Università di Sassari
PAROLE INTRODUTTIVE Alla Conferenza di L. Bussi e di
M.R. Cimma «I trattati e la guerra:
la lunga traccia della consuetudine internazionale» (Sassari, 15
dicembre 2015)
In Roma antica, in generale, lo straniero
non era inteso aprioristicamente come un elemento negativo. Il sistema romano,
specialmente in età del Regnum,
appare connotato dalla apertura verso i peregrini e dalla volontà di
ampliamento demografico e spaziale della città, motivo di grandezza del Populus
Romanus[1]. Le fonti attestano, infatti,
un’ampia politica di concessione della cittadinanza[2], ottenuta attraverso strumenti
giuridico-religiosi quali, ad esempio, il cosiddetto asilo romuleo[3].
Le
civitates straniere (ovvero gli
uomini, gli spazi e i loro dèi) erano comprese nelle partizioni frutto
delle interpretazioni teologiche e giuridiche dei sacerdotes romani. Questo emergerebbe con forza da un frammento
degli archivi augurali tramandato dal De
lingua Latina di Varrone, dove si distinguono cinque genera agrorum[4]: l’ager Romanus, il Gabinus,
cioè della città di Gabii, unico luogo dell’antico Lazio
qui specificamente citato[5], il
peregrinus, l’ager hosticus e
infine, secondo una prospettiva cautelare propria delle riflessioni
giuridico-religiose romane, il territorio
incertus[6]; poiché, per evitare possibili
imprecisioni nelle cerimonie poste in essere dai primi giuristi romani, tutto
doveva essere ricompreso, anche l’ignoto[7].
Si devono poi ricordare come tutti gli
atti giuridici-religiosi, legati alla pace e alla guerra, erano posti in essere
dal collegio sacerdotale dei feziali, il quale doveva prestare massima
attenzione poiché ne dipendeva il pacifico rapporto tra le divinità
e il Popolo Romano. Per evitare l’infausta rottura della pax deorum, i rituali della pace e della
guerra erano contrassegnati dal ricorso a concetti giuridico-religiosi,
interpretati e custoditi dal collegio dei fetiales[8].
La fides publica, intesa vigente tra i popoli[9], doveva essere rispettata,
poiché, come mostra Cicerone, nei confronti del nemico si dovevano
osservare ius etiam bellicum fidesque iuris iurandi[10]. Con il nemico, giusto e legittimo,
infatti, il romano condivideva il diritto feziale e anche molti iura[11]. A titolo di esempio, si deve ricordare
un episodio concernente l’assedio romano della città di Falerii.
Un giorno, un precettore a servizio delle famiglie più in vista dei
Falisci portò i ragazzi al di fuori delle mura per farli giocare e per
compiere attività ginniche, come era solito fare anche durante il
conflitto; così l’uomo condusse i fanciulli
nell’accampamento nemico, per consegnare loro ai Romani, con
l’espressa finalità di consegnare in tal modo anche la
città di Falerii. La risposta indignata di Furio Camillo a tale scelus appare significativa. Dapprima
egli sottolineò la netta differenza tra lo scellerato precettore, il
quale si era presentato con un munus
scelestum, il popolo dei Falisci e il loro comandante, poi Camillo
affermò: «Non vi è tra noi e i Falisci alcuna societas che si forma con vincolo umano,
ma sussiste e esisterà dall’una e dall’altra parte quanto
ingenerato dalla natura. Vi sono nella guerra, così come nella pace,
degli iura ...»[12].
[1] Vedi, ad es., Liv. 1.45.1: Aucta civitate magnitudine urbis, formatis
omnibus domi et ad belli et ad pacis usus, ne semper armis opes adquirerentur,
consilio augere imperium conatus est, simul et aliquod addere urbi decus.
[2] Dionigi di Alicarnasso, ad es., 1.9.4, 1.89.1,
2.16.1, 3.10.4-6, 3.11.3-5, 4.23, 14.6, pone in evidenza tale politica perseguita ampiamente in
età regia (rimando in materia a G. Poma, Dionigi
d’Alicarnasso e la cittadinanza romana, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité 101,
1989, 187 ss.). Intorno alla concessione della cittadinanza vedi, da ultima, A. Muroni, Civitas Romana: emersione di una categoria nel diritto e nella politica tra Regnum
e Res publica, in Diritto@Storia 11,
2013, http://www.dirittoestoria.it/11/note&rassegne/Muroni-Civitas-Romana-categoria-tra-regnum-res-publica.htm.
