale,
ufficiale, brillante e ottimistica, secondo la quale la santità di
Pietroburgo era nella statalità.
La Mosca prepetrina era assimilata alla Roma papalina ed era una falsa
Roma. La sacralizzazione della personalità di Pietro ebbe come
conseguenza che la città di San Pietro cominciò ad essere
recepita come città dell’imperatore Pietro. L’esistenza
ideologica di Pietroburgo-Terza Roma era collegata all’ideale dello Stato
regolare. Le riforme di Pietro Il Grande operarono una sorta di trasfigurazione
della Russia in virtù della quale prese forma lo “Stato
regolare”, quale meccanismo generatore di regole. Lo “Stato
regolare” era un modello prescrittivi, imposto dall’opera di
regolamentazione dello zar, che si contrapponeva all’irregolarità
del diritto consuetudinario russo. Gli avversari delle riforme petrine ritenevano
che la vera Roma fosse Mosca e, negando la possibilità di una quarta,
affermavano che Pietroburgo era la città dell’Anticristo, non
esisteva affatto, la sua esistenza era illusoria, appariva e svaniva come una
allucinazione (come attesta la letteratura pietroburghese con Gogol’,
Dostoevskij e Belyj). Pietro il
Grande, secondo Marx, non aveva europeizzato la Russia, ma aveva elevato a
dottrina teologico-politica il «vecchio metodo moscovita di
usurpazione» che era diventato un «sistema universale di
aggressione». L’unica metamorfosi della Russia era di carattere
geopolitico: Pietro il Grande era stato costretto a civilizzare il suo impero
per trasformarlo da una potenza continentale ad una potenza marittima.
Pietroburgo era l’incarnazione di questa metamorfosi: la nuova capitale attestava
che la Russia non era più un entroterra continentale
“semi-asiatico”, ma una grande potenza marittima che aveva
instaurato un’alleanza con l’Inghilterra in nome degli interessi
coincidenti. Nel XIX secolo le riforme di Pietro il Grande furono al
centro di una diatriba istoriofosica tra occidentalisti e slavofili che ebbe un
influsso sull’idea di impero. Nel decennio 1830-40 l'élite colta si scisse in due campi: la scissione
scaturì dalla diatriba sulla natura e sul destino della Russia. Tale
diatriba fu inaugurata nel 1836 da Čaadaev con le Lettere filosofiche nelle quali si affermava che la Russia
(Necropolis) non aveva un passato né un presente né un futuro e
non era né Oriente né Occidente e non aveva dato nessun
contributo alla storia ma era «una lacuna nell'ordine intellettuale delle
cose». La Russia non aveva
conosciuto il principio dinamico sociale del cattolicesimo, base costitutiva
della civiltà occidentale. Čaadaev fu proclamato pazzo di Stato e
in Apologia di un pazzo gettò
un «sguardo lucido sul passato», non «per trarre vecchie
reliquie putrescenti», ma per sapere in «quale considerazione
tenere il nostro passato», al di là del «patriottismo
indolente» che si addormenta sulle proprie «illusioni». La
Russia era entrata nella storia grazie alle riforme di Pietro il Grande e il
futuro le apparteneva, perché poteva partecipare alle conquiste
ulteriori della scienza e della cultura occidentali. Il destino della Russia
era dominato dal fattore geografico, quale «elemento essenziale della
nostra grandezza politica e l’autentica causa della nostra impotenza
intellettuale». Čaadaev preconizzava una sorta di esodo verso
Occidente della Russia nazione errante. Le tesi di Čaadaev furono
stigmatizzate dagli slavofili un gruppo di intellettuali romantici che sostenevano
l'idea dell'originalità e della superiorità della civiltà
russa basata sull'ortodossia e che aveva una suprema missione storica
(missionismo russo) da compiere. L'”utopia conservatrice” dello
slavofilismo si basava su una sorta di teologia politica forgiata su
“modelli duali”. Tali antitesi binarie costituiscono il substrato
metapolitico delle diverse correnti del populismo russo: la contrapposizione
Russia-Europa; l'antitesi tra narod-obščina
(lo slavofilo Chomjakov ha elaborato il concetto di sobornost' per indicare una comunità di credenti nel segno
dell'amore quale essenza dell'ortodossia)
e obščestvo (la società indivisualista e
atomizzata dell’Occidente); l'antinomia
tra cultura e civiltà. Per gli slavofili, le riforme di Pietro il Grande
(dicotomia tra Pietroburgo e Mosca) avevano intererrotto il naturale flusso
