PER UNA
STORIA DELLE ÉLITES POLITICHE DELLA SARDEGNA CONTEMPORANEA.
I
SENATORI (1848-1943)
Università
di Sassari
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La questione del numero dei senatori sardi. – 3. La provenienza. – 4. La formazione.
– 5. Le professioni. – 6. Gli orientamenti politico-culturali. – 7. L’età di nomina e la permanenza in carica. – 8. Le categorie. – 9. La partecipazione
alle prime fasi del procedimento normativo. – 10. Gli
interventi in aula. – 11. La funzione ispettiva. –
12. La questione assenteismo. – 13. Notabili di alto profilo. – 14. Conclusioni. – Abstract.
Questo contributo si inserisce in una
ricerca più ampia sulle élites politiche della Sardegna contemporanea[1].
La strada sembra ormai aperta per rimettere in discussione l’impressione
comune, che si è affermata senza opportuni approfondimenti, di una classe
politica inadeguata, improduttiva e incompetente. La storiografia più recente,
in linea con i pioneristici studi di Nicola Antonetti e Francesco Soddu, ha
rivalutato in senso positivo i senatori[2].
Romano Ferrari Zumbini è arrivato alla conclusione che «quei senatori – pur
apparendo talora come soci più o meno eccentrici di un club dell’alta
società – delinearono con le loro iniziative (nell’attività di controllo e
legislativa) un organo, il cui ruolo si rivelò meno marginale di quanto si sia
tralaticiamente ritenuto: non erano “rappresentanti” (come i deputati), eppure
furono meno “invalidi” di come li si è spesso raffigurati»[3].
Ancora più positiva la lettura di Fabio Grassi Orsini, il quale ha dimostrato,
dopo un esame completo dei fascicoli dei nominati al laticlavio, che i senatori
avevano un elevato livello culturale; erano personalità di riconosciuto
prestigio sociale, anche e soprattutto grazie ai meriti professionali
conquistati con il lavoro; erano spesso impegnati in attività caritatevoli, nel
campo del mutualismo e della previdenza, e non costituivano una casta ristretta
insensibile al progresso sociale e ai problemi della parte più debole della
popolazione. Se il Senato non fu pienamente, come gli estensori dello Statuto
avrebbero voluto, l’«assemblea dei migliori», si può sostenere però, a giudizio
di Grassi Orsini, che la Camera alta incluse nei suoi ranghi specialmente
personalità di alto profilo[4].
L’approdo a cui la storiografia
nazionale è giunta può valere anche se l’attenzione si concentra sui senatori
nati nell’isola e in qualche misura rappresentanti della Sardegna al Senato?
Allo stato attuale, nonostante il crescente interesse nei confronti della
storia delle élites politiche, non si trovano molti contributi sui
rappresentanti della Sardegna alla Camera alta[5]. In particolare, accanto a penetranti profili biografici o vere e
proprie biografie (come il libro di Antonello Mattone su Giuseppe Manno[6]),
mancano specifici studi sui senatori sardi nel loro insieme[7].
Mi sembrava perciò utile una ricerca che andasse a indagare sulla provenienza,
la formazione, le tendenze culturali e politiche, l’attività svolta in sede
parlamentare e la partecipazione ai lavori del Senato del Regno, al fine di
tracciare un profilo complessivo dei sardi che sedevano nei banchi della Camera
di nomina regia. Certo, considerata la carenza di lavori settoriali e
soprattutto la faticosa ricerca dei dati relativi ai senatori isolani
all’interno di una quantità ingente di carte parlamentari (registri degli
Uffici, registri delle presenze, fascicoli dei disegni di legge, atti
parlamentari e così via), il ricorso a un’équipe di ricercatori forse
sarebbe stata l’ipotesi migliore, ma probabilmente, anche a causa delle
difficoltà insite nella costruzione di una squadra, si sarebbe allontanato nel
tempo l’obiettivo di offrire una prima (e inevitabilmente limitata) analisi,
che tuttavia può aprire la strada per nuovi e più completi approfondimenti.
Dal 1° aprile 1848 al 6 febbraio 1943 prestarono giuramento 2.362
senatori, di questi erano sardi soltanto 34 (in percentuale, appena l’1,4%)[8].
Avrebbero potuto essere 36, perché furono nominati, ma non giurarono, anche
Vincenzo Amat e Giovanni Spano[9].
In termini assoluti, e rimandando a qualche riga sotto il ragionamento
sul rapporto senatori-popolazione, la Sardegna si collocava fra le regioni
dell’Italia meno rappresentate, preceduta dalla Basilicata (32 senatori),
dall’Umbria (31), dal Friuli Venezia Giulia (30), dal Molise (21), dal Trentino
Alto Adige (10) e dalla Valle d’Aosta (2). Tutte regioni che hanno una
superficie molto più piccola della Sardegna, ma soprattutto, e vale in
particolare per alcune, che hanno una storia politico-istituzionale assai
differente. Se si escludessero i rappresentanti dell’isola alla Camera alta del
Parlamento subalpino, il numero totale dei senatori sardi scenderebbe a 27, e
così la Sardegna diventerebbe quart’ultima.
Certo più fattori influirono sulla scarsa numerosità della
componente sarda. Anzitutto il ruolo marginale che la Sardegna ebbe nello
scacchiere della grande politica nazionale rispetto ad altre regioni. Incise,
oltre agli aspetti più generali di ordine socio-economico, anche l’assenza di
leader di alto profilo in grado di influenzare le decisioni del sovrano e le deliberazioni
del Governo. Con un regio decreto del 1850 si stabilì che il Consiglio dei
ministri avrebbe dovuto deliberare sulle nomine dei senatori. La norma assegnò
al Governo un potere che nella prassi aveva già esercitato e manteneva la
prerogativa regia di ratificare la nomina[10].
Gradualmente, ma soprattutto dopo il regio decreto del 1876[11],
sarebbe stato il presidente del Consiglio a conquistare ancora un’influenza
maggiore sulla scelta dei senatori[12]. La
Sardegna, però, non espresse grandi leader di governo per tutta l’età liberale.
Francesco Cocco Ortu, tra i più importanti politici sardi che raggiunsero una
dimensione nazionale, entrò a fare parte dell’esecutivo prima come ministro di
Grazia e giustizia e poi come ministro di Agricoltura, industria e commercio[13]. Nessun
sardo però, dal 1848 al 1943, fu nominato presidente del Consiglio o ministro
dell’Interno.
Una testimonianza, che non può essere utilizzata per certificare
la rilevanza esclusiva del presidente del Consiglio nella scelta dei senatori
sardi ma neppure può essere completamente sottovalutata, si ritrova nelle
pagine del diario di Domenico Farini, presidente del Senato quasi
ininterrottamente dal 1887 al 1898. Il 25 ottobre 1898 Farini riportò il
dialogo con l’allora presidente del Consiglio Luigi Pelloux. Quando le due
cariche dello Stato discussero sulle future nomine, Pelloux propose a Farini il
nome del sardo Salvatore Parpaglia e lui gli rispose: «Fui deputato con lui, è
una brava persona, credo; ma, bada, in Sardegna, che ora ha un solo senatore,
vi ha un vecchio parlamentare che non si può trascurare, il Salaris». Era stato
ufficiale fino dal 1848 nei «cacciatori sardi»; era stato eletto per undici
legislature; era un liberale, insisteva Farini. Ma alla fine il presidente del
Consiglio avrebbe scelto Parpaglia. Francesco Salaris non sarebbe mai diventato
senatore[14].
Non che da parte di diverse personalità della politica sarda
mancassero tentativi di influenzare la scelta dei senatori. Le poche ma
significative lettere rinvenute dimostrano l’esistenza di un’azione propositiva
rivolta a raccomandare uomini politici, amministratori locali, magistrati. Ad
esempio, il deputato sassarese Francesco Pais Serra scrisse a Giovanni
Giolitti, allora alla guida del suo primo Governo, invocando la nomina di
Antonio Campus, consigliere di Cassazione, «persona per rettitudine e integrità
altamente degna di sedere nell’alto consesso»[15].
Giolitti però ignorò completamente la proposta del crispino Pais Serra[16].
Altrettanto fece Vittorio Emanuele Orlando, presidente del Consiglio nel
dicembre 1918, quando ricevette dal deputato sassarese, Francesco Dore,
l’indicazione di nominare l’avvocato Ciriaco Offeddu, presidente del consiglio
provinciale di Sassari, che «alla propaganda per la guerra e per la resistenza
del paese diede, in modo maggiormente straordinariamente encomiabile, tutte le
sue energie»[17]. Non è da sottovalutare,
inoltre, la volontà di influenzare le scelte del presidente del Consiglio
attraverso le autocandidature. Il deputato Antonio Cao Pinna, il 17 aprile
1920, scrisse a Orlando autopromuovendosi per la nomina a senatore:
La
mia aspirazione ad un posto nel Senato – scriveva Cao Pinna – trova fondamento
nei servizi da me prestati come deputato al Parlamento per 27 anni, dei quali
15 come membro della Giunta generale del bilancio (relatore bilancio interni).
Da 43 anni faccio parte del Consiglio provinciale di Cagliari e da 20 anni sono
membro del Consiglio superiore del catasto. Questi titoli sottopongo alla tua
equa attenzione, pregandoti di tener presente che la provincia di Cagliari ha
un solo senatore e che tutti coloro che di detta provincia hanno preso parte
alla vita pubblica possono avere titoli, ma non certo superiori ai miei[18].
L’autocandidatura di Cao Pinna non ottenne subito il successo
sperato. L’avvento del fascismo, tuttavia, non gli precluse la nomina, che
sarebbe arrivata nel 1924, quando in Senato sedevano il veterano Giuseppe
Giordano Apostoli, il professore Carlo Fadda, il fascista, con un passato da
radicale e repubblicano, Filippo Garavetti e il neosenatore Edmondo Sanjust di
Teulada. Così la rappresentanza della Sardegna alla Camera alta raggiungeva le
cinque unità, ottenendo un incremento importante rispetto a poco più di un anno
prima quando i senatori sardi erano appena tre. All’opinione pubblica isolana,
però, sembrava ancora ingiustamente inferiore e sproporzionata in confronto a
quella di altre regioni d’Italia.
La questione del numero dei senatori sardi fu sollevata più
volte dai parlamentari isolani, anche se sempre in modo piuttosto timido e mai
ebbe un’importante eco pubblica in campo nazionale. Il 13 settembre del 1892
Pais Serra scrisse al presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, sostenendo
che «il numero dei sardi non [era] certamente in proporzione a quello dei senatori
delle altre provincie»[19]. Pais
Serra, comunque, consapevolmente o no, evitava di fare riferimento al rapporto
fra popolazione dell’isola e numero dei senatori.
Qualche anno prima, Fedele Lampertico aveva dato alle stampe uno
studio destinato a diventare un riferimento. Nello Statuto e il Senato, il politico e studioso veneto aveva riportato
una tabella con il numero dei senatori (seconda riga) di ogni legislatura in
rapporto alla popolazione delle rispettive regioni (terza riga, rapporto su 100.000
ab.)[20]. La
situazione della Sardegna era la seguente:
Tab. 1. Numero dei senatori sardi in rapporto alla popolazione
Legislatura |
I-III |
IV |
V |
VI |
VII |
VIII |
IX |
X |
XI |
XII |
XIII |
XIV |
XV |
Numero di Senatori |
5 |
4 |
6 |
6 |
5 |
7 |
7 |
7 |
8 |
8 |
6 |
5 |
4 |
Rapporto con la popolazione su 100.000 abitanti |
0,91 |
0,71 |
1,06 |
1,04 |
0,84 |
1,35 |
1,15 |
1,14 |
1,26 |
1,22 |
0,90 |
0,73 |
0,57 |
Secondo i dati elaborati
da Lampertico, per tutte le sette legislature del Regno di Sardegna, l’isola
aveva un numero di senatori, in rapporto alla popolazione, superiore alle altre
regioni di Terraferma[21].
Neppure dall’Unità sino alla XV legislatura, a ben vedere, i sardi avevano
valide motivazioni per lamentare una sottorappresentanza rispetto alle altre
regioni del Regno d’Italia. Ecco la tabella elaborata da Lampertico[22].
Tab. 2. Numero dei
senatori delle regioni italiane in rapporto alla popolazione
Regioni |
Rapporto per 100.000 ab. |
Legislature in cui si ebbe il numero massimo e minimo |
|
Massimo |
Minimo |
||
Piemonte |
2.35 |
1.60 |
IV, X |
Liguria |
3.09 |
1.48 |
IX, I e II |
Sardegna |
1.35 |
0.57 |
VIII, XV |
Lombardia |
1.42 |
1.07 |
IX, VII |
Venezia |
0.82 |
0.56 |
XIII e XIV, X |
Napoli |
0.97 |
0.70 |
XIV, VIII |
Sicilia |
1.52 |
0.94 |
XIII, VIII |
Toscana |
1.84 |
0.87 |
XII, VII |
Modena, Reggio |
0.92 |
0.64 |
XII, IX |
Parma, Piacenza |
1.50 |
0.77 |
XI, IX |
Romagne |
1.91 |
1.04 |
X, VII |
Marche |
0.67 |
0.41 |
VIII, XV |
Umbria |
0.52 |
0.17 |
XIII e XIV, XV |
Roma |
1.31 |
0.86 |
XI, XV |
Stato |
2.13 |
1.07 |
IV,XV |
È invece diversa la conclusione che si può trarre a partire dalle
elaborazioni di Nicola Antonetti, il quale ha calcolato che la percentuale dei
sardi al Senato fu pressoché costante per tutta l’età liberale, poco sotto in
media del 2%[23]. Se questo dato si
raffronta con il rapporto percentuale della popolazione isolana rispetto alla
popolazione di tutto il Regno, rapporto che, come risulta dai censimenti, era
superiore al 2%, si nota che la Sardegna, in realtà, era, seppure di poco,
sempre sottorappresentata.
Tab. 3. Rapporto fra la popolazione dell’Italia e quella della
Sardegna
(Dati
Istat) |
Popolazione
del Regno d’Italia |
Popolazione della
Sardegna |
Rapporto
|
31
dicembre 1861 |
22.176.477 |
609.015 |
2,75% |
31
dicembre 1871 |
27.299.833 |
636.413 |
2,33% |
31
dicembre 1881 |
28.951.546 |
680.450 |
2,35% |
10
febbraio 1901 |
32.963.316 |
795.793 |
2,41% |
10
giugno 1911 |
35.841.563 |
868.181 |
2,42% |
1°
dicembre 1921 |
39.396.757 |
885.467 |
2,25% |
21
aprile 1931 |
41.043.489 |
983.760 |
2,40% |
21
aprile 1936 |
42.389.489 |
1.034.206 |
2,44% |
*Il censimento del 1891 non si tenne per le difficoltà
finanziarie in cui versava lo Stato italiano; quello del 1941 non si svolse a
causa della seconda guerra mondiale.
In definitiva, si possono escludere due ipotesi interpretative:
sia che la Sardegna fosse sempre troppo sottorappresentata sia, al contrario,
che l’isola fosse sempre eccessivamente rappresentata in ogni periodo della
storia del Senato del Regno. E si può anche sostenere che non fu vittima di una
grande ingiustizia né subì un trattamento di particolare favore.
La distribuzione delle nomine durante tutto l’arco del periodo
considerato, al di là del dato che riguarda il Regno di Sardegna, mostra due
picchi. Nell’età della Destra storica e poi ancora nell’età giolittiana si conta,
come si può vedere dalla tabella 5, il maggiore numero di nomine[24]. Non è
forse soltanto un caso: si tratta di due periodi in cui il ceto parlamentare
sardo ha un rilievo non trascurabile nel quadro politico nazionale. Se infatti
si guarda ai più alti incarichi ricoperti dai parlamentari sardi durante l’età
liberale si noterà che negli anni della Destra Giuseppe Manno e Francesco Maria
Serra divennero rispettivamente presidente e vicepresidente del Senato e negli
anni che vanno dal 1901 al 1914 i sardi possono contare su Francesco Cocco Ortu[25].
Tab. 4. Numero dei senatori sardi nominati dal 1848 al 1943
Nomine |
|
Regno di Sardegna
(1848-1960) |
7 |
Età della Destra
storica (1861-1876) |
6 |
Età depretisiana
(1876-1887) |
3 |
Età crispina (1887-1896) |
2 |
Crisi di fine secolo
(1896-1900) |
2 |
Età giolittiana
(1901-1914) |
6 |
Prima Guerra
mondiale (1915-1918) |
1 |
Primo dopoguerra
(1919-1922) |
1 |
Età fascista
(1922-1929) |
3 |
Età fascista
(1930-1943) |
3 |
Incrociando le date di nomina con gli orientamenti politici, si
può osservare come nel primo quindicennio unitario prevalse il reclutamento di
magistrati appartenenti alla destra, mentre durante l’età giolittiana
prevalsero le nomine di professori universitari e avvocati schierati o vicini
alla sinistra[26]. L’età giolittiana si
distingue anche per l’assenza di “tecnici” fra i nominati al laticlavio.
Cagliari era il luogo di nascita del 38% dei senatori sardi, ma
nella capitale dell’isola nel 1861 abitava soltanto il 5,5% della popolazione
sarda e sessant’anni dopo il 7,4%. La
provenienza urbana dei senatori non è dunque proporzionale alla distribuzione
generale della popolazione nel territorio isolano, come è confermato anche dal
dato di Sassari dove, al momento dell’Unità, abitava il 4,2% della popolazione
sarda e l’anno prima della marcia su Roma il 4,9%, mentre la seconda città
della Sardegna diede i natali a quasi il 15% dei senatori[27]. Non si
dispone di un simile calcolo per le altre regioni d’Italia, e quindi non è per
ora possibile avanzare un confronto.