[3] Ovidius, fasti 3.429-432:
Una nota est Marti Nonis, sacrata quod
illis / templa putant lucos Veiovis ante duos. / Romulus, ut saxo lucum
circumdedit alto, / ‘Quilibet huc’ inquit ‘confuge; tutus
eris’; Livius 1.8.4-6: Crescebat interim urbs munitionibus alia
atque alia adpetendo loca, cum in spem magis futurae multitudinis quam ad id,
quod tum hominum erat, munirent. 5. Deinde, ne vana urbis magnitudo
esset, adiciendae multitudinis causa vetere consilio condentium urbes, qui
obscuram atque humilem conciendo ad se multitudinem natam e terra sibi prolem
ementiebantur, locum, qui nunc saeptus descendentibus inter duos lucos est,
asylum aperit. 6. Eo ex finitimis populis turba omnis sine discrimine,
liber an servus esset, avida novarum rerum perfugit, idque primum ad coeptam
magnitudinem roboris fuit; Dionysius Halicarnassensis 2.15.3 s.: ἔπειτα
καταμαθὼν
πολλὰς τῶν κατὰ
τὴν Ἰταλίαν πόλεων
πονηρῶς ἐπιτροπευομένας
ὑπὸ τυραννίδων
τε καὶ ὀλιγαρχιῶν,
τοὺς ἐκ τούτων ἐκπίπτοντας
τῶν πόλεων
συχνοὺς ὄντας,
εἰ μόνον εἶεν ἐλεύθεροι,
διακρίνων οὔτε
συμφορὰς οὔτε
τύχας αὐτῶν ὑποδέχεσθαι
καὶ μετάγειν ὡς
ἑαυτὸν ἐπεχείρει,
τήν τε Ῥωμαίων
δύναμιν αὐξῆσαι
βουληθεὶς καὶ
τὰς τῶν περιοίκων
ἐλαττῶσαι· ἐποίει
δὲ ταῦτα πρόφασιν
ἐξευρὼν εὐπρεπῆ
καὶ εἰς θεοῦ
τιμὴν τὸ ἔργον ἀναφέρων.
4. τὸ γὰρ μεταξὺ
χωρίον τοῦ τε
Καπιτωλίου καὶ
τῆς ἄκρας, ὃ
καλεῖται νῦν
κατὰ τὴν Ῥωμαίων
διάλεκτον μεθόριον
δυεῖν δρυμῶν
καὶ ἦν τότε τοῦ
συμβεβηκότος ἐπώνυμον,
ὕλαις ἀμφιλαφέσι
κατ´ ἀμφοτέρας
τὰς συναπτούσας
τοῖς λόφοις
λαγόνας ἐπίσκιον,
ἱερὸν ἀνεὶς ἄσυλον
ἱκέταις καὶ ναὸν
ἐπὶ τούτῳ
κατασκευασάμενος
(ὅτῳ δὲ ἄρα θεῶν
ἢ δαιμόνων οὐκ ἔχω
τὸ σαφὲς εἰπεῖν)
τοῖς καταφεύγουσιν
εἰς τοῦτο τὸ ἱερὸν
ἱκέταις τοῦ τε
μηδὲν κακὸν ὑπ´
ἐχθρῶν παθεῖν ἐγγυητὴς
ἐγίνετο τῆς εἰς
τὸ θεῖον εὐσεβείας
προφάσει καὶ εἰ
βούλοιντο
παρ´ αὐτῷ μένειν
πολιτείας
μετεδίδου καὶ
γῆς μοῖραν, ἣν
κτήσαιτο
πολεμίους ἀφελόμενος;
Plutarchus, Romulus 9.3: Ἔπειτα
τῆς πόλεως τὴν
πρώτην ἵδρυσιν
λαμβανούσης, ἱερόν
τι φύξιμον τοῖς
ἀφισταμένοις
κατασκευάσαντες,
ὃ Θεοῦ Ἀσυλαίου
προσηγόρευον, ἐδέχοντο
πάντας, οὔτε
δεσπόταις δοῦλον
οὔτε θῆτα χρήσταις
οὔτ' ἄρχουσιν ἀνδροφόνον
ἐκδιδόντες, ἀλλὰ
μαντεύματι
πυθοχρήστῳ πᾶσι
βεβαιοῦν τὴν ἀσυλίαν
φάσκοντες; Florus, epitoma de Tito Livio 1.1.8 s.: Imaginem
urbis magis quam urbem fecerat: incolae deerant. 9. Erat in proximo lucus; hunc asylum facit, et statim mira vis hominum:
Latini Tuscique pastores, quidam etiam transmarini, Phryges qui sub Aenea,
Arcades qui sub Evandro duce influxerant. Ita ex variis quasi elementis
congregavit corpus unum, populumque R. ipse fecit rex; Lactantius, divinae institutiones 2.7: Romulus
urbem conditurus, pastores
inter quos adoleverat convocavit, cumque is numerus condendae urbi parum
idoneus videretur, constituit asylum. Eo passim confugerunt ex finitimis locis
pessimi quique, sine ullo condicionis discrimine (PL 6, col. 286); Servius Danielis, in Vergilii Aeneidem 8.635: Romulus cum turbam civium non haberet, asylum condidit, ad quem locum si
quis confugisset, eum exinde non liceret auferri. Cfr. de viribus illustribus 2.1: Romulus asylum convenis patefecit et magno
exercitu facto ...
