CERTEZZA DEL DIRITTO E PREVEDIBILITÀ. UNA
RIFLESSIONE SUL TEMA
Università di Sassari
SOMMARIO: 1. Introduzione.
– 2. Certezza e prevedibilità. – 3. Prevedibilità e deduzione logica. – 4. Il crollo della certezza. – 5. Prevedibilità, controllabilità e argomentazione.
– 6. Considerazioni conclusive. – Abstract.
Le
indagini intorno al tema della certezza del diritto sono ricorrenti nel
pensiero e nell’esperienza giuridica, in particolar modo in quei periodi nei
quali emerge una situazione di crisi del diritto, generata dalla sua incapacità
di rispondere adeguatamente alle esigenze concrete della società. Gli attuali
problemi al centro del dibattito etico-giuridico impongono nuove riflessioni
circa la possibilità di considerare ancora centrale il principio della certezza
del diritto[1], in un
periodo storico, qual è l’era postmoderna, dominato dall’incertezza e da una liquidità[2]
che rende difficile stabilire priorità e valori di riferimento. Le recenti
pronunce della giurisprudenza[3]
confermano questa difficoltà di adattamento della norma scritta all’esigenza
del caso concreto e sembrano porre in discussione il criterio della
prevedibilità della decisione giudiziaria, contenuto tipico della certezza del
diritto. Stiamo, dunque, assistendo ad un inesorabile declino o è possibile
attribuire alla certezza una nuova veste, adatta all’età contemporanea?
Il tema della certezza del
diritto ha dato luogo, storicamente, a problemi e questioni che hanno trovato
soluzioni e proposte interpretative eterogenee. Caratteristica di tale
dibattito è la rigidità delle posizioni di chi vi ha partecipato: da un lato si
è, difatti, parlato di certezza come mito[4],
illusione[5]
o addirittura mala sorte[6],
dall’altro come imprescindibile esigenza del diritto[7],
implicita nella sua stessa definizione[8].
Alla locuzione “certezza del diritto” sono stati attribuiti, nel corso del
tempo, una pluralità di significati, corrispondenti alle diverse funzioni che
principio si troverebbe ad assolvere negli ordinamenti giuridici contemporanei,
ovvero: la stabilità della regolamentazione giuridica nel tempo; la
conoscibilità delle norme giuridiche che dettano i comportamenti legittimi dei
consociati; l’univocità delle qualificazioni giuridiche; la prevedibilità
dell’intervento degli organi di esecuzione e applicazione e prevedibilità del
contenuto delle decisioni dei giudici; l’inviolabilità dei diritti fondamentali
da parte di chi ha il potere di proteggerli[9].
In
questo lavoro, mi concentrerò sull’interpretazione che ha avuto maggior seguito
tra gli autori che si sono occupati della certezza del diritto, ovvero la
possibilità di prevedere le decisioni giudiziali. L’intento è quello di
ricostruire il concetto di certezza come prevedibilità, dando atto delle
modifiche intervenute in relazione ai grandi mutamenti del diritto degli ultimi
due secoli. Nelle pagine che seguono, verrà pertanto, dapprima, discussa la
possibilità di leggere il principio della certezza del diritto a partire dal
concetto di prevedibilità, per poi indagare come quest’ultimo sia stato
diversamente declinato nel corso della modernità e contemporaneità giuridica.
Nella
nozione di certezza è implicata quella di prevedibilità, come suggerisce la
ricostruzione etimologica del termine[10].
Certus è il participio del verbo cernere che significa “distinguere,
discernere” ovvero “vedere chiaro”[11],
inteso non come capacità sensoriale, bensì “come un’attività e una fatica”[12].
Questa accezione dinamica di “raggiungimento, conquista” si rinviene nel
collegamento tra il verbo cernere e
il suo frequentativo certare che
significa “gareggiare, disputare”, ovvero lottare per “la conquista del vero”,
distinguere ciò che è certo da ciò che non lo è[13].
Per “vedere chiaro” è necessario avvicinarsi; in caso contrario non sarebbe
possibile distinguere alcunché. Il “vedere chiaro”, tuttavia, non è solo un
concetto spaziale, ma anche temporale[14].
L’uomo ha bisogno di poter distinguere da vicino, ha bisogno di sapere prima di
agire, ma il futuro è inconoscibile, si scopre man mano che qualcosa accade,
donde il problema della certezza[15].
Come posso essere certo, se non so cosa accadrà? Il “vedere chiaro” deve,
perciò, necessariamente implicare un “prevedere”, ovvero un “veder prima”. “La
certezza è, insomma, un vedere di là come se di là fosse di qua; un rendere
presente il futuro prima che si faccia presente da sé; e così un allargare
oltre i suoi limiti il presente o impadronirsi del futuro”[16].
