Introduzione
(XI-XXIV) al volume: Mario Da Passano,
OMICIDI, RAPINE, BARDANE. Diritto penale
e politiche criminali nella Sardegna moderna (XVII-XIX secolo), a cura di Antonello Mattone, [Collana del
Dipartimento di Storia, Scienza dell’uomo e della Formazione dell’Università di
Sassari, nuova serie, 47] Roma,
Carocci Editore, 2015, XXX-288
pp. – ISBN 978-88-430-7632-1.
INDICE
Università di Sassari
Ricordo di Mario Da Passano nel decimo
anniversario della sua scomparsa
Con elenco delle
Pubblicazioni
Il
23 aprile 2005 si spegneva improvvisamente a Sassari, colpito da un aneurisma,
Mario Da Passano, professore ordinario di Storia del diritto italiano, preside
della Facoltà di Scienze politiche ed ex direttore del Dipartimento di Storia
dell’Università sassarese. A dieci anni dalla sua scomparsa l’ateneo turritano
ha voluto ricordare la sua figura e la sua opera con la pubblicazione, grazie
al contributo della Fondazione Banco di Sardegna, di questo volume che
raccoglie i suoi saggi di storia giuridica sarda[1].
Da
Passano (all’anagrafe Mario Marcello) era nato a Genova il 1° gennaio 1946 da
Augusto, marinaio nelle navi mercantili e poi impiegato dell’Enel, e da Lena
Alfonsi, sarta. La famiglia paterna era originaria di Framura (La Spezia),
villaggio della Liguria di Levante nei cui dintorni vi è una località
denominata “Passano”, da cui aveva derivato, appunto, il cognome. L’ambiente
familiare era dichiaratamente progressista: il padre, simpatizzante del pci, lo
iscrisse tra i giovani pionieri della Federazione giovanile comunista genovese.
Fu una scelta destinata a lasciare tracce durature. Il legame col pci, con le
sue tradizioni culturali, con la classe operaia della grande industria, con le
lotte dei portuali fu, tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta,
particolarmente intenso. Giorgio Rebuffa, di tre anni più vecchio di Mario,
allora responsabile delle scuole di partito, ha descritto in un penetrante
ricordo la comune militanza politica e la loro partecipazione alle assemblee
delle sezioni di periferia nelle colline genovesi: «Ci mettevamo in macchina –
racconta – e ci intrattenevamo, forse più sull’illuminismo che sul marxismo»[2].
Genova era allora una delle culle del nascente terrorismo “rosso” che aveva
addentellati nello stesso mondo universitario e, in particolare, nella Facoltà
di Lettere: nell’aprile del 1974 le Brigate Rosse avevano sequestrato il
giudice del tribunale genovese, Mario Sossi (il sequestro, durato 35 giorni,
diede all’organizzazione terroristica una notorietà a livello nazionale); nel
maggio del 1976 avevano ucciso in un’imboscata a Genova il magistrato sardo
Francesco Coco che, durante il sequestro Sossi, aveva rifiutato di trattare con
i terroristi.
Il
legame col pci restò saldo anche negli anni successivi, sia durante
l’indimenticabile stagione berlingueriana (in quegli anni fu membro del
direttivo della sezione universitaria sassarese), sia in tempi più recenti dopo
la svolta della Bolognina del 1991 e la nascita del pds. Un legame – si badi
bene – non acritico o conformista, però contraddistinto da disciplina e fedeltà
e da una forte caratura morale di matrice tutta “genovese”: Mario, assiduo
lettore quotidiano de «L’Unità», si identificava profondamente in quei valori
di uguaglianza, di giustizia sociale, di rettitudine, di pietà e comprensione
per i deboli e i diseredati, tipici dell’ideologia e della sensibilità
comunista, che finirono per ispirare la sua stessa produzione storiografica.
Dopo
la maturità classica al Liceo “Doria”, nel 1964 si iscrisse nella Facoltà di
Giurisprudenza. All’Università si legò ad alcuni colleghi – Riccardo Guastini,
suo compagno di classe al liceo, Rodolfo Savelli, Maria Stella Rollandi, Gian
Carlo Rolla, Franco Della Casa e, naturalmente, Giorgio Rebuffa –, tutti
destinati a diventare studiosi di valore. Il legame era cementato dalla comune
passione civile, dalle frequentazioni politiche, dall’ugi e i dibattiti della
“Società di cultura”, ma soprattutto dai comuni interessi e dalle comuni
curiosità culturali. Mario frequentava i corsi della Facoltà genovese che non
sempre riuscivano a dare risposte agli interrogativi di quegli anni o ad aprire
scenari innovativi allo studio delle discipline giuridiche. Studiava
preferibilmente sui banchi della Biblioteca Universitaria, adiacente alla
Facoltà. I suoi amici ravvisavano in lui il tipico carattere di un ligure
dell’entroterra: silenzioso, riservato, ma nel contempo socievole, spesso
amabile, grande osservatore e curioso del mondo e delle novità. Oltre allo
studio coltivava delle vere passioni per il cinema, la narrativa, le arti
figurative[3].
La
tesi di laurea, assegnatagli da Adriano Cavanna, allora professore incaricato
di Storia del diritto italiano, riguardava il processo di
costituzionalizzazione nella Repubblica ligure (1797-99). Mario investì molte energie
nell’elaborazione del suo lavoro: c’era infatti un interesse – diciamo così –
eminentemente politico per tematiche che riguardavano l’espansione europea
della «Grande Nazione», il nesso tra le riforme costituzionali e l’esperienza
rivoluzionaria, la stessa parabola storica del «giacobinismo» italiano. Dopo la
consultazione degli archivi e delle biblioteche genovesi si era recato a Parigi
dove, in prolungati soggiorni nel pensionato della Maison d’Italie, aveva
approfondito le ricerche presso la Bibliothèque Nationale e soprattutto presso
le Archives Diplomatiques du Ministère des Affaires Étrangères: nel fondo Correspondance
politique aveva rinvenuto la documentazione più interessante e originale
per la ricostruzione del processo di costituzionalizzazione. Bisogna dire che
Mario aveva un fiuto e una vera e propria passione per la ricerca archivistica:
i suoi lavori furono sempre corroborati dalle fonti inedite, grazie a un metodo
che lui con ironia amava definire «sanamente positivista». Non a caso negli
archivi francesi aveva rintracciato e pubblicato importanti inediti di
Condorcet e di Mirabeau.
Si
laureò il 21 febbraio 1969 con il massimo dei voti, con titolo della tesi L’ordinamento
costituzionale della prima Repubblica democratica ligure (1797-99).
Cavanna, però, che si stava adoperando per un trasferimento a Milano, non volle
farsi carico di quel giovane studioso. Decisivo fu l’incontro con Giovanni
Tarello, con cui condivideva l’interesse per la storia delle costituzioni e
delle codificazioni, e con Vito Piergiovanni, che dopo il trasferimento di
Luigi Prosdocimi alla Cattolica si era legato accademicamente e
scientificamente a Domenico Maffei (auspice sempre Tarello), da cui aveva
appreso un solido metodo filologico.
Tarello,
ordinario di Filosofia del diritto dal 1968, svolgeva allora un ruolo di
straordinaria importanza nel rinnovamento degli studi giuridici: nel 1971
fondava i «Materiali per una storia della cultura giuridica», prima nella forma
di annuario e poi, dal 1979, come periodico semestrale, una rivista che
(insieme ai quasi coevi «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero
giuridico moderno», fondati nel 1972 da Paolo Grossi), scavalcando le vetuste
barriere disciplinari, si collocava sui confini tra la filosofia, la
sociologia, la teoria generale e la storia del diritto. Tarello aveva inoltre
riunito intorno a sé un gruppo di giovani promettenti studiosi: filosofi del
diritto come Guastini e Paolo Comanducci, sociologi del diritto come Rebuffa,
Franco Lombardi e Realino Marra, storici del diritto come Piergiovanni, Da
Passano e Rodolfo Savelli[4].
Con loro aveva una frequentazione quotidiana con lunghe discussioni sui temi di
studio e le prospettiva di ricerca.
«Non
ci piacevano, però, la scienza e la cultura come “carriera” – ricorda ancora
Rebuffa –. Un atteggiamento che ci veniva dal comune maestro. Giovanni Tarello
concepiva l’attività accademica come studio e otium: la carriera, anche
quando fosse meritata, doveva essere considerata non come un premio individuale
o addirittura una sinecura, ma come il prodotto di fortunate congiunzioni
astrali. Questo atteggiamento ci dava sia sicurezza che indifferenza,
essenziali per gli studi disinteressati»[5].
