Università di Sassari
Normativa
primaria e normativa secondaria in materia di zygostatai
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La costituzione di Giuliano. – 3. L’editto del prefetto del pretorio Hierius. – 4. L’Ed. 11 di Giustiniano. – 5. Epilogo. – Abstract.
Il legislatore dell’età tardo antica trasformò alcune figure, già
presenti nelle città orientali, in funzionari dell’amministrazione municipale
dell’impero romano: è il caso degli zygostatai[1], la cui
normativa, primaria e secondaria, sarà oggetto di questa ricerca.
Nel mondo ellenico il termine ζυγοστάτης si registra fin dal III sec.
a.C., nei versi di Cercida di Megalopoli (290 a.C. circa – 220 a.C. circa)
conservati in P.Oxy. 1082,
testimonianza papirologica risalente al II sec. d.C.[2]. Nel
primo frammento dei meliambi, il
poeta, filosofo, e legislatore qualifica Zeus
come ζυγοστάτης ὀρθός[3] (“il
retto pesatore”[4]), reinterpretando così l’immagine omerica presente nell’Iliade[5], in cui la massima divinità pesa le anime[6].
Vi è un’altra fonte che collega il termine in esame a una
divinità, si tratta di un’iscrizione di Ilium,
risalente all’epoca imperiale. Il documento, conservato nel museo di çanakkale,
attesta la dedica di un agoranomo della Panegiria di una immagine di Hermes zigostate[7], effigie
connessa alla corretta pesatura nelle operazioni commerciali[8].
In un papiro egiziano di Arsinoites
del II-III secolo, riguardante una relazione delle proprietà confiscate, con
annessa valutazione, si elencano anche i beni di uno zigostate del nomos Letopolite[9]. Il
vocabolo si rinviene anche negli Onirocritica di Artemidoro di Daldi,
opera del II secolo, dove il sognare
Mercurio[10] e
Venere[11]
è connotato come un presagio positivo per una serie di persone, tra cui
si annoverano gli zygostatai. Sebbene
in queste testimonianze non si espliciti in cosa consistesse la loro funzione,
appare chiaro come nel II secolo la presenza di zigostati fosse diffusa nelle
città orientali e il contenuto del loro operato fosse comunemente ben chiaro[12].
Agli inizi del II sec. d.C., in una fonte epigrafica efesina, lo ζυγοστάτης è un ἰερὸς τῆς Ἀρτέμιδος,
incaricato di pesare le statue preziose (e i loro basamenti) nel tempio di
Artemide ad Efeso[13].
Si deve rilevare, quindi, come tali figure appaiono da una parte
collegate alla sfera del sacro, dall’altra dotate di conoscenze e tecniche
connesse alle misurazioni ponderali[14]. Nel IV
sec. gli zigostati furono incardinati, in qualità di addetti ai pesi pubblici,
nelle maglie dell’amministrazione periferica del basso impero, ottenendo quindi
un riconoscimento legislativo delle loro competenze. In tal modo essi si
inserirono nelle ampie e articolate problematiche inerenti all’effettivo peso
delle monete d’oro, contribuendo, così, alla vita economica e finanziaria del
Popolo Romano.
Lo studio di queste istituzioni municipali vuole conoscere
l’amministrazione periferica tardo imperiale tra politica, economia e diritto,
con qualche, seppur breve, cenno all’orientamento legislativo in materia di
circolazione monetaria.
Il 23
aprile del 363, Giuliano[15] stabilì
la necessaria presenza nelle città di zygostatai,
al fine di dirimere le controversie inerenti il peso delle monete auree:
C. Th.
12.7.2: (Imp. Iulianus A. ad Mamertinum
p[raefectum] p[raetori]o) Emptio venditioque solidorum, si qui eos excidunt
aut deminuunt aut, ut proprio verbo utar cupiditatis, adrodunt, tamquam leves
eos vel debiles nonnullis repudiantibus impeditur. Ideoque placet quem sermo
Graecus appellat per singulas civitates constitui zygostaten, qui pro sua fide
atque industria neque fallat neque fallatur, ut ad eius arbitrium atque ad eius
fidem, si qua inter vendentem emptoremque in solidis exorta fuerit contentio,
dirimatur.
Si
tratta della prima citazione degli zigostati nella normativa imperiale. La
costituzione, diretta a Claudio Mamertino[16],
prefetto del pretorio di Italia-Africa-Illirico, fu pubblicata a Salona (Spalato) in Dalmazia[17]. Nella
norma Giuliano utilizzò il termine greco ζυγοστάτην, anziché far ricorso a termini latini: è evidente
l’intento dell’augusto di costituire nell’intero impero un funzionario civico,
sulla falsariga di istituzioni municipali già presenti in Oriente[18]. Nonostante l’aderenza alla tradizione orientale, in C.
Th. 12.7.2 si lasciava ampia discrezione agli ζυγοστάται in base alla fides e
alla industria, non riferendosi
quindi soltanto alla operosa attività di questi funzionari, ma anche alla loro
affidabilità, attraverso il ricorso alla fides,
concetto principe della antica esperienza giuridico-religiosa romana[19].
In
seguito all’introduzione del solidus da
parte di Costantino, «la moneta d’oro diveniva ora il cardine del sistema»[20], per ciò
la materia fu motivo di fervido interesse da parte dei legislatori successivi.
La norma di Giuliano, infatti, si collega a una serie di costituzioni emanate
nel IV sec., successive alla riforma monetaria costantiniana, mirate al
rafforzamento del solidus[21], a
testimonianza di come la politica imperiale fosse particolarmente attenta alla
materia[22].
La ratio
legislativa è dichiarata nella stessa norma giulianea: vi era la necessità di
salvaguardare le compravendite dei solidi[23]. Tali operazioni
commerciali, a fronte del prezioso oggetto di scambio, riguardavano gli strati
più ricchi della società[24] e, dunque, il loro
rilievo e la loro intensità richiesero la massima considerazione imperiale.
Difficile, comunque, affermare con certezza il collegamento di questo
provvedimento alla politica intrapresa da Giuliano tesa a risollevare i
municipi dalla crisi economica e sociale di cui erano afflitti[25].
Sebbene l’economia romana tardo antica
fosse monetizzata[26], nel IV secolo
comunemente le monete d’oro erano considerate anche come merce[27]; tale percezione è
testimoniata, in particolare, dalla costituzione giulianea che riferisce di
controversie inerenti al peso dei solidi. Talvolta lo stesso legislatore[28] non riconosceva il valore
legale della moneta aurea[29]: è questo il caso della
costituzione contenuta in C. Th. 12.7.1 [30], emanata il 19 luglio del
325, per cui quanto dovuto dai contribuenti poteva essere versato come materia
aurea o come solidi, ma le monete dovevano essere corrisposte in numero
determinato pro singulis unciis; la
norma venne trasformata nel Codice giustinianeo dove si disponeva la necessaria
pesatura di oro e solidi[31].
Un altro esempio in tal
senso si ritrova in C. Th. 12.6.13 del 367 [32], che disponeva la fusione
in lingotti d’oro puro dei solidi riscossi, prima del loro invio alle sacrae largitiones, al fine di superare le problematiche derivanti sia da
eventuali alterazioni delle monete, sia dalle possibili frodi durante le
operazioni di riscossione[33] da parte di chi riceveva
il pagamento delle imposte, di coloro che effettuavano la scorta, e anche degli
addetti alle largitiones, in quanto,
come ha sottolineato R. Delmaire, «le palatin a toujours eu fort mauvaise
réputation durant tout le Bas-Empire»[34].
Come
emerge dalla costituzione giulianea l’emptio
venditioque solidorum[35],
relativa alle operazioni di cambio monetario[36], era
ostacolata dal rifiuto di alcuni di accettare le monete in quanto leves ... vel debiles. La leggerezza o
l’inadeguatezza dei solidi poteva derivare dal loro uso, ma anche da atti diretti
a trarre parte del metallo prezioso, richiamati dallo stesso Giuliano, come il
tagliare (excidere), il limare (deminuere) e persino il rosicchiare (adrodere) le
monete[37]. La
presenza nel dettato normativo di quest’ultimo termine, relativo alla cupidigia - a detta dello
stesso imperatore -, lascia intendere un giudizio morale verso gli autori di
tali illeciti[38].
Nella redazione della norma inserita nel Teodosiano non si prevedono sanzioni
per questi crimini, per cui non è dato sapere di eventuali pene introdotte da
Giuliano contro coloro che alteravano le monete[39].
Gli atti di adulterazione e
la falsificazione nummaria furono perseguiti già in passato, come attesta la giurisprudenza
classica quando illustra i vari illeciti in materia, tra cui la rasatura dei nummi:
D.
48.10.8 (Ulp. 7 de off. proc.):
Quicumque nummos aureos partim raserint, partim tinxerint vel finxerint: si
quidem liberi sunt, ad bestias dari, si servi, summo supplicio adfici debent[40].
Nel Digesto il frammento è
inserito nel titolo De lege Cornelia de falsis et de senatus consulto
Liboniano, e sembra attribuire tale disciplina
alla lex Cornelia testamentaria nummaria, emanata intorno all’81 a.C.[41]. In
realtà, B. Santalucia, richiamando i risultati della Palingenesia di Lenel[42], ha
evidenziato come nel settimo libro de
officio proconsulis Ulpiano trattava della lex Iulia peculatus, mentre nel libro successivo analizzava la lex Cornelia testamentaria nummaria[43]. Così,
nonostante alcuni autori affermino che la repressione della rasatura delle
monete fosse già prevista dalla legge sillana[44], B.
Santalucia ha dimostrato che il radere era
un crimine perseguito dalla legge sul peculato, qualora fosse compiuto da
operatori della zecca su monete d’oro[45].
Un’ulteriore
testimonianza giurisprudenziale ha collegato l’azione del radere sempre alla norma di Silla:
Paul. Sent.
5.25.1: Lege Cornelia testamentaria [tenetur:] ... quive nummos aureos
argenteos adulteraverit laverit conflaverit raserit corruperit vitiaverit,
vultuve principum signatam monetam praeter adulterinam reprobaverit:
honestiores quidem in insulam deportantur, humiliores autem aut in metallum
dantur aut in crucem tolluntur: servi autem post admissum manumissi capite
puniuntur,
ma, anche in questo caso si
tratterebbe di una previsione dovuta all’ampliamento successivo della lex Cornelia testamentaria nummaria da
parte di interventi imperiali in età tardo antica[46].
Un
ventennio prima della emanazione della costituzione giulianea si ha notizia di
una norma che reprimeva l’azione di rodere i bordi dei solidi (adrodere, mentre nella Interpretatio si utilizza il verbo circumcidere), e anche di sostituire una
solido con uno falso, per poi venderlo. La costituzione, nonostante riporti
nell’inscriptio il nome di Costantino
e nella subscriptio la data del 26
luglio 317, è attribuita dalla maggioranza della letteratura a Costanzo II[47]
e datata 18 febbraio 343 [48],
poiché il suo destinatario Leontius,
p.p. Orientis, resse la sua carica
negli anni 340-344 [49]:
C. Th.
9.22.1: (Imp. Constantinus A. Leontio p[raefecto]
p[raetori]o) Omnes solidi, in quibus nostri vultus ac veneratio una est,
uno pretio aestimandi sunt atque vendendi, quamquam diversa formae mensura sit.
Nec enim qui maiore habitu faciei
extenditur, maioris est pretii aut qui angustiore expressione concluditur,
minoris valere credendus est, cum pondus idem existat. Quod
si quis aliter fecerit, aut capite puniri debet aut flammis tradi vel alia
poena mortifera. Quod ille etiam patietur, qui mensuram circuli exterioris
adroserit, ut ponderis minuat quantitatem, vel figuratum solidum adultera
imitatione in vendendo subiecerit.
Interpretatio: Quicumque solidum circumciderit,
adulterum subposuerit aut falsam monetam fecerit, capite punietur[50].
Qui si
disponeva che i solidi dovessero essere oggetto di stima e di compravendita a
un unico prezzo, indipendentemente dall’immagine dell’imperatore rappresentata
nella moneta, in quanto, si spiega nella norma, i solidi avevano il medesimo
peso[51]. La ratio legislativa era quella di evitare
possibili controversie, sotto minaccia di pena capitale, affermando d’autorità
la qualità delle monete indipendentemente dalla grandezza dell’immagine
coniata.
Tuttavia,
nonostante le affermazioni di Costanzo II, la costituzione di Giuliano, mostra
come in realtà i solidi non pesavano allo stesso modo, e questa situazione era
talmente diffusa da richiedere un intervento imperiale per limitare le
contestazioni nella emptio venditioque
solidorum[52].
Tra le
operazione di adulterazione delle monete implicanti una diminuzione ponderale
del metallo prezioso, in Ulpiano (e nelle Pauli
Sententiae) si enuncia soltanto l’illecito del radere, mentre questa azione non è prevista da C. Th. 12.7.2, ciò
quindi esclude ogni possibile riferimento nella costituzione giulianea alla
norma sul peculato. Si può dunque ipotizzare da un lato che Giuliano abbia
ampliato le ipotesi di reato di C. Th. 9.22.1 [53], dove
si prevedeva, come atto teso all’illecita estrazione d’oro dai solidi, soltanto
l’azione di adrodere, dall’altro lato
che l’apparato sanzionatorio di C. Th. 12.7.2 sia stato eliminato nel
Teodosiano (e così nel Giustinianeo) al fine di uniformare l’intera materia
delle alterazioni monetarie.
Rispetto
alle problematiche relative alla qualità dei solidi oggetto di compravendita,
si deve ricordare una costituzione di Valentiniano e Valente, inserita nell’XI
libro del Codice Giustinianeo sotto il titolo De veteris numismatis potestate:
C. 11.11.1:
(Imppp. Valentinianus et Valens AA.
Germaniano pp.) Solidos veterum principum veneratione formatos
ita tradi ac suscipi ab ementibus et distrahentibus iubemus, ut nihil omnino
refragationis oriatur, modo ut debiti ponderis sint et speciei probae: scituris
universis, qui aliter fecerint, haud leviter in se vindicandum.
Secondo
il dettato normativo, i solidi, in cui erano impresse le effigi degli augusti
precedenti, se di debito peso e d’aspetto di buona qualità (species proba)[54],
dovevano essere alienati senza che fosse sollevata alcuna controversia: le
azioni illecite compiute sulle monete d’oro costituivano una questione ancora
aperta e preoccupante per stabili e sicuri scambi monetari. Appare evidente
che, sebbene nel testo della costituzione non vi sia alcun richiamo, qualora
fosse sorta una controversia relativamente a solidi di peso inferiore o di
aspetto non conforme, si sarebbe ricorso all’operato degli zygostatai.
Il 18
gennaio del 445, la Nov. Val. 16, De pretio solidi et ne quis
solidum integrum recuset, ritornò
ulteriormente sull’argomento[55]; anche in questo caso il motivo
dell’intervento imperiale risedette nella continua ricusazione da parte degli
acquirenti dei solidi con l’effige degli augusti precedenti. Si punì con la pena capitale il
rifiuto, o una stima inferiore rispetto a quella nominale, dei solidi d’oro
integri nel loro peso. Si stabilì, quindi, sia uno standard di prezzo ufficiale
di vendita del solido (fissando il cambio a 7.000-7200 nummi)[56], sia lo standard di peso: è
chiaro quindi come nel V secolo «le monete dovevano continuare ad essere
pesate»[57].
Alla luce
delle costituzioni imperiali fin qui menzionate è emersa per la tarda antichità
la diffusa sussistenza, comune a legislatore e cittadini, di timori verso
possibili alterazioni del peso e della qualità delle monete, perciò si impose
d’imperio l’accettazione dei solidi, certamente non fior di conio, poiché di
imperatori del passato.
La
cura meticolosa prestata per esaminare le monete si ricorda specialmente in due testimonianze del tardo
antico. La prima
fonte è una epistola del 404, inviata al fratello da Sinesio di Cirene[58], che
descrive la frode commessa da Eutalio di
Laodicea[59] all’atto di corrispondere una ammenda di 15
libbre d’oro comminatagli da
Flavio Rufino[60], prefetto pretorio d’Oriente
negli anni 392-395. Così, Eutalio, chiamato sarcasticamente Sisifo[61] da
Sinesio, preparò due borse, mettendo in una delle monete di bronzo di infimo
valore, e nell’altra dell’oro. Quella dal contenuto prezioso, prima di essere
sostituita con l’altra sacca, fu mostrata ai soldati inviati da Rufino per
esigere la multa: l’oro fu contato, pesato, e nella borsa furono apposti anche
i sigilli pubblici.
La seconda fonte è un’opera teatrale intitolata Querolus sive Aulularia, dove le parole
del servo Pantomalus confermano la
quasi maniacale verifica a cui l’oro era normalmente sottoposto:
Ipsum
[i.e. Querulus] etiam pauxillum
argenti levibus tunsum tympanis limari commutarique semper credit, quia factum
est semel. Quantula est autem discretio? In argento
certe unus est color: Nam de solidis mutandis mille sunt praestigia. “Muta
remuta” facimus, et hoc mutari non potest. Has saltem distingui non oportet tam gemellas formulas. Quid tam simile quam
solidus solido est? Etiam hic distantia quaeritur in auro: voltus, aetas et color,
nobilitas, litteratura, patria, gravitas usque ad scriptulos quaeritur in auro
plus quam in homine. Itaque ubi aurum est, totum est (ed. R. Peiper, 1875, 38 s.).
Qui emerge come la moneta aurea, rispetto a quello
argentea, era più facilmente adulterabile attraverso numerosi trucchi, per
questo i pezzi d’oro erano verificati minuziosamente: si tratta della
rappresentazione di una onnipresente preoccupazione per le alterazioni nummarie
del tardo antico[62].
Simili
timori si registrano nelle fonti anche per l’età precedente. Secondo Svetonio,
durante i preparativi della spedizione militare in Gallia, Nerone impose
tributi straordinari e il versamento agli inquilini dell’affitto annuale al
fisco: le monete dovevano essere di conio recente (nummus asper), l’argento epurato a fuoco (argentum pustulatus), mentre l’oro doveva essere purissimo (aurum ad obrussam, cioè oro di coppella)[63]. Si
devono inoltre ricordare le Dissertazioni
di Epitetto, pubblicate da L. Flavio Arriano nel II sec. d.C., dove si
accenna alla minuziosa e scrupolosa verifica delle monete attraverso l’utilizzo
di tutti i sensi[64].
I padri della Chiesa erano a conoscenza dell’intera
problematica; in particolare Tertulliano ricorda il controllo effettuato dagli
acquirenti durante le compravendite delle monete, al fine di accertare
eventuali alterazioni della lega metallica, riduzioni del peso, o
falsificazioni. L’esame in questione doveva essere minuzioso poiché l’apologeta
cristiano attribuisce le stesse modalità a Dio nella verifica della sincerità
della penitenza[65].
Un’altra
testimonianza in tal senso è offerta da Girolamo in relazione alla attività dei
banchieri (trapezitae[66]),
accennando a varie metodologie per testare le monete:
comm. in ep. ad Ephes. 3.5.10: Omnia facienda cum consilio, ut cauti atque
solliciti, ea tantum quae scimus Deo placere, faciamus: in morem prudentissimi trapezitae, qui sculptum numisma non solum
oculo, sed et pondere, et tinnitu probat (PL 26, col. 524)[67].
L’adulterazione monetaria, con asportazione del
metallo prezioso, è richiamata da Giovanni Crisostomo, nel suo Commento alla Lettera ai Galati, dove il
teologo si contrapponeva a Marcione di Sinope e i suoi seguaci, i
quali cercavano di alterare la dottrina
evangelica nel riconoscere soltanto il Vangelo di Luca. Questa testimonianza conferma come il tema fosse ampiamente noto,
in quanto è citato da Crisostomo come metafora per esplicitare meglio elevati
concetti teologici[68].
Dall’analisi delle fonti tardo
antiche emerge dunque la necessità di verificare il peso dei solidi, viste le
frequenti alterazioni ponderali, dovute da atti illeciti o dal normale
deterioramento dato dall’uso[69]. Tale
esigenza era collegata alla volontà imperiale di accomodare le controversie in
merito e agevolare l’emptio venditioque dei
solidi; a tale proposito si deve ricordare come in letteratura si affermi
l’istituzione da parte di Giuliano del peso ufficiale standard per unità d’oro
(exagium solidi), in quanto i
più antichi reperti di questi exagia risalgono
proprio all’età giulianea[70]. L’exagium solidi, unitamente
alla costituzione degli zigostati in ogni città dell’impero, avrebbe in maggior
misura regolamentato la materia e agevolato le transazioni dei solidi.
La costituzione giulianea, con alcune varianti, fu inserita nel Codex repetitae praelectionis, sotto il
medesimo titolo del Teodosiano De ponderatoribus et auri inlatione:
C.
10.73.2: (Imp. Iulianus A. ad Mamertinum
p.p.) Quotiens de
qualitate solidorum orta fuerit dubitatio, placet quem sermo Graecus appellat
per singulas civitates constitutum zygostaten, qui pro sua fide atque industria
neque fallat neque fallatur, contentionem dirimere.