Grafico1. Città e comuni di
nascita dei senatori sardi
La considerazione, forse più ovvia, richiama la relazione che
esisteva fra classi alte, a cui appartenevano (chiaramente) i senatori sardi, e
la dicotomia città/campagna. Anche in un’isola trainata da un’economia
agricola, le città erano storicamente la sede privilegiata dall’élite
dominante, il luogo dove si raccoglieva, e si esercitava, il potere, e in
particolare quello politico. Cagliari, anzitutto, ma anche Sassari aveva
un’élite diversa rispetto a quella delle campagne[28].
Maggiormente interessate alla politica e ai “grandi” avvenimenti dello Stato,
le classi alte cittadine erano proiettate sul campo nazionale. In loro c’era,
anche se in alcuni momenti sembra più appannato e in altri più vivace, un
orientamento politico-culturale che le connetteva ai movimenti e ai partiti,
più in generale alle ideologie che animavano la vita politica. D’altronde,
Cagliari e Sassari erano anche le due città universitarie, e il ruolo degli
atenei nella formazione di una cultura generale, e quindi anche politica, non
va sottovalutato[29]. In fondo, considerata la
scarsissima mobilità sociale, è quasi naturale che gran parte dei senatori
nascesse proprio nelle città. E anche questo forse potrebbe spingere verso
l’ipotesi di un Senato delle élites cittadine.
Per una parte dei senatori sardi il comune di nascita non era né
il luogo principale della formazione né quello della professione. Ciò vale, fra
gli altri, per i militari Gioachino Boyl, Ernesto Presbitero e Giovanni Sechi,
per il diplomatico Salvatore Pes di Villamarina, per il prefetto Giuseppe Campi
Bazan, per i professori universitari Gian Pietro Chironi e Antonio Ponsiglioni,
per i magistrati Giuseppe Musio e Pietro Lissia. Certo si trattava di
professioni che prevedevano una certa mobilità, ma c’è un caso anche tra gli
avvocati. Nella seduta del 4 luglio 1916 la Camera vitalizia commemorò in aula
il senatore sardo Salvatore Parpaglia. Prima intervenne Carlo Fadda e poi
Filippo Garavetti, che in apertura del suo discorso sottolineò che egli era
l’unico senatore sardo residente nell’isola. Anche l’avvocato Giordano
Apostoli, infatti, si era definitivamente trasferito nella capitale, dove,
peraltro, sarebbe stato assessore comunale.
Un dato sembra incontestabile: l’alta formazione era un comune
denominatore dei senatori sardi. La percentuale dei laureati in Giurisprudenza
supera il 60% del totale, dato che conferma come gli studi giuridici
rappresentassero la strada maestra per la formazione della classe dirigente. La
maggior parte dei senatori si era formata nelle Università sarde, ma non mancò
chi scelse la penisola: Fadda, ad esempio, optò per la facoltà di
Giurisprudenza di Torino. Se il titolo di studio non può essere sufficiente per
concludere che i senatori sardi costituissero un’èlite colta, si tratta
comunque di un indizio significativo e non trascurabile, a cui possono sommarsi
altri elementi rivelatori.
Uno di questi è la produzione scientifica dei senatori. I
professori universitari sardi che sedettero nei banchi della Camera alta
appartenevano all’élite accademica. Chironi, Fadda e Loru erano dei
riconosciuti maestri. I primi due, in particolare, lasciarono un segno profondo
nelle rispettive discipline[30]. Un
saggio di Luisa Piccinno dimostra l’importanza dell’opera scientifica del senatore
sardo Antonio Ponsiglioni, «uno dei personaggi di maggior spicco della cultura
economica ligure di fine Ottocento»[31]. Anche
Gavino Scano, che ingiustamente risulta piuttosto trascurato, era una
personalità di un certo rilievo. Professore di diritto penale e procedura
civile e criminale, preside della Facoltà giuridica e rettore dell’Ateneo
cagliaritano per l’anno accademico 1882-1883, Scano esercitò anche la
professione di avvocato e diresse il giornale «Corriere di Sardegna».
La formazione prevalente era sia giuridica che umanistica. Al
diritto si affiancavano la storia, i classici della filosofia, la letteratura.
I casi che si possono richiamare sono numerosi. Il magistrato Giuseppe Manno è
fra gli esempi più emblematici. La sua opera è nota, largamente studiata, e qui
non sembra opportuno soffermarsi su di lui[32]. Vale
la pena ricordare, invece, la formazione di Edmondo Sanjust di Teulada e
Antonio Cao Pinna, che rappresentavano un’eccezione: erano, infatti, laureati
in ingegneria. Il primo, in particolare, ebbe una carriera professionale e
politica di una certa importanza. Lasciò la sua impronta in numerose opere: dal
ponte di ferro sul Flumendosa all’ampliamento dei porti di Bosa, Cagliari,
Carloforte, Tortolì e ai lavori di bonifica di Sanluri. Diventato ingegnere
capo di 1° classe del genio civile di Milano, diresse lì i lavori del Palazzo
delle Poste e diversi interventi idraulici, anche sul fiume Po. Qualche anno
dopo, trasferitosi a Roma, ricevette l’incarico dal sindaco, Ernesto Nathan, di
elaborare il nuovo piano regolatore della città. Il suo lavoro fu largamente
apprezzato. Gli commissionarono progetti simili le amministrazioni comunali di
Albano, Udine, Salerno, Messina, Reggio Calabria[33].
Anche i senatori
militari avevano una formazione diversa rispetto a quella dominante. A parte
Giovanni Antonio Pagliaccio (o Pagliacciù) della Planargia, che apparteneva
alla tradizione settecentesca dei nobili-militari, gli altri tre, Gioachino
Boyl, Ernesto Presbitero e Giovanni Sechi, avevano frequentato le scuole
militari. In particolare Sechi, che fra l’altro divenne ministro della Marina
nel primo e secondo Governo Nitti e nel quinto Governo Giolitti, era anche
docente della Regia accademia navale. Scrisse qualche articolo nella «Rivista
d’Italia e d’America» (Gli Stati Uniti e
il disarmo da Washington a Locarno et ultra), nella «Nuova Antologia» (Il trattato di Locarno e l’equilibrio del
Mediterraneo) e diede alle stampe un manuale in due volumi, Elementi di arte militare marittima[34] per la
formazione degli allievi[35].
Non è stato accertato il titolo di studio di sette senatori, ma
fra questi c’erano personalità di riconosciuta autorevolezza, anche sotto il
profilo culturale[36]. Il
nobile Ignazio Aymerich molto probabilmente non possedeva la laurea. D’altronde,
alla fine del Settecento e nella prima metà dell’Ottocento non era così
scontato che i giovani aristocratici si formassero nelle università statali[37]. In
ogni caso, Aymerich aveva un’alta formazione. Attento alle questioni della
terra, dei trasporti e delle comunicazioni, era un esperto dei problemi
economici che riguardavano la Sardegna. La classe politica al potere lo
considerava un interlocutore privilegiato. Fu autore, fra l’altro, di diverse
opere sulle ferrovie, sulla perequazione dell’imposta prediale, sulla proprietà
fondiaria e sull’agricoltura[38].
La distribuzione delle professioni, sempre all’interno
dell’insieme dei senatori sardi, dimostra la prevalenza dei magistrati (12), in
numero doppio rispetto ai professori universitari, comunque ben rappresentanti,
più che doppio rispetto ai militari e triplo rispetto agli avvocati (assenti,
invece, altre professioni di notevole prestigio sociale, come medici o notai).
Grafico 2. Le professioni dei senatori
È difficile offrire una spiegazione che giustifichi questa netta
prevalenza dei magistrati, se non ricorrendo a considerazioni di carattere generale.
Qualche anno fa Francesco Soddu ha ribadito che la presenza dei magistrati era
considerata «auspicabile» nella Camera alta[39]; ma
ancora prima Pietro Saraceno aveva notato che, se l’ingresso alla Camera dei
deputati era stato ristretto e le leggi elettorali avevano posto precisi limiti
ai magistrati, le porte del Senato rimasero per loro sempre spalancate[40]. In
effetti, ben 6 delle 21 categorie dello Statuto (art. 33) furono riservate ai
magistrati (ordinari, amministrativi e contabili). Inoltre diversi magistrati
vennero nominati per altre categorie. È il caso, ad esempio, dei senatori
sardi, Giuseppe Grixoni e Pietro Lissia, rispettivamente giudice della Reale
Udienza di Cagliari e consigliere di Stato, entrambi nominati nella 3a
categoria (i deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio), e di
Nicola Pasella, presidente di sezione della Corte d’appello di Ancona ma
nominato nella 16 categoria (i membri dei Consigli di Divisione, dopo tre
elezioni alla loro presidenza)[41].
Quasi due terzi dei senatori sardi, e precisamente 22 su 34,
avevano ricoperto un incarico politico già prima della nomina. Gli ex-deputati
(17) erano il gruppo più numeroso e più o meno omogeneamente distribuito. Sia
durante l’età della Destra storica sia durante l’età giolittiana, infatti,
cinque senatori su sei erano ex-deputati (dal 1861 al 1876: Boyl, Falqui Pes,
Grixoni, Serra[42], Siotto Pintor; dal 1901
al 1914: Chironi, Garavetti, Giordano Apostoli, Ponsiglioni, Solinas Apostoli).
Avevano invece ricoperto la carica di sindaco: Ignazio Aymerich, sindaco di
Laconi, Salvatore Parpaglia, sindaco di Oristano, Giampietro Chironi, sindaco
di Torino, Nicola Pasella e Filippo Garavetti, sindaci di Sassari.
Evidentemente questi dati spingono più verso l’interpretazione di una componente
sarda politicizzata, direttamente partecipe o comunque coinvolta nel dibattito
politico del tempo, piuttosto che verso l’ipotesi di una componente «tecnica»,
poco attenta agli equilibri in gioco nel Parlamento del Regno.
Grafico 3. Cariche politiche e amministrative ricoperte dai
senatori sardi
Al dato dei funzionari pubblici (grafico 2), volendo comprendere
l’incidenza della burocrazia[43], si può
aggiungere almeno un altro elemento, rappresentato dall’unico prefetto della
componente sarda, Giuseppe Campi Bazan. Nato nel 1817, aveva cominciato la sua
carriera in giovane età come commissario governativo della provincia di Reggio
Emilia (Cavour lo stimava particolarmente). Fu poi promosso prefetto di Ascoli
Piceno, e quindi passò a Macerata, Forlì, Bari, Pavia, Verona e Parma. Durante
il periodo trascorso alla guida della prefettura di Forlì si impegnò nella
realizzazione di un’opera, intitolata Monografia
statistica, economica, amministrativa della provincia di Forlì[44], che si
inseriva nelle trattazioni compiute dai prefetti per illustrare, seguendo un
approccio quantitativo, la realtà della provincia[45].
La componente sarda nel suo complesso non si caratterizzava per
essere una proiezione della nobiltà di origine feudale. In una società quasi
esclusivamente agricola si conservavano sostanzialmente inalterati il prestigio
e il potere dei grandi proprietari terrieri discendenti dalle famiglie
baronali. Nella Sardegna dell’Ottocento la nobiltà era il nucleo dell’élite
economica e sociale isolana[46]. Eppure
al momento della nomina esibirono titoli nobiliari 17 senatori, 9 dichiararono
di non essere nobili, gli altri 8 non presentarono titoli nobiliari[47]. In
linea con un andamento del Senato nel suo insieme (la percentuale dei nobili,
in un primo momento più consistente, poi si attenua[48]), si
registra una tendenza decrescente dei senatori sardi con titoli nobiliari: nel
1848 erano nobili 4 su 5, al momento dell’Unità 5 su 7, mentre all’avvento del
fascismo solo 1 su 5.
Ricostruire i gradi di
parentela dei senatori sardi richiede una lunga attività di scavo, tuttavia,
non sembra evidente l’esistenza di “grandi dinastie”, cioè di famiglie a
vocazione politica rappresentate con continuità alla Camera alta. Secondo
Antonio Ponsiglioni, il Governo si trovava in difficoltà nella scelta dei sardi
da nominare, «non potendo, si può quasi dirlo in modo assoluto, ricorrere alla categoria
del censo dopo lo sfacelo degli antichi patrimoni nobiliari e la mancanza della
grande industria»[49]. In
realtà, sembra che il Governo nella ricerca dei candidati al laticlavio
valutasse, ancor prima della famiglia di appartenenza, dell’estrazione sociale
o della ricchezza materiale, la cultura politica e l’orientamento “partitico”,
la fedeltà alla monarchia e al sistema liberale. In alcuni periodi, come ad
esempio negli anni del primo dopoguerra, la valutazione tenne conto soprattutto
dei meriti patriottici e delle imprese compiute durante il triennio bellico[50]. Nel
1917, infatti, divenne senatore Ernesto Presbitero, viceammiraglio
pluridecorato, con all’attivo un ruolo importante nella campagna d’Africa, in
estremo oriente, nella guerra italo-turca e nella prima guerra mondiale[51]. Nel
1919, come si è detto, sarebbe diventato senatore Giovanni Sechi,
controammiraglio anch’egli pluridecorato.
I senatori sardi della generazione del Risorgimento erano
espressione fedele della cultura dominante dell’epoca. Essi parteciparono al
maturare delle idee liberali, portando alla Camera alta la visione di una
società essenzialmente rurale, scrupolosa nel rispetto del diritto di
proprietà, attenta all’instaurazione del regime di libero scambio, interessata
alla promozione delle infrastrutture, come ad esempio la costruzione delle
ferrovie. Dal dibattito che si tenne al Senato sull’abolizione degli ademprivi,
terreni in cui gli abitanti dei comuni esercitavano gli usi di pascolo, semina
e legnatico, si possono ricavare molti elementi che permettono di comprendere
la cultura dei senatori sardi dell’età del Risorgimento[52].
I discorsi di Cristoforo Mameli, Giuseppe Musio, Giovanni Siotto
Pintor, ma anche quelli del filogovernativo Francesco Maria Serra, rivelano,
oltre ad un’abilità argomentativa e ad una vasta erudizione, il tentativo di
analizzare la realtà con un approccio che sarebbe riduttivo definire
conservatore[53]. Si trattava, certo, di
personalità con una cultura fondata sul rispetto degli equilibri sociali
consolidati, sull’ordine e sulla deferenza nei confronti degli interessi
proprietari, ma era anche una cultura per certi versi innovativa perché tendeva
al superamento dello Stato di Antico regime[54].
L’azione politica dei senatori sardi era rivolta anche a cambiare l’esistente e
non semplicemente a conservare le posizioni di privilegio. Nei loro interventi,
infatti, riconoscevano l’importanza del nuovo corso, sancito dalla concessione
dello Statuto, e anche se non tutti erano disposti ad ammetterlo
sostanzialmente aderivano al modello filosofico e politico della borghesia.
Come si possono interpretare la fiducia nelle potenzialità della “proprietà
perfetta”, i tentativi di modificare l’economia tradizionale e di avviare una
modernizzazione nelle campagne? I senatori sardi erano ideologicamente legati
più alla classe sociale in ascesa che alla vecchia aristocrazia di origine
feudale.
La visione della generazione del Risorgimento si ritrova, in
larga misura, nelle generazioni successive. Anche dopo l’età depretisiana
prevalse la linea liberal-moderata tendente alla diffidenza nei confronti delle
riforme sociali direttamente o indirettamente rivolte all’emancipazione delle
classi più basse. Questo non vuol dire che gli uomini destinati a diventare
senatori auspicassero l’arretratezza piuttosto che il progresso. Dominava
allora l’idea che nessun progresso dovesse avvenire a scapito della stabilità
dell’ordine costituito. La preoccupazione che un cambiamento potesse aprire la
strada ad una svolta rivoluzionaria in grado di sconvolgere l’assetto liberale
spingeva i senatori verso l’opposizione per ogni forma di conflitto sociale.
È paradigmatico il dibattito che si tenne al Senato all’indomani
dei moti popolari del maggio 1906. Agli scioperanti, soprattutto operai e
pastori, che reclamavano migliori condizioni di vita avevano risposto
carabinieri e soldati sparando sulla folla, uccidendo due dimostranti e
ferendone centinaia[55]. Il
senatore sardo Michele Carta Mameli[56]
presentò un’interpellanza, il cui titolo è già di per sé evocativo: «sui
provvedimenti di prevenzione e di repressione ivi adottati a tutela dell’ordine
pubblico e della proprietà manomessa»[57]; poi
durante la discussione affermò che le autorità si erano dimostrate troppo morbide
e «nulle» nella repressione. Bisognava, invece, avere una «mano di ferro» nella
tutela dell’ordine[58]. Anche
se queste dichiarazioni non possono portare a conclusioni generali, sono il
segnale di una componente sarda che non si sforzava di comprendere fino in
fondo la complessità della società dei primi del secolo né si faceva portavoce
di un’evoluzione del rapporto fra istituzioni e classi emergenti.
Alla protesta dei lavoratori, che si espresse in manifestazioni
rilevanti persino in campo nazionale (si pensi all’eccidio dei minatori di
Buggerru che fu all’origine dello sciopero generale del 1904), non seguì una qualche forma di coinvolgimento
politico. Il ricambio, proprio come il sistema delle categorie disciplinava,
ebbe gli aspetti di una “sostituzione” fra simili. È il caso, ad esempio, di
Antioco Loru, professore universitario di diritto romano e già deputato nella
II legislatura, che divenne senatore nel 1883[59]. Anni
dopo, in età giolittiana, sarebbe stato nominato anche uno dei sui allievi più
bravi, Gian Pietro Chironi, anch’egli professore di diritto romano e civile e
già deputato nella XVIII legislatura, «appartenente alla generazione di
giuristi che, nutrita di valori e miti risorgimentali, assunse il compito di
formare una “scienza nazionale”, una “scuola del diritto civile italiana”»[60].