Proprio
sui «Materiali», Mario pubblicava nel 1973 la rielaborazione della sua tesi di
laurea, una vera e propria piccola monografia di 181 pagine, corredata da una
nutrita appendice documentaria[6].
Avrebbe inoltre indagato gli anni successivi al triennio rivoluzionario a
proposito dell’elaborazione, nel 1802, di un nuovo testo costituzionale,
rimasto in vigore sino al 1805, quando terminò l’indipendenza della Repubblica
Ligure annessa, poi, senza resistenze, alla Francia[7].
Nel
1972 vinceva una borsa di studio presso la cattedra di Esegesi delle fonti di
diritto romano, ricoperta da Franca De Marini, della Facoltà giuridica
genovese, e nel 1974 otteneva un contratto quadriennale di ricerca. Tarello
spingeva i suoi allievi a fare domanda di insegnamento per ottenere un incarico
nelle altre Facoltà. Fu così che Da Passano approdò a Sassari, dove dal 1973
ricopriva l’incarico di Filosofia del diritto Guastini. Fu proprio Guastini a
favorire, con l’apporto di Mario Ascheri, allievo di Maffei, neostraordinario
di Storia del diritto italiano, l’assegnazione a Da Passano nel 1975
dell’incarico retribuito di Storia delle codificazioni e costituzioni
contemporanee nel corso di laurea in Scienze Politiche.
Ho
conosciuto Mario nell’ottobre del 1975. Era venuto a Sassari per prendere i
contatti con la nuova sede universitaria. Il suo look era decisamente anticonformista:
capelli lunghi, baffoni, camicia militare, jeans, zoccoli, l’immancabile
«Unità» nella tasca posteriore dei pantaloni e il pacchetto di gauloises (era
allora un gran fumatore). Decise di trasferirsi a Sassari, a differenza di
tanti colleghi pendolari che tenevano la ventiquattrore sempre a portata di
mano. Nei primi tempi abitava in un piccolo ed umido appartamento, che aveva
soprannominato lo Spielberg, posto nel cuore della città vecchia, in via
Turritana. Si radicò ben presto nel mondo politico e civile locale. Sassari
sarebbe diventata la sua città: e ad essa si legò profondamente non solo con il
matrimonio nel 1977 con una ragazza sassarese, Maria Grazia Cadoni, ma anche
con la “scoperta” delle istituzioni giuridiche della Sardegna. Come i suoi
predecessori, professori di Storia del diritto nelle Università di Sassari e di
Cagliari – Enrico Besta, Arrigo Solmi, Francesco Brandileone, Mario Enrico
Viora, Alessandro Lattes –, anche Da Passano divenne un cultore della storia
giuridica sarda. Era in fondo un’antica prassi, quella che imponeva agli
storici del diritto di misurarsi con lo studio delle istituzioni giuridiche
delle città e delle regioni in cui erano chiamati ad insegnare.
Il
suo primo lavoro affrontava il tema della chiusura dei campi e i progetti
settecenteschi di eversione dell’antico sistema comunitario della rotazione
delle colture, preludio alla successiva normativa (1820-39) di introduzione
della cosiddetta proprietà «perfetta» della terra. Lo studio, condotto
prevalentemente sulle fonti inedite degli archivi di Cagliari e di Torino,
gettava nuova luce sul dibattito settecentesco, sino ad allora in parte
trascurato dalla storiografia[8].
Seguivano due saggi di argomento penalistico: il primo relativo alle
peculiarità della criminalità sarda in età carloalbertina pubblicato nel 1983
in «Quaderni sardi di storia», la rivista diretta da Manlio Brigaglia, di cui
Mario faceva parte del Comitato di redazione; il secondo sull’estensione al
Regno di Sardegna dell’Editto penale militare del 1822 [9].
Erano
il preludio allo studio più rilevante di questo periodo, il volume Delitto e
delinquenza nella Sardegna sabauda (1823-1824) (Milano, Giuffrè, 1984), in
cui analizzava attraverso la documentazione archivistica la promulgazione nel
1827 delle Leggi civili e criminali di Carlo Felice ponendo
costantemente in relazione la nuova consolidazione con le tipologie e lo
sviluppo della criminalità. Era uno studio che evitava deliberatamente la
«storia interna» delle Leggi per allargarla alla più ampia analisi dei
fenomeni criminali. Egli infatti abbandonava ogni approccio formalistico e
meramente descrittivo: il formarsi e la successiva emanazione della
consolidazione venivano colti non tanto attraverso il dibattito dei compilatori
e dei magistrati della Reale Udienza cagliaritana e del Supremo Consiglio di
Sardegna (ricostruzione peraltro già realizzata nel vecchio, pregevole studio
di Alessandro Lattes del 1909)[10]10,
ma soprattutto nella ricaduta sociale che quel corpo normativo assumeva in
quegli anni. La parte più interessante della monografia è infatti quella
dedicata ai rilevamenti statistici e all’analisi dei fenomeni criminali negli
anni 1830-44. Attraverso tabelle, grafici e cartine Da Passano rielabora i dati
ufficiali sull’andamento dei delitti: i risultati della ricerca smentiscono
alcuni motivi ricorrenti nella mitologia storiografica sarda, che ha spesso
enfatizzato il carattere «resistenziale» della criminalità, vista e
interpretata come endemica e inarticolata reazione alla trasformazione del
sistema comunitario.
Ad
esempio, negli anni 1839-44 le regioni dell’isola in cui si commettevano più
reati (oltre 170 reati ogni 10mila abitanti) erano la Gallura, la Nurra, il
Goceano, il Sulcis, la Baronia. La «resistente» Barbagia aveva un indice di appena
72-100 reati. Anche per gli omicidi troviamo in testa la Gallura, la Nurra, il
Gerrei, il Goceano, la Baronia (con più di 190 delitti). Le tre Barbagie hanno
invece un indice di delitti da 72 a 100. Per le rapine la Barbagia di Ollolai è
però in testa (con più di 310 grassazioni), insieme a Sulcis e Ogliastra. Come
emerge dal volume, il fenomeno della criminalità rurale è molto più complesso e
ambivalente di come fino ad allora si era studiato: è merito di Da Passano aver
concretamente verificato, attraverso una vasta e analitica consultazione degli
archivi, l’effettiva distribuzione territoriale dei fenomeni criminali.
Lo
studio del 1984 costituiva il primo, organico lavoro sulla storia del diritto
penale, filone di ricerca che sarebbe stato al centro dei suoi interessi
futuri. Un’ulteriore occasione per approfondire le tematiche penalistiche gli
venne offerto da Luigi Berlinguer, allora rettore dell’Università di Siena, che
aveva progettato per il 1986, bicentenario della promulgazione della «Leopoldina»,
il testo legislativo emanato dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo che per
primo recepiva le idee innovative di Cesare Beccaria sull’abolizione della pena
di morte, un grande convegno scientifico internazionale sulla criminalità e la
giustizia penale nelle riforme del Settecento europeo.
A
Da Passano, che nel 1973 aveva pubblicato alcuni inediti di Condorcet sulla
riforma penale leopoldina rinvenuti negli archivi di Parigi, Berlinguer volle
affidare il volume relativo ai lavori preparatori, al ruolo del granduca e alla
promulgazione definitiva del testo[11].
Nel
1988, come secondo tomo della collana «La “Leopoldina”. Criminalità e giustizia
criminale nelle riforme del ’700 europeo», coordinata da Berlinguer con la
collaborazione di Floriana Colao, appariva il volume di Da Passano sul diritto
penale toscano dal 1786 al 1807 [12].
Anche
in questa occasione Mario mostrò la sua capacità di destreggiarsi tra le fonti
inedite degli archivi fiorentini, ricostruendo tutto il lungo iter formativo
della legge per dimostrare come il merito dell’iniziativa spettasse unicamente
a un sovrano illuminato come Pietro Leopoldo. Cercò inoltre di verificare la
tesi tradizionale che considerava la Leopoldina un testo legislativo
tecnicamente arretrato, non solo in relazione agli sviluppi successivi del
processo di codificazione, ma anche rispetto ad altri tentativi più o meno
coevi, e non riconducibili all’area dei codici moderni[13].
Non si limitò soltanto all’analisi della fase “ascendente” della
consolidazione, ma anche alle successive riforme della Leopoldina da parte del
granduca Ferdinando iii che, nel 1795, in un contesto storico ormai del tutto
mutato, reintrodusse la pena capitale, e alla legge criminale del 1807.
