Direttore del Centro Studi
Giuridici Latinoamericani dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Professore Chutian
dell’Università Zhongnan di Wuhan - Cina
INDEBITAMENTO DEGLI ANTICHI E INDEBITAMENTO
DEI MODERNI
PER UN SUPERAMENTO DELLE PROSPETTIVE
GIURIDICHE CONTEMPORANEE DI GESTIONE DEL DEBITO ESTERO DEI PAESI IN VIA DI
SVILUPPO *
Sommario: 1. Indebitamento
degli antichi. – 2. Indebitamento dei moderni. – 3. Le
possibili strade per una soluzione pacifica. – 4. Importanza di una
precisazione del quadro regolativo di riferimento del debito estero e di una
giurisdizione sovranazionale.
Sane
vetus urbi fenebre malum. Con tale perentorio ed efficace
incipit, Tacito, nei suoi annales (VI.16.1-2)[1], introduce il problema dei
debiti quale creberrima causa di seditiones discordiaeque in Roma antica.
L’oppressione per debiti della plebe romana da parte del patriziato
realizzatasi nella forma del nexum è
problema risalente all’età pre-decemvirale e causa della prima secessione
plebea (494 a.C.). Il problema del debito, come causa di conflitto sociale tra
gli ordini a Roma, dà forza ed innesta la prima espressione di una fondamentale
forma di lotta plebea, quella della secessione, con la quale i plebei danno
forza ed esprimono nella concretezza della storia il fondamentale ed
inalienabile diritto di ‘resistenza’ del debitore nei confronti dei creditori[2].
Il risultato politico-giuridico della prima secessione non
risolverà il problema dell’indebitamento, ma determinerà il riconoscimento
dell’istituzione tribunizia come limite all’imperium
dei consoli patrizi[3].
Saranno per Tacito le XII Tavole (451-450 a.C.) a fissare un
limite degli interessi pecuniari sui prestiti di 1/12 l’anno (ca. 8,34%)[4]. Va accentuato il fatto
che in Tacito non emerge alcun tentennamento giuridico-morale nel qualificare
il fenomeno in termini di malum (da
contrapporre al bonum, elemento
essenziale del giuridico nella prospettiva romana secondo i giuristi Celso e
Ulpiano, e confermato dall’imperatore romano Giustiniano all’inizio dei
Digesta; D. 1.1.1 pr.)[5]. La qualifica di Tacito è
la chiave storiografica dello svolgimento che lo storico fa delle leggi romane
antiusura, inserito nella lotta plebea contro il patriziato e che giunge al
divieto assoluto delle usurae nel
plebiscito Genucio del 342 a.C., divieto al quale si opporrà il senato[6].
La politica antiusura dei Romani si espande anche a costumi
commerciali, come quelli ellenistici, nei quali il prestito ad interessi esorbitanti
era ampiamente praticato e senza limiti giuridici efficaci, utilizzandosi in
quell’area culturale schemi giuridici quali le syngraphae, contratti scritti caratterizzati dalla forma, che
permettevano di celare l’enorme tasso di interessi nella somma da restituire
nella falsa dichiarazione del ricevimento in prestito della somma totale
(inclusiva del capitale e degli interessi) nell’atto scritto. Non è un caso se
tali operazioni e usi finanziari ellenistici per i romani fossero da vietare a
Roma (lex Gabinia del 67 a.C. o del
58 a.C.) e fossero considerati una pactio
contra fidem veritatis (Ps. Asc. in Verr. 2.1.36.91), da ritenersi
estranea al diritto comune di tutti gli uomini (ius gentium) ed espressione esclusiva di un ius peregrinorum (Gai. 3.133)[7].
La iurisdictio peregrina
di grandi governatori romani, come Quinto Mucio Scevola in Asia, al più tardi
nel 94 a.C., e Cicerone in Cilicia nel 51 a.C. si mostrerà coerente a questa
concezione tipicamente romana, rigorosa nel combattere il fenebre malum, anche quando a praticarlo siano i pubblicani romani
contro le città libere d’oriente, sancendosi negli editti provinciali il
rispetto inderogabile del principio di buona fede anche nei negozi finanziari
(Cic. ad Att. VI.1.60)[8].