In questa prevalente
tendenza politica liberal-moderata, seppure di tanto in tanto aperta,
cautamente, verso il progresso economico, si può considerare quasi
un’eccezione, tenendo presente le idee
di partenza, Filippo Garavetti, avvocato e poi anche professore di diritto
commerciale nell’Università di Sassari. Repubblicano, leader della sinistra
sassarese, fu eletto deputato nel 1887[61]. Alla
Camera, dove sarebbe rimasto sino al 1904, si schierò con l’Estrema sinistra,
tanto che Farini lo apostrofò come l’«anima dannata di Cavallotti»[62]. È
ancora da comprendere meglio come nacque e come si realizzò, nel gennaio 1910,
la sua nomina a senatore, che gli valse l’appellativo ironico di «repubblicano
del re»[63]. A ben
vedere, però, il suo profilo biografico si differenziava da quello dei suoi
colleghi sardi meno di quanto possa sembrare. «All’infuori della generica
adesione alle posizioni cavallottiane», Garavetti era «schivo di atteggiamenti
rivoluzionari e amante dell’ordine», tanto che avrebbe aderito al fascismo sin
dal primo momento della sua affermazione[64].
Merita di non essere trascurato il rapporto dei senatori sardi
con la cultura cattolica. In generale, il Risorgimento aveva segnato un calo
dell’influenza del cattolicesimo nella vita politica italiana e lo sviluppo di
sentimenti anticlericali nel ceto parlamentare. I senatori sardi, invece,
rimasero sostanzialmente fuori dall’ondata di anticlericalismo. C’era chi, come
il proprietario terriero, magistrato e letterato, Giovanni Siotto Pintor,
difendeva con tenacia il diritto di proprietà della Chiesa e si schierava
contro i tentativi dello Stato di appropriarsi dei beni ecclesiastici[65]. Nella
prima generazione di sardi alla Camera alta ebbero un’attrazione significativa
le tendenze giobertiane. In alcuni casi, come ad esempio in Cristoforo Mameli,
il cattolicesimo era parte integrante della formazione e dell’azione politica.
Dopo la laurea in Giurisprudenza nel 1817, Mameli si era ritagliato una
discreta fama di esperto di diritto ecclesiastico che gli aveva consentito di
diventare assessore della curia vescovile cittadina[66]. In
qualità di ministro della Pubblica istruzione (marzo 1849-novembre 1850) si era
impegnato perché la Chiesa conservasse un ruolo di primo piano
nell’insegnamento. Da deputato e poi da senatore si era opposto al progetto di
legge per la soppressione delle decime, alla legge sul matrimonio civile, al
progetto di abolizione degli ordini religiosi e al trasferimento della capitale
a Roma[67]. In
realtà, nessun senatore sardo sembrava disposto a mettere in completa
discussione il ruolo della Chiesa nella società italiana, anche se in alcuni,
come in Musio, prevaleva una concezione profondamente laica dello Stato[68] (e
tuttavia Musio prima di morire chiese e ottenne i conforti religiosi[69]).
All’atto di costituzione del Partito popolare italiano, vi
avrebbe aderito Edmondo Sanjust di Teulada, che già alle elezioni del 1913
aveva avuto un aiuto importante da parte dei vescovi, i quali si erano
impegnati ad orientare i voti dei cattolici a suo favore. Nelle prime elezioni
con la proporzionale e con il collegio unificato (Cagliari-Sassari), grazie al
supporto dei cattolici che risposero all’appello del clero, fu riconfermato con
18.010 preferenze: «il che sta a significare – ha osservato Giampaolo Pisu –
come il Sanjust raccogliesse simpatie e consensi non solo tra le forze popolari
ma anche tra strati cittadini «clericali» e strati di antica borghesia
clerico-moderata»[70].
Affezionato ai valori della tradizione cattolica conservatrice, ma anche a
quelli della patria e dell’ordine, rimase affascinato dall’avvento del
fascismo. La leaderschip di Mussolini, in particolare, gli sembrava avesse
finalmente rivitalizzato sia il sentimento nazionale che quello religioso. A
pochi giorni dalle elezioni del 1924, sottoscrisse un appello, insieme a 150
personalità, a favore di un reale appoggio al Governo Mussolini, in nome della
concretezza politica e del senso di responsabilità[71].
Al fascismo era strettamente legato, forse più di qualunque
altro senatore sardo, Pietro Lissia. Dopo la laurea in Giurisprudenza
conseguita nell’Università di Sassari, entrò nell’amministrazione pubblica,
diventando, poco dopo la grande guerra (era stato ferito gravemente sul Carso),
primo segretario dell’amministrazione centrale dell’Interno. Cominciata la
carriera politica nel 1910 come consigliere provinciale, si candidò alle
elezioni del 1919 per il rinnovo della Camera dei deputati nella lista del
Fascio parlamentare. Eletto, aderì al gruppo radicale e si sforzò di
conquistare le attenzioni governative con l’intento di affrontare i problemi
della Sardegna (trasporti e comunicazioni, sicurezza nelle campagne, bonifiche
e trasformazione dei terreni), ma rimase all’interno di una tradizione rivendicazionista
di origine ottocentesca che ormai mostrava evidenti segnali di debolezza[72].
Superate con un buon successo personale le elezioni del 1921, si iscrisse al
gruppo della Democrazia sociale ed entrò nel primo Governo Facta, ricoprendo la
carica di sottosegretario al ministero della Guerra. Fu poi sottosegretario
alle Finanze dalla costituzione del Governo Mussolini sino alle elezioni del
1924 (sarebbe stato richiamato una seconda volta, per ricoprire lo stesso
incarico, dal 1941 al 1943). Intanto aveva richiesto, e ottenuto, la tessera
del Pnf e mosso i primi passi per conquistare più larghi consensi, attraverso
il coinvolgimento nella “rivoluzione” fascista sia dei combattenti sia degli
uomini della destra liberale[73], fra i
quali c’era Antonio Cao Pinna alla ricerca di sostegni per ottenere quello a
cui ambiva, la nomina a senatore. Le elezioni del 1924, dove raccolse un numero
di preferenze notevole (oltre 23.000), lo proclamarono leader indiscusso del
fascismo del Nord Sardegna[74].
Lo Statuto stabiliva, all’articolo 33, che per accedere al
Senato occorreva avere «l’età di quarant’anni compiuti», in un paese in cui,
secondo i dati Istat ora a disposizione[75], nel 1863
la speranza di vita per un maschio adulto arrivava a quasi 49 anni (dato che
poi sarebbe lentamente cresciuto sino ad arrivare nel 1943 a 65 anni)[76]. La
costituzione francese del 1814, che aveva rappresentato un modello per il
Consiglio di Conferenza, fissava l’ingresso nella Camera dei pari a 25 anni e
voto deliberativo solo a 30[77].
Tab. 5. Fasce d’età dei
senatori sardi al momento della nomina
Fasce d’età |
40-49 |
50-59 |
60-69 |
70-79 |
80-89 |
Numero dei senatori |
3 |
9 |
15 |
6 |
1 |
Quasi la metà dei senatori sardi ricevettero la nomina nella
fascia d’età compresa fra i 60 e i 69 anni, quindi in un’età per quei tempi
piuttosto avanzata. Nella valutazione dei candidati al laticlavio l’età
anagrafica non si considerò attentamente. Gli spostamenti dalla Sardegna alla
capitale per la partecipazione alle sedute richiedevano uno sforzo anche fisico
che un anziano poteva reggere con maggiore fatica con conseguenze sulle
presenze, sul numero legale dell’assemblea e dunque sull’attività legislativa.
L’età media di nomina non subì significativi mutamenti negli anni considerati:
anzi, piuttosto che diminuire, dal 1900 in poi, aumentò leggermente. Che l’età
anagrafica non fosse ritenuta un grande limite lo possono dimostrare, ad
esempio, la nomina nel 1890 del settantanovenne, magistrato e professore
universitario, Pietro Salis (ma anche Falqui Pes, Giordano Apostoli, Manno,
Scano, Solinas Apostoli, Emanuele Pes di Villamarina divennero senatori dopo
aver compiuto i 70 anni), e quella di Cao Pinna, che aveva addirittura quasi 82
anni[78].
La durata media del mandato dei senatori sardi fu di quasi
quindici anni, un periodo sufficiente per maturare una significativa
esperienza. Aymerich sarebbe rimasto in carica per 33 anni, superando persino
Sechi, il secondo più longevo, che arrivò a 29 anni. Questi ultimi, in realtà,
erano dei casi limite, come lo era, nel senso opposto, per la brevità del
mandato, Falqui Pes, nominato a maggio del 1863 e morto a febbraio del 1864.
Tab. 6. Durata in carica dei senatori sardi
Durata della carica in anni |
0-9 |
10-19 |
20-29 |
30-39 |
Numero dei senatori |
9 |
15 |
9 |
1 |
Non tutti i senatori
sardi conclusero il mandato al momento del decesso. Quelli ancora in carica
dopo l’armistizio dell’8 settembre furono deferiti all’Alta corte di giustizia
per le sanzioni contro il fascismo. Oltre a Giovanni Sechi, ma per il suo caso
l’Alta corte non si pronunciò per la decadenza[79],
bisogna considerare anche Pietro Lissia, Antonio Andreoni, Luigi Arborio Mella
di Sant’Elia e Rodolfo Loffredo. Lissia fu colpito dall’ordinanza di decadenza
dalla carica di senatore per aver partecipato, come sottosegretario di Stato al
ministero delle Finanze, ad un Gabinetto fascista dopo il 3 gennaio 1925, «per
avere contribuito a mantenere il regime fascista e a rendere possibile la
guerra facendo funzionare il Senato con la partecipazione ai lavori degli
Uffici prima e poi delle Commissioni legislative»[80].
Lissia, tuttavia, presentò ricorso davanti alle Sezioni unite civili della
Cassazione e ottenne l’annullamento della decadenza, seppure dopo la
soppressione del Senato regio[81].
Una sorte analoga ebbero Arborio Mella e Loffredo, anche se
entrambi non avevano mai ricoperto cariche di governo e avevano avuto un ruolo
politico meno significativo rispetto a quello di Lissia. Inizialmente accusati
di avere contribuito con i voti e gli atti al mantenimento del fascismo e di
avere reso possibile la guerra e quindi dichiarati decaduti, poi in un certo
senso riabilitati dalla Sezioni unite civili della Cassazione, che avrebbe
annullato la decadenza quando il Senato del Regno era però già stato soppresso[82].
Andreoni, invece, che aveva presentato ricorso contro la decadenza (ordinata
per «aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra sia con i voti sia
con azioni individuali, tra cui propaganda esercitata dentro e fuori il Senato»[83]), si
vide negare dalle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione
l’ammissibilità del ricorso il 15 gennaio 1946[84].
La scelta dei senatori era, in qualche misura, delimitata. Per
fare parte della Camera alta occorreva essere già delle importanti personalità,
fare parte di un’élite. L’articolo 33 dello Statuto stabiliva che per essere
nominato senatore era necessario appartenere almeno ad una delle ventuno
categorie elencate: 1a. Arcivescovi e vescovi dello Stato; 2a.
Presidenti della Camera dei deputati; 3a. Deputati dopo tre
legislature o sei anni di esercizio; 4a. Ministri; 5a.
Ministri segretari di Stato; 6a. Ambasciatori; 7a.
Inviati straordinari, dopo tre anni di tali funzioni; 8a. Primi
presidenti e presidenti del magistrato di Cassazione e della Camera dei conti;
9a. Primi presidenti dei magistrati d’appello; 10a.
Avvocato generale presso il magistrato di Cassazione e procuratore generale,
dopo cinque anni di funzioni; 11a. Presidenti di classe di
magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni; 12a. Consiglieri
del magistrato di Cassazione e della Camera dei conti, dopo cinque anni di
funzioni; 13a. Avvocati generali e fiscali generali presso i
magistrati d’appello, dopo cinque anni di funzioni; 14a. Ufficiali
generali di terra e di mare (maggiori generali e contrammiragli con cinque anni
di attività); 15a. Consiglieri di Stato con cinque anni di funzioni;
16a. Membri dei consigli di divisione (organi che, dopo il decreto
legislativo del 23 ottobre 1859, n. 3702, presero il nome di Consigli
provinciali), dopo tre elezioni alla presidenza; 17a. Intendenti
generali, dopo sette anni di esercizio; 18a. Membri della Regia
accademia delle scienze, dopo sette anni di nomina; 19a. Membri
ordinari del Consiglio superiore d’istruzione pubblica, dopo sette ani di
esercizio; 20a. Coloro che con servizi o meriti eminenti avevano
illustrato la patria; 21a. Persone che pagavano da tre anni tre mila
lire d’imposizione diretta in ragione dei loro bene e della loro industria[85].
Questo articolo indirizzò la selezione dei senatori verso
l’élite sarda (o di origine sarda) di livello nazionale, tanto che può
sembrare, considerate le carriere dei senatori sardi, che distinguersi
all’interno del contesto locale o soltanto isolano non fosse una condizione
sufficiente. All’interno della Camera vitalizia sino al 1882 la 21a categoria
fu quella più numerosa rispetto alle altre[86]. In
tutta la storia del Senato del Regno, invece, furono soltanto tre i senatori
sardi nominati per la 21a – Aymerich, Arborio Mella e Ponsiglioni –,
e non furono mai maggioranza.
Nel gruppo dei trentaquattro senatori sardi la categoria di gran
lunga prevalente (cfr. la tabella sotto) fu la 3a, quella degli ex
deputati[87]. Ma anche se si
raccolgono in un insieme unico tutti i senatori nominati tra il 1848 e il 1943
la categoria dominante risulta la 3a [88]. Nel Commento allo Statuto, Ignazio Brunelli
e Francesco Raccioppi scrissero che «la qual cosa è agevole a intendere, quando
si pensi che per le loro stesse funzioni i deputati si trovano in più frequenti
rapporti coi ministri dei diversi consecutivi Gabinetti, onde riescono più
facilmente ad ottenere la designazione al re per la nomina senatoria»[89].
Peraltro erano ex-deputati, anche se non furono nominati nella 3a
categoria, anche Antioco Loru, Cristoforo Mameli, Arborio Mella, Ponsiglioni e
Pietro Salis.
La netta prevalenza della 3a categoria, secondo Fabio
Grassi Orsini, «conferiva al Senato una derivazione seppur indirettamente
elettiva e dava ad esso quel carattere di democraticità negato alla Camera alta
da tanti critici del sistema delle categorie»[90]. Certo,
il senatore già deputato aveva conquistato più volte (lo Statuto specifica,
infatti, dopo tre legislature o sei anni di esercizio) la fiducia degli
elettori. Si era misurato con il corpo elettorale e aveva un curriculum
parlamentare che permetteva al Governo di prevedere con buona approssimazione
il comportamento politico-istituzionale. La prevalenza fra i senatori degli
ex-deputati, insomma, rafforza l’ipotesi che la scelta dei candidati al
laticlavio fosse determinata anzitutto da una valutazione politica.
Grafico 4. Categorie di nomina dei senatori sardi dal 1848 al
1943
* Un senatore poteva essere nominato per più categorie.
Come si può intuire, soffermarsi sulle categorie di nomina può essere
fuorviante per comprendere il profilo socio-professionale dei senatori. Ad
esempio, Aymerich e Ponsiglioni, entrambi collocati nella 21a
categoria («le persone, che da tre anni pagano tremila lire d’imposizione
diretta in ragione de' loro beni, o della loro industria»), avevano un
curriculum assai differente. Il primo era un ricco proprietario terriero,
discendente da un’antica famiglia catalana, e aveva il titolo di marchese[91]. Il
secondo, che non aveva titoli nobiliari, era un economista di fama nazionale
che insegnò nell’Università di Siena e poi di Genova[92]. La
Commissione per la convalida dei titoli dei nuovi senatori precisò, attenendosi
alla lettera dello Statuto, che Ponsiglioni non aveva i requisiti previsti
dall’articolo 33, cioè non pagava 3.000 lire d’imposizione diretta in ragione
dei suoi beni e della sua industria. Non si poteva ritenere, perciò, un
«rappresentante» della «ricchezza», ma un professore universitario. Una parte
dei commissari, i cui nomi non risultano dal verbale, sostenne che «lo spirito
della legge fondamentale del Regno» non comprendeva nella valutazione del censo
la ritenuta di ricchezza mobile per un impiego governativo (in questo specifico
caso, la ritenuta sullo stipendio di professore universitario). L’altra parte dei
commissari, invece, replicò che lo Statuto si riferiva all’«imposizione in
ragione dei beni e dell’industria», e pertanto non sembrava «giusto che i beni
e l’industria proveniente dal lavoro intellettuale [fossero] meno considerati
di quelli provenienti dal lavoro manuale». Non raggiunta l’unanimità in
Commissione, come prevedeva il regolamento, l’esame del profilo di Ponsiglioni
passò al Comitato segreto, che approvò l’ammissione del senatore sardo a larga
maggioranza ammettendo che anche un professore universitario potesse
rappresentare «capitale e ricchezza», e quindi essere inserito nella 21a categoria[93].
I senatori potevano esercitare il diritto di iniziativa
legislativa sia singolarmente che in gruppo. Dal 1861 al 1922 nessun senatore
sardo, che non fosse contemporaneamente membro del Governo, presentò una
specifica proposta di legge.
Nell’interpretare questo dato, che potrebbe confermare l’ipotesi
di una componente inoperosa, occorre tenere conto che nel Parlamento
dell’Italia liberale l’iniziativa legislativa parlamentare, e in particolare
quella dei senatori, fu esercitata con scarsa, scarsissima frequenza. Francesco
Soddu ha contato, in riferimento al periodo 1861-1924, appena 62 proposte di
legge presentate dai senatori (nella sola VIII legislatura i deputati, invece,
presentarono 140 proposte di legge)[94]. Anche
se la costituzione formale riconosceva ai senatori gli stessi poteri di
iniziativa legislativa dei deputati, i primi risentivano del compito, che gli
era stato originariamente assegnato dalla classe dirigente piemontese e poi
confermato da quella italiana, di esercitare anzitutto una funzione di
controllo sull’operato della Camera elettiva. E questa funzione, ancora prima che
in aula, veniva svolta negli Uffici, organi composti da un numero di senatori
estratti a sorte che procedevano ad un primo esame del disegno di legge
(concluso l’esame, i cinque Uffici nominavano un commissario che andava a
comporre l’Ufficio centrale, quest’organo riesaminava il disegno di legge e
nominava un relatore, il quale aveva il compito di redigere una relazione e
riferire in aula).
