Introduzione
(XI-XXIV) al volume: AA.VV., Il diporto
come fenomeno diffuso. Problemi e prospettive del diritto della navigazione,
a cura di MICHELE M. COMENALE PINTO e
ELISABETTA G. ROSAFIO, con il coordinamento di Marco Badagliacca e Giovanni
Pruneddu, [Quaderni della Rivista del Diritto della Navigazione, 4] Roma, Aracne editrice, 2015,
XXX-612 pp. - ISBN 978-88-548-8762-6
Università di
Sassari
Università di Teramo
Il diporto come fenomeno diffuso: problemi e
prospettive del diritto della navigazione
Sommario: 1. L’occasione del volume. – 2. Il processo evolutivo che ha portato all’esigenza di disciplinare specificamente
il diporto fino all’emanazione del d. lgs. 18 luglio 2005 n. 171. – 3. Responsabilità ed assicurazione. – 4. Verso la riforma del codice del diporto.
I
contributi raccolti in questo volume affrontano alcune delle problematiche più
controverse inerenti al tema del diporto nautico[1]
ed aeronautico[2],
certamente strategico per lo sviluppo del Paese e, in particolare, per il
Mezzogiorno e le Isole[3].
Non
a caso, l’iniziativa è nata sulla base del lavoro svolto da due unità di
ricerca che hanno operato nelle Università di Teramo e di Sassari, insediate in
due territori caratterizzati da grandi potenzialità nel settore e rappresenta
il frutto di una riflessione iniziata alcuni anni or sono, nell’ambito di un
progetto di ricerca di interesse nazionale[4].
L’analisi
complessiva dei lavori contenuti in questo volume dimostra che le linee seguite
dal legislatore statale, e in qualche caso anche da quello regionale[5],
non hanno seguito una direzione unica, e sono state dettate non solo
dall’intenzione di sviluppare una politica di settore, ma anche (e soprattutto)
da un’attenzione ai profili fiscali, sotto il duplice aspetto dello
sfruttamento di un’area di imposizione tributaria[6] e dell’individuazione di un possibile
fattore di emersione di una capacità contributiva occulta[7].
Per
quanto concerne gli aspetti fiscali, deve comunque darsi atto di un diverso (e
meno rigido) atteggiamento di altri Stati Ue, la cui politica fiscale di
incentivazione del diporto è andata persino al di là dei limiti consentiti
dall’ordinamento europeo, finendo per essere avvertita come fattore distorsivo
del mercato, rispetto agli operatori basati in Italia[8].
I
vari fattori testé evidenziati hanno portato a sovrapposizioni normative volte
a determinare un quadro estremamente complesso che ha dato luogo (anche in
ragione delle impostazioni di teoria generale accettate) a diverse chiavi di
lettura delle quale si è qui tentato di dare una visione organica, in
particolare per quanto concerne i rapporti fra disciplina del diporto, codice
della navigazione e diritto comune[9].
Il volume è dedicato
a Rita Tranquilli-Leali, per varie ragioni.
Al di là del
rapporto di affetto e di stima che la vincola ai curatori di questo Volume e
alla comunità scientifica degli studiosi del diritto della navigazione (di cui
sono esponenti tutti coloro che hanno apportato il proprio contributo) e al
doveroso omaggio al suo prestigioso cursus
accademico, durante il quale ha rivestito le cariche di Preside della
Facoltà di Giurisprudenza e di Rettore dell’Università di Teramo, occorre
sottolineare come proprio il diporto, ed in particolare le infrastrutture ad
esso dedicate[10],
sia stato uno dei terreni di indagine più proficui in cui si è soffermata la
sua attenzione e si è articolata la sua ampia attività scientifica. Basti
ricordare, fra l’altro, il fondamentale studio monografico sui porti turistici
del 1996 [11],
a cui si sono aggiunte una serie di lavori su aspetti specifici, che hanno
offerto un apporto determinante alla ricostruzione ed all’inquadramento delle
tematiche affrontate in questo volume[12].
Nel codice della
navigazione del 1942, la disciplina del diporto era affidata a poche
disposizioni, inserite (unitamente a qualche disposizione in materia di pesca)
nel libro I, della parte I, sotto il titolo VIII, «Disposizioni speciali»,
verosimilmente più per esigenze di completezza sistematica, che non per la
convinzione di rispondere ad un’effettiva esigenza di normare il settore[13].
A tale
sistemazione faceva da pendant quella
della navigazione aerea da turismo e con alianti, cui era dedicato, nella parte
II, il titolo X del libro I, intestato, anch’esso, «Disposizioni speciali»[14].
Ovviamente, la
realtà sociale odierna rispetto a quella coeva della codificazione del 1942 è
totalmente cambiata.
Allora si
trattava di un fenomeno soltanto di élite[15]:
oggi è un’attività con una buona diffusione, nonostante gli effetti della
recente crisi economica, in cui la tipologia delle unità impiegate spazia dal
piccolo natante da spiaggia fino ai lussuosi super-yacht[16].
Se anche ciascuno
di questi mezzi sia, in astratto, inquadrabile come «nave», secondo la
definizione predisposta dall’art. 136 c. nav.[17], le possibilità di impiego non sono le
medesime e di questo ha tenuto conto il legislatore nel corso dei vari
interventi che si sono succeduti, predisponendo un regime anche amministrativo ad hoc, con deroghe rispetto a quello
previsto dal codice della navigazione[18].
In questo
contesto, si è posto, come atto di riordino della materia, il d. lgs. 18 luglio
2005 n. 171, c.d. codice della nautica da diporto[19], che, soltanto dieci anni or sono, ha
sostituito quella che era stata la prima normativa ad hoc sulla nautica, ovvero la più volte modificata l. 11 febbraio
1971 n. 50 [20],
per rispondere alle esigenze determinate dall’evoluzione di un fenomeno
sviluppatosi al di là, e in maniera parzialmente diversa, da quelle che erano
le probabili aspettative del primo legislatore.
Ne è un esempio,
di cui si dirà oltre, il problema dell’impiego commerciale delle unità da
diporto che mal si conciliava con la definizione di navigazione resa nel testo
originario dell’art. 1, comma 2, della l. 11 febbraio 1971, n. 50 come quella
effettuata a scopi sportivi o ricreativi, dai quali esulasse il fine di lucro,
e che aveva disegnato un quadro incentrato piuttosto sull’impiego diretto da
parte del proprietario[21].