della storia russa: il futuro della Russia risiedeva nel ritorno ai
princìpi originari e nel superamento della malattia dell'Occidente
(esodo dall'Occidente); restaurando i propri valori originari la giovane
civiltà russa avrebbe potuto salvare se stessa e anche il decrepito
Occidente. Una figura di grande importanza è Herzen (primo ideologo del
populismo russo) che riuscì a politicizzare le speculazioni estetiche e
filosofiche dell'intelligencija e
forgiò un'ideologia politica attiva rivolta contro il regime. Tale
ideologia è sintesi trasgressiva tra occidentalismo e slavofilismo e si
definisce socialismo russo, quale affermazione Russia narodnaja (nazional-popolare). L'intelligencija cominciò a definire il suo senso di
identità in base ai suoi rapporto con il popolo: l’anarchico
Bakunin preconizzò una simbiosi tra intelligencija e contadini. La morfologia e la
fenomenologia del populismo russo, infatti, non scaturiscono solo dalla vicenda
del nardoničestvo
rivoluzionario, ma, anzitutto, dal dibattito sulla narodnost' ("elemento popolare", "caratteristiche
spirituali del popolo", "nazionalità") che si
sviluppò a partire dagli anni Venti del XIX secolo. Il termine narodnost' si riferisce al popolo in quanto
nazione e si contrappone a nacional'nost (nazionalità)
. Gli slavofili identificavano la narodnost'
con la "nazione" nel suo complesso e tendevano a considerare il
popolo come separato dall'autocrazia; per Herzen, definito il "creatore
del populismo", la narodnost' traspariva
dall'"innocente purezza" del contadino russo che viveva in seno all' obščina. L'ideologo nichilista
Pisarev definì il dibattitto
sulla narodnost' la
"scolastica del XIX secolo": la studio della vita del popolo aveva
coinvolto sia gli slavofili (Chomjakov, Kireevskij, Aksakov), sia "Vremja", la rivista
diretta da Dostevskij che sosteneva il programma del počvenničestvo (ritorno al suolo natale), sia
"Sovremmenik" diretto dal
populista occidentalista Černyševskij La narodnost' - insieme a pravoslavie
(ortodossia) e a samoderžavie (autocrazia)
- entrò a far parte anche di quella triade che definì l'orizzonte
ideologico "ufficiale" della Russia di Nicola I. La riforma varata da
Alessandro II deluse ben presto l'intelligencija
radicale che la considerò come una cospirazione dello zar e dei
nobili ai danni dei contadini. L'abolizione della servitù fu seguita
anche da un'ondata di disordini agrari e i furori contadini furono sempre una
costante minaccia per l'ordine fino al crollo dell'impero. Nell'ambito dell'intelligencija si confrontarono due
schieramenti: da una coloro che vedevano nelle riforme un rafforzamento
dell'impero; dall'altra coloro che vedevano nella liberazione servi
un'occasione storica per suscitare una jacquerie
e abbattere il potere autocratico. Questa dicotomia andava oltre il
tradizionale dualismo tra slavofili e occidentalisti e metteva l'uno contro
l'altro due partiti nemici: il partito delle riforme e quello della
rivoluzione. Per il partito rivoluzionario, lo slancio delle riforme dall'alto
si era istantaneamente esaurito (come dimostravano l'insurrezione polacca del
1863 contro la dominazione russo e la dura repressione delle rivolte
studentesche e contadine in Russia): lo zar liberatore era passato con
disinvoltura dall'affrancamento dei servi della gleba al «massacro e al
terrore». Per il pensatore populista Herzen, il 1861 andava ricordato non
solo per le riforme, ma anche perché segnava l'inizio della guerra
civile russa che si configurava come una insurrezione permanente e tellurica
dell'obščina contro lo
Stato autocratico. La rivoluzione europea aveva relegato la terra nell'oblio;
la rivoluzione russa sarebbe stata una rivoluzione del tutto inedita e sarebbe
stata l'esito dell'alleanza tra due forze distruttrici: i contadini (coraggio
della rivolta) e l'intelligencija radicale
(coraggio della negazione). Herzen, però, riconosceva anche che
l'autocrazia, avvalendosi della glasnost’
(libertà di espressione),
tentava di nazionalizzarsi chiamando a proprio sostegno l'idea nazionale
propagandata dal pubblicista conservatore Katkov. Come ricorderà nel
1905 l’ideologo della Grande Russia Struve, il processo di
«nazionalizzazione dell'autocrazia» iniziò dal momento in cui
