Note-&-Rassegne

 

 

Storia generale e storia giuridica: a proposito di ‘Costantino il vincitore’ di Alessandro Barbero[1]

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PAOLO GARBARINO – Università del Piemonte Orientale

Già Rettore della stessa Università (novembre 2004-ottobre 2012)

 

 

 

 

 

 

1. –

In un recentissimo contributo[2] dedicato alla ricostruzione dei principali orientamenti della romanistica italiana tra il 1945 e il 1970, Antonello Calore ha sottolineato il rilievo che ebbe il convegno di Roma del 1963, dedicato a ‘La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche[3] – il primo congresso organizzato dalla Società Italiana di Storia del Diritto – come momento di discussione e di presa di coscienza dei nuovi problemi e delle nuove prospettive che in quegli anni stava ponendo la dimensione ormai solidamente ‘storica’ assunta dagli studi di diritto romano nel nostro paese (e non solo), con il contestuale, e sia pure progressivo, abbandono della tradizionale dimensione dogmatica. Tale processo, accelerato dall’entrata in vigore del BGB all’alba del secolo, era tuttavia maturato soprattutto nel secondo dopoguerra, con l’affacciarsi e il consolidarsi di una nuova generazione di romanisti che, in varia misura e con diversi interessi scientifici, sentivano come problema e insieme come opportunità la più compiuta ‘storicizzazione’ delle ricerche romanistiche e, di conseguenza, ponevano anche il tema del loro rapportarsi con gli studi storico-antichistici strettamente intesi. Antonello Calore opportunamente ricorda come quel convegno rechi traccia significativa della reazione degli storici, per così dire, puri e segnala, in particolare, la posizione di Arnaldo Momigliano, che constatava il venir meno della distinzione tradizionale tra la «storia dei giuristi» e la «storia degli storici» e auspicava «la fine della storia del diritto come branca autonoma della ricerca storica»[4].

L’auspicio – che insieme era una constatazione – di Momigliano non si è (non ancora?) realizzato per tanti motivi, non ultimo per il persistere di una specificità anche tecnica delle ricerche romanistiche e per la loro permanenza (ancora per quanto tempo?) nei percorsi formativi dei giuristi[5], ma non vi è dubbio che ormai da tempo le dinamiche sociali, o politico-sociali, sottese al fenomeno giuridico e che contribuiscono al suo sviluppo, sono oggetto di costante attenzione da parte dei romanisti e fanno parte cospicua degli strumenti d’analisi da loro utilizzati. Qui vorrei però sottolineare che la posizione (o la provocazione) di Momigliano era anche conseguenza di una sua altrettanto costante attenzione alle fonti giuridiche come componenti essenziali della ricerca storica: in particolare i suoi studi sul tardoantico – come, del resto, dopo di lui, le ricerche di tanti altri storici – si sono sempre confrontati soprattutto con il Codice Teodosiano, come preziosa e imprescindibile testimonianza dei problemi economici e sociali di quell’età così complessa e, allo stesso tempo, così decisiva. A distanza di più di cinquant’anni da quelle parole, si assiste ormai a una diffusa attenzione da parte dei romanisti per le ricerche dei colleghi antichisti, mentre non mi sembra che accada il contrario, o almeno non accade con la frequenza che forse ci si aspetterebbe, dato l’oggettivo avvicinamento di sensibilità e di metodo tra le due categorie di studiosi: spesso (per non dire quasi sempre) le ricerche romanistiche rimangono confinate nel ristretto spazio degli specialisti, in quella sorta di cantiere – per usare una efficace metafora – in cui i non addetti ai lavori, siano essi giuristi siano storici puri, non entrano anche se non vi è alcun cartello di divieto. È certo invece che si è mantenuta, ed anzi si è rafforzata, l’attenzione per le fonti giuridiche da parte degli storici puri.  Il dato è di tangibile evidenza nel campo degli studi tardoantichi – che io stesso prevalentemente coltivo –, soprattutto per quanto attiene al Codice Teodosiano, assunto però in tanti casi come mero contenitore di ‘materiale’ anche solo utile per la ricostruzione di problemi o aspetti della storia sociale ed economica dell’impero tardo. In questa prospettiva, pur legittima, sfuma però largamente, o viene del tutto dimenticato, il dato specificamente giuridico testimoniato dal suddetto ‘materiale’, come se la sua giuridicità, formale e sostanziale, non avesse alcun rilievo o non comportasse alcun problema interpretativo o comunque non fosse indispensabile tenerne conto per comprendere la reale portata sociale ed economica del materiale medesimo. Credo che la carenza di attenzione verso gli studi romanistici, che mi è parso di poter rilevare, contribuisca in maniera determinante a questo approccio, per così dire, semplificato alle fonti giuridiche, con la conseguenza – a mio giudizio – di rendere il loro impiego nelle ricostruzioni storiche non così analitico e fecondo come sarebbe auspicabile (e talora, purtroppo, generico e superficiale).