La costituzione fu accorciata dai compilatori: nessun
richiamo alle emptiones-venditiones
solidorum né alle azioni illecite alla base del rifiuto delle monete d’oro.
Si ebbe quindi una estensione degli effetti della norma, in quanto la fides atque industria dello zigostate fu disposta per dirimere le controversie
ogni qualvolta sorgesse un dubbio sulla qualità dei solidi.
Le
attività dello zigostate rientravano nelle funzioni amministrative del praefectus praetorio, come appare nelle
disposizioni di C. Th. 14.26.1 del 28 gennaio 412 [71],
relative alla stima, di peso e di qualità, della fornitura di cereali
convogliata nella città di Alessandria, prima di essere spedita a
Costantinopoli[72]. Attraverso il provvedimento
gli augusti confermarono le precedenti disposizioni del p.p. d’Oriente, Antemio[73], con
cui si normava l’operato del collettore del grano (crithologia) e alla sovraintendenza dei pesi (zygostasium), al fine di verificare qualità e peso delle derrate.
Dalla norma si può desumere, inoltre, come gli zigostati, almeno quelli
alessandrini, non verificavano solo la misura ponderale delle monete, ma
dovevano sovraintendere ai pesi e alle misure standard ufficiali[74].
La conferma della competenza prefettizia in materia di zigostati
si trova in un ulteriore intervento normativo, di natura secondaria: l’editto
del prefetto del pretorio di Oriente, Hierius,
la cui epitome è contenuta nel Cod.
Bodleianus Roe 18:
Τύπος περὶ
ζυγοστατῶν ἱερίου.
Ὥστε ψήφῳ τῶν ἐπισκόπων καὶ οἰκητόρων
καὶ κτητόρων προχειρίζεσθαι τὸν
ζυγοστάτην, καὶ ὅρκον
ἐν ὑπομνήμασιν
αὐτὸν παρέχειν, ὡς οὐδεμίαν αὐτὸς οὐδὲ ὁ τῆς αὐτῆς κοινωνῶν αυτῷ
φροντίδος ῥᾳδιουργίαν περὶ τὰ στάθμια ἐργάσονται[75].
Un compendio dell’editto si rinviene, in forma ancora più
sintetica, nell’Index Marcianus:
περὶ τῶν
ζυγοστατῶν
προβολῆς, καὶ ὅτι οἱ τῶν πόλεων
ζυγοστάται ψήφῳ τῶν ἐν αὐταῖς ἐπισκόπων
καὶ κτητόρων καὶ οἰκητόρων
προχειρίζονται,
καὶ ἀμφοτέρων κεφαλαίων[76].
Non si hanno certezze intorno alla precisa datazione e al luogo
di pubblicazione della norma, ma questa deve collocarsi durante la prefettura di Hierius[77], sotto l’impero di
Anastasio, attestata con certezza da C.
6.21.16 del 496 [78]. I
pochi dati posseduti, inoltre, lasciano irrisolte altre questioni intorno
all’esistenza sia di una constitutio
principum alla base del provvedimento prefettizio, o di un suo
riconoscimento imperiale dopo l’emanazione, sia di differenti disposizioni
nelle altre macroregioni dell’impero.
In questo editto il prefetto stabiliva che vescovo, abitanti e possessores[79]
avrebbero composto il comitato elettorale per la nomina del sovrintendente ai
pesi legali. La costituzione di Giuliano non faceva riferimento alcuno alle
modalità di nomina dello zigostate, per cui si deve supporre e silentio che ai singoli prefetti fosse
lasciato il compito di disporre in merito, probabilmente con particolare
riguardo alle realtà regionali, anche se non si deve escludere la possibilità
di una scelta diretta, o la sua approvazione, da parte della autorità centrale[80].
Hierius
stabilì una procedura collegata perfettamente alla politica
imperiale intrapresa nel tardo antico, tesa ad attribuire ai ceti cittadini più
elevati, e a membri del clero, la scelta dei funzionari municipali. In questo
periodo, infatti, furono proprio questi nuovi comitati elettorali a subentrare
nei compiti più importanti dei consigli municipali[81], la cui
composizione ormai non sempre contemplava notabili cittadini[82].
La politica imperiale di coinvolgere nella amministrazione della
città i cittadini più elevati fu attuata specialmente da Anastasio[83], il
quale, ad esempio, stabilì che, nel caso sorgesse il bisogno di un curator frumentarius, questo funzionario
civico doveva essere scelto dal vescovo e dai principali possessores[84].
Sempre sotto il medesimo augusto, si
conosce un editto del prefetto del pretorio Illus[85], che stabiliva il comitato
preposto per la nomina
degli ἀγορανόμοι[86], di cui sono rimaste due epitomi
conservate nel Cod.
Bodleianus Roe 18 [87] e
nell’Indice Marciano[88]. L’editto prefettizio assimilava manifestamente tale
scelta a quella dei defensores civitatum:
vescovo, chierici, possessores,
curiali e honorati[89] dovevano nominare gli agoranomi attraverso un decreto.
La nomina dei defensores civitatum
fu modificata nel tempo attraverso diversi atti legislativi[90]. Nel 387, con C. Th. 1.29.6 la scelta del funzionario
fu attribuita alle civitates
sotto il controllo del prefetto del pretorio. Onorio e Teodosio nel 409
stabilirono che la nomina dei defensores, sottoposta alla potestas del p.p., doveva ricadere unicamente su cristiani osservanti
la fede ortodossa e avvenire mediante decretum dei reverendissimi
vescovi, insieme ad altre personalità: chierici, honorati, possessores
e curiali[91]. La composizione del corpo elettorale fu
modificata da Nov. Maior. 3 nel 458, che prevedeva come membri municipes,
honorati, plebs e la conferma imperiale. Nel 505,
Anastasio stabilì che vescovo, chierici[92], honorati,
possessori e curiali (ovvero, secondo De Martino, la «parte
aristocratica della città»[93]), nominassero, attraverso decretum, il defensor
civitatis[94]. L’editto di Illus,
dunque, dimostra come la procedura al
tempo prevista per la scelta del defensor
civitatis dovesse servire da modello per la nomina di altri funzionari
locali; tale tendenza legislativa venne confermata dalla norma disposta
da Hierius.
L’edictus di Hierius
aderì, inoltre, anche a un altro orientamento legislativo dell’età tardo imperiale disponendo la presenza del vescovo nel
comitato elettorale degli ζυγοστάται. Tale partecipazione si
accorda con il riconoscimento dei poteri civili a questa autorità ecclesiastica
nel tardo antico[95], perseguito particolarmente
da Anastasio, il quale, oltre alle citate costituzioni in materia di nomina del
defensor
civitatis e del curator frumentarius, coinvolse il presule nella
vita amministrativa cittadina attraverso C.
1.4.18 [96], in materia di contribuzioni annonarie ai militari[97].
L’editto di Hierius disponeva per lo zigostate un giuramento
per l’operato futuro ἐν ὑπομνήμασιν, formula presente anche nell’editto 9 di
Giustiniano[98],
dedicato a de argentariorum contractibus[99]. La
locuzione ἐν ὑπομνήμασιν è tradotta dallo Zachariae
attraverso l’espressione latina “apud
acta”[100] che indica l’archivio di autorità amministrative, munite
di ius actorum conficiendorum[101] per
la registrazione e la pubblicazione di innumerevoli atti[102]; purtroppo,
l’ufficio presso
cui doveva giurare lo ζυγοστάτης non viene specificato nel testo dell’editto in esame. Nel suo provvedimento Hierius prescrisse, dunque, una procedura di registrazione
che, nata in ambito pubblicistico, era ormai invalsa in tutte le sfere
del diritto[103], e il cui valore giuridico è stato
particolarmente evidenziato in letteratura, in quanto assicurava pubblicità,
certezza e controllabilità e attribuiva all’atto valore di publica fides[104].
Il
giuramento prescritto nell’editto valeva come accettazione della nomina e anche
assunzione della responsabilità da parte dello zigostate per la sua condotta e
quella dei suoi koinonoi, operato che
si prometteva essere esente da negligenza. In certo qual modo quanto giurato
dallo zigostate rimandava alla frase presente nella costituzione di Giuliano,
quando evidenziava la perizia del funzionario e si disponeva che esso neque fallat neque fallatur.
La
presenza di “soci” conferma l’esistenza di una struttura quanto meno
articolata, e questo depone inoltre per la circostanza che si tratti di un caso
di estensione analogica a quelle fattispecie dove il capo dell’officium è responsabile per sé, e per i
suoi sottoposti. Casi di responsabilità oggettiva sono ampiamente attestati
dalle fonti giuridiche, nel caso di violazione delle norme da parte di
funzionari, o giudici, interni all’ufficio[105]. In
particolare, con la formula del iusiurandum
quod praestatur ab his qui administrationes accipiunt (Ὅρκος διδόμενος παρὰ τῶν τὰς ἀρχὰς λαμβανόντων), prescritto dalla Nov. 8 [106], chi
giurava prometteva non solo di compiere una onesta amministrazione, ma si
impegnava anche per l’operato del proprio assistente e dei sottoposti[107].
Nell’editto
di Hierius, la prescrizione del giuramento mostra così lo zigostate perfettamente inquadrato in
seno all’amministrazione locale, sulla base di pratiche ormai affermate, come attesta C. 1.4.19 = C. 1.55.11 (... praesente quoque religiosissimo fidei orthodoxae
antistite, per depositiones cum sacramenti religione celebrandas patefecerint), il giuramento,
infatti, era presente in ogni aspetto della esperienza giuridica romana nel
tardo antico[108].
Un
ulteriore atto normativo relativo agli ζυγοστάται è l’editto 11 del 559,
diretto da Giustiniano a Petrus (Barsymes)[109]. Il
destinatario è indicato nella intestazione come pp. d’Oriente e comes sacrarum largitionum, cariche
ricoperte entrambe per la seconda volta, ed ex
console. Il provvedimento, sebbene «di
portata limitata e di carattere tipicamente occasionale»[110], testimonia come, nel VI sec., il cambio delle monete d’oro e il loro peso
richiamavano ancora l’interesse imperiale.
Attraverso questo editto Giustiniano
intendeva reprimere gli illeciti in materia monetaria compiuti da zygostatai[111] e da chrysonai
nella città di Alessandria. La
costituzione, purtroppo, presenta numerosi problemi di interpretazione, e, sotto
vari profili, ha dato vita a letture diametralmente differenti. Una prima
questione riguarda proprio la funzione svolta dai chrysonai (χρυσῶνες): secondo alcuni autori il termine, tradotto
in latino da R. Schoell e G. Kroll con monetarii[112], non avrebbe
indicato gli addetti alla zecca di Alessandria, ma gli incaricati alla riscossione delle imposte, banchieri
provinciali[113], oppure pubblici funzionari[114].
Nella praefatio
del provvedimento in esame, si afferma la volontà imperiale di reprimere la
pratica dell’obryza, posta in essere
nella sola città di Alessandria, al fine di tutelare la res publica e le transazioni tra privati (συναλλάγμασι) che ne erano lese[115].
Il termine ὄβρυζα
(lat. obrussa), riferito
esclusivamente alla materia aurea, indicava
il processo di coppellazione dell’oro, al fine di purificarlo, e anche l’esame
per testarne la purezza[116]. Nonostante Giustiniano sostenesse che quella dell’obryza fosse una prassi recente[117], il vocabolo è presente nelle fonti letterarie classiche[118] e in
alcune costituzioni imperiali del tardo antico[119].
In letteratura la prassi sanzionata dall’imperatore è
stata intesa, sostanzialmente, come il sovrapprezzo richiesto ad Alessandria al
fine di recuperare quanto perso dal procedimento di epurazione[120], una sovrattassa[121],
oppure come una sottostima dell’oro durante le operazioni di cambio dei solidi
con la moneta enea alessandrina[122].
Come si esplicita nel provvedimento, la prassi
dell’obryza comportava l’illecita
richiesta da parte di zygostatai e di chrysonai di un sovraprezzo di 9
aurei per ogni libbra di solidi. L’editto,
emanato probabilmente in risposta alle lamentele inviate all’imperatore[123], vietava di esigere alcunché come obryza, e prescriveva per l’Egitto che la moneta aurea circolasse
come a Costantinopoli, imponendo a zygostatai e chrysonai il medesimo metodo di contrassegnare l’oro per le
transazioni utilizzato nella capitale[124].
In due occasioni dell’editto (nel primo caput[125] e nel secondo[126]), Giustiniano citava l’apolyton charagma, il cui nome sarebbe stato attribuito dagli
Alessandrini, ma non specificando né la sua accezione né il suo collegamento
con la pratica dell’obryza. Il significato di tale espressione ha dato
origine a un’ulteriore discussione tra gli studiosi contemporanei, dove ἀπόλυτον χάραγμα è stata intesa come il riferimento a una moneta alessandrina[127], oppure a un modo di circolazione monetaria[128]. Inoltre, la disposizione giustinianea in cui
è presente l’espressione è stata interpretata in letteratura in modo diametralmente
opposto: qui vi sarebbe l’ordine, rivolto a zygostatai
e chrysonai, di conformarsi[129], o
discostarsi[130] dall’apolyton
charagma. Sebbene Giustiniano individuasse negli zygostatai
e chrysonai il vertice dell’illecito, nel caput
3 dell’editto emerge il suo timore per un’ampia diffusione della prassi
esecrata nei vari livelli dell’amministrazione pubblica[131].
Giustiniano attribuiva al praefectus augustalis e ai suoi officia
la responsabilità per l’osservanza della norma (Ed. 11.1.1), inoltre,
ingiungeva al medesimo prefetto di controllare zygostatai e chrysonai, con la previsione di dure pene per i
contravventori (Ed. 11.2). Secondo l’imperatore, tale sorveglianza sui
funzionari alessandrini doveva essere compiuta affinché essi fossero utili
nelle συναλλάγμασι, specificando che, se si fosse reso necessario, i sigilli dovevano essere impressi in base al reale
peso della moneta coniata:
appare chiaro, quindi, che ad Alessandria gli zygostatai non indicavano l’effettivo peso dei solidi sottoposti al
loro esame. Il provvedimento, inoltre, prescriveva, ai soli chrysonai[132], a chi
versare l’oro raccolto dalla riscossione (praefectus augustalis, alabarches, praepositus thesaurorum).
Ed. 11 si conclude con la consueta formula di
pubblicazione rivolta al prefetto del pretorio[133], al
fine dell’osservanza della norma, eppure, R. Delmaire rileva come, dopo la data
di pubblicazione dell’editto, vi fossero ancora delle monete coniate ad
Alessandria non purificate completamente: «On voit que la mesure d’interdiction du supplément
pour obryza, n’a pas survécu à
Justinien et qu’on est revenu ensuite à la perception de ce surplus à ce titre,
soit un supplément pour obryza, soit
par emploi d’un poids plus lourd intégrant ce supplément»[134].
In sintesi, l’editto, nonostante i gravi
problemi di interpretazione, testimonia, anche per l’età giustinianea, un
«contesto di circolazione a peso del metallo prezioso»[135] che
richiedeva una verifica ponderale della moneta nelle transazioni tra i privati,
e nella esazione fiscale: il ruolo degli zygostatai
era, così, ancora imprescindibile.
L’analisi
effettuata ha mostrato una legislazione mirata a definire i metodi di nomina e
di assunzione della carica di ζυγοστάτην, nulla
invece risulta circa l’organizzazione interna al loro officium.
In
Oriente, l’attività degli zygostatai assunse ulteriori caratteri
rispetto al dettato della costituzione giulianea che elevava loro a funzionari
municipali[136]. Fin da subito, come ha evidenziato F. Carlà, la funzione concernente
la verifica ponderale delle monete comportò che questi funzionari funsero «da
intermediari tra il contribuente e l’esattore»[137]. Tale
circostanza risulta da alcuni papiri del IV secolo dove si attesta che le somme
dovute a titolo di imposta venivano trasmesse direttamente allo zigostate, ma,
sebbene non sia specificato, il versamento era effettuato affinché si
procedesse alla verifica del peso[138]. Come
testimoniano numerose fonti papirologiche, a partire dal VI sec., gli zigostati
esercitarono l’attività di cassieri e di tesorieri[139], e
svolsero operazioni di tipo bancario e di cambia valute[140].
Durante
l’impero bizantino[141], gli zygostatai svolsero la loro attività di
funzionari municipali fino al IX secolo, quando furono inseriti
nell’amministrazione finanziaria centrale del Sakellion[142].
In
Occidente, invece, il silenzio delle fonti porta quasi alla certezza che la
costituzione giulianea non fu ottemperata relativamente alla costituzione in
ogni città di un addetto al peso delle monete d’oro. Nelle testimonianze
occidentali, infatti, non si rinviene il termine greco zygostates; inoltre, il corrispettivo latino, ponderator, nel suo significato «strictius, sc. examinatur pondus»[143], è
utilizzato soltanto nel titolo De ponderatoribus et auri inlatione del
Codice Teodosiano e del Giustinianeo[144], e in
poche fonti medievali[145]. In
questa epoca la figura del pesatore di monete è presente, ad esempio, a Firenze
dove, fin dalla fine del XIII secolo, era incaricato alla verifica ponderale e qualitativa
dei fiorini d’oro[146]. Il 6
dicembre 1324 l’ufficio venne riformato e, Pro comuni et publica utilitate et pro
conservatione honoris et bonae famae Civitatis Florentiae, si stabilirono
le modalità per l’elezione di unus bonus expertus
et legalis vir qui sit officialis pro ipso Communi ad saggiandum seu
ponderandum et sigilandum florenos auri, a cui accostarono octo bonos et legales saggiatores seu
ponderatores Florenorum auri[147]. La norma venne inserita, con alcune
varianti che non ne alteravano la sostanza, negli Statuta Populis et Communis Florentiae del 1415 [148], dove
si disponeva per il ponderator Florenorum
auri un giuramento (Et quod dictus
offitialis iuret, et promittat ad Sancta
Dei Evangelia sacris scripturis corporaliter tactis iam dictum offitium bene,
et legaliter exercere, bona fide, et sine fraude[149]) e si sanciva inoltre che quod nulla persona possit, vel debeat vendere, vel emere florenos auri
laeves, vel malitiatos, sive maculatos, nisi incisos ad poenam librarum centum
f. p. facienti contra auferendam, et qualibet vice[150].
La recherche analyse la législation en matière de ζυγοστάται, officiers
municipaux responsables de peser les pièces d’or: C. Th. 12.7.2 (= C. 10.73.2)
du 363, constitution avec laquelle l’empereur Julien a ordonné la mise en
place d’un zygostates dans chaque ville, afin de résoudre les différends sur
le poids des pièces dans les emptiones-venditiones solidorum; Cod. Bodleianus
Roe 18 nr. 7 et Index Marcianus nr.
3, l’édit de Hierius, préfet du prétoire d’Orient, relatif à la nomination du zygostates,
publié sous l’empire d’Anastase; l’édit 11 de Justinien du 559, avec lequel on
a condamné les activités illicites effectuées par
des zygostatai et chrysonai à Alexandrie.
[Per la pubblicazione degli
articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa,
il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato
positivamente da due referees, che
hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] In
generale, sugli zygostatai rimando
specialmente a R. Bogaert, L’essai des monnaies dans l’antiquité, in Revue
belge de numismatique et de sigillographie 122, 1976, 28 ss.; A. Kazhdan, v. zygostates, in The
Oxford Dictionary of Byzantium, 3, New York-Oxford 1991, 2232; J.-M. Carrié, Les métiers de la banque entre public et privé (IVe-VIIe siècle), in Atti dell’Accademia Romanistica
Costantiniana, XII, Napoli 1998, 89 ss.; M. De Groote, Zygostatai
in Egypt from 363 A.D. Onwards. A Papyrological Prosopography, in Bulletin
of the American Society of Papyrologists 39, 2002, 27 ss.; Id., Öffentliche Geldwieger in
griechischen epigraphischen Quellen, in Mnemosyne 57, 2004, 88 ss.; F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e sociali, Torino
2009, 196 ss. Vedi anche, ex multis,
alcuni studi sulle fonti papirologiche ed epigrafiche testimonianti gli
zigostati: W.M. Calder, Colonia
Caesareia Antiocheia, in The Journal Roman Studies 2, 1912, 87
s.; L. Robert, Inscriptions
grecques de Sidè en Pamphylie (époque impériale et Bas-Empire), in Revue
de philologie, de littérature et d’histoire anciennes 84, 1958, 36 ss.; J.R. Rea, Receipt for Pay Advanced
by an Actuarius, in Zeitschrift für
Papyrologie und Epigraphik 114, 1996, 162 ss.; N. Gonis, A Symmachos on Mission and His Paymaster: P.Herm. 80 Enlarged,
in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 132, 2000, 181 ss.; Id., A
Symmachos on a Mission: P. Herm. 80
Completed, in Zeitschrift für
Papyrologie und Epigraphik 171, 2009, 209 s.
[2] L’editio princeps di P.Oxy. 1082 è curata da A.S. Hunt, 1082. Cercidas Meliambi, in The Oxyrhynchus Papyri,
VIII, London 1911, 20 ss. Vedi anche, ad es.: P.