In letteratura la tradizione sull’asilo romuleo
è respinta (ad es.: A.
Mastrocinque, Romolo (la
fondazione di Roma tra storia e leggenda), Este 1993, 104 ss.; M. Dreher, Die Asylstätte des Romulus - eine griechische Institution im
frühen Rom?, in A.a.V.v., Symposion 1997. Vorträge zur
griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte. (Altafiumara, 8.-14.
September 1997), a cura di E. Cantarella, G. Thür, Köln–Weimar–Wien 2001, 235 ss.; G.
Freyburger, Le dieu Veiovis et
l’asile accordé à Rome aux suppliants, in Das antike Asyl. Kultische Grundlagen,
rechtliche Ausgestaltung und politische Funktion, a cura di M. Dreher,
Köln–Weimar–Wien 2003, 169 s., 173), tuttavia, non è mancato chi
abbia sostenuto la provenienza latina dell’istituto e lo abbia collocato
alle origini di Roma (ad es.: F. Altheim,
Römische Religionsgeschichte, I,
Baden-Baden 1951, 175 ss.; Id., La religion romaine antique, tr. fr. di
H.E. Del Medico, Paris 1955, 170 s.; G.
Crifò, v. Asilo (diritto
di), in Enciclopedia del diritto
3, Milano 1958, 191 ss.).
[4] Varro, de
lingua Latina 5.33: Ut nostri augures
publici disserunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus, Gabinus, peregrinus,
hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab Rom<ul>o; Gabinus ab
oppido Gabis; peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum, quod uno
modo in his servantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a
progrediendo: eo [quod] enim ex agro Romano primum progrediebantur: quocirca
Gabinus quoque peregrinus, sed quod auspicia habe[n]t singularia, ab reliquo
discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor qui
sit ignoratur. Vedi: F.A. Brause,
Librorum de disciplina augurali ante
Augusti mortem scriptorum reliquiae (Pars I.), Lipsiae 1875, 42 fr. 27; P. Regell, Fragmenta auguralia, Hirschberg
1882, 19. Per una
articolata analisi del passo rimando a P.
Catalano, Aspetti spaziali del
sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia,
in Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt II.16.1,
Berlin–New York 1978, 492 ss., il quale
evidenzia l’alta risalenza dei concetti in esso contenuti.
[5] Il frammento augurale in esame testimonia «che i
Latini furono considerati come stranieri (hostes
nel senso originario), fin dall’età più antica»
(così P. Catalano, Aspetti spaziali del sistema
giuridico-religioso romano cit. 498).
[6] In merito alle “potenzialità” di tale
divisione augurale rimando alle pregnanti considerazioni di F. Sini, Diritto
e pax deorum in Roma Antica cit.:
«La divisione dello spazio terrestre in cinque agrorum genera
rappresenta un mirabile esempio della semplicità, dell’efficacia interpretativa
e delle potenzialità universalistiche della scienza sacerdotale. Pur
salvaguardando la centralità dell’ager romanus (anche
verso gli Dèi), la classificazione dei genera agrorum
mostra una fortissima propensione religiosa e giuridica ad instaurare rapporti
– tanto reali quanto potenziali – con la molteplicità degli
spazi terrestri; con gli homines che hanno relazioni a vario titolo con
questi spazi; con gli innumerevoli Dèi che quegli spazi (e quanti li
abitano) presiedono e tutelano».
