Sotto-Segretario
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Stato
della Città del Vaticano
DISCORSO *
Sommario: 1.
Premessa. – 2. Interesse
della Chiesa per il debito dei Paesi poveri. – 3. Complessità della questione dai risvolti primariamente etici. – 4. Impegno
del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.
Desidero ringraziare vivamente l’Unità di Ricerca “Giorgio La
Pira”, nella persona del Prof. Pierangelo Catalano, per l’invito a prendere la parola
in questa sessione di apertura del X Seminario di Studi “Tradizione repubblicana romana” in rappresentanza del – ancora per
qualche giorno – Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Desidero
anche portare un cordiale saluto da parte del Presidente del Pontificio
Consiglio, Cardinale Peter K. A. Turkson, Prefetto, a partire dal 1° gennaio
prossimo, del nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Come ben sanno gli studiosi qui riuniti, è grande l’interesse
della Chiesa e della Santa Sede per il tema generale dell’Incontro, quello del
debito internazionale dei Paesi poveri, e in particolar modo lo è quello del
Pontificio Consiglio. In realtà, sarebbe lecito chiedersi perché un problema,
almeno a prima vista, essenzialmente “tecnico” stia così a cuore alla Chiesa,
tanto che essa ha addirittura raccomandato più volte ai fedeli di pregare per
la sua soluzione.
Oltre alle motivazioni etiche che hanno radici bibliche e che
indicano la necessità di sanare i “guasti” prodotti dal tempo e in specie
quelli prodotti nel tempo dal debito, il fatto è che questo problema è un
simbolo, «un simbolo di squilibri e di ingiustizie»[1] e, allo stesso tempo, è
più di un simbolo. Affrontarlo, dunque, per la Chiesa, seppure senza proporre
soluzioni tecniche, è imprescindibile per dare concretezza e fattività a
quell’opzione preferenziale per i poveri, messa in evidenza dal Concilio
Vaticano II e tante volte richiamata da Papa Francesco, e a quell’impegno per
la giustizia e per la pace che fanno parte integrante della sua missione
evangelizzatrice[2]
.
In definitiva, con la questione del debito è la dignità stessa
dell’uomo che è in gioco. Infatti, nella prospettiva biblica che evocavo
poc’anzi e che considera, come è ben risaputo, tale questione nel quadro del
Giubileo, questa istituzione, il Giubileo, non prospetta come un’utopia
ultraterrena il futuro solidale e rispettoso della dignità di ognuno, anche dei
più poveri, ma spinge alla liberazione dalla schiavitù attraverso dinamiche di
solidarietà concreta che costituiscono per chi è più fortunato un appello a non
dimenticare il dono originario e, per chi versa in situazioni di difficoltà, un
sostegno per tenere accesa la speranza[3].
Un problema, quello del debito, non solo tecnico, ma anche
estremamente complesso. Esso ha implicazioni di carattere economico, sociale,
giuridico e politico oltre che etico. Implicazioni che vanno tenute tutte
presenti anche se, in definitiva, è a livello politico che possono essere prese
iniziative risolutive o almeno in qualche modo efficaci. Per molti anni si è
privilegiato l’aspetto economico della questione – da parte dei creditori e da
parte dei debitori – e l’aspetto sociale
da parte dei debitori; poi, pure una parte dei creditori, almeno le istituzioni
finanziarie internazionali, con le loro iniziative per l’alleggerimento del
debito, hanno considerato la questione anche da detto punto di vista. In
generale, sembrano essere stati piuttosto trascurati, o meglio, non tenuti
nella dovuta considerazione i risvolti giuridici della questione, che giocano
decisamente a favore dei debitori, salvo da parte latino-americana e da parte
del gruppo di studiosi riunito intorno alla Carta di Sant’Agata dei Goti, ben
rappresentato in questa sala.
La Chiesa ha contribuito con un certo successo a mettere in
rilievo l’aspetto etico del problema senza tralasciarne i risvolti economici e
sociali.
Il Consiglio Giustizia e Pace ha lavorato in questo campo in due
fasi successive, accompagnando l’evoluzione storica dei fatti. In una prima
fase l’impegno si è concentrato nelle riflessioni sui principi e in una seconda
nel mettere a fuoco l’esigenza di una riforma del sistema economico-finanziario
e dei suoi meccanismi che, con la globalizzazione, si sono andati dilatando e
progressivamente imbarbarendo.