Maas, Cercidae cynici meliambi
nuper inventi κωλομετρίᾳ instructi, in Berliner philologische Wochenschrift 31, 1911, coll. 1011 ss.; A.D. Knox, The Kerkidas Papyrus, in The Classical Review 38, 1924, 101 ss.; 39, 1925, 50 ss.; J.A. Martín
García, Los meliambos cercideos
(P.Oxy. 1082). Intento de reconstrucción, in Minerva 4, 1990, 105 ss.
[3] fragm. 1.22: ὀρθὸς ... ζυγοστάτας ... (Anthologia Lyrica Graeca, ed. E. Diehl, fasc. 3, 3ª ed.,
Leipzig 1954, 143. Vedi ancora, Collectanea
Alexandrina. Reliquiae minores Poetarum Graecorum Aetatis Ptolemaicae 323-146 A.C.
Epicorum, Elegiacorum, Lyricorum, Ethicorum, ed. I.U. Powell, Oxford 1925 [rist. Chicago 1981], 204; Cercidas. Testimonia et Fragmenta, ed. L. Lomiento, Roma 1993, 92).
[4] Il frammento è tradotto da J.A.
Martín García, Anotaciones al meliambo 1 Diehl de Cércidas. Problemática y datación, in Analecta Malacitana 4, 1981, 345, come «un recto pesador» (già in tal
senso vedi, ad es., R. Bogaert, L’essai des monnaies dans
l’antiquité, cit., 29: «un peseur juste»), mentre M.
De Groote, Zygostatai in Egypt from 363 A.D. Onwards. A Papyrological
Prosopography, cit., 28, attribuisce l’accezione più specifica di
«righteous judge» (vedi anche Id., Öffentliche
Geldwieger in griechischen epigraphischen Quellen, cit., 94 nt. 4: «gerechter Richter»).
[6] Secondo A. Trachsel, La fin de
l’Idylle 5 de Théocrite: une question
de balance?, in Mnemosyne 59, 2006, 357, nel frammento
in questione, Cercida «se réfère à l’image de la balance homérique pour
parler de la justice divine [...] Cercidas associe une
connotation positive au plateau de la balance qui s’abaisse puisqu’il souhaite
qu’une telle situation se produise pour lui-même. Il s’oppose ainsi à l’image
homérique qu’il cite pourtant. La différence s’explique notamment par le fait qu’il
ne s’agit pas d’une pesée des âmes, mais de l’établissement de la justice».
[7] L. Robert, Monnaies antiques en Troade,
Genève-Paris 1966, 24 s.: Ἀγαθῆι τύχηι. Ὁ πανηγυρικὸς ἀγορανόμος Μηνόφιλος Μηνοφίλου τῆ πατρίδι ἐκ τῶν ἰδίων ἀνέθηκε τὸν ζυγοστάτην Ἑρμῆν.
[8] Così L. Robert,
Monnaies antiques en Troade, cit.,
25: «Hermès
est ici le dieu du commerce et de l’agora qui préside aux justes pesées, à
l’équilibre des balances [...]. D’après notre inscription, le dieu était lui-même
‘zygostate’. Son image a dû être placée près du ζυγοστάσιον».
[9] P.Stras. I.31 l. 15: ... Καλπουρνίου Θέωνος γενομένου ζυγο(στάτου) νομοῦ Λητοπολ(ίτου) ... Su tale testimonianza vedi A.C. Johnson, Roman Egypt to the Reign of
Diocletian [An Economic Survey of Ancient Rome 2, a cura di T.
Frank], s.l. 1936 [rist. New York 1975], nr. 166, 274 s.
[10] Artemid., onir.
2.37: Ἑρμῆς ἀγαθὸς τοῖς ἐπὶ λόγον ὁρμωμένοις καὶ ἀθληταῖς καὶ παιδοτρίβαις καὶ πᾶσι τοῖς ἐμπορικὸν τὸν βίον ἔχουσι καὶ ζυγοστάταις διὰ τὸ πάντας τοὺς τοιούτους ἐπίκουρον <τὸν> θεὸν νομίζειν.
[11] Artemid., onir.
2.37: Ἀφροδίτη ἡ μὲν πάνδημος ἀγύρταις καὶ καπήλοις καὶ ζυγοστάταις καὶ θυμελικοῖς καὶ †ἰατροῖς† καὶ σκηνικοῖς πᾶσι καὶ ἑταίραις ἀγαθή; ma anche qui,
come evidenzia L. Robert, Inscriptions
grecques de Sidè en Pamphylie (époque impériale et Bas-Empire), cit., 37
nt. 6, «le mot est attesté, mais pas la fonction».
[12] Gli zygostatai sono
ricordati, sempre nel II sec., anche dal filosofo Sesto Empirico, adv. math. 7.36: ὃν γὰρ τρόπον ἐν τῇ τῶν βαρέων καὶ κούφων ἐξετάσει τρία ἐστὶ κριτήρια, ὅ τε ζυγοστάτης καὶ ὁ ζυγὸς καὶ ἡ τοῦ ζυγοῦ θέσις, τούτων δὲ ὁ μὲν ζυγοστάτης κριτήριον ἦν τὸ ὑφ' οὗ, ὁ δὲ ζυγὸς τὸ δι̕ οὗ, ἡ δὲ θέσις τοῦ ζυγοῦ ὡς σχέσις.
[13] J.H. Oliver, The Sacred Gerusia [American School of Classical Studies at Athens. The American Excavations in the Athenian
Agora. Hesperia, supplements 6], 1941, 55 ss., nr. 3, ll. 200 s.: ...
[δι]ὰ τοῦ ζυγ[οστάτου Ἑρμίου,] ἱεροῦ τῆς [Ἀρτέμιδος] ..., ll. 481 s.: ... διὰ ζυγοστάτου Ἑρμίου, ἱεροῦ τῆς Ἀρτέμιδος ... Si tratta
dell’iscrizione celebrativa dell’atto di evergesia compiuto nel 104 d.C. ad
Efeso dall’eques Gaius Iulius Vibius Salutaris. In occasione della ricorrenza della
nascita di Artemis Ephesia, si compì
una solenne processione attraverso la città, sfilando con le preziose statue donate da Vibio Salutare. I simulacri, di cui
si era specificato peso, raffiguravano la dea, il Senato romano,
il Popolo Romano, Traiano, sua moglie Plotina, e le istituzioni municipali di
Efeso.
[14]
Secondo F. Carlà, L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali,
cit., 197, nelle fonti del II-III sec., il vocabolo ζυγοστάτην fu
«utilizzato in preciso riferimento ad una figura di carattere pubblico».
[15] Tra le
opere dedicate alla legislazione di Giuliano, vedi ex multis: W. Ensslin, Kaiser Julians Gesetzgebungswerk und
Reichsverwaltung, in Klio 18,
1923, 104 ss.; R. Andreotti, L’opera legislativa ed amministrativa
dell’Imperatore Giuliano, in Nuova
rivista storica 14, 1930, 342 ss.; Id.,
Tradizione ed astrattismo
nell’imperatore Giuliano, in Synteleia
V. Arangio-Ruiz, Napoli 1964, 849 ss.; M.
Sargenti, Aspetti e problemi
dell’opera legislativa dell’Imperatore Giuliano, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, III, Perugia 1979,
323 ss. (ora in Id., Studi sul diritto del tardo impero, Padova 1986, 177 ss.); P. Arina, La legislazione di Giuliano, in Atti
dell’Accademia di scienze morali e politiche 96, 1985, 197 ss.; P. Renucci, Les idées politiques et le gouvernement de l’empereur Julien,
Bruxelles 2000; E. Germino, La legislazione dell’imperatore Giuliano.
Primi appunti per una palingenesi, in Antiquité
tardive 17, 2009, 159 ss., il quale sottolinea come generalmente «negli
studi giusromanistici scarso rilievo si è riconosciuto alla politica del
diritto di Giuliano complessivamente considerata, nella convinzione, forse, che
il suo governo fu troppo breve perché potesse produrre significative
conseguenze sull’ordinamento giuridico del tempo» (160); cfr., dello stesso A.,
Scuola e cultura nella legislazione di
Giuliano l’Apostata, Napoli 2004. Sulla politica economica di Giuliano in
rapporto alla circolazione dell’oro rimando per tutti a F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali, cit., 184 ss. (ivi fonti e
bibliografia).
L’opera
legislativa giulianea è raccolta, per i tipi della Société d’édition «Les Belles Lettres», in Imp. Caesaris Flavii Claudii Iuliani, Epistulae leges poematia fragmenta varia,
edd. I. Bidez, F. Cumont, Paris-London 1922; vedi
anche, L’empereur Julien, Œuvres
complètes: I.1. Discours de Julien
César (I-V) (ed. e tr. fr. di J. Bidez, Paris 1932), I.2. Lettres et fragments (ed. e tr. fr. di
J. Bidez, Paris 1924), II.1. Discours de
Julien Empereur (VI-IX), (ed. e tr. fr. di G. Rochefort, Paris 1963), II.2.
Discours de Julien Empereur (X-XII),
(ed. e tr. fr. di Ch. Lacombrade, Paris 1964).
[16] Per il personaggio vedi: [P.] Gensel, v. Claudius 212, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft,
3.2, Stuttgart 1899, coll. 2730 s.; J.R. Martindale, A.H.M. Jones, J. Morris, v. Claudius Mamertinus 2, in The
Prosopography of the Later Roman Empire, I. A.D. 260-395, Cambridge
1971, 540 s. Sulla gratiarum actio (Panegyrici Latini 3 [11]), offerta da Mamertino all’imperatore Graziano,
vedi, ad es.: R.C. Blockley, The Panegyric of Claudius Mamertinus on the
Emperor Julian, in The American
Journal of Philology 93, 1972, 437 ss.; M.P. García Ruiz, La
evolución de la imagen política del emperador Juliano a través de los discursos
consulares: Mamertino, Pan. III [11] y Libanio, Or. XII, in Minerva 21, 2008, 137 ss.; A. Maranesi, Formazione del consenso e panegirici
all’epoca dell’imperatore Giuliano, in Istituto
Lombardo. Rend. Lettere 145, 2011, 43 ss. Cfr. M.G.
Castello, La
crisi dell’impero e la frantumazione dell’illusione di rinascita: La
Gratiarum Actio di Decimio Magno Ausonio,
in Historia 59, 2010, 189 ss.
[17] Vedi il commento di Gotofredo ad h. l. (Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis, editio nova, IV,
Lipsiae 1740 [rist. an. Hildesheim-New York 1975], 599 nt. g): «Salona urbs
Dalmatiae in Illyrico, cui Illyrico praefuisse Mamertinum» e di G. Haenel ad h. l. (Codex
Theodosianus, Bonnae 1842, col. 1294 nt. Q): «Salonam Dalmatiae urbem habet etiam Cod. Iust.
Cum autem Iulianus hoc tempore iam fuerit expeditione occupatus Persica».
[18] Si deve aderire alla affermazione di M. De Groote, Zygostatai in Egypt from 363 A.D. Onwards. A Papyrological
Prosopography, cit., 28, per cui «Julian’s decision
concerned the installation of a new category
of ζυγοστάται».
[19] Intorno alla fides vedi, ex multis: W. Kunkel, Fides als schöpferisches
Element in römischen Schuldrecht, in Festschrift P. Koschaker zum 60.
Geburtstag überreicht von seinen Fachgenossen, II, Weimar 1939, 1 ss.; F. Maroi, Il vincolo contrattuale nella
tradizione e nel costume popolare, in Studia
et Documenta Historiae et Iuris 15, 1949, 100 ss.; A. Piganiol, Fides et mains de bronze. Densae dexterae, Cic., ad Att., VII, I, in Droits
de l’antiquité et sociologie juridique. Mélanges H. Lévy-Bruhl, Paris 1959,
471 ss. (ora in Id., Scripta
varia, II. Les origines de Rome et la République, a cura di R. Bloch
- A. Chastagnol - R. Chevalliers - M. Renards, Bruxelles 1973, 200 ss.); J. Imbert, «Fides» et «nexum», in Studi
in onore di V. Arangio-Ruiz nel XLV anno del suo insegnamento, I, Napoli
s.d. [ma 1951], 339 ss.; Id., De
la sociologie au droit: la «Fides» romaine, in Droit de l’antiquité et
sociologie juridique. Mélanges H. Lévy-Bruhl, loc. cit., 407 ss.; B. Paradisi, Dai ‘foedera iniqua’ alle
‘crisobulle’ bizantine, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 20, 1954, 1 ss.; J. Paoli, Quelques observations sur la fides, l’imperium
et leurs rapports, in Aequitas und Bona Fides. Festgabe zum 70.
Geburtstag von A. Simonius, Basel 1955, 273 ss.; M. Lemosse, L’aspect primitif de la fides,
in Studi in onore di P. de Francisci, II, Milano 1956, 39 ss. (ora in Id., Études romanistiques,
Clermont-Ferrand 1991, 61 ss.); P. Boyancé,
Fides et le serment, in Hommages à A. Grenier, a cura di M.
Renard, Bruxelles-Berchem 1962, 329 ss. (ora in
Id., Études sur la religion
romaine, Rome 1972, 91 ss.); A. Carcaterra,
Intorno ai “bonae fidei iudicia”, Napoli 1964, 194 ss.; Id., Ancora sulla ‘fides’ e sui “bonae
fidei iudicia”, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 33, 1967, 65 ss.; Id., Dea Fides e ‘fides’. Storia di una laicizzazione,
in Studia et Documenta Historiae et Iuris
50, 1984, 199 ss.; J. Hellegouarc’h,
Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la
République, 2ª ed., Paris
1972, 23 ss.; G. Freyburger, Fides
et potestas, in Ktema 7, 1982, 177 ss.; M. von Albrecht, Fides
und Völkerrecht: Von Livius zu Hugo Grotius, in Livius. Werk und
Rezeption. Festschrift für E. Burck zum 80. Geburtstag, a cura di E. Lefèvre - E.
Olshausen, München 1983, 295 ss.; B. Kemenes,
Das fides-Prinzip und sein Zusammenhang mit der fiducia, in Studia in
honorem V. Pólay septuagenarii, Szeged 1985, 245 ss.; P. Frezza, A proposito di ‘fides’ e ‘bona
fides’ come valore normativo in Roma nei rapporti dell’ordinamento interno e
internazionale, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 57, 1991, 297 ss. (ora in Id., Scritti, III, a cura di F.
Amarelli - E. Germino, Romae 2000, 661 ss.); D. Nörr, Die Fides in römischen Völkerrecht, Heidelberg
1991 (ora in Id., Historiae
iuris antiqui. Gesammelte Schriften, III, a cura di T.J. Chiusi - W. Kaiser
- H.-D. Spengler, Goldbach 2003, 1777 ss.); Id.,
Fides Punica – Fides Romana. Bemerkungen zu demosia pistis im ersten
karthagisch-römischen Vertrag und zur Rechtsstellung des Fremden in der Antiken,
in Il ruolo della buona fede oggettiva
nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese
(Padova – Venezia – Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di L. Garofalo,
II, Padova 2003, 497 ss.; K.-H. Ziegler,
Nochmals: Zur fides im römischen Völkerrecht, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Rom. Abt.
109, 1992, 482 ss.; R. Fiori, Homo
sacer. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa,
Napoli 1996, 148 ss.; Id., Fides
e bona fides. Gerarchia sociale e categorie giuridiche, in Modelli
teorici e metodologici nella storia del diritto privato, a cura di R.
Fiori, 3, Napoli 2008, 237 ss.; K.-J. Hölkeskamp,
Fides - deditio in fidem - dextra data et accepta: Recht, Religion und
Ritual in Rom, in The Roman Middle Republic. Politics, Religion, and
Historiography c. 400 - 133 B.C. (Papers from a conference at Institutum
Romanum Finlandiae, September 11-12, 1998), a cura di C. Bruun, Rome 2000,
223 ss.; G. Romano, Ulpiano,
Antistia e la fides humana, in Annali
del Seminario Giuridico della Università di Palermo 46, 2000, 255 ss.; L. Zurli, Sulla formula del negozio
fiduciario, in Il Linguaggio dei Giuristi Romani, Atti del Convegno Internazionale di
Studi, Lecce, 5-6 dicembre 1994, a cura di O. Bianco - S. Tafaro,
Galatina 2000, 185 ss.; M. Guimarães
Taborda, La jurisprudence
classique romaine et la construction d’un droit des affaires fondé sur la fides,
in Revue internationale des droits de
l’antiquité 48, 2001, 151 ss., spec. 171 ss.; R. Martini, Fides e pistis in materia contrattuale,
in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
contemporanea, loc. cit.,
439 ss.
[20] F. De Martino, Storia della costituzione romana, V, 2ª ed., Napoli 1975, 144. Vedi anche A.H.M. Jones, L’inflazione durante l’Impero romano, in Id., L’economia
romana. Studi di storia economica e amministrativa antica, a cura di P.A.
Brunt, tr. di E. Lo Cascio, Torino 1984 (tit. orig.: The Roman Economy, Oxford 1974), 264 ss. Sull’importanza della moneta aurea nel periodo tardo
antico vedi da ultimo F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali, cit.
[21] Pone in evidenza la politica imperiale del IV sec., «en
faveur du renforcement, au moins du maintien de la valeur du solidus d’or», R. Laprat, Essais
d’interprétation de C. 11.11(10).2, in Studi
in onore di E. Volterra, V, Milano 1971, 297 ss.
[22] Come sottolinea M. Sargenti, Economia e finanza tra pubblico e privato nella normativa del
Tardo Impero, in Atti
dell’Accademia Romanistica Costantiniana, XII, cit., 40 ss., nel tardo
antico gli interventi normativi in ambito di finanza pubblica concernevano
maggiormente “la tutela della moneta” e la materia fiscale. In generale, sugli
interventi imperiali in materia monetaria rimando per tutti ad A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero, Napoli 2013.
[23] In Occidente le compravendite dei solidi sono attestate, ad es.,
anche da Simmac., rel. 29: Vendendis solidis ... collectariorum corpus
obnoxius est ... (Monumenta Germaniae
Historica, Auctores Antiquissimi, VI.1, ed. O. Seeck, Berolini 1883,
303), con cui il praefectus urbis
intorno al 384-385 sottopose all’attenzione di Valentiniano II le problematiche
relative alla corporazione dei cambiavalute ufficiali, i collectarii, i quali rischiavano di andare in perdita a causa
dell’aumento del prezzo dei solidi (su questa relatio: D. Vera, I nummularii di Roma e la politica monetaria del IV secolo d.C. (per una
interpretazione di Simmaco, Relatio 29), in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 108, 1973-74, 201 ss.; Id., Commento
storico alle Relationes di Quinto
Aurelio Simmaco, Pisa 1981, 220 ss.; J.
Andreau, La vie financière dans le monde romaine: les métiers de
manieurs d’argent (IVe siècle av, J.-C. – IIIe siècle ap. J.-C.), Rome 1987, 221 s.; R.
Bogaert, La Banque en Égypte
Byzantine, in Zeitschrift
für Papyrologie und Epigraphik 116, 1997, 93 ss.; J.-M. Carrié, Les métiers de la banque entre
public et privé (IVe-VIIe siècle), cit.,
81 ss.; F. De Martino, Circolazione
ed inflazione nel IV secolo d.C., in Atti dell’Accademia Romanistica
Costantiniana, XII, cit., 251 ss.; R. Martini, Qualche
osservazione a proposito dei c.d. collectarii, in Atti dell’Accademia Romanistica
Costantiniana, XII, cit., 116 ss.; F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali,
cit., 290 ss.).
[24] In
merito rimando alle pregnanti parole di F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e
sociali, cit., 20: «L’oro porta con sé, oltre al
puro dato economico, una importanza rilevante in termini di prestigio, sociale
e [...] politico, ed ha un potere d’acquisto elevatissimo che lo rende il
metallo delle élites e, soprattutto, della stessa amministrazione statale».
Dopo aver proceduto a una analisi delle fonti inerenti alla “soglia di povertà”
in età tardo antica (117 ss.), l’A. rileva come risulti «difficile credere che
l’oro, anche nella forma delle frazioni di solido, possa aver ricoperto un
ruolo effettivo nelle transazioni commerciali più comuni e quotidiane» (124). Vedi anche A. Piganiol,
Le problème de l’or au IVe siècle, in
Annales d’histoire sociale. Hommages à M.
Bloch 1, 1945, 53 (ora in Id.,
Scripta varia, III. L’Empire, a cura di R. Bloch - A.
Chastagnol - R. Chevallier - M. Renard, Bruxelles 1973, 314 s.): «Le peuple devait se contenter de la
triste monnaie d’inflation [...]. Mais, dans le même temps, les riches vivent
dans un monde de prix tout différent.
Ils contractent
entre eux en or. Leurs costumes sont brodés
d’or». Tuttavia,
si deve ricordare come la moneta aurea circolò, seppure in modo marginale,
anche tra i ceti estranei alle élites
(così, ad es., X. Loriot, Réflexions sur l’usage et les usagers de la
monnaie d’or sous l’Empire romain, in Revue
numismatique 159, 2003, 67).