lo slavofilismo (che durante il regno di Nicola I era stato messo all'indice
dalla censura) fu chiamato ad essere partito di governo (soprattutto con
Alessandro III): il processo di nazionalizzazione della coscienza
dell'autocrazia la immunizzò contro il «turbine rivoluzionario»,
anche se in questa vittoria dello spirito politico della reazione covava un
«germe di rivoluzione». La nazionalizzazione dell'idea di impero si
espresse attraverso la guerra balcanica del 1877 e l'espansione in Asia
centrale (il Great Game per
l’egemonia sull’Asia Centrale che contrappose la Russia alla
Gran Bretagna tra il 1807 e 1907) tentarono di suscitare la febbre
imperialistica e il panslavismo aggressivo (suo principale ideologo fu
l’ex socialita fourierista Danilevskij: sostenitore della teoria istoriosofica
dei “tipi storico-culturali”, Davilevskij affermava che il tipo
«storico-culturale» latino-germanico era in declino, mentre quello
slavo era in ascesa e alla Russia spettava di raccogliere le spoglie
dell’Impero ottomano e
conquistare Costantinopoli). Dopo la rivoluzione del 1905, Stolypin
tentò di rivitalizzare l’idea di impero identificandola con la
Grande Russia.
Dopo la rivoluzione bolscevica
l’unità proletaria prevalse sulla diversità nazionale e
sull’autodeterminazione dei popoli: la nazione doveva porsi al servizio
della lotta di classe e sconfiggere l’imperialismo come fase suprema del
capitalismo. Lenin in L’imperialismo, fase suprema del
capitalismo (1916) affermava che le contraddizioni interimperialiste
scoppiate con la guerra rovesciavano lo schema marxiano, per cui la rivoluzione
poteva avvenire in un paese come la Russia in cui il capitalismo era ancora
poco sviluppato. L’impero sovietico si configurò come Stato
proletario unitario. Lo Stato totalitario comunista, secondo Berdjaev, aveva
realizzato la sua aspirazione messianica di Mosca Terza Roma, quale impero
redentore. L’idea messianica russa di impero aveva rivestito una forma
rivoluzionaria: invece della Terza Roma, la Russia stava realizzando la Terza
Internazionale, che, secondo Berdjaev, non era un’espressione
dell’internazionalismo socialista, ma una «trasformazione del
messianesimo russo». Secondo Agurskij, la Terza Roma sovietica è
stata un retaggio dell’etnocentrismo rivoluzionario russo del XIX secolo:
fin dal suo esordio il movimento rivoluzionario russo fu nazional-patriottico
ed espansionista. Sia i nazional-bolscevico Ustrjalov, sia gli eurasisti, a
partire dagli anni Venti, considerarono l’Urss come una restaurazione
dell’impero e preconizzarono una superamento sopra-organico del
comunismo. L’internazionalismo bolscevico era solo una copertura e si era
rivelato uno strumento fondamentale per ricomporre la Russia come Stato
unitario ed eurasiano. Il socialismo in un solo paese propugnato da Stalin fu
considerato dai nazional-bolscevichi e dagli eurasisti come il trionfo
dell’impero russo fondato non più sulla autocrazia, ma sulla
ideocrazia. Come ha rilevato Berdjaev, la Russia è transitata dal medioevo
antico al nuovo medioevo, con i loro “domini culturali ben distinti,
differenziati, il loro liberalismo e il loro individualismo, col trionfo della
borghesia e dell’economia capitalista”. Nel cadere l’antica
Santa Rus’ ha lasciato il posto a una teocrazia rovesciata. Il comunismo
rosso, per Berdjaev, ha realizzato il sogno degli slavofili, di trasportare la
capitale da Pietroburgo a Mosca, riprendendo la loro formula Ex Oriente Lux. Dal Cremlino doveva
scaturire la luce che doveva rischiarare la tenebre borghesi
dell’Occidente. All’epoca del socialismo in un solo paese, secondo
Berdjaev, stava realizzando la Terza Internazionale quale pseudomorfosi
dell’idea di Terza Roma. La Moscovia non aveva realizzato la sua
aspirazione messianica, né l’aveva realizzata la Pietroburgo-Terza
Roma. La Terza Internazionale, invece, era un’idea messianica che
rivestiva una forma rivoluzionaria e non apocalittica. Tuttavia, per Berdjaev,
la Terza Internazionale era un’ «idea nazionale russa», una trasformazione
del messianismo russo sub specie etnocentrismo rivoluzionario. La rivoluzione
socialista ha ricondotto la capitale a Mosca, mentre Pietro il Grande, per
vincere le tradizioni moscovite aveva creato una nuova capitale.