Una valutazione più
completa del ruolo svolto dai senatori sardi nei lavori della Camera alta,
dunque, non può trascurare i primi organi del procedimento legislativo: gli
Uffici e, soprattutto, l’Ufficio centrale. La ricerca su questa grande mole di
documenti, però, va ben al di là delle forze che un singolo ricercatore può
mettere in campo. Dai dati presenti negli indici degli atti parlamentari,
perché evidentemente risulta impossibile esaminare ogni singolo atto della
serie Documenti, si ricava un quadro
che non è di facile interpretazione e comunque bisogna prendere con prudenza,
perché si tratta di una rilevazione quantomeno parziale (gli indici non
permettono di ricavare i dati dei parlamentari che non presero la parola in
assemblea pur avendo ricoperto una precisa carica – membro o presidente
dell’Ufficio centrale etc.)[95].
Gli ex-deputati, che
avevano una certa esperienza parlamentare, tendevano a ricoprire incarichi di
primo piano (come, ad esempio, il ruolo di relatore), ma non si tratta di una
tendenza assai marcata. In questo senso, una risposta definitiva sarebbe forse
azzardata. È infatti necessario considerare anche altre variabili,
probabilmente altrettanto rilevanti nell’accesso alle cariche, come le presenze
ai lavori del Senato, fattore quasi certamente decisivo nella scelta dei
senatori a cui affidare gli incarichi. Da una lettera di Ponsiglioni a Giolitti
si ricava che i senatori Loru e Scano, entrambi ex-deputati, non ricoprirono
mai un incarico, perché il primo era stato colpito da un male invalidante e il
secondo, a causa dell’età troppo avanzata, riusciva a recarsi nella capitale
soltanto di rado[96]. Carta Mameli, viceversa,
che non era stato deputato ma capo di gabinetto al ministero dell’Interno e
consigliere di Stato, era molto presente ai lavori del Senato e forse proprio
per questo, e per le competenze personali, fu tra i senatori sardi che ricoprì
più incarichi.
Oltre la metà dei
senatori sardi rimasero esclusi dagli incarichi di presidente, vicepresidente,
segretario dell’Ufficio centrale e relatore. Occorre tenere conto, però, che
Manno fu vicepresidente nel 1848 e poi presidente del Senato quasi
ininterrottamente dal 1849 al 1855 e nuovamente dal 13 ottobre 1864 al 7
settembre 1865; Serra vicepresidente del Senato dal 6 novembre 1873 al 21
febbraio 1876; Sechi fu ministro della Marina dal 23 giugno 1919 al 4 luglio
1921; Lissia sottosegretario al ministero delle Finanze dal 18 febbraio 1941 al
13 febbraio 1943.
Ciascun senatore del Regno poteva prendere la parola in aula per
presentare una proposta di legge o un emendamento, partecipare alla discussione
generale e a quella dei singoli articoli di un disegno di legge, svolgere una
mozione, un’interpellanza o un’interrogazione, fare una dichiarazione di voto,
commemorare un collega defunto. Il diritto di intervenire non trovava specifici
limiti, se non quello del rispetto dell’ordine del giorno.
In base alla quantità degli interventi in aula si potrebbero
dividere i senatori sardi in due gruppi: uno, composto da quasi la metà, che
intervenne molto raramente (cioè in totale meno di cinque volte); l’altro che
prese la parola con relativa frequenza. Se in alcuni c’era, evidentemente, una
scarsa disposizione ad intervenire di fronte ad un’ampia platea (parlare in
pubblico era sino a pochi anni prima della concessione dello Statuto
considerato «sconveniente per un aristocratico»[97]), in
altri fu determinante lo stato di salute (ad esempio, Emanuele Pes di
Villamarina era sordo[98]). E
tuttavia l’illustre romanista e noto avvocato, Carlo Fadda, che pure godeva di
buona salute e, secondo gli allievi che avevano seguito le sue lezioni
universitarie, aveva grandi capacità oratorie ed espositive[99],
intervenne in aula soltanto due volte: sul disegno di legge «Provvedimenti
straordinari a favore della Sardegna» (13 luglio 1914) e per commemorare il
senatore sardo Parpaglia (4 luglio 1916). Forse per Fadda possono valere le
osservazioni più generali di Francesco Soddu, il quale ha scritto che
«l’abilità retorica professionale di avvocati e accademici non si traduceva
necessariamente in efficace oratoria parlamentare»; e ha aggiunto che
«l’intervento in aula sembrava indurre una sorta di soggezione psicologica
anche in persone abituate a parlare in pubblico»[100].
Frequenti e spesso articolati, invece, furono i discorsi di
Giuseppe Musio. La sua partecipazione alle discussioni parlamentari riusciva ad
avere un’eco nella stampa, come accadeva a pochi senatori. I suoi dotti
interventi erano non di rado il risultato di uno studio approfondito:
esposizioni preparate con cura, il cui successo era certo dovuto anche alle
posizioni piuttosto radicali e foriere di polemiche, spesso in contrasto con
quelle governative. Musio non fece mancare la sua partecipazione ai dibattiti
parlamentari importanti per la sua isola, come quello sugli ademprivi, ma
svolse un ruolo di primo piano soprattutto nei lavori sull’ordinamento
giudiziario e sulla codificazione penale. Le sue riconosciute competenze
giuridiche, e anche la sua assidua presenza alle sedute, gli permisero di
ricoprire incarichi prestigiosi, come quello di presidente della Commissione
per il progetto del nuovo Codice penale. Egli però fu più il rappresentante di
una precisa posizione che dell’opinione comune. E non fu un caso se raccolse la
stima del deputato Giorgio Asproni, quasi sempre molto sprezzante nei confronti
dei parlamentari isolani[101].
In generale, si può dire che i senatori sardi della generazione
del Risorgimento si distinsero per la frequenza con cui intervennero in aula e
per la qualità degli interventi. Mameli, ad esempio, partecipò in particolare
alle discussioni che riguardavano direttamente la Sardegna e a quelle dove
poteva dimostrare le sue specifiche competenze di giurista, esperto di diritto
ecclesiastico. Furono memorabili soprattutto i suoi coraggiosi discorsi in
difesa del ruolo della Chiesa, del clero e del pontefice, in un’assemblea
orientata prevalentemente in senso anticlericale. Nella seduta del 17 marzo
1865, durante la discussione dello schema di legge sull’unificazione
legislativa, Mameli intervenne contro l’ipotesi, avanzata dai fautori di una
rigida separazione fra Stato e Chiesa, che il matrimonio religioso non avesse
alcun effetto sul matrimonio civile[102]. Il
suo discorso sull’accettazione del plebiscito delle Provincie romane divenne
rappresentativo di una posizione, fu stampato in un opuscolo ed ebbe una certa
diffusione[103]. Mameli accusava il
Governo di una «flagrante violazione del diritto di natura e delle genti», di
«profittare delle difficili contingenze nelle quali versava la generosa Nazione
francese», «amica ed alleata», di commettere «una enorme ingiustizia», «un
grave scandalo per tutto il mondo»[104].
Grande notorietà raggiunsero i discorsi di Giovanni Siotto
Pintor. Intellettuale raffinato e oratore brillante «con il dono della bella
voce»[105], era capace di
intervenire, senza sfigurare, su temi e problemi assai diversi fra loro:
dall’affrancamento dei canoni enfiteutici alle strade nazionali, dalle tasse
universitarie alle questioni di bilancio dello Stato, dall’armamento della
guardia nazionale alle norme del codice penale, dalla tassa sul macinato al
trasferimento della sede del Governo a Roma. Non mancò di intervenire nelle
discussioni che riguardavano la Sardegna, ma non era un senatore soprattutto
orientato sulle problematiche locali. Significativi i suoi richiami
all’«utilità nazionale» e al rispetto del «diritto pubblico universale» e della
coerenza nel legiferare[106]. Le
sue stesse parole forse descrivono bene il suo atteggiamento in aula: «io
piglio sul serio la libertà della parola e l’adopero largamente ogni volta che
mi paia necessaria o soltanto utile e opportuna»[107].
Capitò più volte, tuttavia, che colleghi e uomini di governo lo accusassero di
usare un linguaggio iroso, aggressivo, troppo appassionato.
Dopo la generazione di Siotto Pintor, bisogna passare all’età
giolittiana per ritrovare frequenti interventi di senatori sardi che lasciarono
il segno nei lavori parlamentari. Uno di questi fu Carta Mameli. Nei suoi sette
anni al Senato (giurò il 25 giugno 1900 e morì il 23 maggio 1907) prese spesso
la parola nei dibattiti che in qualche modo riguardavano la Sardegna. Egli
aveva una percezione dei problemi in discussione mai localistica ed era capace
di intervenire anche su temi lontani dai suoi studi propriamente giuridici.
L’esperienza maturata in Commissione finanze gli permise di svolgere un ruolo
tecnico di primo piano nelle discussioni sui bilanci dei ministeri. È questo un
aspetto che rende la biografia parlamentare di Carta Mameli originale
nell’insieme dei senatori sardi. In lui prevalse – forse più che in ogni altro
– la precisione del tecnico, la riflessione puntuale e rigorosa sulle misure
normative in discussione, piuttosto che la visione ideale, la passione e la
retorica del politico.
Un altro senatore sardo che in età giolittiana si distinse per i
suoi interventi in aula fu Salvatore Parpaglia. Avvocato, deputato dal 1870 al 1895, Carlo Fadda lo avrebbe
ricordato «sempre sulla breccia tutte le volte che era in questione un
interesse isolano» […] «mai però fu affetto da predilezioni o sentimenti
regionali»[108]. In effetti i suoi interventi
sulla Sardegna furono solo una minima parte del totale. Prese la parola, fra
l’altro, sullo scioglimento dei consigli provinciali e comunali, sul bilancio
dei ministeri, sul credito agrario (e presentò su questo tema anche un ordine
del giorno), sulle imposte, sui lavori pubblici, sull’impiego dei condannati
nei lavori di bonifica dei terreni incolti e malarici, sulle guarentigie della
magistratura. Uno dei discorsi più importanti che tenne dai banchi del Senato
fu quello dedicato alla riforma elettorale. Nella seduta del 25 giugno 1912, in
un’aula consapevole che si stava compiendo un passaggio significativo della
storia d’Italia, Parpaglia sostenne convintamente il progetto di legge
elettorale che avrebbe affermato il suffragio universale maschile e si
pronunciò, talvolta con tono polemico, contro gli oppositori. Legava
strettamente l’estensione del suffragio alla modernità. Coglieva molto meglio
di altri parlamentari l’aria di cambiamento che si respirava nell’Italia
giolittiana e non era affatto spaventato dalle previsioni drammatiche dei
conservatori sulla partecipazione al voto degli analfabeti, né era preoccupato,
come molti altri, delle ripercussioni negative sulle istituzioni, sui partiti,
sul sistema politico. Difendeva la partecipazione delle classi basse alla vita
politica, sicuro che avrebbe generato soprattutto effetti positivi[109].
Uno sguardo d’insieme ai discorsi dei senatori sardi può dare
l’impressione che essi abbiano avuto un’involuzione. Durante i primi decenni
post-statutari si riscontrano discorsi più articolati, costruiti nel dettaglio
(o comunque non improvvisati) con ampi riferimenti – forse a volte anche
eccessivi – alla storia, alla filosofia, ai classici per corroborare il
ragionamento. Forte il richiamo agli ideali, incisivo l’appello alla
responsabilità e al senso del dovere nei confronti della nazione[110]. Il
senatore sardo era coinvolto nel dibattito, a volte anche emotivamente. Ciò
gradualmente scemò. Dall’età della Sinistra in poi i discorsi sarebbero stati
tendenzialmente meno articolati.
Nel Parlamento del Regno la funzione ispettiva si espletava
attraverso le interrogazioni, le interpellanze, le mozioni, gli ordini del
giorno e le inchieste. È nota la partecipazione di alcuni senatori alle
inchieste parlamentari. Salvatore Parpaglia fu presidente della Commissione per
l’inchiesta sulle condizioni degli operai delle miniere della Sardegna che,
istituita il 1° dicembre 1906, concluse i lavori con la pubblicazione della
relazione il 29 settembre 1913 [111].
Sandro Ruju, autorevole studioso della questione mineraria sarda, ha sostenuto
che si trattò di «una delle indagini più approfondite e di maggiore respiro fra
quelle condotte in Italia in età giolittiana (e non soltanto […]) e di una
fonte storiografica di estremo interesse per chiunque voglia confrontarsi con i
risvolti sociali della realtà mineraria»[112]. Non
così positiva l’interpretazione di Maria Rosa Cardia, la quale ha sottolineato
che la Commissione procedette lentamente, avanzò proposte «assai moderate» e
non si preoccupò di accertare gli utili realizzati dalle singole società
minerarie, cioè una delle questioni centrali che avrebbe potuto aprire un
dibattito sulla retribuzione del lavoro operaio e quindi sul miglioramento
della qualità della vita dei minatori[113]. Si
può riconoscere, comunque, che né Parpaglia, che non aveva mai dimostrato una
propensione verso il mondo dell’industria mineraria ma aveva dalla sua parte
un’esperienza parlamentare di lungo corso, né gli altri cinque membri della
Commissione[114], riuscirono a sfruttare
fino in fondo le potenzialità dell’istituto. Come in altri casi, anche quella
sarda rimase un’indagine conoscitiva di grande interesse ma non produsse
nell’immediato risultati concreti particolarmente apprezzabili sotto il profilo
legislativo (e non ebbe, rispetto ad altre inchieste, larga risonanza).
Filippo Garavetti, invece, fu membro della Commissione
parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra. Istituita con la legge del 18
luglio 1920 n. 999, la Commissione (composta da quindici deputati e quindici
senatori) aveva l’incarico di accertare le spese effettuate dalle
amministrazioni pubbliche, di procedere alla verifica e alla revisione dei
contratti, di proporre provvedimenti per reintegrare l’erario di lucri indebiti
o eccessivi. L’attività di Garavetti, che andrebbe approfondita meglio
attraverso le carte dell’ampio fondo conservato nell’Archivio storico della
Camera dei deputati[115], non
sembra avesse conquistato uno speciale rilievo politico né ebbe grande attenzione
da parte dell’opinione pubblica.
Nel Senato le interrogazioni non erano previste sino alla
revisione del regolamento interno avvenuta durante il primo conflitto mondiale,
quando furono introdotte, con alcune modifiche, le norme sulle interrogazioni
adottate dalla Camera[116].
Analoghe per diversi aspetti alle interpellanze, ma destinate ad avere un’eco
politica minore, le interrogazioni erano indirizzate al Governo con l’intento
di verificare notizie specifiche, ricavate spesso dalla stampa, o raccogliere nuove informazioni[117]. Si
esaurivano in una domanda precisa, non potevano diventare un discorso
articolato né portare ad una discussione[118].
Soltanto un caso mi è dato riscontare che riguarda un senatore sardo firmatario
di un’interrogazione. Nella tornata del 1° dicembre 1921 il ministro del
Tesoro, Giuseppe De Nava, rispose in aula ad un’interrogazione dei senatori
Presbitero, Mosca e Artom, sull’estensione all’Eritrea e alla Somalia dei
benefici del già annunciato disegno di legge che avrebbe dovuto agevolare la
colonizzazione agricola della Tripolitania e della Cirenaica[119].
Non mi risulta alcun senatore sardo che abbia promosso o firmato
una mozione «originale», atto non preceduto da un’interpellanza e rivolto a promuovere
una deliberazione da parte dell’assemblea, né una mozione consecutiva ad
un’interpellanza. D’altronde, sino al 1888, la mozione non aveva norme
particolari che la regolassero e spesso la si trova negli atti parlamentari
«come sinonimo di interpellanza o di interrogazione, più raramente di
risoluzione, mentre manca perfino nel linguaggio d’assemblea una chiara
distinzione con la «mozione d’ordine”»[120]. Dalla
miniera di carte parlamentari però potrebbero emergere novità anche in questo
senso, e quindi sarebbe meglio essere prudenti. È certo, invece, che alcuni
senatori sardi si servirono dell’ordine del giorno, usato soprattutto al fine
di raccomandare qualche specifica linea di condotta. Parpaglia, ad esempio, in
occasione della discussione sul disegno di legge «Provvedimenti relativi ad
alcune operazioni di credito agrario», presentò un ordine del giorno che
invitava il Governo a tenere conto nella fase di stesura del regolamento di un
limite alle somme impiegate per il credito agrario dalla Cassa di risparmio di
Napoli[121]. Tuttavia sin dalle
origini del Parlamento del Regno di Sardegna l’istituto ispettivo maggiormente
usato dai senatori sardi fu l’interpellanza. Vale la pena soffermarsi un
attimo.
Ciascun senatore poteva rivolgere ad un ministro un’interpellanza
attraverso una formale presentazione al presidente dell’assemblea.
L’interpellanza poteva riguardare sia gli atti compiuti dal ministro sia
l’indirizzo politico che intendeva intraprendere[122]: era
uno strumento che il senatore poteva usare liberamente al fine di stabilire una
relazione diretta e ufficiale con un membro dell’esecutivo, conoscere anzitutto
fatti e motivazioni, ma non soltanto, anche acquisire gli elementi per
comprendere le scelte passate e quelle future del Governo, e quindi influenzarle.
L’interpellanza era un istituto della lotta parlamentare, uno dei pochi di cui
disponevano i senatori, a volte concretamente privati della facoltà di emendare
il testo del disegno di legge già approvato dalla Camera dei deputati per
evitare un ulteriore passaggio parlamentare.