[25] M. Sargenti, Aspetti e problemi dell’opera legislativa dell’Imperatore Giuliano,
cit., 349 (= Studi sul diritto del tardo
impero, cit., 203): «Un aspetto
importante dell’attività legislativa di Giuliano è quello relativo alla vita ed
all’ordinamento delle città, che era, poi, un aspetto connesso alla più
generale politica economica e finanziaria, se è vero che le città costituivano
ancora, specialmente in Oriente, gangli vitali del corpo dell’Impero e che
l’organizzazione delle loro curie rappresentava una condizione essenziale per
il funzionamento dell’apparato amministrativo e fiscale. Potenziare le curie ed
accrescere le risorse cittadine furono, dunque, gli scopi perseguiti da
Giuliano fin da quando si trovava ancora nell’Illirico, prima che la morte di
Costanzo lo lasciasse unico padrone dell’Impero». Vedi, ancora, ad es.: P. Arina, La legislazione di Giuliano, cit., 200 s., 225 ss.; P. Renucci, Les idées politiques et le gouvernement de l’empereur Julien, cit.,
459 ss.
[26] In tal senso, F.
Carlà, L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali, cit., 17, per cui quella romana fu
«un’economia monetaria in cui lo strumento monetario è però valutato per la
quantità di metallo che contiene, e sottoposto quindi a verifiche ponderali (e
[...] anche della purezza della lega)» (vedi 9 ss. per un excursus del dibattito dottrinale in materia).
[27] Tale
circostanza è posta in evidenza da numerosi studiosi, tra cui, ad es.: Th. Mommsen, Histoire de la
monnaie romaine, tr. fr. di Le duc de Blacas, III, Paris 1873, 63 s.,
secondo il quale, a partire dal III secolo, l’alterazione delle monete d’oro e
la loro emissione di peso irregolare, «avait non-seulement changé le poids
normal, mais encore elle rendait illusoire toute espèce de fixation du poids
des pièces [...]. La monnaie d’or cessa d’être considérée comme monnaie; les
pièces n’étaient plus regardées que comme des fragments de lingots estampillés
à l’effigie impériale et ne pouvaient être acceptées dans le commerce que la
balance à la main»; S. Mazzarino, Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, Roma
1951, 176, il quale afferma che si valutava «l’oro come merce, oltre e più che
come moneta»; A.H.M.
Jones, Il tardo impero romano
(284-602 d.C.), II, tr. it. di E. Petretti, Milano 1974, 658 (= The Later Roman Empire, 284-602. A social
economic and administrative survey, I, Oxford 1964, 444), per cui il solidus «era considerato per certi
riguardi come un pezzo d’oro puro pesante 4 scrupoli piuttosto che una moneta.
La gente parlava delle monete di rame considerandole denaro (pecunia) e quando scambiavano rame con
oro o viceversa dicevano che compravano o vendevano solidi. [...] In tutte le
transazioni i solidi erano normalmente pesati e, se erano tosati o consunti,
calcolati in meno di altrettanti carati»; vedi anche Id., L’inflazione
durante l’Impero romano, cit., 265;
M. Sargenti, Economia e finanza tra pubblico e privato nella normativa del
Tardo Impero, cit., 44; J.-M. Carrié, Solidus et
crédit: qu’est-ce que l’or a pu changer?, in Credito e moneta nel mondo romano, Atti degli Incontri capresi di storia dell’economia antica (Capri 12-14
ottobre 2000), a cura di E. Lo Cascio, Bari 2003, 275, il quale ha
illustrato i risvolti in materia creditizia della “habitude” di «traiter la
monnaie comme marchandise»; F. Carlà, L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali,
cit., 44: «L’oro è una “moneta-merce”, o, per usare un termine inglese in
vigore negli studi macroeconomici, una “commodity-money”. Esso mantiene perciò,
all’interno della società tardoimperiale, le cosiddette funzioni della moneta,
ossia quelle di unità di conto, di tesaurizzazione, di mezzo di scambio, che lo
rendono in ogni caso una merce molto sui generis. Della merce, cioè, ha
solo la variabilità del prezzo, e lo statuto giuridico, cosa che [...] esclude
l’attribuzione di una sopravvalutazione rispetto all’intrinseco. Della moneta
ha invece la caratteristica di dover essere obbligatoriamente accettata negli
scambi, e l’obbligo per lo Stato di garantirne il cambio in moneta divisionale,
per quanto ad una tariffa variabile».
Vedi, invece, C.
Dupont, La vente et les conditions
socio-économiques dans l’empire romain de 312 à 535 après Jésus-Christ, in Revue internationale des droits de
l’antiquité 20, 1973, 288 s., il quale rinviene l’esplicita affermazione che il
danaro non fosse una merx in C. Th. 9.23.1.2: (Imp. Constantius
A. et Iulianus Caes. ad Rufinum p[raefectum] p[raetori]o) Pecunias vero nulli emere omnino fas erit nec vetitas contrectare, quia
in usu publico constitutas pretium oportet esse, non mercem. La norma puniva con la
pena capitale sia la fusione delle monete (conflare
pecunias), sia il loro trasferimento a scopi commerciali (ad diversa vendendi causa transferre);
contro queste operazioni speculative si predispose una stretta sorveglianza
negli scali marittimi e nei punti di transito, inoltre, si impose ai negotiatores il trasporto su terra di un
numero limitato (fino a un massimo di 1.000 folles)
di pecunia in usu publicu constituta, e si vietò ai mercatores la vendita di tali monete. Si deve
comunque concordare con quanto affermato da numerosi studiosi (ad es.:
E. Lo Cascio, Teoria e politica monetaria a Roma tra III e IV secolo d.C., in Società romana e impero tardoantico, I. Istituzioni, ceti, economie, a cura di
A. Giardina, Roma-Bari 1986, 545 ss.; R. Delmaire, Aspects
normatifs de la politique monétaire du Bas-Empire: une nouvelle lecture de CTh
IX,23,1, in Revue numismatique
159, 2003, 163 ss.; A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero,
cit., 83 ss.), secondo cui C. Th. 9.23.1 concerneva
soltanto la moneta enea, la pecunia,
e non limitava la circolazione delle monete d’oro e d’argento.
[28] Vedi, ad es.: A. Piganiol,
Le problème de l’or au IVe siècle,
cit., 48 (= Id., in Scripta varia, cit., 307): «Chose
étonnante, l’Etat n’acceptait pas sa propre monnaie d’or pour sa valeur
légale»; C. Spinosi, Dispositions juridiques relatives à la
monnaie dans la législation et la pratique (principalement égyptienne) des IIIe
et IVe siècles après J.-C. II, in Revue
d’histoire économique et sociale 39, 1961, 144.
[29] Fin dal III secolo, infatti, «l’oro circolò in tutto il territorio imperiale sulla base dell’esclusivo
valore ponderale, senza alcuna sopravvalutazione del metallo coniato rispetto
al valore intrinseco della moneta. [...] I pagamenti in questo metallo, cioè,
avvenivano sulla base di una preventiva pesatura del metallo consegnato. Questo
infatti, e non il numero dei pezzi, è il fattore determinante nel determinare
il valore di una quantità di un materiale che viene scambiato sulla base del
suo esclusivo valore intrinseco» (F.
Carlà, L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali, cit., 33).
In
letteratura si è a lungo discusso se alla moneta fosse riconosciuto il valore
intrinseco oppure il suo valore nominale. Nella giurisprudenza
classica la natura della moneta è descritta in particolare da D. 18.1.1 pr. (Paul. 33 ad ed.): Origo
emendi vendendique a permutationibus coepit. olim enim non ita erat nummus
neque aliud merx, aliud pretium vocabatur, sed unusquisque secundum
necessitatem temporum ac rerum utilibus inutilia permutabat, quando plerumque
evenit, ut quod alteri superest alteri desit. sed quia non semper nec facile
concurrebat, ut, cum tu haberes quod ego desiderarem, invicem haberem quod tu
accipere velles, electa materia est, cuius publica ac perpetua aestimatio difficultatibus
permutationum aequalitate quantitatis subveniret. eaque materia forma publica
percussa usum dominiumque non tam ex substantia praebet quam ex quantitate, nec
ultra merx utrumque, sed alterum pretium vocatur; per una analisi del frammento,
e per una recente discussione in materia, rimando per tutti a V. Marotta, Origine e natura della moneta in un testo di Paolo D.
18.1.1 (33 ad
edictum), in Dogmengeschichte und historische
Individualität der römischen Juristen. Storia dei dogmi e individualità storica
dei giuristi romani, Atti del
Seminario internazionale (Montepulciano 14 - 17 giugno 2011), a cura di Ch.
Baldus - M. Miglietta - G. Santucci - E. Stolfi, Trento 2012, 161 ss. (fonti e bibl. ivi).
[30] C. Th. 12.7.1: (Imp.
Const[ant]inus A. ad Eufrasium rationalem trium provinciarum) Si qui solidos appendere voluerit, auri
cocti septem solidos quaternorum scripulorum nostris vultibus figuratos
adpendat pro singulis unciis, XIIII vero pro duabus, iuxta hanc formam omnem
summam debiti inlaturus. Eadem ratione servanda, et si materiam quis inferat,
ut solidos dedisse videatur. Aurum vero quod infertur aequa lance et
libramentis paribus suscipiatur, scilicet ut duobus digitis summitas lini
retineatur, tres reliqui liberi ad susceptorem emineant nec pondera deprimant
nullo examinis libramento servato, nec aequis ac paribus suspenso statere
momentis. Relativamente a questa costituzione, Th. Mommsen, Histoire de la
monnaie romaine, III, cit., 156, desume come in età costantiniana «tous les
payement en monnaie d’or se faisaient au poids»;
vi è poi chi, come R. Laprat, Essais d’interprétation de C. 11.11(10).2, cit., 305, sostiene come in essa si preferisse la
materia aurea rispetto alla moneta: «la loi de Constantin vise le métal
précieux plus que le solidus en
lui-même, comme si la monnaie du IVe siècle était moins considérée comme telle
que comme une marchandise»; mentre altri autori sostengono come «dès 325, le
nombre de solidi fixé pour chaque once devait être calculé en comprenant un
appoint destiné à couvrir l’Etat contre tous risques de déchet ou de fraude» (C. Spinosi, Dispositions juridiques relatives à la monnaie dans la législation et
la pratique (principalement égyptienne) des IIIe et IVe siècles après J.-C. II,
cit., 146). Vedi invece F. Carlà, L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali,
cit., 94 ss., il quale non rinviene nel testo della costituzione costantiniana
una differente valutazione dell’oro coniato rispetto al metallo grezzo,
sostenendo invece che con tale norma Costantino introdusse «una sorta di
“imposta indiretta”, che comporta l'obbligo, solo per chi debba effettuare un
pagamento in oro allo Stato, di un automatico aumento di 1/6 della somma da
versare» (98).
[31] C.
10.73.1: Aurum, quod infertur a collatoribus, si
quis vel solidos voluerit vel materiam appendere, aequa lance et libramentis
paribus suscipiatur.
[32] C. Th. 12.6.13: (Impp. Val[entini]anus et Valens AA. ad
Germanianum com[item] s[acrarum] l[argitionum]) Quotienscumque solidi ad largitionum subsidia perferendi sunt, non
solidi, pro quibus adulterini saepe subduntur, sed aut idem in massam redacti
aut, si aliunde qui solvit potest habere materiam, auri obryza dirigatur, pro
ea scilicet parte, quam unusquisque dependit, ne diutius vel allecti vel
prosecutores vel largitionales adulterinos solidos subrogando in conpendium
suum fiscalia emolumenta convertant. 1. Illud etiam cautionis adicimus, ut,
quotienscumque certa summa solidorum pro tituli qualitate debetur et auri massa
transmittitur, in septuaginta duos solidos libra feratur accepto. La costituzione fu in parte ripubblicata in C. 10.72.5: Quotienscumque certa summa solidorum pro
tituli qualitate debetur et auri massa transmittitur, in septuaginta duos solidos
libra feratur accepta.
[33] Vedi, in materia, ad es., A.H.M. Jones, Il tardo impero romano
(284-602 d.C.), II, cit., 648 s. (= The Later Roman Empire, 284-602. A social economic and administrative
survey, I, cit., 436), per cui la fusione in lingotti dei solidi riscossi
«Era una precauzione perché gli esattori non lasciassero passare solidi tosati
o contraffatti, ma il conio frequentemente rinnovato richiesto da tale norma
deve essere stato fattore importante nel mantenimento della purezza e del peso
del solido».
[34] R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve
siècle, Rome 1989, 168.
[35] Relativamente ai solidi, nelle fonti si rinviene il concetto di
compravendita, vedi, ad es.: Aug., serm. 389.3: Nam quidam (quod revera dicitur accidisse) homo non
dives, sed tamen etiam de tenui facultate pinguis adipe charitatis, cum
solidum, ut assolet, vendidisset centum folles ex pretio solidi pauperibus
iussit erogari (Patrologiae cursus completus
..., Series Latina, Patrologiae Latinae [da ora in poi PL]
39, ed. J.-P. Migne,
Parisiis 1845, col. 1704).
[36] Così, ad es.: C.
Dupont, La vente et les conditions socio-économiques dans
l’empire romain de 312 à 535 après Jésus-Christ, cit., 288 s., 296; F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e
sociali, cit., 198.
[37]
Problematiche nelle transazioni dei solidi derivate da azioni fraudolente sono
richiamate anche dall’anonimo del de reb. bell. 3.1: ... ementis enim eundem solidum fraudulenta calliditas et vendentis
damnosa necessitas difficultatem quandam ipsis contractibus intulerunt ... S. Mazzarino, Aspetti
sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, cit., 130 s.,
ritiene «probabilissimo che il de
rebus bellicis sia stato letto e meditato da Giuliano», e rinviene «una
coincidenza» tra questa fonte e la costituzione giulianea in esame (vedi anche Id., Il
De rebus bellici e la Gratiarum
actio di Claudio Mamertino, in Studi di storiografia antica in memoria di
L. Ferrero, Torino 1971, 209 ss., ora in Id.,
Antico, tardoantico ed èra
costantiniana, I, Bari 1974, 221
ss.). Invece secondo
E. Lo Cascio, Teoria e politica monetaria a Roma tra III e IV secolo d.C., cit.,
556, la testimonianza dell’anonimo «si apparenta anche» con C. Th. 9.22.1, in
cui «il comportamento criminoso perseguito è, prima di tutto, quello di chi,
all’atto dell’acquisto di un solidus,
pretende di valutarlo, pretestuosamente, di meno: è, si potrebbe dire, ancor
una volta la fraudolenta calliditas del
compratore ciò che si intende, prima di tutto perseguire. Il passo dell’anonimo
illustra bene [...] la disposizione di Costanzo II e d’altra parte ne è bene
illustrato».
[38] Un
giudizio negativo della brama dell’oro era stato già espresso da Plin., nat. hist. 33.6: utinamque posset e vita in totum abdicari [sacrum fame, ut celeberrimi
auctores dixere] proscissum conviciis ab optimis quibusque et ad perniciem
vitae repertum, quanto feliciore aevo, cum res ipsae permutabantur inter sese,
sicut et Troianis temporibus factitatum Homero credi convenit! Questi temi
si rinvengono anche nel de rebus bellicis
2.1-6 (su cui vedi F. Kolb, Finanzprobleme und soziale Konflikte aus der
Sicht zweier spätantiker Autoren (Scriptores
Historiae Augustae und Anonymus
de rebus bellicis), in Studien
zur antiken Sozialgeschichte. Festschrift F. Vittinghoff, a cura di W. Eck - H.
Galsterer - H. Wolff, Köln-Wien 1980, 497 ss.; S.-A.
Fusco, La brama di ricchezza e
l’oppressione dei cittadini: finanze e amministrazione nella visione
costituzionale dell’anonimo de rebus bellicis, in Atti dell’Accademia Romanistica
Costantiniana, XII, cit., 291 ss.).
[39] In Occidente, le
problematiche relative alle alterazioni dovettero continuare nei secoli
successivi, come è attestato nel VI sec. dalle Variae 7.32 di Cassiodoro, dove, nella formula qua moneta committitur, emerge la necessità di controllare
peso e qualità delle monete: Omnis quidem
utilitas publica fideli debet actione compleri, quia totum vitiosum geritur,
ubi conscientiae puritas non habetur: tamen omnino monetae debet integritas
quaeri, ubi et vultus noster imprimitur et generalis utilitas invenitur. nam
quid erit tutum, si in nostra peccetur effigie, et quam subiectus corde
venerari debet, manus sacrilega violare festinet? additur quod venalitas cuncta
dissolvitur, si victualia metalla vitiantur, quando necesse est respui quod in
mercimoniis corruptum videtur offerri. quis ergo patiatur unius esse commodum
dispendia scelesta cunctorum, ut detestabile vitium venire possit ad pretium?
2. Sit mundum quod ad formam nostrae
serenitatis adducitur: claritas regia nil admittit infectum. nam si vultus
cuiuslibet sincero colore depingitur, multo iustius metallorum puritate
principalis gratia custoditur. auri flamma nulla iniuria permixtionis albescat,
argenti color gratia candoris arrideat, aeris rubor in nativa qualitate
permaneat. nam si unum laedere legibus putatur esse damnandum, quid ille mereri
poterit, qui in tanta hominum numerositate peccaverit? 3. Pondus quin etiam constitutum denariis
praecipimus debere servari, qui olim penso quam numero vendebantur: unde
verborum vocabula competenter ab origine trahens compendium et dispendium
pulchre vocitavit antiquitas. pecunia enim a pecudis tergo nominata Gallis
auctoribus sine aliquo adhuc signo ad metalla translata est. quam non sinimus
faeculenta permixtione fieri contemptibilem, ne iterum in antiquam cognoscatur
redire vilitatem. 4. Proinde te,
cuius nobis laudata est integritas actionis, ab illa indictione per iuge
quinquennium monetae curam habere praecipimus, quam Servius rex in aere primum
inpressisse perhibetur: ita ut tuo periculo non dubites quaeri, si quid in illa
fraudis potuerit inveniri. nam sicut casus asperos subibis, si quid fortasse
deliqueris, ita inremuneratum non derelinquimus, si te egisse inculpabiliter
senserimus (Monumenta Germaniae
Historica, Auctores Antiquissimi,
XII, ed. Th. Mommsen, Berolini 1894, 219).
[40] Cfr. anche D. 48.10.9
pr.-2 (Ulp. 8 de off. proc.): Lege
Cornelia cavetur, ut, qui in aurum vitii quid addiderit, qui argenteos nummos
adulterinos flaverit, falsi crimine teneri. 1. Eadem poena adficitur etiam is
qui, cum prohibere tale quid posset, non prohibuit. 2.
Eadem lege exprimitur, ne quis nummos
stagneos plumbeos emere vendere dolo malo vellet.
[41] Rimando per i problemi di datazione a B. Santalucia, La legislazione sillana in materia di
falso nummario, Id., Studi di diritto penale romano, Roma
1994, 77 s. nt. 2 (già in IVRA 30,
1979 [ma 1982], 1 ss. = in Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica 29, 1982, 47 ss.), il quale
ritiene probabile la data dell’81 a.C. (a nt. 1 invece si illustrano le
problematiche intorno alla denominazione della legge). In materia vedi ancora,
ad es.: F. Marino,
Il falso testamentario nel diritto romano, in Zeitschrift
der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Rom. Abt. 105, 1988, 634, il
quale colloca la legge nell’81 a.C.; M.P. Piazza,
La disciplina del falso nel diritto romano, Padova 1991, 93 ss., la
quale individua come periodo di pubblicazione l’81 e l’80 a.C.; A. Arnese, Contraffazione
e falsificazione nella Roma antica, in Annali
Dipartimento Jonico 2, 2014, 17 (http://www.annalidipartimentojonico.org),
per cui la norma fu emanata fra l’81 e il 79 a.C.
[42] O. Lenel, Palingenesia Iuris Civilis, II, Lipsiae
1889 [rist., a cura di L. Capogrossi Colognesi, prefazione di M. Talamanca,
Roma 2000], col. 978.
[44] Così,
ad es., A. d’Ors, Contribuciones a la histoira del ‘crimen
falsi’, in Studi in onore di E.
Volterra, II, cit., 546.
[45] B. Santalucia, La legislazione sillana in materia di falso
nummario, cit., spec. 97, 101.
Nel
tardo antico, le alterazioni
dei solidi compiute dagli opifices monetae erano diffuse come attesta
l’anonimo del de rebus bellicis 3.1-3 (vedi il commento di Á. Sánchez-Ostiz, Anónimo,
Sobre asuntos militares, Barañáin [Navarra] 2004, 102 ss.).
[46] In tal
senso B. Santalucia, La legislazione sillana in materia di falso
nummario, cit., spec. 86 ss., seguito, ad es., da F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali, cit., 159 s.; A. Filocamo, Politiche
monetarie e fraus monetae nella
legislazione del tardo impero, cit., 13, 19 ss.; A. Arnese, Contraffazione
e falsificazione nella Roma antica, cit., 17 nt. 17.
