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Ricordo di Paolo Pinna Parpaglia

(1934-2015)

 

PIA FIORI MACIOCCO

Università di Sassari

Assistente di Istituzioni di diritto romano in pensione

 

 

Il 6 marzo 2015, all’età di 81 anni, ci ha lasciato il professore Paolo Pinna Parpaglia, assistente di diritto romano nell’Università di Sassari dal 1959 al 1969; dopo tale data si dedicò all’insegnamento di Storia e Filosofia nei Licei Statali fino all’età pensionabile.

Ci ha lasciato all’improvviso e se ne è andato in silenzio con la sua consueta riservatezza e discrezione. Era un caro collega, un amico sincero sempre pronto ad aiutare e consigliare e soprattutto era un vero signore: mai un tono di voce troppo alto, mai uno screzio coi colleghi, sempre grande rispetto per tutti ed in particolare per gli studenti che amava moltissimo. Vedeva in essi il “futuro” e per questo era sempre disposto ad ascoltarli, senza mai scostarsi da quella severità che caratterizza e dona autorevolezza all’ottimo docente.

E’ difficile dimenticare le sue battute spesso taglienti e spiritose ed anche la sua sottile ironia, direi di tipo anglosassone, accompagnata dalla sua immancabile pipa, dalle sigarette col Nostromo, dalla sua bella automobile antica e inglese.

Politicamente apparteneva allo storico P.L.I., ma lungi dall’essere un antiquato parruccone, era sempre aperto alle novità e soprattutto a capire quanto le nuove leve richiedevano e perché.

 

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Si era laureato nell’Ateneo Turritano nell’anno accademico 1957-1958 (sessione del 2 marzo 1959) con una tesi in Diritto Romano dal titolo “La litis contestatio nella procedura civile romana”, relatore il Professor Vittorio Devilla.

Nello stesso mese del 1959, venne nominato assistente volontario e dopo qualche anno assistente incaricato; infine, ternato nel relativo concorso, fu nominato assistente ordinario il 16 novembre 1964, quando la cattedra di Diritto Romano dell’Università di Sassari era già del Professor Mario Amelotti, con cui Paolo Pinna Parpaglia instaurò subito un ottimo rapporto non solo fra maestro ed allievo, ma di amicizia.

Fattiva fu la partecipazione di Pinna Parpaglia allo sviluppo della piccola Biblioteca dell’allora Istituto Giuridico, che è oggi, anche grazie a lui, una importante biblioteca sassarese: la Biblioteca di Giurisprudenza e Scienze Giuridiche “Girolamo Olives”.

Quando lasciò l’Università (30 settembre 1969), con la consueta ironia e signorilità, assunse la cattedra di docente di Storia e Filosofia presso il “glorioso” Liceo Domenico Alberto Azuni di Sassari, dove chiuse la sua carriera fra la stima generale di colleghi ed allievi.

Ci vedemmo, ormai pensionati, al mare che tanto gli piaceva, e il ricordo che mi resta è quello di una persona serena che guardava al mondo con un certo distacco. Circondato dall’affetto dei nipoti, figli dell’amata sorella precocemente scomparsa, sorrideva di un mondo che ormai non gli apparteneva più.

 

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Paolo Pinna Parpaglia univa a solide doti e conoscenze giuridiche altrettante doti e conoscenze filosofiche; tali doti e conoscenze traspaiono dalle sue opere: «il diritto va di pari passo con la filosofia» diceva, e «la filosofia nasce nell’ambito socio-politico di un popolo in un dato momento storico».

Per ricordare lo studioso, che per tutta la sua vita aveva continuato a coltivare le ricerche romanistiche intraprese da assistente universitario, ho voluto brevemente riportare il contenuto dei suoi lavori più importanti da cui traspaiono i temi che maggiormente lo hanno interessato e in cui ha creduto: la Roma repubblicana, il suo diritto privato, l’Aequitas e la filosofia come madre del diritto.