Nel
1983 Da Passano vinceva il concorso di professore associato in Storia del
diritto italiano (incaricato stabilizzato dal 1978). Continuava intanto ad
occuparsi di storia giuridica sarda. Tra questi studi spicca quello emblematico
intitolato Riformismo senza riforme, in cui poneva in evidenza che
durante gli anni della politica riformatrice varata per la Sardegna dal
ministro Bogino gli interventi nell’ambito del diritto penale furono
sostanzialmente sporadici, «quasi casuali, senza alcun intento sistematico»[14].
Assai originale risulta il contributo dedicato ai particolari sponsali in uso
nell’isola, alle convivenze prematrimoniali, ai matrimoni clandestini
osteggiati e condannati sia dalle autorità religiose che da quelle civili[15].
Il saggio su La Marmora rapinato, che descrive la grassazione sulla
strada Nuoro-Siniscola di cui fu vittima nel 1823 il capitano Alberto Ferrero
della Marmora, incaricato di redigere la grande carta geodetica della Sardegna,
offre, grazie agli atti processuali, un vivo e insolito spaccato della società
sarda e della criminalità rurale del tempo[16].
L’altro
grande importante filone di ricerca di Da Passano è stata la codificazione
criminale dall’età dei Lumi al periodo napoleonico, dalla Restaurazione alla
fine dell’Ottocento: gli studi sul tema toccano alcune tematiche giuridiche
relative agli Stati preunitari (il progetto del codice penale toscano del 1824,
le origini della codificazione penale parmense del 1819, l’estensione del
Codice penale albertino alla Sardegna) e la storia unitaria (il dibattito sulla
pena di morte, il ruolo della giuria nel processo penale, il pubblico
ministero, le statistiche giudiziarie, le relazioni dei procuratori generali,
l’unificazione legislativa nell’ambito penale), in cui sono tracciati anche
alcuni efficaci ritratti e profili di penalisti (Pansini, Carrara, Carmignani,
Ardigò).
Un
incontro scientificamente proficuo fu quello con Sergio Vinciguerra, professore
di Diritto penale nell’Università di Torino, che per la casa editrice Cedam
aveva promosso una collana di riproduzioni anastatiche, corredate da saggi
illustrativi, dei Codici penali preunitari e unitari: il Codice penale veronese
(1797); il Codice penale universale austriaco (1803); il Codice penale per il
Principato di Lucca (1807); il Codice penale per il Principato di Piombino
(1808); le Leggi penali di Giuseppe Bonaparte per il Regno di Napoli (1808); il
Codice dei delitti e delle pene pel Regno d’Italia (1811); i Regolamenti penali
di Gregorio xvi per lo Stato pontificio (1832); il Codice penale per gli Stati
di Sua Maestà il Re di Sardegna (1839); il Codice penale pel Granducato di
Toscana (1853); le Leggi criminali per l’Isola di Malta (1854); il Codice
criminale per gli Stati estensi (1855); il Codice penale della Repubblica di
San Marino (1865); il Codice penale del Regno d’Italia (1889). Per ognuno dei
volumi Da Passano aveva scritto dei saggi illustrativi delle diverse esperienze
codificatorie che affrontavano la storia esterna dei codici, i lavori
preparatori, il contenuto dei progetti, la promulgazione e la loro applicazione[17].
«Mario
è stato il più grande storico della legislazione penale che l’Italia abbia
avuto – ha scritto su di lui Mario Sbriccoli –. Lo è stato non soltanto per la
quantità e la qualità dei suoi studi sui codici preunitari, sulla legislazione
del Regno d’Italia e sul codice del 1889 o per quanto ci ha fatto sapere sui
giuristi che sono stati coinvolti in quelle produzioni legislative. Lo è stato
per il disegno generale che ha posto a fondamento del suo lavoro e per le
chiavi interpretative sulle quali lo ha principalmente formato. Il lavoro di
ricostruzione del processo di codificazione penale – dalla Francia all’Italia
della rivoluzione e dell’Impero, dai singoli Stati preunitari fino al Regno
d’Italia – è stato un lavoro enorme che ha dato risultati straordinari. Un lavoro
d’archivio diffuso, costante, attento e approfondito ha messo a sua
disposizione una quantità senza precedenti di dati di base, sui quali egli ha
saputo delineare un percorso storico del tutto convincente, che durerà»[18].
Nel
1990 vinceva non senza difficoltà il concorso a cattedra per professore di
Storia del diritto medievale e moderno. Dai verbali della Commissione
giudicatrice, presieduta da Vincenzo Piano Mortari e composta da Luigi
Berlinguer, Gigliola Di Renzo Villata, Ugo Petronio ed Umberto Santarelli,
emerge un’interessante discussione sulla concezione e sul metodo della storia
del diritto penale. In realtà, al di là delle inevitabili divisioni e dei
“giochi” accademici di “scuola”, tipici del meccanismo dei concorsi a cattedra
(dove ognuno intende proporre i propri candidati, sovente a scapito degli
altri), si profilava comunque una differenziazione tra una visione più
formalista e un’altra per certi aspetti maggiormente recettiva degli apporti
provenienti dalle altre aree disciplinari. I giudizi concorsuali vanno
ovviamente considerati, come in questo caso, con cautela e presi con beneficio
d’inventario.
Decisamente
favorevole era il giudizio di tre commissari su cinque: ad esempio, Berlinguer
poneva in evidenza come nel «volume Delitto e delinquenza nella Sardegna
sabauda» Da Passano avesse studiato «lo stentato avvio del processo di
codificazione in Sardegna per quanto atteneva al diritto penale sostanziale e
processuale e la concreta applicazione del cosiddetto Codice feliciano
nell’isola. La ricostruzione documentata e l’analisi approfondita, basata su
fonti in gran parte inedite propongono – sosteneva – un originale modello di
studio per la problematica storica della criminalità». Anche la monografia sul
diritto penale toscano era fondata, a suo avviso, su «una documentazione, per
lo più inedita o poco considerata che l’autore ha raccolto e sistemato con
grande intelligenza ed efficacia espositiva»[19]19.
Secondo
Petronio meritavano «attenzione i sicuri contributi dati al problema della
giustizia criminale, arricchiti da una larga edizione di fonti inedite»; in
particolare osservava che nel volume sul «sistema penale in Sardegna» l’autore
estendeva «l’attenzione all’andamento della criminalità con ricerche di prima
mano che hanno grande interesse anche per i non specialisti di storia
giuridica. Il candidato – concludeva Petronio – si segnala per le indubbie
capacità di indagine e di ricerca sulle fonti documentarie, che sono confermate
anche dai saggi minori, per la novità dei contributi dati in ambiti spesso
trascurati dalla storiografia giuridica, per i giudizi sempre sorvegliati che
sa dare sui problemi affrontati». Santarelli riteneva che in entrambe le
monografie, quella sulla Sardegna e quella sulla Toscana, «le prove fornite dal
Da Passano appaiono convincenti e segno d’una raggiunta maturità scientifica:
non solo il candidato ha approfondito l’indagine mettendo a profitto fonti
disparate anche inedite, ma ha saputo analizzare i contenuti in una assai
rigorosa ottica giuridica, sicché le conclusioni alle quali perviene appaiono
del tutto ineccepibili».
Nel
complesso negativo appare il giudizio di Piano Mortari: «La storia del diritto
penale, del diritto processuale penale nel Settecento toscano e quella della
prima metà dell’Ottocento in Sardegna sono i temi preferiti del candidato. Nel
secondo caso la monografia su delitto e delinquenza solo in parte può ritenersi
di carattere storico-giuridico in quanto la seconda metà del lavoro è formata
di rilievi statistici e di osservazioni sulla distribuzione nel territorio
sardo della fenomenologia criminale. Nel libro sulla Leopoldina [...] le
capacità di studio del candidato si manifestano nei limiti di una storia
esterna delle compilazioni esaminate. Nei lavori minori concernenti problemi
storico-giuridici diversi, lo studioso dà segni di una maggiore ampiezza di
orizzonti culturali per l’attenzione rivolta ad alcuni aspetti della cultura
giuridica francese: nel complesso – concludeva – è assai discutibile vedere nel
candidato una maturità scientifica esauriente ai fini di prenderlo in
considerazione tra i possibili vincitori del presente concorso».
Dello
stesso tono il giudizio della Di Renzo Villata: «Gli studi del candidato [...]
testimoniano un impegno costante di ricerca condotto con metodo, ma non mostrano
ancora una capacità di creare una visione di sintesi che deve essere compito
dello storico del diritto: ciò è rilevabile anche nell’ultima opera, in cui il
momento descrittivo prevale largamente su quello ricostruttivo e non vi è quasi
posto per le riflessioni critiche dell’autore. Pertanto il candidato non merita
di essere preso in considerazione ai fini del presente concorso». I lavori
concorsuali si conclusero il 3 luglio 1990: Da Passano venne dichiarato
vincitore a maggioranza[20].