[47] Così,
ad es.: Th. Mommsen, ad h. l. (Codex Theodosianus, I, Berlin 1904 [rist. Hildesheim 1999], 474); O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr.,
Stuttgart 1919, 94; C. Dupont, La vente et les conditions socio-économiques
dans l’empire romain de 312 à 535 après Jésus-Christ, cit., 288, 296; A. Giardina, Sul problema della fraus
monetae, in Helikon 13-14, 1973-1974,
187; B. Santalucia, La legislazione sillana in materia di falso
nummario, cit., 102; E. Lo Cascio, Teoria
e politica monetaria a Roma tra III e IV secolo d.C., cit.,
549; M.P. Piazza,
La disciplina del falso nel diritto romano, cit., 233, 257; R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve siècle, cit., 503; M.
Sargenti, Economia e finanza tra pubblico e privato nella normativa del
Tardo Impero, cit., 43; F. Carlà, Il sistema
monetario in età tardoantica: spunti per una revisione, in Annali
dell’Istituto Italiano di Numismatica 53, 2007, 192; Id., L’oro
nella tarda antichità: aspetti economici e sociali, cit., 169; L. di
Cintio, Riflessioni sul libro IX
della «Interpretatio» alariciana, in Rivista
di Diritto Romano 12, 2012, 23. Attribuiscono, invece, la costituzione a
Costantino: P. Grierson, The Roman law of counterfeiting, in Essays in Roman Coinage presented to H.
Mattingly, a cura di R.A.G. Carson - C.H.V. Sutherland, Oxford 1956, 259 s.; M.R.
Alföldi, Gallien um 317 n. Chr:
Zum Datum des Gesetzes Cod. Theod. 9,22,1, in Trierer Zeitschrift 32, 1969, 319 ss. Incertezze sono espresse da A. Filocamo, Politiche
monetarie e fraus monetae nella
legislazione del tardo impero, cit., 79 ss.
[48] Nello stesso anno, in
materia di falso nummario Costanzo emanò C. Th. 9.21.5: (Imp. Constantius a. Leontio p[raefecto]
p[raetori]o) Praemio accusatoribus
proposito quicumque solidorum adulter potuerit repperiri vel a quoquam fuerit
publicatus, ilico omni dilatione submota, flammarum exustionibus mancipetur.
Interpretatio. Praemium
accipiat, quicumque adulterum monetarium prodiderit, et is qui proditus est, si
de monetae adulteratione convictus fuerit, ignibus concremetur. Secondo O. Seeck, Regesten
der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr., cit.,
94, 192, questa costituzione ricomprendeva anche il dettato di C. Th. 9.22.1,
ma vedi P.O. Cuneo, in La
legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361), Milano
1997, 118 ss., la quale si limita «ad accostare i due testi, senza ritenere
possibile una soluzione univoca e sicura dei problemi che ne sorgono».
[49] J.R. Martindale, A.H.M. Jones, J. Morris, v. Fl. Domitius Leontius 20, in The
Prosopography of the Later Roman Empire, I, cit., 502 s.
[50] Sul rapporto tra questa costituzione e l’Interpretatio vedi L. di Cintio, Riflessioni sul libro IX della
«Interpretatio» alariciana, cit., 23 s.
[51]
Problematiche inerenti alla inferiore valutazione dei solidi dove erano impresse
le effigi di principi precedenti si registrano in Italia ancora nel VI sec., e
queste furono alla base di App. Nov. 7.20 del 554 (la cd. pragmatica sanctio pro petitione Vigilii): De mutatione solidorum
id est monetae. Cum autem scimus, veterum
Romanorum principum solidos per illa loca facile inveniri, comperimus autem
negotiatores vel alios quosdam propter mutationem solidorum dispendium aliquod
collatoribus nostris inferre, sancimus solidos Romanorum principum forma
signatos sine permutationis dispendio per omnes provincias ambulare et per eos
celebrari contractus; eo qui dispendium aliquod pro mutatione solidorum inferre
praesumpserit, pro unoquoque solido alterum tantum ei, cum quo contraxerit,
inferente (per l’analisi di questa costituzione vedi G.G. Archi, Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii, in Festschrift für F. Wieacker zum 70. Geburtstag, a cura di O. Behrends - M. Dießelhorst - H. Lange - D.
Liebs - J.G. Wolf - C. Wollschläger, Göttingen 1978, 11 ss., ora in Id., Scritti di diritto romano. III. Studi di diritto penale. Studi di diritto
postclassico e giustinianeo, Milano 1981, 1971 ss.).
[52] F. Carlà, Il sistema monetario in età tardoantica:
spunti per una revisione, cit., 192 s.,
evidenzia che la costituzione di Costanzo dimostra come la circolazione
dell’oro fosse ponderale: «Costanzo II impone una identica valutazione a solidi
di diversa formae mensura, ovvero appunto di differente circonferenza, quum
idem pondus exsistat. Questa specifica, necessaria, chiarisce come il peso
dovesse essere per forza pieno, e che oggetto della repressione fossero
ingannevoli tentativi di valutare diversamente monete che, pur di peso
identico, e quindi con identico contenuto metallico, avessero differenze
“esteriori” cui appigliarsi. Non vi è dunque nessun atteggiamento nominalista
in un Imperatore che specifica così chiaramente come la condizione necessaria
per l’accettazione della moneta è l’avere idem pondus, il peso
corretto».
[53] Appaiono comunque plausibili le considerazioni di M.P. Piazza,
La disciplina del falso nel diritto romano, cit., 152, per cui non è concepibile che «l’ipotesi del radere, la tipica operazione di “tosatura”, sempre praticata in regime
di moneta metallica [...] sia stata scoperta e punita solo da Costanzo nel 4°
secolo d.C.»; mentre invece A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero,
cit., 20 nt. 28, afferma che con C. Th. 9.22.1 si ebbe «l’estensione ai
privati» del reato di radere previsto
dalla lex Iulia peculatus.
[55] Nov. Val. 16: (Impp. Theod[osius] et Valent[inianus] AA. ad p[opulum] R[omanum]) Frequens ad nos, Quirites, temerarii ausus
querela pervenit, ut in parentum nostrorum contumeliam insigniti solidi eorum nominibus
ab omni emptore recusentur: quod diu inpunitum esse non patimur. Hoc ergo
edicto agnoscat universitas capitale manere supplicium, si quisquam vel domini
patris mei Theodosii vel sacrarum necessitudinum nostrarum vel superiorum
principum solidum aureum integri ponderis refutandum esse crediderit vel pretio
minore taxaverit. Vir autem inlustris praefectus urbis eiusque officium decem
lib(rarum) auri dispendio subiacebit, si quemquam contra hoc statutum venisse
fuerit adprobatum. 1. Quo praecepto
etiam illud in perpetuum volumus contineri, ne umquam intra septem milia
nummorum solidus distrahatur emptus a collectario septem milibus ducentis.
Aequabilitas enim pretii et commodum venditoris et omnium rerum venalium
statuta custodiet. 2. De ponderibus
quoque ut fraus penitus amputetur, a nobis dabuntur exagia, quae sub
interminatione superius conprehensa sine fraude debeant custodiri. Per una
analisi del testo vedi F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali,
cit., 431 ss., e A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus
monetae nella legislazione del tardo
impero, cit., 121 ss.
[56] Si deve convenire con E.
Lo Cascio, Teoria e politica
monetaria a Roma tra III e IV secolo d.C., cit., 550 (seguito da A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus
monetae nella legislazione del tardo
impero, cit., 123), per cui la novella stabiliva un pretium «che non solo i collectarii, ma in genere
coloro che si scambiano i solidi sono
tenuti a rispettare».
[57] A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero,
cit., 124, secondo il quale, questa norma asseriva «che il valore
delle monete d’oro dipende dal suo peso e non dall’imperatore raffigurato» (123).
[58] Synes.,
epist. 127 (Patrologiae cursus completus
..., Series Graeca, Patrologiae Graecae [da ora in poi PG]
66, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1864, col. 1508: Ἀλλὰ μετὰ τὸν ἡμερώτατον
καὶ
φιλοσοφώτατον
Πεντάδιον, τὰς
πινακίδας, ἃς ἡ
πολιτεία
σύνθημα ποιεῖται τῆς Αἰγυπτίας ἀρχῆς, Εὐθάλιος ὁ Λαοδικεὺς ἔχει
λαβών. Оἶσθα τὸν νεανίσκον,
ὡς εἰκάζειν ἔξεστιν, ὑπὸ τοὺς αὐτοὺς ἡμῖν
χρόνους ἐπὶ
στρατοπέδου
διαγαγόντα. Кαὶ γὰρ οὐκ εἴα
λανθάνειν αὐτὸν οὔτε ὁ τρόπος οὔτε τὸ ἐπώνυμον.
Βαλαντᾶν τινὰ ἤκουες, οὐ
πατρόθεν τῆς σεμνῆς ταύτης
προσηγορίας
κληρονομήσαντα,
ἀλλ' αὐτὸν
περιποιησάμενον.
Ἐπειδὴ γάρ, οἶμαι,
Λυδίας ἄρχων ἀποδειχθεὶς, ὑπὸ τοὺς Ῥουφίνου
καιροὺς, ἦγε καὶ ἔφερε τὰ Λυδῶν, νεμεσᾷ Ῥουφῖνος, καὶ μέτεισι
ζημίᾳ χρυσοῦ λιτρῶν
πεντεκαίδεκα ·
τάττει δὲ
στρατιώτας ἐκ τῶν ὑπηρετῶν, ὡς ᾤετο, τοὺς ἀνδρειοτάτους
καὶ εὐνουστάτους,
ἐφ' ᾧ σὺν βίᾳ
πράξαντας τὸ χρυσίον, ἀνακομίσαι
πιστῶς εἰς τὴν τράπεζαν τὴν αὐτοῦ. Тί οὖν πρὸς ταῦτα ὁ Σίσυφος; Ἀλλὰ μὴ λίαν ἀπειρόκαλος
ὦ,
βεβοημένα ἐπιδιηγούμενος
· πέπυσαι
πάντως τὴν
συνωρίδα τῶν
βαλαντίων, ἃ τῶν ἵππων Εὐμήλου
πολὺ μᾶλλον ἀλλήλοις ἐοικότα
κατασκευάσας,
τῷ μὲν ἐνέθηκεν ὀβολοὺς ἐκ χαλκοῦ, τῷ δὲ στατῆρας
χρυσίου. Кαὶ τοῦτο μὲν δείξας, ἐκεῖνο δὲ κρύψας, ὡς ἀπηρίθμησαν,
ὡς ἐζυγοστάτησαν,
ὡς
κατεσημήναντο
τῇ
δημοσίᾳ σφραγῖδι τὸ χρυσίον,
λανθάνει
θάτερον ἀντιθεὶς, καὶ πέμψας ἀντὶ τῶν
στατήρων τοὺς ὀβολούς. Оἱ δὲ ὡμολογήκεσαν
ἐν
δημοσίοις
γράμμασιν ἔχειν καὶ
διακομιεῖν τὸ χρυσίον (tr. lat. a col. 1507: «Verum post humanissimum, ac philosophum
apprime Pentadium, codicillos, quos Ægypticae praefecturae signum respublica
constituit, accepit Euthalius Laodicenus. Adolescentem nosti, qui, quantum
conjicere licet, sub idem nobiscum tempus in castris versatus est. Neque enim
latere illum aut mores, aut cognomen ipsum sinebant. Marsupium quemdam audisti,
qui non a patre egregii istius nominis haereditatem acceperit, sed illud sibi
ipse pepererit. Cum enim, opinor, Lydiae praepositus circa Ruffini tempora
Lydos vexaret, ac diriperet, indignatus Ruffinus auri libris XV multavit. Ad id
milites ex cohorte sua, ut putabat, fortissimos ac fidelissimos apposuit, qui
aurum illud violenter extortum bona fide ad mensam suam deferrent. Quid ad haec
Sisyphus iste? Sed ne admodum ineptus sim adeo vulgata subtexens. Auditum
omnino tibi est par illud marsupiorum, quae multo Eumeli equis similiora
faciens, in uno quidem aereos obolos, in altero aureos nummos condidit. Inde
alterum horum ostendens, alterum occultans, ubi enumeraverunt, ubi appenderunt,
ubi denique publico sigillo aurum obsignarunt, clam alterum loco illius
subjecit, et pro aureis obolos misit. At illi in publicis tabulis confessi
erant penes se aurum esse; idque quamprimum perlaturos»).
[59] J.R. Martindale, A.H.M.
Jones, J. Morris, v. Euthalius 2,
in The Prosopography of the Later Roman
Empire, I, cit., 314. Vedi
anche la v. Euthalius 2, in The Prosopography of the Later Roman Empire,
II. A.D. 395-527, Cambridge 1980,
437.
[60] J.R. Martindale, A.H.M. Jones, J. Morris, v. Flavius Rufinus 18, in The
Prosopography of the Later Roman Empire, I. A.D. 260-395, cit., 778
ss. Vedi anche la v. Fl. Rufinus 17, in The Prosopography of the Later Roman Empire, II, cit., 957.
[61] Vedi l’annotazione di F.A. García Romero, in Sinesio de Cirene, Cartas, Madrid 1995, 237 nt. 760: «A
Eutalio se le llama aquí “Sísifo” por representar éste al criminal astuto por excelencia».
[62] Come afferma J. Cujacius, Ad
tres postremos libros Codicis Justiniani commentari, in Opera ad parisiensem Fabrotianam editionem,
X, Prati 1840, col. 207, tanto in Sinesio, quanto nel Querulus «apparet quanta in explorandis probandisve nummis olim
diligentia fuerit adhibita». Rimando in materia a S. Mazzarino, Note di storia
economica tardoromana, in Economia e
Storia 13.4, 1966, 461 ss. (= Id., Antico, tardoantico ed èra costantiniana,
I, cit., 281 ss.).
[63] Svet.,
Ner. 44.2: Partem etiam census omnes ordines conferre iussit et insuper inquilinos
privatarum aedium atque insularum pensionem annuam repraesentare fisco;
exegitque ingenti fastidio et acerbitate nummum asperum, argentum pustulatum,
aurum ad obrussam ...
[64] diss. Epictet. 1.20.8-10: νομίσματος, ὅπου δοκεῖ τι εἶναι
πρὸς ἡμᾶς, πῶς καὶ τέχνην ἐξευρήκαμεν
καὶ ὅσοις
ὁ ἀργυρογνώμων προσχρῆται πρὸς
δοκιμασίαν
τοῦ νομίσματος, τῇ ὄψει, τῇ ἁφῇ, 9. τῇ ὀσφρασίᾳ, τὰ τελευταῖα τῇ ἀκοῇ· ῥήξας τὸ δηνάριον
τῷ ψόφῳ προσέχει
καὶ οὐχ ἅπαξ ἀρκεῖται ψοφήσαντος, 10. ἀλλ' ὑπὸ τῆς πολλῆς
προσοχῆς
μουσικὸς γίνεται.
[65] de poen. 6.5: Quam porro
ineptum, quam iniquum, poenitentiam non adimplere, et veniam delictorum sustinere,
hoc est, pretium non exhibere, ad mercem manum emittere! Hoc enim pretio
Dominus veniam addicere instituit; hac poenitentiae compensatione redimendam
proponit impunitate. Si ergo qui venditant, prius nummum, quo paciscuntur,
examinant, ne scalptus, neve rasus, ne adulter, etiam: Dominum credimus
poenitentiae probationem prius inire, tantam nobis mercedem perennis scilicet
vitae concessurum? (PL 1, coll. 1347 s.).
[66] In materia vedi J.
Andreau, La vie financière dans le
monde romaine: les métiers de manieurs d’argent (IVe siècle av, J.-C. – IIIe
siècle ap. J.-C.), cit., 222 ss., 340 ss.
[67] Relativamente all’esame uditivo a cui il cambiavalute
sottoponeva le monete, J. Andreau, La vie financière dans le monde romaine: les
métiers de manieurs d’argent (IVe siècle av, J.-C. – IIIe siècle ap. J.-C.),
cit., 523, sostiene che con tutta probabilità avesse luogo «avant que
l’essayeur ne pèse la monnaie, et après qu’il l’a bien regardée et touchée».
[68] Joan. Chrysost., in ep.ad Galat. 1.6: Καθάπερ γὰρ ἐν τοῖς βασιλικοῖς νομίσμασιν ὁ μικρὸν τοῦ χαρακτῆρος περικόψας, ὅλον τὸ νόμισμα κίβδηλον εἰργάσατο· οὕτω καὶ ὁ τῆς ὑγιοῦς πίστεως καὶ τὸ βραχύτατον ἀνατρέψας, τῷ παντὶ λυμαίνεται, ἐπὶ τὰ χείρονα προῖὼν ἀπὸ τῆς ἀρχῆς (PG 61, col. 622, tr. lat.: «Quemadmodum enim in moneta regia, qui
paulum aliquid amputarit de impressa imagine, totum numisma reddidit
adulterinum: ita quisquis sanae fidei vel minimam particulam subverterit, in
totum corrumpitur, ab hoc initio semper ad deteriora procedens»).
[69] Vedi, ad esempio: R.
Laprat, Essais d’interprétation de
C. 11.11(10).2, cit., 315: «nous avons d’abord une raison de plus
d’apprécier toute l’importance de la pesée. Si elle est utile pour une monnaie
dont le poids n’est pas absolument fixé, elle est indispensable pour une
marchandise dont la valeur ne peut être dégagée que par cette formalité»; R. Bogaert, L’essai des monnaies dans l’antiquité, cit., 16 s.: «Le contrôle du poids des pièces était nécessaire, non
seulement pour déterminer l’étalon des pièces étrangères, mais aussi parce que
les monnaies perdaient du poids par l’usage, ou même parce qu’on les rognait (circumcidere, mensuram circuli exterioris adrodere)
et qu’on les grattait (scalpere,
radere) pour en recueillir du métal précieux».
[70] Vedi specialmente: E. Babelon, Note sur quelques exagia solidi
de l’époque constantinienne, in Bulletin
archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques, Paris
1918, 243: «Les exemples de payements au poids, soit dans les caisses
publiques, soit entre particuliers, abondent pour l’époque constantinienne:
c’était l’usage courant. Mais pour payer exactement une dette quelconque, il
fallait peser la monnaie réelle ou le
lingot dont on se servait, avec des poids correspondant rigoureusement avec
celui de la monnaie-étalon ou théorique, c’est-à-dire la monnaie de compte. De là, la création des exagia solidi et l’institution des
zygostates; de là l’édit de Julien de l’an 363»; R. Bogaert, La Banque en Égypte Byzantine, cit., 130 nt. 209, per cui gli exagia di
1 solido furono introdotti da Giuliano «pour permettre aux zygostates de peser
chaque solidus dont le poids était contesté»; F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali, cit., 113, secondo il quale la prima
istituzione di pesi ufficiali di monete «può essere in effetti collegata con
l’introduzione da parte di Giuliano della figura dello zygostates [...].
Negli anni precedenti si utilizzavano semplicemente i medesimi campioni di peso
usati anche per ogni altro materiale, certamente noti ed utilizzati in epoca
precedente».
[71] C. Th. 14.26.1 (Impp. Honor[ius] et
Theod[osius] AA. Anthemio p[raefecto] p[raetori]o) In aestimatione frumenti, quod ad civitatem Alexandrinam convehitur,
quidquid de crithologiae et zygostasii munere et pro nauclerorum tuenda
substantia eminentia tua disposuit, roboramus. Adque ut curialibus praedae auferatur
occasio, iubemus eos ad huiusmodi sollicitudinem adfectandam numquam accedere,
sed designata officia tuis provisionibus examinata sollicitudinem praedictam
implere (= C. 11.28.1 con modifiche che non ne
alterano la sostanza).
[72] Così, ad es., J.-M.
Carrié, Les distributions
alimentaires dans les cités de l’Empire romain tardif, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité
87, 1975, 1080, il quale evidenzia come tale legge non riguardi «la
distribution de blé dans la ville même; il s’agit plutôt de liturgies exigées
de la classe curiale alexandrine pour l’acheminent de l’annone impériale vers
Constantinople». Vedi inoltre: A.H.M. Jones, La vita
economica delle città dell’Impero romano, in Id., L’economia
romana. Studi di storia economica e amministrativa antica, cit., 78 s.:
«Alessandria era la più grande città commerciale dell’Impero. Era in primo
luogo il centro di immagazzinamento e di smistamento attraverso il quale
venivano esportati nel resto dell’Impero i prodotti dell’Egitto, principalmente
il grano che cresceva sul suo suolo proverbialmente fertile, ma anche
manufatti»; F. Goria, La prefettura del pretorio tardo-antica e la
sua attività edittale, Lezione
tenuta presso la Sede napoletana dell’AST il 24 maggio 2011: «Il prefetto Antemio aveva emanato delle
disposizioni per regolare l’attività di coloro che dovevano verificare la
qualità e il peso dei cereali confluiti ad Alessandria dall’Egitto (ma anche da
altre regioni) in attesa di essere trasportati a Costantinopoli».
[73] J.R. Martindale, v. Anthemius 1, in The
Prosopography of the Later Roman Empire, II, cit., 93 ss.