La lotta all’usura è storicamente una delle forze
caratterizzanti la costruzione della res
publica Romana[9],
orientandosi, come visto, dapprima a porre limiti legislativi all’avidità dei feneratores e, poi, con la lex Poetelia Papiria del 326 a.C. a
modificare le rigide conseguenze personali del nexum che caratterizzavano la forma giuridica dell’indebitamento
plebeo nei confronti del patriziato in termini di immediata responsabilità del nexus e sua eventuale soggezione alla
diretta manus iniectio in caso di
mancata restituzione. Non è casuale che per Livio con tale legge si realizza un
aliud initium libertatis per la plebe[10].
Il simbolo della resistenza plebea che si caratterizza come
lotta all’usura e fonte di numerosi secessioni è un concreto modello
storico-giuridico diretto chiarire come la domanda di partecipazione politica
sia vana, se non si accompagna ad un riequilibrio in termini di giustizia delle
disparità socio-economiche.
Importante è anche l’affermazione di Catone il Censore, ora nel
suo de agri cultura: Praef. I: Maiores nostri sic habuerunt et ita in
legibus posiverunt, furem dupli condemnari, feneratorem quadrupli; quanto
peiorem civem existimarent feneratorem quam furem, hinc licet existimare.
La testimonianza è la prova di una considerazione del faenerator quale peggiore cittadino del ladro, confermando la
qualifica in termini di malum del
fenomeno presente in Tacito e riflettendo bene il distacco della concezione
romana da quella odierna[11].
L’accostamento – ideologicamente
significativo – che Catone fa tra il fur ed il faenerator, orientato a stigmatizzare la posizione del secondo, è
fondato sul confronto tra la pena della duplio
applicata al fur nec manifestum (tab. VIII.16) e quella del quadruplo
applicata al faenerator. Un tale
accostamento è concretamente individuabile nella tradizione legislativa arcaica
soltanto nel corpus delle XII Tavole.
Una tradizione così radicata nella cultura romana trova conforto
nella rigorosa concezione giuridica dell’usura
pecuniae come realtà convenzionale ed artificiale, e non quale naturale
reddito (‘frutto’ civile) dell’uso del denaro che altri ne faccia, come nella
concezione contemporanea.
D’altronde l’attrazione tutta moderna dell’usura nei contenuti possibili e leciti di un’obbligazione
contrattuale è la conseguenza della forte distorsione ideologico-concettuale
impressa al diritto romano dalla rilettura pandettistica nell’ottocento in
Germania, che ha realizzato una ricostruzione dello schema del
debito/obbligazione quale struttura giuridica di diseguaglianza (dove si
svilisce la doverosità giuridica del debitore e si accentua la finzione di un
potere del creditore) e con una forte caratterizzazione patrimonializzante dei
rapporti tra gli esseri umani[12].
L’usura nei romani non assume, poi, quella configurazione naturalistica
del frutto della prospettiva moderna ed abbisogna di cause giustificative
tipiche che la giustifichino giuridicamente per essere ammessa, in base alla
regola enucleata da Quinto Mucio Scevola il pontifex
maximus: usura pecuniae in fructu non
est (Pomp. l. VI ad Q. Mucium D.
50.16.121)[13].
Si tratta di una mentalità giuridica e di una prospettiva
espresse dalla grande cultura giuridica romana che è da monito e da elemento
critico di svelamento dell’ideologia giuridica contemporanea per la quale gli
interessi pecuniari sarebbero, invece, il naturale frutto dell’uso e del
godimento del danaro, attraverso l’occhiale economico distorto dell’interesse
pecuniario quale reddito di capitale[14]. È coerente (e quindi
tanto più aberrante) al quadro concettuale moderno, nel quale l’economia
mondiale è fondata sulla forma economica del capitale finanziario, che i
redditi del capitale finanziario – diventati l’unico vero obiettivo del
capitale stesso – assumano la forma
giuridica dell’interesse pecuniario oggetto di un debito, il quale si presenta
quale bene giuridico patrimoniale.