La storiografia non ha ancora prestato particolare attenzione
alla funzione ispettiva nel Senato del Regno. Il saggio di Salvatore Botta, Il Governo in Parlamento. Sull’uso
dell’interpellanza nel Regno d’Italia[123], è uno
dei pochi contributi dedicati interamente alle interpellanze, se si escludono
(naturalmente) le voci enciclopediche[124]; ma si
tratta di una ricerca orientata quasi esclusivamente sulla Camera. Allo stato
attuale, insomma, non sono a disposizione studi di carattere generale che
avrebbero permesso di confrontare i dati particolari sui senatori sardi con
quelli dei senatori nel loro insieme. E non sono neppure disponibili
statistiche sull’uso delle interpellanze da parte dei deputati che avrebbero
permesso un raffronto.
I senatori sardi, come si ricava dagli indici dell’attività
parlamentare, presentarono meno di un’interpellanza a testa, poco più di una
interpellanza per legislatura, dati comunque piuttosto bassi per sostenere che
il potere ispettivo fu utilizzato di frequente. Una parte consistente delle
interpellanze, più della metà, riguardava problemi della Sardegna o in qualche
modo collegati all’isola, come, ad esempio, l’interpellanza di Serra al
ministro della Guerra sull’annuncio del richiamo del reggimento di stanza a
Cagliari e la sua sostituzione con battaglioni distaccati; l’interpellanza di
Pasella al ministro dei Lavori pubblici sull’esecuzione della convenzione con
la società delle ferrovie sarde; e quella di Parpaglia al ministro dell’Interno
e a quello dell’Agricoltura, industria e commercio per conoscere i
provvedimenti che il Governo intendeva adottare nei confronti dei comuni del
circondario di Oristano colpiti da un nubifragio.
Attraverso l’interpellanza i senatori sardi non si limitarono ad
esercitare il loro diritto di controllo sulla condotta del Governo.
Utilizzarono questo istituto per richiamare l’attenzione dell’esecutivo sui
problemi e sui bisogni della Sardegna, sulle mancanze dello Stato, sulle
inefficienze dell’apparato statale nell’isola, e spesso approfittarono del
dibattito per proporre anche soluzioni, indicare possibili azioni che il
Governo avrebbe dovuto intraprendere. Così l’interpellanza assunse per i
senatori sardi una connotazione ben più significativa, che non si esauriva nell’azione
d’indagine ma si legava strettamente alla più generale funzione rappresentativa
degli interessi dell’isola. In assenza però di una forza contrattuale
significativa che il gruppo dei senatori sardi, numericamente quasi irrilevanti
per il passaggio dei progetti di legge, avrebbe potuto esercitare, i risultati
concreti ottenuti con le interpellanze furono quantomeno modesti.
Non si pensi,
tuttavia, ad un’attività ispettiva interessata esclusivamente (ed
egoisticamente) alla Sardegna. Ad esempio, Siotto Pintor presentò
un’interpellanza al ministro delle Finanze, tecnica e ragionata, «intorno agli
sconci che provengono da una lamentabile dimenticanza nelle leggi 10 luglio e 4
agosto [1861] e nei regolamenti 28 luglio e 5 settembre dell’anno scorso intorno
alla unificazione dei vari debiti dello Stato e specialmente per ciò che
riguarda lo scambio dei titoli e le operazioni riferentisi alla ipoteca od alla
alienazione di essi»[125].
Sempre Siotto Pintor inoltre annunciò un’interpellanza al presidente del Consiglio
e al ministro degli Esteri «intorno alle condizioni della politica italiana
all’interno e all’esterno»[126], che
può essere considerata l’unica interpellanza rivolta a mettere in discussione
l’operato del Governo nel suo insieme. Fu poi lo stesso senatore sardo che
chiese di rimandarla: la sua interpellanza non fu perciò oggetto di dibattito[127].
La
storiografia non ha mancato di soffermarsi sulle assenze dei senatori ai lavori
della Camera alta. Cominciando dal 1992, che si può considerare un anno di
svolta per gli studi sul Senato (grazie soprattutto alla prima importante
storia del Senato del Regno di Nicola Antonetti, ma anche al lavoro di
Francesco Soddu che per primo ha ricostruito la macchina amministrativa della
Camera alta[128]), si potrebbero
distinguere due interpretazioni prevalenti sull’assenteismo: una
sostanzialmente, se non esclusivamente, rivolta ad evidenziarne le conseguenze
negative; l’altra che, contestualizzandolo, offre un’analisi, se non positiva,
certo meno negativa del fenomeno.
Roberto
Martucci ha osservato che l’assenteismo parlamentare «diminuì la credibilità
delle due Camere» e ha aggiunto che fu «un fenomeno strutturale che
caratterizzò senza eccezioni l’intero periodo liberale fino al 1922» e che contribuì
«a irrobustire quelle istanze antiparlamentari»[129].
Francesco Soddu, invece, ricordando quanto scrisse alla fine dell’Ottocento
Domenico Zanichelli, ha sottolineato che nella concezione del sistema
parlamentare del tempo «l’assenteismo poteva in fondo rivestire un carattere
fisiologico, finendo anzi per rovesciarsi da elemento negativo in un fattore
positivo, se non addirittura in una condizione essenziale di buon
funzionamento»[130].
Nel
saggio introduttivo al Repertorio
biografico dei senatori dell’Italia liberale, Fabio Grassi Orsini ha legato
le presenze dei senatori all’attività svolta «all’esterno del Senato». In
particolare, ha notato che l’attività esterna fu una delle cause delle assenze
dei diplomatici, dei militari, dei magistrati, ma anche dei professori
universitari, che continuarono ad insegnare e avevano responsabilità di governo
degli atenei, dei professionisti, avvocati e medici, che proseguirono la libera
professione, e degli industriali e banchieri, che non abbandonarono le aziende
e le banche all’indomani della nomina. Non va trascurata – ha rimarcato Grassi
Orsini – l’attività amministrativa svolta dai senatori, cioè le cariche
ricoperte nei Comuni e nelle Province, e gli incarichi nelle Camere di
Commercio e nei Consorzi agrari[131]. E
quindi prima di qualsiasi giudizio negativo sul numero delle assenze, che può
portare a rafforzare l’interpretazione di un’èlite inoperosa, sarebbe
indispensabile un’indagine sulle professioni e sui ruoli ricoperti dai senatori
contemporaneamente al loro incarico parlamentare.
Le fonti a disposizione, comunque, non permettono di ricostruire
la partecipazione dei senatori alle sedute pubbliche della Camera alta per
tutto il periodo che va dal 1848 al 1943. I Registri
delle sedute del Senato, conservati presso l’Archivio storico del Senato,
raccolgono le presenze dei senatori soltanto dal 1869 al 1909. Non si possono
ricavare, dunque, i dati sui senatori sardi deceduti prima del 1869 e su quelli
nominati dopo il 1909. A partire dai registri disponibili, si può osservare che
Carta Mameli fu il senatore sardo più assiduo; Mameli, Musio, Parpaglia,
Pasella e Serra furono presenti in almeno una legislatura a più di cento
sedute; gran parte dei senatori sardi furono assenti ad oltre il 75% delle
sedute[132].
È difficile dire con
precisione quali furono le cause principali dell’assenteismo dei senatori
sardi. Sicuramente per tutti (o per quasi tutti), almeno ad un certo punto
della loro vita, influì lo stato di salute: il numero delle presenze tendeva
generalmente a decrescere nelle ultime o nell’ultima legislatura (ma ciò
probabilmente vale in generale per tutti i senatori). Si può inoltre
ipotizzare, anche per i sardi, un elevato grado di incidenza sulle assenze delle
attività svolte durante il mandato di senatore. Contemporaneamente per un certo
periodo, ad esempio, Chironi fu sindaco di Torino, membro della giunta del Consiglio
superiore della pubblica istruzione, vicepresidente dell'Accademia delle
scienze di Torino; Mameli, consigliere provinciale di Cagliari, consigliere di
Stato e presidente di sezione; Parpaglia, sindaco di Oristano; Siotto Pintor,
presidente di sezione della Corte di cassazione di Milano[133].
Certo, influì particolarmente sulle presenze il trasferimento dall’isola
alla capitale, a cominciare dai costi e dai limiti dei mezzi di trasporto
dell’epoca. Maria Luisa Di Felice ha scritto che «solo dopo l’Unità, tra i
primi anni sessanta e settanta, vennero istituiti i servizi che misero in
comunicazione l’isola con la Corsica, Palermo, Napoli e Civitavecchia, e ci
vollero ancora dieci anni perché fosse predisposto il collegamento giornaliero
tra quest’ultimo porto e Terranova – poi sostituita da Golfo Aranci – e un
servizio tra Cagliari e Porto Torres che, con cadenza trimestrale, faceva scalo
in tutti i porti della Sardegna occidentale». Ma i trasporti marittimi gestiti
in regime di monopolio sarebbero stati «sempre estremamente cari e allo stesso
tempo molto insoddisfacenti»[134].
Diversi senatori sardi, anziché affrontare le fatiche del viaggio, scelsero di
trasferirsi direttamente nella capitale e prendere lì la residenza. Si è visto
il caso di Giordano Apostoli, ma anche Musio aveva la residenza abituale a Roma[135].
È inoltre altamente probabile che a questi fattori, in qualche
misura esterni alla volontà del senatore, si aggiungesse in alcuni la
disaffezione nei confronti della farraginosità delle istituzioni
rappresentative. Il singolo senatore sardo, in modo forse non differente dagli
altri, percepiva la difficoltà di incidere sulle scelte legislative; e quindi
la sua presenza veniva avvertita (forse a volte perché lo era) improduttiva,
quasi inutile, spesso non importante al punto da cambiare il corso dei lavori
del Senato.
Sarebbe interessante, ma evidentemente ciò richiederebbe una équipe
di ricercatori, “intrecciare” le presenze dei senatori sardi con i molti dati
ricavabili dagli atti parlamentari, come anni fa ha suggerito Francesco Soddu[136]. Si
potrebbe comprendere, fra l’altro, se esiste uno stretto legame fra l’oggetto
della discussione in aula e la presenza dei senatori sardi. Perché, ad esempio,
nella seduta del 24 agosto 1870 tutti e sei senatori sardi (Grixoni, Mameli,
Musio, Pes di Villamaria, Serra e Siotto Pintor) erano in aula? Si dibatteva il
progetto di legge «relativo ai provvedimenti per l’armamento», ma in realtà era
in discussione la politica estera dell’Italia (l’alleanza con la Francia, da un
lato, e l’ipotesi di intervento militare nei confronti di Roma, dall’altro), e
alla fine della seduta era previsto il voto finale[137]. Non
c’erano in gioco esclusivamente gli interessi della Sardegna. C’era molto di
più. I senatori, evidentemente, avevano avvertito la necessità di partecipare e
non fecero mancare la loro presenza ad un dibattito di straordinaria importanza
per le sorti del Regno.
I senatori sardi
possono essere considerati esempi paradigmatici di notabili di alto profilo.
Influenti sulla vita e sull’attività di un gruppo più o meno numeroso di
persone, autorevoli grazie al prestigio professionale, familiare e sociale,
disponevano di una rete di relazioni, avevano una certa attitudine a praticare
scambi di favori, cortesie e servizi e appagavano i fedeli o aspiranti
sostenitori, anche attraverso l’utilizzazione di risorse pubbliche. I mezzi
propri del notabile ottocentesco garantivano più efficacia rispetto alla
comunicazione di scelte programmatiche e alla propaganda astratta fondata sui
principi delle teorie politiche. I notabili erano, più di altre figure
politiche, organici alla società sarda[138].
Anche nelle città più
grandi la dimensione collettiva della politica decollò faticosamente e non
prima della nascita dei partiti organizzati. La politica rimaneva circoscritta
ad una limitata cerchia di personalità. Francesco Pais Serra, che a metà degli
anni Novanta avrebbe compiuto un’analisi dello stato della Sardegna, osservava,
forse non senza qualche esagerazione, che la dominazione spagnola e le
giurisdizioni feudali avevano «infiltrato nell’animo della popolazione uno
scetticismo passivo». Un «graduale vassallaggio» aveva preso il posto di
«un’antica soggezione feudale».
Meno che in pochi
centri, e anche in una piccolissima minoranza, conservatori e liberali,
democratici e radicali, sono parole senza contenuto, il socialismo e
l’anarchia, ed il clericalismo politico non sono nemmeno conosciuti di nome:
eppure i partiti sono vivi, tenaci, intransigenti, battaglieri; ma non sono
partiti politici, né partiti mossi da interessi generali e locali, sono partiti
personali, consorterie, nello stretto senso della parola. Che a Roma prevalga
questo o quel programma politico poco importa; importa ancor meno che l’uno e
l’altro dei partiti parlamentari predomini. Ciò che importa è che il loro capo
partito sia influente presso il Governo centrale, così che egli possa dominare
in Sardegna; e quivi dominando, siccome conquistatore, benefichi i vincitori,
annienti i vinti[139].
Nei primi decenni
post-unitari la scena cagliaritana fu occupata da un gruppo di potere piuttosto
ristretto di notabili filogovernativi, liberali più per opportunità che per
convinzione, comunemente identificati come «la camarilla». Ne facevano parte,
fra gli altri, i senatori Manno, Serra, Falqui Pes e Grixoni (in una posizione
defilata Siotto Pintor)[140]. Le
istituzioni furono utilizzate anche come canali primari per l’acquisizione e il
controllo del consenso politico, come strumenti per arrivare agli elettori,
soddisfare i loro bisogni o toccare i loro interessi. Molto severo il giudizio
del deputato di orientamento democratico Giuseppe Sanna Sanna: la «camarilla»
era una «congrega di uomini o ignoranti o perversi, che, avidi d’oro, d’onori e
di comando, non aspiravano ad altro che al monopolio di tutte le
amministrazioni dell’isola sieno economiche, sieno giuridiche, sieno di polizia
o di pubblica istruzione, imperocché da questo monopolio essi si procacciano
oro, onori e comando»[141].
La Sassari dell’età
liberale, invece, si caratterizzò come città «repubblicana». Un gruppo di
potere orientato in senso progressista, prevalentemente composto da
intellettuali e liberi professionisti, diffuse con continuità le idee
mazziniane fra gli artigiani, il proletariato più evoluto, gli studenti[142].
Nell’età giolittiana il gruppo radical-repubblicano aveva una forte base
cittadina: ne facevano parte, fra gli altri, gli avvocati Pietro Satta Branca
(sindaco di Sassari dal 1902 al 1910 e deputato nella XXV legislatura) Enrico
Berlinguer (nonno del futuro segretario del Pci e fondatore della «Nuova
Sardegna»), e Filippo Garavetti, come si è detto nominato senatore, carica che
si sarebbe sommata a quella di sindaco negli anni 1910-1913, presidente del
Consiglio provinciale dal 1912 al 1913 e dal 1922 al 1923 e poi consigliere
comunale dal 1920 al 1923. Certo egli ricoprì tutti questi incarichi anche per
la sua capacità di adattarsi agli orientamenti politici più diversi.
Repubblicano quando i repubblicani a Sassari dominavano la vita cittadina; liberal-conservatore
dopo la nomina a senatore e fascista all’avvento del regime. La sua
flessibilità (o se si preferisce fedeltà “mobile” ad un ideale), evidentemente,
non era un limite che la società del tempo avvertiva con particolare fastidio.
Eppure sarebbe
riduttivo, come la storiografia più recente non ha mancato di rilevare,
evidenziare esclusivamente il profilo più negativo del notabile. I senatori
erano importanti riferimenti all’interno alla comunità locale. Nei momenti di
crisi, quando il malumore e la tensione sociale sfociavano in aperta
contestazione e manifestazioni di piazza, l’azione dei notabili otteneva spesso
importanti successi là dove quella dello Stato (in particolare quella dei
carabinieri) falliva, perché si fondava sui rapporti personali, su un’estesa
rete di parentele, amicizie e comparaggi, sul rispetto di antiche relazioni
d’affetto, sulla conoscenza profonda dei problemi e della popolazione che
evidentemente un funzionario statale, inviato a volte nell’isola per punizione
più che per meriti professionali, non aveva.
Il notabile rappresentava un intermediario affidabile tra la
comunità locale e il mondo esterno. Come altri parlamentari (Francesco Cocco
Ortu, ad esempio), i senatori sardi possono essere collocati fra i “grandi
notabili” che svolgevano due funzioni principali: quella “classica” di patronage presso la sede delle decisioni
e quella di legittimazione del sistema di potere su più livelli. La loro azione
metteva in relazione la società sarda con lo Stato. Il loro intervento permetteva
alle istanze della periferia di raggiungere il centro con relativa rapidità e
garanzia di riuscita; mentre l’apparato istituzionale, farraginoso e ingessato,
non rappresentava per la comunità locale una via altrettanto efficace.
Nel concludere questa prima analisi si può affermare, pure con
le dovute cautele, che già prima della nomina i senatori sardi mostravano
numerosi elementi di omogeneità: erano autorevoli membri della classe
dirigente; avevano un elevato livello culturale raggiunto attraverso una
formazione più spesso umanistica e giuridica; professavano la fede cattolica o
comunque non erano anticlericali; dimostravano la loro fiducia nelle teorie
economiche della scuola classica e mostravano una marcata diffidenza nei
confronti dei mutamenti sociali. L’ideale per cui si battevano era l’ordine e
vedevano nei conflitti di classe soltanto gli aspetti negativi.
Nella società del tempo erano personalità di riconosciuto
prestigio, che aveva avuto origine – si presume – più dalle esperienze
professionali o istituzionali che dalla ricchezza economica di cui disponevano.
I senatori sardi inoltre si caratterizzavano per avere una dimensione
nazionale, nel senso che avevano o erano capaci di istituire collegamenti con
l’élite della penisola per via della loro formazione, professione, cultura o
attività politica. Sarebbe perciò sbagliato pensare ad un’élite provinciale,
localistica, portatrice esclusivamente degli interessi della Sardegna. Il
senatore sardo si sentiva a tutti gli effetti parte di un’élite italiana,
chiamata a confrontarsi, piuttosto che con le questioni della propria regione,
con i problemi dello Stato nel suo insieme.