 

 

2. –

Questa premessa ha lo scopo di meglio comprendere la novità costituita dalla recente pubblicazione del corposo volume su Costantino ad opera di Alessandro Barbero. Come è a tutti noto, Barbero è uno storico del Medioevo – conosciuto anche per la sua valida presenza televisiva nei programmi di storia –, che si è dedicato spesso anche a ricerche sul mondo tardoantico, occupandosi in particolare dell’incontro/scontro tra barbari e impero romano[6]. Frutto di questo interesse tardoantichistico – che contrassegna una sorta di percorso a ritroso dal Medioevo alla ricerca delle sue radici romane – è appunto il volume qui presentato.

Occorre subito dire che il libro affronta in tutta la sua vasta complessità e problematicità la figura dell’imperatore Costantino con un approccio programmatico assai significativo: a fronte delle tante, troppe, interpretazioni di/ o ipotesi su/ questo imperatore, per Barbero occorre ritornare alle fonti: «presentare separatamente le tante fonti che ci parlano di lui…, parafrasando da cima a fondo quelle a carattere narrativo, per evitare che uno stralcio decontestualizzato si presti a una ricostruzione implausibile, e segnalando tutte le incertezze interpretative e i dibattiti storiografici che ogni fonte ha sollevato» (p. 16). Questo programma comprende – e ciò è di fondamentale importanza in questa sede – anche le fonti giuridiche, la cui rilevanza è ben sottolineata dall’Autore: «l’enorme corpus delle leggi promulgate durante il suo regno…merita un’attenzione molto maggiore di quella che gli riservano di solito le biografie dell’imperatore» (sempre a p. 16). Questa specifica attenzione alle fonti giuridiche costituisce una sostanziale novità: Barbero non si occupa delle costituzioni di Costantino in modo occasionale e/o di contorno, a rafforzamento di proprie tesi o per smentire tesi altrui, o per illustrare un singolo momento o un singolo passaggio della vicenda politica dell’imperatore; egli le pone sullo stesso piano delle altre tante fonti che abitualmente sono utilizzate dagli storici puri (dai panegirici alle opere di Eusebio, dalle storie scritte a distanza di anni o di decenni dalla sua morte alle fonti archeologiche o numismatiche e così via), come componente essenziale – al pari delle altre – per tentare di conoscere Costantino o per constatare, che ognuna di queste fonti presenta un Costantino diverso, molteplice, ricco di contraddizioni spesso inconciliabili.