Gli altri vincitori erano Italo Birocchi, Federico Martino, Laura Moscati e
Bernardo Sordi.
Nel
1991, al momento della nascita di Scienze Politiche come Facoltà autonoma da
Giurisprudenza, Da Passano decideva di aderirvi: riteneva infatti che le sue
ricerche fossero maggiormente compatibili con le discipline storiche e in
genere con le scienze sociali (nell’anno accademico 1981-82 aveva insegnato per
incarico anche Storia del movimento operaio).
Il 25 ottobre 1995 fu eletto direttore del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari. Nato nel 1983, insieme a quelli di Chimica e di Botanica, era il Dipartimento più antico dell’ateneo sassarese. Raggruppava gli storici delle Facoltà di Magistero (poi Lettere e Filosofia) e del corso di laurea in Scienze Politiche. Aveva avuto come direttori Paolo Pombeni, Manlio Brigaglia, Guido Melis, Attilio Mastino. La direzione di Da Passano coincise con un periodo particolarmente fervido e vivace della vita del Dipartimento di Storia, caratterizzato da numerose iniziative di ricerca di alta qualità e di rilievo nazionale e internazionale. Ricordiamo, ad esempio, i diversi convegni sull’Africa romana promossi da Mastino e gli scavi archeologici in Tunisia da lui coordinati, in particolare nell’insediamento di Uchi Maius. Durante il suo mandato si segnalano i convegni scientifici, in gran parte pubblicati, su Patriottismo e costituzionalismo nella «sarda rivoluzione» (Sassari, 26-27 aprile 1996); Le Università minori in Europa (Alghero, 30 ottobre-2 novembre 1996); La vite e il vino nella storia e nel diritto (Alghero, 28-31 ottobre 1998); La riforma agraria cinquant’anni dopo (Sassari, 27-28 ottobre 2000); Le colonie penali nell’Europa dell’Ottocento (Porto Torres, 25 maggio 2001); Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno (La Maddalena, 1°-2 giugno 2002); Castelsardo. Novecento anni di storia (Castelsardo, 14-16 novembre 2002); Giuseppe Manno tra Restaurazione e riforme liberali (Alghero, 30 ottobre-1° novembre 2003); Enrico Berlinguer. La politica italiana e la crisi mondiale (Sassari, 18-19 giugno 2004); Oristano e il suo territorio dalle origini alla quarta Provincia (Oristano, 20-24 ottobre 2004). Si adoperò inoltre per acquisire le risorse, grazie a un finanziamento di 3 miliardi di lire concesso dalla Regione autonoma della Sardegna, per l’acquisto di tre appartamenti nello storico Palazzo Segni, locali nei quali ha sede oggi la Biblioteca di Storia dell’Università di Sassari. Aveva dato vita nel 1998, insieme ai colleghi Mastino, Mattone e Giuseppe Meloni, alla nuova collana del Dipartimento di Storia sassarese presso le edizioni Carocci di Roma (che oggi ha raggiunto una cinquantina di titoli).
Il
27 ottobre 2004 Da Passano, che aveva già ricoperto le cariche di vicepreside e
di direttore del Master in giornalismo, fu eletto preside della Facoltà di
Scienze Politiche, succedendo a Virgilio Mura. Come uomo di governo delle
istituzioni universitarie si rivelò estremamente pragmatico e concreto:
detestava le inutili e sterili discussioni, i vuoti esercizi di retorica,
nonché i logori e spesso falsi riti accademici[21].
L’ipotesi di un suo trasferimento a Genova, accarezzata nei primi anni novanta,
venne ben presto lasciata cadere a favore della sede sassarese: Sassari era
diventata ormai la sua città.
Il
18 novembre 1994 Da Passano veniva nominato professore ordinario di Storia del
diritto italiano da parte di una Commissione, presieduta da Giovanni Gualandi e
composta da Mario Caravale e Gian Savino Pene Vidari: il giudizio dei
commissari, ampiamente positivo sui risultati delle sue ricerche nel triennio
di straordinariato, finiva per “riabilitare” in qualche misura il suo lavoro
scientifico rispetto alle critiche emerse nel concorso precedente[22].
Dalla
fine degli anni ottanta Da Passano iniziò a legare sempre più le sue ricerche
di storia del diritto penale con la più generale storia della criminalità,
della devianza, dei ceti “pericolosi”, delle classi subalterne
–
un primo approccio in questa direzione era stato già sperimentato nelle tanto
contestate pagine di Delitto e delinquenza nella Sardegna sabauda dedicate
alle tipologie della criminalità, ai latitanti e ai vagabondi –, espressione di
un rinnovato interesse per i metodi delle scienze sociali e, in particolare,
della sociologia, dell’antropologia e della psicologia. La strada per queste
ricerche era stata in qualche misura già aperta da due amici di Da Passano,
Edoardo Grendi, professore di Storia moderna a Genova, e soprattutto da Mario
Sbriccoli, che aveva profondamente innovato gli studi penalistici con la
“scoperta” degli archivi giudiziari, privilegiando non soltanto gli aspetti
quantitativi ma anche quelli sostanziali legati alle peculiarità sociali del
crimine e al controllo sociale degli emarginati[23].
Non dimenticava inoltre i pioneristi lavori di Guido Neppi Modona dedicati alla
repressione delle agitazioni sociali[24].
In questo quadro assumevano particolare rilievo nelle sue ricerche temi come il
vagabondaggio, il duello, l’alcolismo, il regime carcerario, i lavori forzati,
tutti campi di ricerca nei quali la storia giuridica si confondeva con quella
della società.
Anche
gli studi sulla Sardegna risentono di questi nuovi stimoli, come è confermato
dall’ampio saggio sulla criminalità e il banditismo redatto per la Storia
d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi dell’Einaudi, dove normativa penale,
fenomeni delinquenziali e teorie criminologiche risultano perfettamente
amalgamate in una pregnante analisi e, soprattutto, l’innovativo studio sulla
bardana – vere e proprie bande armate, composte da decine di uomini a cavallo
che si radunavano in luoghi impervi e deserti per scendere poi a depredare
greggi o rapinare case di possidenti o assaltare interi villaggi –, un reato
storicamente tipico dell’isola, cui sino ad allora la storiografia non aveva
dedicato la dovuta attenzione[25].
Continuava
intanto ad approfondire gli sviluppi storici del processo di codificazione
penale, nel suo duplice aspetto culturale e reale. All’interno di questo filone
si inserisce il volume Emendare o intimidire?, pubblicato nel 2000 nella
collana coordinata da Umberto Santarelli per l’editore Giappichelli, «Il
Diritto nella Storia», che aveva finalità principalmente didattiche,
espressione dei corsi universitari da lui tenuti a Sassari negli anni novanta.
«L’idea iniziale era più ampia e ambiziosa: poiché mancano recenti studi
d’insieme [...], pensavo infatti – afferma Da Passano – ad una ricostruzione
degli sviluppi della codificazione penale in Italia tra Sette e Ottocento, ma
nel corso della stesura il progetto si è ridotto», limitandosi alla trattazione
delle vicende della Francia rivoluzionaria (le prime riforme, il codice penale
del 1791, le esecuzioni capitali durante il Terrore, il codice dell’anno iv), della codificazione penale napoleonica
e delle sue ripercussioni in Italia (i Regni napoleonici, i territori
austriaci, il Regno d’Etruria, lo Stato pontificio, la Sicilia, il Regno di
Sardegna)[26]. Progettava un secondo
volume sulla storia del diritto penale in Italia dalla Restaurazione al Codice
Zanardelli, in cui pensava di rielaborare in un disegno unitario le numerose
introduzioni redatte per la collana dei reprint della Cedam.
Certo,
Emendare o intimidire? si presentava come un manuale rivolto agli
studenti universitari, caratterizzato da una scrittura estremamente piana e
scorrevole, arricchito da una organica appendice documentaria e da una
cronologia essenziale degli eventi, ma la trattazione della storia del diritto
penale rivelava la mano sicura dello specialista che conosceva a fondo le fonti
e la letteratura giuridica del tempo, possedendo una piena padronanza del
dibattito storiografico. Era però un manuale di fatto in controtendenza
rispetto agli orientamenti ministeriali di quegli anni, che rispetto ad opere
“specialistiche” preferivano testi in qualche modo “generalisti”, capaci di
dare una visione globale della disciplina. Era quanto osservava Paolo Grossi,
uno studioso assai distante dagli interessi scientifici di Da Passano, che,
ringraziandolo per l’invio del volume scriveva: «Questo tuo libro/corso mi pare
cosa eccellente, come ce ne vorrebbe molti in una disciplina, quale la nostra,
che è clamorosamente sprovvista, guarda caso proprio per l’età moderna. E mi
pare che sia un libro dalla misura autenticamente universitaria, cioè sia
innanzi tutto ricerca, opera di scienza, senza cadere nel rischio di
paludamenti eruditi»[27].