La scelta dell’espressione «élites politiche» in riferimento ai
senatori sardi, utilizzata nel titolo di questo lavoro, sembra dunque
giustificata da una serie di ragioni. L’aggettivo «politiche» riesce con
maggiore approssimazione – rispetto all’aggettivo «tecnica» – a sintetizzare i caratteri biografici comuni
della gran parte dei senatori sardi. La loro fu essenzialmente un’attività
politica. Lo stretto rapporto con il territorio di provenienza portò i senatori
sardi a sentirsi, oltreché rappresentanti della nazione, anche i rappresentanti
della Sardegna, i riferimenti politici “naturali” dei sardi nel Senato del
Regno. L’assenza di una diretta legittimazione elettorale fu interpretata più
come un privilegio che come un limite. Dispensato dalla “rozza” ricerca del
voto, il senatore si sentiva il delegato che trovava legittimazione
direttamente dall’alto, che non aveva sottoscritto alcun patto con l’elettorato
di un collegio ma era stato insignito in virtù di speciali requisiti.
All’interno del gruppo dei senatori sardi non è stato constatato neppure un
singolo caso di senatore che avvertì nella nomina al laticlavio una sorta di
delusione, dovuta alla perdita del proprio ruolo in un ambiente politico, come
poteva essere la Camera dei deputati, o professionale, quale il mondo degli
alti studi scientifici, reputato più prestigioso. Anzi, la nomina fu più spesso
desiderata, ricercata e accolta con grande soddisfazione. Fu generalmente
considerata un nobile riconoscimento, un segno del livello di autorevolezza
raggiunto.
This
paper aims to analyze the profile of the parliamentary class, and in particular
of the Senators of Sardinia from 1848 to 1943. The research has conducted
mainly to archival sources (Archivio Storico del Senato della Repubblica,
Archivio Centrale dello Stato) and printed sources (Parliamentary papers), kept
in the library of Italian Parliament. During the period considered, the
Senators of Sardinia were 34 on 2.362 (only 1,4%). They were an “political
élite”. They had a high cultural level. Their parliamentary activity was
important. They were attentive to the interests of their island, but they had
an overview of the problems of the State.
[Per la pubblicazione degli
articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il
procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato
positivamente da due referees, che
hanno operato con il sistema del double-blind]
[1]
Desidero ringraziare Antonello Mattone, Sandro Ruju, Francesco Soddu e Giuseppe
Zichi che hanno letto il testo, offrendomi preziosi suggerimenti. Sono grato al
prof. Fabio Grassi Orsini che mi ha incoraggiato a scrivere questo articolo. Un
ringraziamento particolare va alle archiviste dell’Archivio Storico del Senato
della Repubblica, in particolare alla dott.ssa Elisabetta Lantero. Ho anticipato alcuni riferimenti d’insieme
sui senatori della Sardegna (anche se la ricerca allora era appena cominciata)
nella relazione svolta alla 63a Conference of the International
Commission for the History of Representative and Parliamentary Institutions
(Cadice, 5-8 settembre 2012), poi diventata il capitolo Per un’analisi del profilo dei parlamentari sardi. I senatori dal 1861
al 1922, in Las Corte de Cádiz y la
Historia Parlamentaria. The Cortes of Cádiz and Parliamentary
History, a cura di D. REPETO GARCÍA, Cádiz, Universidad de Cádiz, 2012,
541-551.
[2] N. ANTONETTI, Gli invalidi della Costituzione. Il Senato del Regno 1848-1924,
Roma, Laterza, 1992; F. SODDU, L’amministrazione
interna del Senato Regio. 1. Dallo Statuto albertino alla crisi di fine secolo,
Sassari, Libreria Dessì, 1992; ID., Il
Parlamento di Giolitti. Camera e Senato nella XXII legislatura (1904-1909),
Sassari, Unidata, 1999; ID., In
Parlamento. Deputati e senatori nell’età della Destra, Sassari, Edes, 2004.
Ancora prima degli studi di Antonetti e Soddu, erano comparsi il saggio di P.
AIMO, Strutture e funzioni del Senato
Regio, in Il Parlamento italiano 1861-1988. L’unificazione italiana 1861-1865,
Milano, Nuova Cei, 1988, vol. I, 109-126, e il numero della rivista
«Trimestre», 1988, n. 1-4, intitolato Materiali
per una storia del Senato.
[3] R.
FERRARI ZUMBINI, Tra idealità e
ideologia. Il Rinnovamento costituzionale nel Regno di Sardegna fra la
primavera 1847 e l’inverno 1848, Torino, Giappichelli, 2008, 228.
[4] F.
GRASSI ORSINI, Incontro ravvicinato con
il Senato del Regno in età liberale, in Repertorio
biografico dei senatori dell’Italia liberale, a cura di F. GRASSI ORSINI,
E. CAMPOCHIARO, Napoli, Bibliopolis, 2009, vol. 1, LXXV-CCCVI.
[5]
Durante i 150 anni di storia del Parlamento italiano le iniziative rivolte a
realizzare un dizionario biografico dei parlamentari italiani non hanno avuto
successo. Negli ultimi due decenni del Novecento, tuttavia, compaiono i primi
lavori che privilegiano la dimensione regionale, come, ad esempio, lo studio di
MARIA SERENA PIRETTI e GIOVANNI GUIDI (L’Emilia
Romagna in Parlamento (1861-1919). Collegi, elezioni, comportamento
parlamentare, vol. I, Bologna, Centro Ricerche storia politica, 1992; Dizionario dei deputati, vol. II,
Bologna, Centro Ricerche storia politica, 1992), e quello, relativo alla
Sardegna, di TITO ORRÙ (Dizionario
biografico dei parlamentari sardi, a cura di M. BRIGAGLIA, con la
collaborazione di A. Mattone e G. Melis, La
Sardegna. 3. Aggiornamenti,
cronologie e indici generali, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1988, vol.
III, 336-402). Negli ultimi anni si sono compiuti passi avanti significativi,
grazie soprattutto all’opera dell’Archivio Storico del Senato. Ora è a
disposizione degli studiosi un repertorio biografico dei senatori: Repertorio biografico dei senatori
dell’Italia fascista, a cura di E. GENTILE, E. CAMPOCHIARO, Napoli,
Bibliopolis, 2003, voll. 1-5; Repertorio
biografico dei senatori dell’Italia liberale. Il Senato subalpino, a cura
di F. GRASSI ORSINI, E. CAMPOCHIARO, Napoli, Bibliopolis, 2005, voll. 1-2; Repertorio biografico dei senatori
dell’Italia liberale, cit., voll. 1-9. Per un’analisi sullo stato degli
studi sul Parlamento italiano, F. SODDU, The
Italian Parliament between the Nineteenth and the Twentieth Century. Paths of
research, in Ricordo di Antonio
Marongiu. Giornata di Studio – Roma, 16 giugno 2009, a cura di M.S.
CORCIULO, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, 115-121; S. TABACCHI, Il Parlamento del Regno d’Italia:
rinnovamento storiografico e percorsi di ricerca, in «Memoria e Ricerca»,
2008, n. 27, 145-168; G. MELIS, Fonti
parlamentari e ricerca storica. Il punto di vista degli storici delle
istituzioni, in Le fonti
archivistiche della Camera dei deputati per la storia delle istituzioni.
Convegno organizzato dall’Archivio storico della Camera dei deputati (Roma,
20 giugno 1995), Roma, Camera dei deputati, 1996, 45-61.
[6] A.
MATTONE, Giuseppe Manno, magistrato,
storico, letterato tra Piemonte della Restaurazione e Italia liberale,
Napoli, ESI, 2009.
[7] Si
ricava poco dal libro di A. SATTA BRANCA, Rappresentanti
sardi al Parlamento subalpino, Cagliari, Fossataro, 1975, e in particolare
dal capitolo intitolato La Sardegna in
Senato, 157-166.
[8] Ho
ricavato i dati dal sito http://notes9.senato.it/Web/senregno.NSF/Senatori?OpenPage, a
cura dell’Archivio storico del Senato (agosto 2015).
[9] Il primo
fu nominato il 3 aprile 1848, ma non prestò giuramento a causa di problemi di
salute. Il secondo, sacerdote, intellettuale, figura di primo piano del mondo
culturale sardo dell’Ottocento, fu nominato il 15 novembre 1871, in un momento
drammatico per i rapporti tra Stato e Chiesa. La scelta di non giurare si può
interpretare come una reazione all’invasione e alla conquista di Roma (cfr. G.
ZICHI, I cattolici sardi e il
Risorgimento, Villanova Monteleone, Soter, 2008, 288-340; ID., I cattolici sardi e il Risorgimento,
introduzione di F. Malgeri, Milano, FrancoAngeli, 2015, 297-298 (d’ora in poi
sarà citata quest’ultima edizione). A proposito di Spano, gli studi più recenti
di Luciano Carta: Giovanni Spano e i suoi
corrispondenti 1832-1842, saggio introduttivo e cura di L. CARTA, Nuoro,
Ilisso, 2010, vol. I; Giovanni Spano e i
suoi corrispondenti 1843-1855, a cura di L. CARTA, Nuoro, Ilisso, 2015,
vol. II.
[11] E.
ROTELLI, La Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Il problema del coordinamento dell’amministrazione centrale in Italia
(1848-1948), Milano, Giuffrè, 1972, 73-87.
[12] Cfr.
N. ANTONETTI, Gli invalidi della
Costituzione, cit., 63 e 191; P. COLOMBO, Il Re d’Italia. Prerogative costituzionali e potere politico della
Corona (1848-1922), Milano, FrancoAngeli, 2007, 250-261; F. GRASSI ORSINI, Incontro ravvicinato, cit.,
CXXIII-CXXVI.
[13] In
generale, sulla figura di Cocco Ortu, F. ATZENI, Francesco Cocco Ortu, un profilo politico, in La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali, a cura
di L. MARROCU, F. BACHIS, V. DEPLANO, Roma, Donzelli, 2015, 261-286; G. SANNA, La giovinezza di Francesco Cocco Ortu (1842-76), in La Sardegna nel Risorgimento, diretta da
F. ATZENI e A. MATTONE, Roma, Carocci, 2014, 753-762; F. COCCO ORTU, Memorie autobiografiche 1842-1886, a
cura di M. FERRAI COCCO ORTU, T. ORRÙ, Cagliari, AM&D, 2012; Francesco Cocco Ortu nel centenario del
testo unico del 1907 sulla legislazione speciale per la Sardegna (atti del Convegno,
Cagliari 28 febbraio 2008), a cura DI M. FERRAI COCCO ORTU, Cagliari, AM&D,
2008; G.G. ORTU, Tra Piemonte e Italia.
La Sardegna in età liberale (1848-96), in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Sardegna, a cura
di L. BERLINGUER E A. MATTONE, Torino, Einaudi, 1998, 266-275; L. DEL PIANO, Francesco Cocco Ortu. Contributo ad una
biografia, in «Archivio Storico Sardo», 1999, n. 40, 465-588; G. SERRI, Cocco Ortu Francesco, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1982, vol. XXVI, 452-456.
[15]
Archivio centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Carte Giolitti, b. 8, f. 112
(Candidati senatori – elenco – 1882), c. 83, Lettera di Francesco Pais Serra a
Giovanni Giolitti, 13 settembre 1892.
[16] N.
GABRIELE, Pais Serra Francesco, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2014, vol. 80, ad vocem; M. BRIGAGLIA, Premessa,
in Le inchieste
parlamentari sulla Sardegna dell’Ottocento, II, L’inchiesta Salaris e la relazione
Pais Serra, a cura di M. BRIGAGLIA, Sassari, Edes, 1990, in
particolare, 23-36.
[17] ACS,
Carte Orlando, b. 55, f. 1525 (Corrispondenza relativa a segnalazioni per la
nomina a senatore ott. 1917- apr. 1920), c. senza numero, Lettera di Francesco
Dore a Vittorio E. Orlando, 27 dicembre 1918. Su Francesco Dore, L. DORE, Francesco Dore. Un medico dalla Barbagia al Parlamento, prefazione di G. Melis,
postfazione di M. Brigaglia, Nuoro, Ilisso, 2015.
[18]ACS,
Carte Orlando, b. 55, f. 1525 (Corrispondenza relativa a segnalazioni per la
nomina a senatore ott. 1917- apr. 1920), c. 20, Lettera del deputato sardo
Antonio Cao Pinna a Vittorio E. Orlando, 27 aprile 1920.
[19] ACS,
Carte Giolitti, b. 8, f. 112 (Candidati senatori – elenco – 1882), c. 83,
Lettera di Francesco Pais Serra a Giovanni Giolitti, 13 settembre 1892.
[21] Tab.
A. Numero dei senatori piemontesi e liguri in rapporto alla popolazione
Leg. |
I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
VII |
Piemonte |
59/1.63 |
58/1.60 |
63/1.85 |
86/2.35 |
78/2.13 |
68/1.83 |
65/1.75 |
Liguria |
11/1.48 |
11/1.48 |
15/2.01 |
16/2.12 |
16/2.12 |
17/2.22 |
20/2.59 |
Ibidem.
[23] Fig.
10. Distribuzione percentuale dei senatori secondo la regione di nascita dopo
la riforma della legge elettorale, 18 febbraio1861; Fig. 11. Distribuzione
percentuale dei senatori secondo la regione di nascita dopo la riforma della
legge elettorale, 22 novembre1882; Fig. 12. Distribuzione percentuale dei
senatori secondo la regione di nascita dopo la riforma della legge elettorale,
27 novembre 1913; Fig. 13. Distribuzione percentuale dei senatori secondo la
regione di nascita dopo la riforma della legge elettorale, 1° dicembre 1919, in
N. ANTONETTI, Gli invalidi della
Costituzione, cit., 279-281
[24] Cfr.
anche F. GRASSI ORSINI, Incontro
ravvicinato, cit., Quadro statistico territoriale delle nomine, p. CCLV.
Nel prospetto sotto le nomine in relazione ai governi.
Nomine |
|
|
Nomine |
|
Governo Balbo |
5 (Aymerich, Manno,
Musio, Pagliaccio della Planargia, E. Pes Di Villamarina) |
|
Governo Lanza |
1 (Boyl) |
Governo Boselli |
1 (Presbitero) |
|
Governo Menabrea II |
1 (Grixoni) |
Governo Cavour I |
1 (Mameli) |
|
Governo Minghetti I |
1 (Falqui Pes) |
Governo Cavour II |
1 (S. Pes di
Villamarina) |
|
Governo Minghetti II |
1 (Pasella) |
Governo Crispi |
2 (Salis, Scano) |
|
Governo Mussolini |
6 (Andreoni, Arborio
Mella, Cao Pinna, Lissia, Loffredo, Sanjust) |
Governo Depretis IV |
1 (Campi Bazan) |
|
Governo Nitti I |
1 (Sechi) |
Governo Depretis V |
1 (Loru) |
|
Governo Pelloux II |
1 (Carta Mameli) |
Governo Depretis VI |
1 (Farina) |
|
Governo Ricasoli I |
2 (Serra, Siotto
Pintor) |
Governo Di Rudinì V |
1 (Parpaglia) |
|
Governo Sonnino II |
1 (Garavetti) |
Governo Giolitti III |
3 (Chironi, Giordano
Apostoli, Solinas Apostoli) |
|
Governo Zanardelli |
1 (Ponsiglioni) |
Governo Giolitti IV |
1 (Fadda) |
|
[25] Su
Serra, cfr. il profilo biografico in I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna. Provvedimento normativi,
orientamenti di governo e ruolo delle forze sociali dal 1839 al 1851,
Milano, Giuffrè, 1982, 499-505; diversi cenni nelle opere di carattere
generale, come Storia d’Italia. Le
regioni dall’Unità ad oggi. La Sardegna, cit., passim; L. DEL PIANO, La
Sardegna nell’Ottocento, Sassari, Chiarella, 1984; A. BOSCOLO, M.
BRIGAGLIA, L. DEL PIANO, La Sardegna
contemporanea. Dagli ultimi moti antifeudali all’autonomia regionale,
Cagliari, Edizioni Della Torre, 1995 (prima ed. 1974); A. ACCARDO, N. GABRIELE,
Scegliere la patria. Classi dirigenti e
Risorgimento in Sardegna, Roma, Donzelli, 2011; La Sardegna nel Risorgimento, cit.
[26]
Nell’età della destra erano magistrati quattro su sei e (in ordine di nomina),
appartenevano alla destra, Francesco Maria Serra, Giuseppe Grixoni e Nicola
Pasella. In età giolittiana erano orientati a sinistra gli avvocati Gian Maria
Solinas Apostoli e Filippo Garavetti, i professori universitari Antonio
Ponsiglioni, Giampietro Chironi e Carlo Fadda.
[27] Mie
elaborazioni su dati Istat http://seriestoriche.istat.it (20 ottobre 2012).
[28] A.
ACCARDO, Cagliari, Roma-Bari,
Laterza, 1996; G.G. ORTU, Tra Piemonte e
Italia. La Sardegna in età liberale (1948-96), in Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, cit., 254-258; ID., Cagliari. Tessiture di luoghi tra età
medioevale e contemporanea, in La
Sardegna contemporanea. Idee, cit., 129-151.
[29] Cfr.
M. BRIGAGLIA, Sassari e il suo Ateneo: un
legame profondo, in Le origini dello
Studio generale sassarese nel mondo universitario dell’età moderna, sotto
la direzione di G.P. BRIZZI e A. MATTONE, Bologna, Clueb, 2013, pp. 473-477;
ID., La classe dirigente a Sassari da
Giolitti a Mussolini, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1979; ID., La Sardegna dall’età giolittiana al fascismo,
in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna,
cit., 508-525.
[30] Cfr.
G. CAZZETTA, Chironi Gian Pietro, S.
Solimano, Fadda Carlo, G. De Giudici,
Loru Antioco, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo),
diretto da I. BIROCCHI, E. CORTESE, A. MATTONE e M.N. MILETTI, Bologna, il
Mulino, 2013, ad vocem.