Tale enorme salto concettuale si deve alla scienza giuridica
tedesca del secondo ottocento che legittima, anche nel discorso giuridico, le
teorie economiche che mano a mano pongono il capitale monetario come strumento
naturale di produzione di profitti. Non sfugge che una tale prospettiva, che
caratterizza la visuale contemporanea, fa da velo alla profonda carica immorale
ed antigiuridica della liceità dell’oggetto di un debito esclusivamente
caratterizzato dagli interessi pecuniari sul prestito ricevuto, rendendo la
percezione di un surplus pecuniario sul prestito quale ‘naturale’ corrispettivo
del godimento del danaro prestato.
Lo svelamento della carica ideologica del contemporaneo modo di
qualificare e giustificare gli interessi pecuniari come oggetto percepito dalla
modernità in ogni caso lecito di un debito assunto, dovrebbe anche permettere
di riconsiderare criticamente la questione che ad essi si è venuta collegando
nei rapporti internazionali nel XX e ora nel XXI secolo, dell’indebitamento dei
Paesi in Via di Sviluppo, per contrastare la tenuta di una unilaterale chiave
di lettura del fenomeno, ponendosi al fianco della dominante linea
interpretativa possibili strade che permettano di risolvere il problema
perseguendo obiettivi giuridici di pacificazione nei rapporti tra popoli.
Il discorso giuridico sul debito estero (ma considerazioni
analoghe possono farsi sul fenomeno dell’indebitamento nel mercato interno di
un singolo paese delle classi meno abbienti) parte, infatti, dalle premesse
ideologiche sopra ricordate e collegandovi alcuni principii del diritto
(internazionale pubblico e privato), quali il principio pacta sunt servanda e quello del genus numquam periit, ritiene di poter concludere che il problema
del debito estero, per come è stato formalizzato negli accordi internazionali
tra paesi e tra paesi e enti internazionali privati e pubblici, impone una sua
interpretazione formalistica nella direzione del rispetto degli impegni assunti
dai paesi debitori, anche quando tale rispetto possa condurre ad intaccare le
condizioni minime di vita dei cittadini del paese debitore e possa indebolire
la stessa capacità di autonomia decisionale nelle scelte di politica economica
pubblica di quel paese[15]. Di qui la via tentata di
schemi giuridici rimessi alla buona volontà dei creditori, quali la remissione
dell’intero debito o di una sua parte, la sua rinegoziazione e la possibilità
di forme di liberazione dal debito che non portino alla totale esclusione del
paese moroso dall’accesso a nuove risorse finanziarie internazionali[16].
A mio avviso queste strade, pur degne di grande attenzione,
devono essere accompagnate da una riflessione più profonda sulla illegittimità
delle forme moderne di indebitamento dei PVS, che possano ribaltare la visuale
di consueto applicata, venendosi a considerare il pagamento già effettuato di
enormi quantità di danaro in termini di interessi sui prestiti quale pagamento
di un indebito e quindi suscettibile di una pretesa di restituzione da parte
degli stessi Paesi debitori nei confronti dei Paesi o enti creditori[17].
Mi sembra proficuo contrapporre, per una esatta ricostruzione giuridica
del fenomeno dell’indebitamento come ‘male’ giuridico (nazionale ed
internazionale) al quale bisogna porre rimedio per salvaguardare la pace nella
comunità (statuale e internazionale), l’indebitamento dei moderni e
l’indebitamento degli antichi.
La moderna costruzione giuridica dello Stato come organizzazione
politica protagonista della scena internazionale, a fronte della debolezza di
organizzazioni politiche di natura soprannazionale, ha caratterizzato la forma
moderna di indebitamento quale debito estero dei Paesi in Via di Sviluppo
(d’ora innanzi PVS) nei confronti degli Stati con economie avanzate e delle
organizzazioni finanziarie internazionali come l’International Monetary Fund e la World Bank che ne sono espressione. Gli schemi giuridici sui quali
si è fondato questo debito estero dei PVS sono quelli del trattato
internazionale e dell’obbligazione pecuniaria assunta in base ad accordi
internazionali. Di qui l’esclusiva prospettiva dell’applicazione dei principi
di diritto internazionale e di diritto privato del pacta sunt servanda e del genus
numquam perit, dai quali è conseguita una condizione di soggezione dei PVS
prolungata nel tempo e condizionante anche le scelte politiche degli stessi[18].