Un
particolare rilievo merita il volume collettaneo da lui curato, Le colonie
penali nell’Europa dell’Ottocento, che
raccoglieva gli atti del convegno internazionale promosso nel
2001 dal Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari e dal Parco
nazionale dell’Asinara, dedicato a una prima ricognizione di una tematica
sinora poco conosciuta o studiata in una prospettiva storica, cioè i tentativi
intrapresi nel corso dell’Ottocento in Europa per sperimentare forme di
esecuzione penale e di detenzione in strutture diverse dai tradizionali
stabilimenti carcerari. Era una politica penitenziaria che, come emerge dai
saggi pubblicati, accomunava i sistemi carcerari di diverse nazioni europee: la
Francia (i contributi di Jacques-Guy Petit e Eric Pierre), la Germania (Hans
Schlosser) e il Belgio (Marie-Sophie Dupont-Bouchat). Per l’Italia, come è
documentato nei saggi di Monica Calzolari e Da Passano (l’esperimento della
colonia delle Tre Fontane, 1880-95), e in quelli delle sue allieve, Franca Mele
(le colonie penali in Sardegna) e Daniela Fozzi (le colonie coatte nel Regno
d’Italia), l’istituzione delle prime colonie penali agricole era legata ad alcune
esigenze: destinare i condannati, in gran parte contadini, ai lavori agricoli,
contrastare i perversi effetti dell’ozio frutto della detenzione carceraria,
alleviare il perenne sovraffollamento delle case di pena, dissodare o
bonificare terreni incolti o malarici da destinare poi all’agricoltura. I saggi
sulle diverse realtà italiane ed europee erano preceduti da alcuni contributi
di carattere generale: la parabola storica delle colonie penali (Guido Neppi
Modona), la storia penitenziaria, fonti e metodi (Anna Capelli), il concetto di
colonia penale (Carlos Petit). Data l’importanza del volume, nel 2006 venne
pubblicata, a cura di Hans Schlosser, la traduzione tedesca dell’opera[28].
La
sua produzione scientifica iniziava ad ottenere i dovuti riconoscimenti: era
membro del comitato scientifico della rivista «Crime, Histoire, Sociétés /
Crime, History and Societies» e responsabile, insieme a Ettore Dezza, della
sezione storica di «Diritto penale xxi secolo», diretta da Sergio Vinciguerra.
Il
suo ultimo lavoro, Il “delitto di Regina Coeli”, destinato agli studi in
onore di Luigi Berlinguer ed apparso postumo nel 2008, indicava un nuovo
terreno di indagine, quello della storia sociale della criminalità[29].
La vicenda riguardava l’arresto, nel 1903, da parte dei carabinieri di
Fiumicino di un certo Giacomo D’Angelo, marinaio che aveva perso il lavoro,
alcolista abituale, che a causa delle sue «intemperanze» veniva considerato un
«soggetto pericoloso». D’Angelo venne tradotto nel carcere di Regina Coeli per
gli accertamenti di rito. Forse sentendosi ingiustamente recluso, a quattro
giorni dall’arresto incominciò a protestare e a dare in «escandescenze». Per
tutta risposta, «allo scopo di impedire che il detenuto potesse recare danno a
sé», le guardie carcerarie lo rinchiusero in una cella di sicurezza e lo
legarono al «letto di contenzione». In queste condizioni D’Angelo trascorse due
giorni, finché al terzo incominciò a urlare e a dimenarsi, sino a sollevare,
con la forza della disperazione, la branda stessa. L’indomani mattina le
guardie carcerarie lo trovarono morente. Lo sciolsero subito, lo portarono in
infermeria per prestargli i primi soccorsi, ma l’«intemperante» detenuto morì
poco dopo. Il «Caso D’Angelo», come venne battezzato dalla stampa del tempo,
dava a Da Passano l’occasione di fare una discesa negli abissi della realtà
carceraria del primo Novecento e di ricostruire, grazie alla consueta e
professionale conoscenza delle fonti, i retroscena di questa «pena di morte
extralegale»[30].
Il
saggio si concludeva con amare considerazioni su una prassi dura a morire,
nelle quali Da Passano dimostrava, dati alla mano, come, nonostante la
Costituzione repubblicana e gli indubbi progressi introdotti negli ordinamenti
penitenziari, in carcere si continuasse ancora a morire, come si moriva nel
1903. Era l’«attenzione al rapporto saliente tra il penale e il mondo dei
subalterni, i primi destinatari storici della repressione». Un’attenzione che è
evidentissima nel suo ultimo lavoro sul Delitto di Regina Coeli – ha
osservato Mario Sbriccoli –, «fondato su una documentatissima ricostruzione e
attraversato da una tensione politica forte e appassionata»[31].
Con questo ultimo saggio animato da una motivata indignazione e da un sentito
impegno civile, Mario si congedava dal mondo.
Sbriccoli,
nella sua commossa rievocazione, descrivendo il carattere «schietto e positivo»
di Da Passano, simbolizzava tutto nel fatto che non aveva «mai visto Mario
mettere una cravatta». C’era «ineffabilmente», in questo dettaglio, un
compendio della sua personalità, del suo essere band a part: forse una
metafora della sua naturale insofferenza per ogni genere di guinzaglio, ma
anche una prova della sua insopportazione per tradizioni, convenzioni e riti di
un certo stampo. E mi verrebbe da dire [...] che nello scegliere i toni e le
maniere della sua “commemorazione”, non bisognerebbe dimenticare che «Mario era
uno che non metteva mai la cravatta»[32].
Ricordo che una volta, invitati insieme a Napoli da Luciano Martone per tenere
un seminario nell’Università Orientale nella splendida sede di via Partenope,
ci siamo recati nel celebre negozio di cravatte di Marinella nella riviera di
Chiaia. Ho detto a Mario: scegliti una cravatta che te la regalo io. Rifiutò
con sdegno, anche perché mal sopportava la vista di quei giovani rampanti yuppies,
tutti griffati, che ci precedevano e ne acquistavano a dozzine. Il rifiuto
della cravatta era dunque la parabola del suo modo di vedere la vita, semplice
e autentico, privo, appunto, di griffe ideologiche e di ogni esibizionismo culturale.
Non si considerava infatti un maître à penser, ma un operoso artigiano
innamorato del suo lavoro. Lo ricordiamo sorridente dinanzi al computer nella
sua stanza al Dipartimento di Storia, mentre raccontava con passione e spesso
con ironia i risultati delle sue ricerche, che, tramite i documenti e le
testimonianze, rappresentavano sovente una “discesa agli inferi” nelle tragiche
condizioni di vita di quei diseredati, vittime di brutali repressioni, che ci
restituiva vivi nella loro dolente umanità.
Pubblicazioni di Mario Da Passano
Il processo di costituzionalizzazione nella Repubblica Ligure (1797-1799), in «Materiali per una storia della cultura giuridica» (d’ora in poi «mscg»), III/1, 1973, pp. 79-260.
La giustizia penale e la Riforma leopoldina in alcuni inediti di Condorcet, in «mscg», V, 1973, pp. 253-450.
Un autografo inedito di Honoré-Gabriel
Riqueti comte de Mirabeau: l’Analyse raisonnée du projet d’un nouveau code prussien (1788), in «mscg», VI, 1976, pp. 93-186.
La questione costituzionale nella Repubblica Ligure (1800-1802), in La formazione storica del diritto moderno in Europa, Atti del iii Congresso internazionale della Società italiana di Storia del diritto, Firenze, Olschki, 1977, vol. III, pp. 1373-1407.
Ingegneria giuridica tra Ancien régime e Restaurazione: Gabriel-Jean de Dieu-François d’Olivier (1753-1823), in «mscg», viii/2, 1978, pp. 181-214.
Le discussioni sul problema della chiusura dei campi nella Sardegna sabauda, in «mscg», X/2, 1980, pp. 417-435.
Un inedito di Condorcet: la Lettre de Vienne, in «Studi settecenteschi», 1, 1981, pp. 273-286.
L’agricoltura sarda nella legislazione sabauda, in Le opere e i giorni. Contadini e pastori nella Sardegna tradizionale, a cura di F. Manconi e G. Angioni, Milano, Amilcare Pizzi, 1982, pp. 76-81.