 

E’ sempre la Repubblica, la sua costituzione, il suo panorama politico-sociale che affascina l’autore come si vede in quest’opera sulla Lex Cornelia de edictis (Paolo Pinna Parpaglia, Per una interpretazione della Lex Cornelia de Edictis Praetorum del 67 a.C., Moderna, Sassari 1987). Non solo l’approfondire la natura di riforma dell’attività giurisdizionale del pretore, ma anche l’occasione da cui prese le mosse l’attività politica riformatrice del tribuno Cornelio, costituiscono il punto fermo da cui parte l’indagine. Si ribadisce una fisionomia politica del tribunato della plebe che si muove sempre dal mutamento di fatti concreti e non da velleitarie attività di riforma, e si riconferma la realtà dello sviluppo politico-costituzionale dello Stato romano e del suo ordinamento giuridico nella tarda Repubblica. L’autore, dopo aver analizzato il contenuto della Lex Cornelia, ne esamina la sua funzionalità sul piano tecnico-processuale, per passare poi con la sua consueta passione, ad inquadrare questa lex nel clima economico e politico-sociale della tarda Repubblica: «uno degli ultimi sussulti democratici e libertari di una aequa republica nel I sec. a.C.».

Ambientato nel cuore della seconda guerra punica e nell’ambito della continua lotta fra patrizi e plebei, l’autore affronta il delicato problema costituzionale posto dalla Rogatio Metilia de aequando Magistri equitum et Dictatoris iure del 217 a.C. (Paolo Pinna Parpaglia, Sulla “rogatio Metilia de aequando Magistri equitum et Dictatoris iure”, S.D.H.I XXV-1969) «Per la prima volta, infatti, un dittatore veniva eletto direttamente dal popolo che provvedeva altresì ad eleggere il magister equitum», non solo, ma «poco più tardi sempre il popolo provvedeva a parificare dictator e magister equitum sul piano dell’imperium». Studio accurato delle fonti, in particolare Polibio e Livio, altrettanto accurato esame del “dissidio” tra Fabio Massimo dittatore e Minucio magister equitum, descrizione molto sentita del clima politico-sociale del periodo e conoscenza della costituzione repubblicana portano l’autore a concludere che l’atteggiamento del tribuno Metilio, facendo appello all’antiquus animus plebis (su cui basare le sue proposte di riforma) era quello addirittura di abrogare l’imperium di Fabio, ma che un “compromesso” con l’aristocrazia senatoria trasformò la proposta in una modica rogatio de aequando magistri equitum et dictatoris iure, dando così vita ad una nuova magistratura straordinaria con un carattere di collegialità in cui le forze si distribuiscono “sicut consulibus mos esset”.

Bello studio sul lavoro e sui lavoratori nell’antica Roma in cui si afferma la certezza che, nonostante la massiccia presenza di lavoro servile, prosperasse a Roma nelle sue varie ramificazioni, il lavoro libero. (Paolo Pinna Parpaglia, Democrazia e divisione del lavoro nell’antica Roma, Quaderni sardi di Filosofia e Scienze Umane n. 2-3/1977-78). Lavoro libero in cui la “divisione” delle varie fasi di lavorazione di uno stesso manufatto equivaleva ad una “specializzazione” dell’operaio, come può agevolmente vedersi nelle attività dell’agricoltura e non solo: si pensi alle fabbriche di mattoni, a quelle di produzione dei tessuti, alle gualchiere, alle fabbriche di ceramiche nelle quali si vedono veri e propri operai specializzati e operai liberi. Non vengono tralasciati il dispregio con cui gli “intellettuali” trattavano i fabbricanti in genere (primo fra tutti Cicerone), le condizioni, spesso disumane, in cui si lavorava, ed infine il riscatto fornito ai lavoratori dalla riforma dei Comizi Curiati che dava «una ben precisa collocazione politica a tutte quelle forze che raramente, prima di allora, avevano potuto esercitare una influenza sul piano politico». Tale influenza, conclude amaramente l’autore, in effetti non esisté mai, perché per partecipare ai Comizi bisognava risiedere a Roma, e la maggior parte dei lavoratori manuali era concentrata a grande distanza dall’Urbe e perché le generiche attestazioni di stima che si leggono negli autori dell’epoca imperiale, non attenueranno l’emarginazione politica dei lavoratori: il «princeps garantiva la permanenza dell’ordine stabilito e il rafforzamento delle posizioni e privilegi dei ceti dominanti tradizionali».

 

Pinna Parpaglia non era soltanto uno storico del diritto, ma vasta era la sua preparazione di giurista e il diritto privato romano lo affascinava non meno delle storia della Repubblica.