Si spiega così la struttura del libro, che è diviso in quattro grandi parti, ciascuna scandita da capitoli dedicati a una precisa tipologia di fonti o anche ad una fonte singola. Così la prima parte (pp. 23- 233), intitolata in modo suggestivo ‘Adulatori e ideologi’, comprende i capitoli dedicati ai panegirici latini, alla ‘Storiografia del 312’ (con la ricostruzione di quell’anno cruciale attraverso la testimonianza del De mortibus persecutorum di Lattanzio e dell’Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea), ai Carmina di Publilio Optaziano Porfirio, alla Vita Constantini di Eusebio. La parte seconda (pp. 237-350) si occupa delle testimonianze materiali, con capitoli sulle fonti numismatiche, su quelle epigrafiche, sull’arco di Costantino, sulle basiliche costantiniane. Segue la parte terza (pp.353-470), in cui sono trattate le dispute teologiche e le c.d. ‘lettere di Costantino’, tramandate da autori ecclesiastici, divisa in due grandi capitoli, l’uno dedicato alla questione donatista e l’altro all’arianesimo e ai conseguenti problematici rapporti con Atanasio. La parte quarta (pp. 473-669), di quasi ben duecento pagine, è tutta dedicata alla legislazione di Costantino. È senz’altro una rilevante novità nell’ambito degli studi costantiniani e ne tratterò più estesamente fra breve. La quinta ed ultima parte (pp. 673-758), intitolata ‘I posteri’, esamina le notizie e i giudizi su Costantino che si possono rintracciare nella storiografia antica successiva alla morte dell’imperatore, distinguendo il ‘ricordo a breve termine’ (Prassagora, l’Origo Constantini, Aurelio Vittore, il Panegirico di Costanzo di Libanio e i panegirici di Giuliano per Costanzo II), dalle fonti temporalmente meno vicine (tra le altre, lo stesso Giuliano divenuto imperatore, ancora Libanio, Eutropio, l’Epitome de Caesaribus, la prospettiva cristiana di padri come Gerolamo o Giovanni Crisostomo), per concludere con un ultimo capitolo in cui è esaminata la testimonianza, suggestiva e problematica, di Zosimo. Gli indici finali della bibliografia (pp. 763-824) e dei nomi (pp. 825-841) – complessivamente quasi ottanta pagine – mostrano, se pure ve ne fosse bisogno, l’ampiezza e accuratezza dell’analisi critica e l’approfondimento condotto sulle fonti antiche (Barbero esamina praticamente tutte le fonti in cui ci siano riferimenti a Costantino), anche attraverso il costante confronto con la letteratura sterminata che si è occupata dell’imperatore.

Come sopra notato, Barbero dedica una parte a sé stante, di ben duecento pagine, alla legislazione costantiniana. Si tratta – è bene precisarlo - di una vera e propria monografia nella monografia. Ora, ad oggi non esiste una monografia di un romanista che si occupi espressamente ed esclusivamente dell’attività normativa di Costantino. In verità, il genere letterario delle monografie dedicate alla produzione normativa di un singolo imperatore è poco praticato dai romanisti e comunque nessuna opera del genere è stata dedicata a Costantino. Alcune, pur importanti, monografie, dovute una a Manlio Sargenti (sul diritto di famiglia e delle persone)[7], e le altre quattro a Clemence Dupont – la prima in ordine di tempo sul diritto delle persone, due sul diritto penale (rispettivamente sui reati e sulle pene), la quarta sulla regolamentazione economica –[8], affrontano indagini pur sempre settoriali e non presentano un quadro d’insieme della produzione legislativa dell’imperatore; inoltre esse sono state pubblicate tra il 1937 e il 1963, e pur costituendo per molti versi tuttora un punto di riferimento, sono per qualche aspetto ormai superate, giacché a partire soprattutto dagli anni settanta del secolo scorso sono apparsi numerosissimi contributi sulla legislazione di Costantino[9], scritti dai romanisti anche sulla scia del rinnovato interesse per il diritto tardoantico (una vera e propria ri/scoperta), numerosissimi contributi, che sono stati anche favoriti, tra l’altro, dalla meritoria opera dell’Accademia Costantiniana e dei convegni da essa periodicamente organizzati a Spello e Perugia.

 

 