Fin dagli anni ‘80 il Consiglio Giustizia e Pace si è occupato
della questione del debito, per espresso desiderio del Papa, di San Giovanni
Paolo II, e il documento che pubblicò nel 1986 intitolato “Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito
internazionale” è stato il punto di riferimento iniziale di tutta la
riflessione sulle implicazioni etiche della questione. L’impostazione del
ragionamento si basava sulla condivisione delle responsabilità all’origine
della grave situazione debitoria di molti Paesi – all’epoca principalmente
latino-americani – e sulla necessità di una condivisione delle responsabilità
anche nel trovare la soluzione. Fu proprio questo documento che dette vita al
colloquio, poi proseguito negli anni e in circostanze diverse, sia negli uffici
di Washington che sia in quelli di Palazzo San Calisto, con i responsabili a
vari livelli della Banca Mondiale e del Fondo Monetario. Un colloquio che si
innescò, in quei tempi, anche a livello regionale, come, ad esempio, con gli
incontri che si svolgevano regolarmente fra il CELAM e le Istituzioni
Finanziarie o a livello nazionale con alcune Chiese locali che hanno
partecipato alla stesura dei piani dei Governi che le Istituzioni chiedevano
fossero elaborati con l’apporto della società civile.
Sul piano dei principi etici, per attuare la giustizia, la Carta
di Sant’Agata dei Goti offrì ed offre un notevole contributo nella
consapevolezza che «l’indispensabile sforzo di precisazione etica da solo non
basta (e che) occorre che le istanze più fondamentali trovino risposte anche in
affermazioni di diritto, che riconosciute e tutelate – a livello sia nazionale
che internazionale –, determinino concretamente i rapporti e i progetti di bene
comune»[4].
Il passaggio fra la prima e la seconda fase dell’impegno del
Pontificio Consiglio, cui accennavo prima, si è fatto attraverso la porta santa
del grande Giubileo del 2000. Infatti, in un crescendo di interventi, il Papa,
i Vescovi, individualmente o collegialmente, le Chiese locali attraverso i loro
organismi propri, i religiosi, le religiose, le Organizzazioni e le
associazioni cattoliche hanno fatto della questione debitoria un impegno
prioritario che era stato solennemente espresso da San Giovanni Paolo II al n.
51 della Tertio Millennio Adveniente:
«nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi
voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo
opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione, se non
proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di
molte Nazioni». Queste parole hanno suscitato vasta eco anche in numerosi
cristiani di altre confessioni che le hanno fatte proprie.
Il contributo del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace – come è
o era nel mandato ricevuto – ha incoraggiato le Chiese locali a prendere
l’iniziativa per dare concretezza alla proposta del Giubileo. In Italia, ad
esempio, con il successo avuto presso il Governo nazionale della raccolta di
fondi per la cancellazione del debito contratto verso l’Italia da Zambia e
Guinea.
La crisi finanziaria globale originatasi nel mercato dei mutui subprime negli Stati Uniti e poi
dilagata a partire dal 2008, le cui ripercussioni sono ancora presenti, ha
indotto il Pontificio Consiglio a disegnare i contorni di quell’esigenza di
riforma del sistema finanziario e monetario internazionale già manifestata alla
fine degli anni novanta. Tale riforma venne tratteggiata prima con una breve nota
redatta in occasione della Conferenza sul finanziamento allo sviluppo promossa
dall’ONU a Doha, in cui già si denunciava a chiare lettere il fenomeno perverso
della finanziarizzazione dell’economia per cui la finanza ha tradito la sua
natura che è quella di “ponte” fra il risparmio e l’economia reale[5].
Il perdurare e l’incattivirsi della crisi con l’approfondimento
delle ineguaglianze all’interno delle nazioni e fra le nazioni, indusse ad
approfondire la riflessione con una seconda e più articolata proposta contenuta
nel documento “Per una riforma del
sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità
pubblica a competenza universale”[6]. Ripercorsi brevemente l’itinerario
e le cause della crisi fino ad allora, la nota tratteggiava, ispirandosi al
magistero della Caritas in Veritate,
un governo della globalizzazione di tipo sussidiario, affermando che «logica
vorrebbe che il processo di riforma si sviluppasse avendo come punto di
riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza
mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni
della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelli delle sue Agenzie
specializzate. Il frutto di tali riforme dovrebbe essere una maggiore capacità
di adozione di politiche e scelte vincolanti poiché orientate alla
realizzazione del bene comune a livello locale, regionale e mondiale. Tra le
politiche appaiono più urgenti quelle relative alla giustizia sociale globale:
politiche finanziarie e monetarie che non danneggino i Paesi più deboli;
politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili e ad un’equa
distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di
solidarietà fiscale globale». Si tratta di una presa di posizione netta, che è
stata accolta e fatta propria da molte istanze, cristiane e non, sulla
necessità di nuove strutture costruite su principi etici rinnovati, in assenza
delle quali nessuna soluzione della crisi è possibile, neanche sotto l’aspetto
debitorio.