Di fronte alla scarsezza di fonti sull’istituto della donazione tra fidanzati, un passo di Scevola (D.24.1.66 pr.) dà all’autore la certezza della sua esistenza e della sua validità (Paolo Pinna Parpaglia, La donazione fra fidanzati nel mondo romano classico, Gallizzi, Sassari 1963). Si avverte che a differenza dell’epoca postclassica, dove l’istituto è del tutto autonomo e con struttura particolare di chiara derivazione orientale, nel periodo classico la donazione fra fidanzati è una vera causa donationis: pertanto ci si domanda se tale donazione possa essere configurata come datio ob rem. L’attenta esegesi dei passi di Papiniano (D.3.5.31(32).1 e D.16.3.25 pr.) e Paolo (D.6.2.12 pr.) dimostrano che la donazione fra fidanzati è fatta in vista del futuro vincolo matrimoniale il quale incide sulla sua validità, né un eventuale divorzio può invalidarla, e Giuliano (D.39.5.1) dichiara che tale donazione non poteva essere condizionata sospensivamente, pena la ricaduta nel divieto di donazione fra coniugi, bensì solo risolutivamente ovvero considerata come donazione pura. Infine sulla base di una serie di testi si dimostra come la condictio fosse il mezzo più adatto alla tutela dei diritti nascenti dalle donazioni condizionate fra fidanzati.

Quindi condividendo con Paolo (D.12.5.11) che la datio ob rem è caratterizzata dal fatto di essere effettuata in vista di uno scopo da raggiungere (pena la restituzione di quanto è stato dato), l’a. conclude con Ulpiano (D.12.4.6.) che nello schema della datio ob rem rientra certamente, proprio perché condizionata risolutivamente, la donazione fra fidanzati (inter sponsum et sponsam).

E’ sempre il giurista che affronta alcuni aspetti della locatio-conductio in diritto romano (Paolo Pinna Parpaglia, Vitia ex ipsa re - Aspetti della locazione in diritto romano, Giuffrè, Milano 1983): studio “maturo” sulla locazione ed in particolare sulle affittanze agrarie che si basa fondamentalmente sulla prospettiva processuale fornita da Ulpiano (l.32 ad Edictum) che chiarisce ulteriormente l’istituto in esame. Contraddicendo tutte le teorie che farebbero derivare la locatio-conductio dal precarium, l’autore ritiene che essa abbia le sue radici in una mancipatio fiduciae causa: e l’istituto viene studiato da fine giurista in tutti i suoi risvolti (particolarmente si veda il capitolo II dell’opera); risalta non solo una profonda conoscenza di diritto privato, ma, dalla sua esatta collocazione in un preciso periodo storico-politico, traspare, come del resto negli altri suoi scritti, la sua “amatissima” filosofia.

 

Passiamo dunque al Paolo Pinna Parpaglia filosofo oltreché giurista (Paolo Pinna Parpaglia, AEQUITAS in libera re publica, Giuffrè, Milano 1973). L’opera è dedicata al Professor Vittorio Devilla indimenticato ed amato docente di Istituzioni di Diritto romano nella Università di Sassari, ma è anche l’opera in cui maggiormente si rivelano la cultura e lo spirito di Paolo Pinna Parpaglia. Non solo la pignola ricerca dell’aequitas nelle fonti dell’epoca repubblicana: non sfugge nessun autore, da Appio Claudio a Catone, da Plauto a Lucrezio, da Cesare a Sallustio e Cicerone, per quanto attiene alle fonti letterarie, da Servio Sulpicio Rufo a Trebazio Testa per quelle giuridiche, ma l’indagine sull’opera di Tito Livio («trascurata il più spesso, dalla dottrina che si è occupata della nozione di aequitas») accentra l’attenzione dell’autore che la ritiene indispensabile per «accertare i riflessi più direttamente pubblicistici di questa stessa nozione, soprattutto per la sua indole “repubblicana”». Di nuovo la Repubblica, in cui l’autore ha sempre visto il «vero diritto romano»: in essa l’aequitas rimane non un “evanescente” concetto etico-politico (si legga il magnifico capitolo VII di quest’opera) come nella esperienza greca, ma resta integra nel suo «elementare concetto di uguaglianza» ed appare «forza perpetuamente animatrice del ius» nella sua continua ricerca di corrispondere ai sentimenti prevalenti della collettività.