Pietroburgo-Leningrado è rimasta come simbolo della rivoluzione
vittoriosa. Come ha rilevato Ettore Lo Gatto, Pietroburgo-Leningrado ha
custodito la mitopoiesi della rivoluzione, mentre tra gli anni Trenta e gli
anni Quaranta del XX secolo il mito di Mosca Terza Roma è risorto nei
termini di “ortodossia non religiosa, ma social-politica”. Nel film
di Aleksandr Medvekin La nuova Mosca (1938)
si esaltava il piano di ricostruzione di Mosca concepito da Stalin: edifici
straordinari avrebbero trasformato Mosca in una città di straordinaria
bellezza, simbolo della grandezza e della forza della patria del socialismo in
un solo paese e dell’Internazionale comunista. Mosca appariva come il
cronotopo di Bachtin, unione indissolubile di spazio e tempo, le cui
caratteristiche principali erano la subitaneità e l’eliminazione
della distinzione tra il reale e il fantastico. Come afferma Karl
Schlögel, l’elemento «qualitativamente nuovo e per molti versi
utopistico era rappresentato dal confronto a viso aperto con tutti i problemi
della città, come in un’opera d’arte totale creata da
un’entità dotata di pieni poteri dal punto di vista amministrativo
e politico di una macchina decisionale ed esecutiva senza precedenti né
uguali». Pietroburgo era stata la sede del governo imperiale, ma, come
sostiene Brodskij, non un centro di potere, il «locus mentale e politico della nazione». Nel 1917, Lenin era
giunto a Pietrogrado trascinato dall’idea del potere: la grandeur
architettonica della capitale imperiale sfidava l’idea di potere.
Leningrado, per Brodskij, è rimasto uno pseudonimo, per cui dopo la
disintegrazione dell’Urss la città ha ripreso il suo «nome
da ragazza». Diversamente da Mosca, Pietroburgo non ha una
«mitologia consolante», per questo questa città premeditata,
come l’ha definita Dostoevskij, si è rispecchiata nella letteratura
russa, consentendo agli uomini pensanti di guardare a tutta la nazione
dall’esterno. Lenin aveva raggiunto Pietrogrado, perché credeva
che fosse il centro del potere, ma si trovò di fronte a un vuoto di
potere, alla culla vuota della rivoluzione. Facendo della geografia una scienza
politica, Lenin trasferì la capitale a Mosca e Leningrado è
rimasta misconosciuta, straniera nella sua stessa patria. L’incompiutezza
del Palazzo dei Soviet a Mosca attesta, secondo Schlögel,
l’incompiutezza del vasto cantiere dell’Urss tra utopia e terrore.
Il Palazzo dei Soviet esisteva solo in negativo, come «centro
immaginario» del comunismo mondiale. La destalinizzazione di
Chruščëv dette il colpo di grazia all’edificio del secolo
e lo sterro divenne una piscina scoperta. Tra il 1995 e il 2000, è stata
ricostruita la cattedrale del Cristo Salvatore che era sorta nello stesso luogo
negli anni Sessanta del XIX secolo e consacrata nel 1883. Il 5 dicembre del
1931, per ordine di Stalin, la cattedrale fu fatta saltare in aria per fare
posto al Palazzo dei Soviet. Come afferma Schlögel, la ricostruzione della
cattedrale di Cristo Salvatore può essere interpretata sia come la
riconquista di un «fulcro urbanistico»o come «un gesto
imperiale insieme vecchio e nuovo».
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato
promotore del XXXVII Seminario internazionale di studi storici “Da Roma
alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto
di Storia Russa dell’Accademia
delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: LE
CITTÀ DELL’IMPERO DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla
direzione di Diritto @
Storia]