3. –

Credo che le osservazioni che precedono confermino il rilievo che il libro di Barbero assume anche nel campo degli studi di storia giuridica: colmando la lacuna segnalata, la monografia nella monografia, come l’ho sopra definita, dedicata alla legislazione costantiniana, costituisce in effetti un quid unicum[10], che consente di avere uno sguardo ragionato e completo sull’insieme della normativa di questo imperatore (oltre 300 costituzioni: le stime più attendibili vanno da 330 a 361)[11]. L’analisi è condotta con una costante e minuziosa considerazione dei testi che ci sono stati tramandati dalle fonti, in primis dal Codice Teodosiano, ma è posta la dovuta attenzione, per i temi più strettamente religiosi, ai testi riportati dai Padri della Chiesa, soprattutto Eusebio, con tutte le cautele che il loro impiego comporta. Come si sa, la stragrande maggioranza delle testimonianze normative costantiniane ci è stata tramandata dal Codice Teodosiano, una raccolta difficile da maneggiare in un’ottica di ricostruzione storica: i compilatori hanno conservato solo la parte direttamente precettiva dei testi normativi, eliminando le parti introduttive e conclusive – che erano sicuramente presenti in molti degli originali –,  nelle quali spesso la cancelleria richiamava le motivazioni o le circostanze che avevano suggerito l’emanazione della nuova costituzione; proprio quelle parti cioè che potrebbero suscitare maggiore interesse per lo storico orientato a ricostruire le scelte di politica sociale od economica o a anche religiosa dell’imperatore, al di là degli aspetti strettamente tecnico-giuridici. Inoltre la datazione delle costituzioni conservate nel Teodosiano, in particolare proprio quelle di Costantino, è alquanto incerta, sia per la tradizione manoscritta lacunosa sia per errori compiuti dai compilatori. Vi è un’ampia letteratura che cerca di controllare l’esattezza delle datazioni e correggerle, ove sia il caso. Questo non è un punto secondario per una ricerca, come quella di Barbero, che si prefigge anche di tentare di ricostruire le vicende storiche e le scelte religiose di Costantino tenendo minuziosamente conto delle scansioni temporali. Ebbene, l’approccio di Barbero è tecnicamente ferratissimo[12]: attento anche ai più minuziosi problemi di datazione o di collocazione geografica, essenziali del resto per i suoi propositi ricostruttivi, e anche agli aspetti più strettamente testuali: il latino in cui sono redatti questi testi normativi è spesso poco chiaro (per usare un eufemismo), contorto, allusivo, media tra le tecnicità del linguaggio giuridico ereditato dal passato e la necessità di comunicare nuove idee, anche solo a fini propagandistici, con ampia apertura a tecniche o frasari retorici piuttosto inusuali nel lessico giuridico tradizionale. Barbero si muove con scioltezza, sempre in modo equilibrato e persuasivo, sempre attenendosi puntualmente al testo, senza farsi influenzare più di tanto dalle precedenti interpretazioni – che pure conosce e su cui prende posizione anche critica –, con una lettura che fa vedere quasi sotto nuova veste il contenuto della legislazione di Costantino e che sicuramente in molti casi contribuirà a rinnovare l’attenzione degli specialisti.

 

 

4. –

Va segnalato l’impianto sistematico. La parte dedicata alla ‘Legislazione di Costantino’, dopo l’introduzione (pp. 473-482), è divisa in sette capitoli: ‘Riordinare la società, costruire il consenso’ (pp. 483-519); ‘Tutelare la proprietà’ (pp. 520-541); ‘Rendere più efficiente lo stato’ (pp. 542-572); ‘Riformare la giustizia’ (pp. 573-600); ‘Moralizzare la famiglia’ (pp. 601-640); ‘Cristianizzare la società?’ (pp. 641-669), quest’ultimo titolo con un punto interrogativo significativo e, per me, condivisibilissimo. Si tratta di una sistematica lontana dalle usuali categorie giuridiche, ma che ha il merito, proprio allontanandosi da queste ultime, di denotare con chiarezza ed efficacia il percorso interpretativo che Barbero ha compiuto leggendo, da storico, le costituzioni costantiniane. Viene così tracciato un quadro dell’impatto sociale ed economico della normativa (realmente ottenuto o anche soltanto sperato), che ha il vantaggio di calarla nella realtà storica del tempo, sottraendola a interpretazioni dipendenti, in tutto o in parte, da schematizzazioni astratte di matrice moderna e dogmatica. Va detto però che questa impostazione ha anche un inconveniente, piuttosto chiaro se si usano gli ‘occhiali del giurista’: appiattire sulla sola dimensione temporale del regno di Costantino interventi normativi – soprattutto le innovazioni –, che, per essere compresi, andrebbero anche letti tenendo conto delle dinamiche di lungo periodo della storia giuridica. Non posso qui procedere ad un’analisi particolareggiata delle proposte interpretative avanzate da Barbero; dirò fra breve dei problemi posti in particolare dal tema delle fonti del diritto. Segnalo qui solo due riforme costantiniane – non appariscenti, forse perché piuttosto ‘tecniche’ e settoriali –, peraltro del tutto correttamente menzionate nel libro, che non sono però solo significative in quel preciso frangente storico, ma che hanno anche avuto esiti di lunghissima durata, che in parte perdurano: si tratta del divieto di patto commissorio[13] (ancora oggi presente nel nostro Codice Civile) e del divieto di patto di quota lite[14] (oggi caduto sulla spinta del modello anglosassone). Prenderli in considerazione per il ruolo, che essi hanno avuto nella storia giuridica di lungo periodo, consentirebbe, a mio parere, di cogliere meglio la loro struttura e la loro funzione giuridica (o, meglio, le loro funzioni giuridiche via via svolte nel corso dei secoli), tuttora perduranti. Ma si tratta di una prospettiva tecnico-giuridica in senso stretto e non averla percorsa – qui come in altri casi – non può certo essere imputato a chi giurista non è, e nulla toglie alla precisione e attendibilità storica del quadro ricostruttivo proposto. Semmai se ne può ricavare la conferma che in materie come la storia giuridica è utilissima, e in taluni casi indispensabile, la collaborazione, anche a distanza, tra chi ha competenze diverse, tra il romanista e lo storico, tra il giurista storico e lo storico dei fenomeni sociali ed economici.