Dopo alcuni
interventi tampone, sebbene il codice della nautica da diporto abbia
espressamente riconosciuto la locazione e il noleggio sembrano ancora oggi
doversi rilevare dubbi circa l’ammissibilità del trasporto, così come non è
pacifica la natura di schemi contrattuali che pure sembrano corrispondere alla
«crociera»[22].
Piuttosto complesso
è poi il regime della documentazione dei contratti medesimi[23], così come quello del trasferimento
della proprietà[24].
Ed anche nell’ambito di misure che avrebbero dovuto essere finalizzate ad
incentivare l’economia, ha suscitato perplessità, in particolare negli
operatori professionali per il timore di una concorrenza piuttosto insidiosa,
l’introduzione della pur circoscritta possibilità di svolgere attività di
noleggio anche con le unità prevalentemente impiegate direttamente dal
proprietario[25], che potrebbe altresì
operare come skipper, peraltro
avvalendosi di benefici fiscali per il reddito così tratto[26].
Resta aperta
anche la questione dell’opportunità di introdurre una disciplina ad hoc per la mediazione nel settore.
Essa,
attualmente, appare ricadere pienamente nel quadro normativo della mediazione
marittima, dopo l’abrogazione dei due articoli specifici nel codice del diporto[27],
che, peraltro, avevano avuto un’applicazione assai limitata, e presentavano
profili, se non di illegittimità, di forte inopportunità, denunziata dagli
operatori del settore[28];
l’abrogazione di tale disciplina fa sì che anche per la mediazione nel diporto
torni ad essere applicabile la disciplina generale della mediazione marittima[29].
Si
pone, inoltre, come significativa la vicenda della reintroduzione, operata con
una norma regolamentare, ovvero l’art. 2 del d.m. 29 luglio 2008, n. 146, della facoltà per il
costruttore di imbarcazioni da diporto di rendere una dichiarazione di
costruzione nel registro delle navi in costruzione, già contemplata dall’art. 2
della l. 50/1971 e abrogata dalla l. 172/2003 [30].
È appena il caso
di sottolineare, però, che il diporto non è circoscritto al mare, ma è
conosciuto anche nelle acque interne[31], così come è aumentata la diffusione
del volo da diporto o sportivo.
Deve poi darsi
atto della maggiore attenzione rispetto alla problematica ambientale[32],
che, al di là della questione dello smaltimento dei rifiuti[33], ha condotto all’introduzione di
limitazioni e divieti di circolazione, in particolare in relazione
all’istituzione di aree marine protette[34]. Suscita, pertanto, qualche
perplessità, la recente scelta di prevedere, sia pure a determinate condizioni,
l’esonero dai limiti, introdotti con il c.d. decreto «Cini-Passera»[35],
di navigazione, ancoraggio e sosta nella fascia di due miglia dalle aree marine
protette, per i super-yacht[36].
Un aspetto in
qualche misura connesso è quello della disciplina della nautica in relazione ad
usi concorrenti delle aree costiere, ad iniziare dalla balneazione, di cui deve
essere assicurata la sicurezza[37].
Anche la
disciplina della navigazione aerea turistica e con alianti ha subito notevoli
modifiche poiché il titolo X del Libro I della parte seconda del testo
originario del codice della navigazione del 1942 è stato integralmente abrogato
dall’art. 15 del d. lgs. 9 maggio 2005 n. 96 [38], senza provvedere ad alcuna
sostituzione. Si è lasciata così aperta una lacuna per quegli apparecchi che
non rientrano nei limiti dell’annesso della l. 25 marzo 1985, n. 106 [39].
Peraltro, dopo la
novella dell’art. 1 della l. 25 marzo 1985, n. 106, operata con l’art. 8, comma
2, del d. lgs. 15 marzo 2006, n. 151, tali apparecchi, pur essendo comunque
assoggettati ad un regime semplificato[40], non sono più astratti dalla categoria
degli aeromobili, come era nel testo precedentemente in vigore. Sembra,
peraltro, interessante constatare che, nonostante i considerevoli cambiamenti
anche del quadro normativo di base, comunque sia stato mantenuto nel mondo
dell’aviazione sportiva e turistica il fondamentale ruolo dell’Aero Club
d’Italia e degli Aero Club locali[41].
Un punto
centrale, rispetto alla navigazione da diporto, è certamente quello della
responsabilità, strettamente connesso a quello del regime di assicurazione (ma
di grande interesse appare anche la verifica delle peculiarità delle
assicurazioni «corpi», che vedono riflettere anche in questo specifico settore
la differente impostazione fra coperture di una serie di «Named Perils» del mercato inglese e preferenza per lo schema «All Risks» del mercato italiano)[42].
Uno dei profili
che maggiormente caratterizza il regime della nautica da diporto rispetto alla
disciplina della navigazione è quello della responsabilità per la circolazione
di unità da diporto[43],
ai sensi dell’art. 40 c. naut. dip. che rinvia all’art. 2054 c. c. (dedicato
alla circolazione di veicoli). Interessante è la previsione di un regime di
assicurazione obbligatoria di cui al successivo art. 41 c. naut. dip.[44],
cui sono sottratte le sole unità a vela e a remi non munite di motore
ausiliario.
A livello
normativo, l’Italia ha avuto un ruolo precursore nell’affermazione della tutela
dei danneggiati per la circolazione delle unità da diporto, allorché decise di
estendere, già con la l. 24 dicembre 1969 n. 990 (ed oggi con il tit. X del
«codice delle assicurazioni private», recato dal d. lgs. 7 settembre 2005 n.
209), la previsione di una copertura assicurativa obbligatoria per la
responsabilità prevista per i soli veicoli dalla Convenzione europea di
Strasburgo del 20 aprile 1959 [45].
Non sembra dubbio
che tale estensione dell’obbligo di assicurazione concorra, con il regime di
responsabilità, ad offrire ai possibili danneggiati della navigazione da
diporto una ragionevole aspettativa di essere effettivamente risarciti.