Significativi, al riguardo, gli approfondimenti operati da parte
della dottrina, rispetto al c.d. debito odioso[19], nel quale la scissione
giuridica tra chi ha il potere di assumere il debito e chi ne è in concreto
responsabile, riflette in materia la distinzione giuridica tra governanti e
governati, facendo assumere al fenomeno la caratteristica di una responsabilità
del rappresentato per l’operato del rappresentante[20]. Ciò non è senza ricadute
inaccettabili per i popoli coinvolti nel fenomeno, evidenziandosi l’incidenza
delle conseguenze negative della configurazione giuridica moderna sulla dignità
degli esseri umani coinvolti[21].
Sebbene quindi la chiave ideologica attuale tenda a spostare su
un piano esclusivamente patrimoniale la questione del debito estero dei PVS e
della credibilità internazionale degli stessi, la realtà del fenomeno evoca, in
chiave di soggezione dei popoli debitori ai paesi creditori, una chiave di
lettura più significativa, quella che può chiamarsi una forma moderna di
‘schiavitù’ internazionale per debiti[22]. L’accostamento assume
ulteriore rilievo nel fatto che – a differenza dell’antico istituto del nexum, poi finalmente abrogato nel 326
a.C. onel 313 a.C., come forma giuridica dell’indebitamento plebeo a Roma e del
più raffinato schema dell’obbligazione romana – nell’indebitamento internazionale
dei moderni vi è, ad aggravare la situazione, la scissione tra soggetto che
assume il debito (governi) e soggetto ne risponde (popoli), determinandosi una
vera e propria responsabilità per il fatto del terzo.
Di fronte all’indebitamento dei suoi membri, la plebe espresse
nella realtà della storia una forma di resistenza alla forza politica ed
economica dei patrizi, realizzatasi con la secessione, attraverso la quale alla
negazione patrizia di una reale partecipazione plebea in chiave di eguaglianza
alla comunità dei cittadini veniva contrapposto il fondamentale ed inalienabile
diritto di opporsi a tale forza di soggezione imposta dall’indebitamento,
individuando nell’istituzione tribunizia lo strumento politico-giuridico più
efficace per la realizzazione, in chiave di potere oppositivo all’imperium dei consoli patrizi, degli
obiettivi di eguaglianza nella civitas.
L’oblio dell’istituzione tribunizia quale strumento politico
costituzionale di riequilibrio delle dinamiche politiche, economiche e sociali
nel diritto moderno e nell’ordine giuridico internazionale delle situazioni di
diseguaglianza non fa presagire una soluzione pacifica dell’attuale fase di
strapotere della usurocrazia e dell’insostenibile peso rappresentato
dall’indebitamento estero dei PVS.
Possono indicarsi alcune possibili strade proposte.
a) Soluzione etico-giuridica. – Partendo dalla esclusiva
impostazione della tradizionale questione del debito in chiave di principii inderogabili
di natura consuetudinaria del diritto internazionale (pacta sunt servanda), si è cercata una soluzione del problema
rimessa alla buona volontà dei paesi o degli enti internazionali creditori, con
meccanismi di unilaterale concessione, quali moratorie, rateizzazioni e
remissioni parziali del debito, al fine di alleviare il peso dello stesso sui
paesi debitori[23].
Tale soluzione è chiaramente condizionata a monte dalla buona volontà dei
creditori che spesso non sembrano particolarmente sensibili a dinamiche che non
siano orientate verso il profitto e appare nel quadro di crisi economica che ha
investito i paesi sviluppati di difficile realizzazione.
b) Soluzione geopolitica. – È la strada, dapprima proposta e poi
realmente realizzata, diretta a creare nuovi enti finanziari internazionali che
si propongano di diventare una concreta alternativa all’IMF e alla World Bank. Le
più interessanti iniziative sono la Banca di sviluppo dei Paesi BRICS e la
nuova Banca asiatica di investimento per le infrastrutture. In particolare,
l’esempio della Asian Infrastructures
International Bank, con sede a Pechino e che, con l’obiettivo di creare una
rete infrastrutturale senza precedenti dalla Cina all’Europa, col progetto
cinese One Belt One Road dapprima ed
ora, ampliatosi enormemente, nell’iniziativa Belts and Roads, ne è una concreta manifestazione[24].
c) Soluzione giuridica. – È la strada tentata da un gruppo di
giuristi europei e latinoamericani attenti e sensibili al problema del debito
estero dei PVS, che dapprima hanno discusso in una serie di Congressi
internazionali il problema e poi hanno individuato un quadro giuridico
regolativo del problema in una prospettiva sovranazionale e lo hanno fissato
per iscritto nella Carta di Sant’Agata dei Goti (29 settembre 1997), enucleando
i principii generali del diritto e le regole comuni che devono essere applicate
per risolvere il problema del debito estero dei PVS[25].
