Memorie-2017

 

 

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DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

 

Campidoglio, 21-22 aprile 2017

 

Lobrano-1Giovanni Lobrano

Università di Sassari

 

DOCUMENTO INTRODUTTIVO XXXVII

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Sommario: Parte I. Da Roma alla Nuova Roma.1. Dalla Città all’Impero. 2. Imperator, civitates e concilia provinciarum. 3. Nota bibliografica.

 

 

 

 

PARTE I. Da Roma alla Nuova Roma

 

 

1. – Dalla Città all’Impero

 

Il “sistema giuridico romano” è fondato non sulla delegazione della volontà ma sulla partecipazione volitiva (Giustiniano, C. 5.59.5: quod omnes similiter tangit ab omnibus comprobetur); esso è  «democratico» (H. Kelsen, Vom Wesen und Wert der Demokratie, Tübingen 1920: «Pilatus […] – als Römer – gewohnt ist demokratisch zu denken»).

Questa essenziale caratteristica postula la dimensione cittadina, anzi di «piccola Città» della comunità pubblica romana: «Tout bien examiné, je ne vois pas qu'il soit […] possible au souverain [il popolo] de conserver […] l'exercice de ses droits, si la cité n'est très petite» (J.-J. Rousseau, CS, 3.15 "Des députés ou représentants").

Si pone il problema della armonizzazione tra tale ‘postulato’ specifico e la esigenza generale (comune a tutte le comunità, anche non-pubbliche) della grande dimensione: «Mais si elle [la città] est très-petite elle sera subjuguée?» (Rousseau, loc. cit.) 

Nel Mediterraneo antico, questo ‘problema’ – ovviamente, ignoto alle Monarchie orientali ma sperimentato anche dalle Democrazie greche – è risolto dai Romani in maniera affatto specifica: “repubblicana”.

In prima approssimazione, possiamo certamente dire che la soluzione romana è la transizione dalla Città intesa come πόλις e dalle leghe di Città-πόλεις (confine logico invalicato dai Popoli greci) alla Città intesa come municipium e alla Repubblica di municipia (A. Bernardi, “Dallo stato-città allo stato municipale nella Roma antica” in Paideia, I, fasc. 4, 1946; E. Gabba, “Dalla città-stato allo stato-municipale” in A. Momigliano et alii, edd., Storia di Roma. L’impero mediterraneo, II 1, Torino 1990).

La logica repubblicana romana è, però, più complessa.

Il suo nucleo primo, più intimo e caratteristico, è la articolazione della volizione collettiva in un iter volitivo, costituito dalla dialettica di poteri tra i Cittadini, riuniti in assemblea nella piazza della Città (i Comizi), e il Magistrato cittadino. Rousseau (Cs, 2.6) pone la definizione di “république” all’interno della articolazione “loi-gouvernement” (cfr. J. Rouvier, "La République romaine et la Démocratie" in Varia. Etudes de Droit romain, IV, Paris 1961, 155-281, in part. 160-164 [manca, presso i Greci, la nozione romana di 'magistrato']; Id., Du pouvoir dans la République romaine. Réalité et Légitimité. Étude sur le "consensus", Paris 1963; Id., Les grandes idées politiques de Jean-Jacques Rousseau à nos jours, Paris 1973; G. Lobrano, “La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana)” in Diritto @ Storia, 10, 2011-2012).

Questo iter volitivo sarà, quindi, non sostituito ma integrato da quello della ulteriore/omologa dialettica di poteri tra le Città, riunite in assemblee di delegati delle Città (i Concili provinciali), e il Principe sopra-cittadino (vedi, infra, § 2). 

La prima ‘articolazione’ non avviene con facilità. Essa è ottenuta attraverso lo scontro della multitudo plebea con la élite patrizia (Cic. leg. 3.15 s.; Eutr. Brev. 1.11; Machiavelli, Discorsi, 1.3-6;  Rousseau, Cs, 4.5, il quale pone il “tribunat” nella già menzionata articolazione “loi-gouvernement”; cfr. P. Catalano, “Sovranità della multitudo e potere negativo: un aggiornamento” in Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino 2005, I, 641 ss.)  

Neppure la sua ‘integrazione’ avviene con facilità. Essa è ottenuta attraverso un processo secolare, segnato anche da una dura fase di transizione, la quale inizia con la “guerra sociale” (91-88 a.C.) e procede con la sequenza delle “guerre civili” (tra Mario e Silla: 83-82 a.C., Pompeo e Cesare: 49-45 a.C., Antonio e Ottaviano: 44-31 a.C.) le cui rispettive conclusioni sono l’ingresso delle Città federate (rese Municipi) nella – ora – grande Repubblica e, quindi, l’inserimento in questa del governo del Principe: il princeps gubernator (ovvero “rector” [Cic. rep. libri 5 e 6]).