[74] C. Morrisson, Weighing, Measuring,
Paying Exchanges in the Market and the Marketplace, in Trade and Markets in Byzantium, a cura di C.
Morrisson, Washington D.C. 2012, 383, sottolinea questa funzione degli zigostati: «These
official standard measures, previously controlled by members of the curia, were
in the late antique period directly overseen by state officials. These were
mainly the zygostatai».
[75] Edicta praefectorum praetorio ex codicibus mss. Bodleianis,
Laurentianis, Marcianis, Vindobonensibus, ed. C.E.
Zachariae, Anekdota, III, Leipzig
1843, nr. 7, 269, ibid. tr. lat.: «Forma de
ponderatoribus Hierii. Ut
decreto episcoporum et habitatorum et possessorum ponderator constituatur, et
iusiurandum apud acta praestet, nec semet ipsum nec suum in hac cura socium
aliquam negligentiam circa pondera esse commissurum». Per
un’analisi dell’editto vedi C.M.A. Rinolfi, Ed. VII, in Edicta praefectorum praetorio, a cura di F. Goria - F. Sitzia,
Cagliari 2013, 34 ss.
[76] Edicta praefectorum praetorio ex codicibus
mss. Bodleianis, Laurentianis, Marcianis, Vindobonensibus, ed. C.E. Zachariae, cit., nr. 3, 258, ibid. tr.
lat.: «De ponderatorum creatione, et quod civitatium ponderatores decreto
episcoporum, qui in ipsis sunt, et possessorum et habitatorum constituantur, et
duorum capitum».
[77] Sul prefetto rimando a J.R. Martindale,
v. Hierius 6, in The Prosopography of the Later Roman Empire, II, cit., 558, il
quale lo identifica con tutta probabilità con il Hierius 7, vir gloriosissimus
(558 s.), e ne colloca la prefettura negli anni 494-496. Vedi anche S. Fusco, Hierius,
in Edicta praefectorum praetorio,
cit., 175 ss.
[78] C.E. Zachariae, Edicta praefectorum praetorio ex codicibus
mss. Bodleianis, Laurentianis, Marcianis, Vindobonensibus, cit., 269, nt.
68, inquadra l’editto genericamente sotto l’impero di Anastasio. Più
specificamente, datano la
norma prefettizia intorno al 495: R.
Delmaire, Largesses sacrées et res privata. L’aerarium impérial
et son administration du IVe au Ve siècle, cit., 256; C. Morrisson,
Weighing, Measuring, Paying Exchanges in the
Market and the Marketplace, cit., 383.
[79] Dalle fonti emerge un’ampia accezione del termine possessores in età tardo antica, in
quanto sotto questa denominazione si annoveravano innanzitutto, i grandi possessori
terrieri, esonerati dai munera
cittadini, i decurioni, i possessori di soli 25 iugeri (misura stabilita nel
342 in C. Th. 12.1.33 per aver accesso all’ordo
dei curiali) e i contadini in possesso di terreni, i quali, seppure non
vivessero nei municipi, erano iscritti nel censo. La differenza tra potentiores possessores, curiales e minores possessores è riferita in C. Th. 11.7.12 del 383: (Imppp. Gr[ati]anus,
Val[entini]anus et Theod[osius] AAA. Constantiano vic[ari]o Ponticae) potentiorum
possessorum domus officium provinciae rectoris exigere debet, decurio vero
personas curialium convenire, minores autem possessores defensor civitatis ad
solutionem fiscalium pensitationum spectata fidelitate compellere. In materia rimando a R.
Ganghoffer, L’évolution des institutions municipales en
Occident et en Orient au Bas Empire, Paris 1963, 114 ss., e ad A. Laniado, Recherches sur les notables municipaux dans
l’empire protobyzantin, Paris
2002, 180 ss.
[80] F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali, cit., 202, ritiene plausibile che nel
periodo precedente all’editto di Hierius
«la nomina, previe alcune consultazioni coi notabili locali, era unicamente
formulata da qualche funzionario (di un ufficio finanziario?)».
[81] A.H.M. Jones, Le città dell’Impero romano, in Id., L’economia
romana. Studi di storia economica e amministrativa antica, cit., 25 s.: «Il
consiglio cessò di essere rappresentativo della città e molti dei suoi compiti
vennero trasferiti, l’uno dopo l’altro, a un nuovo organismo, che comprendeva
il vescovo e il clero, nonché i più grandi proprietari, cui si aggiungevano
talvolta i decurioni». Vedi ancora Id., La vita economica delle città dell’Impero
romano, cit., 57.
[82] Così A.H.M. Jones, Le città dell’Impero romano, cit., 25:
«Nel V secolo il consiglio d’una città non comprendeva più i ricchi proprietari
terrieri della zona. La maggior parte di questi ultimi erano ormai divenuti
senatori o si erano assicurati in altro modo l’immunità dagli obblighi curiali.
Le famiglie superstiti di curiali non erano che un miserabile residuo dei
gruppi originali, fatto di medi e piccoli proprietari».
[83] Sulla politica municipale di questo augusto vedi per tutti A. Laniado, Recherches sur les notables municipaux
dans l’empire protobyzantin, cit., 36 ss.
[84] C. 10.27.3 pr.: Ὅταν ἔν τινι πόλει σιτώνου γένηται χρεία, κατὰ δοκιμασίαν καὶ
ἐπιλογὴν καθ' ἑκάστην πόλιν ἐπισκόπου καὶ τῶν ἐν τοῖς κτήτορσι
πρωτευόντων γινέσθω
ἡ ἐπὶ
αὐτῷ
προβολή, οὐ
κατὰ
τὸ
δοκοῦν τοῖς προβαλλομένοις, οὐδὲ ἐφ' οἷς ἂν βουληθείησαν προσώποις, ἀλλὰ
μόνων τῶν ἐπὶ
τῆς χώρας
ἐκείνης
ταξεωτῶν τῶν στρατευομένων
καὶ τῶν ἀποθεμένων
τὴν
τάξιν, διὰ τῶν εἰρημένων
προσώπων πρὸς
τὴν σιτωνείαν προβαλλομένων, ἐπειδὴ εὐχερέστερον οὗτοι ταῖς
δημοσίαις χρείαις
ἐντετριμμένοι ἐκ μακρῶν χρόνων τὸ
τῆς σιτωνείας
διανύουσι
βάρος (tr. lat.: «Si quando in urbe
aliqua opus erit sitona, arbitratu et electione episcopi uniuscuique civitatis et
eorum qui inter possessores antecellunt, eius creatio procedat, non ut libuerit
eis qui creant, neque quas velint personas, sed ut tantum officiales eius loci
qui militant aut militia abscesserunt per supra dictas personas ad sitoniam
promoveantur, quoniam facilius hi qui in publicis negotiis ex longo tempore
versati sunt onere sitoniae funguntur»); di questa costituzione, datata da
Krueger tra il 491 e il 505, si conserva una epitome, sempre in lingua greca,
in C. 1.4.17.
Secondo A.H.M. Jones, Le città dell’Impero romano, cit., 26,
questa norma si inserisce in una serie di riforme che portarono in Oriente la
decadenza dei consigli cittadini, mentre in Occidente tale fenomeno era già
apparso un secolo prima.
[85] Su Illus
vedi da ultima S. Fusco, Illus,
in Edicta praefectorum praetorio, cit., 177 s. (ivi bibl. e fonti).
[86] In materia di ἀγορανόμοι
vedi, ad es.: A.H.M. Jones, The
Greek City from Alexander to Justinian, Oxford 1940 [rist. 1966], 188, 215 ss., 230, 240, 255; L. Migeotte, Les pouvoirs des agoranomes
dans les cités grecques, in Symposion 2001. Vorträge
zur griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte. Akten der Gesellschaft
für griechische und hellenistische Rechtsgeschichte 16, Wien 2005, 287 ss.; T.
Bekker-Nielsen, The One
That Got Away: A Reassessment of the Agoranomos Inscription from Chersonesos (VDI 1947.2, 245; NEPKh II 129), in The Black Sea in Antiquity: Regional and
Interregional Economic Exchanges, a cura di V. Gabrielsen - J. Lund, Aarhus
2007, 123 ss.; Id., Urban
life and local politics in Roman Bithynia. the small
world of Dion Chrysostomos, Aarhus
2008, 75 ss.
[87] Edicta praefectorum praetorio ex codicibus mss.
Bodleianis, Laurentianis, Marcianis, Vindobonensibus, in Anekdota, ed. C.E. Zachariae, cit., nr. 8,
269: Περὶ ἀγορανόμων ἴλλου. Ὥστε καὶ ἐπὶ τοῖς ἀγορανόμοις καθ' ὁμοιότητα ἐκδίκων ψήφισμα γίνεσθαι παρα τοῦ ἐπισκόπου καὶ τῶν τοῦ κλήρου καὶ κτητόρων καὶ πολιτευομένων καὶ λογάδων, tr. lat.: «De
aedilibus Illi. Ut etiam de aedilibus ad
instar defensorum decretum fiat episcopi et cleri et possessorum et curialium
et honoratorum».
[88] Index Marcianus nr. 4: περὶ τῆς τῶν ἀγορανόμων προβολῆς, καὶ ὅτι καθ' ὁμοιότητα τῶν ἐκδίκων καὶ οἱ ἀγορανόμοι χειροτονοῦνται,
ψηφισμάτων ἐπὶ τῇ τούτων προβολῇ γινομένων παρὰ τοῦ θεοφιλοῦς ἐπισκόπου τῆς πόλεως καὶ τῶν ὑπ' αὐτὸν εὐλαβεστάτων κληρικῶν καὶ κτητόρων καὶ πολιτευομένων καὶ λογάδων, καὶ πρόσγε καταθέσεως ἀνωμότου μὲν παρὰ τοῦ ἐπισκόπου, μεθ' ὅρκου δὲ παρὰ τῶν λοιπῶν, tr. lat.: «De
aedilium creatione, et quod ad instar defensorum etiam aediles ordinantur,
decretis super eorum creatione faciendis a Deo amabili episcopo urbis et
reliogisissimis clericis sub eo constitutis et possessoribus et curialibus et
honoratis, et insuper depositione ab episcopo quidem sine iuramento, a reliquis
vero cum iuramento facienda» (Edicta praefectorum praetorio ex
codicibus mss. Bodleianis, Laurentianis, Marcianis, Vindobonensibus, ed. C.E. Zachariae, cit., 258 s.). Per un commento a questo editto vedi C.M.A. Rinolfi,
Ed. VIII, in Edicta praefectorum praetorio, cit., 39 ss.
[89] I medesimi
soggetti, componenti il comitato elettorale degli agoranomoi previsto
dall’editto di Illus, furono i promotori
di una richiesta inviata ad Anastasio in merito alla nomina del defensor civitatis e del curator. La risposta dell’imperatore è
conservata in una iscrizione situata a Korykos: Monumenta Asiae Minoris Antiquae III, 1931, nr. 197, 123 ss.; S. Hagel-K. Tomaschitz, Repertorium der westkilikischen Inschriften nach den
Scheden der kleinasiatischen Kommission der Österreichischen Akademie der
Wissenschaften, Wien 1998, 198 s.
[90] In materia vedi, ad es.: V. Mannino,
Ricerche sul «defensor civitatis», Milano 1984; F. Jacques, Le défenseur de cité d’après la Lettre 22* de
saint Augustin, in Revue des études
Augustiniennes 32, 1986, 56 ss.; J.-U.
Krause, Spätantike Patronatsformen im Westen der Römischen Reiches,
München 1987, 289 ss.; R.M. Frakes,
Some Hidden Defensores Civitatum in the Res Gestae of Ammianus
Marcellinus, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte.
Rom. Abt. 109, 1992, 526 ss.; Id.,
Late Roman Social Justice and the Origin of the Defensor Civitatis, in The Classical Journal 89, 1994,
337 ss.; Id., Contra potentium
iniurias: The defensor civitatis and Late Roman Justice, München
2001; P. Pergami, Sulla
istituzione del defensor civitatis, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61, 1995, 413 ss.; A. Laniado, Le christianisme et
l’évolution des institutions municipales du Bas-Empire: l’exemple du defensor
civitatis, in Die Stadt in der Spätantike - Niedergang oder Wandel? Akten des internationalen Kolloquiums in München am
30. und 31. Mai 2003, a cura di J.-U. Krause - C. Witschel,
Stuttgart 2006, 319 ss.; F. Oppedisano,
Maioriano, la plebe e il defensor
civitatis, in Rivista di filologia e
d’istruzione classica 139, 2011, 422 ss.
[91] C. 1.55.8 pr.: (Impp. Honorius et Theodosius AA.
Caeciliano pp.) Defensores
ita praecipimus ordinari, ut sacris orthodoxae religionis imbuti mysteriis
reverentissimorum episcoporum nec non clericorum et honoratorum ac possessorum
et curialium decreto constituantur: de quorum ordinatione referendum est ad
illustrissimam praetorianam potestatem, ut litteris eiusdem magnificae sedis
eorum solidetur auctoritas.
[92] Come sottolinea A. Laniado, Le christianisme et
l’évolution des institutions municipales du Bas-Empire: l’exemple du defensor civitatis, cit., 326,
questa costituzione è «la première loi d’authenticité
incontestable» in cui il clero
interviene nell’elezione di funzionari civici.
[94] C. 1.4.19 (= C. 1.55.11): (Imp. Anastasius A. Eustathio pp.) Iubemus eos tantummodo ad defensorum curam peragendam ordinari, qui
sacrosanctis orthodoxae religionis imbuti mysteriis hoc imprimis sub gestorum testificatione, praesente
quoque religiosissimo fidei orthodoxae antistite, per depositiones cum
sacramenti religione celebrandas patefecerint. Ita enim eos praecipimus
ordinari, ut reverentissimorum episcoporum nec non clericorum et honoratorum ac
possessorum et curialium decreto constituantur.
[95] Intorno alle funzioni
civili attribuite agli episcopi e per la centralità del loro ruolo vedi, ex multis: S. Mochi Onory, Vescovi
e città (sec. IV-VI), Bologna 1933; B. Biondi,
Il diritto romano cristiano. I. Orientamento
religioso della legislazione, Milano 1952, 435 ss.; C.G. Mor,
Sui poteri civili dei vescovi dal IV al secolo VIII, in I poteri
temporali dei Vescovi in Italia e in Germania nel Medioevo, a cura di C.G.
Mor - H. Schmidinger, Bologna 1979, 7 ss.; R. Lizzi, Il potere
episcopale nell’Oriente romano. Rappresentazione ideologica e realtà politica
(IV-V secolo d.C.), Roma 1987; E.
Dovere, Il vescovo ‘teodosiano’ quale riferimento per
la normazione «de fide» (secc. IV-V), in ’Ilu 1, 1996, 53 ss. (ora in Vescovi
e pastori in epoca teodosiana. In occasione del XVI centenario della
consacrazione episcopale di S. Agostino, 396-1996. XXV Incontro di studiosi dell’antichità cristiana. Roma, 8-11 maggio
1996, I, Roma 1997, 161 ss.); Id., “Auctoritas” episcopale
e pubbliche funzioni (secc. IV-VI), in Studi
economico-giuridici. Università di Cagliari. Pubblicazioni della Facoltà di
Giurisprudenza 57, 1997-98 [ma 2000], 517 ss. (ora in Studi sull’Oriente Cristiano 5, 2001, 25 ss.); S. Puliatti, Le funzioni civili del vescovo in età giustinianea, in Athenaeum 92, 2004, 139 ss.; vedi anche i contributi pubblicati in L’évêque dans la cité du Ive au Ve siècle. image et autorité. Actes de la table ronde organisée par
l’Istituto patristico Augustinianum et l’école
française de Rome (Rome 1er et 2 décembre 1995), a cura di é.
Rebillard - C. Sotinel, Rome 1998. Cfr. L.
Cracco Ruggini, Prêtre et
fonctionnaire: l’essor d’un modèle épiscopal aux Ive-Ve siècles, in Antiquité
tardive 7, 1999, 175 ss.
Tale politica venne perseguita dallo stesso Giustiniano, vedi, ad
es.: C. 1.4.26 del 530; Nov. 128.16 del 545; App.
Nov. 7.12 (a tal proposito, G.G. Archi, Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii,
cit., 25 = Scritti di diritto
romano, III, cit., 1992, rileva la presenza in tutta la legislazione
giustinianea di «un permanente richiamo all’autorità vescovile considerata
ormai elemento che, pur estraneo all’organizzazione burocratica dello Stato, è
necessario invocare nell’opera della amministrazione pubblica»). Intorno agli
incarichi “di gestione della cosa pubblica” attribuiti dalla normativa
giustinianea agli episcopi rimando a S.
Puliatti, I rapporti fra gerarchia
ecclesiastica e gerarchia statale nella legislazione di Giustiniano, in Studi per G. Nicosia, VI, Milano 2007,
281 ss. (ora in Diritto @ Storia 6,
2007, http://www.dirittoestoria.it/6/Memorie/Scienza_giuridica/Puliatti-Gerarchia-ecclesiastica-legislazione-Giustiniano.htm).
[96] C. 1.4.18: (Αὐτοκράτωρ Ἀναστάσιος Α.) ... Θεσπίζομεν
... Οἱ ὑφεστῶτες καὶ τῇ παραφυλακῇ προσκαρτεροῦντες στρατιῶται ἐν τοῖς σεδέτοις αὐτῶν τὸ προσφερόμενον εἶδος ἐκ τῶν ἐν τῇ πόλει ἢ τῇ ἐνορίᾳ αὐτῆς γεωργουμένων δεχέσθωσαν ὑπὲρ τῶν ἀννόνων αὐτῶν δοκιμασίᾳ τοῦ ἐπισκόπου καὶ τοῦ ἄρχοντος ἢ τοῦ ἐκδίκου ἐξ ἀπολείψεως τοῦ ἄρχοντος, καὶ οὐκ ἀναγκάζεται ὁ συντελεστὴς ἀπαργυρισμὸν διδόναι (tr. lat.: «Milites subditi et in praesidio constituti in sedibus
suis species ab agricolis civitatis eiusque regionis pro annonis suis arbitratu
episcopi et praesidis accipiant vel defensoris, si praeses non est: nec cogitur
collator adaerationem praestare»); la norma è geminata in C. 12.37.19.1: Εἰ δὲ καὶ στρατιώτης ἐξαργυρίσαι βουληθεὶη τὰς παραχομένας αὐτῷ ἀννόνας, λήψεται τὰ χρήματα κατὰ τὴν τράπεζαν. εἰ δὲ τὸ εἶδος λαμβάνει, λήψεται τὸ ἐν τῇ χώρᾳ χορηγούμενον κατὰ δοκιμασίαν τοῦ θεοφιλεστάτου τῶν τόπων ἐπισκόπου καὶ τοῦ λαμπροτάτου ἐκδίκου τῆς πόλεως (tr. lat.: «Quod si miles competentes sibi
annonas adaerare vult, pecunias ad rationem mensae accipiet. Si vero species mavult, eas quas regio parit accipiet arbitratu deo
amantissimi episcopi et clarissimi defensoris civitatis»).
Legge il testo della costituzione come una
endiadi C.G. Mor, Sui poteri civili dei vescovi
dal IV al secolo VIII, cit., 13: «Anastasio deferiva al Vescovo e al
Preside della provincia – notiamo questa specie di endiadi, che veramente
inserisce il capo religioso nell’ordinamento locale - di stabilire il prezzo
delle specie dovute per l’annona militare o di farne il conguaglio», mentre secondo V. Mannino, Ricerche sul «defensor civitatis», cit., 145, il compito di fissare le rationes dei soldati sarebbe stato
attribuito ai defensores civitatis
come pure ai vescovi nel caso di assenza del magistrato (ἄρκων), identificabile con
il governatore provinciale.
[97] Sul
coinvolgimento del vescovo nell’annona vedi, ad es., C. Soraci, Approvvigionamento e distribuzioni
alimentari. Considerazioni sul ruolo dei vescovi nel tardo impero, in Quaderni Catanesi di studi antichi e medievali n.s. 6, 2007, 259 ss., in part. 302 ss.
[98] Ed. 9.7.1:
Εἰ δὲ ἀντισυγγράφους ἔθεντο
πρός
τινας ὁμολογίας ἢ διαλύσεις ἢ καὶ οἱασοῦν συνθήκας ἢ καὶ μετὰ ταῦτα ποιήσαιεν, καὶ αἱ παρ' αὐτοῖς κείμεναι
κατὰ
διαφόρους τρόπους ἀπώλοντο, ἀναγκάζεσθαι
τοῦς ἔχοντας
τὰ ἀντισύγγραφα
προκομίζειν ἢ ὅρκον
παρέχειν, ὡς οὐδὲν
τοιοῦτον ἔχουσιν οὐδὲ προκομίσαι
δυνατοὶ καθεστήκασιν. εἰ γὰρ τοῦτον τὸν ὅρκον ἐν ὑπομνήμασι παράσχοιεν, αὐτοὺς οὐ χρὴ περαιτέρω
πολυπραγμονεῖσθαι (tr. lat.: «Sin autem
antisyngraphas ad aliquos confessiones vel liberationes vel quaelibet pacta
exposuerint aut etiam posthac exponant, et quae apud ipsos mansuerunt variis
modis perierint, eos qui antisyngrapha habent, ea proferre aut iusiurandum dare
se nihil eiusmodi habere aut proferre posse. Si enim hoc iusiurandum apud
acta praestiterint, non ulterius
eos molestia affici oportet»).