Non potevano non interessare il filosofo-romanista due scritti che egli appunto recensì (Paolo Pinna Parpaglia, ΕΠΙΕΙΚΕΙΑ greca, “aequitas” romana e filosofia greca a Roma, S.D.H.I XL-1974) concludendo che la επιεικεια accolta dai romani non era quella intesa come indulgenza, ma quella piuttosto che si traduceva nell’aequitas animi, originando così un profondo incontro fra mentalità giuridica e mentalità filosofica, fra σοφία e mores maiorum. «L’aequitas infatti, appare come profondo motivo animatore dell’atteggiamento romano di fronte alla vita» e conclude l’autore: «i mores e le virtù romane originarie, in un proficuo incontro con la filosofia greca», dettero vita ad un unico e particolare «universo romano di pensiero e di comportamento».

 

Non può essere tralasciato fra le opere di Pinna Parpaglia lo studio sul Papiro Giessen n. 40 (Paolo Pinna Parpaglia, Sacra Peregrina, civitas Romanorum, dediticii nel Papiro Giessen n. 40; Collana dell’Archivio Storico Giuridico Sardo di Sassari – Nuova Serie – N. 2, Sassari, Moderna, 1995). Si tratta di un lavoro in cui traspare tutta la “pignoleria” dell’autore perché nulla sfugge alla ricerca e nulla viene lasciato al caso.

Era il Papiro Giessen una semplice versione graeca della Constitutio Antoniniana o era un provvedimento imperiale completamente diverso seppure, in certo modo, anticipatorio e forse, preparatorio di essa?

La ricerca si articola in tre distinte sezioni: nella prima si riportano le varie ricostruzioni e interpretazioni del testo: Chi erano i dediticii e da cosa erano esclusi? Da Mejer a Mitteis e Mommsen, a Bry, a Beltrami, a Segrè, a Bickermann, a Wenger, a Barbagallo, a Schonbauer, a Sasse fino ad Hans Julius Wolff tutti i pareri e tutte le teorie vengono riportate e commentate accuratamente e quasi puntigliosamente. Mettendo in particolare rilievo l’equilibrata posizione del De Martino che, appoggiandosi a Gai I.14, riteneva «assai più convincente» ricercare il significato del termine dediticii, «perché quando fossimo in grado di scoprire a quale categoria di persone esso si riferisse, meglio potremmo comprendere il senso dell’esclusione» di essi dalla concessione della cittadinanza romana prevista dalla Constitutio Antoniniana. Fa notare l’a. come nel Papiro Giessen possono individuarsi tre piani diversi sui quali si sarebbe svolto il processo logico dal quale sarebbe scaturito il provvedimento in questione. Un primo piano prettamente religioso; un secondo tecnico-giuspubblicistico; ed infine un terzo filosofico-politico, sul quale si sarebbero realizzati i principi di politica generale ai quali esso si sarebbe ispirato.

Nella seconda sezione dell’opera l’a. dopo aver rianalizzato il testo del documento, espone l’interpretazione di Laqueur il quale è rimasto completamente isolato nella sua posizione alla quale comunque Pinna Parpaglia riconosce una certa originalità non del tutto lontana dalla verità.

Si giunge infine alla terza sezione della ricerca giustamente intitolata «Per una reinterpretazione del Papiro Giessen n. 40, I», che si chiude con una rilettura del Papiro stesso e con le conclusioni tratte dall’autore. Considerato che «concedendo la cittadinanza romana a tutti quei sacerdoti che fossero capitati fra i suoi soldati (e ciò specie nelle terre danubiane dove si arruolavano nelle legioni uomini provenienti da ogni parte del mondo), Caracalla, col provvedimento contenuto nella I colonna del Papiro Giessen n. 40, altro non faceva, da vero εσεβέστατος πάντων νθρώπων, se non promuovere l’interpretazione dei vari culti presenti nelle “sue” forze armate: probabilmente in prospettiva di una prossima unificazione politica e civile dell’impero».

Il Papiro Giessen n. 40 non è dunque una tradizione greca della Constitutio Antoniniana, ma un vero e autentico preludio alla concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero.

E mi piace porre in rilievo l’umiltà scientifica di Paolo che come sempre, dopo tanto studio, non si riveste delle penne del pavone, ma dedica la sua ricerca «All’egregio Richard Laqueur che, per primo, indicò una nuova strada».

 

Queste poche schede non esauriscono l’opera di Paolo Pinna Parpaglia, ma vogliono solo essere lo specchio della sua cultura e della sua personalità: tutte sono dei begli esempi di studio di un romanista-filosofo.