 

 

5. –

Non posso ovviamente seguire in modo minuzioso tutte le ricostruzioni e i suggerimenti interpretativi di Barbero. Vorrei soltanto presentare qualche osservazione generale sul giudizio che egli dà di Costantino ‘legislatore’, che a me sembra sostanzialmente concordare con quello complessivo che l’A. dà sull’imperatore (su Costantino il Vincitore). La domanda che si pone è se, e in che misura, Costantino sia stato un innovatore nel campo giuridico. La risposta è piuttosto sfumata e dipendente dai vari campi in cui si esplicarono gli interventi legislativi dell’imperatore; inoltre in taluni casi Barbero riconosce che sono necessarie ulteriori ricerche per poter dare un giudizio più solido ed approfondito. Ad esempio, per l’A. appare assai significativa la frequenza e sistematicità con cui Costantino tutela gli interessi dei possessori di fondi demaniali[15]: si tratterebbe di una vera e propria politica di concessione di benefici, che potrebbe essere letta come «fondamento essenziale del potere imperiale» (p. 667), in significativa analogia con quanto accadrà nel Medioevo. In questo caso appare evidente la necessità di riesaminare il problema del fondamento del potere imperiale alla luce di questa interessante ipotesi, per cercare di comprendere se questo profilo di continuità effettivamente sussista oppure se si tratta di due fenomeni – quello tardoantico e quello medievale – da tener distinti, senza che fra essi vi sia effettiva continuità. Di rilievo – e mi pare condivisibile – l’osservazione che, contrariamente da quanto risulta da fonti a lui ostili, le sue misure di politica fiscale non siano state affatto vessatorie nei confronti dei contribuenti, ma piuttosto rivolte a proteggerli nei confronti di un apparato di riscossione oppressivo e corrotto[16]. Peraltro la legislazione che vincola i decurioni alle loro curie municipali[17] per Barbero è «insistita, minuziosa e feroce» (p. 667), il che pare compensare la tendenza lassista in campo tributario, posto che sui decurioni pesavano gravosi oneri di vario genere, anche e soprattutto fiscale, senza l’espletamento dei quali le città rischiavano di declinare rapidamente.

Nel campo del diritto privato mi sembra assai stimolante il raccordo che Barbero propone tra le misure a tutela della proprietà (in particolare le leggi contro le usurpazioni e le invasioni di fondi)[18] e gli interventi legislativi sulla famiglia (in difesa dei minori e delle madri, quelli contro il concubinato, o la stessa disciplina in tema di donazioni e di testamenti)[19], segnalando il contenuto di novità che essi contengono[20]. Ma proprio in tema di famiglia, l’A. ritiene che la legislazione di Costantino non sia da considerarsi davvero innovativa: come nel caso della religione – accostata in questa prospettiva proprio alle tematiche familiari – le novità, pur evidentemente presenti e di grande rilievo, sono controbilanciate dall’intento di «consolidare e moralizzare la famiglia tradizionale, rafforzando il vincolo matrimoniale, i diritti ereditari degli agnati, l’autorità del pater familias» (p. 668) e così via. Ne esce un giudizio, come già anticipato, piuttosto sfumato e interlocutorio, in cui Costantino appare meno innovatore o ‘rivoluzionario’, di quanto spesso si pensi. Non a caso Barbero per definire Costantino sceglie l’epiteto di ‘vincitore’[21], ponendo così l’accento sul suo oggettivo successo nella scalata al potere imperiale con l’intento di esercitarlo senza condividerlo con altri: viene così omesso il riferimento al carattere appunto ‘rivoluzionario’ di questo imperatore, che è la connotazione che lo ha più spesso accompagnato a partire dal famoso giudizio di Ammiano Marcellino.