[7] Tra le fonti attestanti la cautela adoperata dai
sacerdoti romani vedi, ad es., Ammianus Marcellinus, res gestae 17.7.10: Unde ut
in ritualibus et pontificiis --- obtemperatur, observantibus sacerdotiis caute
ne alio deo pro alio nominato, cum, qui eorum terram concutiat, sit in
abstruso, piacula committantur.
[8] Su ius fetiale
e sui fetiales, vedi, ex multis: M.Jo. D. Ritter–J. Luz, De fetialibus populi
romani, Lipsie 1732; F.C. Conradi, De Fecialibus et iure feciali populi Romani, Helmstadii 1734; E. Osenbrueggen, De Jure Belli et Pacis
Romanorum. Liber singularis, Lipsiae 1836; M.
Voigt, De fetialibus populi Romani
quaestionis specimen, Lipsiae 1852;
G. Fusinato, Dei feziali e del
diritto feziale. Contributo alla storia del diritto pubblico esterno di Roma,
Roma 1884; C. Phillipson, The
international law and custom of ancient Greece and Rome, II, London 1911
[rist. Buffalo, N.Y. 2001], 315 ss.; J. Bayet, Le rite du
fécial et le cornouiller magique, in Mélanges d’archéologie et d’histoire 52,
1935, 29 ss.; S.I. Oost, The Fetial Law and the Outbreak of the
Jugurthine War, in The American
Journal of Philology 75 1954, 147 ss.; G.
Nenci, Feziali ed aruspici in
Cicerone (De Leg. II, 9, 21), in La
Parola del passato 13, 1958, 134 ss.;
P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale
romano. I, Torino 1965, 3-48, 289-293 (ora in Origini del sistema sovrannazionale romano ius fetiale e iura communia, in Id., Diritto
e persone – I, Torino 1990, 5-52);
G. Dumézil, La religion
romaine archaïque cit. 579 ss.; S. Albert,
Bellum iustum. Die Theorie des “gerechten
Krieges” und ihre praktische Bedeutung für die auswärtigen
Auseinandersetzungen Roms in republikanischer Zeit, Kallmünz
1980, 12 ss.; Ch. Saulnier, Le
rôle des prêtres fétiaux et l’application du
«ius fetiale», in Revue
Historique de Droit français et étranger 58, 1980, 171 ss.; T. Wiedemann,
The Fetiales: a reconsideration, in Classical Quarterly 36, 1986, 478 ss.; T.R. S. Broughton,
Mistreatment of Foreign Legates and the
Fetial Priests: Three Roman Cases, in Phoenix
41, 1987, 50 ss.; R.T. Penella, War, Peace, and the ius fetiale in Livy 1, in Classical Philology 82.3, 1987, 233 ss.; C. Auliard, Les Fétiaux,
un collège religieux au service du droit sacré international ou
de la politique extérieure romain?, in Mélanges P. Lévêque,
6 Religion, a cura di M.-M. Mactoux,
E. Geny, Paris 1992, 1 ss.; F. Blaive, Indictio belli. Recherches
sur l’origine du droit fécial romain, in Revue
Internationale des Droits de l’Antiquité 40, 1993, 185 ss.; B. Albanese,
“Res repetere” e “bellum indicere” nel
rito feziale (Liv. 1,32,5-14), e Id.,
Foedus e ius iurandum; pax per sponsionem, entrambi in Annali del Seminario Giuridico
dell’Università di Palermo 46, 2000, rispettivamente a 7 ss. e
a 51 ss. (ora in Id., Scritti giuridici, IV, a cura di G.
Falcone, Torino 2006, 719 ss. e 763 ss.); E.
Bianchi, Fest. S. v.
‘Nuntius’ p. 178, 3 L. e i documenti del collegio dei feziali,
in Studia et Documenta Historiae et Iuris
66, 2000, 335 ss.; Id., Qualche
riscontro di lessico feziale latente nel I libro delle Storie di Livio, in Rivista di Diritto Romano 10, 2010
(http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano10Bianchi.pdf);
M.R. Cimma, I feziali e il diritto internazionale antico, in Ius Antiquum.