Questo
“veder chiaro” – prevedere – nel diritto acquisisce un significato particolare.
Secondo Lopez De Oñate, la certezza si realizza nel momento in cui il diritto
introduce le norme nella vita sociale, qualificando i comportamenti possibili e
facendo «sapere a ciascuno ciò che egli può volere»[17].
Il soggetto di diritto deve essere consapevole dei confini della liceità dei
propri comportamenti[18],
dei limiti entro i quali si estende la libertà di ciascuno e inizia quella
altrui[19].
Per poter prevedere la valutazione futura delle proprie azioni è necessario che
le norme siano, quanto più possibile, chiare, non vaghe ed in numero adeguato
per permettere un’effettiva conoscenza da parte dei consociati[20].
«È necessario che ciascuno sappia, una volta concepita l’azione, non quale sarà
il suo risultato storico, il che varrebbe quanto conoscere l’assoluto, ma
almeno come l’azione sarà qualificata, e come l’azione si inserirà nella vita
storica della società»[21].
La previsione delle conseguenze dell’azione è, dunque, presupposta nel momento
stesso in cui viene formulata la disposizione[22]
ed è legata alla sua comprensione e conoscibilità[23].
Questa interpretazione della prevedibilità viene ricondotta da Lopez ad un’idea
di certezza concepita come valore specifico del diritto - “specifica eticità
del diritto”[24] - cui
gli organi che influiscono sulla sua formazione e applicazione devono tendere[25].A
questa impostazione del problema ribatte Carnelutti, affermando che “la
certezza ottenuta con le leggi è una certezza approssimativa, al cento per
cento nessuno si può fidare”[26].
È nell’esperienza giuridica, nel momento in cui l’astratto incontra il concreto
che deve realizzarsi la prevedibilità e la certezza del diritto[27].
In questo secondo senso, la certezza si configura come prevedibilità in
relazione alla decisione, ovvero come possibilità di effettiva previsione della
valutazione delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni ed è legata alle
modalità attraverso le quali i giudici decidono il caso.
La
prima concezione, tuttavia, implica, e non esclude, la seconda. Intenderla, invero,
come “principio speculativo e produttivo del diritto”[28]
presuppone la possibilità di una sua realizzazione come prassi effettiva del
diritto, come tecnica giuridica che si concretizza nelle modalità attraverso le
quali i giudici pervengono alla decisione[29].
Come afferma Capograssi, essi rappresentano due momenti dello stesso problema,
l’uno si occupa della certezza come consapevolezza
dell’azione, come fattore intrinseco alla radice di tutto il mondo del
diritto, l’altro come certezza immediata del caso concreto, come relatività
dell’esperienza giuridica[30].
Di
questa seconda accezione di certezza, intesa come prevedibilità della decisione
concreta, ci occuperemo nel presente articolo.
3. – Prevedibilità e
deduzione logica
La
possibilità di prevedere che ad un determinato fatto corrisponda una precisa
risposta giuridica da parte degli organi competenti è stata collegata
all’utilizzo dello strumento del sillogismo[31].
Il carattere decisivo della relazione fra premesse e conclusione, applicato alla
decisione giudiziale, fa sì che quest’ultima possa essere considerata come
l’esito necessario delle premesse decisionali e, dunque, prevedibile nella sua
formulazione.
È
l’opera di Beccaria, in particolare, che introduce la necessità di una
corrispondenza tra la certezza del diritto e l’obbligo, per i giudici, della
«rigorosa osservanza della lettera[32]»
della legge. Nessuna certezza è, infatti, realizzabile finché si continuerà a
vedere «la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa’ a
diversi tribunali»[33].
Secondo Beccaria, il sillogismo giudiziale consente di raggiungere la certezza
del diritto, poiché di fatto limita la discrezionalità del giudice, permettendo
uniformità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie:
In
ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore
dev’essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge, la
conseguenza la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia
fare anche soli due sillogismi, si apre la porta dell’incertezza[34].
Il sillogismo giuridico ha,
tuttavia, caratteristiche peculiari rispetto al sillogismo aristotelico
dimostrativo. Il fatto che vi siano una premessa ed una conclusione normativa
ha, infatti, posto non pochi problemi in relazione alla possibilità stessa di
poter ragionare con le norme ovvero compiere inferenze valide e necessarie in
presenza di enunciati non descrittivi e perciò non vero-funzionali[35].
Questi problemi, tuttavia, verranno presi in considerazione solo in un secondo
momento rispetto all’affermazione, da parte della dottrina giuridica,
dell’applicabilità del ragionamento sillogistico al diritto. Inizialmente,
complice il fatto che prima facie i
ragionamenti prescrittivi funzionano esattamente come quelli descrittivi[36],
il sillogismo giudiziale è parso lo strumento perfetto per poter risolvere i
problemi di incertezza che caratterizzavano le corti settecentesche[37].