 

 

6. –

A me pare, tuttavia, che questo giudizio sul regno di Costantino, che in sostanza ne ridimensiona il carattere di novità, non possa essere condiviso su un aspetto fondamentale della politica legislativa dell’imperatore: i modi di produzione del diritto. Si tratta di un aspetto ben noto ai romanisti e la cui rilevanza, forse, non è colta nella giusta dimensione dagli storici puri, proprio per la loro diversa modalità di approccio alla materia. In proposito è eloquente il confronto con Diocleziano: secondo una attendibile ricostruzione, di Diocleziano sono stati conservati 1200 rescritti, di Costantino solo una decina[22]. Questo dato va ovviamente interpretato e in materia si è sviluppata, tra gli studiosi, una discussione tuttora aperta[23]. È possibile che esso dipenda anche dalla scelta dei compilatori teodosiani che hanno deciso di raccogliere nel loro Codice soltanto costituzioni generali[24]. A me pare tuttavia che questa centralità, o meglio esclusività, nel Codice Teodosiano, della lex generalis rispetto al rescritto quale fonte normativa, non possa che essere l’esito di un mutamento profondo nel sistema delle fonti del diritto, che risale a ben prima del regno di Teodosio II[25]. Lo iato rispetto a un sistema di fonti incentrato sul rescritto imperiale, anziché sulla costituzione generale, non è dovuto, a mio giudizio, alla scelta teodosiana. Le testimonianze che riconducono il cambiamento – direi, anzi, il rovesciamento di posizioni rispetto al regno di Diocleziano – proprio al regno di Costantino mi sembrano inequivocabili, come del resto sostiene una larga parte della dottrina. Il dato numerico di confronto sopra riportato, non è certo ancora decisivo, ma costituisce un non trascurabile indizio. Basta scorrere i numerosi testi legislativi emanati da Costantino, per rendersi conto come la stragrande maggioranza di essi abbia contenuto di lex generalis (anche e soprattutto quelli che introducono significative riforme nel campo del diritto privato) e non a caso l’espressione lex generalis compare per la prima volta in una costituzione costantiniana (CTh. 16.8.3 del 321)[26], pur se si dovrà attendere il V secolo per una specifica regolamentazione del suo uso e della sua efficacia in rapporto ai rescritti[27]. Dunque il modo di produzione del diritto adottato, o almeno preferito, da Costantino si discosta, direi programmaticamente, da quello ancora seguito da Diocleziano. Non che Costantino abbia smesso di emanare rescritti, ma decide che il ruolo determinante ed assorbente nella produzione del diritto sia assunto dalla costituzione imperiale intesa come lex generalis; ne è, tra l’altro, ulteriore significativa riprova la decisione di togliere validità ai rescribta contra ius (CTh.1.2.2, del 315)[28]. A me pare anche che si tratti di qualcosa di più di una generica tendenza. È chiaro che la scelta costantiniana si è affermata e consolidata nel corso del tempo, in tanto in quanto è stata accolta e proseguita dai suoi successori. Ma essa appare ben delineata e consapevole già con Costantino. Alla base vi è, verosimilmente, una più matura e perfezionata (rispetto a Diocleziano) attuazione dei princìpi dell’assolutismo imperiale sul piano della produzione del diritto. Continuare nella prassi che vedeva i rescritti al centro dell’attività imperiale di produzione del diritto, significava lasciare troppo spazio agli interpreti, sia giuristi in senso stretto sia operatori giuridici in senso lato (avvocati, giudici, funzionari amministrativi) nella stessa formazione del diritto. Sullo sfondo, ma non a margine, sta il progressivo venir meno della figura tradizionale del giurista, inteso come intellettuale che, interpretando il ius e interpretando i rescritti del principe, contribuisce in modo determinante alla formazione di nuovo diritto. La concentrazione del potere nelle mani dell’imperatore ha come conseguenza che la stessa produzione del diritto è a lui esclusivamente riservata e che non si lascia più alcun spazio ad un processo di formazione del diritto di tipo extrautoritativo (tranne, entro certi limiti, alla consuetudine), che veda, in particolare, coinvolti come protagonisti i giuristi. Questi ultimi diventano funzionari imperiali, nascosti nell’apparato burocratico – e come tali ufficialmente applicano il diritto non lo ‘interpretano’, e quindi non contribuiscono a ‘crearlo’ – oppure sono professori, e in questa veste hanno solo il compito di spiegare il diritto, non di ‘interpretarlo’ nel senso sopra detto. Il ruolo di creatore e interprete del diritto è riservato all’imperatore, cosicché i rescritti non possono derogare alle leges publicae, come esplicitamente affermato da Costantino in CTh. 1.2.3: Ubi rigorem iuris placare aut lenire specialiter exoramur, id observetur, ut rescribta ante edictum propositum impetrata suam habeant firmitatem, nec rescribto posteriore derogetur priori. Quae vero postea sunt elicita, nullum robur habeant, nisi consentanea sint legibus publicis; maxime cum inter aequitatem iusque interpositam interpretationem, nobis solis et oporteat et liceat[29]. Le motivazioni di questa svolta nel modo di produrre diritto sono molteplici (garantire la certezza del diritto, combattere la corruzione giudiziaria, rafforzare al massimo il potere imperiale): si può parlare in proposito di estrinsecazione dell’assolutismo imperiale sul piano delle fonti del diritto, assolutismo imperiale, che troverà le sue espressioni più lucide nella legislazione di Giustiniano, mentre, significativamente, nella produzione normativa di Costantino non c’è traccia di definizioni del potere imperiale in quanto tale (semmai le dobbiamo rintracciare in autori come Eusebio). Resta però il fatto che questo imperatore fa il passo forse decisivo per abbandonare i vecchi e consolidati schemi che stavano alla base della produzione del diritto ancora con Diocleziano e che vedevano gli interventi imperiali rivolti soprattutto alla soluzione dei casi concreti, attraverso cui porre nuove norme o ribadire le precedenti, e che perciò, nel contempo, presupponevano il lavoro interpretativo della giurisprudenza. Costantino cambia invece direzione e privilegia dunque le costituzioni che dettano norme generali ed astratte, le quali, nell’ottica imperiale, devono essere ‘applicate’ dai sudditi e non già ‘interpretate’. Da questo punto di vista alla fine a me pare  ancora condivisibile il giudizio di Ammiano Marcellino secondo cui Costantino è stato un ’rivoluzionario’, novator turbatorque priscarum legum et moris antiquitus recepti[30].