I tre istituti della Federazione, del Municipio e della Provincia, apparsi in secoli successivi e per secoli adoperati separatamente dal Popolo romano nella propria «crescita», giungono – con l’Impero – a fondersi in un sistema unico. Dopo la fusione tra l’istituto della Federazione e l’istituto del Municipio, la quale produce l’avvento del Principato, sarà la fusione tra l’istituto del Municipio e l’istituto della Provincia a produrre la maturazione imperiale, in cui i Municipi sono i ‘moduli’ di base, le Province i ‘moduli’ intermedi e la Federazione è perfezionata a criterio unico (societario) di riunione, unione, unità: dal singolo Cittadino romano alla Repubblica romana dell’Impero (almeno tendenzialmente) universale.

Questo processo di crescita, il quale coniuga Città e Impero attraverso la Federazione e le Province, corrisponde al menzionato schema interpretativo rousseauiano (CS, 3.15): se la Città «est très-petite elle sera subjuguée? Non. Je ferai voir ci-après* comment on peut réunir la puissance extérieure d’un grand peuple avec la police aisée & le bon ordre d’un petit Etat. *C’est ce que je m’étois proposé de faire dans la suite de cet ouvrage, lorsqu’en traitant des relations externes j’en serois venu aux confédérations. Matiere toute neuve & où les principes sont encore à établir.» Questo ‘processo’ è inoltre descritto persino da un cultore dello “Staat” come Theodor Mommsen: «Seitdem [dopo il bellum sociale] ist die römische Bürgerschaft rechtlich vielmehr die Conföderation der sämtlichen Bürgergemeinden. […] Wie die Republik in notwendiger Consequenz endigt mit Verwandlung des italienischen Städtebundes in die Roma communis patria, so endigt der Principat damit die Provinzialgemeinden alle erst zu städtischen Gestaltung zu führen und dann gleichfalls in Bürgerstädte umzuwandeln. Das Ergebnis dieser Entwickelung, wiedergelegt wie es ist in römischen Rechtsbrüchen, hat insbesondere durch diese mächtige und zum Theile segensreich auf diejenige Entwickelung von Staat und Gemeinde eingewirkt, welche das Fundament unserer Civilisation ist» (Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III.2., Leipzig 1888, § 21 "Das Municipalrecht in Verhältnis zum Staate. Die Stadt im Staat", 781 e 773).

Come la Repubblica perfeziona la Democrazia l’Impero perfeziona la Repubblica.

 

 

2. – Imperator, civitates e concilia provinciarum

 

Per il potere del nuovo princeps gubernator, vale il principio generale di relazione matematica diretta tra intensità del potere di governo e dimensione della collettività, in una ‘costituzione repubblicana’: «le gouvernement, pour être bon, doit être relativement plus fort à mesure que le peuple est plus nombreux» (Rousseau, CS, 3.1 “Du gouvernement en général”).

Per il potere dei Cittadini nella nuova Democrazia sopra-cittadina, si trovano maniere adeguate di formarsi/manifestarsi. Possiamo definire tali ‘maniere’ come immediata e mediata. 

Il potere dei Cittadini si forma / si manifesta in maniera immediata non più con il voto [suffragium] dei cittadini, in un oramai impossibile comizio del Popolo Romano, ma «negli stessi comportamenti» [rebus ipsis et factis] dei cittadini, cioè nella consuetudo (Iul. D. 1.3.32.1).

La fine (almeno sostanziale) del comizio di tutto il Popolo romano non è, però, soltanto l’esito della sopravvenuta impossibilità fisica di fare convergere in un unico luogo, riunire in una unica assemblea e deliberare congiuntamente tutti i Cittadini del ‘grande’ Popolo romano. Il ‘grande comizio’ del ‘grande Popolo’ neppure avrebbe avuto senso seppure fosse stato fisicamente (o comunque tecnicamente) possibile. Si pensi alla inconsistenza degli odierni discorsi sulla «e-democracy» (su cui si può vedere, ad es., il volume collettaneo Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: e-democracy, Roma 2004, in part. cap. 1.3 “E-democracy; un concetto a più dimensioni”). Come abbiamo già ricordato, la essenziale dimensione della “piccola Città” non può assolutamente essere pretermessa, pena la fine/perdita della Democrazia. La ‘costituzione’ di un ‘grande Popolo’ è  esclusivamente quella di un ‘insieme di piccole Città’.