[32] La
più completa e aggiornata biografia di Manno è quella, già citata, di A. MATTONE, Giuseppe Manno, cit. Tra i tanti profili biografici, soprattutto:
A. MATTONE, Manno Giuseppe, in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana,
2007, vol. LXIX, ad vocem; G. RICUPERATI, L’esperienza intellettuale e storiografica di Giuseppe Manno fra le
istituzioni culturali piemontesi e la Sardegna, in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia,
a cura di G. SOTGIU, A. ACCARDO, L. CARTA, Oristano, S’Alvure, 1991, vol. I,
57-86; ID., Giuseppe Manno lettore: un intellettuale funzionario fra storia e
letteratura, in «Rivista storica italiana», 2006, n. 1, 219-240; G. SIOTTO PINTOR, Storia della vita di Giuseppe Manno, Torino, Tip. Bellardi,
Appiotti e Giorsini, 1869; Giornata di
studi su Giuseppe Manno politico storico e letterato (Atti del Convegno
tenutosi a Cagliari il 15-16 gennaio 1988), Cagliari, Press Color, 1989. Sul
ruolo svolto da Manno in Sardegna: I. BIROCCHI,
Per la storia della proprietà perfetta in
Sardegna. Provvedimenti normativi, orientamenti di governo e ruolo delle forze
sociali dal 1839 al 1851, Milano, Giuffrè, 1982; A. MATTONE, «Leggi
patrie» e consolidazione del diritto nella Sardegna sabauda (XVIII-XIX secc.),
in Il diritto patrio tra diritto comune e
codificazione (secoli XVI-XIX). Atti del Convegno internazionale (Alghero, 4-6 novembre 2004), a cura di I. BIROCCHI, A.
MATTONE, Roma, Viella, 2006, 527-538. Sull’attività di
Manno senatore, F. SODDU, La Sardegna in Parlamento. Caratteri e profili
di parlamentari in età liberale, Sassari, Edes, 2008, 29-53. Tre le fonti
edite: T. ORRÙ, Contributo all’epistolario di Giuseppe Manno
(lettere inedite dei carteggi con Giovanni Siotto Pintor e Salvator Angelo De
Castro 1839-1846), in Studi-economico
giuridici pubblicati per cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Cagliari, 1966, n. 2, 588-601; Le
lettere inedite di Pietro Martini a Giuseppe Manno, a cura di A. ACCARDO,
in «Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico», 1991, nn.
35-37, 267-275; Carteggio Manno –
Vieusseux (1830-1846), a cura di N. NADA, Firenze, Le Monnier, 2000; G. MANNO, Lettere a Tarsilla, Cagliari, Aisara, 2006.
[33]
Archivio Storico del Senato (d’ora in poi ASS), Fascicoli personali dei
senatori, Sanjust di Teulada ing. Edmondo, f. 2006; G. PISU, I cattolici e il Partito popolare in
Sardegna, in F. MANCONI, G. MELIS, G. PISU, Storia dei partiti popolari in Sardegna 1890-1926, a cura di L.
BERLINGUER, Roma, Editori Riuniti, 1977, passim;
M. BRIGAGLIA, Classe dirigente a Sassari,
cit., passim; V. FIORELLINI, Edmondo Sanjust di Teulada. Legge Zanardelli
per la Basilicata, leggi per la Sardegna, piani regolatori, Potenza, Stes,
2010; Servitori dello Stato.
Centocinquanta biografie, a cura di G. MELIS, prefazione di R. Brunetta,
Roma, Gangemi Editore, 2011, 451-453.
[34]
Livorno, Tipografia di Raffaello Giusti, 1903-1906 (il primo volume è
intitolato La guerra marittima e la
grande guerra; il secondo Preparazione
e condotta della guerra marittima).
[35] ASS,
Fascicoli personali dei senatori, Sechi Giovanni, f. 2060; E. GENTILE, Il totalitarismo alla conquista della Camera
alta, in Il totalitarismo alla
conquista della Camera alta. Inventari e documenti dell’Unione fascista del
Senato e delle carte Suardo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, 104; F.
LEDDA, La formazione dei militari nel
Regno d’Italia, in Formare alle
professioni. La cultura militare tra passato e presente, a cura di E.
BECCHI e M. FERRARI, Milano, FrancoAngeli, 2011, 231; Giovanni Sechi, in
«Rivista sarda», 1919, n. 5-6-7, 142-144.
[36] Campi
Bazan, Falqui Pes, Grixoni, Arborio Mella di Sant’Elia, Pagliaccio della
Planargia, Pasella e Emanuele Pes di Villamarina.
[37]
Neppure il nobile Luigi Arborio Mella di Sant’Elia, che pure apparteneva ad una
generazione successiva (era stato nominato senatore nel 1939), aveva conseguito
la laurea. Era però un importante uomo di corte. A soli venticinque anni,
divenne Gran maestro delle Cerimonie alla corte di Vittorio Emanuele II. Fu
anche confidente della regina Margherita di Savoia.
[38] G.
SORGIA, Aymerich, Ignazio, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1962, ad vocem; Dal Senatore
Aymerich proposte di rinascita. Il problema della terra nella Sardegna dell’Ottocento,
in «Sardegna economica», 2009, n. 4, pp. 47-55. Numerosi i cenni su Aymerich
nelle opere di carattere generale dedicate alla storia della Sardegna
dell’Ottocento, in relazione soprattutto al problema della rete ferroviaria
isolana (cfr., ad esempio, L. ORTU, La
questione sarda tra Ottocento e Novecento. Aspetti e problemi, Cagliari,
Cuec, 2005, passim). Tra gli scritti
di Aymerich: Lettere del
marchese di Laconi,
senatore del regno,
al marchese di Cavour,
deputato al Parlamento,
sul tracciato delle ferrovie della Sardegna, [s.l], [s.n.], [s.d.];
Considerazioni sul
tracciato di ferrovia nell'Isola di Sardegna, Torino, Tip. Botta,
1861; Nuovi riflessi sul tracciato delle
ferrovie in Sardegna, Cagliari, Tip. Timon, 1862; Sul progetto di perequazione dell'imposta
prediale nel regno d'Italia.
Osservazioni, Cagliari, Tip. Timon, 1863; Stato della Sardegna e suoi bisogni, specialmente riguardo alla
proprietà e all'agricoltura, Cagliari, Tip. Timon, 1869 (con Sulle proprietà delle miniere, ora in L’inchiesta Depretis, a cura di F.
MANCONI, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1984); Inchiesta sulle condizioni dell'isola di Sardegna,
[s.l], [s.n.] 1869.
[39] F.
SODDU, La presenza e il ruolo dei
magistrati nel Parlamento liberale, in «Le Carte e la Storia», 2007, n. 2,
35; ma anche, F. SODDU, Magistrates in the Italian
Parliament: the presence and role of magistrates in both houses during the
Liberal Age, in «Parliaments, Estates and Representation», 2009, n.
29/1, 133-141
[40] P.
SARACENO, Alta magistratura e classe politica
dalla integrazione alla separazione, Roma, Edizioni dell’Ateneo &
Bizzarri, 1979, 30-35; più in generale, A. MENICONI, Storia della magistratura italiana, Bologna, il Mulino, 2012.
[41] Francesco
Maria Serra e Giovanni Siotto Pintor erano stati nominati sia per le categorie
riferibili alla magistratura (il primo nella 9a, i primi presidenti
dei magistrati d'appello; il secondo nella 12a, i consiglieri del
magistrato di Cassazione e della Camera dei conti, dopo cinque anni di
funzioni), sia per quella riservata agli ex deputati dopo tre legislature o sei
anni di servizio (entrambi nella 3a, Serra anche nella 16a,
i membri dei Consigli di divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza).
[43] In
generale, A. MENICONI, I burocrati nel
Senato regio, in «Le Carte e la Storia», 1998, n. 2, 71-81; EAD., I burocrati nel Senato regio, in L’istituzione parlamentare nel XIX secolo.
Una prospettiva comparata, a cura di A.G. MANCA e W. BRAUNEDER, Bologna, Il
Mulino, 2000, 361-389; G. MELIS, La
partecipazione dell’alta burocrazia italiana al Senato nell’epoca liberale,
in «Trimestre», 1988, n. 1-4, 211-236.
[44] Vol.
I-III, [s.n.], Forlì, 1866-67. Gli unici cenni rinvenuti su quest’opera in L.
GAMBI, Le «statistiche» di un prefetto
del Regno, in «Quaderni storici», 45, 1980, n. 45, 829 e 853.
[46] F.
FLORIS, S. SERRA, Storia della nobiltà in
Sardegna, presentazione di A. Boscolo, Cagliari, Edizioni Della Torre,
1986, 129.
[47]
Questi numeri sono determinati anche dal rapporto fra nobiltà sarda e
monarchia: più stretto nel 1861 si allentò gradualmente con l’espandersi del
Regno.
[49] ACS,
Carte Giolitti, b. 8, f. 112 (Candidati senatori – elenco – 1882), c. 83,
Lettera di Ponsiglioni a Giovanni Giolitti.
[50] ACS,
Carte Orlando, b. 55, f. 1525, (carta non numerata), Lettara di Francesco Dore
a V.E. Orlando, 27 dicembre 1918.
[51] Nel
1911 Presbitero fu incaricato, per un breve periodo, delle funzioni di capo di
Stato maggiore della Marina. Fu presidente del Consiglio superiore della Marina
e presidente della Lega navale. Oltre ai documenti in ASS, Fascicoli personali
dei senatori, Presbitero Ernesto, f. 1818, qualche cenno su Presbitero, in G. MOSCA, Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, 2003, 285; Cronologia della pubblica amministrazione
1861-1992, a cura di G. MELIS, F. MERLONI, Bologna, Il Mulino, 1995, 142;
E. CERNUSCHI, V.P. O’HARA, Italy: Regia Marina, in To Crown the Waves. The
Great Navies of the First World War, edited by V.P. O’HARA, W.D. DICKSON, R. WORTH,
Annapolis, Naval Institute Press, 2013, 183; C. STEPHENSON,
A Box of Sand. The Italo-Ottoman War 1911-1912,
Ticehurst, Tattered Flag Press, 2014, 63; G. VITALI,
G. MONALDI, Le guerre italiane in Africa, Milano, Sonzogno, 1936, 151 e 158.
[52] Sugli
ademprivi soprattutto i recenti studi di A. MATTONE, Salti, ademprivi, cussorgie. I domini collettivi sul pascolo nella
Sardegna medievale e moderna (secoli XI-XIX), in A. MATTONE, P. F. SIMBULA, La pastorizia mediterranea. Storia e
diritto (secoli XI-XX), Roma, Carocci, 2011, 170-253; ID., Nel crepuscolo degli usi collettivi in
Sardegna. Dall’introduzione della “proprietà perfetta” all’abolizione dei
diritti di ademprivio (1920-65), in La
Sardegna nel Risorgimento, diretta da F. ATZENI e A. MATTONE, Roma,
Carocci, 2014, 481-589; mi permetto di rimandare anche al mio Il dibattito sulla proprietà fondiaria in
Sardegna nel Parlamento del Regno d’Italia (1861-65), ivi, 609-633.
[53] Su
Mameli, C. BERSANI, Mameli Cristoforo, in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia.
Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. MELIS, Milano, Giuffrè,
2006, vol. I, 32-40; P. BERNASCONI,
Mameli Cristoforo, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2007, vol. LXVIII, 371-373; E. MURA, Cristoforo Mameli, in Avvocati
sardi, a cura di A. MATTONE, in Avvocati
che fecero l’Italia, a cura di S. BORSACCHI, G.S. PENE VIDARI, Bologna, Il
Mulino, 2011, 818-820; E. MURA, Mameli, Cristoforo, in Dizionario dei giuristi italiani, cit., ad vocem. Su Musio, I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna, cit., 473-484; ID., Musio, Giuseppe,
in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2012, vol. LXXVII, ad vocem; ID. e con M. MELIS, Musio, Giuseppe, in Dizionario dei giuristi italiani, cit., ad vocem; M. CORONA CORRIAS, Giuseppe
Musio nello Stato assoluto e in quello costituzionale, in La Sardegna nel Risorgimento, cit.,
195-215; A. ACCARDO, N. GABRIELE, Scegliere la Patria, cit., 229-230; C. CATTANEO, Della
Sardegna antica e moderna, a cura di A. TROVA, Nuoro, Ilisso, 2010,
136-155. Su Siotto Pintor, I. BIROCCHI,
La questione autonomistica dalla “fusione
perfetta” al primo dopoguerra, in Storia
d’Italia, cit., 146-147; G. DE
GIUDICI, Siotto Pintor Giovanni,
in Dizionario dei giuristi italiani,
cit., ad vocem; T. ORRÙ, Cenni sulla vita, le opere e l’attività politica di Giovanni Siotto
Pintor (con appendice bibliografica), in Istituto per la Storia del
Risorgimento italiano. Comitato di Cagliari, Giovanni Siotto Pintor e i suoi tempi. Giornata di studi (Cagliari,
5 marzo 1983), Cagliari, Prestampa, 1985, 13-50; ID., Giovanni Siotto
Pintor, scrittore e uomo politico. Bibliografia ragionata e notizie sugli
inediti, Sassari, Gallizzi, 1966; ID.,
Giovanni Siotto Pintor. Saggio
bibliografico, in «Ichnusa», 1959, n. 31, 21-57.
[54] Cfr.,
a proposito del conservatorismo del Senato, A.C. JEMOLO, Camera e Senato: rapporti e contrasti, in Il Centenario del Parlamento. 8 maggio 1848-8 maggio 1948, Roma,
Segretariato generale della Camera dei deputati, 1948, 358.
[55] M. BRIGAGLIA, La Sardegna dall’età giolittiana al fascismo,
cit., 525-534; ma anche M. CARDIA, I moti
del 1906 nell’Iglesiente e l’inchiesta parlamentare sulle condizioni degli
operai delle miniere della Sardegna, in Quel
maggio del 1906. I moti sociali nella Sardegna giolittiana, a cura di G.
MURGIA, [s.l], Grafica del Parteolla, 1999, 43-66.
[56] ASS,
Fascicoli personali dei senatori, Carta Mameli Michele, f. 471; G. MELIS, Carta Mameli Michele, in Il Consiglio di Stato, cit., 359-367; Michele Carta Mameli, in Servitori dello Stato, cit., 155-156.
[59] G. DE
GIUDICI, Loru, Antioco, in Dizionario biografico dei giuristi italiani
(XII-XX secolo), cit., vol. II, 1202. Qualche cenno sulla vita e l’opera di
Loru in Avvocati sardi, cit.,
809-810; I. BIROCCHI, La cultura
giuridica in Sardegna nell’età della Restaurazione. Primi appunti, in Intellettuali e società in Sardegna tra
Restaurazione e Unità d’Italia (Atti
del Convegno nazionale di studi – Oristano, 16-17 marzo 1990), a cura di G.
SOTGIU, A. ACCARDO, L. CARTA, Oristano, S’Alvure, 1991, 222.
[65] AP,
Senato, Discussioni, Leg. VIII, Sess.
I, tornata del 6 agosto 1862, 2008-2009, intervento di Siotto Pintor. Sulla
religiosità di Siotto Pintor, M. CORRIAS CORONA, Stato e Chiesa nel pensiero di Giovanni Siotto Pintor, in Istituto
per la Storia del Risorgimento italiano. Comitato di Cagliari, Giovanni Siotto Pintor e i suoi tempi,
cit., 142-151; ma soprattutto G. ZICHI, I
cattolici sardi e il Risorgimento, cit., 235-243.
[67] Ivi,
372-373; ma anche C. BERSANI, Mameli
Cristoforo, cit., 37-39; M. CORONA CORRIAS, Stato e Chiesa nelle valutazioni dei politici sardi 1848-1953,
Milano, Giuffrè, 1972, passim.
[68] G.
MUSIO, Della questione di Roma e della
relativa Convenzione 15 settembre 1864. Pensieri del senatore Musio,
Firenze, Bencini, 1870. Un’analisi della riflessione di Musio sui rapporti
Stato e Chiesa in G. ZICHI, I cattolici
sardi e il Risorgimento, cit., 275-284.
[72] Cfr.
S. SECHI, Dopoguerra e fascismo in
Sardegna. Il movimento autonomistico nella crisi dello Stato liberale
(1918-1926), Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1969, 179.
[74] ASS,
Fascicoli personali dei senatori, Lissia avv. Pietro, f. 1280. In particolare,
il profilo biografico di G. MELIS, Lissia,
Pietro, in Il Consiglio di Stato
nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di
G. MELIS, Milano, Giuffrè, 2006, tomo II, 1329-1338 (a cui si rimanda anche per
un’ampia bibliografia).
[75] Http://seriestoriche.istat.it (15 ottobre 2012).
[76]
Occorre tenere conto, evidentemente, che erano ben diverse le aspettative di
vita di un aristocratico rispetto a quelle di un bracciante.
[77]
Costituzione francese del 4 giugno 1814, art. 28. La regola statutaria dei 40
anni, come osservarono Mancini e Galeotti, «non fu interpretata con molto
rigore» (M. MANCINI, U. GALEOTTI, Norme
ed usi del Parlamento italiano. Trattato pratico di diritto e procedura
parlamentare, Tipografia della Camera dei deputati, Roma 1887, 70). In
effetti, Aymerich, nato l’11 novembre del 1808, fu nominato il 3 maggio del
1848, prima ancora quindi di aver compiuto il quarantesimo anno d’età. La
convalida del titolo, però, sarebbe avvenuta soltanto il 12 novembre del 1849.
[78] ACS,
Ministero di Grazia e Giustizia. Direzione Generale. Organizzazione
Giudiziaria, Magistrati (I versamento), b. 446, f. 41265 (Pietro Salis).
[79]
Fedele al re, Sechi aderì al fascismo con diffidenza. Non ricoprì alcuna carica
durante il regime né si iscrisse al Pnf prima del 1940. L’Alto commissionario,
Carlo Sforza, e poi l’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il
fascismo riunita in Camera di Consiglio non si pronunciarono per la sua
decadenza (ASS, Fascicoli personali dei senatori, Sechi Giovanni, f. 2060; E.