A ciò si è poi accompagnata l’iniziativa italiana e di altri
Paesi, membri dell’ONU, di presentare all’Assemblea una richiesta di Parere
consultivo della Corte dell’Aja affinché si esprima a sua volta su quali siano
i principi regolativi il problema del debito estero internazionale.
A prescindere dalle strade tutte meritorie sopra indicate,
ritengo utile in questa sede segnalare la questione della necessità di una
giurisdizione sovranazionale che permetta di superare l’esclusivo modello
dell’arbitrato internazionale al fine di risolvere il problema del debito
estero dei PVS.
Fino a quando, cioè, si conserverà il modello di soluzione di
controversie dei conflitti nascenti dagli accordi internazionali di
finanziamento in termini di arbitrato internazionale, infatti, il rischio che
non si riesca a evidenziare la complessità del problema e si rimanga ancorati
agli esclusivi principii pacta sunt
servanda e genus numquam perit
potrebbe non soltanto confermare una interpretazione formalistica e convenzionale
del debito estero, ma realizzare un ulteriore irrigidimento della questione del
quadro giuridico di riferimento sostanziale.
Di qui l’importanza della valorizzazione di un modello diverso
che faccia riemergere l’essenziale bisogno di una auctoritas publica universalis che assuma su di sé la funzione di
riequilibrio propria del potere negativo dei tribuni e possa rifondare i
rapporti internazionali del debito estero su binari di giustizia ed
eguaglianza, un nuovo inizio della libertà dei popoli[26].
A questo riguardo, la stessa proposta alla Corte Internazionale
dell’Aja di un parere consultivo per indicare il quadro giuridico regolativo
del problema in chiave internazionale potrebbe non dare una risposta pienamente
soddisfacente, lasciandosi irretire dalle ideologie contemporanee che
condizionano la questione giuridica del problema in chiave formale di rispetto
della volontà delle parti cristallizzatasi nell’accordo internazionale e della
natura pecuniaria dell’oggetto del debito.
Penso che si dovrebbero accompagnare le azioni attualmente in
corso con la proposta di creazione di una giurisdizione sovranazionale, una
Corte Internazionale sul Debito Estero, o forse ricorrere alla stessa Corte
penale Internazionale, che stabilmente si occupi del problema e che, attraverso
una composizione internazionale quanto più possibile ampia ed eguale tra Paesi
sviluppati e Paesi in via di sviluppo, possa rappresentare una valida
alternativa ai limiti ben segnalati dei condizionamenti e dei meccanismi degli
arbitrati internazionali nella loro attuale configurazione.
[Un evento culturale, in quanto ampiamente
pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente
anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di
questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai
promotori del X Seminario di studi “Tradizione Repubblicana Romana”, dal
curatore della pubblicazione e dalla direzione di Diritto @ Storia]
* Relazione presentata nella
Sessione del 16 dicembre 2016 [“CONTRO L’USURA: DEBITO E CORTE INTERNAZIONALE
DI GIUSTIZIA”] del X Seminario di studi "TRADIZIONE
REPUBBLICANA ROMANA", organizzato dall’Unità di ricerca “G. La Pira”
di Sapienza-Università di Roma e del Consiglio Nazionale delle Ricerche,
diretta dal professore Pierangelo Catalano, con il patrocinio di Roma Capitale.
Roma – Sede del CNR.
[1] Tac. ann. VI.16.1-2: Interea magna vis accusatorum in eos inrupit qui pecunias faenore auctitabant
adversum legem dictatris Caesaris, qua de modo credendi possidendique intra
Italiam cavetur, omissam olim, quia privato usui bonum publicum postponitur. Sane
vetus Urbi fenebre malum et seditionum discordiarumque creberrima causa, eoque
cohibebatur antiquis quoque et minus corruptis moribus. Nam primo duodecim
tabulis sanctum ne quis unciario faenore amplius exerceret, cum antea ex
libidine locupletium agitaretur; dein rogatione tribunicia ad semiuncias
redactum; postremo vetita versura. Multisque plebi scitis obviam itum
fraudibus, quae, totiens repressae, miras per artes rursum oriebantur.