Nella Democrazia sopra-cittadina, il potere dei Cittadini si forma / si manifesta, pertanto, anche e soprattutto in maniera mediata, attraverso due dimensioni e fasi. La prima dimensione/fase è quella intra-cittadina dei Comizi civici/municipali, cui partecipano tutti i cittadini (J. Fr. Rodríguez Neila, “Los comitia municipales y la experiencia institucional romana” in Clara Berrendonner, Mireille Cébeillac-Gervasoni et L. Lamoine, sous la dir. de, Le quotidien municipal dans l’Occident romain, Clermont-Ferrand 2008, 301 ss); la seconda dimensione/fase è quella sopra-cittadina dei Concili provinciali, cui partecipano i delegati delle singole Città/Municipi. I delegati delle singole Città dell’Impero romano, eletti con ‘mandato imperativo’, convergono nei Concili provinciali (κοινά in lingua greca e concilia in lingua latina) per ragionare su governo delle rispettive Province e, dunque, per valutare (nonché, eventualmente, censurare) la condotta dei rispettivi Governatori provinciali, nominati dal- ed espressioni del princeps gubernator, e per interloquire, infine, con questo ultimo (vedi, infra, la “Nota bibliografica”).

Le due dimensioni/fasi della Democrazia sopra-cittadina simul stant et simul cadunt. La ‘autonomia’ delle Città/Municipi imperiali non è soltanto “decentramento” nei governi locali ma è anche se non soprattutto partecipazione al governo imperiale delle Province. La dimensione/fase interna alla singola Città/Municipio non avrebbe senso senza la propria proiezione nella dimensione/fase esterna e questa non avrebbe radici senza quella.

Il ruolo delle Città nel governo (in senso lato) della Provincia e, quindi, dell’Impero non incide soltanto sulla natura di questi due ‘enti’. Il primo ‘ente’ ad essere profondamente condizionato da tale ruolo è la Città stessa: nei suoi membri (i Cittadini) e nei suoi amministratori (i Magistrati). L’inserimento della Città nell’Impero non è (ovvero non è soltanto) una capitis deminutio. La Città viene istituzionalmente investita del governo (in senso lato) della Provincia  e quindi dell’Impero. Una Città, la quale annovera tra i propri còmpiti (diritti e doveri) istituzionali la partecipazione al governo (in senso lato) di una comunità e di un’area più vaste, le quali la comprendono, è sostanzialmente diversa, ha – possiamo dire – una ‘qualità superiore’ rispetto a una Città, la quale non ha tale còmpito. La logica del “governo (in senso lato) dal basso” propria della democrazia civica (ma – come abbiamo visto – l’aggettivo ‘civica’ è pleonastico) è non mortificata ma compiuta nella Città/Municipio imperiale ovvero nell’Impero municipale (e ancora gli aggettivi sono pleonastici).

I Municipi nascono nella Repubblica (che, per intenderci oggi, possiamo chiamare pre-imperiale) ma la loro maturazione è nella dialettica – attraverso le Province – con il princeps gubernator. Questa ‘maturazione’ è la trasformazione, il vero e proprio salto qualitativo della Città/Municipio da ente eventuale di sola amministrazione locale (sebbene inserito nel meccanismo anche legislativo dei comitia tributa del Popolo Romano) in ente necessario di partecipazione sovrana generale. Le magistrature romane della Repubblica (che abbiamo detto) ‘pre-imperiale’, in quanto magistrature intra-cittadine [della Città di Roma] non possono più essere interlocutrici delle Città/Municipi così maturate/trasformate. Anzi: tale maturazione/trasformazione neppure sarebbe stata possibile/pensabile se interlocutrici delle Città/Municipi fossero restate le – vecchie – magistrature intra-cittadine anziché la – nuova – magistratura sopra-cittadina, il princeps gubernator. Questo ultimo, peraltro, proprio in quanto ‘gubernator sopra-cittadino’ deve (= ha istituzionalmente bisogno di) entrare in relazione dialettica con una Democrazia altrettanto sopra-cittadina’.

La (per così dire) ‘Repubblica pre-imperiale’ è esistita e può – quindi – essere concepita senza le Città/Municipi ma ciò costituisce il suo limite. La (per così dire) ‘Repubblica dell’Impero’ no: «Con la constitutio Antoniniana le città peregrine dell’Impero diventano tutte municipia» (A. Nicoletti, “Municipium” in NNDI, X, Torino 1964, 1010) e ciò costituisce le sue novità e forza.

 

 

3. – Nota bibliografica

 

Cracco Ruggini Lellia, “La città imperiale” in E. Gabba e altri, Storia di Roma, IV, Caratteri e morfologie, Torino 1989.

Martini Remo, “Sulla partecipazione popolare ai concilia provinciali nel tardo impero” in Atti dell’Accademia romanistica costantiniana. XIII Convegno internazionale in memoria di André Chastagnol, Napoli 2001.

Merola Giovanna Daniela, Autonomia locale - governo imperiale. Fiscalità e amministrazione nelle province asiane, Bari 2001.

Lobrano Giovanni, “Città, municipi, cabildos” in Roma e America. Diritto Romano Comune, 18, 2004 [= Mundus novus. America. Sistema giuridico latinoamericano, Atti Congresso internazionale, Roma 26-29 novembre 2003, a cura di S. Schipani, Roma, 2005].

 

 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVII Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: LE CITTÀ DELL’IMPERO DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]