E’ qui che si inserisce opportunamente l’iniziativa avente come
scopo, sulla base delle formulazioni della Carta di Sant’Agata de’ Goti, che
«l’Assemblea generale delle Nazioni Unite giunga a formulare l’auspicata
richiesta di parere alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja sui
principi e sulle regole applicabili al debito internazionale, nonché al debito
pubblico e privato, al fine della rimozione delle cause delle perduranti
violazioni dei principi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei
popoli»[7].
La Santa Sede da parte sua non manca di intervenire tramite i
suoi rappresentanti, il più autorevole dei quali Papa Francesco (la Santa Sede
in senso proprio), per invitare le istituzioni internazionali ad adeguarsi al
fine di favorire la giustizia. Nel memorabile discorso alle Nazioni Unite il
Santo Padre sottolineava con vigore che «la necessità di una maggiore equità,
vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il
Consiglio di Sicurezza, gli Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi
specificamente creati per affrontare le crisi economiche. Questo aiuterà –
affermava ancora Papa Francesco – a limitare qualsiasi sorta di abuso o usura
specialmente nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Gli organismi
finanziari internazionali devono vigilare in ordine allo sviluppo sostenibile
dei Paesi e per evitare l’asfissiante sottomissione di tali Paesi a sistemi
creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottomettono le
popolazioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza»[8].
Altra opportunità da non lasciarsi sfuggire è quella offerta
dall’Agenda 2030, che la Comunità internazionale si è data per raggiungere
entro i prossimi quattordici, oramai tredici anni, gli obiettivi di sviluppo
sostenibile. L’obiettivo 17, al punto 4, conferma
l’intento di trovare soluzione alla questione debitoria «Assist developing
countries in attaining long-term debt sustainability through coordinated policies
aimed at fostering debt financing, debt relief and debt restructuring, as
appropriate, and address the external debt of highly indebted poor countries to
reduce debt distress.».
Non è senza interesse segnalare che il Dicastero per il Servizio
dello Sviluppo Umano Integrale, creato da Papa Francesco il 17 agosto del 2016,
pubblicherà a breve la Nota presentata dalla Santa Sede alla 71.ma Assemblea
Generale delle Nazioni Unite nel primo anniversario dell’adozione degli
Obiettivi di sviluppo sostenibile. Questa Nota
esprime la posizione della Santa Sede stessa in merito all’Agenda 2030
ed è comprensiva di alcune importanti puntualizzazioni in merito.
[Un evento culturale, in quanto ampiamente
pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente
anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di
questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai
promotori del X Seminario di studi “Tradizione Repubblicana Romana”, dal curatore
della pubblicazione e dalla direzione di Diritto @ Storia]
* Discorso
pronunciato nella Sessione del 16 dicembre 2016 [“CONTRO L’USURA: DEBITO E
CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA”] del X Seminario di studi "TRADIZIONE REPUBBLICANA ROMANA",
organizzato dall’Unità di ricerca “G. La Pira” di Sapienza-Università di Roma e
del Consiglio Nazionale delle Ricerche, diretta dal professore Pierangelo
Catalano, con il patrocinio di Roma Capitale. Roma – Sede de CNR.
[1] GIOVANNI PAOLO II,
Alla Pontificia Accademia delle Scienze
Sociali, 1989.
[3] Cfr. COSTA G., Giubileo della misericordia: alle radici
della solidarietà, in Aggiornamenti
sociali, aprile 2015, editoriale.
[4] Carta di Sant’Agata dei Goti - Dichiarazione
su usura e debito internazionale, 29 settembre 1997.
[5] Cfr. Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace, Un
nuovo patto finanziario internazionale, 18 novembre 2008.