Se nelle idee di Beccaria il
sillogismo rappresenta una dottrina normativa, un modello al quale i giudici avrebbero
dovuto tendere, è nell’ideologia giuspositivista che tale strumento trova piena
realizzazione. Nell’Ottocento, a seguito del processo di codificazione, il
sillogismo è, infatti, divenuto da modello normativo,
modello descrittivo dell’agire
giudiziale[38]. La
funzione giurisdizionale viene concepita come un’attività di deduzione logica
all’interno di un ordinamento completo, nel quale a certe premesse sono
collegate determinate conseguenze; la sentenza del giudice riflette il
risultato di un processo dichiarativo e meramente conoscitivo e non l’esito di
una scelta discrezionale[39]. Il sillogismo
giudiziale viene considerato come un “sillogismo dimostrativo”, per equipararlo
ai modelli di ragionamento propri delle scienze esatte[40].
La subordinazione del giudice alla legge e l’utilizzo di tale strumento
garantiscono la certezza del diritto, facendo in modo che il cittadino sappia
con esattezza come verrà valutato il suo comportamento[41].
La sentenza diventa un prodotto di pura logica[42].
Lo
sviluppo dello schema di giudizio sillogistico fu possibile per le condizioni
in cui verteva la società nel sec. XIX, epoca di stabilità economica e sociale
e di sostanziale staticità, in cui il diritto poteva ancora essere considerato
immutabile[43]. Tuttavia, già sul
finire dell’Ottocento, questo strumento, rigido ed astratto, fu sottoposto a
serrate critiche. Le profonde trasformazioni sociali ed economiche, prodotto
della rivoluzione industriale, crearono consistenti cambiamenti anche in ambito
giuridico, rivelando l’inadeguatezza dei codici a far fronte ai problemi
nascenti[44]. Le mutate condizioni
di vita e gli sviluppi dell’economia diedero origine a nuovi rapporti
economici, che necessitavano di tutele differenti. Rispondere all’esigenza di
creare nuovi istituti e rapporti giuridici non poteva essere opera facile per
un codice costruito su concetti giuridici appartenenti ad un’epoca passata[45].
Ricondurre la prevedibilità delle decisioni ad uno strumento tanto rigido,
diventava un prezzo troppo alto da pagare per il caso concreto.
Una
delle critiche più importanti alla struttura logico-deduttiva del ragionamento
del giudice e, dunque, alla concezione di prevedibilità come operazione
matematica, arriva dalle cosiddette “teorie antiformalistiche” che si
svilupparono secondo filoni differenti in Francia, Germania e Stati Uniti.
L’idea di fondo è che in ogni ordinamento giuridico vi sia uno spazio vuoto che
debba essere colmato dal giudice, attraverso poteri discrezionali che gli
permettano di adeguare il diritto ai nuovi bisogni della società[46]. La completezza
dell’ordinamento viene messa in discussione. Si ritiene che il diritto statuale
debba essere affiancato da un diritto libero prodotto dalle sentenze dei
giudici e dalla scienza giuridica[47]. Le ripercussioni di
tali correnti teoriche sul principio della certezza del diritto sono
catastrofiche[48]. Secondo
Jerome Frank, l’operato del giudice è totalmente arbitrario e dipendente da
fattori personali; la certezza del diritto è un mito che persiste nonostante la
realtà continui a dimostrare il contrario [49].
Non è possibile alcuna previsione delle decisioni giudiziali, poiché esse sono
sempre il frutto di considerazioni soggettive e dipendenti dalla personalità
del giudice[50].
Le
critiche al sillogismo non vennero, tuttavia, solo dagli antiformalisti, ma
dagli stessi giuspositivisti, tra cui Hans Kelsen, il quale, dopo aver
sostenuto l’impossibilità di procedere ad operazioni logiche con enunciati dal
contenuto prescrittivo, ha affermato che “ciò che rende la norma particolare
valida, non è il risultato dell’inferenza deduttiva, ma il fatto che il giudice
sia autorizzato ad emanarla”[51]. Prevedere un potere
creativo in capo ai giudici implica l’irrealizzabilità della previsione del
contenuto delle norme individuali, così come la intendeva Kelsen, inducendolo a
configurare la certezza del diritto come «un’illusione» che «la teoria
giuridica tradizionale coscientemente o incoscientemente si sforza di
mantenere»[52].