[99] In
materia, vedi, ad es.: A. Díaz-Bautista, Les garanties bancaires dans la législation
de Justinien, in Revue internationale
des droits de l’antiquité 29, 1982, 165 ss.; G. Luchetti, Banche,
banchieri e contratti bancari nella legislazione giustinianea, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano
94-95, 1991-1992, 449 ss.; S. Cosentino, La legislazione di Giustiniano sui
banchieri e la carriera di Triboniano,
in Polidoro. Studi offerti
ad A. Carile, a cura di G. Vespignani,
Spoleto 2013, 347 ss. Cfr. inoltre F. La Rosa, La pressione degli argentarii e la riforma giustinianea del constitutum debiti (C.
4,18,2,2), in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età
romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor F. Gallo, I,
Napoli 1997, 445 ss.
[100] Sull’ampia letteratura relativa alla documentazione “apud
acta” vedi ex multis: B. Hirschfeld, Die Gesta municipalia in römischer und frühgermanischer Zeit,
Inauguraldissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Hohen Philosophischen
Fakultät der Universität Marburg, Marburg 1904; A. Steinwenter, Beiträge
zur öffentlichen Urkundenwesen der Römer, Graz 1915; E. Bickermann, Testificatio
Actorum. Eine Untersuchung über antike Niederschriften «zu Protokoll», in Aegyptus 13,
1933, 333 ss. (spec. 341-345); G.G.
Archi, «Civiliter vel
criminaliter agere» in tema di falso
documentale (Contributo storico-dommatico al problema della efficacia della scriptura), in Scritti in onore di C. Ferrini pubblicati in onore della sua
beatificazione, I, Milano 1947, 31 s. nt. 4 (= Scritti di diritto
romano. III, cit., 1633 s. nt. 79); J.-Ph. Lévy, Les actes d’état civil romains, in Revue historique de droit français et étranger 4ª ser., 30, 1952, 449 ss. (in part.
452 s.); Id., L’insinuation «apud acta» des
actes privés dans le droit de la preuve au Bas-Empire, in Mélanges F. Sturm offerts par ses collègues
et ses amis à l’occasion de son soixante-dixième anniversaire, I, Liège
1999, 311 ss.; M. Talamanca, v. Documento
e documentazione. I. Diritto romano, in Enciclopedia
del diritto 13, 1964, 548 ss. (in part. 554 s.); M. Amelotti, Alle origini del
notariato italiano. I.
L’età romana, in M. Amelotti-G. Costamagna, Alle origini
del notariato italiano, Roma 1975 [rist. Milano 1995], 27 ss.; H. Saradi-Mendelovici, L’enregistrement
des actes privés (insinuatio) et la disparition des institutions municipales au
VIe siècle, in Cahiers des études anciennes 21, 1988,
117 ss.; S. Tarozzi, Ricerche in tema di registrazione e certificazione del documento
nel periodo postclassico, Bologna 2006, 33 ss., 99 ss.; F. Arcaria, Per la storia dei testamenti pubblici romani: il «testamentum apud
acta conditum» ed il «testamentum
principi oblatum», in Studi per G. Nicosia, I, cit., 163 ss.; S. Schiavo, Il falso documentale tra prevenzione e repressione: impositio fidei
criminaliter agere civiliter agere, Milano 2007, 13 s., 64 ss., 76 ss. Cfr.
anche A. Fernández de Buján, Fides
publica e instrumenta publice
confecta en Derecho Romano, in Revista de Estudios Latinos 1, 2001, 189
ss.; W.C. Brown, On the Gesta municipalia and the Public Validation of Documents in Frankish
Europe, in Speculum 87, 2012, 345 ss.
[101] Sui magistrati muniti di tale ius, vedi S. Tarozzi, Ricerche in tema di registrazione e certificazione del documento nel
periodo postclassico, cit., 131 ss.
[102] Relativamente agli atti processuali vedi, a titolo meramente
esemplificativo: C. Th. 11.30.1 (in parte in C. 7.61.1) del 312 o del 313, per
cui il giudice, per mezzo di editio apud
acta, era tenuto a trasmettere alle parti copia della consultatio che aveva deciso di proporre all’imperatore, inoltre la
costituzione disponeva che le parti entro 5 giorni potessero presentare le
proprie preces refutatoriae sempre apud acta; C. Th. 11.30.31, del 363,
secondo cui, in caso di consultatio ante
sententiam, i rectores dovevano
far risultare apud acta la data in
cui consegnarono la relatio (per una
analisi di queste costituzioni rimando a F. Pergami,
Amministrazione della giustizia e
interventi imperiali nel sistema processuale della tarda antichità, Milano
2007, rispettivamente a 8-13 e 28-30).
Vedi ancora, a testimonianza dell’ampio ricorso a tale strumento,
in materia di transazioni e pacta, ad
es., C. 2.4.28 pr. del 294, C. 11.59.14 del 415, e di donazioni, Vat. Fragm.
249.8 (in parte in C. Th. 8.12.1.2 e in C. 8.53.25.2) del 316, C. Th. 8.12.3
del 316 (?), C. Th. 8.12.5.1 (= C. 8.53.27.1) del 333.
[103] Rinvio in materia a F.
Arcaria, Per la storia dei
testamenti pubblici romani: il «testamentum apud acta conditum» ed il «testamentum principi oblatum», cit., 168 nt. 7.
[104] Vedi in particolare: m.r. cimma, De non numerata pecunia, Milano 1984, 143 ss., la quale sottolinea
il ripetuto utilizzo delle dichiarazioni compiute apud acta al fine «di evitare le conseguenze giuridiche di una
determinata situazione» (numerosi esempi ivi alla nt. 46, 144 s., a cui
rinvio); J.-Ph. Lévy, L’insinuation «apud acta» des
actes privés dans le droit de la preuve au Bas-Empire, cit., 325, il quale,
analizzando la forza probatoria dell’insinuatio
apud acta, afferma che «les écrits établis ou insinués apud acta se situent au somment de la hiérarchie des actes écrits et
plus haut que le témoignage. Ce sont les seuls qui n’ont pas à être vérifiés.
Ils sont très au-dessus de tous les autres, actes privés même munis de témoins,
actes établis par des tabellions»; S.
Schiavo, Il falso documentale tra
prevenzione e repressione impositio fidei criminaliter agere civiliter agere,
cit., 14: «le scritture insinuate apud
acta possono fungere con sicurezza da documento di comparazione [...]. Proprio di fides publica e
di perpetua firmitas si parla in
relazione a tali documenti, il cui valore probatorio sarebbe stato dunque
superiore rispetto a quello dei documenti meramente privati e dei documenti
notarili».
[105] Una simile
responsabilità si rinviene nelle fonti classiche in materia di magistrati, in
D. 50.1.11 pr. (Papin. 2 quaest.): Imperator Titus Antoninus Lentulo Vero
rescripsit magistratuum officium individuum ac periculum esse commune. Quod sic
intellegi oportet, ut ita demum collegae periculum adscribatur, si neque ab
ipso qui gessit neque ab his qui pro eo intervenerunt, res servari possit et
solvendo non fuit honore deposito. Alioquin si persona vel cautio sit idonea,
vel solvendo fuit quo tempore conveniri potuit, unusquisque in id quod
administravit tenebitur. La
previsione in età tardo imperiale di multe imposte al singolo, e al contempo
all’intero officium di appartenenza,
si rinviene, ad es., in Nov. Val. 6.1.3: Iudicem
sane, si coniventiam in his exsequendis neglegentiamve praestiterit, decem
libras auri eiusque officium similiem quantitatem poenae nomine fisco iubemus
exsolvere (a. 440), Nov. Val. 16 pr. (a. 445, testo supra a nt. 55), C. 1.40.15.2: (Imp. Leo A. Constantino pp.) Quod si quis aliquando dissimulare
temptaverit, protinus eum atque officium
quinquaginta librarum auri multam ad reparandum sacrum quod neglexerit palatium
solvere sancimus (a. 471?), C. 2.15.2.2: (Impp. Theodosius et Valentinianus AA.
ad Florentium pp.) ... iudices eorumque
officia tricenis libris aurei mulctari ... (a. 439). Una responsabilità
oggettiva solidale fu imputata nel 438 al corpus
dei fabricenses da Nov. Theod. 6.2:
(Immp. Theod[osius] et Valent[inianus] AA. Aureliano c[omiti] r[erum]
p[rivatarum]) Denique quod ab uno
committitur, totius delinquitur periculo numeri, ut constricti nominationibus
suis sociorum actibus quandam speculam gerant, et unius damnum ad omnium
transit dispendium. Universi
itaque, velut in corpore uniformi uni decoctioni, si ita res tulerit,
respondere coguntur ... (= C. 11.10.5).
Intorno alla responsabilità collettiva nel tardo antico: K. Rosen, Iudex und Officium: Kollektivstrafe, Kontrolle und Effizienz in der
spätantiken Provinzialverwaltung, in Ancient Society 21, 1990, 273 ss.; A. Laniado, Les amendes collectives des officia dans la
législation impériale après 438, in Ancient Society 23, 1992, 83 ss.
[106] Per l’analisi della norma, vedi da ultimo a A. Calore, «Iuro
per deum omnipotentem ...»: il giuramento dei funzionari imperiali all’epoca
di Giustiniano, in Seminari di storia e di diritto. II «Studi sul
giuramento nel mondo antico», a cura di A. Calore, Milano 1998, 107 ss.
[107] Οὐκ ἐγὼ μόνος ταῦτα πράξω, ἀλλὰ καὶ τὸν ἀεἱ μοι
παρεδρεύοντα
τοιοῦτον σπουδάσω
παραλαβεῖν καὶ τοὺς περὶ ἐμὲ πάντας, ὥςτε μὴ ἐμὲ μὲν καθαρεύειν, τοὺς δὲ περὶ ἐμὲ κλέπτειν καὶ ἁμαρτάνειν. εἰ δὲ εὑρεθῇ τις τῶν περὶ ἐμὲ
τοιοῦτος, καὶ τὸ γενόμενον
παρ' αὐτοῦ θεραπεύσω καὶ αὐτον ἀποδιώξω (tr.
lat.: «Non ego solus haec faciam, sed
etiam assessorem qui mihi semper fiat talem eligere studebo et qui circa me sint
omnes: ne forte ipse quidem integer sim, qui vero circa me sunt, furentur et
delinquant. Quodsi quis corum qui circa me sunt talis
reperiatur, et quod ab eo factum sit resarciam et ipsum expellam»).
[108] Sulla vasta diffusione del giuramento in età tardo
antica vedi, ad es.: A. Calore, «Tactis
Evangeliis», in Il gesto nel rito e nel cerimoniale dal mondo antico ad
oggi, a cura di S. Bertelli - M. Centanni, Firenze 1995, 53 ss.; Id., «Iuro per deum omnipotentem
...»: il giuramento dei funzionari imperiali all’epoca di Giustiniano,
cit., 110 ss.; S. Puliatti,
Officium iudicis e certezza del diritto in età giustinianea, in Legislazione,
cultura giuridica, prassi dell’Impero d’Oriente in età giustinianea tra passato
e futuro, Atti del Convegno – Modena, 21-22 maggio 1998, a cura di
S. Puliatti - A. Sanguinetti, Milano 2000, 61 ss.; F. Zuccotti, Il giuramento nel mondo giuridico e religioso
antico. Elementi per uno studio comparatistico, Milano 2000, 99. Cfr.
anche E. Nardi,
Scritture ‘terribili’, in Studi in onore di C. Sanfilippo, II,
Milano 1982, 431 ss., e C.M.A. Rinolfi, Il
giuramento dei chierici fra diritto romano e diritto canonico, in Diritto@Storia 11,
2013 (http://www.dirittoestoria.it/11/tradizione/Rinolfi-Giuramento-chierici-diritto-romano-diritto-canonico.htm).
[109] Sul personaggio vedi: J.R. Martindale, v. Petrus qui et Barsymes 9, in
The Prosopography of the Later Roman Empire, III.B. A.D. 527-641, Cambridge
1992, 999 ss.; E. Sciandrello, Petrus (qui et) Barsymes, in Edicta praefectorum
praetorio, cit., 183 s.
[111] In materia si deve ricordare la suggestiva tesi di J.-M. Carrié, Les métiers de la
banque entre public et privé (IVe-VIIe siècle), cit., 89 ss., il quale
distingue gli zygostatai istituiti da
Giuliano dai funzionari citati dall’editto giustinianeo, identificati dall’A.
come «des agents financiers provinciaux, siégeant
au chef-lieu de chaque éparchie».
[112] Seguono questa traduzione, ad es.: Th. Mommsen, Histoire de la monnaie romaine, III, cit., 67 nt. 1; R.
Bonini, Studi sull’età
giustinianea, cit., 75.
[113] Così, ad es.: R.
Bogaert, La Banque en Égypte
Byzantine, cit., 96 s. nt. 70, il
quale solleva alcuni problemi testuali: «les juristes de Constantinople,
qui ne connaissaient probablement pas la spécificité des chrysônai, qui
ne sont connus qu’en Égypte, ni l’origine du mot χρυσ-ωνη-ς, dont le génitif et l’accusatif pluriels
ont la même désinence que le mot χρυσών, se sont trompés de désinence,
de même que les traducteurs, voyant que le mot était accouplé à ζυγοστάται, peseurs de monnaies d’or,
connus dans tout l’Empire, ont dû penser qu’il s’agissait de monnayeurs»; A. Filocamo, Economia e fiscalità nell’Egitto bizantino. L’Editto
XI di Giustiniano, obryza e apolyton charagma, in Polis. Studi interdisciplinari sul mondo antico 3, 2010, 201; Id., Politiche
monetarie e fraus monetae nella
legislazione del tardo impero, cit., 133.
[114] In tal
senso vedi, ad esempio: M.F. Hendy, Studies in the
Byzantine Monetary Economy, c. 300-1450,
Cambridge 1985, 355, il quale parla genericamente di «Alexandrian officials»; R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve
siècle, cit., 260, per cui i χρυσώνες erano «les receveurs d’or»; F. Carlà, L’oro nella
tarda antichità: aspetti economici e sociali, cit., 216, secondo il quale
il χρυσός sarebbe un pubblico funzionario proprio dell’Egitto, il
cui compito precipuo era quello di «esattore-riscossore di oro», specificando che «i chrysonai non
risultano in alcuna fonte esercitare mestieri bancari o svolgere un
qualsivoglia ruolo in transazioni private, e la loro responsabilità, come evidenziata
da Giustiniano, deve per forza essersi concretizzata nelle esazioni fiscali»
(232). Vedi anche C. Zuckerman, Du village à l’Empire. Autour
du registre fiscal d’Aphroditô (525/526), Paris 2004, 105, per cui gli zygostatai e i chrysônai richiamati da Giustiniano sarebbero
agenti di cambio «pour le compte des administrations obligées de changer en
cuivre, pour les dépenses courantes, une partie de l’allocation budgétaire en
or destinée au fonctionnement des bureaux». Cfr. L. Mitteis, Griechische Urkunden der
Papyrussammlung zu Leipzig, I, Leipzig
1906, 190 s., il quale parla in termini di «staatliche Aufsicht über die χρυσῶνες (so, nicht χρυσῶναι werden sie dort genannt)» e, pur
sollevando dubbi sul contenuto delle funzioni dei χρυσῶναι, ne rileva il loro rapporto con
attività bancarie.
[115] Ed. 11, praef.: Τὴν παρ' Αἰγυπτίοις λεγομένην ὄβρυζαν τοῖς ἄνωθεν μὲν χρόνοις οὐκ ἐγνωσμένην, ὸλίγῳ δὲ πρόσω ἐναρξαμένην τοῖς ἐπ' Αἰγύπτου συναλλάγμασιν ἐνοχλεῖν καὶ εἰς τοσοῦτον ἀτοπίας ἐκβᾶσαν, ὡς ἐννέα χρυσοῦς ἐφ' ἑκάστῃ παρέχεσθαι λίτρᾳ, πρὸς τὸ λοιπὸν ἀναστεῖλαι καὶ παῦσαι δεῖν ἡγησάμεθα, ὡς ἂν μὴ μέλλῃ καὶ τῷ δημοσίῳ λυμαίνεσθαι καὶ τοῖς τῶν ὑποτελῶν παρενοχλεῖν συναλλάγμασι, μάλιστα ὅτι καὶ τὸ πλεῖστον, ὡς ἔγνωμεν, ἐπ' αὐτῆς μόνης τῆς τῶν Ἀλεξανδρέων ἐξετάθη τὸ τοῦ πράγματος ἄτοπον, οὐχ οὕτω κατ' Αἴγυπτον ἢ τὰς ἄλλας πόλεις τῆς διοικήσεως ἐκείνης τῆς ἐπαρχίας πολιτευόμενον (tr. lat.: «Obrussam
quae apud Aegyptios dicitur prioribus quidem temporibus incognitam, paulo autem
ante contractus in Aegypto turbare exorsam et ad tantam impudentiam progressam,
ut in unamquamque libram novem aurei dentur, in posterum reprimere ac tollere
oportere putavimus, ne et rempublicam laedat et subditorum contractibus molesta
sit, praesertim cum maxime huius rei absurditas, ut cognovimus, in ipsa sola
Alexandria consederit, neque similiter per Aegyptum aut illius provinciae alias
civitates in usum pervenerit»).
[116] Per gli aspetti linguistici rimando a É. Benveniste, Le
terme obryza et la métallurgie de l’or, in Revue de philologie, de littérature et d’histoire
anciennes 27, 1953, 122 ss.
[117] Secondo R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve
siècle, cit., 261, nonostante l’asserzione di Giustiniano «en fait, cette
pratique existait depuis longtemps, mais elle avait dû disparaître quand tous
les monnaies d’or en circulation étaient obryzati,
dont la qualité était garantie et la perte de poids très faible». Invece, secondo A. Filocamo, Economia e fiscalità
nell’Egitto bizantino. L’Editto XI di Giustiniano, obryza e apolyton
charagma, cit., 202, Id., Politiche monetarie e fraus
monetae nella legislazione del tardo
impero, cit., 139, l’affermazione giustinianea «sembra semplicemente un
segno, quasi un lapsus, che rileva le
predilezione di Giustiniano per i tempi antichi».
[118] Vedi, ad es.: Pretr., satyr.
67.6: ... reticulum
aureum, quem ex obrussa esse
dicebat; Plin., nat.
hist. 33.59: Quin immo quo saepius arsit, proficit
ad bonitatem, aurique experimentum ignis est, ut simili colore rubeat
ignescatque et ipsum; obrussam vocant; Svet., Ner. 44.2:
... aurum ad obrussam ...
[119] Vedi, ad es.: C. Th. 7.24.1 (= C. 12.48.1): ... una libra auri solidi septuaginta duo obryziaci ..., del 395; C. Th. 12.6.13: ...
quin solidi ex quocumque titulo congregati, sicut iam pridem praecepimus, in
massam obryzae soliditatemque redintegrentur, del 366; C. Th. 12.6.13: ... auri obryza ..., del 367. Per una lista
di testimonianze papirologiche in cui compare il termine rimando a C. Zuckerman, Du village à l’Empire. Autour du registre fiscal d’Aphroditô (525/526), cit., 105 ss., e F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e
sociali, cit., 231.
[120] Vedi
in tal senso, ad es.: R. Bonini, Studi sull’età giustinianea, cit., 74:
«Questo uso, che ormai si trasfondeva sempre più frequentemente in apposite
clausole contrattuali, presupponeva ovviamente scarsa fiducia nella
corrispondenza tra quanto risultava signatum
nella moneta aurea e il suo effettivo contenuto d’oro»; R. Bogaert, La Banque en Égypte Byzantine, cit., 119: «Obryza signifie essai de l’or et cet essai était fait par le feu. Le mot désigne
aussi le supplément qu’on devait payer pour la perte de poids à l’affinage, et
on trouve ce supplément dans plusieurs comptes».
[121] Così,
ad es.: F. Carlà, L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali,
cit., 220 ss., per cui l’obryza era
«un pagamento supplementare al versamento fiscale, richiesto dagli esattori-verificatori»;
mentre per A. Filocamo, Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero,
cit., 134, si trattava di una tariffa inglobante «la copertura della perdita di
peso delle monete e il compenso per i servizi dei funzionari».
[122] C. Zuckerman, Du village à l’Empire.
Autour du registre fiscal d’Aphroditô (525/526), cit., 105. Ma vedi contra F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti
economici e sociali,
cit., 232 nt. 132.
[123] Così R. Bogaert,
La Banque en Égypte Byzantine, cit., 120: «Il y a certainement eu des
plaintes adressées à l’empereur, qui a réagi en publiant l’Éd. XI».