 

 



 

[1] Questo contributo riprende, rielabora ed amplia le considerazioni che ebbi modo di svolgere in occasione della presentazione al Salone del Libro di Torino 2016 della monografia di A. Barbero, Costantino il vincitore, Roma 2016, 850, con gli interventi dello stesso Autore e di Luciano Canfora.

 

[2] A. Calore, La romanistica italiana dal 1945 al 1970: tra storia e dogmatica, in Storia del diritto e identità disciplinari: tradizioni e prospettive, a cura di Italo Birocchi e Massimo Brutti, Torino 2016, 103 ss.

 

[3] I cui atti furono pubblicati nel 1966: La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, Firenze 1966.

 

[4] A. Calore, op. cit., 133.

 

[5] Cfr. A. Calore, op. loc. citt.

 

[6] Vd., in particolare, A. Barbero, Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano, Roma – Bari 2006; Id., 9 agosto 378. Il giorno dei barbari, Roma - Bari 2007.

 

[7] M. Sargenti, Il diritto privato nella legislazione di Costantino. Persone e famiglia, Milano 1938.

 

[8] C. Dupont, Les constitutions de Constantin et le droit privé au début du IVe siècle. Les personnes, Lille 1937; Ead., Le droit criminel dans les constitutions de Constantin. Les infractions, Lille 1953; Ead., Le droit criminel dans les constitutions de Constantin. Les peine, Lille 1955; Ead., La réglementation économique dans les constitutions de Constantin, Lille 1963.

 

[9] Va segnalato in particolare, perché appartiene al genere monografico qui ricordato, L. De Giovanni, Costantino e il mondo pagano, Napoli 1977.

 

[10] L’attenzione specifica e, come si è detto, monografica, per le fonti giuridiche distingue il lavoro di Barbero da recenti contributi complessivi su Costantino, come, in particolare, l’Enciclopedia costantiniana, nella quale vari saggi, di diversi autori, toccano argomenti di storia del diritto (vd. soprattutto, S. Puliatti, Il diritto prima e dopo Costantino, in Costantino I. Enciclopedia costantiniana, Roma 2013, I, 599 ss.; Id., Il diritto romano tra Oriente e Occidente, ivi, II, 203 ss.; R. Lizzi Testa, Costantino nel Codice Teodosiano, ivi, II, 273 ss. ), senza contare che una ‘enciclopedia’, opera per definizione dovuta a più autori, è, anche dal punto di vista del genere letterario, non confrontabile con il libro di Barbero e con la sua proposta interpretativa della figura dell’imperatore.