GENTILE, Il totalitarismo alla conquista
della Camera alta, in Il
totalitarismo alla conquista della Camera alta. Inventari e documenti dell’Unione
fascista del Senato e delle carte Suardo, cit., 104).
[80] ASS,
Fascicoli personali dei senatori, Lissia avv. Pietro, f. 1280, c. 34, ordinanza
dell’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo riunita in
camera di Consiglio.
[82] ASS,
Fascicoli personali dei senatori, Arborio Mella di Sant’Elia conte Luigi, f.
75, c. 31, ordinanza dell’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il
fascismo riunita in camera di Consiglio; ASS, Fascicoli personali dei senatori,
Loffredo dott. Rodolfo, ordinanza dell’Alta corte di giustizia per le sanzioni
contro il fascismo riunita in camera di Consiglio; M. Cardia, L’epurazione, cit., pp.183-184, 302.
[83] ASS,
Fascicoli personali dei senatori, Andreoni dott. Antonio, f. 54, c. 22,
ordinanza dell’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo
riunita in camera di Consiglio
[85] Per
un’analisi dell’art. 33 dello Statuto, R. FERRARI ZUMBINI, Tra idealità e ideologia, cit., 224-226.
[86] Sulla
composizione del Senato nei primi decenni post-unitari, Fig. 3. Distribuzione
percentuale delle 21 categorie di nomina senatoriale (art. 33 dello Statuto) al
12 febbraio 1861; Fig. 4. Distribuzione percentuale delle 21 categorie di
nomina senatoriale (art. 33 dello Statuto) al 20 novembre 1876; Fig. 5.
Distribuzione percentuale delle 21 categorie di nomina senatoriale (art. 33
dello Statuto) al 22 novembre 1882, in N. ANTONETTI,
Gli invalidi della Costituzione,
cit., 276; F. SODDU, In Parlamento. Deputati e senatori, cit.,
24-30; ID., Il ruolo del Parlamento nella costruzione dell’unità politica e
amministrativa, in Storia d’Italia.
Annali 17. Il Parlamento, a cura di L. VIOLANTE, con la collaborazione di
F. Piazza, Torino, Einaudi, 2001, 96-99; R. MARTUCCI,
L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864,
Milano, Sansoni, 1999, 397; ID., Storia costituzionale italiana, Roma,
Carocci, 2008 (7a ristampa), 74.
[87]
Francesco Maria Serra e Siotto Pintor furono nominati senatori nella 3a categoria
pur avendo maturato i requisiti nella Camera del Regno di Sardegna.
[88] Repertorio biografico dei senatori
dell’Italia liberale. Il Senato subalpino, cit., Tabella 4. Numero di
senatori nominati nelle 21 categorie, 127.
[93] ASS,
Comitato segreto. Processi verbali dal 21 giugno 1901 al 12 novembre 1928,
seduta del 7 dicembre 1901.
[94] F.
SODDU, Il ruolo dell’amministrazione nel
circuito legislativo, in L’istituzione
parlamentare nel XIX secolo, cit., 440.
[95] Tab.
B. Ruolo dei senatori sardi nel procedimento legislativo (dati ricavati dagli
indici degli AP).
Senatori |
Membro dell’Ufficio centrale |
Membro di Commissione |
Presidente dell’Ufficio centrale |
Segretario dell’Ufficio centrale |
Relatore |
Andreoni |
- |
- |
- |
- |
8 |
Aymerich di Laconi |
- |
- |
- |
- |
- |
Boyl |
- |
- |
- |
- |
- |
Campi Bazan |
- |
- |
- |
- |
- |
Cao Pinna |
- |
- |
- |
- |
- |
Carta Mameli |
- |
1 |
- |
- |
6 |
Chironi |
- |
- |
1 |
- |
1 |
Fadda |
- |
- |
- |
- |
- |
Farina |
- |
- |
- |
- |
- |
Garavetti |
- |
2 |
- |
- |
1 |
Giordano Apostoli |
- |
- |
- |
- |
- |
Grixoni |
- |
- |
- |
- |
- |
Lissia |
- |
- |
- |
- |
15 |
Loffredo |
- |
- |
- |
- |
9 |
Loru |
- |
|
- |
- |
- |
Mameli |
1 |
3 |
- |
- |
8 |
Manno |
- |
2 |
- |
- |
- |
Mella di Sant’Elia |
- |
- |
- |
- |
- |
Musio |
- |
3 |
- |
- |
3 |
Pagliaccio della Planargia |
- |
- |
- |
- |
- |
Parpaglia |
1 |
4 |
- |
1 |
4 |
Pasella |
- |
- |
- |
- |
1 |
Pes di Villamarina E. |
- |
- |
- |
- |
- |
Pes di Villamarina S. |
- |
- |
- |
- |
- |
Pes Falqui |
- |
- |
- |
- |
- |
Ponsiglioni |
- |
- |
- |
- |
- |
Presbitero |
- |
- |
- |
- |
- |
Salis |
- |
- |
- |
- |
- |
Sanjust di Teulada |
- |
- |
- |
- |
23 |
Scano |
- |
- |
- |
- |
- |
Sechi |
- |
2 |
- |
- |
13 |
Serra |
1 |
- |
- |
- |
6 |
Siotto Pintor |
- |
- |
- |
- |
3 |
Solinas Apostoli |
- |
- |
- |
- |
- |
[96] ACS,
Carte Giolitti, b. 8, f. 112 (Candidati senatori – elenco – 1882), c. 83,
Lettera di Ponsiglioni a Giovanni Giolitti.
[97] U.
LEVRA, Dallo Statuto alla Convenzione di
settembre, in Il Senato nella storia
d’Italia. Il Senato nell’età moderna e contemporanea, Roma, Istituto
poligrafico e zecca dello Stato, 1997, 67.
[98]
Segretariato Generale del Senato, I
Senatori del Regno. Nomina, Convalidazione, giuramento, dimissioni, decadenza,
Roma, Tip. del Senato, 1934, vol. II, 553-554, Lettera di Amede Peyron al presidente
del Senato, 27 luglio 1849 e 558-559, lettera di Emanuele Pes di Villamarina al
presidente del Senato, 16 novembre 1851. Più in generale, B. MONTALE, Dall’assolutismo settecentesco alle libertà costituzionali. Emanuele Pes
di Villamarina (1777-1852), Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento
Italiano, 1973. Sul ruolo politico, M. BRIGNOLI,
Carlo Alberto ultimo re di Sardegna
1798-1849, Milano, Franco Angeli, 2007; N. NADA,
Il Piemonte sabaudo dal 1814 al 1861,
in P. NOTARIO, N. NADA, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento («Storia
d’Italia» diretta da G. Galasso), Torino, Utet, 1993, 115 e ss.; ID., Dallo
Stato assoluto allo Stato costituzionale. Storia del Regno di Carlo Alberto dal
1831 al 1848, Torino, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano –
Comitato di Torino, 1980. A proposito dell’attività in Sardegna: I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna, cit.; A. ACCARDO, N. GABRIELE, Scegliere la
Patria, cit., 74-89; G. SIOTTO PINTOR,
Storia civile dei popoli sardi dal 1788
al 1848, Torino, Libreria F. Casanova, 1877. Si trovano dei riferimenti
sulla sua attività diplomatica e militare in La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio
bio-bibliografico dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri, Roma,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1987, 573-574; Enciclopedia
militare, diretta da A. MALATESTA, Milano, Il Popolo d’Italia, 1933, vol.
VI, ad vocem.
[99] Cfr.,
ad esempio, la testimonianza di V. ARANGIO
RUIZ, In memoria di Carlo Fadda,
in Congresso giuridico nazionale in
memoria di Carlo Fadda (Cagliari-Sassari, 23-26 maggio 1955), Milano,
Giuffrè, 1968, 4-5. Su Fadda, più in generale, P. MAROTTOLI, Fadda Carlo,
in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1994, vol. XLIV, 128-132; A. LANDUYT, Le sinistre e l’Aventino, Milano, Franco Angeli, 1973, 317; L. ZANI, Luigi Albertini e l’opposizione liberale in Senato nel 1924, in I liberali italiani dall’antifascismo alla
Repubblica, a cura di F. GRASSI ORSINI e G. NICOLOSI, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2008, 30; V. DEVILLA, L’opera di Carlo Fadda, in «Studi
Sassaresi», 1956, n. 3-4, 77-91; P. MARICA,
La Sardegna e gli studi del diritto (I),
Roma, Edizioni del Gremio, 1953; E. ALBERTARIO,
Carlo Fadda, in «Rivista di diritto
civile», 1931, n. 5, 495-497; R. BONU,
Scrittori sardi nati nel secolo XIX,
Sassari, Gallizzi, 1961, vol. II, 477-491.
[101]
Numerosi i riferimenti a Musio nei diari di Asproni: G. ASPRONI, Diario politico 1855-1857, profilo
biografico a cura di B.J. ANEDDA, introduzione e note di C. SOLE e T. ORRÙ,
Milano, Giuffrè, 1974, vol. I; ID., Diario
politico 1858-1860, Milano, Giuffrè, 1976, vol. II; ID., Diario politico 1861-1863, a cura di C.
SOLE, Milano, Giuffrè, 1980, vol. III; ID., Diario
politico 1864-1867, a cura di T. ORRÙ, Milano, Giuffrè, 1980, vol. IV; ID.,
Diario politico 1868-1870, a cura di
C. SOLE, Milano, Giuffrè, 1982, vol. V; ID., Diario politico 1871-1873, a cura di T. ORRÙ, Milano, Giuffrè,
1983, vol. VI; ID., Diario politico
1874-1876, a cura di C. SOLE e T. ORRÙ, Milano, Giuffrè, 1991, vol. VII.
[102] AP,
Senato, Discussioni, Leg. VIII, Sess.
II, tornata del 17 marzo 1865, 2587-2597, intervento di Mameli.
[103] Discorso pronunciato dal senatore Cristoforo
Mameli nella tornata del 27 dicembre 1870 sul progetto di legge per
l’accettazione del plebiscito delle Provincie romane, Firenze, Cotta e
comp., 1870.
[105] Nella
seduta del 17 agosto 1868, il senatore Musio, che in qualità di relatore
avrebbe dovuto leggere la relazione sul disegno di legge per la proroga del
termine per la rivendicazione e lo svincolo dei patronati, cappellanie ed altre
istituzioni locali, chiese a Siotto Pintor di leggere al suo posto la relazione
perché riteneva di non avere una così bella voce (AP, Senato, Discussioni, Leg. X, Sess. I, 17 agosto
1868, 1241).
[106] Ad
esempio, cfr. l’intervento tenuto in aula il 25 gennaio 1871 (AP, Senato, Discussioni, Leg. XI, Sess. I, 165).
[109] AP,
Senato, Discussioni, Leg. XXIII,
Sess. I, 9046-9053, intervento di Parpaglia. In generale, su Parpaglia, mi
permetto di rimandare a S. MURA, Salvatore
Parpaglia, deputato e senatore del Regno d’Italia, in Bosa. La città e il suo territorio. Dall'età antica al mondo
contemporaneo, a cura di A. MATTONE e M.B. COCCO, Sassari, Delfino, 2016,
542-547.
[110] Ha
osservato Italo Birocchi che la scomparsa della generazione protagonista della
fusione perfetta (1848) fu un «cambiamento epocale». Uomini di ampio respiro
culturale e politico (e fra questi anche i senatori Musio e Siotto Pintor)
portarono «la questione sarda fuori dalla Sardegna» e «seppero legare i
problemi dell’autonomia a quelli nazionali». «Non così la generazione che ne
prese il posto, in generale capace di elevare proteste e denunciare la
situazione di miseria, ma priva di orizzonti ideali e piuttosto acconcia a
sfruttare i margini di potere che si aprivano con il governo della Sinistra»
(I. BIROCCHI, La questione autonomistica
dalla “fusione perfetta” al primo dopoguerra, cit., 163).
[111] Commissione parlamentare d’inchiesta
sulla condizione degli operai delle miniere della Sardegna, Roma, Tip. della Camera dei deputati, 1910-1911, voll. 1-4.
[112] S.
RUJU, L’Argentiera. Storia e memorie di
una borgata mineraria in Sardegna 1864-1963, Milano, FrancoAngeli, 1996,
55-61.
[114] Otre
a Parpaglia, componevano la Commissione: Roberto Biscaretti Di Ruffia, Ricardo
Carafa, Silvano Crespi, Vittorio Moschini e Giacomo Pala.
[115] ASCD,
Commissioni parlamentari d’inchiesta, Commissione parlamentare d’inchiesta
sulle spese di guerra (1920-1923), b. 31. In generale, L’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra 1920-1923, a cura di
C. CROCELLA e F. MAZZONIS, Roma, Camera dei deputati, 2002, vol. I-III.
[116] P. GALEAZZI, Le interrogazioni parlamentari al
Governo, in «Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione»,
1918, 79.
[117] Cfr.
M. MANCINI, U. GALEOTTI, Norme ed usi,
cit., 376; S. BOTTA, Il Governo in
Parlamento, cit., 167.
[118] A.
BRAGAGLIA, Il sindacato parlamentare: principii, norme, forme,
Torino-Roma, Roux e Viarengo, 1903, 136.
[120] L. STURLESE, Evoluzione storica degli atti di
indirizzo e di controllo nel Parlamento italiano, in Il Parlamento nella
costituzione e nella realtà, Milano, Giuffrè, 1979, 552.
[124] A
proposito dell’istituto dell’interpellanza nel Parlamento dell’Italia liberale,
la voce datata ma ancora importante di I. SANTANGELO SPOTO, Parlamento, in Il Digesto italiano, Torino, Utet, 1906-1910, vol. XVIII, 258-260; V. MICELI, Il diritto d’interpellanza, Milano,
Soc. ed. libraria, 1908; E. GATTA, Interrogazione
ed interpellanza, in Nuovo digesto
italiano, a cura di M. D’AMELIO, Torino, Utet, 1938, vol. VII, 83-84; ID., Interpellanza, in Novissimo
digesto italiano, a cura di A. AZARA e E. EULA, Torino, Utet, 1962, vol.
VIII, 884-885.
[127]
Ancora SIOTTO PINTOR, nella tornata del 31 gennaio 1865, svolse
un’interpellanza su una presunta violazione della legge del 15 novembre del
1859 che regolava le promozioni della magistratura giudicante (AP, Senato, Discussioni, Leg. VIII, Sess. II,
tornata del 30 gennaio 1865, 2356-2360).
[129] R.
MARTUCCI, Storia costituzionale italiana,
cit., 67 e 79; ma anche ID., L’invenzione
dell’Italia unita, cit., 397-403.
[132] Registri delle sedute del Senato
(X-XXIII legislatura) in ASS, Segreteria del Senato del Regno. Cfr. La tab. 8b.
Statistiche per senatore in Repertorio biografico
dei senatori dell’Italia liberale, cit., DLXVI, ad vocem.
[134] M.L.
DI FELICE, La storia economica dalla
«fusione perfetta» alla legislazione speciale (1847-1905), in Storia d’Italia, cit., 303-304. Sulle
difficoltà per raggiungere via mare il «Continente» anche A. TROVA, Alle origini della “modernizzazione” nella
Sardegna dell’Ottocento, in Ambiente/ambienti.
Luoghi, culture, transiti del Mediterraneo, a cura di A. TROVA, Dedalo.
Centre d’Étude S. Viale, Pisa, 11. Cfr. inoltre F. PAIS SERRA, Relazione dell’Inchiesta sulle condizioni
economiche e della sicurezza pubblica in Sardegna (promossa con decreto
ministeriale del 12 dicembre 1894), ora in Le
inchieste parlamentari sulla Sardegna dell’Ottocento, cit., 405.
[135] AP,
Senato, Atti interni, Leg. XIII, Elenco
nominativo ed alfabetico dei senatori del Regno, 10 agosto 1876, 207.
[138] Y. M.
BODEMANN, Familismo y patronazgo como
sistemas de poder locale en Cerdeña, in «Papers, Revista de Sociologia»,
1979, n. 11, 17-43, ora anche, con il titolo di Parentela e clientelismo come sistemi di potere locale in Sardegna,
in «Quaderni bolotanesi», 1990, n. 16, 165-190; più in generale, i contributi
in «Ricerche di Storia Politica», 2012, n. 3 (in particolare l’articolo di R.
CAMURRI, I tutori della nazione: i
«grandi notabili» e l’organizzazione della politica nell’Italia liberale,
261-278); S. PIATTONI, Le virtù del
clientelismo. Una critica non convenzionale, Roma-Bari, Laterza, 2007; A.
MASTROPAOLO, Notabili, clientelismo e
trasformismo, in Storia d’Italia.
Annali 17. Il Parlamento, a cura di L. VIOLANTE, con la collaborazione di
F. Piazza, cit., 773-816; C. TULLIO ALTAN, La
nostra Italia. Clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità al 2000,
Milano, EGEA, 2000; A.M. BANTI, Clientele,
coalizioni, partiti. Strategie e forme della politica nell’Italia liberale
(1861-1915), in Les familles
politiques en Europe occidentale au XIXe siécle, Roma, École Française de
Rome, 1997, 335-355; L. MUSELLA, Individui,
amici, clienti. Relazioni personali e circuiti politici in Italia meridionale
tra Otto e Novecento, Bologna, il Mulino, 1994.
[140] A.
ACCARDO, Dal fallimento dei moti
angioyani alla Regione autonoma, in Cagliari,
a cura di A. ACCARDO, Roma-Bari, Laterza, 1996, 60-63.
[141] G.
SANNA SANNA, Schizzi storici sulla
camarilla di Cagliari, in «Gazzetta popolare», agosto 1860, ora in I problemi della Sardegna da Cavour a
Depretis (1849-1876), a cura di L. DEL PIANO, Cagliari, Fossataro, 1977,
360.