L’affermazione del carattere
costitutivo e non dichiarativo sia delle premesse che, conseguentemente, della
stessa conclusione del sillogismo costringono i teorici del ragionamento
giuridico ad una nuova visione del processo decisionale. Si ritiene necessario
operare una distinzione tra il modo in cui il giudice perviene alla decisione
ed il suo risultato, giustificato nella sentenza. Mutuando la classificazione
dalla filosofia della scienza[53],
Wasserstrom fu il primo, di un lungo seguito, a distinguere tra contesto di
scoperta e contesto di giustificazione[54].
Egli tracciò un confine tra le due fasi del ragionamento del giudice,
lasciando gli aspetti relativi alla scoperta della soluzione alle scienze
cognitive e la giustificazione della decisione della sentenza alle scienze
giuridiche[55].
Quali
sorti determina la tesi di Wasserstrom per la certezza del diritto? Secondo
Barberis, accogliere questa netta differenziazione sorta per contrastare le
ragioni delle teorie antiformaliste, vale, tuttavia, ad affermarle
indirettamente. Ritenere che le decisioni del giudice nascano da motivi
psicologici di qualsiasi genere, rendendo impossibile una loro previsione,
sembra, infatti, sposare la tesi che la certezza del diritto sia un concetto
privo di fondamento[56].
L’incertezza
sembra, così, divenire motivo centrale e dominante di quello che da più autori
viene sentito come periodo di crisi del diritto[57].
5. – Prevedibilità,
controllabilità e argomentazione
Nuove
prospettive per il tema della certezza ci vengono offerte dagli studi sulle teorie
dell’argomentazione. A partire dal 1958, infatti, considerato l’anno della
svolta “argomentativa”, si sviluppano nuovi studi in materia di ragionamento
giuridico, che riaprono il dibattito intorno al tema della certezza[58].
Inizia
a farsi strada l’idea, formulata da Perelman, che i ragionamenti pratici
(prescrittivi e valutativi) si fondino su una logica argomentativa, costituita
da un insieme di tecniche discorsive finalizzate alla persuasione dell’uditorio
di riferimento[59]. L’errore,
scrive il giurista belga, è stato quello di identificare la logica con la sola
logica formale, inadatta quando si discute di opinioni controverse,
caratteristica tipica del ragionamento giuridico[60].
Alla deduzione deve, invece, essere affiancata l’argomentazione, che offre al
giudice gli strumenti per giustificare la decisione. Di tali strumenti fanno
parte sia argomenti propriamente giuridici, già studiati dalla Topica[61],
che argomenti applicabili a qualsiasi ragionamento di tipo pratico[62].
Compito del giudice è “la ricerca di una sintesi che tenga conto al tempo
stesso del valore della sua soluzione e della sua conformità alla legge”[63].
Tale sintesi deve essere argomentata nella motivazione, che avrà lo “scopo di
indicare in che modo la migliore interpretazione della legge, si concilia con
la miglior soluzione per il caso di specie[64]”.
L’argomentazione, lungi dal creare libero arbitrio, ne consente la sua
eliminazione, poiché obbliga chi esprime le ragioni, ad averne nel prendere la
decisione[65]. Ed è in
questa sintesi che si realizza la certezza del diritto, “che nessun giurista
può negare” rappresenti “un valore centrale del diritto”[66].
La certezza, dunque, che lo stesso Perelman definisce come possibilità di
“prevedere in modo praticamente soddisfacente le reazioni di chi, giudice o
pubblico funzionario, è incaricato di amministrare la giustizia[67]”,
inizia ad arricchirsi di un nuovo significato. Certezza diviene non più mera
prevedibilità derivante da una deduzione sillogistica, irrealizzabile in ambito
giuridico[68], bensì
controllabilità della decisione a partire dalle argomentazioni in essa
contenute.
Il
concetto di controllo acquisisce nuovi contenuti a partire dagli anni Settanta
in poi, con l’evoluzione delle teorie dell’argomentazione, che mirano non più
al superamento della nozione di argomento logico-deduttivo, come le precedenti,
bensì alla ricerca di un’integrazione di nozioni diverse di argomentazione[69].
Un buon argomento, alla luce di tale teoria, sarà quello che rispecchia sia le
regole della logica formale (coerenza delle premesse, rispetto delle regole di
inferenza), che le regole della razionalità pratica (universalità, coerenza,
etc.)[70].
Le nuove teorie
dell’argomentazione pratica, lungi dall’essere un’antitesi alla logica[71],
costituiscono un allargamento del campo logico[72].
“La logica costituisce lo scheletro del corpo dell’argomentazione umana, la
teoria dell’argomentazione ne costituisce la carne”[73].
Tali teorie, infatti, poggiano sulla logica, ma se ne discostano, superandola,
dovendo confrontarsi con il mondo reale, fatto di linguaggio dai significati
vaghi e non univoci e di tesi in conflitto tra loro[74].