[4] In verità il
dibattito sul limite dell’oncia è ancora vivo, orientandosi una parte della
dottrina a ritenere, presupponendosi in origine soltanto prestiti di derrate
alimentari, che l’unità temporale di misurazione della liceità del fenus sia il mese, venendosi così a
determinare un tasso di interesse del 100% annuo, mentre un’altra parte della
dottrina ritiene, invece, che l’oncia sia annuale, così da concretizzarsi in un
tasso di interesse dell’8,33% annuo. La mia propensione verso la seconda
interpretazione è data dal fatto che altrimenti il limite della semioncia
sarebbe incomprensibile, come lucidamente indica lo stesso F. De Martino, Riforme del IV secolo a.C., in BIDR LXXVIII 1975, 39 ss., in
particolare p. 53, autore che sostiene la prima tesi.
[5] Ius est ars boni et
aequi. Sulla contrapposizione tra
concezione romana (sostanziale e dinamica) e concezione moderna (formale e
statica) del diritto vd. F. Gallo,
Celso e Kelsen. Per la rifondazione della
scienza giuridica, Torino 2010.
[6] Per i problemi complessi
relativi alla definizione dello svolgimento storico qui sommariamente
richiamato, mi permetto di rimandare per gli approfondimenti al mio ‘Leges fenebres’, ‘ius civile’ ed
‘indebitamento della plebe: a proposito di Tac. Ann. 6.16.1-2, in Studi in onore di A. Metro, I, Milano
2009, 377-397. Il tema è riesaminato ora in P. Capone,
Unciaria lex, Napoli, 2012 e A. Arnese, Usura e modus. Il problema del sovraindebitamento dal mondo antico
all’attualità, Bari 2013.
[7] Per un
approfondimento di questi problemi mi si permetta di rimandare al mio ‘Bona fides’ tra storia e sistema, 3a
ed.,Torino 2014, 39-40, anche per il richiamo della bibliografia sul punto.
[8] Per evitare
appesantimenti bibliografici rimando al mio ‘Bona
fides’ tra storia e sistema, cit., 31-57, dove il richiamo alla discussione
sulla complessa testimonianza ciceroniana.
[9] Fondamentale F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma 1, 2a ed., Napoli 2006, 172-190 e 352.
[10] Vd. per
approfondimenti il mio ‘Damnatio’ e ‘oportere’
nella obbligazione, Napoli 2016, 117-145.
[11] Vd. sul punto P. Catalano, Princípios gerais do direito, direito à vida e dívida externa, in Revista Forense 353, (Rio de Janeiro),
2001, 209 ss.
[12] Per la critica
alla concezione dell’obbligazione di Savigny quale “potere su una prestazione
determinata e patrimonialmente valutabile del debitore”, con la quale secondo
Karl Marx la società moderna trasforma in danaro qualsiasi rapporto tra gli
esseri umani, vd. puntualmente F. Wieacker,
Pandektenwissenschaft und industrielle
Revolution, in Juristen-Jarbuch
9, 1968-1969, 1 ss., in particolare 8. Più ampiamente sulla contrapposizione
tra concezione romana e concezione borghese dell’obbligazione vd. quanto ho
cercato di evidenziare in Das römische
Recht der Pandektistik und das römische Recht der Römer, in AA.VV., Wie pandektistisch war die Pandektistik ?,
a cura di H.-P. Haferkamp - T. Repgen,
Tübingen 2017, 83-99.
[13] Mi permetto di
rimandare al mio contributo Dalla regola
romana ‘usura pecuniae in fructu non est’ agli interessi pecuniari come frutti
civili nei codici moderni, in Roma e
America. Diritto romano comune 5, 1998, 3 ss.
[14] Per il salto
concettuale operato all’interno della scuola pandettistica tedesca vd. più
dettagliatamente i percorsi ideologici in La
nozione giuridica di ‘fructus’, Napoli 2000, 12-14.