Non pacifico è
l’inquadramento delle relative coperture assicurative, se esse, cioè, vadano,
comunque, considerate comunque alla stregua di «assicurazioni marittime», o se,
viceversa, la loro natura sia segnata dallo schema dell’assicurazione
obbligatoria della responsabilità automobilistica[46]. È appena il caso di aggiungere che
problemi analoghi si pongono rispetto al volo da diporto o sportivo, per il
quale un obbligo di copertura assicurativa obbligatorio era stato introdotto
con l’art. 2 della l. n. 106 del 1985 [47].
Per quanto
concerne la nautica diporto, questione particolarmente dibattuta è stata in
passato quella della posizione delle persone presenti a bordo, in relazione ai
danni subiti dalla navigazione; all’affermazione dell’applicabilità dell’art.
2054 c.c. anche ai terzi trasportati, riferita alla circolazione stradale[48],
è seguita ineluttabilmente[49]
l’applicazione al settore del diporto[50].
Resta un margine
di ambiguità, per quanto concerne la posizione degli ospiti imbarcati con
mansioni nei servizi di bordo, specie ove si concordasse con l’esclusione della
configurabilità dello «scambio di cortesie fra ospitalità e lavoro su nave o
imbarcazione da diporto»[51],
con la pretesa conseguenza dell’«assorbimento
dell’ospitalità nella giuridicità del rapporto di lavoro»[52].
È appena il caso di osservare che se si seguisse tale soluzione, i danni,
eventualmente subiti nel corso della navigazione dall’ospite addetto ai servizi
di bordo, potrebbero non ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 2054
c.c., dovendosi dubitare della possibilità di considerare un siffatto ospite
come «terzo estraneo», specialmente ove fosse adibito ai servizi di macchina
sulle imbarcazioni da diporto, ai sensi dell’art. 36, comma 1, c. naut. dip.
Per una fortunata
coincidenza, la pubblicazione di questo volume coincide temporalmente con il decennale
dell’entrata in vigore del c.d. codice della nautica da diporto e con la fase
conclusiva dell’iter di approvazione
di un disegno di legge delega per la riforma dello stesso[53].
Le linee a cui
dovrebbe attenersi il legislatore delegato, «in conformità con i criteri di
semplificazione delle procedure, tali da consentire la revisione del codice
della nautica da diporto, mantenendone fermi l’assetto e il riparto delle
competenze nonché al fine di migliorare le condizioni di effettiva
concorrenzialità del settore nell’ambito della Strategia europea per una
maggiore crescita e occupazione nel turismo costiero e marittimo (COM(2014)86)»
sono specificate analiticamente, al successivo art. 1, comma 2, del medesimo
disegno di legge, nell’ambito di un lungo elenco, che, fra i primi punti,
afferma l’esigenza di perseguire la semplificazione, che, almeno da un punto di
vista formale, è rientrata costantemente fra le preoccupazioni dichiarate da
ogni legislatore che si sia occupato del diporto[54].
In questa sede,
sembra soltanto opportuno sottolineare che, almeno nel testo già approvato dal
Senato e all’esame della Camera, diversamente da quanto era accaduto con la
precedente legge di delega 8 luglio 2003, n. 172 [55], non si è voluto prendere posizione sul
rapporto fra disciplina del diporto e disciplina generale della navigazione,
sicché, se la legge delega dovesse essere approvata nel testo conosciuto,
verosimilmente potrebbe non esserci alcuna modifica del sistema dell’art. 1 c.
naut. dip.
Non resta, a
questo punto, che attendere per verificare se e quali delle problematiche
individuate nell’ambito della ricerca, di cui questo volume costituisce il
coronamento, potranno effettivamente trovare soluzione nell’opera del
legislatore delegato[56].
[1] Il diporto nautico è stato esattamente individuato come uno dei settori
di rilievo della politica europea del turismo. Nella comunicazione COM(2010)
352 def., «L’Europa, prima destinazione turistica mondiale – un nuovo quadro
politico per il turismo europeo», del 30 giugno 2010, la Commissione ha
preannunciato una strategia per un turismo costiero e marittimo sostenibile; la
successiva comunicazione COM(2012) 494 final, «Crescita blu. Opportunità per
una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo», del 13 settembre 2012,
ha individuato nel turismo costiero e marittimo uno dei cinque settori di
intervento prioritario che permetteranno una crescita sostenibile e la
creazione di occupazione; infine, la volontà di perseguire una politica di
sviluppo (anche) dello specifico settore è ribadita nella comunicazione
COM(2014) 86 final «Strategia europea per una maggiore crescita e occupazione
nel turismo costiero e marittimo», del 20 febbraio 2014.
[2] Va segnalato che la definizione della categoria, nel sentire sociale, non corrisponde pienamente a quella che appare cristallizzata dell’attuale quadro normativo, come risulta dalla l. 25 marzo 1985, n. 106, che si applica esclusivamente al volo degli apparecchi che corrispondono alla definizione del suo art. 1, e rientrano nei limiti del suo allegato, e dal cui ambito, quindi, possono esorbitare anche apparecchi tradizionalmente e tendenzialmente utilizzabili soltanto per attività sportiva, come era stato prontamente segnalato dalla dottrina: D. Gaeta, L’odierna situazione della legislazione aeronautica italiana, in Atti del convegno giuridico «Il volo a vela nel diritto della navigazione» (Cittaducale, 22-23 giugno 1985), a cura di G. Paris, Rieti, 1985, 25, ivi, 29.
[3] È da sottolineare come la consapevolezza del rilievo della questione sia risalente. Nell’ambito delle iniziative i cui lavori hanno avuto ampia diffusione, qui sembra sufficiente richiamare gli Atti del convegno nazionale «Per un sistema dei porti turistici inserito nella realtà territoriale regionale e nazionale» (Napoli, Mostra d’Oltremare, 3, 4, 5 ottobre 1968), Napoli, s.d. (ma 1971); Atti ufficiali della seconda Tavola rotonda internazionale sulla navigazione da diporto e sui porti turistici, s.l., 1967.
[4] PRIN 2009 sul tema «La disciplina della navigazione da diporto fra autonomia e specialità», coordinatore nazionale Prof. Alfredo Antonini. Peraltro, va segnalato anche un altro volume già pubblicato nella collana «Quaderni della rivista del Diritto della navigazione» (Diporto e turismo tra autonomia e specialità. Un’occasione per un incontro interdisciplinare, a cura di U. La Torre e A. L. M. Sia, Roma, 2014), frutto dell’iniziativa dell’unità di ricerca coordinata dal Prof. Umberto La Torre nell’ambito dello stesso PRIN 2009 e insediata presso l’Università «Magna Græcia» di Catanzaro.