 

[11] Vd. 473 s., con indicazioni bibliografiche.

 

[12] Cfr. 473 ss.; Barbero, in particolare, osserva che le difficoltà insite in una fonte così problematica come il Teodosiano possono probabilmente spiegare «come mai esistano pochissimi studi complessivi della legislazione di Costantino» ( 474).

 

[13] Vd. 530.

 

[14] Vd. 575.

 

[15] Vd. 489 ss.

 

[16] Vd. 542 ss.

 

[17] Vd. 551 ss.

 

[18] Vd. 530 ss.

 

[19] Vd. 601 ss., ma anche pp. 520 ss.

 

[20] Vd. 668.

 

[21] Così Barbero, nell’introduzione, spiega in sintesi la scelta dell’appellativo di ‘vincitore’: «questo appellativo che Costantino scelse e volle incorporare nel proprio nome è Victor, o, come appare nelle intestazioni delle lettere trascritte da Eusebio, Niketés. E anche noi lo chiameremo così, come voleva essere chiamato: Costantino il Vincitore» (17).

 

[22] Il dato è riportato da Barbero a p. 475 n. 6, sulla scorta di D. V. Simon, Konstantinisches Kaiserrecht: Studien anhand der Rescriptenpraxis und des Schenkungsrechts, Frankfurt am Main, 1977, 5.

 

[23] Riassume i termini del dibattito scientifico sul punto L. De Giovanni, Istituzioni scienza giuridica codici nel mondotardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, 246 ss., con ampi riferimenti a fonti e dottrina.

 

[24] Così D. Mantovani, Il diritto da Augusto al Theodosianus, in AA. VV., Introduzione alla storia di Roma, Milano 1999, 516 ss.; contra, per esempio, N. Palazzolo, Crisi istituzionale e sistema delle fonti dai Severi a Costantino, in Società romana e impero tardoantico, I, Istituzioni ceti economie (a cura di A. Giardina), Bari 1986, 57 ss.

 

[25] Così anche, N. Palazzolo, op. loc. citt.; più sfumata la posizione di L. De Giovanni, op. loc. citt.

 

[26] Devo questa osservazione a L. De Giovanni, op. cit., 247; la costituzione in oggetto stabilisce che i consigli municipali possano chiamare gli israeliti a far parte delle curie: cunctis ordinibus generali lege concedimus Iudaeos vocari ad curiam.

 

[27] Mi riferisco alla legge occidentale del 426 sulle fonti del diritto, divisa in vari frammenti riportati per lo più dal solo Codice di Giustiniano, uno dei quali, C. 1.14.3, definisce espressamente la lex genaralis: Leges ut generales ab omnibus aequabiliter in posterum observentur, quae vel missa ad venerabilem coetum oratione conduntur vel inserto edicti vocabulo nuncupantur, sive eas nobis spontaneus motus ingesserit sive precatio vel relatio vel lis mota legis occasionem postulaverit. Nam satis est edicti eas nuncupatione censeri vel per omnes populos iudicum programmate divulgari vel expressius contineri, quod principes censuerunt ea, quae in certis negotiis statuta sunt similium quoque causarum fata componere.1. Sed et si generalis lex vocata est vel ad omnes iussa est pertinere, vim obtineat edicti; interlocutionibus, quas in uno negotio iudicantes protulimus vel postea proferemus, non in commune praeiudicantibus, nec his, quae specialiter quibusdam concessa sunt civitatibus vel provinciis vel corporibus, ad generalitatis observantiam pertinentibus.

 

[28] Contra ius rescribta non valeant, quocumque modo fuerint inpetrata. Quod enim publica iura perscribunt, magis sequi iudices debent; mi pare anche significativa la corrispondente interpretatio, che testimonia la più tarda declinazione del principio affermato da Costantino: Quaecumque contra leges fuerint a principibus obtenta, non valeant.

 

[29] Secondo l’edizione del Teodosiano di Mommse (ad h. l.) la costituzione è databile tra il 317 e il 318.

 

[30] Amm. Marc. Hist. 21.10.8.