L’approccio monologico della logica formale, ovvero lo studio di argomenti
isolati, non è adatto a descrivere la realtà dialogica, basata sul confronto di
tesi contrapposte, tipiche del ragionamento giudiziale. La logica formale, che
a lungo è stata considerata garanzia di rigore è, in realtà, un di meno
rispetto alla logica informale, in relazione ai ragionamenti pratici; mentre la
prima si interessa esclusivamente della validità di un ragionamento, intesa
come validità sintattica legata alla forma, la seconda aggiunge ad essa una
validità semantica, detta anche “truth
preserving”, ovvero di conservazione della verità nel passaggio dalle
premesse alla conclusione[75].
La logica informale, o argomentativa, si interessa della correttezza di un
ragionamento, ovvero della sua validità e della sua verità.
Secondo Alexy, il discorso
giuridico è una specie del discorso pratico generale e ne condivide regole e
forme argomentative, pur avendone di sue proprie[76].
Il ragionamento giuridico espresso nella motivazione delle sentenze, può essere
descritto come forma di comunicazione linguistica che ha luogo in un contesto
istituzionale, governato da norme e che avanza una “pretesa di correttezza”[77].
Tale pretesa si realizza con la possibilità di una giustificazione razionale
delle decisioni giudiziali, che avviene attraverso l’osservanza sia delle
regole specifiche dell’ambito giuridico, che delle regole del discorso universali,
valevoli per qualsiasi essere umano, in qualsiasi tipo di comunicazione
linguistica[78]. Il
controllo delle decisioni dei giudici consiste, secondo il giurista tedesco,
nella verifica della correttezza degli argomenti contenuti nella motivazione,
che si realizza quand’essi sono il risultato di una procedura razionalmente
fondata[79].
Come afferma Alexy, “l’indicazione di regole universali (…) facilita la
coerenza della decisione e comporta,
quindi, giustizia e certezza del diritto”[80].
In
quest’ottica, anche la distinzione tra contesto di scoperta e contesto di
giustificazione acquisisce valenza diversa. Il fine, infatti, resta quello di
separare due momenti, il processo mentale che giunge alla decisione e il
discorso scritto valutabile contenuto nella motivazione[81],
tenendo presente, tuttavia, che i processi psicologici del giudice sono
orientati dalle strutture teoriche nel quale egli opera[82].
Ogni decisione, in ogni sua fase, è costantemente sottoposta al controllo della
giustificabilità della motivazione, non potendo, perciò, definirsi arbitraria.
In altri termini, se anche la scelta precede la giustificazione, non può con
ciò derivarsi che le due siano indipendenti l’una dall’altra, poiché già dal
principio, il giudice dovrà operare una valutazione tra opzioni che possano
essere successivamente motivate[83]. Il processo di
decisione è, dunque, veicolato e guidato anche dalla successiva
giustificazione, che egli dovrà fornire nel momento di rendere conto del suo
operato[84].
6. – Considerazioni
conclusive
Cosa
resta, dunque, di quel “veder chiaro” di Carnelutti oltre sessant’anni dopo? È
ancora corretto parlare di certezza come prevedibilità della decisione?
Come si è visto, parlare di
“vedere chiaro” nel senso di prevedere in senso stretto, al pari di un’operazione
matematica, non è realizzabile in un ragionamento che si sviluppa in una realtà
in continuo divenire, dai contenuti incerti e dai predicati vaghi. Questo,
tuttavia, non significa affermare che il giudice nel prendere le decisioni
proceda attraverso operazioni arbitrarie e discrezionali. In un’ottica
argomentativa del diritto, la prevedibilità ex
ante delle decisioni giudiziali, lungi dall’implicare il conoscere a priori il contenuto di una sentenza,
consiste nella garanzia che questa si realizzi sulla base di un ragionamento
condotto all’interno di un sistema giuridico, nel quale operano procedure
argomentative razionalmente fondate, retto dalla logica informale.
Questa possibilità è garantita dal concetto di controllabilità delle decisioni, che deve essere affiancato a quello di prevedibilità, attraverso il quale è possibile valutare la conformità delle scelte del giudice, non solo rispetto ai parametri giuridici, ma anche in relazione al caso concreto. Come abbiamo visto infatti, la logica argomentativa valuta, oltre alla validità di un argomento, la sua correttezza in relazione al mondo di riferimento. Una decisione giudiziale potrà essere, dunque, considerata corretta se il giudice, nel ragionamento contenuto nelle motivazioni della sentenza, avrà seguito le regole della cosiddetta “deduzione naturale”[85]; sarà partito da premesse vere, ovvero corrispondenti alla ricostruzione dei fatti; se tali premesse e la conclusione sono collegate concettualmente e semanticamente tra di loro, se sono feconde e hanno forza logica[86].