[5] L’allusione è alla nota vicenda della tassa regionale sarda su approdi e case di vacanza, fatta gravare sui soggetti non residenti nella regione (l. reg. Sardegna 11 maggio 2006 n. 4, come modificata con l. reg. Sardegna 29 maggio 2007 n. 2), dichiarata, per la parte che qui interessa, incompatibile con la normativa europea in materia di libera prestazione di servizi e di aiuti di Stato da C. giust. Ce 17 novembre 2009, causa 169/08, in Riv. dir. nav., 2010, 321, con nota di P. Simone, L’imposta regionale sarda sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto al vaglio della Corte di giustizia, ivi, 338.
[6] Sembra sufficiente, al riguardo, richiamare l’incostanza della linea seguita dal legislatore, a proposito della «tassa di stazionamento», istituita (al posto di una previgente «tassa annua di circolazione», cfr. C. Sacchetto, Stazionamento (Tassa di), in Dig. disc. priv., sez. comm., XV, Torino, 1998, 226), resuscitata con l’art. 16 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, che, peraltro, aveva creato problemi di interpretazione non secondari (cfr. M. Giorgi, A. Uricchio, La tassazione delle attività marittime. Diritto tributario del mare, Santarcangelo di Romagna, 2013, 233 ss.), dopo che era stata abolita dall’art. 15 della l. 8 luglio 2003 n. 172 (in tema, a suo tempo, v. G. Croci, La disciplina fiscale della nautica da diporto, in Dir. prat. tribut., 2005, 10125), e poi sostituita con la «tassa di possesso» (da cui sono esentate le unità da diporto sino a 14 metri di lunghezza), di cui all’art. 60 bis del d. l. 24 gennaio 2012, n. 1, come convertito dalla l. 1° marzo 2012, n. 27 (cfr. E. Romagnoli, La tassa di possesso per le unità da diporto, in Dir. maritt., 2012, 1312), a prescindere, poi, dal capitolo della fiscalità locale (v. in generale S. Mencarelli, Porti turistici e fiscalità comunale, in Riv. dir. nav., 2012, 653). Considerazioni di carattere analogo possono essere svolte per quanto concerne gli aeromobili privati, in particolare con riferimento all’imposta erariale di cui all’art. 16, comma 11, del d. l. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011 n. 214 (è da dire, però, che ne sono espressamente esclusi gli aeromobili di costruzione amatoriale; gli apparecchi per il volo da diporto o sportivo di cui alla l. 25 marzo 1985 n. 106.): cfr. A. Renda, Le imposte erariali sugli aeromobili privati e sui voli dei passeggeri di aerotaxi, tra tributi «cripto-patrimoniali» e tributi sui consumi, in Riv. dir. nav., 2013, 249.
[7] È diffuso fra i commentatori il rilievo che la disciplina della forma dei contratti di utilizzazione delle navi e delle imbarcazioni da diporto, di cui agli artt. 42 e 47 c. naut. dip., sia «verosimilmente finalizzata a ragioni di carattere fiscale» (cfr. M. M. Comenale Pinto, E. G. Rosafio, La locazione di nave e di aeromobile, ne I contratti di utilizzazione dei beni, a cura di V. Cuffaro, Torino, 2008, 371, ivi, 379, sub nt. 26), evidenziandone la contraddittorietà con l’equiparazione delle imbarcazioni «alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l’imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro metri», di cui all’art. 1, comma 3, c. naut. dip. D’altro canto, ancora di recente, la stampa ha dato grande risalto alla condanna in primo grado per evasione fiscale di un noto uomo d’affari che avrebbe indebitamente fruito di agevolazioni per il proprio yacht, simulando un’attività di noleggio (Trib. pen. Genova 10 luglio 2015, relativa al caso dello yacht «Force Blu»); anche se con minore clamore giudiziario, altre vicende analoghe sono rinvenibili nella cronaca giudiziaria (v., ad esempio, Cass. pen. 21 marzo 2013-24 settembre 2013, n. 39397).
[8] Il riferimento è, in particolare, alla vicenda
dell’esenzione dell’IVA accordata dalla Francia per operazioni sulle navi
adibite al trasporto a pagamento di passeggeri o utilizzate nell’esercizio di
attività commerciali, a prescindere dalla condizione della localizzazione in
alto mare, di cui all’art. 148 della dir. 2006/112/CE del 28 novembre 2006,
decisa da C. giust. Ue 21 marzo 2013, causa 197/12, che, a quanto consta, non
avuto alcuna eco nella letteratura giuridica italiana. In tema, v., comunque, I. Hervé, TVA sur les yachts: fin de l’exception française!, in Revue de droit fiscal, 2013, 31.
[9] Il problema è affrontato, da differenti angolature,
nei primi tre saggi inclusi in questo volume: A.
Xerri, Il codice della nautica da
diporto tra diritto speciale e diritto comune; A. Antonini, La
legislazione sulla navigazione da diporto nel sistema del diritto della
navigazione; G. Vermiglio, Il diporto tra decodificazione e
ricodificazione.
[10] È appena il caso di puntualizzare che lo sviluppo di infrastrutture specificamente dedicate al diporto costituisce un fattore indispensabile per il settore (v. al riguardo E. Turco Bulgherini, Navigazione da diporto e porti turistici, in questo Volume), salvo che per la cosiddetta «nautica da spiaggia» (cfr., da ultimo, G. Pruneddu, Infrastrutture per la nautica da diporto, in Trattato breve di diritto marittimo, a cura di A. Antonini, IV, Milano, 2013, 3). Sulla specifica questione della possibilità per i privati di realizzare infrastrutture per il diporto su aree di proprietà private, da mettere in collegamento con il mare (c.d. «darsene a secco»), e sul regime di tali strutture, v. M. P. Rizzo, Orientamenti giurisprudenziali sulla titolarità delle darsene scavate a secco su aree private e delle opere portuali turistiche realizzate su beni demaniali, in questo Volume. Si pone, poi, la questione del rapporto fra gestore dell’infrastruttura e privato utilizzatore, che si basa sul contratto di ormeggio, non tipizzato dal legislatore, con la necessità di verificare se sia riconoscibile un tipo sociale, con l’assunzione in capo al gestore dell’obbligo di custodia (si invia, sul punto, a M. Badagliacca, Il contratto di ormeggio, in questo Volume).