La legislazione, in La Sardegna, a cura di M. Brigaglia, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1982, vol. I, pp. 147-151.
Legislazione e proprietà fondiaria. Il problema delle recinzioni nella Sardegna sabauda, in Diritto e potere nella storia europea, Atti del iv Congresso internazionale della società italiana di Storia del diritto, Firenze, Olschki, 1982, vol. II, pp. 923-950.
Armi da fuoco, spari e omicidi nella Sardegna di Carlo Alberto, in «Quaderni sardi di storia», 3, 1981-1983, pp. 115-132.
L’estensione alla Sardegna dell’Editto penale militare sabaudo del 1822, in «mscg», XIII/1, 1983, pp. 47-56.
Delitto e delinquenza nella Sardegna sabauda (1823-1844), Milano, Giuffrè, 1984, pp. 250.
I lavori preparatori della Leopoldina: fonti e ipotesi di ricerca, in «mscg», XIV/1, 1984, pp. 41-44.
La legislazione, in I Catalani in Sardegna, a cura di J. Carbonell e F. Manconi, Milano, Amilcare Pizzi, 1984, pp. 75-82.
I lavori preparatori della Leopoldina: il progetto del granduca, in «mscg», xv/2, 1985, pp. 301-316.
Nel bicentenario della Leopoldina: l’Incontro internazionale di studio di Siena, in «Il pensiero politico», xx/1, 1987, pp. 107-113.
La Leopoldina è un codice moderno?, in «mscg», XVII/2, 1987, pp. 469-478.
Il diritto penale sardo nel xviii secolo, in «Etudes corses», XVI, 1988, n. 30-31, pp. 47-55.
Dalla “mitigazione delle pene” alla “protezione che esige l’ordine pubblico”. Il diritto penale toscano dai Lorena ai Borbone (1786-1807), Milano, Giuffrè, 1988, pp. 440.
Il giurì, “compagno indispensabile, necessario, fatale della libertà”, in «Movimento operaio e socialista», 3, 1989, pp. 257-273.
Riformismo senza riforme: i Savoia e il diritto penale sardo nel Settecento, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, Milano, Giuffrè, 1990, vol. I, pp. 209-235.
Linee di politica criminale nei discorsi inaugurali dei rappresentanti del pubblico ministero. 1877-1888, in «mscg», XXI/1, 1991, pp. 93-129.
I matrimoni clandestini e sconvenienti nella Sardegna del primo Ottocento, in Scritti di storia del diritto offerti dagli allievi a Domenico Maffei, Padova, Antenore, 1991, pp. 481-508.
Il primo progetto di codice penale toscano (1824), in «mscg», XXII/1, 1992, pp. 41-64.
Alle origini della codificazione penale parmense: la riforma del 1819, in «Rivista di storia del diritto italiano», LXV, 1992, pp. 255-317.
La Marmora rapinato, in Studi e ricerche in onore di Girolamo Sotgiu, Cagliari, cuec, 1992, vol. I, pp. 223-255.
La pena di morte nel Regno d’Italia. 1859-1889, in «mscg», XXII/2, 1992, pp. 341-379 (una versione precedente anche in Diritto penale dell’Ottocento. I codici preunitari e il codice Zanardelli, a cura di S. Vinciguerra, Padova, Cedam, 1993, pp. 579-649).
Insorgenze e fazioni in Gallura nel primo
Ottocento, in «Etudes
corses», XXI, 1993, n. 40-41 (Actes du colloque Banditisme et violence
sociale dans les sociétés de l’Europe méditerranéenne), pp. 215-235.
L’estensione
del Codice penale albertino alla Sardegna, in Codice penale per gli
Stati di s.m. il Re di Sardegna (1839), rist. anast., Padova, Cedam,
1993, pp. XXIX-L.
Introduzione a Le Università minori in Italia nel xix secolo, a cura di M. Da Passano, Sassari, Centro interdisciplinare per la storia dell’Università di Sassari, 1993, pp. 5-8.
Cercasi carnefice, in «Storia e dossier», IX, 1994, n. 89, pp. 51-53.
I Savoia in Sardegna e i problemi della repressione penale, in All’ombra dell’aquila imperiale. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori sabaudi in età napoleonica (1802-1814), Atti del Convegno. Torino, 15-18 ottobre 1990, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994, vol. I, pp. 210-234.
La storia esterna del codice penale toscano (1814-1853), in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna, Atti delle Giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini. Firenze, 4-5 dicembre 1992, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994, vol. II, pp. 564-589.
Le statistiche giudiziarie come strumento di politica penale: il Granducato di Toscana, in «mscg», xxv/1, 1995 pp. 43-58, e in «Quaderni di ricerca Istat. Ordinamento e amministrazione», n. 4, 1994, pp. 1-13.
La formazione del codice penale toscano, in Codice penale pel Gran Ducato di Toscana (1853), rist. anast., Padova, Cedam, 1995, pp. VII-CXXVI.
Le facoltà di giurisprudenza italiane e il problema dell’abolizione della pena di morte (1876), in Università in Europa. Le istituzioni universitarie dal Medio Evo ai nostri giorni. Strutture, organizzazione, funzionamento, Atti del convegno internazionale di studi (Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993), a cura di A. Romano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, pp. 471-490.
Le definizioni nella storia del diritto penale italiano contemporaneo, in Omnis definitio in iure periculosa? Il problema delle definizioni legali nel diritto penale, a cura di A. Cadoppi, Padova, Cedam, 1996, pp. 95-108.
Il problema dell’unificazione legislativa e l’abrogazione del codice napoletano, in Codice per lo Regno delle Due Sicilie (1819). Parte seconda. Leggi penali, rist. anast., Padova, Cedam, 1996, pp. XXVII-CXXI.
La codificazione penale nell’Italia “giacobina”, in Il codice penale veronese (1797), rist. anast., Padova, Cedam, 1996, pp. XCV-CVI.
La pena di morte nel granducato di Toscana (1786-1860), in «mscg», xxvi/1, 1996, pp. 39-66.
La codificazione del diritto penale a Napoli nel decennio francese, in Le leggi penali di Giuseppe Bonaparte per il Regno di Napoli (1808), rist. anast., Padova, Cedam, 1996, pp. CLV-CLXXIV.
La codificazione penale nel Granducato di Toscana: il progetto Puccioni (1838), in «mscg», XXVI/2, 1996, pp. 319-357.
La pena di morte nella Francia rivoluzionaria e imperiale, in «mscg», XXVII/2, 1997, pp. 379-426.
Due codici a confronto: le resistenze lombarde all’estensione del codice penale sabaudo, in Codice penale universale austriaco (1803), rist. anast., Padova, Cedam, 1997, pp. CXCV-CCXVII.
Dalla democrazia direttoriale all’oligarchia senatoria: le vicende costituzionali della Repubblica Ligure (1797-1805), in «Studi settecenteschi», n. 17, 1997, pp. 287-334.
La criminalità e il banditismo dal Settecento alla prima guerra mondiale, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Sardegna, a cura di L. Berlinguer, A. Mattone, Torino, Einaudi, 1998, pp. 421-497.
I tentativi di codificazione penale nello Stato pontificio (1800-1832), in I regolamenti penali di Gregorio xvi per lo Stato pontificio, rist. anast., Padova, Cedam, 1998, pp. CXLIX-CLXXXIV.
Il diritto penale sardo dalla Restaurazione alla fusione, in Ombre e luci della Restaurazione, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1998, pp. 403-431.
La
formazione del codice penale lucchese, in Codice penale per il
Principato di Lucca (1807), rist. anast., Padova, 1999, pp. IX-XXXIV.
La codification du droit pénal dans
l’Italie “jacobine” et napoléonienne, in Révolution et justice pénale en Europe. Modèles français et
traditions nationales (1780-1830), sous la direction de X. Rousseaux, M.-S.
Dupont-Bouchat, C. Vael, Paris, L’Harmattan, 1999, pp. 85-100.
Una fonte d’ispirazione per il codice penale piombinese: il progetto di Bexon per il re di Baviera, in Codice penale per il Principato di Piombino (1808), rist. anast., Padova, Cedam, 2000, pp. LXIX-CXIV.
Il problema dell’ubriachezza nei codici preunitari, in La vite e il vino. Storia e diritto (secc. xi-xix), a cura di M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P.F. Simbula, Roma, Carocci, 2000, vol. II, pp. 1143-1163.