Lo
stesso Carnelutti, pur non esplicitando il concetto di controllabilità, include
nella nozione di certezza non solo il “veder prima”, ma anche il “veder dopo”[87],
affermando che è nel giudizio che si realizza “il dopo di un prima”: “per
essere certi bisogna giudicare[88]”.
La certezza del diritto viene,
pertanto, ricondotta alla predeterminazione normativa delle procedure di
decisione, alla conoscenza anticipata dei passaggi argomentativi e alla
possibilità di verificarne a posteriori la correttezza[89].
La prevedibilità viene intesa in un senso più ampio, ovvero come possibilità di
sapere che l’azione verrà giudicata sulla base di procedure razionalmente
fondate, che tengano conto sia delle regole del diritto che delle regole del
discorso. La certezza del diritto, dunque, non si realizza nella previsione
concreta di un fatto, bensì nella delimitazione degli “esiti ragionevolmente
possibili” di una decisione
giudiziale[90], che
avverrà sulla base di un diritto inteso, non “come legge applicata da un
giudice”, bensì “prodotto dal giudice entro i limiti di legge”[91].
Partendo da questi presupposti, allora, si potrebbe convenire che anche una
decisione giudiziale all’apparenza imprevedibile - come quella che riconosce
l’efficacia nel nostro ordinamento all’atto che attribuisce la potestà
genitoriale al compagno del padre biologico[92]-
potrà essere ritenuta conforme al valore della certezza del diritto, una volta
verificati i parametri giuridici e argomentativi in essa contenuti.
Current problems at the centre of ethical and
legal debate require new thinking regarding the possibility of considering the
principle of legal certainty still relevant, in a historical period, the
postmodern era, which is dominated by uncertainty and liquidity making
difficult to set priorities and benchmarks. In this paper, I will focus on the
interpretation that had the greatest consensus among authors who dealt with the
concept of legal certainty, which is the ability to foresee Court decisions. My
intent is to reconstruct
the concept of certainty as predictability, analyzing major legislative changes
occurred over the last two centuries.
[Per la pubblicazione degli articoli della
sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review.
Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] Sulla
differenza tra certezza come valore o come principio vedi GOMETZ G., La
certezza giuridica come prevedibilità, Giappichelli, Torino, 2005, 43 ss;
GUASTINI G., La certezza del diritto come
principio di diritto positivo? (Nota a Corte cost. 101/1986), in Le Regioni, 14, 1986, 1090-1102.
[3] Corte
App. Trento, sez. I, 23 febbraio 2017, in Diritto
e Giustizia, Il quotidiano di informazione giuridica, 1 marzo 2017; Corte
Cass., Prima Sez. Civ., n. 19599, 30 settembre 2016 in Diritto e Giustizia, Il quotidiano di informazione giuridica, 3
Ottobre 2016 in materia entrambe di trascrizione di atto di nascita di figlio
concepito con fecondazione eterologa (la prima da coppia di padri, la seconda
da coppia di madri).
[7] LOPEZ
DE OÑATE F., La certezza del diritto,
Giuffrè, Milano, 1968; CORSALE M. La
certezza del diritto, Giuffrè, Milano, 1970.
[8]
BOBBIO N., La certezza del diritto è un
mito? in Rivista internazionale di
filosofia del diritto, 1951, 146-152,
[9] Sulla
molteplicità di significati del concetto di certezza del diritto vedi: CORSALE
M. La certezza del diritto, cit., 30;
ALLORIO E., La certezza del diritto
dell’economia, in Il diritto
dell’economia, 1956, 1198-1205; LOMBARDI VALLAURI L., Saggio sul diritto giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 1975, 567
ss.; P. COMANDUCCI, R.
GUASTINI, L’analisi del ragionamento giuridico,
Giappichelli, Torino, 1987, 233-242; LONGO M., voce Certezza del diritto, in Novissimo Digesto italiano, III, Utet,
Torino, 1974, 124-129; SCHULZ F., I
principi del diritto romano, Le Lettere, Firenze, 1995, 206; L. GIANFORMAGGIO, Certezza del diritto, in EAD., Studi
sulla giustificazione giuridica, Giappichelli, Torino, 1986, 157-169;
PATTARO E., Temi e problemi di filosofia del diritto, Clueb, Bologna, 1994,
193; JORI M., PINTORE A., Manuale di
teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino, 1995, 194-198; BERTEA
S., Certezza e argomentazione giuridica, Rubbettino, Soveria Mannelli,
2002, 45; GOMETZ G., La certezza
giuridica come prevedibilità, cit., 7; ALPA G., La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Editoriale scientifica,
Parma, 2006, 15-16.