[12] Ci piace ricordare almeno: R. Tranquilli Leali, L’utilizzazione di posti-barca e i poteri del direttore di un approdo turistico, in Dir. trasp., 1996, 247; R. Tranquilli Leali, La nuova disciplina di determinazione dei canoni demaniali per la realizzazione di infrastrutture portuali destinate alla nautica da diporto e problemi di diritto transitorio, anche alla luce del d. lg. 112/1998, in Dir. trasp., 1998, 671; R. Tranquilli Leali, Infrastrutture portuali destinate alla nautica da diporto, in Riv. dir. sport., 1989, 23; R. Tranquilli Leali, Infrastrutture per la nautica da diporto e proprietà privata, in Studi in onore di Gustavo Romanelli, Milano, 1997, 1185; R. Tranquilli Leali, Il demanio turistico-ricreativo: problematiche attuali e nuovi profili di gestione, in Regioni e demanio marittimo, Milano, 1999, 101; R. Tranquilli Leali, Le utilizzazioni del diporto nautico nell’ambito del demanio marittimo: profili attuali di competenza, ne La gestione del demanio marittimo, Milano, 2002, 91; R. Tranquilli Leali, I porti turistici - frammentarietà ed incompiutezza della legge n. 172 del 2003, ne La nuova problematica giuridica dei porti turistici, Milano, 2004, 93.
[13] Si trattava delle poche norme contenute negli artt.
da 213 a 218 c. nav. nonché l’art. 1212 c. nav., in tema di infrazioni alla
disciplina della nautica da diporto(tutti abrogati ai sensi dell’art. 66, comma
1, c. naut. dip., salvo l’art. 217 c. nav., già abrogato dall’art. 3 della l.
26 aprile 1986, n. 193). A queste si aggiungevano le previsioni dettate dagli
artt. da 401 a 407 reg. nav. mar. e quelle degli artt. da 96 a 98 reg. mar.
merc. (tutte parimenti abrogate ex art.
66 c. naut. dip.). Sul quadro normativo dell’epoca, cfr. T. Testa, Navigazione da diporto, in Noviss.
dig. it., XI, Torino, 1965, 116. La preoccupazione di carattere sistematico
del legislatore del codice della navigazione, a proposito del diporto, trova
una conferma testuale nella rel. min. c. nav., § 123, ove si legge «Mi è parso
opportuno riunire in uno speciale capo le norme relative alla navigazione di
diporto, che ho estratto in parte, per quanto concerne i motoscafi e le
imbarcazioni a motore dal R. decreto 9 maggio 1932, n. 813, inquadrandole nella
disciplina generale del codice».
[14] Cfr. E. Fanara, La disciplina della nautica da diporto e la riforma del codice della navigazione, in Dir. trasp., I-1989, 99.
[15] Per una visione del fenomeno ai suoi albori, v. A. Camurri, La navigazione da diporto, in Riv. mar., 1895, 29.
[16] Sull’eterogeneità dei mezzi impiegati nel diporto, v. da ultimo M. M. Comenale Pinto, E. G. Rosafio, Evoluzione della disciplina sul diporto e contratti, in questo Volume.
[17] Non ha avuto seguito la tesi che voleva escludere i battelli pneumatici dalla categoria, in quanto per essi non si sarebbe potuto riscontrare la «costruzione» dell’art. 136 c. nav. (in tal senso, a suo tempo, Pret. Salò 24 marzo 1967, riportata in M. Grigoli, La nave nella giurisprudenza, Padova, 1974, 6; contra: G. Romanelli, I danni da aeromobile sulla superficie, Milano, 1970, 109, sub nt. 269; Cass. pen. 10 ottobre 1968, n. 1280, in Riv. dir. nav., 1969, II, 104, con nota di F. d’Aniello, Note sulla parziale abrogazione del regio decreto legge 9 maggio 1932, n. 813 per la circolazione dei motoscafi e delle imbarcazioni a motore). Peraltro, nella letteratura successiva (D. Gaeta, Nave (diritto della navigazione), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 602, ivi, 603 sub nt. 11), si è osservato che la questione sarebbe stata da ritenersi superata alla stregua della previsione introdotta dall’art. 13, comma 2, della l. n. 50 del 1971, che espressamente menzionava i canotti di gomma nell’ambito della categoria dei «natanti» (con previsione che non ha corrispondenza nel codice della nautica da diporto).
[18] Sul punto, si rinvia al contributo di S. Pollastrelli, L’abilitazione alla navigazione delle unità da diporto, in questo Volume.
[19] La letteratura sul punto è già piuttosto ampia. V. in generale, prescindendo dai contributi su aspetti specifici e da quelli contenuti in trattazioni di più vasto respiro: A. Masutti, Il nuovo codice della nautica da diporto, in Dir. maritt., 2006, 736; M. Grigoli, Ombre e luci del codice della nautica da diporto, in Dir. trasp., 2007, 89.
[20] Anche su tale disciplina si contano numerosi
contributi della dottrina. V. ex pluribus:
S. Ferrarini, Le nuove norme sulla navigazione da diporto,
in Dir. maritt., 1970, 425; D. Gaeta, L’ordinamento della navigazione da diporto, in Riv. dir. nav., 1972, I, 21; M.
Grigoli, Contributo alla disciplina della navigazione da diporto, Padova, 1974.
[21] L’ipotesi che l’unità da diporto potesse essere oggetto di un contratto di utilizzazione non era contemplata nella l. n. 50 del 1971 e, nel silenzio del legislatore, si discuteva sulla possibilità di concludere locazioni e noleggi. Prevaleva in dottrina la soluzione affermativa, sul presupposto che «è uno scopo sportivo o ricreativo senza fine di lucro, ai sensi della legge, anche quello che caratterizza la navigazione di un’imbarcazione locata o noleggiata a tale scopo, anche se il proprietario di questa ricava un lucro dalla locazione o dal noleggio» (così: S. Ferrarini, Le nuove norme sulla navigazione da diporto, in Dir. maritt., 1970, 425, ivi, 426), con l’espressione di riserve circa l’opportunità, da parte del legislatore, di qualificare come deroga le previsioni in ordine all’espressa autorizzazione normativa a concludere contratti di locazione e noleggio, contenuta nell’art. 15 della successiva l. 5 maggio 1989, n. 171 (cfr. M. Grigoli, In merito alla locazione ed al noleggio delle imbarcazioni e dei natanti da diporto, in Giust. civ., 1990, II, 75). Da ultimo, sul tema, cfr. M. M. Comenale Pinto, E. G. Rosafio, Evoluzione della disciplina sul diporto e contratti, in questo Volume.