[15] Sulla verifica
della tenuta dell’interpretazione dominante negli arbitrati internazionali in
materia di debito estero vd. J. Webb Yackee, Pacta sunt servanda and State Promise to Foreign Investors Before
Bilateral Investment Treaties: Myth and Reality, in Fordham International Law Journal, 32, 2008, 1550-1613.
[17] È la tesi proposta
in S. Schipani- R. Cardilli, Principi e regole per il debito estero,
in Politica internazionale, 3, 2000,
145-155.
[18] M. Bagella,
Osservazioni sul debito internazionale
dell’America Latina, in, AA.VV., Debito
Internazionale. Principi Generali del Diritto, (Roma e America. Collana di
studi giuridici latino-americani, 8), a cura di S. Schipani, Padova, 1993, 139 ss.; Idem, Integrazione
finanziaria, movimento dei capitali e debito estero: lezioni dall’ America
Latina, in Il Debito Internazionale. Atti
del II Seminario giuridico internazionale di Roma, Collana della Pontificia
Università Lateranense, a cura di D.A. Gutiérrez
- S. Schipani, Roma, 1998, 307 ss.; R. Panizza,
All’origine del debito estero dei Paesi
del Terzo Mondo, in AA.VV., Progetto
Italia-America Latina. Ricerche giuridiche e politiche. Materiali, VII/1, Principi generali del diritto e iniquità nei
rapporti obbligatori. Aspetti giuridici del debito internazionale dei Paesi
latinoamericani [ASSLA, Sassari, 1991], 323 ss.; Idem, Condizionamenti esogeni ed endogeni
sull'accresciuta posizione debitoria dell' America Latina: i termini di una
discussione, in AA.VV., Il Debito
Internazionale, cit., 31 ss.
[19] R. Howse,
The Concept of Odious Debt in Public
International Law, in UNCTAD/OSG/DP, 2007/4, n. 185, 1-27.
[20] AA.VV., Debito internazionale. Principi generali del
diritto. Corte Internazionale di Giustizia, a cura di D.J. Andrés - S. Schipani, Roma, 1993;
AA.VV., Diritto alla vita e debito
estero. Sant’Agata dei Goti. III Centenario della nascita di S. Alfonso Maria
de’ Liguori, a cura di P. Catalano,
Napoli, 1997.
[21] Importante R. Coppola, Debito internazionale e violazione dei diritti umani nella prospettiva
del diritto canonico, in Archivio
giuridico, 228-2, 2008, 199 ss. Si vd., al riguardo, le raccomandazioni
dirette al Segretario Generale per i diritti umani dell’ONU nel lavoro di H. Mann, International Investment Agreements, Business and Human Rights: Key
Issues and Opportunities, IISD, February 2008, 1-42.
[22] P. Catalano,
“Raça cósmica” e nova “escravidão” por
dívidas, in AA.VV., Debito
internazionale. Principi generali del diritto. Corte Internazionale di
Giustizia, cit., 1 ss.
[23]
La Repubblica Italiana ad esempio ha meritoriamente sancito con Legge del 25 luglio
2000 n. 209 le “Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso
reddito e maggiormente indebitati”, prevedendo all’art. 2 co.2, la riduzione,
la conversione e la rinegoziazione del debito con la finalità di un progressivo
annullamento del carico debitorio.
[24] Su queste nuove
iniziative, che nascono come risposta alla non adeguata valorizzazione
all’interno della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale del peso
economico di Paesi quali Brasile, Cina, Russia ed India, vd. M. Bagella, Alle origini del progetto della nuova Banca di Sviluppo BRICS:
criticità e opportunità, in AA.VV.,
Aspetti giuridici del BRICS - Legal aspects of BRICS, a cura di R. Cardilli - S. Porcelli, Padova 2015,
159 ss. e la relazione di Fu Yu, Il dibattito sui meccanismi giuridici della
cooperazione finanziaria internazionale con riferimento alla Banca Asiatica di
Investimento per le Infrastrutture, in AA.VV., Chang’an e Roma: Via della Seta e Eurasia, in corso di stampa.
[25] Vd. ora la messa a
punto di R. Coppola, Etica cattolica, debito e giustizia sociale
in vista di un nuovo assetto
internazionale, in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it )
25, 2015, 1-18.