[124] R. Bonini, Studi sull’età giustinianea, cit., 75:
«la capitale finisce così col fornire, e non soltanto in questo campo, un
rigoroso modello comportamentale, di cui si auspica l’osservanza anche nella
periferia dell’impero».
[125] Ed. 11.1: Θεσπίζομεν
τοίνυν, κατὰ τὸ πάλαι
πολιτευσάμενον,
κἂν εἰ παρὰ τοὺς ἐν μέσῳ παρέφθαρται
χρόνους ἐν τῷ παρὰ Ἀλεξανδρεῦσιν ἀπολύτῳ καλουμένῳ χαράγματι, τὸ κατὰ τὴν Αἰγυπτιακὴν διοίκησιν
πολιτεύεσθαι χρυσίον, οὐ
δυναμένου τινὸς ὑπὲρ τῆς κακῶς ἐπινενοημένης ὀβρύζης ἀπαίτησιν ποιεῖσθαί τινα. 1. Ἀλλὰ καὶ τὸ κατ'
Αἴγυπτον
πολιτευόμενον
χρυσίον οὕτως ἐν τοῖς συναλλάγμασι
συλλογίζεσθαι, ὡς τὸ κατὰ ταύτην τὴν
μεγάλην
χαραττόμενον
πόλιν,
παραφυλαττομένου τούτου
κινδύνῳ τοῦ τε κατὰ
καιρὸν παρὰ Ἀλεξανδρεῦσιν αὐγουσταλίου καὶ τῶν ὑπηρετουμένων αὐτῷ τάξεων (tr.
lat.: «Sancimus igitur, secundum antiquam consuetudinem, etsi per medium tempus in
signatura Alexandrinorum absoluta quae dicitur corrupta est, in Aegyptiaca
dioecesi aurum administrari, ita ut nemo possit pro obrussa male excogitata
quicquam exigere. 1. Sed etiam aurum per Aegyptum usitatum
sic in contractibus computari, ut illud quod in hac magna signatur urbe;
observato hoc periculo eius qui quoque tempore praefectus est apud Alexandrinos
augustalis et quae ei parent cohortium»).
[126] Ed. 11.2: Ἐπειδὴ δὲ κεφάλαιον τοῦ κακουργήματος οἵ τε ζυγοστάται καὶ οἱ χρυσῶνες
τυγχάνουσιν, ἐπετρέψαμεν
τῷ νῦν ἐκείνας ἔχοντι τὰς ἀρχὰς ὑπὸ τῆν
προσήκουσαν αὐτοὺς ἀσφάλειαν
καταστήσασθαι, ὡς δἰ ἀπολύτου χαράγματος ὑπουργήσωσι
τοῖς συναλλάγμασι, καὶ εἴ γε καὶ σφραγίσαι
δέοι ποτέ, τοσοῦτον ἐπιγράψωσι
μόνον, ὅσον ταῖς ἀληθείαις ἐστὶν ὁ τοῦ ταῖς σφραγῖσιν ἐμβληθέντος χρυσίου σταθμός, οὐ δυναμένους
πλέον τοῦ ταῖς ἀληθείαις ἐμβεβλημένου σταθμοῦ ταῖς σφραγῖσιν ἐγγράφειν κατὰ τοῦτο δὴ τὸ κακῶς ἄχρι τοῦδε πολιτευσάμενον. εἰ γάρ τι τοιοῦτο τολμήσουσι, καὶ δημοσίας αὐτῶν τὰς οὐσίας ποιοῦμεν καὶ ταῖς εἰς σῶμα
ποιναῖς ὑποτίθεμεν, ὡς μηδὲ κατὰ κέλευσιν ἡμετέραν τῆς συνήθους
αὐτοῖς
κακουργίας ἐκστάντας. ἀλλὰ καὶ ἀνάγκην ἕξουσι πᾶσαν χορηγεῖν χρυσίον
τοῦτο μὲν τῷ τε παρὰ Ἀλεξανδρεῦσιν αὐγουσταλίῳ καὶ τοῖς
κατὰ καιρὸν ἔχουσι τὴν ἀρχὴν ἐπὶ ταῖς
συνειθισμέναις ἐκπομπαῖς, τοῦτο δὲ τῷ τε νῦν <καὶ τῷ> κατὰ
καιρὸν ἀλαβάρχῃ τῷ τε
πραιποσίτῳ τῶν θείων ἡμῶν θησαυρῶν, οὐδὲν διάφορον ὑπὲρ ὀβρύζης
παντελῶς
κομιζόμενοι (tr. lat.: «Quoniam vero caput
fraudis tam ponderatores quam monetarii sunt, iniunximus illi, qui illos
magistratus nunc sub dispositione habet, ut sub iusta cautione eos constituat;
ut per absolutam signaturam contractibus inserviant et, si quando etiam signare
oporteat, tantum inscribant, quantum revera est auri formis iniecti pondus, nec
liceat eis e more perperam hactenus servato plus inscribere quam revera auri
formis iniecti pondus sit. Si quid enim tale ausi fuerint, et bona eorum
publicamus et corporis poenis eos subicimus, quippe qui ne post nostrum quidem
mandatum de familiari ipsis improbitate destiterint. Sed etiam prorsus necesse
habebunt aurum inferre, tum praefecto apud Alexandrinos augustali et qui quoque
tempore eum magistratum gerunt in consuetis emissionibus, tum alabarchae et qui
nunc est et qui quoque tempore futurus est, et sacrorum nostrorum thesaurorum
praeposito, nullo prorsus pro obrussa accepto lucro»).
[127] Alcuni studiosi hanno considerato la ἀπόλυτον
χάραγμα
come una moneta d’oro a titolo inferiore circolante in Egitto (Ch. Diehl, Une crise monétaire au VIe siècle, in Revue des études grecques 32, 1919, 163; E. Stein, Histoire du Bas-Empire, II. De la disparition de l'Empire
d'Occident à la mort de Justinien (476-565)., Paris-Bruxelles-Amsterdam 1949,
767 s.), mentre secondo R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve
siècle, cit., 260, in età giustinianea ad Alessandria non si coniavano
monete d’oro, e del resto nell’editto «il n’est nullement question de frappe de
monnaies dans l’édit». Altri autori sostengono si
tratti di una moneta enea, alessandrina o egiziana, basata su un sistema
duodecimale: L.C. West-A.C. Johnson, Currency in Roman and
Byzantine Egypt, Amsterdam 1967, 190 s.; K. Maresch, Nomisma und Nomismatia. Beiträge zur Geldgeschichte Ägyptens im 6. Jahrhundert n.
Chr.,
Opladen 1994, 2, 20 ss., 133; R. Bogaert, La Banque en Égypte Byzantine, cit., 119 s.
[128] Vedi specialmente M.F. Hendy, Studies in the Byzantine
Monetary Economy, c. 300-1450, cit., 354: «Apolyton
kharagma (a deriving from the verb apolyein)
is, surely, coinage that has been loosened, released, or discharged from
something. The term applies,
quite simply, to loose, independently circulating, pieces of coin»; le monete, infatti, spiega l’A., circolavano in sacche sigillate
(apokombia) dove il valore era
indicato all’esterno (seguito, ad es., da R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve
siècle, cit., 261, e da A. Filocamo, Economia
e fiscalità nell’Egitto bizantino. L’Editto XI di Giustiniano, obryza e apolyton
charagma, cit., 203 s., Id., Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero,
cit., 10, 135 ss.).
[129] Vedi la traduzione dei passi di F. Carlà (L’oro nella tarda
antichità: aspetti economici e sociali,
cit., 232 s.) dell’Ed. 11.1: «Stabiliamo dunque, sulla base delle disposizioni
legali antiche, anche se sono state alterate dal tempo intercorso, che l’oro
circoli nella diocesi di Egitto nella forma monetaria definita presso gli
Alessandrini “moneta sciolta”, non potendo alcuno effettuare alcuna richiesta a
titolo della malamente inventata obryza», e dell’Ed. 11.2: «E poiché si trovano ad essere vertice del
malaffare gli zygostatai e i chrysonai, ordinammo a colui che ora
ricopre quella carica di porli sotto adeguata sorveglianza, affinché siano di
aiuto agli scambi attraverso la “moneta sciolta”».
[130] Vedi
la trasposizione di A. Filocamo (Economia
e fiscalità nell’Egitto bizantino. L’Editto XI di Giustiniano, obryza e apolyton
charagma, cit., 208) dell’Ed. 11.1: «Ordiniamo dunque che l’oro sia
amministrato nella provincia d’Egitto secondo l’antica consuetudine, sebbene
nel frattempo si sia alterata in quella che dagli Alessandrini è chiamata apolyton
kharagma, in modo che nessuno possa esigere alcunché sotto la forma,
escogitata in mala fede, di obryza»,
e dell’Ed. 11.2: «Poiché invero origine della frode sono tanto gli zygostatai
quanto i chrysonai, ingiungiamo a colui che detiene adesso quelle
magistrature, di mettere costoro sotto la propria sicurezza, affinché rendano
il loro servigio nelle transazioni attraverso l’apolyton kharagma».
[131] Ed. 11.3: Οὕτω δὲ αὐτὸν ἐπετρέψαμεν τοῦ πράγματος προνοεῖν καὶ τοὺς μετ' αὐτὸν τὴν ἀρχὴν παραληψομένους καὶ τὰς πειθομένας αὐτοῖς τάξεις, ὡς εἰδότας, ὅτιπερ εἴ τι φανεῖεν ὑπὲρ ὀβρύζης ἀπαιτηθέντες ἢ οἱ τῶν θείων ἡμῶν προεστῶτες ἀλαβαρχιῶν ἢ ὁ τῶν θείων ἡμῶν λαργιτιόνων πραιπόσιτος, οἴκοθεν καταθήσουσι, τοῦτο μὲν ἐκ τῶν χορηγουμένων αὐτοῖς τε καὶ τάξεσιν ἀννόνων, τοῦτο δὲ τῶν οὐσῶν αὐτοῖς περιουσιῶν, οὐ μόνον ἐφ' ὃσον ἔχονται τῶν ἀρχῶν, ἀλλὰ κἂν εἰ ταύτας καταθέμενοι τύχωσι, καὶ εἴτε γράψαντες ὁμολογίας τούτου τοῦ μέρους ἀντελάβοντο τῆς ἀρχῆς εἴτε καὶ τοιοῦτο μηδὲν ὡμολογηκότες, ἐπεὶ γε μάλιστα μηδὲ ἀρχαῖον τὸ τῆς ὀβρύζης ἐστίν, ἀλλ'
ἐκ νεωτέρων ἀρξάμενον χρόνων. 1. Καὶ τοῖς ἄλλοις δέ, ὅσοι τὰς ἐμπορίας ποιοῦνται καὶ μέχρι νῦν λαμβάνειν τι διάφορον εἰθίσθησαν, προαγορεύσεις ὁμοίως, ὡς εἴ τι φανεῖεν ἐν τοῖς συναλλάγμασιν ὑπὲρ ὀβρύζης λαμβάνοντες ἢ ὑπολογιζόμενοι, καὶ οὐσίας ἔκπτωσιν καὶ τὰς εἰς σῶμα ποινὰς ὑποστήσονται. πρᾶγμα <γὰρ> κακῶς ἀρξάμενον, εἰς τοσοῦτον δὲ προελθὸν καὶ ὅλῳ τῷ πολιτεύματι λυμαινόμενον ὰνασταλῆναι πρὸς τὸν ἔπειτα χρόνον διὰ τοῦ παρόντος ἡμῶν κελεύομεν νόμου καὶ μὴ παρενοχλεῖν λοιπὸν τοῖς συναλλάγμασιν, ἀλλ' οὕτως αὐτὸ παραφυλαχθῆναι κινδύνῳ τοῦ παρὰ Ἀλεξανδρεῦσιν αὐγουσταλίου καὶ τῶν κατὰ καιρὸν τὴν αὐτὴν διοικησόντων ἀρχὴν καὶ τάξεων ἑκατέρων, ὣστε καὶ αὐτὴν αὐτοῦ τῆν μνήμην ἀναιρεθῆναι καὶ ζημίας τοσαύτης ἐλεύθερα εἶναι τὰ κατὰ τὴν Αἰγυπτιακὴν διοίκησιν συναλλάγματα
(tr. lat.: «Ita autem eum iussimus hanc rem curare eosque, qui post eum
magistratum suscepturi sunt, et cohortes iis parentes, ut sciant, si pro
obrussa aut a sacrarum nostrarum alabarchiarum praefectis aut a sacrarum
nostrarum largitionum praeposito quicquam ipsos exegisse manifestum fiat, de
suis se id pensuros esse, tam ex deputatis ipsis et cohortibus annonis, quam ex
facultatibus suis, non solum donec in magistratu fuerint, verum etiam postquam
eum deposuerint, et sive confessionibus scriptis hanc magistratus partem
susceperint sive etiam nihil eiusmodi pacti sint, cum praesertim ne vetusta
quidem sit obrussa, sed a recentioribus exorsa temporibus. 1.
Sed etiam ceteris, quicunque mercaturas faciunt et hactenus lucri aliquid
capere consueverunt, denuntiabis similiter, si quid in contractibus pro obrussa
accipere aut in rationem inducere comperiantur, et bonorum publicationem et
corporis poenas se subituros esse. Rem enim male coeptam, in tantum vero
progressam et universae reipublicae nocentem aboleri in posterum praesenti
nostra lege iubemus, nec posthac contractus turbare, sed ita hoc observari
periculo praefecti apud Alexandrinos augustalis eorumque qui quoque tempore
eundem magistratum gesturi sunt et utriusque cohortis, ut vel ipsa eius memoria
extinguatur et tanto damno contractus in Aegyptiaca dioecesi liberi sint»).
[132] Così A. Filocamo, Economia
e fiscalità nell’Egitto bizantino. L’Editto XI di Giustiniano, obryza e apolyton
charagma, cit., 204, Id., Politiche monetarie e fraus monetae nella legislazione del tardo impero,
cit., 144.
[133] Ed. 11, epilog.: Τὰ τοίνυν παραστάντα ἡμῖν καὶ διὰ τοῦδε τοῦ θείου δηλούμενα νόμου ἡ σὴ ἐνδοξότης ἔργῳ καὶ πέρατι παραδοθῆναι καὶ
παραφυλαχθῆναι προσταξάτω (tr. lat.: «Quae igitur nobis placuerunt et per hanc sacram
declarantur legem, gloria tua operi effectuique tradi et observari iubeto»).
[134] R. Delmaire, Largesses sacrées et res
privata. L’aerarium impérial et son administration du IVe au Ve
siècle, cit., 262.
[136] Come
ha sottolineato M.
De Groote, Zygostatai in Egypt from 363 A.D. onwards.
A papyrological prosopography, cit., 29 s.: «for during the fifth and sixth
centuries, at least, the ζυγοστάται unlawfully extended their competence»;
vedi ancora in materia N. Gonis, A Symmachos on Mission and His Paymaster: P.Herm. 80 Enlarged, cit., 182.
[137] F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e
sociali, cit., 199.
[138] Il pagamento per
mezzo dello zigostate Hermodoros è attestato dalla ricevuta del IV sec. pubblicata in L. Mitteis, Griechische Urkunden der Papyrussammlung zu Leipzig, I, cit., nr. 62, 190 ss. Vedi ancora, ad es., P.Lips. 62, SB XIV 12005.
[139] Rimando in materia a R. Bogaert, L’essai des monnaies dans l’antiquité, cit., 30 ss. (ivi fonti).
[140] Ad es.,
P.Oxy. LXIII 4397 del 545, attestante il deposito di una libbra d’oro presso lo
ζυγοστάτης di Ossirinco (vedi in materia J.-M. Carrié, Solidus et
crédit: qu’est-ce que l’or a pu changer?, cit., 272 s.). Si deve comunque rimandare alle considerazioni di F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e sociali, cit.,
200: «Il fatto che la figura dello zygostates si sovrapponga assai
frequentemente a quella del cambiavalute o del banchiere – dal momento che
conciliare le esigenze del calcolo, della pesatura, della chiusura in sacchi
dei solidi e l’incombenza di operare i cambi valutari non è, evidentemente,
molto complesso – lascia intendere che l’incarico di pesatore fosse affidato
frequentemente a chi già svolgesse un mestiere bancario, e non che l’incarico
includesse anche funzioni di prestito e cambio del denaro».
[141] Analizzano fonti attestanti gli zygostatai in età bizantina, ad esempio: N. Gonis, Five Tax
Receipts From Early Islamic Egypt, in Zeitschrift
für Papyrologie und Epigraphik 143, 2003, 149 ss.; T.M. Hickey, A New
Fragment from the Apion Dossier in New Haven (P.CtYBR inv. 4357), in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik
146, 2004, 165 s.
[142] Vedi sul punto: N. Oikonomidès, Les listes de préséance
byzantines des IXe et Xe siècles,
Paris 1972, 315, per cui in tale contesto lo zygostates era un «contrôleur du poids et de la qualité de la
monnaie impériale; poste unique dans l’empire dès le VIIIe s.»; W. Brandes, Finanzverwaltung in
Krisenzeiten. Untersuchungen zur byzantinischen Administration
im 6.–9. Jahrhundert, Frankfurt am Main 2002, 642 s.; C. Morrisson, Byzantine Money: Its Production and Circulation, in The Economic History of
Byzantium: From the Seventh through the Fifteenth Century, a cura di A.E. Laiou, Washington, D.C. 2002, 913; Ead., Weighing, Measuring, Paying Exchanges in the
Market and the Marketplace, cit., 389 ss.
[144] Benché esuli dal contenuto di questa ricerca, si deve ricordare
come nei resti epigrafici di alcune anfore di età classica la sigla p sia sciolta con il termine ponderator, vedi, ad es. l’iscrizione
rinvenuta a Testaccio risalente all’anno 237, CIL XV.4390: p(ondo) cc ... [a]rk(a) prima, p(onderatore) Euvodo ... Perpetuo et
Cornel[iano cos].
[145] Vedi, ad es.: Chron. Hisp.
saec. XIII 21: Ubi tanta copia auri effundebatur cotidie
quam vix et numeratores et ponderatores
multitudinem denariorum qui neccessarii erant ad expensas poterant
numerare (ed. L.C. Brea, Turnhout 1997); Instit. Cnut. 3.59: sic etiam monetarios et púndaeres vel
ponderatores; et loca iudiciorum ferri aut aquę; proprias mensuras et
pondera ... (ed. F. Liebermann, Halle a. S. 1903, 615).
[146] Rimando, sebbene risalente al XVIII secolo, alla preziosa
ricostruzione di Gio. Targioni Torsetti, Del
Fiorino di Sigillo della Repubblica Fiorentina, in Memorie di varia erudizione della Società Colombaria Fiorentina, 2, Livorno 1752, 127 ss.
[147] Il testo della
provvisione si trova nell’Archivio di Stato di Firenze, Ufficiali della moneta poi maestri di zecca,
899, cc. 1r-6v: Reformatio offitialis
saggi.
[148] Statuta Populi et Communis Florentiae publica
auctoritate collecta castigata & praeposita, anno salutis MCCCCXV, III, Friburgi 1783, liber V, tractatus II, rubr. 36: De electione, et offitio saggiatoris Florenorum auri qui
sigillantur, 47 ss. (reperibile al sito http://digitale.bibliothek.uni-halle.de/vd18/content/titleinfo/5208098). In generale vedi, ad es.: A.
Zorzi, Le fonti normative a Firenze
nel tardo Medioevo. Un bilancio delle edizioni e degli studi, in Statuti della Repubblica fiorentina editi
a cura di Romolo Caggese - Nuova edizione, a cura di G. Pinto - F. Salvestrini - A. Zorzi, I,
Firenze 1999, LIII ss.; G. Biscione,
Statuti del Comune di Firenze
nell’Archivio di Stato. Tradizione archivistica e ordinamenti. Saggio
archivistico e inventario, Roma 2009.
[149] Un giuramento simile si prescriveva anche nel libro 1.31 degli Statuti della Repubblica di Sassari per
gli officiales dessa statea del Comune,
cioè gli addetti all’ufficio dei pesi pubblici per le merci che si vendevano a
peso (... jurent assos sanctos evangelios
de pesare et scrier bene et lealemente, in bona fide, et sensa frodu, tottu et
quantu si hat pertenner assu offitiu insoro ..., ed. V. Finzi, Cagliari
1911, 45 ss.). Intorno a questi Statuti vedi i contributi pubblicati in Gli statuti Sassaresi. Economia, Società,
Istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età Moderna, Atti del convegno di studi, Sassari, 12-14 maggio 1983, a cura di
A. Mattone - M. Tangheroni, Cagliari s.d. (1986).
[150] Difficile sostenere se queste ultime prescrizioni furono
abrogate nel febbraio del 1417, quando, come ha
particolarmente evidenziato L. Tanzini, Statuti e legislazione a Firenze dal 1355 al
1415. Lo Statuto cittadino del 1409, Firenze 2004, 1 s., le disposizioni
degli Statuti del 1415, inerenti agli ufficiali cittadini, furono revocata irrita et annullata (Archivio
di Stato di Firenze, Provvisioni Registri
106, cc. 306v-307r).