[23] Sul punto si rinvia ai contributi, in questo Volume, sui contratti di utilizzazione, di M. M. Comenale Pinto, E. G. Rosafio, Evoluzione della disciplina sul diporto e contratti; S. Magnosi, Considerazioni sulla disciplina del contratto di locazione di unità da diporto; L. Tullio, Il noleggio nel codice della nautica da diporto.
[25] L’art.
40 bis c. naut. dip. si riferisce al
titolare persona fisica o società non avente come oggetto sociale il noleggio o
la locazione, ovvero all’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, di
imbarcazioni e navi da diporto di cui all’art. 3, comma 1, c. naut. dip.
[26] Il riferimento è all’art. 49 bis c. naut. dip., come introdotto dall’art. 59 ter del d. l. 24 gennaio 2012 n. 1, nel testo convertito dalla l. 24 marzo 2012 n. 27. In tema v. S. Vernizzi, L’impiego promiscuo delle unità da diporto, in questo Volume.
[27] Si tratta degli artt. 50 e 51 c. naut. dip., abrogati dall’art. 80-ter del d. lgs. 26 marzo 2010, n. 59, come modificato dall’art. 9 del d. lgs. 6 agosto 2012, n. 147, nell’ambito dell’attuazione della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva «Bolkestein», relativa ai servizi nel mercato interno). Su tale abrogata disciplina, a suo tempo, v. G. Tellarini, La disciplina della mediazione nel codice della nautica da diporto, in Dir. trasp., 2008, 731. Una parte della dottrina aveva sostenuto la tesi che, a seguito della l. n. 50 del 1971, la mediazione nel diporto non sarebbe stata assoggettabile alla disciplina della mediazione marittima, di cui alla l. 12 maggio 1968, n. 478: A. Antonini, L’attività di mediazione nella nautica da diporto, in Trasporti, 47-1989, 47; Id., Il «noleggiatore» di unità da diporto, in Dir. maritt., 1991, 1170, ivi, 1177 (contra: M. Grigoli, Sul regime dell’attività del broker nella nautica da diporto, in Trasporti, 75-1998, 23, ivi, 31).
[28] In base a tale ormai abrogata disciplina, era attribuita alle Regioni la competenza normativa su «i requisiti e le modalità di iscrizione nel ruolo dei mediatori per le unità da diporto, la formazione e la conservazione del ruolo, le cause di cancellazione e le norme disciplinari» (art. 50 abr. c. naut. dip.), con la previsione di un’iscrizione nel ruolo dei mediatori per le unità da diporto abilitante all’esercizio della professione in tutto il territorio della Repubblica (art. 51 abr. c. naut. dip.), senza, tuttavia, dettare il quadro generale in cui tale normativa avrebbe dovuto essere applicata, e senza dirimere, fra l’altro, i possibili conflitti con la normativa generale della mediazione marittima (e quella della concorrenza fra gli abilitati all’esercizio professionale sulla base della disciplina generale della mediazione e di quella per la mediazione per il diporto).
[31] Sul tema, si rinvia ai contributi in questo volume, di A. Claroni, A. Romagnoli, Il diporto nelle acque interne e di S. Busti, Rafting e competenze amministrative in una provincia autonoma. Nella legislazione regionale si veda la l. reg. Piemonte 17 gennaio 2008, n. 2, recante «Disposizioni in materia di navigazione interna, demanio idrico della navigazione interna e conferimento di funzioni agli enti locali».
[32] Su cui, in generale, con riferimento alle attività considerate, v. G. Romanelli, M. M. Comenale Pinto, Trasporti, turismo e sostenibilità ambientale, in Dir. trasp., 2000, 659 e, in questo Volume, G. Tellarini, Il diporto sostenibile.
[33] Si è posta, in particolare, la questione dell’assoggettabilità alla tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani degli specchi d’acqua utilizzati come ormeggio di imbarcazioni e della titolarità del relativo obbligo contributivo. Per l’affermazione in capo al gestore dell’infrastruttura, cfr. Cass. 18 febbraio 2009, n. 3829, in Dir. trasp., 2010, 753, con nota di A. Liardo, L’applicazione della Tarsu all’interno dei porti turistici e delle aree soggette all’autorità portuale, ivi, 760, e in Riv. dir. tribut., 2009, II, 733, con nota di S. Mencarelli, La rilevanza dello specchio d’acqua nell’applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. In generale sul rilievo dei porti turistici nella fiscalità locale, v. S. Mencarelli, Porti turistici e fiscalità comunale, in Riv. dir. nav., 2012, 653.
[34] Nell’ambito della disciplina della «Legge quadro sulle aree protette» (l. 6 dicembre 1991, n. 394), sono penalmente sanzionate (art. 30) le violazioni delle prescrizioni delle aree marine protette: Cass. pen. 11 marzo 2010-20 aprile 2010, n. 15093, in Riv. dir. nav., 2010, 784, con nota di G. Spera, Spunti in materia di aree marine protette, ivi, 786 (in cui l’autore esprime dubbi sulla legittimità costituzionale del sistema sanzionatorio), ha escluso l’errore scusabile per la violazione della zona di protezione integrale di una riserva marina debitamente segnalata. C. giust. Ue 15 aprile 2010, in causa 433/05, in Riv. giur. amb., 2010, 965 (s.m.), con nota di A. Gratani, Legittime le misure restrittive della circolazione delle imbarcazioni da diporto per motivi di tutela ambientale, ha negato che le norme di limitazione alla circolazione finalizzate alla tutela dell’ambiente siano in contrasto con la dir. 94/25/CE del 16 giugno 1994, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri riguardanti le imbarcazioni da diporto, come modificata dalla successiva dir. 2003/44/CE del 16 giugno 2003.