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Echi parlamentari di una polemica scientifica (e accademica), in «mscg», XXXII, 2002, pp. 59-81, pubbl. anche in Diritto @ Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, 1, 2002 = http://www.dirittoestoria.it/memorie/Testi%20delle%20Comunicazioni/Mario%20Da%20Passano.htm .
Un crimine feroce ed arcaico nella Sardegna dell’Ottocento: la bardana, in «Acta Histriae», 10, 2002, n. 2, pp. 331-366.
Un’ “istituzione morale approvata dalla virtù”. Bexon e il tribunale di correzione paterna, in «mscg», XXXII, 2002, pp. 427-451.
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Un sovrano e il suo codice. I lavori preparatori del codice criminale estense, in «mscg», XXXIII, 2003, pp. 77-125.
“Un’opera filantropica, e ben combinata”. Il progetto di codice penale italico del 1806 nel parere inedito di un genero di Pietro Verri, in Amicitiae pignus. Studi in ricordo di Adriano Cavanna, a cura di A. Padoa Schioppa, G. Di Renzo Villata, G.P. Massetto, Milano, Giuffrè, 2003, vol. I, pp. 713-766.
Le leggi penali napoletane e il primo progetto di codice penale maltese (1836), in Leggi criminali per l’Isola di Malta e sue Dipendenze (1854), rist. anast., Padova, Cedam, 2003, pp. LIX-LXXXI.
Note su Carmignani e Carrara, in Giovanni Carmignani (1768-1847). Maestro di scienze criminali e pratico del foro, sulle soglie del diritto penale contemporaneo, a cura di M. Montorzi, Pisa, ets, 2003, pp. 81-92.
Una legge liberticida? I “Provvedimenti per combattere l’alcoolismo” (1913), in «mscg», XXXIV, 2004, pp. 93-126.
Tre giuristi per un codice: Mancini, Zuppetta, Giuliani e la codificazione del diritto penale sostanziale di S. Marino, in Codice penale della Repubblica di S. Marino (1865), rist. anast., Padova, Cedam, 2004, pp. LI-LXXXV.
Il vagabondaggio nell’Italia dell’Ottocento, in «Acta Histriae», 12, 2004, n. 1, pp. 51-92.
Le
colonie penali nell’Europa dell’Ottocento, Atti del Convegno Internazionale
organizzato dal Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Sassari e
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Da Passano, Roma, Carocci, 2004, pp. 304, trad. tedesca di Th. Vormbaum, Europäische Strafkolonien im 19.
Jahrundert, hrsg. M. Da Passano, («Juristiche Zeitgeschichte», 15, ii),
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Il “delitto di Regina Coeli”, in Diritto @ Storia. Rivista di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 4, 2005 < http://www.dirittoestoria.it/4/in-Memoriam/Mario-Da-Passano-e-la-storia-del-diritto-moderno/Da-Passano-Delitto-Regina-Coeli.htm >. Ripubblicato postumo in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e di Sassari, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, vol. I, pp. 671-757, e in un libro autonomo, Il “delitto di Regina Coeli”, pref. di L. Manconi e G. Melis, intr. di G. De Cataldo, Nuoro, il Maestrale, 2012, pp. 171.
[1] Sulla figura di Da Passano cfr. A. Mattone, Ricordo di Mario Da Passano,
in «La Nuova Sardegna», 28 aprile 2005; S. Trombetta,
Mario Da Passano (1946-2005) e Mario Sbriccoli (1940-2005), in «Le Carte
e la Storia. Rivista di storia delle istituzioni», xi (2005), n. 2, pp.
203-207; R. Ferrante, Mario Da
Passano (1946-2005), in «Rivista di storia del diritto italiano», lxxviii (2005), pp. 399-401; V. Piergiovanni, Ricordo di Mario Da
Passano, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico
moderno», xxxv (2006), 2, pp. 1103-1106; H. Schlosser,
Mario Da Passano (1946-2005), in Europäische Strafkolonien im 19. Jahrundert, hrsg. Mario Da Passano,
Berlin, Berliner Wissenschafts-Verlag, 2006, pp. v-vii;
A. Mattone, Mario Da Passano,
in Storia dell’Università di Sassari, a cura di A. Mattone, ii, Nuoro, Ilisso, 2010, pp. 80-81; Id., Da Passano, Mario, in Dizionario
Biografico dei Giuristi Italiani (xii-xx
secolo), diretto da I. Birocchi, E.
Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti, i, Bologna, il Mulino, 2013, pp.
649-650; L. Manconi, G. Melis, La
cravatta di Da Passano, in M. Da
Passano, Il «delitto di Regina Coeli», Nuoro, Il Maestrale, 2012,
pp. 5-9; A. Mastino, Ricordo
di Mario Da Passano, in Id., Quei
nostri cinque magnifici anni (2009-2014), Roma, Carocci, 2014, pp. 113-115;
G. Rebuffa, Ricordo di Mario
Da Passano, «Le Carte e la Storia. Rivista di storia delle istituzioni», xxi (2015), n. 1, pp. 199-200.
[3] Per gli anni genovesi di Da Passano mi sono servito delle testimonianze e dei ricordi di Maria Grazia Cadoni, Riccardo Guastini, Vito Piergiovanni, Maria Stella Rollandi, Rodolfo Savelli, che ringrazio.
[4] Sulla figura e il ruolo di Tarello si rinvia al numero speciale di «Materiali per una storia della cultura giuridica», xvii (1987), n. 2, in particolare N. Bobbio, Ricordo di Giovanni Tarello, pp. 303-316; L’opera di Giovanni Tarello nella cultura giuridica contemporanea, a cura di S. Castignone, Bologna, il Mulino, 1989; M. Barberis, Tarello, Giovanni, in Dizionario Biografico, cit., ii, pp. 1938-1940, con bibliografia aggiornata, cui si rinvia.
[6] Cfr. M. Da
Passano, Il processo di costituzionalizzazione nella Repubblica
Ligure (1797-1799), in «Materiali per una storia della cultura giuridica»
(d’ora in poi «mscg»), iii (1973), n. 1, pp. 79-260.
[7] Cfr. M. Da Passano, La questione costituzionale nella Repubblica Ligure (1800-1802), in La formazione storica del diritto moderno in Europa, Atti del iii Congresso internazionale della Società italiana di Storia del diritto, iii, Firenze, Olschki, 1977, pp. 1373-1407.
[8] Cfr. M. Da Passano, Le discussioni sul problema della chiusura dei campi nella Sardegna sabauda, «mscg», x (1980), n. 2, pp. 417-435; Id., Legislazione e proprietà fondiaria. Il problema delle recinzioni nella Sardegna sabauda, in Diritto e potere nella storia europea, Atti del iv Congresso internazionale della Società italiana di Storia del diritto, ii, Firenze, Olschki, 1982, pp. 923-950. Da Passano ha scritto alcuni saggi di impianto divulgativo sulla storia giuridica sarda: L’agricoltura sarda nella legislazione sabauda, in Le opere e i giorni. Contadini e pastori nella Sardegna tradizionale, a cura di G. Angioni e F. Manconi, Milano, Amilcare Pizzi, 1982, pp. 76-81; il contributo, La legislazione, nella cosiddetta “enciclopedia”, La Sardegna, a cura di M. Brigaglia, i, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1982, pp. 147-151, e La legislazione, in I Catalani in Sardegna, a cura di J. Carbonell e F. Manconi, Milano, Amilcare Pizzi, 1984, pp. 75-82.
[9] Cfr. M. Da Passano, Armi da fuoco, spari e omicidi nella Sardegna di Carlo Alberto, in «Quaderni sardi di storia», n. 3, 1981-83, pp. 115-132; Id., L’estensione alla Sardegna dell’Editto penale militare sabaudo del 1822, in «mscg», xiii (1983), n. 1, pp. 47-56.
[10] Cfr. A. Lattes, Le leggi civili e criminali di Carlo Felice pel Regno di Sardegna, in «Studi economico-giuridici pubblicati per cura della Facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Cagliari», i, (1909), 1, pp. 187-286 ora anche in La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra, a cura di C. Sole, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, 1967, pp. 405-509.
[11] Cfr. M. DaPassano, La giustizia penale e la riforma leopoldina in alcuni inediti di Condorcet, in «mscg», v (1973), 253-450.
[12] M. Da Passano, Dalla “mitigazione delle pene” alla “protezione che esige l’ordine pubblico”. Il diritto penale toscano dai Lorena ai Borbone (1786-1807), Milano, Giuffrè, 1988.
[13] Cfr. M. Da Passano, La “Leopoldina” è un codice moderno?, in «mscg», xvii (1987), n. 2, 107-113.
[14] M. DaPassano, Riformismo senza riforme: i Savoia e il diritto penale sardo nel Settecento, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, i, Saggi storici, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 209-235.