Древнее
Право 1.6, 2000, 24 ss.; A. Giovannini, Le droit fécial et la déclaration de guerre de Rome
à Carthage en 218 avant J.-C., in Athenaeum 88, 2000, 69 ss.;
A. Calore, Forme giuridiche del
‘bellum iustum’ (Corso di diritto romano – Brescia – a.a. 2003-2004)», Milano 2003, spec. 43
ss.; J. Rich, The fetiales and Roman International Relations, in Priests and State in the Roman World, a
cura di J.H. Richardson, F. Santangelo, Stuttgart 2011, 187 ss.; L. Zollschan, The Ritual Garb of the
Fetial Priests, in Museum Helveticum
68, 2011, 47 ss.; Ead., The Longetivity of the Fetial College,
in A.a.V.v., Law and Religion in the Roman Republic, a cura di O.
Tellegen-Couperus, Leiden–Boston
2012, 119 ss.; F. Santangelo, I feziali fra rituale,
diplomazia e tradizioni inventate,
in Sacerdos. Figure
del sacro nella società romana. Atti del convegno internazionale Cividale del Friuli, 26-28
settembre 2012, a cura di G.
Urso, Pisa 2014, 83 ss. Sulla sistematica degli archivi dei feziali vedi, da
ultima, L. Dal Ri, Ius fetiale: as origines do direito internacional no
universalismo romano, con presentazione di P.
Catalano, Ijuí 2011.
[9] In merito vedi specialmente: P. Boyancé, Fides romana et la vie internationale, estratto, Paris 1962 (ora in Id., études sur la religion romaine, Rome
1972, 105 ss.); E. Montanari, Identità culturale e conflitti religiosi
nella Roma repubblicana, Roma 1988, 82 ss.; A. Valvo, “Fides”,
“foedus”, “Iovem Lapidem iurare”, in Aa.Vv.,
Autocoscienza e rappresentazione dei
popoli nell’antichità, a cura di M. Sordi, Milano 1992, 115 ss.;
A. Di Pietro, La fides pubblica romana,
in Il ruolo della buona fede oggettiva
nell’esperienza giuridica storica e contemporanea I cit. 505 ss.; F. Sini, «Fetiales, quod fidei publicae inter populos praeerant» cit. 481 ss.; Id., Bellum, fas, nefas:
aspetti religiosi e giuridici della guerra (e della pace) in Roma antica cit.
[10] Cicero, de officiis 3.107: Est autem ius etiam
bellicum fidesque iuris iurandi saepe cum hoste servanda. Quod enim ita iuratum
est ut mens conciperet fieri oportere id servandum est quod aliter id si non
fecerit nullum est periurium. Vedi inoltre de legibus 2.34: Sequitur enim de iure belli; in quo et
suscipiendo et gerendo et deponendo ius ut plurimum valeret et fides, eorumque
ut publici interpretes essent, lege sanximus.
[11] Cicero, de officiis 3.108: Cum iusto enim et legitimo hoste res gerebatur adversus
quem et totum ius fetiale et multa sunt iura communia. Sul passo
vedi da ultima M.F. Cursi, «Amicitia» e
«societas» nei rapporti tra Roma e gli altri popoli del
Mediterraneo, in Index 41, 2013, 195 ss.
[12] Livius 5.27.5-8: ‘Non ad
similem’ inquit ‘tui nec populum nec imperatorem scelestus ipse cum
scelesto munere venisti. 6. Nobis cum Faliscis, quae pacto fit
humano, societas non est; quam ingeneravit natura utrisque, est eritque. Sunt
et belli sicut pacis iura, iusteque ea non minus quam fortiter didicimus
gerere. 7. Arma habemus non adversus eam aetatem, cui etiam captis
urbibus parcitur, sed adversus armatos et ipsos, qui nec laesi nec lacessiti a
nobis castra Romana ad Veios oppugnarunt. 8. Eos tu, quantum in te fuit, novo scelere vicisti;
ego Romanis artibus, virtute, opere, armis, sicut Veios, vincam’. Commento
in R.M. Ogilvie, A Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford
1965 [rist. 1998], 687 s.