[35] D. m. (Infrastrutture e trasporti) 2 marzo 2012, n. 79, in G.U. 7 marzo
2012, n. 56, che reca «Disposizioni generali per limitare o vietare il transito
delle navi mercantili per la protezione di aree sensibili nel mare
territoriale», come modificato dal d. m. (Infrastrutture e trasporti) 30 aprile
2012, n. 60620, in G.U. 5 maggio 2012, n. 504. Noto anche come decreto «anti-inchini», era stato adottato sull’onda dell’emozione
suscitata dal caso «Costa
Concordia», nave da crociera che aveva subito naufragio, dopo essersi
avvicinata all’Isola del Giglio, nella notte del 13 gennaio 2012. Una
successiva circolare del Comando generale delle Capitanerie di Porto, del 30
aprile 2012 n. 39801, dettando linee di indirizzo, ha consentito alle Autorità
marittime di individuare limiti differenti, ma comunque non inferiori a 0,7
miglia, per esigenze di sicurezza legate ai trasbordi da e per le navi da
crociera, per consentire in prossimità di parchi e aree protette la discesa a
terra dei passeggeri.
[36] Cfr. Circolare Prot. 13147 del 15 luglio 2015, del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, a firma del direttore generale Enrico Puja, avente ad oggetto «Ambito di applicazione del decreto Clini-Passera alle unità da diporto c.d. Superyachts».
[37] V. in generale G. Tellarini, La normativa in materia di sicurezza della navigazione da diporto e la regolamentazione delle attività balneari e dei controlli in prossimità delle coste, ne La sicurezza nel trasporto e nelle infrastrutture della navigazione marittima ed aerea, atti del convegno di Catanzaro del 13-14 febbraio 2009, a cura di U. La Torre e A. L. M. Sia, Soveria Mannelli, 2011, 231.
[38] Sulla riforma della parte aeronautica del codice
della navigazione, con riferimento al d. lgs. 9 maggio 2005, n. 96, v. in
generale E. Turco Bulgherini, La riforma del codice della navigazione
parte aerea, in Nuove leggi civ.,
2006, 1341, nonché G. Mastrandrea, L. Tullio,
La riforma della parte aeronautica del
codice della navigazione, in Dir.
maritt., 2005, 1201. Sul nuovo contesto della disciplina del volo da
diporto o sportivo, v. B. Franchi,
La disciplina del volo da diporto o
sportivo dopo la riforma della parte aeronautica del codice della navigazione,
in Sicurezza, navigazione e trasporto,
a cura di R. Tranquilli Leali e E. G. Rosafio, Milano, 2008, 203. Per quanto
concerne la specifica questione dell’abrogazione del tit. X, v. L. Trovò, L. Venturini, La responsabilità civile, ne L’aria, a cura di F. Morandi, U. Izzi,
Torino, 2014, 69; L. Venturini, L’organizzazione e il mondo associativo del
volo, ne L’aria, cit., 437, ivi,
439. Si veda altresì C. Ingratoci,
Profili di disciplina del volo a vela,
in questo Volume.
[39] Già la formula originaria della l. 25 marzo 1985, n. 106, al di là delle perplessità indotte dalla primitiva (ora abbandonata) scelta del rifiuto di «considerare aeromobili ai sensi dell’art. 743 cod. nav. delle macchine che, per quanto elementari, hanno tutte le caratteristiche da tale articolo menzionate» (così D. Gaeta, L’odierna situazione della legislazione aeronautica italiana, cit., 29) comunque apriva a problematicità, in quanto non idonea a comprendere apparecchi comunque in concreto utilizzati ed utilizzabili solo per attività sportive e turistiche. La questione si ripropone anche nel sistema vigente. Cfr. L. Venturini, op. loc. ult. cit., evidenzia l’incertezza del quadro normativo derivante dalla riforma della parte aeronautica del codice della navigazione, con il rilievo dell’impossibilità, nell’attuale contesto, di individuare una «esatta tipizzazione unitaria» dei voli turistici e di quelli svolti con aliante, che non corrispondono necessariamente a quelli coperti dalla disciplina dettata dalla l. 25 marzo 1985, n. 106, potendo trascendere i limiti indicati nell’annesso della legge medesima. Il regolamento di attuazione della l. 25 marzo 1985, n. 106 è oggi recato dal d.P.R. 9 luglio 2010, n. 133 (cfr. F. Pellegrino, Gli apparecchi per il volo da diporto e sportivo alla luce del d.P.R. n. 133/2010, nonché F. Salerno, Volo da diporto o sportivo e sicurezza, entrambi in questo Volume).
[42] Si rinvia a G. Boi, Profili evolutivi delle assicurazioni corpi nella nautica da diporto, in questo Volume.
[43] Per quanto riguarda i problemi relativi alla circolazione internazionale di unità da diporto e alla carenza, allo stato attuale, di un regime di diritto uniforme, cfr. M. M. Comenale Pinto, Impiego del mezzo nautico e profili di responsabilità, in Diporto e turismo tra autonomia e specialità. Un’occasione per un incontro interdisciplinare, cit., 111, ivi, 117 ss.
[44] Traendo spunto proprio dalla disciplina della responsabilità, si è osservato che il «fattore tecnico presenta, nella navigazione da diporto, connotati in parte differenti e meno marcati che in quella mercantile, atteso il carattere più limitato dell’ambito esplicativo della stessa, la sua natura prevalentemente costiera, le minori e a volte minime dimensioni delle unità ad essa destinate, le finalità, i tempi di esecuzione, il suo svolgimento normalmente in contatto anziché in distacco con la comunità territoriale, e, più ancora, la mancanza di relazioni con il commercio internazionale, che rappresenta la struttura portante della navigazione mercantile» (A. Antonini, L’autonomia del diritto della navigazione, il ruolo del diritto comune e la posizione sistematica della legislazione sulla navigazione da diporto, in Diporto e turismo tra autonomia e specialità. Un’occasione per un incontro interdisciplinare, cit., 16, ivi, 51). E, su tali premesse, si dà ragione della tendenza della disciplina diportistica ad allontanarsi «per numerosi aspetti, da quella generale della navigazione, riavvicinandosi a quella di diritto comune; con la conseguenza che talune norme di quest’ultimo, o di altri settori specifici dell’ordinamento, divengono applicabili alla navigazione da diporto, laddove non lo sono a quella propriamente detta o mercantile», indicando come esempio significativo proprio il regime dell’art. 2054 c. c. (ibidem).