[15] Cfr. M. Da Passano, I matrimoni clandestini e sconvenienti nella Sardegna del primo Ottocento, in Scritti di storia del diritto offerti dagli allievi a Domenico Maffei, a cura di M. Ascheri, Padova, Antenore, 1991, pp. 481-508.
[16] Cfr. M. Da Passano, La Marmora rapinato, in Studi e ricerche in onore di Girolamo Sotgiu, i, Cagliari, cuec, 1992, pp. 223-255.
[17] «I codici penali non sono per Da Passano i “testi definitivi” – ha osservato a questo proposito Rebuffa –: sono, piuttosto, le incertezze, le accelerazioni, le regressioni, i tentativi e i fallimenti di riforma, le azioni e le resistenze che ne segnano la storia. Nei suoi libri si seguono sempre le discrasie, le fratture, tra effetti ideologici e legislativi, processi culturali e processi reali (per tutte queste ragioni la Leopoldina resterà in Da Passano uno dei riferimenti essenziali)»: Rebuffa, Ricordo, cit., 200.
[18] Lettera di Mario Sbriccoli del 26 giugno 2005 indirizzata a me, allora direttore del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, in occasione della commemorazione di Mario Da Passano svoltasi il 29 giugno 2005 nell’aula magna dell’Università. Il testo è stato pubblicato in appendice a Trombetta, Mario Da Passano, cit., pp. 205-207. Alla cerimonia, cui Sbriccoli non aveva potuto partecipare per motivi di salute, intervennero, oltre il rettore Attilio Mastino, Luigi Berlinguer, Ettore Dezza, Antonello Mattone, Virgilio Mura e Vito Piergiovanni.
[19] Gli atti del concorso, tratti dal Bollettino ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione, parte ii, sono in Archivio del Personale dell’Università di Sassari, Fascicoli dei docenti, p.d. 2807.
[20] «La Commissione, a maggioranza di tre membri – si legge nel verbale –, ritiene che il candidato, che nel complesso delle sue pubblicazioni dedica sempre grande attenzione alle fonti d’archivio, abbia dato contributi particolarmente originali alla ricostruzione della storia del diritto penale e della criminalità, quest’ultima non limitata ad una mera analisi quantitativa dei fatti ma tale da consentire una loro rigorosa qualificazione giuridica. Da tutti questi elementi emerge con chiarezza che il candidato ha conseguito una piena maturità scientifica ed è quindi meritevole della vittoria nel presente concorso. Altri due membri della Commissione, invece, dato il carattere puramente esterno delle ricostruzioni storiche dello studioso, non lo ritengono ancora pienamente in possesso della maturità scientifica indispensabile ai fini di essere inserito tra i vincitori del presente concorso».
[21] I dati sulla carriera accademica di Da Passano si evincono da Fascicoli dei docenti, cit., p.d. 2807. Cfr. inoltre F. Obinu, I professori dell’Università di Sassari. Repertorio 1612-2009, in Storia dell’Università, cit., ii, pp. 330, 406.
[22] «L’attività scientifica nel triennio ha portato all’elaborazione di numerosi articoli, in buona parte editi, altri tuttora in corso di stampa in riviste o atti concorsuali, concentrandosi, in particolare, sulla storia del diritto penale nell’Italia preunitaria e unitaria. Essa ha approfondito, sul fondamento di una solida documentazione tratta anche da estese ricerche archivistiche, la storia dei codici penali parmense, sabaudo e toscano, nonché la problematica della pena di morte nel secolo xix in Italia. Altri articoli si riferiscono ad aspetti e tematiche di storia giuridica e sociale della Sardegna tra i secoli xviii-xix e confermano la misura dell’impegno e della serietà di studi del prof. Da Passano. Egli ha offerto – si legge nel giudizio – una serie ragguardevole di contributi, che consentono di allargare coerentemente la conoscenza della storia della Sardegna e del diritto penale, settore, quest’ultimo, in larga parte negletto sino ad epoca recente dalla dottrina storico-giuridica».
[23] Cfr. E. Grendi,
Per lo studio della storia criminale, in «Quaderni storici», n. 44,
1980, pp. 580 ss.; Id., Premessa
al numero monografico della stessa rivista (n. 66, 1987) dedicato a Fonti
criminali e storia sociale; M. Sbriccoli,
Storia del diritto e storia della società. Questioni di metodo e problemi di
ricerca, in Storia sociale e dimensione giuridica. Strumenti d’indagine
e ipotesi di lavoro, a cura di P. Grossi,
Milano, Giuffrè, 1986, pp. 127-148; Id.,
Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sulla fase attuale degli
studi di storia del crimine, in «Studi storici», xxix (1988), n. 2, pp. 269
ss., ora i due saggi sono in Id.,
Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti, Milano, Giuffrè, 2009, ii, pp. 1113-1134, 1135-1149; Id., Histoire sociale et dimension
juridique: l’historiographie italienne récente du crime et de la justice
criminelle, in «Crime Histoire et Sociétés», xi (2007), n. 2, pp. 139-148. Su Sbriccoli cfr. P. Grossi,
Ricordo di Mario Sbriccoli, in «Quaderni fiorentini per la storia del
pensiero politico moderno», xxxiii-xxxiv
(2004-05), pp. 1391-1398; i saggi in Penale Giustizia Potere Metodi,
Ricerche, Storiografia. Per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. Lacchè, C. Latini, P. Marchetti, M. Meccarelli,
Macerata, eum, 2007; L. Lacchè, Sbriccoli,
Mario, in Dizionario Biografico, cit., ii, pp. 1810-1811, con bibliografia aggiornata.
[25] M. Da Passano, La criminalità e il banditismo dal Settecento alla prima guerra mondiale, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, a cura di L. Berlinguer e A. Mattone, Torino, Einaudi, 1998, pp. 421-497; Id., Un crimine feroce ed arcaico nella Sardegna dell’Ottocento: la “bardana”, in «Acta Histriae», 10 (2002), n. 2, pp. 331-366.
[26] M. Da Passano, Emendare o intimidire? La codificazione del diritto penale in Francia e in Italia durante la Rivoluzione e l’Impero, Torino, Giappichelli, 2000, p. 12.
[27] «Anche se, dopo le aberrazioni di Berlinguer e Zecchino – proseguiva Grossi, criticando severamente le riforme universitarie varate in quel periodo –, questo discorso possa apparire passatista, io credo che lo si debba continuare a urlare sui tetti; e, naturalmente, a praticare nella nostra opera didattica, che non potrà mai ridursi a “informazione”. Perdona lo sfogo – concludeva –, che questo tuo consolante libro mi consente». Lettera datata Firenze, 7 giugno 2000. Ringrazio Paolo Grossi per aver acconsentito alla pubblicazione di questa lettera conservata tra le carte Da Passano presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari.
[28] Le colonie penali nell’Europa dell’Ottocento,
a cura di M. Da Passano, intr. di
G. Neppi Modona, Roma, Carocci, 2004, trad. tedesca di Th. Vormbaum, promossa da H.
Schlosser: Europäische Strafkolonien im 19.Jahrhundert, cit.
[29] M. Da Passano, Il “delitto di Regina Coeli”, in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e di Sassari, i, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, pp. 671-757; Id., Il “delitto di Regina Coeli”, cit.
[30] «Ma Mario andava al di là della evidenza che poggia sui documenti – prosegue Sbriccoli – . Il suo ragionamento storico dava senso agli avvenimenti mettendoli in un contesto culturale più largo: a questo gli servivano i ragionamenti sui modi e sulla funzione della repressione nelle pratiche dello Stato “liberale” del xix secolo, le considerazioni sull’uso che si faceva delle polizie lasciando loro spazi arbitrari molto larghi, lo svelamento dello Stato detto di diritto. Avvertimenti che sembrano (o sembravano) straordinari, tanto da stare alla stregua di quelli che si sarebbero detti faits divers, acquistano tutt’altro senso se messi nella logica di un’analisi più vasta e generale che ne dimostra la storica “ordinarietà”, o quanto meno la totale plausibilità politica»: Trombetta, Mario Da Passano, cit., p. 207.
[32] Ivi, p. 206. In questa linea anche Manconi, Melis, La cravatta di Da Passano, cit., p. 5: «Mario Da Passano non portava la cravatta. Era quello il suo modo (uno dei modi, il più semplice e immediatamente visibile) di essere e di conservarsi sovversivo, o comunque anticonformista. Una piccola testimonianza – tacita e innocua finché si vuole, ma anche polemica – del suo dissenso verso le regole del mondo nel quale viveva».