[10]
CARNELUTTI F., Nuove riflessioni intorno
alla certezza del diritto, in Discorsi
intorno al diritto, vol. II, Cedam, Padova, 1953, 154.
[11]
ALINEI M., BENOZZO F., DESLI: dizionario
etimologico-semantico della lingua italiana: come nascono le parole,
Pendragon, Bologna, 2015
[13] Ivi,
cit., 155; sul collegamento dei verbi “cernere”
e “certare” vedi MILANI C., Il lessico della guerra nel mondo classico,
in SORDI M. (a cura di), Il pensiero
sulla guerra nel mondo antico, Vita e pensiero, Milano, 2001, 15. Anonymous, Vocabula
Latini Italique Sermonis 1: Ex Auries Et Optimi Scriptoribus Sellecta AC in
Dues Libros Distributa., Nabu Press, Firenze, 2012, 52.
[20] Lopez
dedica un capitolo a quelle che egli definisce “minacce di fatto” della
certezza del diritto, ovvero l’oscurità delle norme, la mancanza di semplicità,
l’instabilità e l’ipertrofia che comporta anche per l’esperto una notevole
difficoltà nel conoscere tutte le leggi. LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 67-73.
[22] «La
prevedibilità dei comportamenti, cioè della loro valutazione, è il motivo per
il quale la legge non ragione di cose particolari
e presenti, ma di cose future e generali». Ivi, cit., 50.
[23] È
quella che Corsale denomina “certezza legale”. CORSALE M., La certezza del diritto, cit., 58.
[28]
CAPOGRASSI G., Considerazioni conclusive,
in LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del
diritto, cit., 245
[29] «In
caso contrario ci si troverebbe di fronte a un’aspirazione, forse nobile e
generosa, ma priva della benché minima capacità di sfociare in un’azione
costruttiva» LUZZATTI C., L’interprete e
il legislatore, cit., 254.
[31] Il termine
“sillogismo” è utilizzato da Aristotele nel senso più ampio di “deduzione”.
BERTI E., Guida ad Aristotele, cit., 70. Sul sillogismo vedi BERTI E., La
filosofia del primo Aristotele, Cedam, Padova, 1962, 93 ss.; BERTI E., Nuovi
studi aristotelici, Morcelliana, Brescia, 2004, 129 ss.; BERTI E., La
contraddizione, Città Nuova editrice, Roma, 1977, 10 ss; BONAZZI M. (a cura
di), Filosofia antica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, 190 ss;
CARAMELLA S. - MULLER P., voce Sillogismo, in Enciclopedia filosofica, vol.11, Bompiani, Milano, 2006, 10622 ss.;
DONINI P., La filosofia di Aristotele, Loescher, Torino, 1982, 75 ss.;
G. RIGAMONTI, L’origine del sillogismo in
Aristotele, Manfredi, Palermo, 1980.
[35] Vedi
GIANFORMAGGIO L., Se la logica si
applichi alle norme. In cerca del senso di una questione, in Materiali per una storia della cultura
giuridica, vol. XVI, 1986, 473-486. La discussione sulla possibilità di
applicare la logica agli enunciati imperativi viene solitamente ricondotta al
saggio di Kelsen, “Recht und logic”, ma
essa ha origine in realtà circa un trentennio prima, in Danimarca con la
pubblicazione di “Imperatives and Logic”
di Jørgensen.
[36]
JØRGENSEN J., Imperativi e logica. 1938 (I), in LORINI G., Il valore
logico delle norme, Adriatica editrice, Bari, 2003, 205. Jørgensen
sottolinea che, nonostante la definizione comunemente accettata di inferenza
logica affermi che possono costituire premesse e conclusione di un ragionamento
logico solo gli enunciati suscettibili di essere veri o falsi, tuttavia è
evidente che si possa trarre una conclusione imperativa, laddove una delle
premesse è essa stessa imperativa.
[37]
Vigente il pluralismo delle fonti, il giudice aveva ampia libertà di scelta per
la risoluzione del caso concreto: poteva ricorrere all’equità, poteva riferirsi
alla consuetudine o alle direttive emanate dai giuristi, non essendo vincolato
all’utilizzo di norme che emanassero dall’organo legislativo dello Stato.
BOBBIO N., Il positivismo giuridico,
Giappichelli, Torino, 1996, 17.
[38]
BARBERIS M., Cosa resta del sillogismo
giudiziale? Riflessioni a partire da Beccaria, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1, giugno 2015,
9.
[39] CANALE D., Il ragionamento giuridico in
PINO G., SCHIAVELLO A., VILLA V. (a cura di), Filosofia del diritto.
Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo,
Giappichelli, Torino, 2013, 323.