[45] Sul carattere innovativo di tale estensione (sia rispetto alla Convenzione, sia rispetto alle normative di recepimento degli altri Stati parte), v. ex plurimis A. Donati, La nuova legge italiana sull’assicurazione obbligatoria responsabilità civile automobilistica e la convenzione di Strasburgo, in Assic., 1970, I, 30, ivi, 34 s.; Id., L’assicurazione obbligatoria di responsabilità civile auto, in Assic., 1971, I, 101, ivi, 105; M. Chiarlo, L’assicurazione delle imbarcazioni e delle navi da diporto, in Dir. maritt., 1973, 410, ivi, 411; L. Galletti, I «natanti» soggetti all’assicurazione obbligatoria r.c., in Assic., 1974, I, 52. Da ultimo, v. U. La Torre, Unità da diporto ed assicurazione r.c., in Diporto e turismo tra autonomia e specialità. Un’occasione per un incontro interdisciplinare, cit., 155, ivi, 156 s.
[46] Come è stato esattamente segnalato (U. La Torre, Unità da diporto ed assicurazione r.c., cit., 169, che predilige la prima soluzione, si tratta di questione non priva di conseguenze, in ordine all’individuazione delle fonti normative applicabili). Le assicurazioni obbligatorie per il volo da diporto o sportivo dovrebbero, allo stadio attuale dell’evoluzione normativa, essere considerate senz’altro «assicurazioni aeronautiche»: cfr. S. Vernizzi, Brevi note sul nuovo assetto delle assicurazioni aeronautiche a seguito dei decreti legislativi nn. 96/2005 e 151/2006, in Resp. civ. prev., 2006, 1946, ivi, 1954.
[47] V. in generale U. La Torre, Le assicurazioni obbligatorie per il volo da diporto, in questo Volume.
[48] Il mutamento di indirizzo della giurisprudenza di legittimità venne segnato da Cass. 26 ottobre 1998, n. 10629, in Contratti, 1999, 361, con nota di L. Masala, Trasporto di cortesia e tutela del passeggero; in Dir. trasp., 1999, 233, con nota di A. Zampone, Riflessioni sul trasporto amichevole alla luce del ripensamento della Corte di cassazione sull’applicabilità dell’art. 2054 c.c. alle persone trasportate; in Resp. civ. prev., 1999, 72, con nota di U. Carnevali, Persone trasportate e art. 2054 cod. civ.: la nuova giurisprudenza della Cassazione, ivi, 92.
[49] Appariva prevalente la tesi che, sulla base del mutato indirizzo della Cassazione sull’ambito di applicazione dell’art. 2054 c. c., anche prima che la questione si ponesse in sede giudiziaria, con riferimento al diporto, aveva ritenuto compresso, se non nullo, il margine per l’applicazione della disciplina del trasporto amichevole di cui all’art. 414 c. nav., anche nella navigazione da diporto (cfr. S. Zunarelli, M. M. Comenale Pinto, Manuale di diritto della navigazione e dei trasporti, I, ed. II, Padova, 2013, 369). Per una diversa impostazione sul punto, v. G. Camarda, La responsabilità per danni a terzi nel corso dell’attività nautica ricreativa e sportiva, ne La navigazione da diporto, Milano, 1999, 97.
[50] Cass. 19 novembre 2013, n. 25902, in Dir. trasp., 2014, 899, con nota di A. Antonini, Il trasporto amichevole nella navigazione da diporto: la dottrina navigazionista ispira l’orientamento della Corte di Cassazione, ivi, 904. Sulle problematiche suddette, v., in generale, Id., Navigazione da diporto e responsabilità, in questo Volume.
[51] U. La Torre, «Ospite» e membro di equipaggio: una singolare commistione, in Studi in memoria di Elio Fanara, a cura di U. La Torre, G. Moschella, F. Pellegrino, M. P. Rizzo, G. Vermiglio, II, Milano, 2009, 139, ivi, 146 s.
[53] C 2722, «delega al governo per la riforma del codice della nautica da diporto», approvato dal Senato (S 1167). Il disegno di legge in questione prevede una delega al Governo (art. 1, comma, disegno di legge) per «[…] adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per gli affari europei, dell’economia e delle finanze, della salute, per la semplificazione e la pubblica amministrazione, della giustizia, dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dello sviluppo economico e dei beni e delle attività culturali e del turismo, uno o più decreti legislativi di revisione ed integrazione del d. lgs. 18 luglio 2005, n. 171, recante codice della nautica da diporto ed attuazione della dir. 2003/44/CE, a norma dell’articolo 6 della l. 8 luglio 2003, n. 172, e per la disciplina delle seguenti materie: a) regime amministrativo e navigazione delle unità da diporto, ivi comprese le navi di cui all’articolo 3 della l. 8 luglio 2003, n. 172; b) attività di controllo in materia di sicurezza della navigazione da diporto e di prevenzione degli incidenti in prossimità della costa con l’obiettivo della salvaguardia della vita umana in mare e nelle acque interne, anche in relazione alle attività che si svolgono nelle medesime acque, con particolare riferimento all’attività subacquea; c) revisione della disciplina sanzionatoria in relazione alla gravità e al pregiudizio arrecato alla tutela degli interessi pubblici nonché alla natura del pericolo derivante da condotte illecite al fine di garantire comunque l’effettività degli istituti sanzionatori; d) aggiornamento dei requisiti psicofisici necessari per il conseguimento della patente nautica; e) procedure per l’approvazione e l’installazione di sistemi di alimentazione con gas di petrolio liquefatto (GPL), metano ed elettrici, su unità da diporto e relativi motori di propulsione, di nuova costruzione o già immessi sul mercato».
[54] Financo in rel. min. c. nav., § 123, di seguito al passo più sopra richiamato, si legge che «Queste norme sono intese a stabilire un ordinamento più semplice e snello per quanto concerne la navigazione da diporto al fine di agevolarne lo sviluppo, che così notevoli ripercussioni ha non soltanto dal punto di vista sportivo e turistico, e si inseriscono nel complesso delle facilitazioni delle quali va qui ricordata, per connessione, quella stabilita in materia di vidimazione delle carte di bordo».
[55] Su cui v., a suo tempo, R. Abbate, Alcune osservazioni sulla legge 8 luglio 2003 n. 172 «disposizioni per il riordino ed il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico», in Dir. maritt., 2004, 1130.