[44]
FARALLI C., Il diritto alla
certezza nell'età della decodificazione, in AA.VV., Scritti
giuridici in onore di Sebastiano Cassarino, Cedam, Padova,
2001, 623-634.
[45] FASSÒ
G., Storia della filosofia del diritto,
vol. III Ottocento e Novecento, Laterza, Bari, 2003, 17.
[46]
FARALLI C., Le grandi correnti della
filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2011, 69.
[48] Lopez
ritiene tali correnti come minacce
teoriche alla certezza del diritto, «che si propongono proprio di scalzare
questa certezza, che considerano non come un valore ma come un disvalore,
nell’esperienza giuridica e nel mondo sociale» LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 81.
[52]
KELSEN H., Lineamenti di dottrina pura
del diritto, cit., 125. Sull’evoluzione del concetto di certezza del
diritto e prevedibilità in Kelsen vedi GOMETZ G., La certezza giuridica come prevedibilità, cit., 55 ss.
[53] Si
parla di “contesto di invenzione o scoperta”, intendendo quei processi tramite
i quali gli scienziati pervengono all’invenzione di ipotesi o teorie e
“contesto di validazione o giustificazione”, riferendosi alle operazioni con cui
vengono controllate e convalidate o meno le ipotesi scoperte. SCARPELLI U., L’etica senza verità, Il Mulino,
Bologna, 1982, 280.
[54]
Un’interessante critica sulla distinzione tra contesto di scoperta e contesto
di giustificazione si ritrova in MAZZARESE T., Forme di razionalità delle
decisioni giudiziali, Giappichelli, Torino, 1996, 105 ss.
[55] WASSERSTROM R., The judicial
decision. Toward a theory of Legal Justification, Stanford University
Press, Stanford, 1961, in ATIENZA M., Diritto come argomentazione. Concezioni
dell’argomentazione, Editoriale scientifica, Napoli, 2012, 98.
[57] LOPEZ
DE OÑATE F., La certezza del diritto,
cit., 40; CARNELUTTI F., La crisi del diritto,
in ID., Discorsi intorno al diritto,
cit., 65 ss.
[58] Il
1958 è l’anno in cui viene pubblicato il “Trattato dell’argomentazione” di
Perelman e Olbrechts-Tyteca.
[59]
PERELMAN C., La temporalità come
carattere dell’argomentazione, in Il campo
dell’argomentazione. Nuova retorica e scienze umane, Pratiche Editrice,
Parma, 1979, 22.
[60]
PERELMAN C., OLBRECHTS-TYTECA L., Trattato dell’argomentazione. La nuova
retorica, Einaudi, Torino,
2001, passim.
[61]
Perelman non si sofferma su questo aspetto, probabilmente perché siamo in
presenza di una tradizione più consolidata, si limita perciò a rimandare ad un
elenco di tredici argomenti che trae da uno scritto di Tarello, al quale anche
qui si rinvia. TARELLO G., I ragionamenti
dei giuristi tra teoria logica e teoria dell’argomentazione, in ID, Diritto, enunciati e usi. Studi di teoria e
metateoria del diritto, Il Mulino, Bologna, 1974, 425.
[62] Un
elenco di tali strumenti è contenuto nel Trattato di argomentazione, nella
parte terza rubricata “tecniche argomentative”. PERELMAN C., OLBRECHTS-TYTECA
L., Trattato dell’argomentazione,
cit., 197 ss.
[69]
Alexy, Peczenik, Aarnio e MacCormick, sono gli autori di questo nuovo filone di
studi, denominato “teoria standard dell’argomentazione”. Vedi AARNIO A., ALEXY
R., PECZENIK A., I fondamenti del ragionamento giuridico, in COMANDUCCI
P., GUASTINI R., L’analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso
degli studenti, vol. I,
Giappichelli, Torino, 1987; ATIENZA M., Diritto come argomentazione.
Concezioni dell’argomentazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, 62.
[71]
Perelman postulava l’esistenza di due logiche, l’una per i giudizi teorici
l’altra per i giudizi pratici. PERELMAN C., Il
dominio retorico. Retorica e argomentazione, Einaudi, Torino, 1981, 5.
[72]
D’AGOSTINI F., Verità avvelenata. Buoni e
cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Torino,
2010, p. 35.
[73]
CATTANI A. 50 discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi,
edizioni GB, Roma, 2011, 30.
[81]
TARUFFO M., Controllo di razionalità
della decisione, in BESSONE M. (a cura di), L’attività del giudice. Mediazione degli interessi e controllo delle
attività, Giappichelli, Torino, 1997, 151.
[92] Corte
App. Trento, sez. I, 23 febbraio 2017, in Diritto
e Giustizia, Il quotidiano di informazione giuridica, 1 marzo 2017.